Rivista Incontri 1-2010

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Fondato nel 1948 Anno 62° n. 1 - Gennaio 2010 Sped. in abb. postale comma 20, lett. C, Art. 2 - Legge 662/96 Taxe perçue -Tariffa riscossa To C.M.P. • Natale in caserma • Ospedale Cottolengo • Casa Accoglienza • Evangelizzare con i segni Fatica Si nasce, si muore, con fatica. In ogni azione, nella giornata si compie ogni cosa, che fatica. Coraggio! Mettiamoci entusiasmo! Chiediamoci: Per che cosa vivere? Viviamo per amare noi stessi e gli altri. Chiediamoci: Cosa ci spetta dopo la vita? Ci aspetterà l’aver vissuto quest’avventura, questa fatica del vivere. Questa vita di limiti. Ci aspetterà l’immensità del mistero d’Amore. Rita Corsi Rita Corsi, nata a Campi Salentina (Lecce), il 19/11/1960 entra nella Piccola Casa nel Febbraio 1962, attualmente in Santa Elisabetta. Natale in caserma Ospedale Cottolengo Casa Accoglienza Evangelizzare con i segni Fatica Si nasce, si muore, con fatica. In ogni azione, nella giornata si compie ogni cosa, che fatica. Coraggio! Mettiamoci entusiasmo! Chiediamoci: Per che cosa vivere? Viviamo per amare noi stessi e gli altri. Chiediamoci: Cosa ci spetta dopo la vita? Ci aspetterà l’aver vissuto quest’avventura, questa fatica del vivere. Questa vita di limiti. Ci aspetterà l’immensità del mistero d’Amore. Rita Corsi

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Periodico della famiglia cottolenghina

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Fondato nel 1948Anno 62°

n. 1 - Gennaio 2010

Sped. in abb. postalecomma 20, lett. C, Art. 2 - Legge 662/96Taxe perçue -Tariffa riscossa To C.M.P.

• Natale in caserma• Ospedale Cottolengo• Casa Accoglienza• Evangelizzare con i segni

Fatica Si nasce, si muore, con fatica.In ogni azione, nella giornata si compie ogni cosa, che fatica.Coraggio! Mettiamoci entusiasmo!Chiediamoci: Per che cosa vivere?Viviamo per amare noi stessi e gli altri.Chiediamoci: Cosa ci spetta dopo la vita?Ci aspetterà l’aver vissuto quest’avventura,questa fatica del vivere.Questa vita di limiti.Ci aspetterà l’immensità del mistero d’Amore.

Rita Corsi

Rita Corsi, nata a Campi Salentina (Lecce), il 19/11/1960 entra nella Piccola Casa nel Febbraio 1962, attualmente in Santa Elisabetta.

• Natale in caserma• Ospedale Cottolengo• Casa Accoglienza• Evangelizzare con i segni

FaticaSi nasce, si muore, con fatica.In ogni azione, nella giornata si compie ogni cosa, che fatica.Coraggio! Mettiamoci entusiasmo!Chiediamoci: Per che cosa vivere?Viviamo per amare noi stessi e gli altri.Chiediamoci: Cosa ci spetta dopo la vita?Ci aspetterà l’aver vissuto quest’avventura,questa fatica del vivere.Questa vita di limiti.Ci aspetterà l’immensità del mistero d’Amore.

Rita Corsi

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Periodico della Famiglia Cottolenghina e degliex Allievi e Amicidella Piccola Casa

n. 1 gennaio 2010

Periodico quadrimestraleSped. in abb. postaleComma 20 lett. C art. 2Legge 662/96 Reg. Trib. Torino n. 2202 del 19/11/71

Indirizzo: Via Cottolengo 1410152 Torino - Tel. 011 52.25.111C.C. post. N. 19331107Direzione IncontriCottolengo Torino

Direttore responsabileDon Carlo Carlevaris

AmministrazioneAvv. Dante Notaristefano

Segreteria di redazioneSalvatore [email protected]

Comitato di redazioneSalvatore AcquasMario CarissoniMauro CarossoDon Roberto ProveraRodolfo Scopelliti

Progetto graficoSalvatore AcquasValter Oglino

Prove digitaliLEM Stampa digitalevia Bologna 220 - TorinoTel. 011 2475546

Stampa:Tipografia Vincenzo Bona Strada Settimo 370/30 - TorinoTel. 011 273.77.77

I l p u n t o

Hanno sloggiato Gesu!S’avvicina il Natale e le vie della città s’ammantano di

luci. Una fila interminabile di negozi, una ricchezza fine,ma esorbitante. A sinistra della nostra macchina ecco unaserie di vetrine che si fanno notare. Al di là del vetro nevica graziosamente: illusione otti-ca. Poi bambini e bambine su slitte trainate da renne e animaletti waltdisneyani. E anco-ra slitte e Babbo Natale e cerbiatti, porcellini, lepri, rane, burattini e nani rossi. Ah! Eccogli angioletti… Macché! Sono fatine, inventate di recente quali addobbi al paesaggio bian-co. Un bambino con i genitori si leva sulle punte dei piedini e osserva, ammaliato.

Ma nel mio cuore l’incredulità e poi quasi la ribellione: questo mondo ricco si è «acca-lappiato» il Natale e tutto il suo contorno, e ha «sloggiato» Gesù! Ama del Natale la poe-sia, l’ambiente, l’amicizia che suscita, i regali che suggerisce, le luci, le stelle, i canti.Punta sul Natale per il guadagno migliore dell’anno. Ma a Gesù non pensa.

«Venne fra i suoi e non lo ricevettero…» «Non c’era posto per Lui nell’albergo…», neppure a Natale.Stanotte non ho dormito. Questo pensiero mi ha tenuta sveglia. Se rinascessi farei tante

cose. Fonderei un’Opera al servizio dei Natali degli uomini sulla terra. Stamperei le piùbelle cartoline del mondo. Sfornerei statue e statuette con l’arte più pregiata. Inciderei poe-sie, canzoni passate e presenti, illustrerei libri per piccoli eadulti su questo «mistero d’amore», stenderei sceneggiatu-re per rappresentazioni o film. Non so quel che farei… Oggiringrazio la Chiesa che ha salvato le immagini.

Quando sono stata, anni fa, in un paese in cui dominaval’ateismo, un sacerdote scolpiva statue d’angeli per ricorda-re alla gente il Cielo. Oggi lo capisco di più. Lo esige l’atei-smo pratico che ora invade il mondo dappertutto. Certo chequesto tenersi il Natale e bandire invece il Neonato è qualcosa che addolora.

Che almeno in tutte le nostre case si gridi Chi è nato, facendogli una festa come non mai.

CHIARA LUBICHTratto dal libro: E torna Natale, Edito da Città Nuova

“ La Redazione di “Incontri” augura a tutti i lettori un Natale di gioia e di pace ”

Ringraziamo la Tipografia “Vincenzo Bona” per lagentile collaborazione alla pubblicazione del nostroperiodico “Incontri”.Il Santo Cottolengo ripeteva spesso che il Signorenon manca di benedire i benefattori della piccolaCasa… e finora il Signore non si è mai smentito!!!

Per la Redazione Don Roberto Provera SSC

SOMMARIO

NOTIZIE

3 Il punto - Hanno sloggiato GesùChiara Lubich

4/7 Ospedale CottolengoLa direzione dell’Ospedale

14 Casa di spiritualità Mater UnitatisDon Paolo Squizzato

15 Verso le vette dello spiritoChiara Andreola - Città Nuova

22-23 Caritas Christi Urget Nos!Suor Luisa Busato

24 Professione Fratel Paolo RinaldiFratel Giuseppe Meneghini

27 Una bella presenza, in una città lontanaSessantacinque anni di ordinazione Don ValloRedazione

28 Elezione Superiora Generale Madre Giovanna MasséRedazione

29 Inaugurazione Padiglione FrassatiFanfara Brigata Alpina TaurinenseRedazione

30 Gli amici che ci hanno lasciatiFormica/Portigliatti/Scrimaglia/CarmelaRedazione

31 Leggiamo un libro- Schegge di vita contemplativaLe sorelle del Monastero Cottolenghino “S. Giuseppe”

SPIRITUALITÀ

10-11 L’AngelusPadre Gottfried Egger - Mario Carissoni

TESTIMONIANZE

8-9 Natale in casermaLeo Vercellone

12-13 HarambeeFr. Giuseppe Gaido

16-17 Evangelizzare con i segniDon Emanuele Lampugnani

18-19 Casa AccoglienzaLa Redazione

20-21 Casa dello spiritoR. Della Rovere

25 Mi chiamo MururuBlog Chaaria

26 La notte in cui diventai adulta era quasi il Natale del 1945Franca C. Bonzano

32 “Fatica” - poesiaRita Corsi

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La storia dell’Ospedale dellaPiccola Casa della Divina

Provvidenza, comincia il 17gennaio 1828, quando l’alloracanonico Giuseppe Cottolen-go, dà inizio all’assistenza degliammalati che accoglie nel“Deposito de’ poveri infermidel Corpus Domini” (poi comu-nemente chiamato della VoltaRossa). Il deposito rimaneaperto sino al mese di settem-bre 1831, quando viene chiusodalle autorità cittadine, allar-mate a causa di una grave epi-demia scoppiata in città.L’attività assistenziale però nonsi ferma; riprende il 27 aprile1832, in quella che è e continuaad essere, la Piccola Casa dellaDivina Provvidenza.Dal 27 agosto 1833,con ricono-scimento giuridico civile me-diante Regio Decreto, la Pic-cola Casa della Divina Prov-videnza, potrà annoverare l’atti-vità ospedaliera tra i suoi finiistituzionali legalmente ricono-

che ha determinato, e che deter-minerà il detto canonico Cot-tolengo al quale sarà lasciata lepiù ampia libertà, e non saràtenuto di rendere a chicchessiaconto del suo operato, persuasicome siamo che disporrà ognicosa in modo conforme a procura-re all’Istituto i maggiori vantaggipossibili e durevole esistenzaall’opera di Carità che è frutto disue cure”.

Nel 1835 il Calendario Gene-rale pè Regii Stati, registra edattesta la presenza nella PiccolaCasa di “infermerie” le quali

sciuti. In forza del Regio De-creto, l’Amministrazione del-l’Ospedale, come di tutta laPiccola Casa, sarà costituita dauna Direzione Singolare rap-presentata dal canonico Cot-tolengo e successivamente daisuoi successori. Nel sovranoprovvedimento si legge infatti:

“Approviamo, e vogliamo chericonosciuta sia l’esistenza legaledel mentovato pio Istituto, loaccogliamo sotto la Nostra specia-le protezione e prescriviamo chedebba continuare sempre ad esse-re governato secondo le norme

saranno comunemente deno-minate “Ospedale della PiccolaCasa” o più semplicemente“Ospedale Cottolengo”.Apprendiamo che “sei sono lesale destinate alla cura degliinfermi” e che tra gli ammalatisono da includere sia gli acutiche i cronici, in quanto all’epo-ca non era in vigore la specializ-zazione dei ricoveri ospedalieri.

“L’ospedale è destinato allacura di uomini e donne, di fan-ciulli e fanciulle, ammalati perla massima parte di infermità,che non sono curate negli altrispedali”.Si sottolinea che

“ gli infermi vi sono ricevutisenza eccezione veruna, di qual-siasi paese, o di qualsiasi nazio-ne eglino sieno”. I posti letto sono 175 e “nessu-no (era) mai lasciato vacante” Ilcalendario poi non tralascia diporre in evidenza l’interessescientifico della “clinica cosìinterna come esterna”, dal mo-mento che

“nelle infermerie della Piccolacasa sono raccolti i rifiuti deglialtri spedali”. Nella sala operatoria

“ quasi quotidianamente vifanno operazioni chirurgichesvariatissime, amputazioni, li-trotisie, estirpazioni di scirri, dicancri, e mille altre che sarebbetroppo lungo annoverare…”.L’allora Direttore Sanitariodella Piccola casa, il dott. Lo-renzo Granetti, nel 1841 cilascia scritto, che non solo nonvi era mai posto vuoto, ma sene trovava

“ sempre un numero di volantiper gli ammalati cronici che ina-spettatamente giungono da pae-si lontani”.

dell’Ospedale Cottolengo comeospedale di zona… Di fronteperò alle difficoltà che compor-tava una nuova classificazione,fu chiesta la revoca del provve-dimento, che viene accolta dalPresidente della RegionePiemonte in data 20/11/1972.Il 24 luglio 1976, la Piccolacasa richiede autorizzazioneall’apertura ed esercizio dellaCasa di Cura Cottolengo. Ladelibera della regione Pie-monte del 10 maggio 1977spiega così la richiesta:

“Detta domanda di autorizza-zione scaturisce dalla necessitàdi regolarizzare una situazionedi fatto esistente, circa il funzio-namento di detta Casa di Curaprivata, senza che agli atti risul-ti tuttora, se a suo tempo emes-sa, l’originario provvedimentoautorizzativo”.

Il 22 maggio 1981, con D.P.R.viene riconosciuta la naturagiuridica privata della PiccolaCasa.Arriviamo così sino ai nostrigiorni, al 16 maggio 2006,quando tre anni dopo la pre-

Inoltre il malato

“ ricevuto che egli è, se nonritorna al suo pristino stato disalute, e non possa procacciarsicolle sue fatiche il vitto giorna-liero non viene licenziato, e sevive finché la Provvidenza nonlo chiama a sé. Similmente, nonne viene accomiatato ancorchéla malattia prendesse caratterida poter essere accettato in altriospedali”.Nel 1939 l’ospedale della Pic-cola casa in virtù della leggeospedaliera del 1938 ottiene diessere classificato ospedale diterza categoria. Così si leggenel Decreto del Prefetto 20 giu-gno 1939:

“Ritenuto che l’Ospedale Cot-tolengo di Torino ha una mediagiornaliera di 130 degenze… ecorrisponde, in massima ai re-quisiti dell’Art, 6 delle norme dicui al R.D. per gli ospedali diterza categoria…”.

Il 27 maggio 1969 si prospettacome soluzione più confacentealla Piccola Casa quella dioptare per la classificazione

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Ospedale Cottolengo

Ospedale Cottolengo

Sono trascorsi ormaimolti anni dalla suanascita; soffermiamociun momento sul no-stro Ospedale e riper-corriamone insieme lastoria, con la gioia dirispolverare la nostramai appannata memo-ria, nel ricordo dellesue origini, per riaffer-marne lo spirito e ilmotivo del suo essere.

L’ospedale della Piccola Casa della Divina Provvidenza

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sentazione della domanda,l’Ospedale Cottolengo vienericonosciuto Presidio Sanitario.L’attuale denominazione. Ilpassaggio a Presidio Sanitario èstato riconosciuto dalla regionePiemonte con deliberazionedel Consiglio Regionale del 18maggio 2006, n° 69-16244.Cosa si intende per PresidioSanitario? Il termine Presidioindividua una vasta gamma direaltà, che vanno dal semplicepoliambulatorio sino ai policli-nici, dove l’attività di cura siassocia anche alla ricerca. Alsuo interno, possono esseregarantite prestazioni sanitariein regime di ambulatorio,pronto soccorso, ricovero inday surgery o ordinario.Quindi niente di straordinarioo di diverso, rispetto a… ieri.Nello specifico, per l’OspedaleCottolengo, rappresenta rico-noscimento della sua equipara-zione ai presidi pubblici, nellosvolgimento del compito, difatto storicamente sempre as-

colo 1 del regolamento appro-vato dal Ministero del Lavoro,della Salute e delle PoliticheSociali:

“L’Ente gestore del PresidioSanitario Ospedale Cottolengosito in Torino, via San GiuseppeBenedetto Cottolengo n° 9, èl’Ente Morale no profit PiccolaCasa della Divina Provvidenza,ente giuridicamente riconosciu-to con R.D.27 agosto 1833,iscritto nel registro delle personegiuridicamente riconosciute delTribunale di Torino in data 15ottobre 1992, al n° 1251”.

Nello stesso articolo viene spe-cificato il fine e il movente:

“La Piccola Casa della DivinaProvvidenza ha come fondamen-to e come anima la carità diCristo. Si prende cura, senza di-stinzione alcuna, della personaammalata, abbandonata, partico-larmente bisognosa, nella suadimensione umana e trascenden-te e pone al centro della sua

solto, di rispondere ai bisognidel territorio. Siamo cosi quigiunti all’ultimo passaggio buro-cratico, che si inserisce, ma noninterrompe la storia dell’Ospe-dale Cottolengo, che pur essen-do riconosciuto presidio sani-tario accreditato è e permanel’Ospedale della Piccola Casadella Divina Provvidenza. Ri-sulta ben specificato nell’Arti-

attenzione le fasce più debolidella Società. Afferma il valoresacro della vita umana e promuo-ve la dignità di ciascuno [….]secondo le finalità datele dalfondatore San Giuseppe Cotto-lengo, anche attraverso lo svol-gimento dell’attività ospedalierae L’Ospedale Cottolengo è quindiparte della Piccola Casa dellaDivina Provvidenza i cui poveriserve perciò prioritariamente”.

E cosi continua tutt’ora; bastaleggere nel 2008 quante presta-zioni ambulatoriali e diagnosti-che gratuite, e il ricovero di 11persone totalmente prive dicopertura sanitaria. Le preno-tazioni ambulatoriali poi, oscil-

continua alla Mission dellaPiccola Casa della Divina Prov-videnza. A tutti gli operatori, dipenden-ti e liberi professionisti, al mo-mento dell’assunzione o dellastipula del contratto, vienechiesto di sottoscrivere unimpegno a partecipare alla spe-cifica missione della PiccolaCasa e ad osservarne i principietico morali propri di un istitu-to cattolico.Per concludere, ci sembra dipoter dire che da questa carrel-lata, che per necessità di spazioha molto sintetizzato e ridottonotizie molto più ampie, i valo-ri d’essere dell’Ospedale Cot-tolengo, pur nello scorrere deltempo, emergono sempre confedele trasparenza.Riaffermano, che anche attra-versando grandi cambiamenti,politici, normativi e di rappor-to con una popolazione sul ter-ritorio fortemente cambiata,continuano a portare avanti,oggi come ieri, testimonianzadi umanizzazione e di difesadella vita; dal suo concepimen-to sino alla morte, con pre-cedenza per gli ultimi e porta-no l’annuncio evangelico cometestimonianza della carità, in-vestendo nella ricerca secondoi principi della Chiesa.Rappresentano infine, un mo-dello di governance obiettivo etrasparente.Nostro augurio e impegno èche i valori della mission e lostile di servizio cottolenghino,nell’Ospedale Cottolengo, nonvengano mai meno.Diversamente non avrebbe ra-gione di esistere.

La Direzione dell’Ospedale

lano tra 70 e 100 ogni giornoe testimoniano il gradimentodei nostri servizi.La Presidenza del Consiglio diAmministrazione del PresidioSanitario, così come lo era al-l’alba della Piccola Casa è rap-presentata dal Padre Generale,unico e legale rappresentantedella Piccola Casa della DivinaProvvidenza. Il Consiglio ècomposto di due SacerdotiCondirettori, dal SuperioreGenerale dei Fratelli e suoVicario, dalla Superiora Gene-rale delle Suore e sua Vicaria. Il personale, infermieristico,assistenziale e amministrativo èin grande maggioranza laico;non manca però la formazione

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caserma

Eravamo alla fine degli anni50 e la stazione dei carabinie-ri che comandavo, contavacinque unità: comandante,suo vice e tre carabinieri, unodei quali l’autista del ca-mioncino FIAT-ELR, asse-gnatoci da poco. L’automezzoera dotato di cassone copertoda telone, con due panche dilegno perché così, in caso dinecessità, sei militari poteva-no sedere faccia a faccia.

Consuetudine di quel reparto, erache alla vigilia del Santo Natale,tutti i componenti e loro famiglia-ri si riunissero nella sala mensa perconsumare insieme la cena natali-zia, di solito preparata dal militarepiù abile ai fornelli. Questo sifaceva perché si voleva dare aicelibi l’opportunità di non sentirsisoli in questi particolari giorni difesta. Sapevamo che lontani dalleloro contrade sognavano connostalgia, tavole imbandite e tuttoil calore della famiglia unita. Almomento, il soggetto meglio pre-parato in gastronomia era il vice,che la spuntava nei confronti dichiunque amasse cimentarsi intale delicata materia. E così, ilgiorno della vigilia, coadiuvatodal piantone della caserma, simise all’opera per preparare unacenetta con manicaretti di esclu-sività pugliese,essendo lui diquelle parti. Puntuali alle nove disera celibi e ammogliati con lerispettive consorti e figliolanza,si trovarono seduti attorno altavolo da pranzo della caserma,

il bravo “cuoco” si era industriatoa preparare le “pettole” e le “car-tellate “ al miele mantecato confichi secchi, ricoperte di pallinedolci colorate, mentre il piantone,campano d’origine, aveva messo adisposizione la “pastiera”, prepa-rata con tanto amore dalla fidan-zata partenopea. Quattro bottigliedi “cannonau”, inviate al nostroautista dai genitori sardi, comple-tavano il menu della serata.Alle 23,30, come da brogliaccio,l’automezzo di servizio,lasciò lacaserma con l’autista e il coman-dante in cabina, mentre il carabi-niere più giovane sistemato nel

cassone si sarebbe sorbito la pol-vere di strade non asfaltate e latemperatura rigida di una nottesenza stelle. L’appuntato aiutatodalle signore presenti e dal pian-tone, avrebbero provveduto arigovernare le stoviglie, natural-mente a mano perché all’epocanon esistevano lavapiatti auto-matiche, non erano ancora stateinventate. Il camioncino si fermòsul sagrato della Chiesa Parroc-

capace di ospitare sino a venti per-sone; il desco debordava di preli-batezze che andavano dalla sop-pressata calabra fornita dal carabi-niere diciottenne appena promos-so, cui i genitori, per il primoNatale fuori casa non avevano farmancare le buone cose della suaterra; ai “lampacioni” amari op-portunamente conditi, che ad ini-zio pasto avrebbero stuzzicati isucchi gastrici; alle orecchiettecon cime di rapa, poi le triglie alcartoccio che spandevano il loroprofumo nell’ambiente e oltre,segnando il senso della festa che siandava a celebrare. Come dessert

chiale e i tre militi entrarono neltempio per presenziare alla Messadi mezzanotte. L’ufficio religiosocominciò poco dopo, inondatodalle vibranti note di un organo,che accompagnava una cantoria diprim’ordine giunta da lontano persolennizzare le varie fasi della cele-brazione. All’elevazione tutti siinginocchiarono, tranne i treuomini in divisa che, disposti nelprimo banco della fila destinata aimaschi, si misero sull’attenti,restando immobili come pali. Alla scampanellata che annuncia-va la fine del momento più impor-tante della celebrazione, giunse unuomo trafelato e balbettante che siavvicinò per riferirci di una telefo-nata ricevuta dalla caserma. Era ilfarmacista del paese che raggiuntoal suo telefono di casa, avevaavuto dal piantone l’incarico dicercarci in chiesa, per informarciche in una frazione situata nelpunto più alto del nostro territo-rio, una partoriente si trovava inserie difficoltà e la levatrice chel’assisteva chiedeva aiuto per iltrasporto all’ospedale. In quel-l’epoca le autoambulanze eranopoche e le si vedeva solo nelle cittàe loro periferie. Non ci restava chedirigerci in loco per tentare di ese-guire il trasporto con il nostroautomezzo. Quando giungemmoalla località indicata, un nevischiogelido batteva secco sul parabrez-za del camioncino. La partorienteera realmente in cattive condizio-ni. La levatrice che l’assisteva ciinformò che se non avessimo rag-giunto al più presto l’ospedale perun taglio cesareo, madre e figlioavrebbero potuto rischiareentrambi la vita. Il nascituro era dipeso eccezionale e si presentavapodalico con nessuna possibilitàdi poterlo rivoltare. L’aspirantepuerpera, prelevata dal suo lettodi dolore, fu adagiata al centro delcassone del camioncino, avvolta inun paio di trapunte di lana. Sulla

come si potrebbe pensare il neo-nato, ma il giovane carabiniere chespinto da una nausea incontrolla-bile, intendeva raggiungere al piùpresto una siepe, oltre la qualerestituire alla natura tutta la cenanatalizia… con buona pace delcuoco, dei parenti premurosi e delcannonau color rubino. Era scon-volto il povero ragazzo! Pallido etremante mi venne incontro e siscusò. Lo rincuorai dicendogliche il suo stato era comprensibile,data la delicata funzione che gliera stata affidata e lo sballotta-mento dell’automezzo, costretto acorrere a velocità sostenuta sustrade non asfaltate e per giuntainnevate. Il taglio cesareo, com-piuto da un chirurgo d’eccezione,portò alla luce un maschio prodi-gioso del peso di ben cinque chili.Puerpera e nascituro, al quale fuimposto il nome di Natalino, mira-colosamente se l’erano cavata, ecosì , tutto finì felicemente…. ingloria.Alle fine degli anni 80, fui invitatodalla sezione A.N.C. di quella mialontana sede di servizio, per parte-cipare alla commemorazione deltrentennio del sodalizio che avevocontribuito a fondare. Nel corsodella cerimonia, fui chiamato ariconoscere un socio in divisasociale, di una non comune costi-tuzione fisica, ma con nessun trat-to somatico che mi tornasse allamemoria. Quando però si presen-tò con il nome di Natalino, allorasubito la mia mente corse all’epi-sodio di quel lontano Natale 1950e gli andai incontro festoso per unabbraccio caloroso, come si trat-tasse di un figlio mio.

Leo Vercellone

L’autore dello scritto, all’epoca in cui inol-trammo richiesta di collaborazione, era undirigente della sezione A.N.C. Torinese edè certamente anche merito suo se oggigodiamo di un servizio animato da queisentimenti ben evidenziati nel racconto checi è stato donato.

panca sinistra sedette il marito,che accarezzandole teneramentela mano le faceva sentire la suapresenza e partecipazione. Leiperò, soffriva di dolori intensissi-mi, cosicché continuava a lanciareurla strazianti impressionando ilgiovane carabiniere, che sedutoalla sua destra, aveva il compito difar luce con una potente torcia sul“campo d’intervento”; le gambedivaricate della povera donna,davanti alle quali, l’ostetrica, ingi-nocchiata sul fondo del cassone,continuava a manipolare il feto,per evitare che si potesse strango-lare con il cordone ombelicale, nelcaso avvenisse un’espulsioneimprovvisa. La neve intanto si eramessa a scendere a larghe falde el’opera dell’autista si faceva sem-pre più difficile. Impiegammo trequarti d’ora per raggiungere ilnosocomio e quando il mezzo sifermò davanti al portone d’ingres-so del pronto soccorso, ci sentim-mo tutti sollevati. Avvertiti dallanostra caserma un medico e dueportantini ci stavano aspettandosulla soglia con la barella. Lasciaila cabina dell’automezzo ancorprima che l’autista spegnesse ilmotore, per precipitarmi a sgan-ciare il portellone del cassone;operazione che sapevo difficileper chi si trovava all’interno.Avevo appena abbassato il batten-te, quando un corpo come sparatoda un cannone da circo, m’investìfacendomi barcollare. Non era,

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Natale in...

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trebbero svegliare icittadini stressati.Ma forse c’è da spe-rare che proprio inun tempo in cui fer-vono le discussionisulla presenza dellemoschee in Europa,non scompaia que-sta antica “sveglia”cristiana!L’uso della preghieradell’Angelus risaleinfatti al XIII secolo.Francesco d’Assisi,che nel suo viaggiomissionario si eraspinto fino in Orien-te, rimase pro-fondamente impres-sionato dal muezzinil quale, cinque volteal giorno dal minare-

to, invitava i fedeli a lodare Diogridando: “Allah è grande, nonc’è nessun Dio eccetto Allah!”.Tornato in Italia, Francescovolle che quest’uso, sebbene inaltre forme, venisse introdottoanche nelle nostre terre. Cosìscrive ai superiori, i Custodi delsuo ordine:

“E dovete annunciare e predica-re la sua gloria a tutte le genti,così che ad ogni ora, quando suo-nano le campane, sempre da tuttoil popolo siano rese lodi e grazie aDio onnipotente per tutta laterra” (Lettera ai Custodi 1,8).”Scrive anche una lettera ai reg-gitori dei popoli, in cui manife-sta lo stesso desiderio:

“E siete tenuti ad attribuire alSignore tanto onore fra il popolo avoi affidato, che ogni sera siannunci, mediante un banditore oqualche altro segno, che siano reselodi e grazie all’onnipotenteSignore Iddio da tutto il popolo”(Lettera ai reggitori dei popoli, 7).

Una volta, quando la vita erapiù ordinata e tranquilla, anchese non più facile di oggi, si pre-stava più attenzione a questosuono. I contadini interrom-pevano il lavoro nel campo o acasa, toglievano il cappello e siinginocchiavano pregando l’An-gelus. Quanta gioia e forza davaquesta preghiera recitata alsuono delle campane! In alcunicasi la preghiera veniva recitataanche prima dei pasti. Si pensa-va così all’Incarnazione di Dio.L’Incarnazione è il punto disvolta della storia della Sal-vezza: una donna, Maria, hacollaborato con la grazia di Diocome nessuna altra persona almondo. È divenuta la portaattraverso cui Dio ha potutoentrare nel mondo; il quotidia-no suono delle campane vuolericordarci proprio questo fatto.Nella nostra società il ritmodella vita e del lavoro è forte-mente cambiato. Le campaneal mattino tacciono perché po-

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Il rintocco delle campane ci ricorda il mistero dell’Incarnazione, l’inaudito dono

di un Dio che si fa prossimo agli uomini.

L’AngelusL’Angelus

Le campane delle nostre chiesesuonano tre volte al giorno:

al mattino, a mezzogiorno esera. Ai nostri giorni questosuono non è più di moda e invari paesi e città (in Italia maanche in Europa), c’è chi hafatto causa alla parrocchia con-tro il suono mattutino dellecampane. Eppure questo suonoappartiene alla nostra tradi-zione!Certamente molti nostri con-temporanei non capiscono piùil significato di questi rintocchi;ne consegue che il rumore deltraffico stradale, delle fabbri-che e delle mille espressionidella nostra vita frenetica nonlasciano più udire il tocco leg-gero delle campane delle chie-se. Chi se ne accorge? Nellenostre scuole la campanellaindica la fine della lezione;nelle fabbriche la sirena avvisache è l’ora della pausa o delcambio del turno, ma non sisentono più le campane.

L’iniziatore dell’An-gelus come lo cono-sciamo fu fra Be-nedetto Sinigardidi Arezzo. Neglianni della gioventù,era l’anno 1211,egli udì predicare ilsanto di Assisi nellacittà di suo padre.L’uomo, cresciutoalla maniera dei no-bili, fu a tal puntoconquistato dallasua parola da deci-dere di entrare nel-l’Ordine. Fra Bene-detto ricevette per-sonalmente il saioda Francesco e a 27anni divenne pro-vinciale della Marca di Ancona.Il suo spirito missionario lo con-dusse successivamente in Gre-cia, Romania e Turchia, dovevisse lo scisma tra la Chiesaoccidentale e orientale. Quindisi recò nella terra di Gesù dovegli fu affidato dai Frati di TerraSanta il servizio di Provinciale.Lavorò instancabilmente per 16anni in questa provincia e inquesto tempo fondò il primoconvento francescano a Costan-tinopoli. Nel 1241 ritornò inpatria nella sua città di Arezzo,e introdusse tra i suoi confratel-li del convento la seguente anti-fona mariana. “Angelus Dominilocatus est Mariae”, (l’angelo delSignore portò l’annuncio a Ma-ria). Dispose che questa antifo-na fosse pregata alla sera, dandoun segnale con il suono dellecampane. L’esempio di Arezzofece scuola. San Bonaventura,rinnovatore dell’Ordine france-scano, durante il Capitolo Ge-nerale di Pisa del 1263, prescris-se ai suoi fedeli:

“ I Frati devonoinvitare i fedeli asalutare Maria trevolte, quando allasera suona in con-vento la Com-pieta. Devono far-lo con le stesse pa-role con cui l’An-gelo Gabriele sa-lutò Maria, ossiacon l’Ave Maria”(Lc 1,38).”Il Capitolo Pro-vinciale dei FratiMinori a Padovanel 1294 ordinòquanto segue:

“ In tutti i con-venti si suoni bre-

vemente la campana tre volte allasera per onorare la Madre di Dio.I frati devono inginocchiarsi e pre-gare tre volte: «Ave Maria».”Nel Medioevo, sullo sfondo diquesta pia raccomandazione dipreghiera, nasce la convinzioneche l’Angelo del Signore abbiaportato l’annuncio a Maria disera. Papa Giovanni Paolo II, il23 maggio 1993 visitò Arezzo esostò a pregare davanti allatomba del beato BenedettoSinigardi e disse: “È sempremolto efficace fermarsi a mez-zogiorno e pregare la Madon-na. Oggi è particolarmentesignificativo perché noi ci tro-viamo nel luogo in cui secondotradizione è nato l’uso dell’An-gelus”.Nel resto del mondo il suonoserale delle campane si in-trodusse dapprima nel 1307 aGran (Ungheria), quindi aRoma nel 1327, Papa GiovanniXII nel 1318 ordinò che ognigiorno, alla sera, al suono dellecampane si onorasse la Vergine

Maria con la recita dell’“Ave”. In un lungo processo temporalesi è così “cristallizzato” il salutoangelico che conosciamo. L’Angelus nella forma odierna sitrova per la prima volta nell’Of-fizium Parvum Beatae VirginisMariae, edito nel 1571 duranteil pontificato di Papa Pio V.La preghiera che accompagnal’Ave Maria al suono delle cam-pane al mattino, a mezzogiornoe sera, si è affermata in genera-le alla fine del XVI secolo; inorigine era la preghiera dellaMessa della solennità dell’An-nunciazione, il 25 marzo. Nel Messale approvato dalPapa Paolo VI è la colletta dellaMemoria della Beata Verginedel Santo Rosario, il 17 ottobre.L’Angelus si caratterizza comeuna preghiera che scandisce i trepunti centrali della giornata ed èuna sorta di breviario popolare,che aiuta a santificare il tempodel giorno. “L’Angelo del Signore” vuolesempre ricordare a noi quantosiamo preziosi agli occhi di Dio,al punto tale che si fece uomoper redimerci.

Padre Gottfried Egger trascritto da Mario Carissoni

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Partecipano in tanti; si scherzainsieme. È davvero una festa divillaggio. Anche i poverissimi, riconosci-bili dai miseri vestiti e a voltedalla assenza di calzature, vo-gliono contribuire con i pochiscellini a loro disposizione. I bambini poi sono i signoridella festa: si rincorrono qua elà, ridono e danzano; mangianofrutta e si divertono a ripeterele azioni dei grandi.Alla fine della festa, prima dellapreghiera conclusiva, ognunosi presenta personalmente allepersone che hanno organizzatol’Harambee, e consegna, in bu-sta chiusa, quanto aveva decisodi dare.Il pomeriggio odierno è statomolto positivo per Kaimenyi.

ceremony), usando un microfo-no collegato a dei grossi ampli-ficatori presi a prestito, comin-cia la Maketha vera e propria:ci sono beni in natura che ven-gono venduti all’asta. Ogni sin-golo prodotto (può essere unagallina, una canna da zucchero,frutta o uova) è presentatoall’assemblea con un prezzo dibase simbolico. A questo punto inizia la gara disolidarietà. I presenti comincia-no ad alzare il prezzo fino aquando non si trova un nuovoacquirente: a questo punto,con solennità il master of cere-mony conta fino a 3 e poiaggiudica l’oggetto in questio-ne a chi ha offerto di più.La cosa continua per molte ore:la gente si diverte e sorride.

La gente è stata assai gene-rosa, e la cifra raccolta supe-ra l’ammanco ancora neces-sario per poter pagare lascuola. Lo vedo molto feli-ce, e mentre ritorno a piediverso l’ospedale, rifletto suquesta idea solidale che hovisto solo in Kenya.L’Harambee è un concettomolto profondo, ed anchesemplice nello stesso tempo:si parte dalla considerazioneche tutti, prima o poi, pos-sono essere nel bisogno. Oggi sono io ad avere unproblema: può essere unricovero ospedaliero, unintervento chirurgico o uncorso di studi da pagarecome nel caso di oggi aChaaria. Domani sarà il miovicino ad essere nelle stessecondizioni. È quindi naturale che io aiuti imiei compaesani nella neces-sità, perchè se oggi lo faccio io,posso essere sicuro che domaniloro faranno altrettanto quan-do le difficoltà arriveranno a

moltissimo e che potremmosintetizzare come: “l’unità fa laforza!”. Infatti, anche se ognu-no può contribuire solo pochiscellini, ma tutti partecipanogenerosamente e massivamen-te, alla fine della giornata si rac-colgono cifre impensate didenaro. È come una circolazione di ric-chezza che la popolazionemette collettivamente a dispo-sizione di un membro in unmomento particolare della suavita, sicura che poi il favoreverrà restituito a tempo debito.Che bella questa idea, chedovremmo esportare anche inItalia.

Grazie Kenya; grazie gentepovera che sapete insegnare airicchi.

HARAMBEE KENYA

Fr. Giuseppe Gaido

casa mia. Questo è davvero un bel concet-to di solidarietà tra poveri, e noiEuropei dobbiamo impararemolto da loro. Io per esempionon l’ho mai visto fare in Italia!L’Harambee si basa poi suun’altra idea che a me piace

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HarambeeUn esempio di solidarietà Kenyana

Harambee

Oggi pomeriggio sono stato a casa di Kaimenyi.C’era la Harambee, o Maketha in Kimeru, per-chè sua sorella ha ricevuto la possibiltà di iscri-versi alla scuola per tecnici di laboratorio, ma acasa non ci sono soldi.

Perdere l’occasione del collegesarebbe stato un peccato per-chè è così difficile entrarvi, maanche iscriversi costituisce unpeso che le povere finanze dellafamiglia non riescono a soste-nere. Ecco perchè hanno orga-nizzato la Harambee.Si tratta di una festa popolare,in cui ci sono musiche e canti.Quando arrivi, qualcuno tiaccoglie con una brocca diacqua calda per farti lavare lemani; poi ti viene offerto ilpranzo, e quindi ti siedi tran-quillamente nel cortile dellafamiglia che ha organizzato lafunzione, parlando con gli altrimembri del villaggio che sonointervenuti numerosissimi.Dopo un pò di tempo il coordi-natore della festa (master of

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come ha ricordato il presidentenazionale dell’Azione cattolicaFranco Miano, è stato «un giova-ne capace di grandi atti d’amo-re», il cui amore per la montagna«corrispondeva alla passione perle vette dello spirito». Né soloperché, per dirla con Bonino,«Pier Giorgio tracciava sentieridi vita per chi vuol vivere e nonvivacchiare». Ma anche per la“cultura della montagna” che ilsuo esempio promuove, come hasottolineato mons. Anfossi: daun lato l’invito a contemplare levette nella preghiera e nella lode,dall’altro nella consapevolezzache «in montagna si cammina».Camminare insegna «il rispettoper la montagna nella sua durez-za: non dobbiamo abbassare levette per arrivare in cima senzafatica».Una montagna che educa allefatiche della vita, che Frassatinon ha mai voluto evitare. Na-to in una famiglia agiata, la suascelta preferenziale per i poverifino al dono totale di sé si sposacon l’amore per le cime. Lafatica di raggiungere la vettasvanisce di fronte all’incantodell’arrivo: così l’amore chetorna è sempre moltiplicatorispetto a quello che si dà.Moltiplicazione che, nel caso diFrassati – beatificato da Gio-vanni Paolo II nel 1990 – siesprime anche in questo proli-ferare di sentieri che lo ricorda-no. Sentieri per camminare,per ammirare e per lodare: per-ché la montagna sia, secondo

l’insegnamento dalui lasciato e riporta-to nella targa com-memorativa, «pale-stra che allena, scuo-la che educa e tem-pio che eleva».

Chiara Andreolada “Città Nuova”

Verso le vettedello spirito

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In Val d’Aosta un nuovo sentiero intitolato a Pier Giorgio Frassati. Un percorso di fede tra panorami mozzafiato

E siamo a quindici: con l’inau-gurazione in Val d’Ayas del sen-tiero Frassati, l’iniziativa “Perincontrare Dio nel creato” lan-ciata dal Club alpino italianonel 1996 ha regalato anche allaVal d’Aosta un sentiero dedica-to al giovane piemontese.La proposta è partita da un gio-vane genovese, che LucianoBonino del Servizio sentieristicodella Regione aveva accompa-gnato in montagna. È così venu-to a sapere che in Val d’Ayas,dove un suo amico aveva ulti-mato un sentiero ad anello, c’èla casa dove la famiglia Frassatipassava le vacanze. Così dome-nica 21 giugno, con lacelebrazione presiedu-ta dal vescovo diAosta, mons. Anfossi,il sentiero è stato inti-tolato.Il percorso inizia aSaint-Jacques. Unacomoda mulattieraporta a Fiéry (1.875

metri) dove sorge l’ex albergoBellevue, frequentato daiFrassati. Prosegue poi in dire-zione Cime Bianche fino al-l’Alpe di Vardaz (2.334) perscendere verso il pianoro diCeres e quindi Pian di Véraz.Da qui un sentiero in mezzacosta conduce a Résy, dove unaterrazza naturale offre un pa-norama da incanto – oltre a unristoro ai rifugi Ferraro eGuide Frachey. Si riprende poila discesa verso Saint-Jacques,durante la quale si incontra latarga commemorativa dedicataa Frassati.Ma perché dedicare un sentieroa Frassati? Non soltanto perché,

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Verso le vettedello spirito

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domenica per le persone sordedi Torino.Tale Messa viene celebrata alleore 11,00 nella chiesa dell’existituto Prinotti (ora sede del-l’Ente Nazionale Sordi - ENS)in Piazza Bernini (più precisa-mente C.so Francia, 73); ad es-sa partecipano in media 30-40persone sorde, mentre in ricor-renze solenni, come la messa dimezzanotte di Natale o ladomenica delle Palme, i parte-cipanti sono anche più 150.Una volta al mese inoltre, sem-pre nella chiesa del Prinotti, siritrovano gli iscritti all’AzioneCattolica Italiana Sordi (ACIS),per seguire una conferenza su

linguaggio dei segni) tre o quat-tro volte all’anno per aiutare adamministrare il sacramentodella riconciliazione durante

alcune feste liturgi-che solenni.Da circa quattro an-ni invece, a causadel trasferimento aRoma di PadreLoretti (e successi-vamente della suanomina a superioregenerale della con-gregazione), i preticottolenghini, in

accordo con il Cardinale diTorino, hanno preso l’impegnodi celebrare l’Eucarestia ogni

temi religiosi e svolgere le atti-vità tipiche di ogni gruppo diAzione Cattolica.In un articolo del giornale tri-mestrale “Silentorinese” delmarzo 2007 il presidentedell’ENS della sezione torineseAlfonso Chiapparo scrive:

“La chiesa del Prinotti non soloè un monumento per i sordi (èl’unica chiesa costruita per i sordiin Europa), ma è anche un veroed attivo luogo di culto per isordi”.Tale chiesa ha vissuto un mo-mento particolarmente solenneil 28 gennaio 2006 durantel’inaugurazione svolta dal Car-dinale di Torino SeverinoPoletto, alla conclusione deilavori di ristrutturazione.

possono serenamente coltivarele loro relazioni di amicizia.Ringraziamo allora la DivinaProvvidenza che ha permesso ilnascere di questa amicizia tral’opera cottolenghina e lel’ENS. L’evangelizzazione delle

persone sorde infatti certa-mente rientra nella missioneaffidata da Gesù alla Chiesaquando disse: “Andate in tuttoil mondo e predicate il Vangeload ogni creatura” (Mc 16,15).

Don Emanuele Lampugnani(prete del Cottolengo)

zione consistente, an-che se poco visibile.Penso che sia importan-te e significativo che laPiccola Casa si sia presaa cuore anche la lorocura pastorale, oltre chedi quella delle personesorde già presenti in es-

sa. Ricordiamo infatti come ilSanto Cottolengo fondò delle“Famiglie” per accogliere per-sone sorde povere e come luistesso si impegnò ad imparareil linguaggio dei segni per riu-scire a ben comunicare conloro, mostrando così nei lororiguardi grande affetto.La chiesa del Prinotti è quindiun punto di riferimento spiri-tuale per le persone sorde diTorino: loro sanno che ognidomenica (ed ogni festività) c’èuna messa per loro ed un sacer-dote a disposizione per le con-fessioni.Ma la chiesa del Prinotti vuoleanche essere uno sprone pertutte le comunità parrocchialitorinesi affinché sappianoprendersi cura delle personesorde presenti nelle loro comu-nità; sarebbe infatti auspicabile(anche se probabilmente è unautopia) che ogni domenica cifosse almeno una messa par-rocchiale con presente uninterprete per aiutare le perso-ne sorde a partecipare in modoattivo ad essa; anche se èimportante sottolineare, a que-sto riguardo, l’esigenza dellepersone sorde, pur in un cam-mino di integrazione, di avereluoghi (non solo in ambito reli-gioso ma anche culturale ericreativo) “per loro”, nei quali

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Evangelizzare con i segni

Tale collaborazione nacque dauna richiesta di Padre AntonioLoretti (il prete della PiccolaMissione che per molti anni hasvolto il suo ministe-ro per le personesorde a Torino e inun centro specializ-zato a Pianezza)che, trovandosi soloa sostenere tale mi-nistero, si rivolse aiSuperiori del Cotto-lengo chiedendo unaiuto.All’inizio la collabo-razione consisteva solo nellapresenza di un pretecottolenghino (conoscitore del

Sono ormai alcuni anni che i sacerdoti cottolenghini collaborano con i preti della “Piccola Missione per i sordi” per la cura pastorale delle persone sorde di Torino e dintorni.

Evangelizzare con i segni

Pensando alle persone sordesorge generalmente spontaneauna domanda: “Quante saran-no?”; ecco allora alcuni dati: lepersone sorde sono circa 1.500in Torino, 4.000 in Piemonte,70.000 in Italia e 7.000.000 nelmondo. È quindi una popola-

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È la realtà di un servizio che risponde alle esigenze primarie delle persone

In via Andreis, quasi all’ango-lo con la zona mercatale diPorta Palazzo, incontriamo unapiccola porta. Piccola , comequella del numero 14 di viaCottolengo; apparentementeentrambe insignificanti, eppuresono le depositarie del grandecuore della Piccola Casa dellaDivina Provvidenza, le bracciaaperte per l’incontro con le po-vertà dei fratelli, due portedove il Caritas Christi urget nossi propone imperioso.Abbandoniamo per un mo-mento quella del numero 14 edentriamo in quella di viaAndreis, la porta della CasaAccoglienza e raccogliamo duediverse esperienze. L’ una è lavoce di Fratel Stefano, respon-

sabile di questo servizio, men-tre l’altra è quella di un volon-tario.Fratel Stefano non ha dubbi:“la Piccola Casa della DivinaProvvidenza, per volontà delsuo fondatore San GiuseppeBenedetto Cottolengo, prestaparticolare attenzione alle fascepiù povere e più emarginate ela Casa Accoglienza è la realtàdi un servizio che risponde alleesigenze primarie di questepersone”. Qui, in questa casa accoglientee dotata dei servizi essenziali,quotidianamente si accolgonocirca 500 persone alle qualivengono offerti diversi servizi,quali i pasti, la possibilità dicurare l’igiene personale, cam-

bio di vestiario, assistenza me-dica, ospitalità notturna quan-do necessaria e ancora, aiutonell’orientamento verso servizisul territorio utili per le loronecessità. Obiettivo immediatoe principale della Casa Acco-glienza è anzitutto creare unclima di famigliarità, affinché ipoveri si sentano accolti e valo-rizzati, in quanto figli di un Diomisericordioso, e mai giudicatiin base alla loro condizione divita apparente. Per tutto que-sto ci sono io (Fratel Stefano),coadiuvato da suor Irene, quat-tro operatori e numerosi volon-tari. Completano il servizio ladottoressa Limone e il cappel-lano cottolenghino don Ema-nuele. La maggior parte delle

valutazione, sino adarrivare o meno al-l’accoglienza.Il nostro volontario,rispetto al servizio chesvolge presso la CasaAccoglienza, esprimeuna breve riflessionedella sua personaleesperienza. È arrivatolì perché tempo ad-dietro, come spesso

capita, un amico pure volonta-rio, gli propone di aggregarsi algruppo di questi volontari e luiaccetta. Così si presenta a FratelStefano e inizia il volontariato.Confesso che quest’esperienzami offre ogni giorno variegatesensazioni e stati d’animo.Praticamente, dopo aver ordi-nato le pietanze che arrivanodalla cucina centrale della Pic-cola Casa e che arrivano pun-tuali nei tempi previsti, verso leundici siamo pronti per co-minciare. Recitiamo tutti in-sieme il Padre Nostro per rin-

graziare del cibo donato e poivia, si inizia la distribuzione. Ingruppi di 20 ogni volta entranogli ospiti, donne, uomini, gio-vani, meno giovani, anziani;tutti di diversa fede religiosa,mussulmana compresa. Quanta

umiltà, quanta gentilezza die-tro quei gesti di accettazionedel piatto servito,o di quellerichieste di abbondare magariun pochino la porzione con lapasta invece che con il secon-do, o con il contorno. E se dai,oppure no, perché non puoispiegando che devono mangia-re tutti e sono ancora tantiquelli in attesa di passare, nonreclamano, ti regalano ugual-mente un sorriso, oppure unpollice all’insù, o ancora ungrazie. Come sono importantila comprensione e la carità inquesti momenti. Naturalmentein mezzo ad un gruppo tantonumeroso c’è sempre un’ecce-zione, qualcuno che trascendele regole del quieto vivere, maper fortuna sono una minoran-za. Ci si conosce e si parlaormai con tutti, ed è a motivodi questo, che quando scam-biando una opinione o facendouna battuta spiritosa, rallentiun poco la fila che si ferma un

attimo di troppo, dalfondo giunge una solle-citazione imperiosa:”andiamo avanti cheabbiamo fame ?” En-tro le 12,30 circa, quasitutti sono passati, fattosalvo l’immancabile ri-tardatario di turno;qualche volontario loserve, lui ringrazia, sisiede al tavolo e comin-cia a mangiare e finitoci saluta. Abbiamo finito anche

noi e anche se alcuni ospitisono ancora presenti, tuttiinsieme, ci si saluta e ci si dàl’arrivederci al giorno dopo.Contenti di aver fatto il propriodovere.

La Redazione

persone che bussano alla portadella Casa Accoglienza è dinazionalità straniera; prove-niente per la maggior partedall’Africa, dai paesi dell’EstEuropeo, dal sud America,qualcuno anche se in piccolinumeri, dall’Iraq e dall’Afga-nistan. Per tutti vale la regolache l’accoglienza ha la duratadi 5 mesi; da questa regola sonoescluse le persone con proble-mi di salute fisica o mentale,per le quali viene concesso unulteriore prolungamento.Questa è una scelta, un modoper evitare che siadagino in una for-ma di assistenziali-smo comodo, trascu-rando così la “fa-tica” di trovare, purin mezzo alle moltedifficoltà che benconosciamo, un la-voro e un’esistenzanormale. Il discorsoè diverso per gliospiti italiani; questiprima di essere ac-colti, incontrano leassistenti sociali del nostroCentro Ascolto, che valutanose esiste uno stato di bisognoreale e poi capire anche qualisono i problemi che li costrin-gono a rivolgersi a noi. Seguo-no quindi, ulteriori incontri di

Casa AccoglienzaCasa Accoglienza

È la realtà di un servizio che risponde alle esigenze primarie delle persone

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Casa dello spirito

STORIA

La costruzione del Monasteroabbaziale di Casanova ha inizioverso la metà del XII secolo aseguito di una donazione daparte dei marchesi di Saluzzo afavore dei monaci cistercensi.Da quel momento crebberoinsieme l’impegno ed il lavorodei monaci per il recupero deiterritori bonificandoli e l’aspet-to della vita religiosa unitamen-te a quella politica che ne fece-ro un importantissimo punto diriferimento, nonsolo per il Pie-monte, ma ancheoltre confine.Nella seconda me-tà del XVI secolotale complesso as-sunse un poteretalmente forte daindurre EmanueleFiliberto a decre-tare di fatto l’alie-nabilità del patri-monio ecclesiasti-co cosicché buonaparte di quelle ric-chezze andarono afavore dell’abatecommendatario diturno.Di qui nasce unavvicendarsi didispute tra il pote-re politico e quelloreligioso rivolte al-

di Papa Pio VI, decretato il 3aprile 1792, per cui la chiesaabbaziale divenne parrocchia econtemporaneamente Re Vit-torio Amedeo III ebbe la facol-tà di disporre liberamente deibeni dell’abbazia stessa.Nel 1792 il monastero assunseil nome di “Castello” e venneadattato e trasformato in allog-gio reale, divenendo luogo dicaccia della famiglia di CasaSavoia.Nel 1868 Re Vittorio EmanueleII vendette l’intero patrimonio

la nomina dell’abate ed anche ilsuccedersi di personaggi illustriche vollero legare il proprionome all’edificio stesso. Talifatti hanno comunque contri-buito a mantenere integro ilcomplesso, superando i periodidifficili, grazie appunto a que-ste protezioni. La decadenza iniziò verso lametà del 1600 a causa di unprimo saccheggio a cui neseguirono numerosi altri finoad arrivare alla soppressionedel monastero stesso da parte

al Regio Economato Ge-nerale (ciò in seguito altrasferimento, nel 1865,della capitale da Torino aFirenze) che lo possedet-te fino al 1921, anno incui i beni vennero cedutiall’Opera Nazionale Com-battenti che divise lagrande tenuta in piccolipoderi che vennero ven-duti a privati.Nel 1928 la restante pro-prietà passò alle suore diMaria Ausiliatrice che la desti-narono, fino al 1970, a sede peril noviziato internazionale.Nel 1973 il Monastero venneacquistato dalla S.p.A. Casa-nova.Il 9 aprile 1999 è stato acquisi-to all’asta giudiziaria, presso ilTribunale di Torino, dall’As-sociazione di Volontariato -ONLUS Cenacolo Eucaristicodella Trasfigurazione, di cuidon Adriano Gennari, sacerdo-te di S. G. B. Cottolengo, è fon-datore e animatore. Il monaste-ro abbaziale è stato destinato a“Casa di Spiritualità e Centrodi ascolto”.

SPIRITUALITÀ

La vera preghiera ama il silenzioL’atmosfera di spiritualità, per-cettibile in questo Monasteroabbaziale, suscita nel cuore del-l’uomo la gioia, la pace e lamistica serenità; risveglia nel-l’animo il desiderio di riviverel’antico fervore religioso deimonaci cistercensi, che, persecoli, qui hanno vissuto la lorovita di preghiera e di lavoro. Questo luogo benedetto ciinvita a cercare il silenzio perpregare e per imparare a prega-re; per ascoltare Dio, che parla

tà; per fare esperienza diun tempo di contemplazio-ne e di stupore dinanzi allagrandezza e all’onnipoten-za di Dio, che si rivela nonsolo nella creazione, maanche nei Suoi interventiprodigiosi per le Sue crea-ture intensamente amate. Non mettiamo nella pre-ghiera molte parole, mamolta preghiera con moltafede e molto amore. Per-tanto restiamo in silenzio

per pregare, per ritemprarci eper ricaricarci della vitalità edell’amore di Dio Padre, diCristo Gesù, dello Spirito Santoe per donarci con gioia in unservizio caritatevole ai fratellisofferenti, bisognosi e malati. Il Monastero abbaziale è unluogo privilegiato per com-prendere che solo l’uomo cheprega, ama, e solo chi ama,prega; che il tempo, tanto pre-zioso oggi, non manca più, per-ché ci si accorgerà di esserediventati, pregando, ricchissimidi tempo, tanto da poterne faredono agli altri.

R. Della Rovere

nel segreto del cuore dell’uo-mo; per contemplare tutti isuoi prodigi compiuti per lasalvezza di tutta l’umanità; peradorare la sua Presenza, viva edoperante, in Cristo Gesù nel-l’Eucaristia; per “perdere”tempo con Lui e poi spenderlotutto nella carità di Cristo infavore degli altri; per essereassorbiti da Dio Padre, fonte digrazia e per non sottrarci agliimpegni del quotidiano; perincontrare il Signore poiché ciòè indispensabile per farsi pros-simo al bisognoso con il Suo econ il nostro amore, con la Suae con la nostra tenerezza e bon-

T e s t i m o n i a n z e20 I n c o n t r i 21

Casa dello spiritoCasa di spiritualità e Centro di ascolto

Monastero Abbaziale Cistercense di Casanova(Carmagnola - Torino)

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CaritasChristi Urget Nos!

Carissime sorelle,desidero farmi vicinaricordando alcuni mo-menti particolari che,oltre a quella indimentica-bile giornata del vostro Siper sempre, rimarrannovivi nel mio cuore…Il ricordo dell’anno tra-scorso insieme è carico digratitudine, ricordo diluminosa gioia dissemina-ta nel semplice quotidia-no: fraternità, preghiera, donoche si china nel servizio. Il ricordo di momenti unici vis-suti nella preghiera e nellesplendide celebrazioni, nell’a-dorazione e nellacondivisione dellaParola, nella gioiadella Catechesi,nei momenti fra-terni…Momenti unici an-che con gli ospiti,suore, fratelli, sa-cerdoti, volontari,nelle diverse occa-sioni: dagli auguridi Natale con laFamiglia Cotto-lenghina, alla Fe-sta dedicata aiGiovani, o allagiornata speciale a

È rimasta nel cuore anchela grande preghiera alSignore quando il distac-co e la sofferenza per ilcammino, non più condi-viso, di sorelle e fratelli aiquali abbiamo volutobene, ci aveva lasciato latristezza dentro l’anima.Abbiamo sofferto insiemeanche per il distacco acausa della morte di per-sone a noi care pur sapen-

do, nella fede, che quei legamid’amore nulla li può distrug-gere. È vivo il ricordo di un’esperien-za che, nella comunità, è stata

segnata talvolta an-che da difficoltà efatiche, ma sempresuperati nella pre-ghiera e nel dialogo,con senso di respon-sabilità, nell’unicodesiderio di comu-nione che ci ha resoancora più unite. Mie carissime so-relle, non dimenticoil sapore dei giorniprecedenti a quellodella ProfessionePerpetua, dove ve-ramente abbiamosentito “quell’inten-

Ferriera…Ricordate la gioia alla notiziadell’arrivo di altre giovani chedesideravano sperimentare lavita cottolenghina!

so abbraccio cot-tolenghino” chegiungeva dall’A-merica e dall’A-sia, dall’Africa edall’Europa, daogni parte d’Ita-lia; quegli Auguricolmi di preghie-ra, di “Deo Gra-tias!” di lode e digioia per la vostravita dedicata aDio e donata aifratelli .Eravate sempli-cemente, felice-mente sorprese ditanto bene!…Quella Domenica mattina 27Settembre, la nostra Comunità

si era affidata a Maria, nellapreghiera del rosario: a lei,Donna Consacrata, Vergine-Madre dell’Amore, Discepolafedele, abbiamo consegnato ivostri timori, i desideri, le spe-ranze, le profonde gioie…E nel pomeriggio, con MadreGiovanna siete entrate in Chie-sa per consegnare la vostra vita,avete preso la lampada del-l’amore per andare verso Gesù,Lui, il Signore, la Via, la Verità,Lui nostra Vita: Egli che vi ha

confidare e con-fidare sempre inDio” anche quan-do Egli vi porte-rà “per sentierisconosciuti... tra-sformerà davantia voi le tenebrein luce e i luoghiaspri, in pianu-ra…” (Is 42,16)Abbandonatevi aLui, “alla Sua fe-deltà ora e sem-pre” (Sl 51).Vi porto nellapreghiera e vi ab-braccio.

Come sempre facevamo, ricor-datevi di pregare per tutti colo-ro che si affidano alla vostrapreghiera e ai quali, voi stesse,promettete il ricordo.

Giorno dopo giorno “abbiatefede, abbiate fede… coraggio inDomino e liete, amore e nessuntimore!”Per tutto e sempre…

Deo Gratias!

Con affetto grande, vostra

suor Luisa Busato

chiamate dall’eternità per rima-nere in Lui e portare a tuttil’annuncio dell’Amore di Dio

Padre Buono eProvvidente! Prostrate, in at-to di totale fi-ducia e abban-dono avete chie-sto l’aiuto e laprotezione deiSanti, amici diDio e di tutticoloro che han-no confidato nel-l’amore; avetepoi cantato “Mibasta la tua

Grazia, sei la miaForza, la mia Sal-vezza, sei la miaPace…” in Lui, ave-te posto la vostrafiducia, non restere-te deluse. Le sue Promesse so-no pienezza d’amo-re.Abbandonatevi allaSua Provvidenza ac-cogliendo l’invitodel nostro Santo “a

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27 Ottobre 2009 A un mese dalla Professione Perpetua… un modo per “Incontr-arsi”

Lettera aperta alle Neo Professe… Sr Ann, Sr Sheela, Sr Francisca, Sr Jane, Sr Lucia, Sr Luisa Makena, Sr Mary Gracy, Sr Shalet, Sr Sophy, Sr Theresa

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Carissimi Fratelli, condividocon voi in gioia e in semplicità ildono che oggi la Divina Prov-videnza ci ha fatto.Oggi pomeriggio nella chiesagrande della Piccola Casa diTorino – veramente piena perl’occasione –, durante una solen-ne concelebrazione presiedutada padre Aldo Sarotto, cui han-no preso parte anche moltisacerdoti cottolenghini, salesianie della parrocchia del professan-do, alla presenza di fr. ErnestoGada e di Fr. Roberto Trappa, inqualità di testimoni, RINALDI FR.

Mi chiamo Mururu,e sono certo unamascotte di Chaaria.Sono anche dei piùvecchi residenti delcentro Buoni Figli.Onestamente non soquanti anni potreiavere: forse 50 o 55,ma tutti dicono cheil mio cervello nonne dimostra più di 5.Qualche volontariosostiene che assomi-glio al “Gobbo diNotre Dame”: Ionon so cosa voglia dire, sicco-me loro si divertono, mentreme lo dicono, allora rido ancheio, perché deve essere qualcosadi carino.Sono di Kaguma, a quattro chi-lometri dal Cottolengo. Io vor-rei andare a casa spessissimo, equalche volta scappo senza direniente a nessuno: non è poi cosìdifficile!Dicono che sono un handicap-pato mentale, ma io lo so benis-simo che basta aspettare l’ora-rio delle visite all’ospedale epoi infilarsi per il cancelloposteriore da dove fanno entra-re i parenti. Quando qualcunosi accorgerà che non ci sono, iosarò a pochi metri da casa, cheè poi una baracca di legno. Ilproblema però è che in fami-glia non sono altrettanto con-tenti di vedermi di quanto losia io. Normalmente mi danno

me… e non ho maifatto cadere nessuno.Anche gli orfani diSr. Oliva mi fannogirare la testa: quan-do posso, li prendoin braccio e li cocco-lo con amore.Come ulteriore atti-vità occupazionale,collaboro alla lavan-deria del centro, mipiace soprattuttostendere.Alla domenica vadoa Messa all’ospedale,

canto forte. Spesso anche balloed i malati ridono: è semprebello quando gli altri ridono,ed allora sorrido anche io.Mi piace scrivere lettere, anchese non so scrivere: uso i mieigeroglifici, che però verrannocapiti al volo dai miei amici delcuore.Non parlo nessuna lingua, mami aggiusto con il miscuglio diKimeru, Kiswahili, Inglese edItaliano.Molti volontari mi chiamano “etu?”, perché io non mi ricordomai come si fa a chiedere“come stai?”, e mi viene sempree solo da dire “e tu?” anche aduna persona che non mi hachiesto niente.Quando verrai a Chaaria, vor-rei essere tuo amico.

MururuRedazione Blog “Chaaria”

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PAOLO DELLO SPIRITO

SANTO ha emesso la suaprima Professione Reli-giosa nelle mani del Su-periore generale, fr. Giu-seppe Meneghini, chele accoglieva a nome del-la Chiesa e dei poveri.Al termine dell’Eu-caristia, come tradizio-ne, i Fratelli presenti,fra cui la quasi totalitàdella “provincia” ita-liana, compresi i nostri fratellianziani: fr. Romualdo Dalla Ca-minà e fr. Umberto Benecchi,tra due ali applaudenti di fedeliche gremivano la chiesa, si sonorecati a salutare e a ringraziare ilPadre Fondatore e poi il nostroVenerabile Fr. Luigi.Alla fine della liturgia fr. Paolo èstato sommerso da un bagno difolla, perché tutti volevano salu-tarlo, abbracciarlo ecc, ecc. Nelsalone di via Cottolengo, 15 erapreparato un rinfresco, dove aessere “mangiato”, al posto deidolci, è stato… fr. Paolo: questoè il rischio di essere troppobuoni. Deo Gratias!

Fr. Giuseppe Meneghini

MMii cchhiiaammoo MMuurruurruu

poco da mangiare; non mi aiu-tano a fare il bagno… ed alloradopo alcuni giorni capisco cheè meglio tornare al Cottolengo.A volte ci torno con le pulcipenetranti, e sempre i mieiparenti non hanno tempo nep-pure di accompagnarmi; qual-che volta, ad un incontro, ionon so che strada prendere.Poi decido per la prima che micapita, e non sempre è quellagiusta. A casa mi interessomolto del mio pezzo di terra edel granoturco che i miei fratel-li coltivano. Purtroppo non mene danno mai, neppure unpochino.Quando sono al CottolengoCentre, la mia occupazionepreferita è di aiutare gli altriBuoni Figli. So di essere moltoservizievole: imboccare, fare ibagni ai piccoli, metterli a letto,sono lavori più congegnali per

MMii cchhiiaammoo MMuurruurruuProfessione Fratel Paolo Rinaldi

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religiosas. Abraco com muitagratidao deste vosso irmao emCristo.Pe Altair Aparecido Tonon -Reitor do Santuario Diocesano- Paroco de Aparecida do Mon-te AltoComendador de San Mauriziode Thebas - Capelao da CasaReal do Epiro (in exilio)Grao Colar da Aguias negra deArguirokastron

* * *Reverendissimo Padre Superiore Generale Salve Maria Immacolata!Vi comunichiamo di aver ricevuta la reliquia di SanGiuseppe Benedetto Cottolengo, inviataci per ilnostro Santuario Diocesano.È stata per noi una grande gioia ricevere questaSacra Reliquia del Santo Fondatore della PiccolaCasa della Divina Provvidenza, che quì sarà moltovenerata, dai fedeli parrocchiani, dagli itineranti edai pellegrini.Opportunamente stiamo organizzando una MessaSolenne, per l’insediamento della Reliquia inviata.Da subito ringraziamo per l’invio della Reliquia “ExOssibus” e della vostra amabile attenzione verso dinoi. Qui vicini al “Trono della Santissima VergineMontesina”, staremo in preghiera affinchè ilSignore Gesù Cristo, benedica e protegga Lei Reve-rendissimo e insieme ricompensi la vostra congre-gazione “Piccola Casa della Divina Provvidenza”con molte sante vocazioni religiose. Abbracci conmolta gratitudine da questo vostro fratello in Cristo.Padre Altair Aparecido Tonon - Rettore del SantuarioDiocesano - Parroco della Aprecida do Monte Alto.

voce, con una carezza decisasulle spalle li faceva sederequando si alzavano. Era an-ch’essa piena di acciacchi manon aveva tempo per compatir-si. Pensavo, forse non si eraneppure fatta suora per voca-zione, magari una famiglia po-vera alle spalle, miseria, tanti fi-gli, e allora il più debole pren-deva la strada del convento edel seminario. Ma vestito quel-l’abito era entrata nella «parte».Non si aspettava lodi o premi inquesta vita, ma i suoi occhierano limpidi e innocenti.Quando la Messa terminò, lasuorina fece alzare la sua armataBrancaleone e con dolce fer-mezza si mise in marcia perrientrare all’Istituto di fronte.Quando mi passò accanto leporsi la mano e lei mi sorrise. Inquell’attimo mi vergognai dellelacrime versate per un cappottonon consegnato. Al ritorno erosilenziosa e la mia cara zia

Giovanna mi disse guardan-domi negli occhi «sono con-tenta che hai capito». In segui-to volli conoscere la suora,Suor Tecla, e insieme percor-remmo un pezzetto di vita.Imparai da lei molte cose chenon insegnano i libri e il suoricordo mi ha seguito finora.

Franca C. Bonzano

posto in un banco con signoreche conosceva. Io ciondolavosul portale e non mi decidevoad entrare. Poi nella notte, allafioca luce dei lampioni, vidiarrivare dalla curva della viauna fila di persone indescrivibi-le; la guidava una piccola suora,anziana, con un gran naso. Sitenevano tutti per mano. Chivoleva staccarsi dalla fila, chirallentava, chi si fermava addi-rittura. La suorina con garborincorreva il fuggiasco, rincuo-rava il titubante, finché giunse-ro alla Chiesa ed entrarono.Anche la disposizione nelle ulti-me file fu laboriosa, ma lei riu-scì a sistemarli e incominciò laSanta Messa. Durante la funzione non riusciia pregare, il mio sguardo non sistaccava da quei poveretti e daquell’angelo travestito da bruttasuora, che li accompagnava,puliva loro il naso, li zittiva conun sorriso quando alzavano la

Da una lontana città dello Stato di San Paolo delBrasile è giunta a Padre Aldo una lettera che por-tiamo a Vostra conoscenza, sicuri che conoscerne ilcontenuto, farà piacere a molti. Arriva dalSantuario de Nossa Senhora da Conceicao Montesinacittà di Aparecida do Monte Alto - Stato di SanPaolo - Brasile. Recita: Rev. Padre Superiore GeneraleSalve Maria Immaculata!Vimos comunicar-vos o recepimento da reliquia deSan Giuseppe Benedetto Cottolengo, com autentica, esantinos, enviada para o nosso Santuario Diocesano.Foi para nos uma grande alegria receber esta SagradaReliquia do Santo Fundador da Piccola Casa dellaDivina Provvidenza, e que aquì serà muito veneradapelos fieis paroquianos, pelos romeiros e peregrinos.Oportunamente estaremos organizzando uma MissaSolene da entronizacao da Reliquia enviada. Desde jaagradecemos o envio da Reliquia “Ex Ossibus” e davossa amavel atencao para conosco. Daqui de juntodo “Trono da Santissima Virgem Montesi-na”estaremos rezando para que o Senhor JesusCristo, abencoe e guarde Vossa Rev.ma e tambemricompense vossa congregacao “Piccola Casa dellaDivina Provvidenza” com muitas santas vocacoes

T e s t i m o n i a n z e26 N o t i z i e 27

Una bella presenza,

in una città lontana

Sessantacinque anni di ordinazioneDon Alfredo Vallo festeggia quest’anno i sessantacinque anni di ordinazione sacerdotale.Insieme con tre suoi compagni di ordinazione, don Lorenzo Riva, don Nicolino Rocchetti edon Edoardo Borgiallo ha concelebrato l’eucaristia nel santuario della Consolata di Torino.Don Alfredo nasce nel febbraio del 1921 ad Avigliano in provincia di Potenza, dove il padredi origine canavesana si era trasferito per lavoro e si era sposato. Rimasto orfano di madre adappena un anno di età, ritorna in Torino nel 1925 dove viene allevato dalla madrina appenadiciottenne. Frequenta la parrocchia del Carmine; Tommasino dal 1932 sino al mese diluglio 1937; poi entra in seminario, attraversando il non facile periodo degli anni della guer-re. Viene ordinato Sacerdote il 29 giugno 1944, insieme con altri 43 compagni.

La notte in cui diventai «adul-ta» era il 1945, la settimana diNatale. La guerra finita nel-l’estate non mi aveva colpitacon lutti in famiglia. Avevo ven-t’anni, ero innamorata e in queigiorni mi ero fidanzata. Il mioanello mi sembrava bellissimo enon vedevo l’ora di esibirlo allaMessa della Vigilia, e mostrarloalle amiche. Avrei indossato uncappotto nuovo di lana cam-mello, confezionato con unacoperta inglese che mammaaveva sacrificato per me. Ma almattino telefonò la sarta che ilcapo non era pronto. Erofuribonda e mi misi a piangeredi rabbia. Era presente ziaGiovanna nostro nume tutela-re, quella che aveva trascorsola vita ad aiutarci a risolvere inostri problemi. Quella notteandava al Cottolengo. Midisse «Stasera vieni con me»,e siccome con lei noi ragazzenon si discuteva, chinai ilcapo con un sospiro.Arrivammo alla Chiesa versole undici e mezza, la zia prese

Ero con suor Tecla al CottolengoLa notte in cui diventai adulta era quasi il Natale del 1945

La notte in cui diventai adulta era quasi il Natale del 1945

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Inaugurazione Padiglione Frassati

Fanfara Brigata AlpinaTaurinense

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Fedeli all’impegno di proporreogni volta libri della letteratura cot-tolenghina, in questo numero pre-sentiamo il bel libro che ha per tito-lo “Briciole dalla tavola del Re”, Unricordo della storia di Suor Mariadegli Angeli, raccontato dalla con-sorella Suor Lara. Il redattore diquesta breve nota non ha e nonvuole altro aggiungere, perchéanche solo una virgola, potrebberompere l’incanto di quanto le con-sorelle del monastero “San Giu-seppe” dove è vissuta per trent’an-ni, ci hanno donato e noi siamo feli-ci di trasmettervi attraverso questanostra e vostra rivista amica.Suor Maria degli Angeli Beretta,suor Ersilia è una persona speciale.Nasce in provincia di Milano nel1916; all’età di diciassette annisente la chiamata di Dio ed entratra le suore del Cottolengo; nel1937 pronuncia i voti con il nomedi suor Ersilia. Insegna per moltianni. Nel 1968 le viene affidato ilcompito di formatrice nel qualedimostra pazienza, delicatezza,competenza e non comune carisma.Nel 1974 chiede e ottiene di passa-re alla vita contemplativa, col nomedi suor Maria degli Angeli. È l’ini-zio di una nuova fase della suaesperienza spirituale, caratterizzatada un continuo e profondo immer-gersi nell’amore di Dio. I suoi ulti-mi anni sono segnati da una doloro-sa malattia che accetta dalle mani diDio. Ritorna alla Casa del Padre il18 marzo 2003.Suor Maria degli Angeli, oltre allatestimonianza di una vita profon-damente e totalmente dedita allaricerca di Dio, ci ha lasciato undono prezioso: il suo diario in unaserie di quaderni scolastici, neiquali si colloca un manoscrittoche copre l’arco di un decennio

lunque pena abbia incuore si fa più dolcee l’anima si sente piùforte e serena. Comesei stato buono, Gesù,a permettermi permezzo del P. questoconforto”. “Contenta di tutto, Ge-sù! Io ormai Ti so vedereoltre ogni velo di creaturao di avvenimento”.“Ti sento in tutto: neldolore, nella gioia,nellecontrarietà, nell’angoscia,nelle tentazioni, nel buio,nelle luci profonde che misi accendono nelle profondi-tà; ma ti sento come un As-

sente…”. “Ho la certezza di essereimmensamente amata e tale certezzaaumenta quanto meno la sento sen-sibilmente, quando cioè Tu sembriabbandonare completamente persempre questa tua povera creatura”.Suor Ersilia come vede la suaesperienza? Una pagina del diarioce ne dà un’immagine suggestiva. “Cercai riposo nel più sicuro deirifugi: nel Tuo Cuore Adorabile,Gesù! Cosa ci siamo detto lì dentro,Gesù? Nulla… ci siamo compene-trati… Ho sentito che la Tua forzaera mia, la Tua presenza infinitapure, il tuo amore mia proprietà…una volta tanto mi sono sentitaveramente sazia; nulla avrei potutochiedere di più né in cielo, né sullaterra. Ho sentito che era giunto ilmomento di chiedere… oh non perme… ma per i miei fratelli… E tiho chiesto che tutta la mia vitadivenga un silenzioso olocausto,come il Tuo, come quello dellamamma, perché tutti, tutti possia-mo essere uno in Te…”.

Le sorelle del MonasteroCottolenghino San Giuseppe

per saperne di più potete visitare il sitowww.negliocchididio.it

circa, dal 1956 al1967, quando erainsegnante fra legiovani suorecottolenghine.Perché questiquaderni, qualela motivazioneche la spinge ascrivere? È leistessa a par-larne nel cor-so del mano-scritto.“Il P. (donManiglio Purgatorio) vuoleche io gli dica tutto quanto avvienenella mia vita spirituale ed io miproverò ad ubbidire Gesù; Tu miaiuterai non è vero? Faremo così: iodirò quello che sento e tu gli faraiintendere quello che è”.Quindi è in obbedienza al suodirettore spirituale, che suorErsilia si impegna, prendendocarta e penna. Nascono così questiquaderni, una sorte di diario spiri-tuale nel quale apre totalmente ilsuo cuore a Gesù in un dialogoserrato e amante. Dal testo siarguisce come ella scelga i brevispazi liberi dall’insegnamento,prima di coricarsi, la mattina pre-sto; oppure quando può, dopoaver fatto qualche esperienza diluce, subito la annota. Il diarioperò non è solo una risposta obbe-diente alle richieste del Padre spi-rituale. Diventa uno spazio in cui ilsuo spirito si può liberamenteesprimere. Ella vive infatti a pro-fondità difficilmente descrivibili. Èpossibile intuirne qualcosa leggen-done alcuni brani.“Questo quaderno è un po’ la miavalvola di sicurezza per non scoppia-re, Gesù”. “È pur vero che quandoprendo la penna per scriverti, qua-

Leggiamo un libro

Schegge di vita contemplativaUn ultimosaluto ad unamicovolontarioAlla bella età di82 anni, recente-mente si è spento

il volontario Formica ing. Vittorino. Se neè andato dopo una lunga e sofferta malat-tia. Ha collaborato per molti anni e sino asoli pochi mesi fa, con la segreteria dellaDirezione Lavoro; puntuale, meticoloso,propositivo. Aveva intessuto con quanti glierano vicini legami colmi di una gentilezzadi rara sensibilità (non ha mai rivelato diessere ingegnere). Gli era stato affidato uncompito che al tempo non aveva supportiinformatici definiti, per cui richiedevamolta attenzione e precisione. Lui ci si eradedicato completamente e con passione,tanto che a volte il lavoro se lo portavapersino a casa, per riconsegnarcelo poi conun bel sorriso, con discrezione, nel silen-zio, come da sempre era nel suo modo difare. Si sentiva accolto e parte di una fami-glia, così che a noi che gli siamo stati vici-ni, sembra ora doveroso ricordarlo. Ancheper cogliere dal suo esempio nuovo stimo-lo di come vivere autenticamente un servi-zio di volontariato nella pienezza delladefinizione di cottolenghino.Deo Gratias Vittorino, dai tuoi colleghidella Direzione Lavoro

Don AndreaScrimaglia Don Andrea Scri-maglia, «AndreinoCarluccio» nato il 2luglio 1939 a To-nengo, frazione di

Mazzè. Entra nella Famiglia dei Tom-masini come aspirante al sacerdozio il 30settembre 1950. Viene ordinato sacerdoteil 20 giugno 1964 da mons. Stefano Fe-licissimo Tinivella, Vescovo coadiutoredell’archidiocesi di Torino, nella chiesagrande della Piccola Casa della DivinaProvvidenza. Riceve la zimarra – ilsoprabito caratteristico dei sacerdoti cot-tolenghini, – il 22 giugno 1965 nella stanzadel santo fondatore. Non entra a far partedella Società dei Sacerdoti Cottolenghini,ma resta a servizio della Piccola Casa,prima nella Casa madre e dal 1984 comeresponsabile del servizio e dell’assistenzareligiosa nella succursale di Viù, incaricoche conservò fino al termine della sua vita.Da circa un anno era sofferente e dovevasottoporsi a cicli periodici di cure, senzatuttavia mai tralasciare il suo ministero,particolarmente quello delle confessionisia delle suore a Casa Assunta e a VillaMayor di Moncalieri, sia degli alunnidell’Istituto Flora a Testona. Per questaragione viaggiava, prima autonomamente,poi negli ultimi anni accompagnato da Ar-mando, il fedelissimo cognato, e infine dagenerosi volontari. Quante Messe donAndrea ha celebrato nelle frazioni dellaparrocchia di Viù! Non a caso non ha maivoluto assentarsi per ferie, per non sospen-dere le celebrazioni. È stato anche ammi-nistratore parrocchiale a Usseglio permesi, rifiutando la nomina a parroco. Inseguito a una acuta insufficienza respirato-ria fu trasportato d’urgenza all’ospedale diCiriè e poi trasferito nell’ospedale Cotto-lengo di Torino. Qui il 14 settembre rice-vette l’Unzione dei malati e il 19 fu chia-mato dal Signore, mentre gli era accanto ilcaro cognato, che lo aveva fraternamenteassistito, giorno e notte. Piuttosto riserva-to, silenzioso, generoso, infaticabile nelsuo ministero, don Andrea è certamentestato il sacerdote della Messa e della Con-fessione. Un grande esempio per i sacerdo-ti, in questo anno a loro dedicato.

Gli amici che ci hanno lasciati

Grazie,GiuseppeGiuseppe Porti-gliatti entrò allaPiccola Casa il 4ottobre del 1925dopo gli studi,lavorò come fale-

gname, per poi conseguire la Patente diGuida. Si mise al servizio della CasaMadre del Cottolengo di Torino, comeautista e camionista fino a pochi anni fa.Condusse una vita silenziosa, umile e

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meticolosa in tutto, con una “fede, ma diquelle!”. Ben 84 Anni vissuti in totalededizione alla Piccola Casa. Deo GratiasGiuseppe!

Arrivederci da: tutta la FamigliaSant’Antonio di Torino.

Ricordandoti...Mia cara Carme-la, sono proprioio che stavoltacerco te anzichétu a cercare mecome facevi sem-pre! Sono sicura

che, da lassù, continui a seguire me e tutticoloro che hai amato con quel tuo sguardocosì vivace e attento alle persone e allesituazioni. Ti cerco, non ti nascondo, per-ché mi manchi... mi manca quel tuo aspet-tarmi là, dietro l’angolo, all’uscita dallaChiesa, nel cortile dei SS. Innocenti, mimanca il tuo aspettarmi alla sera (me l’ave-vi confidato un giorno) quando ti preoccu-pavi di vedere se la luce della mia cameraera accesa, segno del mio rientro a casa.. ioti ascoltavo volentieri Carmela, nei tuoimille e mille pensieri, e poi tu te ne andavi,con quel tuo sorriso che diceva graziesenza parole. Ora sono io che ringrazio teper la forza della tua vita, per tutto l’amo-re che hai avuto per me, per i sacrifìci infi-niti che hai fatto “navigando”, anno dopoanno, con fede e amore, nel mare oracalmo, ora burrascoso, ora... della vita. Tiringrazio così semplicemente perché tu, mihai permesso di entrare nella tua vita e mihai voluto quel bene vero che fa sentireaccolti senza condizioni, solo perché “l’al-tro” viva. Ti ricordi? Inizialmente non èstato facile capirsi, ma poi con la tua insi-stenza “invincibile” e tutto il tuo amore haivinto le mie resistenze. Cara Carmela dicoDeo Gratias! Dico grazie a Dio per il donodella tua vita a me, alla Piccola Casa e atutti quelli che ti hanno conosciuto e volu-to bene; ti chiedo di continuare a starmivicino e di aiutare tutta la famiglia Cotto-lenghina che tu mi hai insegnato ad amaree ad avere a cuore in un modo speciale.

Ciao! Sr Rita

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