Rivista Incontri Mese di Gennaio 2011

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Fondato nel 1948 Anno 63° n. 1 - Gennaio 2011 Sped. in abb. postale comma 20, lett. C, Art. 2 - Legge 662/96 Taxe perçue -Tariffa riscossa To C.M.P. • La città dell’amore • Dal paese dei colori e del sorriso • Guarda, vedi, trova! • Il rugby nella scuola dei miracoli • Via Cottolengo 14, la Piccola Porta • Carità nel silenzio. Comunità La Verbena La città dell’amore Dal paese dei colori e del sorriso Guarda, vedi, trova! Il rugby nella scuola dei miracoli Via Cottolengo 14, la Piccola Porta Carità nel silenzio. Comunità La Verbena Nella serenita ` di un’immenso ricordo antico, atteso sempre con gioia nuova, la Redazione rivolge a tutti i suoi lettori, agli amici e ai benefattori, i migliori auguri di Buon Natale e Felice Anno nuovo! Nella serenita ` di un’immenso ricordo antico, atteso sempre con gioia nuova, la Redazione rivolge a tutti i suoi lettori, agli amici e ai benefattori, i migliori auguri di Buon Natale e Felice Anno nuovo!

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Rivista Incontri Mese di Gennaio 2011

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Fondato nel 1948Anno 63°

n. 1 - Gennaio 2011Sped. in abb. postalecomma 20, lett. C, Art. 2 - Legge 662/96Taxe perçue -Tariffa riscossa To C.M.P.

• La città dell’amore• Dal paese dei colori e del sorriso• Guarda, vedi, trova!• Il rugby nella scuola dei miracoli• Via Cottolengo 14, la Piccola Porta• Carità nel silenzio. Comunità La Verbena

• La città dell’amore• Dal paese dei colori e del sorriso• Guarda, vedi, trova!• Il rugby nella scuola dei miracoli• Via Cottolengo 14, la Piccola Porta• Carità nel silenzio. Comunità La Verbena

Nella serenita di un’immenso ricordo antico, atteso sempre con gioia nuova,

la Redazione rivolge a tutti i suoi lettori, agli amici e ai benefattori,

i migliori auguri di

Buon Natale e Felice Anno nuovo!

Nella serenita di un’immenso ricordo antico, atteso sempre con gioia nuova,

la Redazione rivolge a tutti i suoi lettori, agli amici e ai benefattori,

i migliori auguri di

Buon Natale e Felice Anno nuovo!

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Periodico della Famiglia Cottolenghina e degliex Allievi e Amicidella Piccola Casa

n. 1 gennaio 2011

Periodico quadrimestraleSped. in abb. postaleComma 20 lett. C art. 2Legge 662/96 Reg. Trib. Torino n. 2202 del 19/11/71

Indirizzo: Via Cottolengo 1410152 Torino - Tel. 011 52.25.111C.C. post. N. 19331107Direzione IncontriCottolengo Torino

Direttore OnorarioDon Carlo Carlevaris

Direttore responsabileDon Roberto Provera

AmministrazioneAvv. Dante Notaristefano

Segreteria di [email protected]

redazioneSalvatore AcquasMario CarissoniMauro CarossoFr. Beppe Gaido

Progetto graficoSalvatore Acquas

Prove digitaliLEM Stampa digitale Via Bologna 220 - TorinoTel. 011 247.55.46

StampaTipografia Gravinese Corso Vigevano 46 - TorinoTel. 011 28.07.88

I l p u n t o

SOMMARIO

3 Il punto - 1948-2010Dante Notaristefano

4-5 La città dell’amoreMarina Corradi

6-7 Via Cottolengo 14 , la Piccola PortaMario C.

8-9 Carità nel silenzio- Comunità La Verbena Salvatore A.

10-11 Perché una giovane donna sceglie la Clausura? Emanuela

12-13 Guarda, vedi, trova! Mario C.

14-15 Dal paese dei colori e del sorriso Claudia

16-17 Pellegrini in Terra Santa Mario C.

18-19 Ritorno a Chaaria Rosella Quiri

20-21 Il rugby nella scuola dei miracoli Claudia Attene

22 Dimostrami la tua fede..... Fr. Beppe Gaido

23 Piera e Carlo, nozze d’oro Suor Nadia Pierani

24-25 Teresina Belardinelli Chiara Bergoglio

26 Il cieco e il pubblicitario - A mani vuote Redazione

27 Il paese degli amici Elena Granata

28-29 Briciole di Carità Redazione

30 Tre nuovi sacerdoti cottolenghiniRedazione

31 Gli amici che ci hanno lasciato Sr. G. Galli / M. Cerrato

INCONTRI è consultabile suhttp://chaariahospital.blogspot.com/

Sono passati ormai sessantadue anni da quando alcu-ni chierici (ricordiamo Arisio, Carlevaris, Balzaretti,Cavaglià, Bonelli), apprestandosi a lasciare la Famigliadei Tommasini per le meritate vacanze, maturavanol’idea di un foglio di collegamento per mantenere vivo,anche attraverso qualche scritto, quel rapporto di comu-nanza di intenti e di obiettivi sostenuto dall’entusia-smo giovanile. Grazie a Dio avevamo appena superato i tempi duri edifficili della guerra e dei bombardamenti, anche sepermaneva la necessità di una lotta quotidiana caratte-rizzata – tra l’altro – dalla quasi totale assenza di mezziche finiva per condizionare la realizzazione di qualsiasiiniziativa rendendone ancora più stimolante il perse-guimento, anche indipendentemente dal concreto suc-cesso.Era comunque il momento dei coraggiosi ed i chiericitommasini, i cosiddetti “illusi”, con l’aiuto determinan-te di Don Carlo Ingegneri, riuscivano a dar vita a“Incontri” mandando alle stampe (si fa per dire) i priminumeri della “circolare interna”, frutto di un importan-te impegno di equipe (i testi erano necessariamente danoi manoscritti su carta pelure con inchiostro di china,impaginati e integrati con qualche disegno e portati allalitografia per la stampa di...poche copie appena suffi-cienti a coprire lo stretto necessario e a testimoniareuna presenza). Ne risultò un prodotto artigianale modesto, ma vissutoe partecipato che, con grande soddisfazione di tutti,produsse comunque un notevole indice di gradimento.Vennero poi gradualmente la stampa, le fotografie, icolori e cercammo sempre di proseguire, superando condeterminazione le difficoltà; chi ci ha seguiti in questianni è buon testimone che non è stato sempre tuttofacile. Abbiamo avuto alti e bassi, momenti lieti e tri-sti, siamo stati portatori di notizie interessanti o di piùsemplici comunicazioni. Siamo stati costretti persino asospendere le pubblicazioni, ma ci siamo sempre ripre-si ed ora – dopo l’ultima sospensione determinata dalle

precarie condizioni di salute di Don Carlevaris – larivista è rinata ancora migliore, subendo una radicaletrasformazione nella stampa, nella forma e nei conte-nuti e avvicinandosi sempre più ad essere il periodico“della famiglia cottolenghina”. È sicuramente qualcosadi diverso dalla iniziale “circolare interna” del 1948,ma lo spirito è sempre quello e anima l’opera di uncompatto manipolo del Comitato di Redazione con glionnipresenti Salvatore Acquas e Mario Carissoni, e conDon Roberto Provera che ha saputo stimolare e guida-re la ripresa. Lettere, telefonate, sms, e-mail ci diconoche l’indice di gradimento è ancora cresciuto e ci invi-tano a continuare. Lo facciamo con l’entusiasmo disempre e procediamo anzitutto alla nomina di unnuovo Direttore Responsabile in quanto Don CarloCarlevaris, dopo lunghi anni di impegnativo e logoran-te lavoro sulla scia dei mitici predecessori Don CarloIngegneri, Don Alfredo Poggio e Don FrancescoBalzaretti, ha dovuto cedere all’infermità che purtrop-po avanza e, nell’assemblea del 6 giugno 2010 del-l’Associazione Ex-allievi ed amici del Cottolengo, èstato acclamato sul campo “Direttore ad honorem”.Da questo numero quindi il non facile compito diDirettore Responsabile di “Incontri” viene ufficial-mente affidato a Don Roberto Provera che ne haassunto di fatto gli impegni, contribuendo in mododeterminante alla rinascita del nostro periodico.Ci sembra superfluo procedere – come in casi analoghi– al panegirico del Direttore uscente e di quello entran-te: Don Carlo Carlevaris e Don Roberto Provera nonnecessitano di alcuna presentazione, ma per indirizza-re un vivissimo ringraziamento al primo e un augura-le benvenuto al secondo sarà sufficiente che la famigliacottolenghina, tutta la famiglia cottolenghina, non soloin Italia, ma in Europa e nei vari continenti costitui-sca idealmente una solida catena umana intorno a loroe con un forte abbraccio ripeta in coro “Deo gratias!”

Dante Notaristefano

1948-2010

N. 1 - 1948 N. 3 - 2010

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della Pastorale della Casa, è un pu-gliese arrivato qui da oltre vent’an-ni. Ci porterà per i reparti, in unlabirinto infinito di corridoi e stan-ze e sotterranei dove, ti fa notare,un uomo in carrozzella può andareovunque senza incontrare un gradi-no: e sì che l’anno di fondazionedella Casa precede di 150 anni leleggi sulle «barriere architettoni-che»; quel prete, san Giuseppe Cot-tolengo, ci aveva già pensato. Passiper l’ospedale con gli ambulatoriaffollati, esci di nuovo, verso lachiesa. Qui il via vai delle suore si fapiù intenso. Allo scadere dell’oravanno e vengono le sorelle che si

alternano per tutto il giornonella laus perennis. C’èsempre qualcuno, in questachiesa, che prega. E siamo arrivati ai Santiinnocenti, il reparto dei«mostri» nella leggenda po-polare. 122 ricoverati, quasitutti disabili gravi. Mortiormai i macrocefali dallatesta enorme, gli ospiti quisono quasi tutti handi-

– quella che provi quando immagi-ni di dover vedere da vicino il dolo-re. Del resto, un’aura di misterogravava un tempo su questa PiccolaCasa della Provvidenza. «Laggiùstanno i mostri», si diceva a Torino.Lo dice ancora del resto, sull’E-spresso, Giorgio Bocca, che hascritto di «un culto della vita adogni costo che lascia perplessi i visi-tatori della pia istituzione delCottolengo, dove tengono in vitaesseri mostruosi e deformi».E dunque chi entra immagina unaimmersione nel dolore. Belli i vialialberati, ma, dietro quelle finestre?Don Carmine Arice, responsabile

cappati anziani, età media 65 anni. Iricoverati sono divisi in dieci “fami-glie”, ciascuna con una propriacasa. Grandi stanze luminose, odo-re di pulito. Qualche ospite passeg-gia e risponde al saluto degli in-fermieri con un gesto di familiareconsuetudine. Le ricoverate qui,anche le più vistosamente colpiteda una disabilità che ne annebbia losguardo o rende incerto il movi-mento delle mani, lavorano. Il la-vorare con un senso, e uno scopo,al Cottolengo è considerato essen-ziale per l’uomo. Allora al pomerig-gio trovi le donne ai tavoli dei labo-ratori, intente ad assemblare lenta-mente pezzi di giocattoli. O, le piùabili, a lavorare all’uncinetto, lemani che con lucida precisione tra-mano pizzi elaborati. Dov’è il dolore cocente che paven-tavi entrando in queste stanze? Ledonne sembrano serene nel lorolavorare, in una dimestichezza affet-tuosa con le assistenti. Forse che ilproblema di queste persone, parestia più negli occhi di chi li guardache in loro. Ma qui, dice donCarmine, «il tempo è al serviziodegli uomini, e non gli uomini alservizio del tempo». Armadi colmidi giochi ad incastro per bambini.Banchi incrostati di anni di pitture.I quadri dei disabili sembranoopere di impressionisti, sgargianti,tracimanti di colore. Un grandefoglio appeso al muro è tutto nero:le ospiti lo hanno dipinto così. perraccontare la morte. Un altro è

si trovò di fronte allo scandalo dellaingiustizia e del dolore: una donnaincinta e malata respinta da dueospedali e lasciata morire in unastalla. il Cottolengo cambiò vita. Lesue case nacquero una dopo l’altra,senza un progetto, rispondendosolo al quotidiano bisogno. I soldi,all’occorrenza, arrivavano. Si mo-strava evidente, quasi in un’eco diciò che il Manzoni proprio in queglianni scriveva, che «la c’è, la Prov-videnza». Malati segregati, poverida imboccare e amare, confluirononella Casa. Oggi nuovi poveri pre-mono alle porte della cittadella.Vecchi dementi, lasciati soli in casevuote: la nuova emergenza, i vecchi.La Piccola Casa resta nel cuore del-la Torino del Duemila, crocevia dimille etnie, come un segno.Giovanni Paolo II qui disse: «Senon si comincia da questa accetta-zione dell’altro, comunque egli sipresenti, in lui riconoscendo un’im-magine vera anche se offuscata diCristo, non si può dire di amare ve-ramente». Tutto un altro amore.Tutta un’altra logica, da quella dicui scrivono i giornali.

Marina Corradi

un’esplosione di luce: quello, spiegala suora, è, secondo loro, il Pa-radiso. Vai avanti e parli meno, eresti assorta a guardare. Certo, nellemani tremanti, negli sguardi persiriconosci come un piegarsi dellavita sotto al giogo di un antica con-danna. Una ferita oscura, originaria,in queste donne è evidente. «Dovela ferita è più grande, la domanda èpiù grande. Queste persone sonocome un grido, una più fortedomanda di Cristo», dice donCarmine, intuendo ciò che ti staichiedendo. No, non ci sono creatu-

re «metà cavallo e metà uomo» quial Cottolengo, come fantasticavanouna volta nei paesi del Torinese. Masolo uomini con un «di meno», cheagli occhi dei sani è insopportabile.E accadeva nel passato che li la-sciassero qui con l’inganno. Li por-tavano per una visita e li abban-donavano, perché quella diversitàera onta fra i sani. Oltre la masche-ra che, fuori, noi sani portiamo, quidentro intravvedi cos’è davvero unuomo. «Vede – dice don Carmine –questo giardino, come è perfetta-mente curato. Le finestre di frontesono quelle dei malati di Alzheimer.Ecco, questo giardino lo curiamocosì perché ognuno dei malati chelo guarda ha per noi un valore infi-nito». È una concezione dell’uomomolto grande, quella che regge que-sto allargarsi di case e stanze nelcuore di Torino.Quando un canonico quarantenne

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Porta Palazzo, Torino sembrauna casbah, un mercato me-diorientale ondeggiante di

chador, vociante di richiami ma-ghrebini. Poi giri a destra, e ti sipara davanti il Cottolengo con lesue imponenti interminabili faccia-te. La strada si fa silenziosa. CaritasChristi urget nos, è scolpito sull’in-gresso, la carità di Cristo ci sprona.Entri. Sotto ai tigli secolari ti sem-bra d’essere in una città diversa. 112mila metri quadri di padiglioni,3000 pasti al giorno, una mensa peri poveri, una scuola per infermieri,una scuola elementare e media pari-ficata, un monastero di clausura, ilseminario, l’ospedale, e poile case per disabili e an-ziani, in tutto oltre seicentoletti. Una città, davvero.Ti inoltri per i viali in unviavai di suore in vestebianca – ce ne sono oltreseicento qui – e di ospitiche camminano adagio,claudicanti, o in carrozzel-la. La reazione istintiva delvisitatore è di inquietudine

La Città

dell’amore

La Città

dell’amore

«Se non si comincia da questa accettazione dell’altro, comunque egli si presenti, in lui riconoscendo un’immagine vera anche se offuscata di Cristo,

non si può dire di amare veramente».(Giovanni Paolo II)

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tutti da accogliere, perché portatori diben più grandi povertà, fratelli biso-gnosi di ascolto, di conforto, di pre-ghiere; altri cercano beni materiali,molti il lavoro, tutti accoglienza, solida-rietà, qualche parola finalmente amica.Passano a volte personaggi di già lungae datata conoscenza, che dopo anni dicarcere o di comunità, ritornano e bus-sano, perché qui a questa porta è ciòche di noi ricordano; poi arrivanoanche personaggi turbolenti, non tantosobri e può capitare che diventinoanche violenti; altri che quando le tem-perature sono particolarmente rigide,dopo aver vagabondato chissà maisotto quali cieli, si rifugiano spossatinel salottino e si buttano sul termosifo-ne per scaldarsi o asciugare indumenti.Infine tanti visitatori, per incontri conpersonale cottolenghino religioso olaico, quelli con la visita o l’appunta-mento fissato e quelli no, a vario titolo,di vari livelli, cultura, stato economico,provenienza. Vanno e vengono lenostre religiose da e per la provincia ole missioni e sempre portano o lascianocommissioni di vario genere. Tutto etutti sono sempre accolti dalle nostrebuone suore portinaie, con il miglioredei sorrisi, e, quando necessaria, anchecon una pazienza di radice biblica. Sel’incontro nasce e si esaurisce inportineria e i desiderata hanno tro-vato soluzione, soddisfazione reci-proca. Se l’incontro continua perpassare a altre mani, indirizzare esollecitare giusti interlocutori persoddisfare la richiesta è sempre dicompetenza delle suore. In questicasi che prevedono un’attesa, il visi-tatore lascia la portineria e passanell’androne che si apre sui cortilidella Divina Provvidenza. Da qui ilprimo incontro con il respiro cotto-lenghino, l’immagine sorridentedella Consolata, dove posare losguardo e sentire il bisogno di unapreghiera; per aprire il cuore, libe-rarlo dei tanti pensieri e posarvi

che dà tutto per scontato, saperne dipiù, dargli una cornice, coglierne ilvalore e trasmettere che appartiene atutti, con il desiderio che tutti abbianoa sentire e avvertire la gioia del valicar-lo. Quando da via Cottolengo giungia-mo alla soglia della Piccola Casa, tra ledue porte d’accesso, sul muro troviamola bella lapide di marmo che negli anniNovanta ha sostituito quella storica, untempo fissata sopra la porta d’ingresso;su entrambe però immutabile l’iscrizio-ne: «Caritas Christi urget nos, PiccolaCasa della Divina Provvidenza, sotto gliauspici di San Vincenzo De Paoli - Cot-tolengo». Frasi da riporre nel cuore,prima di varcarne con rispetto la soglia,perché è da quella piccola porta che siapre l’importante incontro con laDivina Provvidenza. Qui bussano ipoveri, quelli veri e quelli non, però

2010 abbiamo parlato della «CasaAccoglienza» di via Andreis e accen-nando a quella loro piccola porta, l’ab-biamo vista e messa in parallelo conquesta di via Cottolengo 14; sono duepiccole porte, modeste, insignificanti,eppur punti d’incontro con il grandecuore della Piccola Casa della DivinaProvvidenza. Due braccia aperte allepovertà dei fratelli, depositarie delCaritas Christi urget nos, che qui si pro-pone imperioso. In via Andreis vengo-no soddisfatti bisogni primari di imme-diata necessità; in via Cottolengo 14bussano altri e più variegati bisogni.Conosciamo tutti il numero 14, non c’èposta in entrata o partenza che nonporti questo indirizzo, dire via Cot-tolengo 14, per tutti è dire Piccola Ca-sa. Ne parliamo qui per cancellare l’im-magine meccanica acquisita nel tempo,

La Piccola Casa di Torino ha moltiingressi; sette in via Cottolengo,tre in via San Pietro in Vincoli,

uno in via Robassomero e un altro invia Andreis. Sono presidiati dalle no-stre suore e solo recentemente ancheda personale dipendente. Presenzequeste diventate necessarie nel tempo,per diversi motivi: l’apertura protrattasino a tarde ore notturne, postazionidiventate faticose per il mutare dellepersone e dei mezzi in transito, pru-denza a motivo della peggiorata situa-zione territoriale. Tutti gli ingressi sonoimportanti, portano nella Piccola Casae sono sempre veicolo di incontro conuna qualche nostra realtà, del dare odell’avere. Tra tutti questi, ne abbiamouno che più degli altri è il biglietto davisita della Piccola Casa, l’ingresso divia Cottolengo 14. Nel primo numero

ritornano al 14. Questo è il momentoimportante della chiusura dell’incon-tro, un’occasione possibile per racco-gliere i frutti della visita. Se le nostrebuone suore, sapranno leggere negliocchi del visitatore, per coglierne l’ar-ricchimento ricevuto dai doni dellavisita, far sì che emerga sincera la grati-tudine dell’ incontro con la PiccolaCasa. La felicità d’aver ricevuto unpieno di grazia donato da anime chevivono la presenza del Padre Prov-vidente, così che lasciandoci, portinocon loro il desiderio di un ritorno, nellacarità e per amore. L’accoglienza non fadifferenze, ma se a giudizio delle suore,una visita è di personaggi di un certorilievo, nel salottino esiste un grossoregistro, dove i visitatori possonolasciare una traccia scritta di quanto hasuggerito il loro cuore. Sono pensieripreziosi da leggere, perché possonoanche darci misura della nostra sensibi-lità, disponibilità e attenzione nell’ac-compagnamento. Quel che i visitatori cilasciano, detto o scritto, scaturisce dallasincerità di un momento sicuramentepieno di emozioni, assaporate e interio-rizzate, sincere e cariche di carità.Entrati per ricevere, tutti se ne vannosempre lasciando una traccia della lorovenuta. Poi giunge la sera, finisce la

giornata, si controlla che tutto sia inordine prima di chiudere. A volte,per una speciale grazia, nei salottinile nostre buone suore scoprono che èrimasto ancora un qualche poverello,noioso e magari anche di aspettosgradevole. Il momento magico dellagiornata, la scoperta che Gesù stafacendoti il dono più bello, è Lui lìpresente in quel povero, per donartiun’ultima occasione di carità, perrimetterti l’animo in pace e poi anda-re serenamente al meritato riposo,che cancellerà le sollecitazioni dellagiornata appena trascorsa; rimetten-do tutto a nuovo per un’altra alba.

Mario C.

serenità. Tutti ormai partecipi dell’ac-coglienza di questa Casa, che resa sacradalle sofferenze delle nostre creature,offre l’incontro con il Deo Gratias cot-tolenghino, che da subito diventeràcompagno dei loro passi. Superato ilmomento dell’accoglienza, ormai pas-sato il compito ad altre mani, le nostresuore si dedicheranno allo smistamen-to della posta in arrivo e in partenza.Compiti che necessitano di attenzionee capacità di lettura, di organizzazioneper raggiungere i destinatari; senzadistrarsi e mantenendosi sempre vigili,per non perdere di vista altri visitatoriin arrivo o in attesa. Questi, mentreattendono, hanno possibilità di assapo-rare l’ordine, la pulizia, il decoro del-l’ambiente di prima accoglienza emagari anche leggere, sul piccolo qua-dro vicino all’ascensore, la sinteticadescrizione della vita del Santo Cotto-lengo. Se sono curiosi leggerannoanche la lapide che ricorda lo scoppiodella polveriera e da lì andranno poicon lo sguardo sul cortile, dove la sta-tua del Santo Cottolengo ricorda la suaBeatificazione nel lontano 1917. Iltutto, se mai ce ne fosse bisogno, lirichiamerà ad una presenza rispettosa econsapevole del luogo. Soddisfatti infi-ne i motivi della loro visita, i visitatori

Via Cottolengo14

la Piccola Porta

Via Cottolengo14

la Piccola Porta

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N ella quiete dell’amena localitàperiferica di Pinerolo, sonotrascorsi ormai più 25 lunghi

anni da che ebbe inizio l’avventuradella comunità “La Verbena”. UnaFamiglia Cottolenghina, quasi sco-nosciuta ai più, che nel silenzio,senza clamore ma con tanto amore,dona carità e speranza alle molteanime percorse da turbamenti edesperienze negative, originate daproblemi di tossicodipendenza.Dobbiamo un forte Deo Gratias aquesta comunità e lo dobbiamo alCardinale di TorinoAnastasio Ballestrero,che ne è stato l’ispirato-re, a Padre Gemello e aMadre Giovanna For-menti che ne hanno rac-colto le sollecitazioni,dando il via a questaopera di grande valoresociale e carità. Crescendo, la Comunità– attualmente retta dadon Angelo Bovo, af-fiancato da suore cotto-

di alcune volontarie, di grande pro-fessionalità e esperienza, che perdare corpo e sviluppare un cammi-no di coinvolgimento e crescitadelle famiglie, nel 1993 hanno datovita all’Associazione Famiglia «Cre-scere Insieme». Finalità dell’Asso-ciazione è la solidarietà tra famiglieche vivono analoghe situazioni didisagio sociale e la necessità diaffiancare la Comunità nel ricuperoe accompagnamento del famigliareaffidato.Ci sia ora concesso di proporvi al-

cune figure a testimonian-za della gioia conquistatacon fatica e preghiere:Leggiamolo in questispezzoni di alcune delleloro lettere.DUE GENITORI – Quando cisiamo accorti di cosa stavaaccadendo alla nostra fami-glia ed abbiamo finalmenteaperto gli occhi verso laverità, abbiamo provatouna sensazione indescrivi-bile: da un lato la vergo-

lenghine e con il contributo diFratel Ernesto – si è molto svilup-pata, e alla prima iniziale Comunitàdi Torre Pellice, si sono affiancatequelle di Pinerolo, Vinovo e il cen-tro di ascolto di Torino; le Co-munità sono collegate tra di loro,ognuna con un proprio compitospecifico. Ai religiosi si sono poigradualmente affiancati collabora-tori laici, preparati e partico-larmente sensibili nella gestione deiproblemi dell’accompagnamento.Molto importante è poi la presenza

gna, l’impotenza, la frustrazione peril fallimento, dall’altra la solitudinee la mancanza di possibilità di comu-nicare con gli altri questa nostra sto-ria, la mancanza di mezzi per farvifronte […] Poi è arrivata la Co-munità e le cose si sono fatte diverse,è apparsa una prospettiva ed abbia-mo smesso di sentirci soli e abban-donati al nostro destino, qualcunofinalmente ci aiutava fattivamente,si occupava di noi tutti, ci conforta-va, si rendeva disponibile ad allevia-re la nostra sofferenza, ci fornivasupporto e strumenti per andareavanti, per trovare una ragione per laquale combattere ancora.

UN GENITORE – Frequentavo laComunità, anche perché pensavo chemio figlio avrebbe tratto van-taggio nel vedere la buonavolontà e l’impegno dei geni-tori. L’impatto iniziale è statomolto pesante, ogni incontro,era una miscela di emozioni,commozioni, nodi in gola esgomento nell’ascoltare glialtri […] Un bel giorno, hoabbracciato mio figlio, anzi cisiamo abbracciati e lui, quasistupito ha detto: «cavolo, è laprima volta». È stata ancheper me la prima volta che gliho detto «ti voglio bene».DUE GIOVANI – Abbiamo sempreassociato la parola comunità a qual-cosa di negativo, che limitava lanostra libertà, che ci imponeva dicambiare vita e soprattutto di usaresostanze. Da ospiti ci siamo resiconto che la comunità non era quel-lo che pensavamo. Lo stravolgimen-to del modo di vivere, dal caos dellavita del tossico senza riferimentipositivi ad una vita regolata con afianco persone che non potevanoaltro che aiutarci, ci ha fatto cambia-re opinione.UN PADRE – Per lavoro, sovente micapitava di passare sotto il corridoioponte del Cottolengo e leggere la

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DUE GIOVANI – Sono passati parecchimesi da quando abbiamo iniziatoquesto percorso di crescita. Arrivatialla Piccola Casa per il 25esimo, cisiamo trovati in un clima famigliarecon persone che hanno fatto lo stessopercorso nostro anni prima e che cihanno trasmesso tanti piccoli grandisuccessi della loro vita, i tanti bambi-ni, le famiglie, una volta distrutte eadesso unite e serene, e la speranzache tornare a una vita dignitosa conimpegno e sacrificio, è possibile.

Potremmo ancora continuare per-ché ne abbiamo molte altre; i giova-ni quando sono ascoltati hannotanto da dire, tocca però a noi ascol-tarli. Necessità questa che passamolto bene nell’intervento di Suor

Luisa quando ci dice: «Tal-volta, prima del nascere di unacomunità, c’è un tempo di gran-de silenzio; un silenzio dove sipercepisce, alto, il grido del-l’umanità bisognosa di aiuto.Questo grido alcuni, tra gliuomini, lo sentono più potente;diventa insopportabile e, adesso, essi devono dare unarisposta».La comunità è come un’ormache nell’Universo lascia unatraccia sul sentiero dell’uma-

nità; in essa chi vi pone il suo piede,può vivere pienamente il suo essereuomo, donna, scoprendo che le ric-chezze e i doni personali possonoaumentare, se sono condivisi; che lepesanti fragilità non schiacciano, sesono conosciute, accolte e integratenel vissuto quotidiano: che le ferite,se curate, non lasciano “sfigurati”ma diventano feritoie dove passa lanuova luce che “trasfigura”.Sapremo ora anche noi filtrare que-sta luce, e incrociare con spiritonuovo le tante creature che passanoe a volte magari anche vivono ac-canto a noi?

Salvatore A.

Carità nel silenzioCarità nel silenzio

ComunitàLaVerbena

La Verbena, luogo di crescita,di ricupero di sé, di speranza,dove abita l’arte del viverel’incompiuto e si accetta ilrischio di fallire mettendosi ingioco. Arco tirato per lancia-re nel futuro, ripetizione divita che attende di esseresciolta.

La Verbena, luogo di crescita,di ricupero di sé, di speranza,dove abita l’arte del viverel’incompiuto e si accetta ilrischio di fallire mettendosi ingioco. Arco tirato per lancia-re nel futuro, ripetizione divita che attende di esseresciolta.

dobbiamo ammettere che all’inizioanche le motivazioni erano moltofragili. Ora invece sappiamo che perrinforzarle è stato necessario rivede-re la nostra storia, la sofferenzanostra con quella causata agli altri,riuscendo ad assumerci le nostreresponsabilità, grazie all’aiuto deglioperatori e dei compagni.

UN PADRE E MARITO – Ho quarantaanni e sono stato uno dei ragazzi dellacomunità «La Verbena». […] hoavuto il piacere di rivedere alcunedelle persone più importanti della miavita, gli artefici del cambiamento radi-cale della mia persona […]. Se oggisono, e spero proprio di essere, unbuon marito e padre lo devo solo a voi.

scritta «Caritas Christi urget nos» emi sentivo provocato e un po’ incolpa perché mai avevo fatto un’of-ferta o qualsiasi cosa per la Casadella Divina Provvidenza. Poi, dopola morte di mia moglie arriva un’al-tra disgrazia ad aumentare le miepene e sofferenze: mi trovo con unfiglio di ventidue anni schiavo delladroga. Ecco che la situazione si capo-volge, non sono io a fare la carità alCottolengo, ma è il Cottolengo chemi fa una grandissima carità; acco-glie mio figlio nella sua comunità diricupero «La Verbena». Dopo dueanni me lo restituisce come nuovo,un uomo vero, un figlio vero!

ALTRI GIOVANI – Giunti ormai quasialla fine del percorso di ricupero,

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mondo per (ri)portarlo al Cielo. Èstrano, ma la prima cosa che mi èvenuta in mente, sentendo quel sì,è stato proprio il Paradiso, e perqualche secondo mi è parso divedere il sorriso orgoglioso di Diorivolto verso Valentina. Perché sono certa che quellarisposta non riguardava e nonappartiene solo a Suor Valentina,ma alla Chiesa intera, a ognuno dinoi. La risposta di Valentina ciappartiene perché le sue preghie-re arriveranno dove le nostre, perpigrizia o per egoismo, non sa-pranno arrivare; perché quelloche noi non sapremo chiedere,per paura o sconforto, lei sapràdomandarlo al nostro posto; per-ché i suoi piccoli gesti di amore

nel sistemare e organizzare ognipiccola cosa, segno di un eventotanto atteso, vissuto con semplici-tà e amore. Rivedo la Madre Superiora che,con una dolcezza infinita appuntail velo di Valentina, e la suamamma che la guarda sorridendomentre si allontana per andareverso le grate che, aperte, la accol-gono… e oltre le grate riesco adimmaginare l’emozione delle sueSorelle. Ma, soprattutto, sento ancora il sìpronunciato da Valentina, quel sìrivolto alla vita che ha già il sapo-re dell’eternità.Un sì che ha fermato il tempo ecancellato lo spazio, spalancandole porte del Monastero verso il

guariranno le ferite provocate dainostri atteggiamenti maldestri. Sono felice di sapere che alMonastero delle Adoratrici diPralormo Suor Valentina e le sueSorelle pregano anche per me, perte che stai leggendo, per tutticoloro che (ancora) non credono.Mi addormento serena pensandoche oltre quelle grate, dietro atutte le grate di ogni monastero,c’è una “madre” che si occupaanche di me, che a mani giuntecura le mie e le tue ferite chieden-do al Padre il nostro bene. Questo mi commuove, mi fa pen-sare a quanto amore Dio ha messonel cuore di queste donne chediventano mamme non di uno,due, tre figli madi milioni di figli.Mi fa rifletteresull’amore infini-to che il Padreriserva ad ognu-no di noi, suidoni che inconsa-pevolmente rice-viamo ogni voltache quel sì vienepronunciato.Perché la clausu-ra è una vita na-scosta che insilenzio grida for-

prezioso. A coloro che in questigiorni mi hanno chiesto «perchéuna giovane donna sceglie la clau-sura?» ho ingenuamente rispostoche non si porrebbero questadomanda, se avessero visto e vis-suto quello che io ho visto e vissu-to il 1° luglio a Pralormo: losguardo luminoso e consapevoledi Valentina che andava incontroalla vita, a questa ma soprattutto aquella che verrà. Ecco cosa manca nei miei ricordi

quando rivivo quel momento:manca la presenza di tutti coloroche non comprendono il senso

della risposta alla chia-mata di Dio, di coloroche non sanno quanta equale grazia ci sia inquella risposta, che nonhanno mai sperimenta-to la forza e il sensovero della preghiera… ese potessi li porterei conme, indietro nel tempo,a quel pomeriggio dovei raggi del Paradisohanno illuminato perqualche ora la Terra.

Emanuela

te: urla tutto l’A-more di Dio. Alcune personecredono che laclausura sia solosacrificio, croce erinunce, una sortadi sepoltura pri-ma del tempo. Ioritengo che siaun’immensa gra-zia ricevuta ed ac-

colta, la via verso la Vita, la stradadell’Amore, undono per tutti.La professionereligiosa è statauna celebrazionesolenne ma nonpomposa, comesi addice alle co-se che davveroappartengono al-l’opera di Dio,dove la presenzadel sacro non in-cute timore ma,al contrario, ispi-ra confidenza, dove l’agire di Dionon chiede sacrificio ma offrel’opportunità di ricevere un dono

Perché una giovanedonna sceglie la

Clausura?Nella vita di ognuno di noi ci

sono giornate, momenti, si-tuazioni che vorremmo poter vi-vere di nuovo per gustarne ancorail sapore, l’emozione, la gioia. Nella mia vita uno di questi mo-menti è stato la prima ProfessioneReligiosa di Suor Maria Valentinadel Santo Volto Saracco, celebrataa Pralormo il 1° luglio, nel Mona-stero delle Suore Adoratrici delPreziosissimo Sangue di Gesù.Ripenso spesso ai sorrisi luminosiimpressi negli sguardi che hoincrociato quel giorno, all’aria leg-gera della festa, all’accoglienzagioiosa delle Sorelle, che ha fattosentire ospite atteso ognuno dinoi.Penso alla cura riposta dalle suore

nuova professione

S p i r i t u a l i t à10 I n c o n t r i 11

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traffico del tutto indifferenteal richiamo della vicinanza diuna Casa del Signore.Amareggiato, sento il doveredi una preghiera per i fratellie li affido al loro angelocustode. Mentre sono in pre-ghiera, nella penombra scor-go una figura umana, nonmolto giovane, dimessa, inabito scuro, che recita ilRosario: un padre deiGesuiti titolari della chiesa.Sarà la mia inquietudinenecessità di una buona con-fessione? Chiedo al sacerdote se èdisponibile e mi consegno al testi-mone della misericordia del Padre.Il santo e buon sacerdote mi solleci-ta a non più preoccuparmi e adavere fiducia, perché Dio è buono eci ama, me lo ripete non ricordo piùquante volte, con la gioia e la cer-tezza di quanto affermava. Resto ancora un poco e ringrazio ilSignore d’avermi inviato questosacerdote, poi con l’animo in pacemi avvio verso il bus per tornarme-ne a casa. Giunto alla fermata,trovo una giovane donna accovac-ciata per terra, in lacrime, visibil-mente in preda a forti dolori, tra ildisinteresse totale dei passanti e diquanti sono in attesa; mi avvicino,le parlo e le offro aiuto, lo rifiuta,l’aiuto tuttavia a rialzarsi e leimi guarda riconoscente manon vuole altro; mi prometteperò che andrà all’ospedale,da sola, non vuole essereaccompagnata. Desisto, mami resta il rimorso di nonavere insistito con forza. Prendo il bus e dopo un paiodi fermate sale una giovanemamma con una bella bimba,allegra e di una loquacità inso-lita, tale da rendere giustizia aquanto si è solito dire delle

cipessa, vado a passeggio perportare anche te, vieni qui adaiutarmi, adesso partiamo econtinuiamo la mia passeggia-tina di tutti i giorni, devi scen-dere?... ma che peccato, peròio ti aspetto anche domani,ciao, ti saluto ancora dal fine-strino, ciao, ciao» e il busriparte, lasciandoci con unamanciata di genuina simpaticaallegria! Nel frattempo erasalita una coppia di giovanistranieri, diretti alla VenariaReale. Hanno occupato il

posto proprio di fronte a me e, unavolta sistemati, subito due maninesi sono cercate per unirsi, cosìmano nella mano, poche parole sus-surrate sommessamente in inglese,innamorati e felici. C’era poca gente sul bus, così hoavuto spazio per ripercorrere i pic-coli insignificanti fatterelli che mihanno visto testimone, la gioiainfantile delle due piccole bimbe, lagenerosa adesione dell’autista, gliocchi della giovane in difficoltà equelli dei due innamorati. Momentidi vita, passati per offrirmi episodidi fratelli dall’animo semplice, vero,che si son fatti portare dal cuoreche il Padre ha loro donato. Cosìsenza che se ne rendessero conto,hanno donato attorno a loro man-

ciate di serenità e di vogliad’amore.Serenità da leggere, attenta-mente, per cogliere la bel-lezza della vita nelle piccolecose, in tutte le cose. Unacomunione di passi, donatie da donare, da vivere econdividere con i tanti cheaccompagnano i tuoi, chedevi vedere e far vedere, pervivere, insieme!

Mario C.

donne. Sostano in corrispondenzadella cabina, vicine all’autista; que-sti attrae e sollecita la curiosità dellabimba che comincia a fare doman-de; s’intreccia così, tra la bimba e ilgiovane conduttore, una simpatica,impertinente ma intelligente scher-maglia di domande e risposte, cosìfitte che il giovane apre lo sportellodella cabina per comunicare più davicino, rispondere e soddisfare lemolte curiosità della piccola: «Cosafai lì davanti a tutti, perché ci seiseduto solo tu, se ti piace guidare,perché vai a passeggio con unamacchina così grossa, perché non cisono i tuoi bambini, cosa fai do-po…», insomma un incalzare didomande alle quali il buon giovanerispondeva allegramente: «Sì prin-

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C ammino pigramente per viaGaribaldi, con nessun interes-

se per le accattivanti vetrine o peraltre sollecitazioni, quando incrociouna giovane mamma, a passeggioinsieme con la sua bimbettaspensierata, vivace e alquantochiacchierina. D’un tratto lapiccola si ferma, attratta eincuriosita dalla inconsuetafigura di una donna, in piediimmobile su uno sgabellino,vestita con una tuta bianca,quasi argentea, spaziale, ilvolto coperto da una masche-ra bianca; stava ferma eimmobile, fatti salvi alcunimovimenti appena sfumati diuna qualche parte del corpo,

subito ricollocato nella posizioneiniziale. Alcuni passanti si fermano,piccoli risolini, sarcastici commentie poi via. La nostra bimbetta inveceno, ferma sorpresa e incantata,

cerca l’aiuto della mamma perchévuole rivolgere domande a quellastrana creatura, finché si fà corag-gio e cerca di farne, ottenendoperò, come risposta, solo i movi-

menti meccanici, da robot, dif-ficilmente comprensibili peruna bimba della sua età, chetuttavia si riempie di allegriaper l’insolito incontro e sgam-betta via felice. Segnale picco-lo, piccolo di qualcosa di belloe insolito.Proseguo e mi trovo davantialla chiesa dei Santi Martiri,entro per una preghiera. Unabella chiesa, con una bella sto-ria, desolatamente deserta,mentre fuori sulla via scorre un

Guarda, vedi... trova!

Guarda, vedi... trova!

Mi sono svegliato un po’ giù dicorda, inquieto e con nessuna voglia diprogrammi particolari per la giornata.Così, come da mesi non facevo, hodeciso di fare una passeggiata in cen-tro, senza un particolare motivo o laricerca di un qualcosa, ma solo perdistrarmi un poco.

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Ho viaggiato per ore su stradeinfinite, percorse a piedi damigliaia di persone, vestite

di colore e di storie così diversificateche nemmeno l’immaginazione po-trebbe dar loro posto… ho visto lanatura sovrastare come una reginasopra questa popolazione… e soloallora ho capito perché qui combatte-re malaria, tifo, AIDS è così difficile,quasi impossibile… perché questa èNatura… perché è una natura cosìforte nei suoi lati sia positivi che nega-tivi che nemmeno l’uomo con la suaintelligenza puo’ arrivare a sconfigge-

da questo incessante cammino, la cul-tura Africana… il loro modo di vive-re e credere.. ma è troppo difficile…e così vieni assalito dai «perché» e dai«forse» mentre vedi donne stancheoccuparsi dei lavori piu pesanti..bambini camminare con sacchi sullespalle e uomini che cercano di ingan-nare il tempo in qualche modo... Hai l’impressione di sentirti una gocciain mezzo al mare… e mentre guardiquel cielo che è lo stesso in qualunqueparte del mondo pensi che in realtàquel cielo prima non era così… prima ituoi occhi non lo scrutavano con lastessa intensità in cerca della stella piùpiccola e non più luminosa…

re.. e credo che se ciò avverrà alloraanche l’immensa bellezza di questaMadre comincerà a regredire…Sarà che è appena finita la stagionedelle piogge, sarà che questa è Africa,ma la Natura ha assunto vesti cosìrigogliose che alla vista nutrono lospirito e la mente e ti saziano a talpunto da non riuscire a pensare adaltro che a questo... Distese d’erba verdissima vengonointerrotte qua e là da qualche stradadi terra rossa e qualche abitazionecostruita alla meglio… e tu spettatoreesterno ed estraneo ti chiedi come

possa essere possibilerisolvere i grandi problemidella fame, della povertà edelle malattie senza rovi-nare questa meraviglia incui l’uomo è solo parteci-pe ma non invasore...Vedi la gente ai bordi dellestrade sorridere al passag-gio di un bianco o rimane-re ancora un po’ stupita…cerchi di estrapolare, solo

sulle spalle… ricurve sotto quel pe-so… precedute da una piccolina chediventerà come loro… figlie di unacondizione radicata che non dà loroné giusto peso né giusto spazio…Piccole lavoratrici, educate sin dagiovani ai «compiti della donna», levedi portare sciabole taglienti piùpesanti di loro, o trascinare con faticaun carretto carico d’erba… e ancora,camminare veloci prima dell’imbru-nire accanto a qualche fratello, men-tre riportano a casa il bestiame…Sono volti di piccole bimbe cherichiamano quelli ancor più espressi-vi e significativi delle madri. Donneche portano i segni di quest’Africa,costruita su tante gocce di sudore chehanno il sapore umano di madri,figlie, lavoratrici e comunque sempredonne…Sono loro il volto di questo continen-te… sono i loro sorrisi mai mancantiche mascherano uno sguardo chetutto porta con sé…Le ho osservate… per le strade…camminare appesantite da carichi didovere… nei campi… chine su quel-la terra, femmina e produttriceanch’essa di frutti… quasi loro allea-ta e nemica al tempo stesso…...in ospedale, aiutandosi nei modipiù semplici, umili ed umani.. tenen-dosi per mano, alimentandosi avicenda... abbracciando il figlio mala-to cosi intensamente da voler quasifare proprio quel dolore per amorematerno… prive di vergogna scoprireil seno e allattare il proprio neonato e,per assurdo, coprirsi di pudore sesvestite di fronte ad un uomo…Sono bellezze pure e rare… raccoltenelle loro vesti variopinte che eviden-ziano quei volti di incommensurabilebellezza…

Meticolosamente affaccendate quasia tessere con le mani i capelli in trec-ce sottili… quelle stesse mani con cuidividono i semi dalla cascara e concui asciugano gocce di sudore e dipianto…Considerate dai mariti al pari dellaterra: sfruttate per dare frutti e abban-donate se non fertili e produttive…Belle come nessun’altra razza alpari… le vedi sprigionare la loroemozionalità e vitalità in un ballocelebrativo o in un canto…Voci represse che se avessero il giustovolume non sarebbero rumore masuoni melodici di un inespresso inte-riore che altro non è che la vera terraAfrica…Madre e femmina per eccellenza diciò che per mantenere la sua essenzanon può modificarsi nell’origine.

T e s t i m o n i a n z e14 I n c o n t r i 15

Claudia

dal paesedei colorie del sorriso

Mentre sono qui e la vita africana mi scorre sotto gli occhi,

penso a voi e a come vorrei avere un registratore interno

per fissare le emozioniche si inseguono velocemente, una dopo l’altra, sono così intenseda non poter trovare una giusta descrizione a parole…

DONNE

Non le vedi ma le noti… l’osservazio-ne del loro incessante quotidiano ènutrimento per la mente che senzatregua ripropone una dopo l’altra leloro immagini… le vedi uscire dallaforesta con qualche carico di legna

FRUTTI

…Il rilassamento dopo una giornatadi lavoro è il camminare su questaterra rossa... attorno alberi da fruttotropicali che fanno a gara a chi neproduce di più... caschi di bananemature che aspettano di essere rac-colte… manghi che aspettano dirubare gli ultimi raggi di sole per tra-sformare la loro buccia scura in sfu-mature verdi e gialle, papaie cheesternamente non danno agli occhima che racchiudono una polpa giallovivo e tanti semini neri… tutto dà agliocchi nutrimento di gusti e colori…Qua e là qualche farfalla gioca anascondersi tra i colori di questanatura… La terra si modella sotto aipiedi ad ogni passo, i calzari sembra-no essere l’unico ostacolo tra te equesta meraviglia…

NOI

Noi frutto di una condizione appa-rentemente così lontana in realtàanime cresciute da tradizioni terrenecosi simili a questa… Il lavoro dellaterra, l’allevamento degli animali... laricchezza della prole…Odori, sapori, colori che gustano difamiliare perché insiti in un geneticocosì primordiale e innegabile all’esse-re…Noi che ci scopriamo nell’essere enon essere.. Noi spinti dal bisogno ditoccare questa rossa terra da cui tuttosembra aver origine…Noi così piacevolmente ci scopriamovuoti e quindi immensamente prontiad accogliere… a inserire ad arricchi-re un vuoto che altro non è che famedi spiritualità...

Claudia

dal paesedei colorie delsorriso

comprendere piacevolmente perchèmolti di loro amino camminare apiedi scalzi... e comprendere perchèle distanze non siano kilometri maore… giorni…: non sono le strade adare la pesantezza... ma questo climae lo scorrere del tempo…il sole sta lasciando spazio alla notte, edopo la prima amarezza dell’animodata dal buio che a poco a poco sottraequesto nutrimento per gli occhi, riap-pare la gioia di percepire la freschezzadella sera e la luce data da questa lunache signora si mostra, aspettando chela sua bellezza venga distratta dallacomparsa di una miriade di stelleancor più affascinanti di lei…Attorno silenzio, che silenzio non èper l’animo che folle affoga tra unamiriade di emozioni…

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Nel ricordo dei loro quarant’an-ni di ordinazione sacerdotale,Don Roberto e don Pasquale

si sono uniti al pellegrinaggio inTerra Santa, organizzato dai Sale-siani di Maria Ausiliatrice. C’eranoanche Luigina, Maddalena e Mario,formando così una piccola bellapresenza della Piccola Casa. Il pelle-grinaggio, della durata di otto gior-ni, passando attraverso la millenariastoria impressa sulle pietre e raccol-ta nei luoghi sacri della cristianità,ha permesso di visitare significativiluoghi biblici e quelli segnati daipassi di Gesù nel corso dellasua vita terrena. Subito sbarcati in Israele, inostri primi e incerti passi sisono mossi verso l’incontrocon il Mediterraneo, a CesareaMarittima, giusto in tempo perrincorrere il sole al tramontoattraverso gli archi dell’impo-nente acquedotto romano.Eccoci tutti qua, sulla scena enel mistero di questa terrameravigliosamente latte e

secolo. Poi via su per i monti, ilTabor, e il Monte delle Beatitudini.Qui appena fuori dalla Chiesa delleBeatitudini ci sono dei mosaici raffi-guranti figure importanti della sto-ria della Chiesa; in uno di questi,troviamo l’immagine del Santo Cot-tolengo, in ginocchio mentre lava ipiedi di un povero. Felici e inorgo-gliti per quest’incontro, andiamoavanti verso le acque del lago diTiberiade, del Giordano, del MarMorto, calpestando i luoghi dovepiù lunga è stata la presenza diGesù. Che nostalgia quando lascia-

mo questi luoghi per salire aGerusalemme. La città – tantosognata da chi vi giunge per laprima volta – ci appare maesto-sa, lassù sui circa 800 metri delmonte Sion, dimora divina, cittàdel grande Sovrano (salmo 47)protetta da imponenti mura emassicce torri, contornata damonti e colline. Città superbache unisce le tre religioni mono-teistiche, ma che si spacca indue per l’incapacità degli uomi-

miele. Primo assalto con le macchi-ne fotografiche, poi si riparte subitoper Nazaret, da dove si avvierà ilpellegrinaggio, inanellando localitàsu località, in un crescendo di emo-zioni, che diventeranno certamentenostalgia duratura per quanti quihanno cercato tracce del loro esserecristiani. Nazaret, adagiata sulleprime alture della Galilea, con l’in-canto della sorgente che ci portaall’immagine dell’umile ancella, lacui anima magnifica il Signore; ha unnome inciso in greco su un grossomasso di pietra, un graffito del terzo

ni di tendersi la mano. Certo abbia-mo incontrato alcuni uomini dibuona volontà, a Wahat as Salam,Nevé Shalom, dove 58 famiglie diebrei e palestinesi, cristiani di citta-dinanza israeliana, vivono una real-tà cooperativa di perfetta comunio-ne, proponendo esempi di possibileconvivenza, ma è così poco, troppopoco e il muro resta sempre lì a sta-bilire proprietà temporali pregne diegoismo e incomprensioni. Sca-valchiamo quel muro e siamo aBetlemme, in mezzo ai poveri, aipastori di una terra martoriata, scel-ta dal Padre per donarci pascoli epastori di vita eterna. Visitiamo poiBetania, Betfage, Ben Sohur, dovetocchiamo con mano l’evidente dif-ferenza di benessere tra le duesponde, Israele/Palestina. In terri-torio palestinese visitiamo la Ba-silica della Natività e altri luoghi,per tornare poi in Gerusalemme edare inizio alla discesa del Montedegli Ulivi. Proseguiamo verso ilDominus Flevit, l’Orto degli Ulivi ela Chiesa dell’Agonia; luoghi dellelacrime di sangue, di un amore cosìgrande, che comprenderemo appie-no solo quando avremo terminato ilnostro pellegrinaggio su questaTerra. Tornati nel cuore di Geru-salemme, completiamo la visita dichiese e luoghi della cristianità: ilCenacolo, il Santo Sepolcro, nellatristezza della mescolanza dei ritua-li e in totale assenza del silenzio,della necessaria quiete per riandare

ticato, approfittavo di ogni occasio-ne per un piccolo breve riposo, suuna panchina o su una pietra tuttoandava bene, era sollievo. Cosìfacendo mi ritrovavo però quasisempre solo e a volte staccato dalresto del gruppo che procedevaspeditamente. Una piccola grazia,minuscoli spazi di rapita solitudine,colti per aprire il cuore a Gesù ecercare lì, in quel momento, un sof-fio di grazia da calare nell’anima,per rimanervi scolpita per sempre.Ecco allora come il pellegrinaggio siè trasformato in una meravigliosa,irripetibile occasione di sentire, gu-stare, vivere i luoghi visitati. Fi-nalmente ritrovarli suggestivi, bellie carichi della storia di questa tur-bata, straordinaria terra, senti diessere avvolto dal refrigerio diun’ombra, che passo dopo passo, tifa percepire la presenza del Na-zareno, che si è posto al tuo fianco ecammina con te – sì proprio con te,disattento discepolo di Emmaus –,divide i tuoi passi e attende pazien-temente le tue preghiere, perchévuol risvegliare nel tuo cuore la setedi Dio. Come potrebbe altrimentiessere pellegrinaggio in Terra San-ta, se non ne cogliamo l’anima, sco-prendo che Gerusalemme non ècittà di pietra, ma è la città che Dioha donato ai suoi figli e che Gesùrende Santa con la Sua invisibilepresenza. Donata a tutti gli uomini,di buona volontà!

Mario C.

con l’anima agli avvenimenti chehanno sconvolto e cambiato persempre il nostro mondo. La-sciamo Gerusalemme per unapuntata sul Mar Morto e agliscavi di Qumram, dove sonovisibili alcune delle grotte che,dopo il ritrovamento casuale diantichi rotoli, hanno reso famosaquesta località. Una bella cornice questi luoghi,

dove è possibile vedere e confron-tare due verità: «Il crollo delle sicu-rezze terrene da una parte e l’im-mortalità della Parola di Dio dal-l’altra». Per certi versi si ripropon-gono anche in Gerusalemme, doveampio spazio è stato dedicatoall’escursione nella città ebraica,con visite alla cittadella di Davidepresso la porta di Jaffa, al museodella storia di Gerusalemme, agliimponenti scavi sotterranei dellemura del Tempio, al Muro delPianto e infine al Memoriale del-l’Olocausto, che ripropone la stupi-dità dell’orgoglio umano.Pellegrinaggio cristiano, il nostro,scandito dalle preghiere, mirate especifiche del luogo dove sostava-mo per celebrare Salmi, SantaMessa, Vespro. Squisita la sensibili-tà degli accompagnatori don Sergioe don Zappino; la Santa Messa eraquasi sempre officiata dai nostridon Roberto e Pasquale. La loropresenza è stata dono prezioso oltreche per le celebrazioni, anche persoddisfare alcune domande dicarattere biblico, mai disattesenelle risposte, sempre puntualie dettagliate.Questo era il mio terzo pelle-grinaggio. I luoghi visitati mi siriaprivano al ricordo in tutta laloro bellezza, ma mi è mancatoil fascino della scoperta, dellameraviglia. Solo per poco, hotrovato altro. Mentre ci si spo-stava da un luogo all’altro, affa-

Pellegrini

inTerra Santa

Pellegrini

inTerra SantaN

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Quando scendo dalla jeep, subitorespiro l’aria con quei partico-lari profumi, poi guardo il

cielo e scorgo la croce del sud emille, mille stelle. Come sempre l’accoglienza diFratel Beppe e di tutto lo staff ècalorosa ad affettuosa, mi pare diessere tornata a casa. Arriva anche la malinconia, pen-sando a quando con il mio sposo,che ora è in Paradiso, sono ap-prodata in questo angolo sperdu-to della Terra che irradia amore.Al mattino la prima visita è statadai buoni figli, li ho salutati tuttiuno ad uno, mi hanno ricono-sciuta, teso la mano (chi può) esalutata affettuosamente. Loro: i semplici, i veri. Una ma-gnifica «collana di perle».

mi sentirò sempre l’ultima ruota diquesto carro che proverò anch’io atirare un po’, che trasporta l’amoredi coloro che, malgrado le imperfe-zioni umane che ognuno di noiporta nel proprio bagaglio, sono «igrandi della Terra»; di tutti queimissionari che, come Fratel Beppe,offrono il loro sapere, la loro cultu-

ra, le loro molte capacità, la lorovita agli ultimi, ai più poveri deipoveri, come insegna il Vangelo el’esempio di San Giuseppe Cot-tolengo. Mentre raduno i miei pensieri,rivolgo ancora lo sguardo al cieloe, tra le stelle, ne cerco una inparticolare poi… entro in came-ra, apro la bianca zanzariera eriposo nuovamente nel mio«letto da regina».

E poi, i bimbi: quattro bellissimecreature che rispecchiano l’infinitafantasia di Dio, una tenerezza chemi commuove.E poi, l’ospedale: povera umanitàsofferente! Senza risposta i mieiperché?…Nel periodo in cui starò a Chaaria

e... ultima pagina deldiarioRitorno a casa. L’aereo èappena decollato da Nai-robi, sospiro!... Durante le lunghe ore delviaggio che mi riporta acasa, in Italia, ho fattoscorrere nella mia mentetutte le emozioni vissutein questi oltre tre mesi dipermanenza a Chaaria.Penso alle molte persone che hoincontrato, quante mani ho stretto,quanti occhi hanno comunicatocon i miei; occhi profondi di soffe-renza, occhi tristi, occhi ridenti,occhi pieni di interrogativi e di stu-pore. Penso quando ogni mattina,dopo la Santa Messa e la colazione,mi avviavo verso la camera deibimbi per lavarli, vestirli, preparar-li per un nuovo giorno, dare a lorola prima pappa e assaporare i lorosorrisi. Prima però, volutamente,passavo nell’abitato dei disabili, ibuoni figli, e lì come sempre, sedu-to sulla panchina, c’è Piter con ilsuo bavaglio azzurro,mi aspetta, mi sorri-de con la sua boccadeformata, metto lamia mano nella suamano storpiata ementre lo accarezzocontraccambio il suosorriso che è il piùbello del mondo e…buona giornata Piter,così è anche perMorris che gli siedeaccanto.Dopo i bimbi iniziola mia giornata inospedale, nel reparto

avvicino a lei… comesempre non dorme, miattende. Le sorrido, lachiamo: ”Carol”, mi sor-ride, mi chino e lei miallunga una mano perfarmi una carezza, il mioanimo si rattrista. Cercodi farle capire con gestiche domani tornerò acasa, in Italia. Lei aggrot-ta la fronte e dopo unattimo dice: «no, no»;grosse lacrime silenziosescorrono sulle sue guance

scarne, prendo uno sgabello e miaccosto a lei. Alzo la zanzariera blu,come quel cielo che presto Carolandrà a raggiungere, l’abbraccio econfondo le mie lacrime con le sue.Passa un po’ di tempo così… Escopiangendo… guardo il cielo stellatoe prego: «Signore, manda un angeload accompagnare Carol nella nostracasa, non lasciarla sola ad aprire laporta del Tuo regno, e tu VergineMaria coprila con il tuo manto, Tuche sei la mamma amorosa di tutti iviventi». (Due giorni dopo Carolnon era più con noi, ma nella lucedel Padre. Un’amica volontaria allaquale l’avevo raccomandata è stata

accanto a lei).Ed ora penso a tutti ibimbi, all’amore che hoper loro. Sento martella-re nelle mie orecchie leparole di Suor Oliva:«Ma tu, che cosa vai afare in Italia? Resta quicon noi». Già... ...con quel «mald’Africa» che mi portodentro… cosa vado afare in Italia?

Rosella Quiri

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Dopo tre immersionitra le nuvole, che

per ragioni tecnichehanno prolungato

questo viaggio e conrelativi disguidi,

finalmente in tardaserata giungo alla missione.

Ritorno a ChaariaPrima pagina del diario di una volontaria a Chaaria...

donne (35 letti).Ogni sera dopo aver dato il latte aipiccoli e dopo averli preparati per lanotte, non posso salire verso la miacamera e andare oltre l’ospedalesenza entrare di nuovo al repartodonne. Vi accedo in punta di piedi,la luce è accesa e controllo leammalate attraverso la zanzariera,molte sono sveglie, scambio un salu-to, un sorriso, qualche parola sus-surrata di buona notte.È l’ultima sera… sono al terminedel tempo trascorso a Chaaria ementre mi avvio verso l’ospedalepenso: “come farò a dire a Carol(26 anni), che domani parto”?... Mi

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di Clara Attene

In una scena di Invictus,film che racconta il ten-tativo di riappacificare,

anche attraverso il rugby, ilSudafrica dopo la fine del-l’apartheid, un collaborato-re spiega al neopresidenteNelson Mandela quali sianole chance della nazionaleagli imminenti campionatimondiali: «Secondo gli e-sperti, arriveremo ai quartidi finale e non oltre». «Secondo gliesperti – replica Mandela – tu e iodovremmo essere ancora in cella».Anche la scuola San Giuseppe Cot-tolengo, quartiere Porta Palazzo –dove il film è stato una delle “attrazio-ni” della festa di inizio anno di qual-che giorno fa – è, con le dovute pro-porzioni, un luogo che ribalta statisti-che e aspettative. Una scuola paritariadove privato non fa rima con privile-giato: tra i suoi 259 iscritti, il 30% èstraniero, circa la metà vive qualchetipo di difficoltà e il numero di alunnidisabili, una ventina quest’anno, è ilpiù alto di tutta la regione.Il parallelo con Invictus, poi, non èdel tutto casuale. Perché qui, oltreall’incontro di razze, anche il rugbyha il suo ruolo. Rugbista infatti è ilsuo direttore, don Andrea Bonsi-gnori, 36 anni, originario di Settimo,educatore (quasi) per caso – diplomamagistrale e laurea in pedagogia, macon l’idea che «mai avrei lavorato coni ragazzi» – e pilone del MoncalieriRugby. Da quattro anni, insieme a 43insegnanti e una ventina di volontari,ha reso la scuola un punto di riferi-mento per il quartiere più multietnicodi Torino, tanto da raddoppiare ilnumero di iscritti, che al suo arrivoerano 120.

ragazzi con disabilità gravi, chemagari sono stati rifiutati altro-ve, chiedo di dare sempre ilmassimo, ognuno secondo pos-sibilità», assicura don Andrea.A volte, la bocciatura arriva an-che su richiesta dei genitori,«soprattutto quando, dopo laterza media, non ci sono pro-spettive». Oltre alle ore di lezio-ne previste dal programma sco-lastico, in via Cottolengo è unfiorire di laboratori – dallo sportal teatro fino al giornalino scola-

stico – che sono aperti anche ai ragaz-zi della stessa fascia d’età che non fre-quentano la scuola. «Spesso sonoamici dei nostri allievi o ragazzi delquartiere che chiedono di partecipare– spiega Adriano Moro, insegnante dieducazione fisica –. Il costo dei labo-ratori è di 50 euro all’anno, ma anchequi applichiamo la stessa logica utiliz-zata per la retta». E così, la festa diinizio anno è anche il momento in cuii ragazzi, aggirandosi tra gli stand dipresentazione, possono scegliere l’at-tività preferita, rugby incluso.«Il nostro obiettivo è tenerli il piùpossibile a scuola, anche oltre l’orariodel tempo pieno – prosegue Moro –per aiutare le famiglie ed evitare che iragazzi siano troppo esposti a situa-zioni rischiose».Lo scopo – non troppo segreto – didon Andrea è che quei laboratoridiventino la chiave per creare qual-che opportunità, combattendo il“vuoto” alla fine del percorso scola-stico: «Un disabile non può fare ilcorrettore di bozze o il tecnicovideo?», punzecchia.Ad arrivare alla meta contribuisconopoi i volontari, come i “Tipi Loschi”(solo casualmente lo stesso nome delgruppo creato negli anni Venti dalbeato Frassati, NdR), una piccola co-

Trattandosi di una scuola privata – laquota massima prevista per la rettasarebbe di 200 euro al mese, ma aversarla per intero è appena il 26%degli iscritti – ci si potrebbe chiederecome possa riscuotere tanto successoin un quartiere difficile come PortaPalazzo, per di più in tempi di crisieconomica. «Abbiamo una commis-sione esterna incaricata di valutare iredditi delle famiglie che fannorichiesta di iscrizione – spiega donAndrea – e tariamo la retta in basealle possibilità di ognuno: in alcunicasi dilazioniamo il pagamento in piùanni, oppure c’è chi paga magari solo10 euro al mese. Il concetto chevogliamo far passare è che noi acco-gliamo tutti, ma non esiste nulla chenon vada conquistato con almeno unminimo sforzo».Il problema, spesso, «è che chi ha piùbisogno fa molta fatica a chiedere –ragiona il direttore – così abbiamostabilito di mantenere ogni anno unaquota di posti liberi in ciascuna clas-se, destinati a chi ha più difficoltà,secondo il principio-guida del Cot-tolengo, e aspettare le richieste del-l’ultimo minuto, respingendo even-tualmente chi invece potrebbe paga-re». Le situazioni difficili, però, nonsono mai un alibi: «A tutti, inclusi i

munità per studenti universitari aiquali viene offerto gratuitamente vittoe alloggio in cambio di qualche ora divolontariato. Il nome? «Uno scherzo– se la ride don Andrea, capelli legatiin una lunga coda e tuta da ginnastica,mentre si aggira indaffarato tra glistand – per il fatto che tra loro forsesono io quello con l’aria più racco-mandabile. Alcuni di loro mi hannoseguito da Roma, dove ho studiato».Per tenere in piedi questo laboratoriosociale servono ogni anno tra i 700 egli 800 mila euro, molti dei quali –tolti i 200mila euro che giungonocome contributo regionale alla scuolaprimaria – provengono da una miria-de di sponsor, grandi e piccoli, sparsiper il quartiere o per la città, ma chearrivano anche da altre parti d’Italia.«Fino a qualche anno fa il rapportocon la città praticamente non esisteva– racconta don Andrea –. Poi, pianpiano la voce ha iniziato a girare,soprattutto grazie alla partecipazionedelle nostre squadre, che includonosempre i disabili, ai campionati spor-tivi “ordinari”». Così sono iniziate adarrivare molte donazioni a nome difamiglie o privati, talvolta insieme apromesse rimaste tali.«Una cosa che ricordo sempre achi lavora qui – aggiunge il diret-tore – è che i loro stipendi sonospesso il frutto della rinunciafatta da qualcuno che magari hasaltato un pasto per aiutarci».Alla beneficenza, si aggiungel’ingegno e così, dopo le 16,quando le lezioni sono finite, leaule della scuola possono essereprese in affitto da associazioniche hanno bisogno di spazi per leloro attività: «La condizione –spiega il direttore rugbista – èche se organizzano, per esempio,un corso di musica alcuni postisiano destinati gratuitamente ainostri studenti». Oltre ai piccoligesti, poi, c’è magari il medicoche lavora a due passi dalCottolengo e dopo aver notato iragazzi che uscivano da scuola, siè incuriosito e ha deciso di con-tribuire “regalando” una settan-

IN CIFRE

200 euroLa retta mensile

A pagarla integralmente, però, èsolo il 26% degli studenti. Per glialtri, una commissione esterna in-caricata di valutare i redditi fami-liari dispone riduzioni o cancella-zioni.

259Gli iscritti

Circa il 30% proviene da una fa-miglia di origine straniera, mentrela quota degli allievi con disabilità– quest’anno una ventina – è lapiù alta del Piemonte.

800 mila euroIl bilancio

A parte i 200 mila euro che arriva-no dalla Regione come contribu-to per la scuola paritaria, il resto èquasi integralmente coperto dasponsor piccoli e grandi.

tina di visite medico-sportive; o lo stu-dio legale di fama che ha messo adisposizione un legale sempre reperi-bile in caso di necessità. Tra i ragazzidi don Andrea, infatti, le situazioni arischio sono numerose, come tra iminori che provengono dalle comuni-tà o chi magari è figlio di genitoriseparati che se lo contendono.Sul fronte dell’educazione alla legali-tà, non a caso, la scuola ha stretto unacollaborazione anche con l’Arma deiCarabinieri: «L’anno scorso sono at-terrati con l’elicottero in cortile por-tando dei regali per i ragazzi – rac-conta ancora il vulcanico don Andrea– e durante l’anno vengono qui perspiegare il loro lavoro e cercare diaiutare i ragazzi (che magari li hannovisti arrivare a casa per arrestare ungenitore) ad avere un atteggiamentomeno diffidente verso le forze dell’or-dine». Perché qui – citando una poe-sia cara a Mandela negli anni dellaprigionia – «non importa quanto an-gusta sia la porta, quanto impietosa lasentenza»: alla scuola di Porta Pa-lazzo nessun esito è scontato.

Da: Il Sole 24 Ore NordOvest, n. 34/2010Foto di Marcello Pinna

N o t i z i e20 I n c o n t r i 21

Torino e il Cottolengo - In frontiera. Nel cuore di Porta Palazzo, un’idea originale per integrazione e disabilità

Il rugby nella scuola dei miracoli

Una ricetta innovativa. Il rugby (nella foto in pagina a fianco) è una delle proposte cardine tra le attività colla-terali allo studio che offre la scuola interna al Cottolengo di Torino, diretta da don Andrea Bonsignori (a sini-stra). Tra le altre proposte, laboratori (a destra), corsi di musica e teatro fino al pomeriggio inoltrato

Il rugby nella scuola dei miracoli

Page 12: Rivista Incontri Mese di Gennaio 2011

È questo un pensiero dellaBibbia che mi sta aiutandomoltissimo in questi ultimi

mesi. Spesso mi trovo confuso. Nonmi è più chiaro come forse lo era inpassato in che modo io possa esseretestimone di Cristo oggi: sento unacerta repulsione per una religiositàfatta solo di fedeltà formale, chespesso rischia di essere di facciata.Continuo a chiedermi quale sia ilvero fulcro della mia fedeltà a Dio,quel centro inossidabile che nonpuò venire distrutto neppure quan-do pare che attorno ci siano un po’di deserto e di incomprensione. Miritornano alla mente le paroleche Paolo VI diceva ormaitrent’anni fa: «il mondo ogginon ha bisogno di predicatorima di testimoni».Certo l’incoerenza fa partedella nostra natura umana, cosìdebole e corrotta dal peccato;ma credo che ognuno di noipossa arrivare a un’opzionefondamentale per il bene, e chequesta possa diventare la forzatrainante e la stella polare daseguire, per costruire giornoper giorno la fedeltà alla nostravocazione.Da anni mi chiedo in chemodo si possa concretizzare

cura che «la carità copre un grannumero di peccati».Non mi sento di fare lunghi discor-si su Dio, né ho la forza di difender-mi quando vengo osteggiato: oggicome oggi preferisco il silenzio.Preferisco far vedere la mia fede edil mio amore al Signore attraverso leopere.Dio saprà parlare al cuore deglialtri attraverso una carità che nonconosce orari. Dio saprà anchedifendermi quando sarà necessario.Ancora nella Bibbia Gesù ci chiededi non preoccuparci di cosa direquando saremo portati davanti ai

tribunali, perché lo Spirito cisuggerirà le parole al momen-to opportuno. È Lui il nostroAvvocato… a noi spetta solodi fidarci.Dedizione totale, finché leforze me lo concedono; silen-zio ed abbandono al Signo-re… queste mi sembrano lestelle polari che guidano imiei giorni oggi. Sento cheGesù mi accetta così comesono, perché Lui non guardaall’apparenza ma al cuore, econosce l’impegno quotidianoche ho nel profondo.

Fr. Beppe Gaido

questa mia scelta di fondo di coe-renza: non che io abbia trovatotutte le risposte, ma mi pare che larisposta sia un po’ nella linea di SanGiacomo. So che altri possonoseguire vie diverse, anche diame-tralmente opposte alla mia, ma perme oggi la mia strada maestra perandare a Dio è la dedizione a chi habisogno, la scelta preferenziale per ipoveri, che hanno il diritto di chie-dermi un servizio fino al sacrificiodella salute e della vita.Il dono della vita attraverso la cari-tà diventa anche purificazione dalleincoerenze, perché la Bibbia ci assi-

Il 29 aprile 2010, Piera Bava eCarlo Degrandi hanno voluto,tra i vari festeggiamenti orga-

nizzati per il loro 50° di matrimo-nio, fare un momento di festa allaPiccola Casa, che da molti anni èanche un po’ la loro casa.

Tutti conosciamo Carlo Degrandi(ma è sufficiente dire “Carlo”) vo-lontario sempre attivo e disponibile,che ha iniziato la sua attività allaPiccola Casa ai tempi di Padre Ge-mello, negli anni Ottanta, e ora con-tinua, dando il suo tempo e la suacompetenza all’Ufficio del volonta-riato e a chi, per motivi diversi, habisogno di una mano, di sbrigare unapratica, di recarsi in un ufficio ecc.Piera Bava ha iniziato come volon-taria nel 1992, dando il suo tempo alServizio sociale. Poi, negli anni suc-cessivi, le è stato chiesto di seguire

vogliono, per tutto quello chefanno per noi, per l’impegno e ladedizione con cui si spendono…Carlo, scherzando, ogni tanto midice: «All’inizio, quando Piera èarrivata, era “la moglie di Carlo”.Adesso, man mano che il tempopassa, sono io che sono diventato“il marito di Piera!”».Siamo infatti molto contenti diavere Piera nel nostro staff del Ser-vizio sociale, e sappiamo che ancheCarlo è fiero e riconoscente di avereuna moglie come Piera!Carlo e Piera hanno un figlio e unanuora, Pippo e Cristiana (anch’essifrequentano la Piccola Casa) e duesimpaticissimi nipoti: Sara e Da-vide. Ogni tanto vengono a trovar-ci, e ci fa molto piacere perché ciportano una ventata di giovinezza!

Tutti insieme vogliamoringraziare il Signoreinsieme alla loro bellafamiglia per questogiubileo, e soprattuttoringraziamo la DivinaProvvidenza per aver-celi fatti incontrare!

Deo Gratias!

Sr. Nadia Pierani

l’Ufficio protesi: lei ha accettato,per cui è iniziato un rapporto dilavoro. Chi non conosce «la signoraPiera dell’Ufficio protesi»? Piera e Carlo hanno voluto festeggia-re il 50° del loro matrimonio anchecon i colleghi del Servizio sociale. Èstato un bel momento, è bello farfesta tra le persone che ci voglionobene e sanno gioire con noi.Festeggiare 50 anni di matrimonio èoccasione per ringraziare il Signoreper il dono della fedeltà, per gli annivissuti insieme e per tutto ciò che siè condiviso, per tutto ciò che ancorail Signore vorrà donare. Soprattuttoè stato bello fare questa festa allaPiccola Casa, che sappiamo luogoimportante per Piera e Carlo.Anche noi dobbiamo loro un gran-de «Deo gratias» per il bene che ci

S p i r i t u a l i t à22 I n c o n t r i 23

«Dimostrami la tua fedesenza le opere, e io con le mie opereti dimostrerò la mia fede» (San Giacomo)

Piera eCarlo,nozze d’oro!Deo Gratias!

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T eresina è entrata nel salonementre stavo guardando daun’altra parte. Quando mi

sono voltata, l’ho vista di spalle,sulla sua carrozzella elettrica chesul retro ha una targa, come quel-la delle automobili, ma decoratacon fiori e uccellini e una scritta agrossi caratteri: «TI AMOOOO».Incuriosita ho desiderato cono-scere chi fosse la persona che siportava in giro un messaggio cosìsolare e affettuoso. Soddisfarequesto mio desiderio è stato sem-plice, perché Teresina con ungrande sorriso è venuta lei stessaad offrirmi la sua amicizia e a con-dividere con me la sua storia.D’origine marchigiana, Teresina èospite della Piccola Casa da ben45 anni. Aveva solo 18 anni quan-do è entrata al Cottolengo; all’etàdi 4 anni le era stata diagnosticatala distrofia muscolare: «Per me èstato un vero trauma, rievocaTeresina, a quell’età si sognanograndi cose e invece la malattia,nel giro di poco tempo, ha comin-ciato a crearmi difficoltà, nel cam-minare e nel gestire la mia vita.Anche se non capivo chiaramentecos’era la distrofia, ho però perce-pito che prima o poi mi avrebbeportato alla carrozzina».Nei primi anni di convivenza con

degenza a tempo indeterminato.«Ho vissuto nell’angoscia e nellarabbia per tanti anni, sia per l’in-ganno di mio papà, sia per la real-tà che non riuscivo ad accettare –racconta – Compresi che da que-sto posto non sarei mai uscita». Lasconvolge anche la realtà di soffe-renza che incontra: «Non ero pre-parata a vedere così tante persone,tutte con sofferenze abbastanzagravi, e in un colpo solo. Un am-biente pieno di persone con disa-bilità... una tragedia. Non volevorimanere, pensavo che non sareiriuscita a vivere, che sarei morta».Le pesava anche moltissimo il nonpotersi più relazionare con ilmondo esterno. Sono anni durissi-mi, di lotta e sofferenza, tuttaviaTeresina percepisce attorno a sé enelle sue compagne, una certaserenità che la colpisce.Dapprincipio non vi fa caso, per-ché è troppo arrabbiata, indignatae ribelle; ma poi si fa strada il desi-derio di comprendere. Si avvicinaad alcune compagne in modo par-ticolare: «Ero rimasta esterefattadalla loro serenità, dal loro sorri-so, e ho cominciato a chiedermicosa le rendesse così serene».Inizia così, anche con l’aiuto delcappellano, un percorso di rifles-sione, di presa di coscienza: «Mi

la malattia, Teresina la rifiuta, leimpedisce di vivere come le coeta-nee, di andare a ballare, e di usci-re... sperimenta la solitudine: l’a-micizia disinteressata sembra nonesistere, e le amiche accettavanodi accompagnarla solo in cambiodi qualcosa, un gelato, il bigliettodel cinema. «Venire con me vole-va dire avere molta pazienza:all’inizio le mie arniche l’avevanocapito, ma poi era pesante. Nonc’era la mentalità per cui si staaccanto ad una persona vedendo-ne le necessità e i bisogni».Sempre a 18 anni, un altro im-menso dolore si abbatte sulla vitadi Teresina: nell’arco di tre mesi,la mamma è stroncata da unagrave malattia; suo ultimo pensie-ro fu per la figlia di cui non osavaimmaginare il futuro, e, in effetti,si preparava per Teresina un’espe-rienza durissima. Figlia unica, ungiorno il padre, insieme con unazia, la porta a Torino dicendoleche erano diretti ad un centro diriabilitazione. Non era infrequen-te che Teresina fosse portata aBologna per sedute di fisioterapia,la notizia quindi non la colpì piùdi tanto. Arrivata a Torino, si reseinvece immediatamente conto chenon si trattava di una breve per-manenza mirata, bensì di una

dicevo: se loro riescono a vivereuna simile situazione in questomodo un motivo ci deve essere.Ho scoperto, pian piano, che lororiuscivano ad accettare e a dare unsenso a questa sofferenza, offren-dola. Altrimenti la sofferenza èvana e capivo che sarei diventatasempre più arrabbiata e chiusa inme stessa. Il percorso che loro ave-vano fatto, portava alla croce diCristo. Egli ci ha detto di prenderela nostra croce e seguirlo. Seguirlodove? In questo mistero del suoamore, della sua nascita e dellacroce, dove ci ha salvati, redenti eresi figli». Oltre che dalla testimo-nianza delle compagne, Teresina ècolpita anche dal servizio gratuitodelle suore, tutte giovani. La gra-tuità, che nel mondo esterno sem-brava assente, qui era effettiva.Teresina pensa: «Se queste suoreavevano fatto una scelta così radi-cale per la vita, per un serviziod’amore, esiste allora la possibilitàdi dare un senso anche alla miavita e alle mie sofferenze. Ho intra-preso questo cammino e ho trova-to equilibrio interiore, serenità; hovoluto essere testimone di questomio nuovo sentire ed agire, neiconfronti di me stessa e di chi mivive accanto. Mi ha dato la consa-pevolezza che non ero più sola».Sentimenti, questi, che Teresina

tamente il contrario! Attraverso lasofferenza si scopre un mondonuovo, anche di gioia e d’allegria,perché qui non c’è tristezza nérabbia, ma un clima di famiglia».Ovviamente, i problemi rimango-no, dati anche dalla vita in comu-ne: nessuna delle ospiti è lì perpropria scelta, ognuna vi provieneda realtà e mondi diversi, ci si puòanche scontrare. «Ma, alla radice,c’è il principio di voler creare unclima di solidarietà e di famiglia». Teresina è una persona piena diserenità e positività, che ha tantodesiderio di trasmettere agli altri.Mi ripete la sua convinzione: «Sepossiamo gettare qualche seme disperanza abbiamo il dovere diesserne testimoni». Prima di salutarmi, mi regala anco-ra una sua breve ma intensissimapreghiera: «Ti offro, Signore, la miasete di vivere e l’inerzia di questogiorno. Ti offro la mia povertà, chesi riconosce nel momento del dono. Ti affido il bene che gli altri sannodarmi, le pene e le gioie dei lorocuori. Ti offro il desiderio d’esseremigliore».

Chiara Bergoglio

riversa anche in unasplendida poesia, inti-tolata «Grazie di esi-stere»: Non sono quiper caso - o per unafatale coincidenza. -Sono qui - perché fac-cio parte di quest’im-menso giardino - che èla vita, - perché Diomi ha amata perprimo, - mi ha chia-mata all’esistenza. -Grazie, Signore, - perle aurore che vedo na-scere, - per le sere chevedo oscurarsi sullaTerra. - Grazie per leprimavere - che vedorifiorire ogni anno. -Non importa - se nellagioia o nel dolore: - grazie per ilmirabile - dono della vita - che mihai donato. - Grazie per farmi sen-tire - destinataria - di un amore chedice: - «Voglio che tu ci sia».Aprendosi agli altri e alla vita,Teresina scopre che si apre attor-no un mondo di relazioni, che laarricchisce continuamente. La ri-trovata serenità le dà anche forzadi fronte alla malattia, il cui pro-gredire le pone sempre nuovilimiti. «A volte si pensa che qui, inquesto luogo di sofferenza e dimalattia, non ci sia gioia. Esat-

T e s t i m o n i a n z e24 I n c o n t r i 25

FIGURE COTTOLENGHINE

TeresinaBelardinelli«Non sono qui per caso – o per una fatale coincidenza. – Sono qui – perché faccio parte di quest’immenso giardino - che è la vita, – perché Dio mi ha amata per primo – mi ha chiamata all’esistenza».

TeresinaBelardinelli«Non sono qui per caso – o per una fatale coincidenza. – Sono qui – perché faccio parte di quest’immenso giardino - che è la vita, – perché Dio mi ha amata per primo – mi ha chiamata all’esistenza».

Page 14: Rivista Incontri Mese di Gennaio 2011

noscenza rischia di pre-valere sulla competen-za. Pochi giornali ci rac-contano invece di quellaminoranza pensante cheancora crede in un epi-logo della storia diver-so.

...finché un giorno,questo meccanismo siinceppò definitivamen-te; nulla sembrava piùpoter funzionare, tuttoera ormai avvolto dauna paralisi senza ritor-no. Fu allora che dal-l’ombra si fece avantiun uomo, ignoto e stra-niero a tutti, che con lasua «chiave a stella»era ancora capace distringere bulloni con

maestria e con amore. E dopo dilui un medico capace e preparato,un figlio che aveva cercato in auto-nomia la propria strada, un giorna-lista indipendente da ogni potere,un imprenditore che sapeva vederenella concorrenza una sfida al pro-prio mestiere, un architetto noncompiacente, un politico onesto edisinteressato all’utile personale.E il paese ricordò che quella del-l’amicizia era tutta un’altra storia.

Elena Granata

Quando viviamo delle situazionidifficili, anche in famiglia, spessonon sappiamo come venirne fuori,perché vediamo le cose solo in uncerto modo. Ci sentiamo così pri-gionieri di quella situazione.Molte volte, invece, occorre guar-dare la cosa da un altro punto divista: e così ci si accorge che essanon ha più lo stesso valore. Sì, forseresta la stessa malattia o lo stessohandicap, forse la suocera è la stes-sa, ma sono io che non ho più glistessi sentimenti di prima, non sen-to la stessa sofferenza di prima, eforse addirittura comincio a vederecerti lati positivi e ottimistici cheora mi danno speranza...In questi casi è molto utile l’aiuto dialtre persone che ci vogliono beneper vedere le cose in un altro modoe riuscire a cambiare strategia. Èvero che prendere le decisioni insie-me talvolta non è facile, ma è sem-pre importante per prendere decisio-ni migliori. L’altro non va vistocome ostacolo, ma come opportu-nità per crescere e realizzare unasituazione superiore. Soli si muore!

Redazione

dal non vedente, notò che il suocappello era pieno di monete ebanconote.Il non vedente riconobbe il passodell’uomo e gli chiese il perchédella sua azione e cosa avessescritto sul cartello.Il pubblicitario rispose: «Nienteche non fosse vero: ho solo riscrit-to il tuo messaggio, ma in manieraun po’ diversa».Sorrise e andò via. Il non vedentenon seppe mai che sul suo cartel-lo c’era scritto: «Oggi è primave-ra... e io non la posso vedere».

«figli di», in un clima di affettuosaparentela. Scambi di doni, ricom-pense, piccoli favori allietavano legiornate del piccolo paese, finchéun giorno...

Fermiamoci un momento, avretecertamente riconosciuto questa sto-ria. Ormai da lungo tempo quasiquotidianamente ce la raccontano igiornali, mettendo a nudo amiciziee parentele che mai avremmosospettato, relazioni inopportune trapolitica e società civile. Un’Italiafatta di amici de-gli amici, di ap-poggi, di regali, direlazioni, di figli edi case. Ma unpaese così, che nelpiccolo come nelgrande fonda ipropri comporta-menti su scambidi favori, non è unpaese civile, maun luogo insicuroe inaffidabile pertutti, dove la co-

RACCONTI RACCONTI

Il cieco e il pubblicitario

Ai tempi di Erode, la notte in cui nacque Gesù gliangeli portarono la buona notizia ai pastori.

C’era un pastore poverissimo, tanto povero che nonaveva nulla.Quando i suoi amici decisero di andare alla grottaportando qualche dono, invitarono anche lui. Ma lui diceva: «Io non posso venire, sono a manivuote, che posso fare?» Ma gli altri tanto dissero efecero, che lo convinsero. Così arrivarono dov’era il bambino, con sua Madre eGiuseppe. Maria aveva tra le braccia il bambino e sor-rideva, vedendo la generosità di chi offriva cacio, lanao qualche frutto. Scorse il pastore che non aveva nulla

e gli fece cenno di venire più vicino. Lui si feceavanti imbarazzato.Maria, per avere libere le mani e ricevere i doni deipastori, depose dolcemente il bambino tra le brac-cia del pastore che era a mani vuote...

Certamente è importante che le nostre mani sianopiene di bene.Però il bene non si fa solo con le cose che riempionole mani, ma anche e soprattutto col cuore, o anchesemplicemente con un sorriso.

Redazione

A mani vuote

Un giorno, un uomo non ve-dente dalla nascita stava se-

duto sui gradini di un edificio conun cappello ai suoi piedi e un car-tello recante la scritta: «Sonocieco, aiutatemi per favore».Un pubblicitario che passeggiavalì vicino si fermò e notò che ilcieco aveva solo pochi centesiminel suo cappello. Si chinò e viversò altre monete, poi, senzachiedere il permesso dell’uomo,prese il cartello, lo girò e scrisseun’altra frase. Quello stessopomeriggio il pubblicitario tornò

C’era una volta un ridentepaese dove regnava l’amici-zia. Gli amici erano la fonte

d’ogni felicità, a cui ricorrere nellecircostanze avverse. Per trovare unappartamento ad un prezzo conve-niente non era necessario impe-gnarsi in lunghe e faticose ricerche,bastava rivolgersi all’amico piùesperto e in breve si poteva goderedi una casa con vista panoramica eaffabili vicini. Per trovare un lavo-ro non erano necessari noiosi eanonimi curricula o defatiganti col-loqui, bastava rivolgersi agli amicidegli amici e il lavoro sarebbe pre-sto arrivato. Così per fare accederei propri figli nelle migliori scuole,per ottenere borse di studio, pervincere il concorso tanto sognato,per ottenere un posto in televisio-ne. Nulla era più affidato al caso,sempre ingiusto e arbitrario stru-mento di selezione sociale. Ai figlidegli amici veniva poi riservato unonore e un’accoglienza tutti parti-colari e così, alla lunga, banche,ministeri, ospedali, università, ave-vano cominciato ad affollarsi di

Il paese degli amiciIl paese degli amici

N o t i z i e26 I n c o n t r i 27

Page 15: Rivista Incontri Mese di Gennaio 2011

AL COTTOLENGO HOFATTO DEGLI INCONTRIMOLTO SPECIALI…

Cinque giorni, a contatto direttocon delle realtà che mille migliadistanti da noi sembrano poche; inrealtà sono stati densi di sensazioni,emozioni e nuove scoperte. Vi-sitando la “Piccola Casa della Di-vina Provvidenza”, meglio notacome “Il Cottolengo”, ho fatto degliincontri molto speciali. Le personediversamente abili, con cui abbiamocondiviso storie ed esperienze, mihanno fatto percepire un aspettoche più di ogni altro mi ha colpito:la forza e la serenità con cui hannoaffrontato ed affrontano la vita. Laforza di rimanere su una sedia arotelle, la forza di comunicare solocon una mano, di raccontare la pro-pria vita a degli estranei, la forza diritrovare una dignità perduta erimettersi in discussione. Ciò chenoi giovani dovremmo imparare daqueste “fonti d’energia vitale” ècome apprezzare le cose semplici,quelle naturali, la bellezza di un sor-riso, la spontaneità di una risata, laprofondità di uno sguardo. Il mon-do che ci circonda, così frenetico ecaotico, ci distoglie dai problemi dialtre persone (che potrebbero essereanche nostri), offrendoci una visio-ne limpida e felice per una vita per-fetta, composta di persone perfette,

le circonda, la gioia di vivere. Vederequeste persone che, nonostante iloro problemi, si sono rialzate eadesso camminano a testa alta, orgo-gliose del “poco” che la vita ha datoloro perché spronate dall’amore dichi sta loro vicino, mi ha fatto pensa-re e mi ha fatto capire quante cose lavita mi abbia dato e quanto poco iosia riuscita a valorizzarle finora. Perquesto consiglio a tutti di fareun’esperienza simile, almeno unavolta nella vita, perché mi ha fattocapire quanto importanti siano lepersone e mi ha fatto vedere la vita,e gli altri, sotto una luce diversa.

Luisa A.

PICCOLA CASA, UN LUOGO DI SPERANZA

Il viaggio a Torino è stato un’espe-rienza forte; ho scoperto quanto inogni realtà, anche quelle di cittàmoderne e ricche come Torino (epenso Trieste e tante altre città ita-liane), ci siano problemi ormairadicati, di cui la maggior partedella gente non si occupa. È valsa lapena di avvicinarci a tali problemi,conosciuti, ma mai incontrati inmaniera così evidente, e poi insie-me, conoscere le tante persone chevolontariamente cercano di risol-verli. Durante la settimana trascor-sa in Torino, infatti, non abbiamo

vestiti perfetti e apparecchi tecnolo-gici all’avanguardia. Bisogna, per-ciò, avere il coraggio e la voglia diguardare oltre, oltre quel muro cheabbiamo eretto per distinguerci dal-le persone apparentemente diverseda noi: solo così riusciremo a capireche sono proprio loro che ci inse-gneranno a vivere, ad avere una vitafelice senza cadere nella trappoladel menefreghismo e della superfi-cialità. L’esperienza a Torino mi hafatto prendere coscienza di molteproblematiche e mi ha dato la possi-bilità di venirne a diretto contatto.Sono fermamente convinta che tuttociò ha stimolato in me la voglia diaiutare gli altri e partecipare attiva-mente nella lotta contro l’ingiustiziae l’indifferenza.

Carolina S.

AL PRIMO POSTOLA PERSONA!

Al Cottolengo la cosa che mi ha piùcolpita è il modo con il quale i volon-tari, le suore e i “fratelli” si rapporta-no con gli ospiti della Casa: mettonosempre al primo posto la persona chesi trovano davanti e non i suoi proble-mi. La Piccola Casa è un posto dovele persone, che a noi possono sem-brare le più sfortunate, sono in real-tà le più felici, perché hanno risco-perto, nell’amore e nell’affetto di chi

semplicemente visitato case diaccoglienza o parlato con volonta-ri, ci siamo confrontati con perso-ne, che ci hanno parlato con senti-mento e passione, ma anche deci-sione. Al Cottolengo, per esempio,sono gli stessi ospiti che ci hannoaccolto e parlato delle loro espe-rienze; ed è stato bellissimo comesiano riusciti a trasmetterci la vogliadi vivere di cui davvero erano pieni.Il Cottolengo non è infatti solo unluogo di cura, ma è soprattutto unasede di speranza, dove i malati ven-gono assistiti non solo per la malat-tia, ma anche e soprattutto per por-tarli ad esprimere le loro capacitànascoste, ricordando che la dignitàè per tutti.

Lucrezia L.

FINCHÉ NON TOCCHICON MANO… NON PUOI CAPIRE!

Ho deciso di andare a Torino cin-que giorni prima della partenza.Non ero troppo cosciente di checosa avrei visto, di che cosa avreipotuto imparare, ma ho deciso lostesso di intraprendere questaesperienza. Inizialmente ero unpo’ spaventata, pensavo che questerealtà, così distanti dalla mia,avrebbero potuto in qualche modosconvolgermi, ma finché non “toc-chi con mano”, non puoi capire.Mi ha colpito moltissimo il“clima” che abbiamo trovato inquesti posti, le persone, seppurmalate o comunque con grossiproblemi alle spalle, sono felici.Queste comunità, dove possonovivere assieme, confrontarsi conaltri che hanno gli stessi problemi,li aiutano a sentirsi bene, sentirsiaccettati, dove i pregiudizi delmondo esterno non esistono. Io miaspettavo di trovare una specie diospedale, tanti letti uno vicinoall’altro, dove queste persone veni-

vano “abbandonate”, e invece larealtà è ben diversa: ognuno ha isuoi compiti, ognuno deve pren-dersi cura delle proprie cose edelle cose comuni. Di grandissimaammirazione è l’entusiasmo con ilquale gli operatori, volontari enon, lavorano; abbiamo trovatotante “famiglie” dove ognuno haun compito ben preciso. L’espe-rienza più bella che ho vissuto èstata l’incontro con una signorasorda, muta e cieca. Detto così, amolti potrà sembrare una personadel tutto “tagliata fuori” dalmondo, e invece questa signora,con la sua grandissima forza d’ani-mo, è una persona stupenda. Solotoccandomi la mano è riuscita acapire che sono una ragazza equello che mi ha lasciata completa-mente di stucco è stato quando,toccandomi la testa, ha messo unsecondo le mani sui miei occhiali e,ancora adesso non riesco a capirecome, ha capito che erano occhialida sole. Lei che ha come unicomezzo per conoscere il mondo lamano di qualcuno vicino che ledescriva tutto quello che accade,sa meravigliarsi molto più di noi,noi che non riuscivamo a capirecome fa a intendere tanti concettiastratti, come il bello, il brutto,come i colori. È stata un’espe-rienza veramente molto interessan-te, che ci ha presentato delle situa-zioni che magari non avremmoneanche immaginato. Penso che,in ogni modo, anche se tanti ricor-di potranno svanire, alla fine reste-rà qualcosa di importante dentroognuno di noi che abbiamo avutola fortuna di confrontarci con que-ste diverse realtà. Spero che altriragazzi e ragazze come me possanovivere le stesse esperienze, perchése non “tocchi con mano” nonpuoi nemmeno pensare che esista-no certe realtà che sono lontaneanni luce dal nostro vissuto quoti-diano di adolescenti “normali” e“fortunati”.

Barbara B.

T e s t i m o n i a n z e28 I n c o n t r i 29

BRICIOLE DI CARITÀBRICIOLE DI CARITÀ UNA SORPRESADOPO L’ALTRA…

Qualcuno di noi si aspettava di tro-vare una realtà di desolazione e ditristezza, mentre qualcun altro nonsapeva bene che cosa aspettarsi. Perquanto potessimo aver già sentitoparlare di questi argomenti, perquanto ne potessimo già sapere, nonpotevamo immaginare quello cheavremmo trovato. Grande è stata lasorpresa nel respirare, in tutti i postiche abbiamo visitato, un’aria diserenità, ma ancora più grande èstato lo stupore nel vedere comequeste persone vivano normalmen-te, senza piangersi addosso per leloro sfortune, ma anzi riuscendo agioire ancora di più delle piccolecose che noi, magari, non siamo ingrado di apprezzare come loro.Incredibile è stato ascoltare il rac-conto di una donna in sedia a rotel-le che, dopo essere stata portata alCottolengo con l’inganno a 18 annia causa di una malattia, riesce asuperare un lungo periodo di scon-forto e disperazione e a ritrovare lafelicità grazie alle compagne, chel’hanno fatta sentire a casa e le han-no fatto capire il valore della vita.Inutile provare a descrivere il nostrostupore nel vedere una personacieca tessere un tappeto al telaio, deicerebrolesi lavorare la lana cotta edipingere “un capolavoro” (comeuno di loro l’aveva definito). Ma lacosa che più ci ha sorpresi è stata lacuriosità e la voglia di vivere di unadonna cieca, muta e sorda dalla na-scita, capace di capire la tua staturae il tuo sesso stringendoti la mano,di sentire i colori con i polpastrelli,di percepire il calore di un sorrisoattraverso le pieghe del volto.

Elisa G.

Page 16: Rivista Incontri Mese di Gennaio 2011

N o t i z i e30 I n c o n t r i 31

La notte del 14 novembre 2009 si è spenta Vittoria, la signoraVittoria del volontariato. Questo titolo Vittoria se lo è ben merita-to grazie ai più che quarant’anni trascorsi a servizio gratuito dellepersone anziane al Cottolengo. Nel 1965, quando Suor Paola “della farmacia” presta serviziocome novizia nella corsia Sant’Anna capace di 72 letti nell’edificioAddolorata, Vittoria è già là. Vi era giunta in seguito al dolore abis-sale provocato dalla morte del marito, collaudatore di prototipirealizzati dalla Fiat, avvenuta il 21 luglio 1964 in Argentina a causa di unincidente automobilistico. Raccontava Vittoria: «Mio marito sapevadella mia ansia che accompagnava ogni sua partenza e, per telefono, lasera che mi annunciava il suo ritorno per il giorno dopo, mi disse chequello sarebbe stato il suo ultimo viaggio di lavoro: avrebbe chiesto dilavorare in Italia accanto a me, a nostro figlio che allora aveva sedicianni». Al ritorno del marito Vittoria si era preparata con ansia gioiosa,si era recata dalla pettinatrice, ne spiava dalla finestra l’arrivo. Lui tar-dava; poi vide scendere da una macchina alcune persone che riconob-be come funzionari dell’Azienda, capì e fu dolore immenso. Annaspònel mare d’angoscia che sulle prime la sommerse; ma c’era Gianni, ilfiglio, al quale dedicò la vita. A volte, purtroppo, è la tragedia improvvi-sa a spingere nel baratro della depressione chi è sopravvissuto allamorte. L’incontro con l’altro è l’occasione per ridare un senso alla vitae per recuperare e re-impegnare un patrimonio affettivo inutilizzato.Sotto il sole, il vento o la pioggia, nell’arco di quarant’anni, per tre gior-ni la settimana, e quando specificamente richiesta, Vittoria attraversa lacittà per servire le sue “vecchiette”, o meglio, le signore anziane, comelei sempre definiva le ospiti; a molte di queste terrà stretta la mano neldifficile momento dell’agonia. Al Cottolengo Vittoria trascorreva o lamattina o il pomeriggio, tutti i giorni tranne il sabato che dedicava allasua famiglia. Era fedelissima all’impegno preso; solo in occasioni stra-ordinarie vi mancò e fu per malattia, o per sciopero dei mezzi di tra-sporto pubblico (ne prendeva due per arrivare da casa al Cottolengo) seil figlio era impossibilitato ad accompagnarla in macchina. Se sapeva diurgenze in corsia per la mancanza di personale, arrivava al Cottolengoin taxi, a spese sue. Vestiva con cura e sobria eleganza: caratteristicheche realizzava anche nei rapporti con gli altri nel massimo rispetto,rivolgendosi con il “lei” verso tutti. Solo a coloro che godevano digrande confidenza Vittoria si rivolgeva con il “tu”; l’inquietava notareche altre volontarie, specialmente se giovani, si accostavano alle perso-

Gli amici che ci hanno lasciatoGRANDE GIOIA PER LA PICCOLA CASA:TRE NUOVI SACERDOTI COTTOLENGHINI!

Mons. Callist Soosa Pakiam, Arcivescovo di Trivandrum

(Kerala, India),giovedì 2 settembre 2010,

nella chiesa della parrocchia di Sant’Andrea a Karumkulam (Kerala)

ha ordinato sacerdoti BENNY FRANCIS,

JOBIN ANTONY KOIMMAKKADUe XAVIER VARGHESE.

DEO GRATIAS

Vittoria Festa Garrone ne anziane in tale modo. Al servizio in repartoVittoria presto aggiunse l’impegno di segretarianell’ufficio del volontariato. Ordinata e precisascriveva in bella calligrafia le diverse annotazio-ni, rispondeva cortesemente al telefono e sifaceva scrupolo che alle telefonate fosse datarisposta precisa e tempestiva. Conoscendo leesigenze di reparto, le teneva ben presenti quan-do si presentavano candidate per il servizio, pru-dente e discreta offriva la sua opinione riguardo

alla accettazione o al rifiuto delle stesse. La collaborazione di Vittoria fuentusiastica nei diversi programmi iniziati dall’ufficio del volontariato econtinuati con migliore e più precisa programmazione dagli organismiappropriati della Piccola Casa. La catechesi presso gli anziani, iniziatanel 1982 con don Giuseppe Tosatto e don Franco Piano, la vide coin-volta con altre sette volontarie; mantenne l’impegno anche quando l’or-ganizzazione divenne più complessa e articolata. Suor Nadia ricorda lapuntigliosità nel preparare le catechesi che consistevano nella spiega-zione del Vangelo della domenica. Vittoria ci teneva molto anche adaccompagnare le sue assistite alla Confessione. «Se viene don Palearia confessare – diceva – devo proprio esserci così non gli faccio perde-re tempo e appena vedo che una ha finito accompagno l’altra». Preparòanche un piccolo dossier per l’accompagnamento dei gruppi in visitaalla Piccola Casa: un itinerario preciso, con l’esatto nome delle famiglie,dei reparti, delle caratteristiche proprie agli ambienti e alle persone iviospitate. Collaborò attivamente al recupero delle fotografie storichedella Piccola Casa con cui, nel 1986, fu allestita una mostra, in occa-sione del bicentenario della nascita di San Giuseppe BenedettoCottolengo, e fu pubblicato un catalogo. Nel 2004 fu insignita del rico-noscimento “In silenzio per gli altri” del Consiglio dei Seniores delComune di Torino. La sua vitalità di credente si esplicò oltre che alCottolengo anche all’UNITALSI dove si recava settimanalmente. Perl’Unione Pellegrinaggi preparava l’annuale treno per i malati e vi parte-cipava di persona. Dopo una malattia che le lascia delle insicurezze,Vittoria decide di andare in “pensione”, cambia residenza e da viaBoston si trasferisce in via San Donato presso le Suore Minime delSuffragio. Continua il suo servizio presso l’ufficio del volontariato esostituisce quello in corsia al Cottolengo con l’assistenza alle ospitinella nuova residenza. A un anno dalla sua morte la memoria di Vittoriarimane fresca, tanta e generosa è stata la sua presenza.

Sr. Giuliana Galli, Mariateresa Cerrato

CELESTINA PROVERAved. PROVERA

n. 25.11.1919 - m. 30.08.2010

Vieni,anima benedetta e santa,

entranella gioia del tuo Signore

La redazione di “Incontri” partecipa al dolore

di don Roberto.

ASSOCIAZIONE AMICI DEL COTTOLENGONella giornata di sabato 2 ottobre 2010 gli “Amici del Cottolengo“ riuniti in Assemblea,

in conformità con quanto stabilito dallo Statuto, hanno rinnovato gli organi direttivi.Presidente: Maurizio Dario - Vice Presidente: Maggiora Giorgio Consiglieri: Biava Vietti Ornella, Momesso Mario, Acquas Luisa

Segretaria: Faggiani Rosanna - Consiglieri onorari: Carissoni Mario, Remondino UgoAuguriamo un buon lavoro e assicuriamo il nostro sostegno

Mamma Celestina