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Sommario Editoriale Luigi Costato Riforma della PAC e Covid-19: la ricerca di nuovi equilibri 1 Ricerche Irene Canfora L’evoluzione delle regole europee sulla trasparenza: verso un sistema di “Sicurezza Alimentare 2.0” 4 Rosario Franco Dai titoli all’aiuto alle autorizzazioni agli impianti viticoli:tra beni e diritti 15 Commenti e note Antonio Jannarelli L’eccezionalismo agricolo all’attenzione della giustizia amministrativa: un atteso riscontro 39 Ferdinando Albisinni L’origine dei prodotti alimentari e la Corte di giustizia: un’irrisolta incertezza 53 www.rivistadirittoalimentare.it Anno XIV, numero 3 Luglio-Settembre 2020 rivista di diritto alimentare Editoriale Riforma della PAC e Covid-19: la ricerca di nuovi equilibri Alberto Ballarin Marcial, notaio in Madrid e grandissimo cultore di diritto agrario, che ha insegnato in diverse università dopo aver studiato anche a Firenze presso l’IDAIC, non molti anni dopo l’adozione del trat- tato CEE sosteneva che, in definitiva, l’allegato II del trattato, che elen- cava i prodotti agricoli sottoposti alle regole del titolo II “Agricoltura”, era nella quasi totalità un elenco di prodotti alimentari o di materie prime per la produzione di questi. L’organizzazione comune del mercato dei prodotti agricoli adottata negli anni ’60 del secolo scorso dalla CEE si riferiva solo a prodotti del settore primario, nel quale erano inclusi alcuni trasformati usualmente realizzati nel mondo agricolo inteso in senso stretto, come il vino, o economica- mente strettamente vincolati al prezzo del prodotto agricolo tal quale. Ad esempio, esisteva l’OCM nel settore dei cereali, che regolava, per qualche aspetto, la farina di grano tenero e la semola di grano duro in quanto “prodotti della macinazione” ma non la pasta. La farina e la semola, che sono solo materie prime di alimenti, avevano un trattamen- to doganale, sia all’import sia all’export, collegato a quello praticato doganalmente al grano; la pasta, invece, era totalmente slegata dal set- tore cerealicolo, si trattasse di grano duro o tenero. Pertanto, sia pure marginalmente e solo per alcuni aspetti, il settore agra- rio della CEE era fin dall’inizio collegato con l’alimentare; d’altronde molti prodotti compresi nell’allegato erano essi stessi non agricoli ma profonda- mente inseriti nella produzione di alimenti, come il malto, componente della birra, e l’inulina, che è un carboidrato non digeribile usato come addi- tivo di prodotti alimentari per migliorarne il sapore. Dunque, anche se esi- stevano legami fra i prodotti strettamente agricoli ed altri, più vicini o addi- rittura compresi fra quelli alimentari, il diritto della CEE restava, per quanto riguarda i prodotti compresi nell’allegato II, interventista e in quanto tale necessariamente lontano dal settore secondario, salvo le poche eccezioni derivate dallo stretto legame fra materia prima agricola e prodotto ottenuto da una prima trasformazione del bene ottenuto nel settore primario. Col procedere dell’integrazione e lo svilupparsi del mercato comune, diventato poi unico, si verificarono alcune vicende sanitarie collegate a prodotti animali, che mostrarono l’insufficienza dei meccanismi decisori ideati nel 1961, ed in particolare dei comitati di gestione. Curiosamente, queste insufficienze si manifestarono quasi contemporaneamente alla modifica, progressivamente sempre più intensa, della PAC, da sistema mirante a realizzare un forte sviluppo europeo della produzione agricola ad altro avente finalità sostanzialmente anti produttive, e mirante piuttosto a finalità ambientali e a trasformare l’attività agricola in multifunzionale. La crisi della mucca pazza e dei polli alla diossina si dice abbia provo-

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SommarioEditoriale

Luigi CostatoRiforma della PAC e Covid-19: la ricerca di nuovi equilibri 1

Ricerche

Irene CanforaL’evoluzione delle regole europee sulla trasparenza:verso un sistema di “Sicurezza Alimentare 2.0” 4

Rosario FrancoDai titoli all’aiuto alle autorizzazioni agli impianti viticoli:tra beni e diritti 15

Commenti e note

Antonio Jannarelli L’eccezionalismo agricolo all’attenzione della giustizia amministrativa: un atteso riscontro 39

Ferdinando Albisinni L’origine dei prodotti alimentari e la Corte di giustizia:un’irrisolta incertezza 53

www.rivistadirittoalimentare.it

Anno XIV, numero 3 • Luglio-Settembre 2020

rivista di diritto alimentare

EditorialeRiforma della PAC e Covid-19: la ricerca di nuovi equilibriAlberto Ballarin Marcial, notaio in Madrid e grandissimo cultore di dirittoagrario, che ha insegnato in diverse università dopo aver studiatoanche a Firenze presso l’IDAIC, non molti anni dopo l’adozione del trat-tato CEE sosteneva che, in definitiva, l’allegato II del trattato, che elen-cava i prodotti agricoli sottoposti alle regole del titolo II “Agricoltura”, eranella quasi totalità un elenco di prodotti alimentari o di materie prime perla produzione di questi.L’organizzazione comune del mercato dei prodotti agricoli adottata neglianni ’60 del secolo scorso dalla CEE si riferiva solo a prodotti del settoreprimario, nel quale erano inclusi alcuni trasformati usualmente realizzatinel mondo agricolo inteso in senso stretto, come il vino, o economica-mente strettamente vincolati al prezzo del prodotto agricolo tal quale.Ad esempio, esisteva l’OCM nel settore dei cereali, che regolava, perqualche aspetto, la farina di grano tenero e la semola di grano duro inquanto “prodotti della macinazione” ma non la pasta. La farina e lasemola, che sono solo materie prime di alimenti, avevano un trattamen-to doganale, sia all’import sia all’export, collegato a quello praticatodoganalmente al grano; la pasta, invece, era totalmente slegata dal set-tore cerealicolo, si trattasse di grano duro o tenero.Pertanto, sia pure marginalmente e solo per alcuni aspetti, il settore agra-rio della CEE era fin dall’inizio collegato con l’alimentare; d’altronde moltiprodotti compresi nell’allegato erano essi stessi non agricoli ma profonda-mente inseriti nella produzione di alimenti, come il malto, componentedella birra, e l’inulina, che è un carboidrato non digeribile usato come addi-tivo di prodotti alimentari per migliorarne il sapore. Dunque, anche se esi-stevano legami fra i prodotti strettamente agricoli ed altri, più vicini o addi-rittura compresi fra quelli alimentari, il diritto della CEE restava, per quantoriguarda i prodotti compresi nell’allegato II, interventista e in quanto talenecessariamente lontano dal settore secondario, salvo le poche eccezioniderivate dallo stretto legame fra materia prima agricola e prodotto ottenutoda una prima trasformazione del bene ottenuto nel settore primario.Col procedere dell’integrazione e lo svilupparsi del mercato comune,diventato poi unico, si verificarono alcune vicende sanitarie collegate aprodotti animali, che mostrarono l’insufficienza dei meccanismi decisoriideati nel 1961, ed in particolare dei comitati di gestione. Curiosamente,queste insufficienze si manifestarono quasi contemporaneamente allamodifica, progressivamente sempre più intensa, della PAC, da sistemamirante a realizzare un forte sviluppo europeo della produzione agricolaad altro avente finalità sostanzialmente anti produttive, e mirante piuttostoa finalità ambientali e a trasformare l’attività agricola in multifunzionale.La crisi della mucca pazza e dei polli alla diossina si dice abbia provo-

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cato l’adozione del reg. 178/2002, ma non può sfuggire all’osservatoreche l’anno successivo la prima forte riforma della PAC denominataMacSharry, che aveva mantenuto un forte accoppiamento e, di conse-guenza, agiva con sostegni diretti alla produzione, fu profondamentemutata dal reg. 1782/2003.In definitiva, cioè, con l’inizio del XXI secolo l’interventismo in agricoltu-ra da parte dell’uE si è fortemente attenuato, mentre si è corrisponden-temente notevolmente accentuato l’interventismo nel settore dei pro-dotti alimentari, anche se, diversamente da quanto accadeva in agricol-tura, non per determinare regole di prezzo a protezione dei produttori dialimenti, ma per stabilire norme igienico sanitarie severe per la prote-zione dei consumatori; insomma, si è passati dalla food security, assi-curata dalla forte produzione agricola, alla food safety.tuttavia, le recenti vicende sanitarie legate al covid - 19, e l’emergeredi posizioni, a livello mondiale, di tipo protezionistico, dovrebbero indur-re a considerare la necessità di riequilibrare l’atteggiamento dell’uE e aconsiderare che la food security merita una maggiore attenzione, e nona parole come sembra emergere dalla lettura della Comunicazionedella Commissione del 20 maggio 2020.

Luigi Costato

L’editoriale che apre questo fascicolo muove da temi di grande attualità,legati agli esiti che la pandemia generata dal Covid-19 ha determinato,e continua a determinare, sulla disciplina dei prodotti agricoli ed alimen-tari, e sulle prospettive di riforma che vanno maturando in sede europea.Si tratta di temi che hanno costituito oggetto del Convegno annualedell’AIDA, “Emergenza COVID e novità disciplinari nel settore agroali-mentare, a livello internazionale, unionale e domestico“, organizzatocongiuntamente all’universitas Mercatorum di Roma, e svolto da remotoil 27 e 28 novembre 2020.Le relazioni proposte in tale occasione saranno rese disponibili in forma-to audiovisivo sui siti dell’AIDA e dell’universitas Mercatorum, ed i testiscritti verranno pubblicati sui prossimi numeri della Rivista.L’editoriale sottolinea un dato, quasi banale nella sua risalente storicità, mache da un paio di decenni appare largamente ignorato dai governanti euro-pei e di altre zone ricche e sviluppate: il diritto al cibo nella storia dell’uma-nità è sempre stato oggetto di un necessario intervento pubblico, dalleciviltà più antiche fino alla Comunità europea, dalle origini di questa al 1992.Dalla metà degli anni ’90 del secolo XX la consapevolezza di questarisalente necessaria relazione fra diritto al cibo e intervento pubblicoappare smarrita. Da ciò l’esigenza, avvertita da chi, come l’AIDA e que-sta Rivista, ha quale propria fondante missione e ragion d’essere quelladi occuparsi di diritto alimentare – ed ancor più di diritto agro-alimentare– di avere ben presente e di sottolineare che le regole di questo diritto

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rivistadi diritto alimentare

DirettoreLuigi Costato

Vice direttoriFerdinando Albisinni - Paolo Borghi

Comitato scientificoFrancesco Adornato - Sandro Amorosino - Alessandro Artom

Alberto Germanò - Marianna GiuffridaMarco Goldoni - Antonio Jannarelli - Emanuele Marconi -

Pietro Masi - Lorenza Paoloni - Michele Tamponi

EditoreA.I.D.A. - ASSOCIAZIONE

ITALIANA DI DIRITTO ALIMENTARE

RedazioneVia Ciro Menotti 4 – 00195 Romatel. 063210986 – fax 063210986e-mail [email protected]

Sede legaleVia Ricchieri 21 – 45100 Rovigo

Periodico iscritto il 18/9/2007 al n. 393/2007 del Registrodella Stampa presso il Tribunale di Roma (online)

ISSN 1973-3593 [online]

Periodico iscritto il 26/5/2011 al n. 172/2011 del Registrodella Stampa presso il Tribunale di Roma (su carta)

ISSN 2240-7588 [stampato]stampato in proprio

dir. resp.: Ferdinando Albisinni

HAnnO COLLABORAtO A quEStO FASCICOLO

FERDInAnDO ALBISInnI, straordinariouniversitas Mercatorum di Roma

IREnE CAnFORA, ordinario università di Bari

LuIgI COStAtO, emerito università diFerrara

ROSARIO FRAnCO, docente universitàMagna grecia di Catanzaro

AntOnIO JAnnARELLI, ordinario università diBari

I testi pubblicati sulla Rivista di diritto alimentare, adeccezione delle rubriche informative, sono sottopostialla valutazione aggiuntiva di due “referees” anonimi.La direzione della rivista esclude dalla valutazione icontributi redatti da autori di chiara fama. Ai revisorinon è comunicato il nome dell’autore del testo da valu-tare. I revisori formulano un giudizio sul testo ai finidella pubblicazione, ed indicano eventuali integrazionie modifiche che ritengono opportune.

Nel rispetto della pluralità di voci e di opinioni accoltenella Rivista, gli articoli ed i commenti pubblicati impe-gnano esclusivamente la responsabilità degli autori.

Il presente fascicolo è stato chiuso in Redazione il 30novembre 2020, ma composto in tipografia il 20 dicem-bre 2020, a causa del blocco delle attività cagionatodall’emergenza COVID.

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Anno XIV, numero 3 • Luglio-Settembre 2020

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non possono limitarsi a prescrizioni (pur certamente rilevanti) quanto al modo di stare ed operare nelmercato, ma anzitutto attengono alla tutela del fondamentale diritto alla food security, solennementeaffermato dai trattati europei anche nei testi oggi vigenti dopo Lisbona.In questo fascicolo della Rivista, Irene Canfora dà conto delle esigenze riformatrici, che vanno emergen-do nel sistema europeo di diritto alimentare, quanto alle regole di trasparenza, in esito al nuovoRegolamento (uE) 2019/1381 relativo alla trasparenza e sostenibilità dell’analisi del rischio nella filieraalimentare (sul quale v. il Convegno annuale dell’AIDA dell’ 11-12 novembre 2019, le cui relazioni sonopubblicate nei fascicoli n. 3-2019 e n. 4-2019 di q. Rivista), ed a numerose pronunce della Corte digiustizia. ne emerge una crescente attenzione verso il canone di trasparenza quale essenziale strumen-to di partecipazione e di garanzia.Rosario Franco indaga sulla disciplina delle autorizzazioni agli impianti viticoli tra beni e diritti, ed analizzale questioni legate alla qualificazione e natura di tali diritti o titoli nell’ambito della nuova PAC e della glo-balizzazione dei mercati. L’analisi dà conto delle riforme, europee e domestiche, che si sono succedutein questi anni nella disciplina dell’attività vitivinicola, sottolineando il crescente rilievo assunto nel corsodegli anni dai profili ambientali e dalle plurime finalità assegnate all’attività agricola, e colloca tali situa-zioni soggettive all’interno della categoria privatistica dell’aspettativa, sottolineando peraltro le peculiaritàrispetto alla configurazione tradizionale di tale categoria, tra pubblico e privato. ne risulta confermata lanatura esemplare della disciplina agro-alimentare come laboratorio di elaborazione e sperimentazione dinuovi modelli.Antonio Jannarelli sottolinea l’emergere nella più recente giurisprudenza amministrativa italiana, e più ingenerale nella cultura giuridica del nostro Paese, della consapevolezza dell’ “eccezionalismo agricolo”,e così dei limiti nell’applicazione delle regole di concorrenza al settore agricolo. Il commento analizza duerecenti decisioni, del tAR Lazio e del Consiglio di Stato, che hanno investito, con esiti opposti, i provve-dimenti del Mipaaf finalizzati alla modifica dei disciplinari del vino DOC “Sicilia” e del vino Igt “terreSiciliane”, e sottolinea come – in esito alla decisione del Consiglio di Stato – per la prima volta nella giu-risprudenza nazionale sia stato riconosciuto che “la concorrenza non è l’obiettivo primario della politicaagricola comune (PAC), se non come effetto della tutela dei prodotti e della informazione adeguata e tra-sparente del consumatore” (così il CdS nella conclusione della motivazione). L’auspicio dell’A. è che peril futuro tale consapevolezza venga acquisita anche dalla nostra Autorità garante della Concorrenza.Ferdinando Albisinni indaga sulle linee evolutive emergenti nella disciplina europea in tema di etichetta-tura di origine dei prodotti alimentari ponendo in rilievo la perdurante irrisolta incertezza di tale disciplina.L’A. sottolinea come già da decenni si assista ad un confronto fra la Commissione Europea, alcuni Statimembri, ed in qualche caso lo stesso Parlamento Europeo, sui temi legati all’ indicazione di origine deiprodotti agricoli ed alimentari. All’interno di questo confronto di posizioni, la questione prevalentementediscussa è stata quella della legittimità o meno di indicazioni nazionali di origine. E’ rimasto in qualchemisura sullo sfondo il tema, ad esso logicamente e sistematicamente preordinato, dell’individuazione deicanoni in forza dei quali determinare l’origine dei prodotti alimentari, trasformati e non trasformati. Purdopo l’adozione del Regolamento (uE) n. 1169/2011, non ha ancora trovato compiuta soluzione il per-durante conflitto in materia. Il lavoro analizza due regolamenti esecutivi della Commissione Europea, n.1337/2013 sull’etichettatura di origine di carni diverse dalla carne bovina e n. 2018/775 sull’indicazionedi origine degli ingredienti, e tre decisioni della Corte di giustizia, intervenute nell’arco di pochi mesi tra2019 e 2020, relative all’indicazione di origine dei funghi, ai prodotti agro-alimentari provenienti da territoripalestinesi occupati da Israele, alla disciplina nazionale francese sull’indicazione di origine del latte e deiprodotti lattiero-caseari, e conclude che, in attesa di nuove pronunce della Corte di giustizia o nuovi inter-venti del legislatore europeo, l’incertezza permane.

la redazione

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L’evoluzione delle regole europeesulla trasparenza: verso un siste-ma di «Sicurezza Alimentare 2.0»*

Irene Canfora

1.- Cittadini e sicurezza alimentare: il ruolo del-l’informazione e della trasparenza

L’impatto dell’opinione pubblica rispetto alle crisialimentari immediatamente precedenti all’adozio-ne degli atti legislativi europei sulla sicurezza ali-mentare ha giocato un ruolo significativo nell’im-postazione delle scelte di politica legislativa chene sono derivate. La necessità di dare una risposta alla sfiducia deicittadini rispetto al controllo sulla sicurezza deglialimenti, conseguente alla crisi della BSE, avevaportato le istituzioni europee, con l’inizio delnuovo millennio, a partire dal Libro Bianco sullasicurezza alimentare del 2000, a rivedere in radi-ce le soluzioni normative sino ad allora adottate.Il profilo è stato peraltro ben evidenziato nei lavorisulla sicurezza alimentare, che hanno delineatole premesse del quadro disciplinare di cui al reg.n. 178/2002, offrendo una immagine efficacedella cornice su cui si innesta la disciplina norma-tiva europea1. Il Libro bianco della Commissionesulla sicurezza alimentare – che segna lo spar-tiacque tra la frammentarietà degli interventi legi-slativi (sul piano delle fonti di regolazione e dei

settori di riferimento) e la scelta di addivenire aduna regolamentazione sistemica del diritto ali-mentare – afferma espressamente che è neces-sario adottare misure normative per fornire unarisposta all’allarme dei cittadini sulla sicurezzadegli alimenti: “L'unione europea deve ristabilirela fiducia del pubblico nei suoi approvvigionamen-ti alimentari, nella sua scienza degli alimenti, nellasua normativa in materia alimentare e nei suoicontrolli degli alimenti”2. La fiducia del pubblico,richiamata nell’introduzione al documento, quasicome filo conduttore delle scelte normative pro-spettate di seguito, si articola poi in diversi aspettidella costruzione del regolamento 178/02 e degliatti che lo hanno seguito. L’impostazione della politica legislativa in terminidi risposta all’opinione pubblica emerge, infatti,dalla lettura della legislazione europea, quale fat-tore propulsivo per l’intervento del legislatore inmateria di sicurezza alimentare.A conferma della sensibilizzazione dei cittadini,già nelle premesse al regolamento generale sirichiama espressamente l’esigenza di un adegua-to fondamento scientifico delle scelte normativeeuropee – e si ribadisce che esso sia necessarioa sostegno della fiducia degli utenti dei prodottiimmessi sul mercato come alimenti sicuri. Il con-siderando n. 9 del reg. n. 178/2002, afferma,infatti, che “occorre far sì che i consumatori, glialtri soggetti interessati e le controparti commer-ciali abbiano fiducia nei processi decisionali allabase della legislazione alimentare, nel suo fonda-mento scientifico e nella struttura dell’indipenden-za delle istituzioni che tutelano la salute e altri

Ricerche

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(*) L’articolo rielabora la relazione tenuta al Convegno di Firenze 21-22 novembre 2019 in onore della prof.ssa Eva Rook Basile, Le rego-le del mercato agroalimentare tra sicurezza e concorrenza, i cui Atti sono in corso di pubblicazione. (1) tra gli altri, cfr. germanò, Rook Basile, La sicurezza alimentare, in germanò, Rook Basile, Il diritto alimentare tra comunicazione esicurezza dei prodotti, torino 2005, p. 223; germanò, Rook Basile, La sicurezza alimentare, in Trattato di diritto privato dell’UnioneEuropea, diretto da Ajani e Benacchio, vol XI, torino 2006 p. 321, nonché i diversi contributi che hanno inquadrato il diritto alimentare apartire dal reg. 178/02: in particolare si veda il commentario a cura di Costato al reg. 178/02 in Nuove Leggi civili commentate 2003 p.114 ss; Costato, Albisinni (eds.) European and Global Food Law, Milano 2016; Masini, Diritto alimentare. Una mappa delle funzioni,Milano 2014.(2) Commissione delle Comunità Europee, Libro Bianco sulla sicurezza alimentare, COM (1999) 719 def.,12 gennaio 2000, par. 7.

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interessi”. Com’è noto, il problema della “fiducia dell’opinio-ne pubblica” è riemerso, più recentemente, con lavicenda del glifosato, che ha portato a una mobi-litazione dei cittadini attraverso l’avvio di un’inizia-tiva popolare, promossa ai sensi dell’allora vigen-te Regolamento n. 211/20113. L’iniziativa dei citta-dini europei si è spinta in questo caso ben oltre lasemplice richiesta di revoca dell’autorizzazionedell’erbicida in ragione della sua pericolosità perla salute umana (peraltro, in prima istanza nonritenuta fondata dalla Commissione). Essa hacondotto, da un lato, ad aprire una più ampiariflessione, a livello europeo, sul metodo di valu-tazione scientifica sino ad allora adottato – in par-ticolare nel settore dei pesticidi, la cui immissionesul mercato prevede regole procedurali differentida quelle, più rigorose, applicabili agli alimenti emangimi. Più in generale, l’azione è stata rivolta apromuovere interventi legislativi diretti a ridurre,nel complesso, il ricorso ai pesticidi in agricolturanel territorio dell’uE4. La partecipazione dei cittadini, nella forma dellerappresentanze della società civile, per altroverso, è divenuta strumento giuridico essenzialee parte integrante della stessa normativa sullasicurezza alimentare, con l’entrata in vigore delreg. n. 178/2002. Infatti, se valutazione preventiva del rischio egestione del rischio costituiscono aspetti neces-sari per il funzionamento dell’intero assetto rego-lativo, l’informazione ai cittadini e la trasparenzadei processi svolge un ruolo (politico) essenzialeper la tenuta del sistema, proprio a fronte dell’esi-genza, più volte esplicitata nelle premesse alregolamento, di “accrescere la fiducia dei cittadi-ni”.Invero, il canone della trasparenza, nel disegno

europeo, pervade l’intero assetto del reg. n.178/2002, a monte e a valle dell’adozione dellenorme di diritto alimentare, come si è significati-vamente evidenziato nella definizione dei principialla base del sistema: a monte, nella formazionedelle norme; a valle, nell’applicazione degli stru-menti regolativi. A fianco dell’analisi del rischio edella precauzione, il regolamento individua infattii principi di trasparenza, che assumono la dupliceveste: della consultazione dei cittadini “nel corsodell’elaborazione, della valutazione e della revi-sione della legislazione alimentare” (art. 9); edell’informazione al pubblico sul rischio e sullasua natura, qualora vi sia un sospetto che un pro-dotto già in commercio comporti rischi per la salu-te umana (art. 10). In verità, in sede di attuazione dei principi definitidal reg. n. 178/2002, sono emerse criticità e dubbiinterpretativi che, innanzitutto la Corte di giustizia,si è trovata ad affrontare. E’ stata la Corte di giustizia a sostenere un’inter-pretazione estensiva del combinato dispostodegli articoli 10 e 14, in relazione alla diffusionedelle informazioni ai cittadini in caso di rischi igie-nico sanitari di prodotti già immessi commercio,affermando l’obbligo per gli Stati di diffusione alpubblico delle informazioni sulla denominazionedell’alimento e sull’impresa produttrice, anche nelcaso in cui l’alimento non sia di per sé dannosoper la salute, bensì già soltanto “inadatto al con-sumo umano”5.Analogamente, il tribunale di primo grado haaffermato l’obbligo di diffondere le informazioninecessarie al funzionamento del sistema di allar-me rapido da parte delle autorità pubbliche (nellaspecie, si trattava dell’avvenuta diffusione di infor-mazioni relative ad un rischio di tossicità di unapartite di mele), anche senza attendere l’esito

(3) Sulle procedure di iniziativa dei cittadini europei e sulle problematiche emerse in sede di applicazione del reg. 211/2011, abrogato apartire da gennaio 2020 dal reg. 2019/788, v. Damato, Profili critici e istanze di revisione del diritto di iniziativa dei cittadini europei, in Ildiritto dell’Unione Europea, 2017, p. 39 ss. (4) Comunicazione della Commissione sull’iniziativa dei cittadini europei “Vietare il glifosato e proteggere le persone e l’ambiente daipesticidi tossici”, Strasburgo 12.12.2017 C(2017) 8414 final; si veda sul tema: Mestre, La saga du glyphosate. Retour à quelques patho-logies du système de l’Union, in Rev. Dr. Rural, n. 465, 2018, p. 31.(5) Corte di giustizia 11 aprile 2013, causa C-636/11, Berger c. Freistaat Bayern.

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definitivo delle ricerche relative all’accertamentodel rischio per la salute, sul presupposto che,altrimenti, “il principio di precauzione verrebbeprivato del suo effetto utile”. Anche in questo casosi afferma una prevalenza dell’interesse generaleche passa attraverso la diffusione delle informa-zioni ai cittadini, dando priorità a quest’ultima esi-genza rispetto agli interessi economici delleimprese: “la ricorrente, vittima di tale sistema diallarme introdotto per proteggere la saluteumana, deve accettarne le conseguenze econo-miche negative, dato che occorre accordare allaprotezione della sanita pubblica un’importanzapreponderante rispetto alle considerazioni econo-miche”6.In realtà, nel caso di diffusione “a valle” delleinformazioni ai cittadini (strutturale per il funziona-mento del sistema di sicurezza) si parte dal pre-supposto che si possa verificare un effettivo peri-colo per la salute dei consumatori, e che sussistaun fumus boni iuris per l’adozione di misure diurgenza, da leggere in chiave precauzionale. La violazione di parametri normativi da cui deriva-no le regole di comportamento delle imprese, intal caso, è già stata accertata. Si tratta, in sostan-za, di intervenire in situazioni in cui si è verificata,da parte delle imprese della filiera, una deviazio-ne rispetto alle regole di condotta imposte dallanormativa europea (controllo del tasso di residuitossici sul prodotto finale; violazione di norme diigiene nella fabbricazione dell’alimento) e conse-guentemente sorge l’esigenza di diffondere ai cit-tadini le informazioni relative ad un pericolo giàaccertato. Più complessa è invece l’attuazione del sistema

di trasparenza per quanto riguarda la partecipa-zione dei cittadini “a monte” dell’immissione sulmercato di un prodotto nella filiera alimentare. Il principio è enunciato all’art. 9 del reg. n.178/2002 che afferma, come si è detto, la parte-cipazione attiva dei cittadini nel processo di valu-tazione iniziale del rischio: in questa fase, gli inte-ressi economici delle imprese coinvolte nonriguardano tanto eventuali danni conseguenti alritiro di singole partite di prodotti (o danni all’im-magine dell’impresa); incidono, piuttosto, sulrischio connesso agli investimenti nell’innovazio-ne e nelle nuove tecnologie. Per altro verso, va sottolineato che l’iniziativadelle imprese, volta a tradurre in prodotti l’innova-zione scientifica e tecnologica, è regolata, nelsistema europeo, attraverso procedure di autoriz-zazione preventive per l’immissione sul mercatodei prodotti, finalizzate a garantire l’efficacia delprocesso di valutazione del rischio, con regole dif-ferenti a seconda della tipologia di prodotto (perrimanere nell’ambito degli alimenti: OgM, novelfood, mangimi, integratori; cui si aggiungono iprodotti, come i pesticidi, che possono avereeffetti indiretti sui prodotti agricoli e in genere sullasalute dell’uomo). Conseguentemente, in questalogica, il principio della partecipazione, in tantodiviene operativo, in quanto esso venga integratoall’interno del meccanismo giuridico del processodecisionale di autorizzazione7.Ad oggi, si può dire che il punto di arrivo di un“coordinamento” tra la partecipazione attiva dellasocietà civile nella fase di formazione delle normee la procedimentalizzazione dell’immissione sulmercato dei prodotti previa analisi del rischio (arti-

(6) tribunale di primo grado delle Comunità Europee 10 marzo 2004, causa t-177/02, Malagutti Verzinhet p. 54. Sul punto, v. Petrelli, Ilsistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi, in q. Riv. www.rivistadirittoalimentare.it n. 4-2010, p. 12, Lattanzi, Il sistema di allar-me rapido nella sicurezza alimentare. Il caso delle mele al pesticida, in Agricoltura, Istituzioni, Mercati, 2004, n. 3, 237; Albisinni, La sicu-rezza alimentare veicolo di innovazione istituzionale, in q. Riv. www.rivistadirittoalimentare.it n. 4-2009, p.10.(7) non mancano, peraltro, esempi in cui l’inclusione dei cittadini nel processo decisionale è stata realizzata attraverso modelli parteci-pativi elaborati a livello nazionale. Si pensi, ad esempio, in Francia, alla costituzione, prevista dalla Loi Egalim, degli Stati generali del-l’alimentazione, in cui la partecipazione della società civile è stata in un certo senso “predefinita” e organizzata già in via legislativa, perorientare la legislazione nazionale su aspetti di rilievo dell’opinione pubblica proprio nel settore del funzionamento (economico) dellafiliera agroalimentare. Cfr. Hernandez-Zakine, Les états généraux de l’alimentation: un vocabulaire, un état d’esprit, annonciatuer d’unpossible basculement culturel, in Revue de Droit Rural 2017, n. 458, p. 3; Foyer, Loi EGALIM: présentation générale, in Revue de DroitRural 2019, n. 472, p. 8.

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(8) Sarebbe impossibile richiamare in questa sede gli studi sul principio di precauzione nel diritto alimentare, dopo l’introduzione dell’art.7 reg. 178/02, oggetto di importanti interventi giurisprudenziali del tribunale di primo grado (rimane fondamentale la lettura del tribunalein causa t- 13/99 Pfizer Animal Health) e della Corte di giustizia, che ne hanno delineato i contenuti e il profilo interpretativo. una primaanalisi della norma, nella letteratura italiana è nel Commentario a cura di Costato del reg. 178/02, in Nuove Leggi civili commentate2003, fascicolo 1. tra gli scritti che ricostruiscono la ratio dell’istituto, si veda Marini, Il principio di precauzione nel diritto internazionalee comunitario: disciplina del commercio di organismi geneticamente modificati e profili di sicurezza alimentare, Padova 2004. Si segnalail saggio di Szajkowska, The impact of the definition of the precautionary principle in EU food law, in Common Market Law Review 2010,173 ss.(9) Sul punto, si rinvia a quanto osservato in Canfora, “Products of innovation” in agri-food markets. Legal rules for the access of inno-vating products and paradigms in the agri-food market, in AIDA-IFLA (ed.), Innovation in agri-food law between technology and compa-rison, Milano, 2019 p. 61. Sul nuovo regolamento per l’autorizzazione all’immissione in commercio dei c.d. novel food, v. Bouillot,L’encadrement européen de la mise sur le marché d’aliments nouveaux par le règlement (CE) n° 2015/2283 dit novel food, in EuropeanJournal of Consumer Law, 2015, 597; Santini, La revisione della disciplina dei novel foods tra tutela di interessi generali e obiettivi eco-nomici, in Il diritto dell’Unione Europea, 2017, p. 625.

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colata nel rapporto tra imprese richiedenti e auto-rità pubbliche coinvolte nella valutazione e gestio-ne del rischio) è rappresentato dal Regolamento(uE) 2019/1381 del Parlamento e del Consiglio,relativo alla trasparenza e sostenibilità dell’analisidel rischio nella filiera alimentare. una riflessione partita, come anticipato, dallavicenda del glifosato, che ha “completato” il qua-dro normativo della gestione del sistema sicurez-za, rafforzando con una nuova e più dettagliataregolazione giuridica, proprio la fase della comu-nicazione del rischio, definita come “parte essen-ziale del processo di analisi del rischio”, ma sino-ra “considerata complessivamente di scarsa effi-cacia” (3° considerando del Regolamento2019/1381). Si può dire che il regolamento sulla trasparenza ela sostenibilità dell’analisi del rischio nel 2019inaugura una nuova fase della legislazione euro-pea, che potremmo definire appunto: «SicurezzaAlimentare 2.0».

2.- Valutazione del rischio, precauzione e nuovoassetto della trasparenza

Prima di affrontare le soluzioni adottate dall’ultimoregolamento sulla trasparenza e proporre unaprima lettura per valutarne l’efficacia, occorreconsiderare la struttura del sistema delle proce-dure per l’immissione sul mercato dei prodotti ali-mentari, al cui interno si colloca la “trasparenza”

dell’analisi del rischio. Ebbene, già per quanto concerne le procedure diimmissione dei prodotti sul mercato, si deve regi-strare una tensione tra esigenze di semplificazio-ne, volte a favorire l’innovazione di prodotti sulmercato su iniziativa delle imprese, da una parte,e rispetto del principio di precauzione, dall’altra:quest’ultimo rappresenta, infatti, il parametro diguardia, su cui si fonda la legislazione europea,quale strumento di valutazione della conformitàdelle misure rispetto agli obiettivi del sistema –come si desume dalla collocazione tra i principifondanti della legislazione alimentare8.Innanzitutto va premesso che la valutazione delrischio, basata sul rispetto del principio di precau-zione, può essere o meno incanalata in preciseprocedure di autorizzazione preventiva. Anchetale opzione risponde a una precisa scelta diregolazione – se e quali prodotti assoggettare aprocedura di autorizzazione. A titolo esemplificati-vo, si pensi all’elencazione delle sostanze chericadono nell’ambito di applicazione del regola-mento sui novel food 2015/2283 e che, in quantotali, divengono soggette a procedura di autorizza-zione9. In secondo luogo, la scelta regolativa riguarda laprocedura, che può essere articolata in diversemodalità, ordinarie ovvero semplificate – come incaso di rinnovo, di variazione parziale della com-posizione, o ancora, come previsto dal regola-mento novel food, per quelle categorie di alimentitradizionalmente in uso presso Stati extra-uE.

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Altra questione, infine, riguarda la possibilità, inassenza di procedure armonizzate a livello euro-peo per l’immissione in commercio, che gli Statimembri applichino normative nazionali che preve-dano restrizioni alla commercializzazione (erichieste di autorizzazione) a tutela della salutedei consumatori.quel che rileva, ai fini della presente analisi, èche, in ogni caso – indipendentemente dal livellodi regolazione (europeo o nazionale) e dallemodalità della procedura (semplificata o ordina-ria) – i principi generali della legislazione alimen-tare, dell’analisi del rischio e del principio di pre-cauzione, costituiscono il quadro di riferimento siain fase di definizione delle regole che nell’attua-zione delle procedure. Sul tema è più volte ritornata la Corte di giustizia,al fine di verificare se le procedure di autorizza-zione fossero o meno conformi al vaglio del prin-cipio di precauzione. Così, in mancanza di armo-nizzazione di norme relative all’immissione sulmercato di prodotti, la Corte è intervenuta pervalutare la conformità delle procedure nazionalirispetto ai principi generali del diritto europeo inmateria di legislazione alimentare. In particolare,la Corte ha affermato che in assenza di armoniz-zazione e qualora si sia di fronte a incertezze allostato attuale della ricerca scientifica, “spetta agliStati membri decidere del livello a cui intendonogarantire la tutela della salute e della vita dellepersone”; “tuttavia, la conformità di una normativanazionale che disciplina la sicurezza alimentarecon il sistema previsto dal reg. n. 178/2002 èsubordinata al rispetto da parte della medesimadei principi generali della legislazione alimentare,segnatamente del principio di analisi del rischio edel principio di precauzione”10. Sempre in riferimento al “controllo” sull’utilizzo delprincipio di precauzione da parte degli organi

europei, in altra occasione, la Corte di giustizia èintervenuta a valutare l’applicazione del principiodi precauzione da parte degli Stati membri rispet-to ad una procedura già disciplinata a livello euro-peo, per il rinnovo di sementi OgM già presentisul mercato11. In particolare, la Corte ha di fattoribadito la preminenza del livello di governanceeuropea nella gestione del rischio e nell’applica-zione del principio di precauzione, in presenza diuna procedura speciale espressamente regola-mentata dal diritto europeo – e, nel caso di spe-cie, prevista dall’art. 34 del reg. n. 1829/2003.Ancora, nella recente sentenza del 1° ottobre201912 sulla procedura di immissione sul mercatodella sostanza attiva glifosato, vertente sulla vali-dità del reg. n. 1107/2009, la Corte ha compiutouna approfondita valutazione in ordine allaconformità della procedura di autorizzazionerispetto al principio di precauzione, puntualizzan-do, da un lato che non è sufficiente il dato formaleche tale principio sia stato adottato quale basegiuridica del regolamento, dall’altro che lo scopodel regolamento è proprio quello di creare un qua-dro normativo che consenta agli Stati membri didisporre di elementi sufficienti, nel quadro com-plessivo dei criteri rilevanti, per valutare i rischiper la salute nell’applicare la normativa sul loroterritorio. L’effettiva rispondenza delle regole pro-cedurali al principio di precauzione è quindi stabi-lita in relazione all’analisi e all’impostazione delsistema di autorizzazione, che deve permettere inconcreto “alle autorità competenti degli Statimembri di disporre di elementi sufficienti per valu-tare in modo soddisfacente i rischi per la salutederivanti dall’uso di sostanze attive e di prodottifitosanitari”13. Dunque, a valle di una disaminadella procedura, la Corte si preoccupa di afferma-re che il principio “secondo cui incombe al richie-dente di fornire la prova in merito al fatto che la

(10) Corte di giustizia 19 gennaio 2017, Queisser Pharma, C 282/15. Sul punto, e sull’ambito di discrezionalità degli Stati membri nell’appli-cazione del principio di precauzione, si rinvia a quanto osservato in Canfora, Il principio di precauzione nella governance della sicurezzaalimentare: rapporti tra fonti in un sistema multilivello, in Riv. dir.agr., 2017, p. 471.(11) Corte di giustizia, 13 settembre 2017, causa C-111/16, Fidenato et al.(12) Corte di giustizia 1 ottobre 2019, C-616/17, Blaise et al.(13) Corte di giustizia 1 ottobre 2019, cit., punto 47.

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sostanza attiva soddisfi i criteri previsti dal regola-mento” “contribuisce al rispetto del principio diprecauzione, garantendo che l’assenza di noci-vità non sia presunta” (punti 79, 80). Ancora, si ritiene “conforme al principio di precau-zione” la successiva valutazione da parte delleautorità pubbliche dello Stato membro, il quale ètenuto ad eseguire “una valutazione indipenden-te, obiettiva e trasparente, alla luce delle attualiconoscenze scientifiche e tecniche”: incombe alleautorità competenti “tener conto dei dati scientificidisponibili più affidabili e dei più recenti risultatidella ricerca internazionale, e non dare in tutti icasi peso preponderante agli studi forniti dalrichiedente” (punti 88, 93, 94). La stessa Corte di giustizia, tuttavia, nel valutarela conformità delle procedure di autorizzazioneper i pesticidi alla luce del principio di precauzio-ne, non sembra considerarle pienamente soddi-sfacenti, quanto al profilo della trasparenza.Infatti, nonostante la sentenza si concluda con ladichiarazione che dalle questioni pregiudiziali nonemerge alcun elemento tale da inficiare la validitàdel regolamento, la Corte afferma (chiaramenteriferendosi alle modifiche introdotte dal reg.2019/1381, seppure non ancora pubblicato almomento dell’emanazione della sentenza): “nonsi può escludere che una rafforzata trasparenzadi tali procedure possa consentire una valutazio-ne ancora migliore dei rischi per la salute, permet-tendo al pubblico interessato di presentare argo-menti contrari al rilascio dell’approvazione o del-l’autorizzazione domandata dal richiedente”(punto 102).Invero, al di là dell’analisi condotta dalla Corte digiustizia che, a conclusione della sua indagine(difendendo la struttura del procedimento di cui alreg. n. 1107/2009) ha ritenuto che dall’esamedelle questioni pregiudiziali non emergessero ele-menti tali da inficiare la validità del regolamento inoggetto, è stato il Parlamento europeo insieme alConsiglio, con il regolamento del 20 giugno 2019,pubblicato in guuE il 6 settembre, a determinare

una inversione di tendenza nella valutazionedell’efficacia del procedimento rispetto ai rischidella salute umana, e conseguentemente ad ade-guarlo ai principi su cui si basa la sicurezza ali-mentare. A tale proposito, nei considerando alregolamento si evidenziano “i timori di scarsa tra-sparenza a proposito degli studi commissionatidall’industria e presentati in vista delle proceduredi autorizzazione”14: oggetto di modifica, nel piùampio contesto delle nuove regole di trasparenzae analisi del rischio, sono infatti anche le disposi-zioni del reg. n. 1107/09, con particolare riguardoall’accesso pubblico ai fascicoli e all’accesso delpubblico alle informazioni relative al rinnovo.In conclusione, si può dunque affermare che leistituzioni europee – e la stessa Corte di giustizianelle pronunce che applicano i principi del dirittoalimentare – abbiano inteso porre particolareattenzione affinché le procedure di immissionesul mercato dei prodotti alimentari o di prodottidestinati a influire sugli alimenti e sui mangimi -sia nelle scelte regolative europee, che nei para-metri interpretativi - debbano rispondere al princi-pio guida del sistema di valutazione del rischio,che è rappresentato dal principio di precauzione,alla cui effettività sono collegate sia le regole pro-cedurali destinate ad assicurare una correttavalutazione del rischio, sia le regole della traspa-renza di tale processo.

3.- Trasparenza e protezione dei dati riservati

E’ opportuno soffermarsi sulla questione, divenu-ta centrale nella revisione normativa del 2019,della trasparenza e della partecipazione dei citta-dini nelle procedure di valutazione del rischio,prodromiche all’adozione dell’atto normativo. Invero, al di là della importante definizione deiprincipi, sopra richiamati, di cui all’art. 9 del reg. n.178/2002, il profilo della partecipazione attiva nelmodello europeo sulla sicurezza era sinora rima-sto latente sul piano applicativo.

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(14) Considerando n. 27 del reg. 2019/1381 e art. 7, che introduce modifiche al reg. 1107/2009.

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Il regolamento 178/02 invece – così come, per gliaspetti specifici relativi ai novel food, anche il reg.2015/2283 – si sono preoccupati di individuareespressamente i casi in cui è possibile richiedere,da parte delle imprese, una protezione del segre-to industriale e quindi una secretazione dei fasci-coli o di parte di essi. già nell’impostazione iniziale delle regole delsistema, tuttavia, il confine insuperabile riguardala prevalenza dell’interesse generale per la salutedei cittadini, declinato in termini di tutela dell’am-biente, nel reg. n. 1107/2009. nonostante la sin-teticità delle disposizioni, già l’originaria versionedell’art. 39 del reg. n. 178/2002 stabiliva che, inderoga alle regole della trasparenza, “l’Autoritànon rivela a terzi le informazioni riservate da essaricevute in ordine alle quali è stato richiesto e giu-stificato un trattamento riservato, ad eccezionedelle informazioni che devono essere rese pubbli-che, se le circostanze lo richiedono, per protegge-re la salute pubblica”. L’attuale disposizione,come modificata dal reg. 2019/1381, specifica oraquali siano le sole informazioni per le quali ilrichiedente può chiedere trattamento riservato, acondizione che egli dimostri che tali informazionidanneggiano i suoi interessi in maniera significa-tiva – e fermo restando che “qualora sia essenzia-le agire urgentemente per tutelare la saluteumana, animale o l’ambiente, l’Autorità puòcomunque divulgare tali informazioni”. Con una formula analoga – sebbene, dal tenoredel testo, già più aperta ai principi di trasparenzarispetto all’originario testo dell’art 39 del reg. n.178/2002 – l’articolo 23 del reg. 2015/2283, rela-tivamente ai novel food, nel prevedere le condi-zioni alle quali “i richiedenti possono domandareche alcune informazioni siano oggetto di tratta-mento riservato, nel caso in cui la divulgazionepossa nuocere alla loro posizione concorrenzia-le”, stabilisce che la Commissione, gli Stati mem-bri e l’Autorità prendono le misure necessarie pergarantire la riservatezza “fatta eccezione per leinformazioni per cui è previsto l’obbligo di divulga-zione pubblica per tutelare la salute umana”. Indubbiamente, all’affermazione del principio ditrasparenza e alla definizione di un preciso e

motivato catalogo di dati “secretabili”, consegueun potenziamento degli strumenti di partecipazio-ne legati alla fase della valutazione del rischio, incui una pluralità di soggetti sono posti nella realecondizione di intervenire nel procedimento, atutela di interessi ambientali e della salute dell’uo-mo e degli animali.Muovendo un passo in avanti verso la maggioretrasparenza delle informazioni, il nuovo regola-mento, nell’affermare la regola generale della tra-sparenza di ogni fase dell’analisi del rischio – lacui divulgazione avviene al pubblico su appositasezione del sito web dell’Autorità – definisce oraespressamente le sole informazioni per le quali leimprese sono autorizzate a chiedere la riserva-tezza dei dati (art 39 par. 2, nella nuova versione).tale richiesta, corredata da una giustificazioneverificabile che dimostri in che modo la divulga-zione danneggi significativamente gli interessidelle imprese (art. 39bis, par. 1 reg. n. 178/2002)è legata alle esigenze di protezione della pro-prietà industriale e del rispetto delle disposizioniche tutelano gli investimenti delle imprese; in ognicaso, come precisa il considerando n. 28, la divul-gazione di dati non deve rappresentare “un’auto-rizzazione a ulteriori usi o utilizzazioni, preservan-do il carattere proattivo della divulgazione al pub-blico”. A tale proposito va rilevato che, al di là del richia-mo alle regole generali sulla proprietà intellettualee la protezione degli investimenti, il regolamentonon interviene ulteriormente sul profilo del rischiodi sfruttamento illecito dei dati, limitandosi adaffermare che “la divulgazione non vale comeautorizzazione né licenza esplicita o implicita diutilizzo, riproduzione o sfruttamento in qualsiasiforma dei dati e delle informazioni in violazione dieventuali diritti di proprietà intellettuale o normesull’esclusività dei dati”, e aggiungendo chel’unione non è responsabile dell’utilizzo di dati(resi pubblici) da parte dei terzi. Dunque, il rischio di utilizzo abusivo delle informa-zioni da parte di concorrenti dovrà essere attenta-mente analizzato dalle imprese richiedenti, curan-do la richiesta di secretazione, con adeguata giu-stificazione, dei dati sensibili. Lo sfruttamento ex

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post, da parte dei concorrenti, di informazionirese note pubblicamente nel processo di autoriz-zazione della sostanza, parrebbe escludere ogniresponsabilità dell’autorità europea.D’altro canto, sul versante dell’autonomia privata,questo nuovo approccio non può che indurre leimprese a “curvare” ulteriormente le attività diR&S in conformità con l’accresciuta domanda ditutela ambientale e di sicurezza – anche nellalogica, ormai entrata a pieno titolo nelle scelteeconomiche e di marketing delle imprese, di valo-rizzare i profili della “responsabilità sociale”, attra-verso la promozione e la divulgazione delle pro-prie finalità di ricerca, volte a garantire, nell’otticadi una rinnovata attenzione per la trasparenza el’analisi del rischio, i profili della sostenibilitàambientale e della sicurezza dei cittadini, già nelprocesso interno della definizione di nuovi prodot-ti da immettere sul mercato. La trasparenza delleinformazioni, prevista come parte integrante delprocesso di analisi del rischio, dunque, dal ver-sante delle imprese che fanno innovazione, puòrappresentare una opportunità per mettere in evi-denza le caratteristiche di sostenibilità seguitenella fase preliminare delle attività di ricerca delleimprese, anche in vista dei nuovi obiettivi delGreen New Deal europeo, enunciate nei docu-menti programmatori del maggio 2020, che porte-ranno nei prossimi anni ad orientare la legislazio-ne (e conseguentemente le attività di tutti gli ope-ratori coinvolti) verso un rafforzamento degliobiettivi di sostenibilità ambientale15.

4.- Il canone della trasparenza come partecipa-zione attiva della società civile e della comunitàscientifica

quanto ai profili della concreta partecipazione di“voci differenti” nell’interazione tra imprese eAutorità europee, il nuovo regolamento intervienesignificativamente su più aspetti.

Il nodo della legislazione europea, affrontato dalRegolamento (uE) 2019/1381, come si è detto,sta nell’esigenza di coniugare il processo di valu-tazione del rischio (che parte dagli studi scientificielaborati dalle imprese e termina con l’approva-zione delle Autorità) con la più ampia partecipa-zione dei soggetti nella fase del processo di valu-tazione. Il nuovo disegno della trasparenza ha condotto auna riscrittura delle forme di controllo da partedegli organi europei nel processo di valutazionedel rischio, che produce l’estensione del diritto diaccesso dei cittadini alle informazioni scientifiche,così come anche l’inserimento del processo distudi di verifica, commissionati indipendentemen-te dall’Autorità e la preoccupazione del recluta-mento di esperti indipendenti.Il parametro di riferimento è quello di una analisidel rischio comprensiva e precauzionale, che pre-suppone una solida base scientifica di riferimen-to, tale da permettere la “valutazione delle infor-mazioni disponibili”. D’altro canto, l’applicazionedi misure precauzionali, ai sensi dell’art. 7 c. 2 delreg. n. 178/2002, presuppone la valutazione ditutti gli aspetti pertinenti all’assunzione di unamisura di gestione del rischio, inclusi, oltre aglielementi tecnici e economici, “altri aspetti perti-nenti”, tra cui indubbiamente la valutazione del-l’impatto sull’opinione pubblica. In primo luogo, dunque, la più ampia inclusione,all’interno del processo di valutazione del rischio,delle possibili osservazioni, obiezioni, richieste dichiarimenti, provenienti da esponenti dellasocietà civile, portatori di interessi collettivi,risponde al completamento degli elementi neces-sari a valutare l’ultimo passaggio di questo pro-cesso di valutazione, consistente nella “gestionedel rischio”: vale a dire, la definizione delle misurenormative da adottare ai fini dell’immissione diuna nuova sostanza sul mercato (ovvero dell’eli-minazione di prodotti già presenti sul mercato e dicui è emersa la pericolosità).

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(15) In particolare, tra i documenti della Commissione pubblicati il 20 maggio 2020, si veda la Comunicazione Una strategia "Dal produt-tore al consumatore" per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell'ambiente, COM (2020) 381 final.

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In secondo luogo, nella logica di una effettiva tra-sparenza di tutti i potenziali fattori di rischio, nella“revisione” del sistema di trasparenza assume unruolo significativo, oltre alla “partecipazione deicittadini” anche il più ampio coinvolgimento dellacomunità scientifica, su cui gli organismi europeipossono fare affidamento. Da un lato, infatti, ilregolamento introduce la possibilità di richiederestudi scientifici supplementari di verifica, in casodi situazioni controverse, e dall’altro, si ritiene “dimassima importanza che l’Autorità svolga ricer-che nella letteratura scientifica al fine di prenderein considerazione altri dati e studi esistenti sul-l’oggetto sottoposto a valutazione”.In ultimo, è opportuno segnalare ancora due ele-menti del nuovo regolamento che completano ilquadro di una rinnovata trasparenza, volta a ren-dere effettivamente efficace il sistema di valuta-zione del rischio. Si tratta di due disposizioni che hanno la finalità dicoinvolgere, in una logica partecipativa, tutti gliattori economici, con l’obiettivo di coniugare inno-vazione e sicurezza delle produzioni alimentari. In tal senso, non è irrilevante che il Regolamento(uE) 2019/1381 prenda in considerazione la par-tecipazione delle piccole e medie imprese al pro-cesso di innovazione tecnologica. E’ significativa, a tale riguardo, la previsione diorientamenti sulle norme applicabili e sul conte-nuto delle domande, nonché l’elaborazione dimodelli standard, utili proprio alla piccole e medieimprese che intendano presentare domande onotifiche soggette alla valutazione dell’Autorità (v.art. 32 bis, art 39 septies del reg. n. 178/2002 econsiderando n. 20 del reg. 2019/1381). Si trattadi previsioni che da un lato rendono uniforme l’ac-cessibilità ai documenti al pubblico, ma dall’altrofacilitano la presentazione delle domande daparte delle imprese. un altro aspetto del nuovo regolamento meritainfine una particolare attenzione dell’interprete, inriferimento alle trasparenza che caratterizza il

processo di valutazione del rischio, questa voltacon riguardo al ruolo attribuito alla comunitàscientifica e alla rilevanza della presenza diesperti indipendenti a sostegno delle scelte politi-che e delle misure normative da adottare. Il regolamento si preoccupa in particolare diaccrescere la partecipazione di esperti scientificiindipendenti nella fase di valutazione del rischio,evidenziando la necessità che “gli Stati membri ei datori di lavoro dei membri del comitato scienti-fico e dei gruppi di esperti scientifici si astenganodall’impartire loro istruzioni incompatibili con icompiti individuali e con i compiti, le responsabi-lità e l’indipendenza dell’Autorità” (art. 28, par. 5quinquies). Si tratta di una previsione particolarmente signifi-cativa alla luce dell’attuale contesto di formazionedelle norme, conseguente all’emergenza sanita-ria COVID-19 e alle modalità di coinvolgimento diesperti per la valutazione dei rischi, che si è dovu-ta realizzare a tutti i livelli di governo16: la disposi-zione infatti stabilisce i limiti dell’interazione trasoggetti politici e esperti scientifici nella ricercadelle soluzioni normative più adatte a fronteggiarele situazioni di rischio. Il coinvolgimento di espertiscientifici nella costruzione dei panel per la valu-tazione dell’analisi del rischio, presuppone infattil’indipendenza degli esperti esterni coinvolti per lavalutazione dei rischi. Il regolamento specificaadesso, nella disposizione richiamata, l’obbligo disoggetti pubblici e privati (Stati membri e datori dilavoro degli esperti) di astenersi dall’impartireindicazioni relativamente ai pareri che gli espertisono chiamati a svolgere nell’interesse generalee nello svolgimento di una funzione pubblica.nelle relazioni tra Stati membri e AutoritàEuropea, tale previsione va letta in rapporto allaripartizione di competenze nella valutazione delrischio: nella logica del reg. 178/02, infatti, la coo-perazione tra Stati membri e organi europei pre-vede, nella fase di valutazione del rischio la pre-valenza del ruolo dell’EFSA, che assume anche

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(16) Sul punto, cfr. tallacchini, Establishing a Legitimate Knowledge-based Dialogue among Institutions, Scientists and Citiziens duringthe COVID-19: Some Lessons from Coproduction, in Tecnoscienza, 2019, p. 5 ss.

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un ruolo di coordinamento e di valutazione dieventuali sovrapposizioni con le attività svolte alivello nazionale dalle omologhe agenzie. quanto alle potenziali interferenze da parte deidatori di lavoro degli esperti esterei che partecipa-no a gruppi di lavoro o a comitati scientificidell’EFSA, va detto che la previsione del regola-mento europeo ha indubbiamente la funzione dirimarcare l’obbligo di indipendenza degli esperti,con riferimento al rapporto tra questi ultimi el’EFSA, trattandosi di una norma relativa al fun-zionamento della trasparenza. Altra questione,invece, rimessa alla regolazione del rapporto dilavoro, sono gli effetti della disposizione rispettoall’inosservanza di obblighi imposti agli esperti dadatori di lavoro, dovendosi in tal caso ritenere ilcomportamento del lavoratore in violazione delleindicazioni della società di cui siano alle dipen-denze, come giustificato dalla funzione pubblicasvolta in base al contratto di consulenza stipulatocon l’Autorità europea, qualora indicazioni ricevu-te da enti pubblici o privati interferiscano con l’au-tonomia e l’indipendenza decisionale degli espertinello svolgimento delle attività di valutazione delrischio. Invero, le preoccupazioni relative all’indipenden-za degli esperti, nel nuovo quadro regolativoeuropeo si accompagnano anche all’esigenza diincrementare la partecipazione di esperti scientifi-ci indipendenti alle attività dell’Autorità per la sicu-rezza alimentare. Anche in riferimento a questoaspetto, la necessaria intensificazione di panelscientifici composti da esperti per la valutazionedel rischio pandemico ha aperto riflessioni signifi-cative nell’esperienza normativa di questi ultimimesi, sicché, nuovamente, le previsioni introdottedal reg. 2019/1381 sembrano precorrere questio-ni attuali della regolazione, consistenti nellemodalità di coinvolgimento degli esperti scientifi-ci, definizione di dossier per la valutazione delrischio e traduzione in regole giuridiche. non è uncaso che le più recenti riflessioni sull’analisi del

rischio abbiano puntato l’attenzione sulla traspa-renza dei processi decisionali e sul coinvolgimen-to dei cittadini, in una logica partecipativa dellescelte politiche, quando esse sono basate sullanecessità di una acquisizione di dati tecnico-scientifici17. nelle previsioni del regolamento sulla trasparen-za, per sopperire alla carenza dell’apporto scien-tifico nella valutazione del rischio, gli Stati sonochiamati a “assumere un ruolo attivo per garantirela disponibilità di esperti per soddisfare le esigen-ze del sistema europeo di valutazione del rischio”(considerando n. 16). La presenza di un “bacinosufficientemente ampio di esperti, tale da soddi-sfare le esigenze di valutazione del rischio” rap-presenta infatti il punto di partenza per una solidabase scientifica per l’adozione di misure chedovranno poi, necessariamente, essere rimessealla valutazione politica successiva. In questo quadro, l’indipendenza dei ricercatori,l’adeguatezza delle risorse umane e la trasparen-za dei processi di valutazione del rischio (inclusala modalità di individuazione degli studi scientificisu cui fondare la decisione politica) appaionocome condizione necessaria per garantire, avalle, la sostenibilità delle scelte normative.

ABSTRACT

Il saggio propone una lettura del Regolamento(UE) 2019/1381, sulla trasparenza e la sostenibi-lità dell’analisi del rischio che modifica il reg.178/02, evidenziando gli aspetti innovativi delsistema della sicurezza alimentare a livello euro-peo, in particolare in riferimento alle novità cheincidono sulle imprese che operano in settori R&Se al coinvolgimento degli esperti indipendenti nelquadro della valutazione del rischio.

The essay suggests an interpretation of the

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(17) Cfr. tallacchini, Il “giusto posto” della scienza nella società: dalla “scienza come democrazia” alle “società democratiche della cono-scenza”, in Ostinelli (ed.), Modernità, scienza, democrazia, Roma, 2020.

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Regulation (EU) 2019/1381 on the transparencyand sustainability of the EU risk assessment inthe food chain, amending Reg. 178/02, pointingout the innovative aspects of the European food

safety system, with particular regard to the issuesconcerning business investing in R&D activitiesand the position of independent experts involvedin the framework of risk assessment.

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(1) Sulla quale, per qualche spunto di riflessione, sia consentito rinviare a R. Franco, Il conflitto – in sede di espropriazione forzata – tracreditore ipotecario e: a) il locatario; b) l’assegnatario della casa familiare. Incertezze ricostruttive, profili sistematici ed incidenze appli-cative. una rivoluzione (?) nel sistema dell’esecuzione forzata, in Principi, regole, interpretazione. Contratti e obbligazioni, famiglia e suc-cessioni, I, Scritti in Onore di Giovanni Furgiuele, a cura di g. Conte-S. Landini, Mantova, 2017, p. 597 s.; Id., Il trasferimento della‘potenzialità edificatoria’. I diritti edificatori tra beni e situazioni giuridiche soggettive, in Liber Amicorum per Biagio Grasso. Studi offertida allievi e colleghi in occasione della sua nomina a Professore Emerito dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, a cura di PaoloPollice, napoli, 2015, p. 349 e, in versione aggiornata, rivisitata e ridotta, in Giustiziacivile.com, 2017, Approfondimento del 23 febbraio2017(2) nel corso della trattazione, anche per esigenze di facilitazione della scrittura, si farà ricorso indifferentemente alle formule «diritto/iall’aiuto» e «titolo/i all’aiuto» adoperandole con il medesimo significato – senza che tra esse si convenga alcuna differenza terminologica,né giuridica – ora facendo ricorso alla traduzione italiana del Reg. n. 1307/2017 (che adopera il sintagma ‘diritto’), ora alla versione ingle-se che discute di entitlement (letteralmente, ‘titolo’): per tutti, F. Albisinni, Profili di diritto europeo per l’impresa agricola. Il regime di aiutounico e l’attività dei privati, Viterbo, 2005, p. 63, 71.(3) In merito, nei termini generali della nuova PAC, almeno, A. Jannarelli, Agricoltura sostenibile e nuova PAC: problemi e prospettive, inRiv. dir. agr., 2020, p. 23 ss.; F. Albisinni, La nuova PAC e le competenze degli stati membri tra riforme annunciate e scelte praticate, inRiv. dir. agr., 2020, p. 43 ss. Peraltro, è notizia ultima quella relativa al rinvio ufficiale dell’adozione della nuova linea della predetta PACal 1° gennaio 2023, come riportano i principali siti di notizie e come confermato da Il Sole 24-Ore del 1° luglio 2020, p. 17.(4) E. Cammarata, Limiti tra formalismo e dommatica nelle figure di qualificazione giuridica (1936), in Id., Formalismo e sapere giuridico.Studi, Milano, 1963, p. 345 ss., spec., 389 ss.; O.t. Scozzafava, voce Oggetto dei diritti, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma, 1990, p. 6.

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Dai titoli all’aiuto alle autorizzazio-ni agli impianti viticoli: tra beni ediritti

Rosario Franco

1.- La situazione giuridica soggettiva quale crite-rio di qualificazione ed il suo oggetto

La vicenda teorica dei ‘diritti su diritti’1 che, in pas-sato, ha appassionato gli interpreti, in un affasci-nante dibattito che amalgamava in perfetto equili-brio problemi di logica giuridica e disposizioni didiritto positivo, potrebbe sovvenire utile, in chiavedi analisi diacronica, nello studio delle questionisollevate dal trasferimento (volontario e coattivo)dei titoli2 all’aiuto di matrice europea. Con la riferi-ta formula si fa riferimento a tutte le sovvenzioni,sussidi, agevolazioni, pagamenti diretti che ilReg. (uE) n. 1307/2013 prevede a beneficio degliagricoltori (id est: ‘agricoltori in attività’: art. 9),disancorandoli dal fattore (precedentemente)esclusivo della produzione per rimodularli nellapiù ampia prospettiva di una strategia agronomi-ca. La quale, nell’orizzonte della totalità dell’azio-ne qualificante e dell’effettività dell’attività agrico-

la (concretizzata nelle condizionalità: art. 93) e inuna rinnovata e feconda relazione con la ‘terra’,ridefinisce il più ambizioso e complesso obiettivodella programmazione della linea politicadell’unione europea in termini di sostenibilità3. I termini essenziali di quel dibattito possono quirecuperarsi (e sintetizzarsi) in due distinte (sia purcollegate) direttrici: i) verifica della possibilità logica(prima che giuridica) di un processo di oggettiva-zione delle situazioni giuridiche soggettive; ii) indi-viduazione dei criteri essenziali alla cui verificazio-ne subordinare la fondatezza dell’ipotesi teorica.Con riferimento alla prima, occorre indagare quel-la che, nel rigore dell’analisi, parrebbe rivelarsiuna palese contraddizione, se è vero che la divi-sata vicenda teorica, già nella formulazione ado-perata per la sua elaborazione, parrebbe inevita-bilmente condurre a tale esito, là dove ipotizzauna situazione soggettiva che sia, all’un tempo,criterio di qualificazione (della realtà naturalistica,per comprenderla ed esprimerla nella dimensionedella giuridicità) e oggetto di qualificazione(melius: oggetto, quindi, di quel criterio che essostesso costituirebbe). In altri termini, parrebbeammettersi che un criterio di qualificazione, in sé,per definizione, formale, possa trasformarsi inpresupposto fattuale «condizionante un’ulteriorequalificazione»4. Il principio “più saldo di tutti”, perdirla con Aristotele, sarebbe inesorabilmente

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destinato ad essere revocato in dubbio, se nonfosse che, nella formulazione di tale principio, siaggiungeva pure che esso rimane valido “secon-do il medesimo rispetto”.E così, il principio di non contraddizione continue-rebbe a rimanere saldo anche ammettendo che lasituazione soggettiva da criterio di qualificazionesi renda oggetto di qualificazione, là dove per fon-dare tale mutamento si assumano rispetti diversi,vale a dire distinte prospettive di ricerca in funzio-ne di altrettanti diversi interessi conoscitivi e direalizzazione di scopi. In proposito, una tra le piùlucide pagine della filosofia5 s’è incaricata di (con-vincentemente) dimostrare la stessa logica pensa-bilità, nel giuridico, del principio della doppia qua-lificazione, con i successivi noti sviluppi condensa-ti nella preziosa acquisizione della distinzione trafatto e valore6, con il primo che, nella teoria gene-rale del diritto, può diventare valore; e può, dun-que, senza revocare in dubbio quel principio, daente valutato trasformarsi in ente valutante, tra-scorrendo dall’originaria natura di oggetto di quali-ficazione a quella di criterio di qualificazione7.D’altra parte, in una convergente prospettiva, siconveniva «che [se] i concetti scientifici sono larisultante dell’organizzazione che il soggetto dà adun determinato fenomeno al fine della soluzione diuno specifico problema, si dovrà allora ammettere

che uno stesso fenomeno ben può essere ogget-to, ed all’interno del medesimo universo di interes-si conoscitivi…, di una pluralità di organizzazionidiverse e, al tempo stesso, tutte legittime in rela-zione alla diversità dei problemi risolti»8.La situazione giuridica soggettiva9 (diritto di pro-prietà, altri diritti reali, diritto di credito, ecc.) nonè altro che la concettualizzazione (formalmentequalificante) di una serie di utilità che un’entitàappartenente alla realtà naturalistica (e, dunque,esterna al diritto ed alla sua logica) riesce ad offri-re al soggetto, nel perenne raccordo tra questo el’oggetto. Alla situazione soggettiva si fa ricorsoper formalizzare, nella dimensione della giuridi-cità, quegli interessi che mettono in relazione ilsoggetto verso l’oggetto (riconducendo idealmen-te questo nella prospettiva di quello) e che, qua-lora recepiti, in quanto oggettivamente valutabili emeritevoli di tutela, diverranno interessi giuridica-mente protetti. Sì che può convenirsi che «ogget-to del diritto è quell’entità o situazione del mondoesterno che costituisce il punto di riferimentonecessario di un interesse giuridicamente protet-to, in quanto ha la capacità di rappresentare per ilsoggetto, in relazione a determinati suoi scopi erapporti, una situazione utile»10 e ritrovarsi con chistentoreamente rivelava come il diritto «non trova(in natura) i propri oggetti: li costruisce»11, con la

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(5) A.E. Cammarata, Limiti tra formalismo e dommatica nelle figure di qualificazione giuridica, cit., p. 389 ss., 427 ss. il quale discute di«“dinamismo” delle figure di qualificazione giuridica».(6) B. De giovanni, Fatto e valutazione della teoria del negozio giuridico, napoli, 1958, p. 46 ss., 62 ss., 106, 115.(7) Pregevoli i risultati, nella perenne relazione fatto valore nell’ambito del negozio giuridico che, nelle più attente ricostruzioni, divieneora fatto oggetto di qualificazione ora valore, e, dunque, fonte di qualificazioni, g.B. Ferri, Il negozio giuridico, Padova, 2001, p. 51 ss.;g. Palermo, L’autonomia negoziale, torino, 2015, p. 38 ss.(8) A. Belfiore, voce Pendenza, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 885(9) Sia consentito il rinvio a R. Franco, Autonomia privata e procedimento nella formazione della regola contrattuale, Padova, 2012, p.283 ss., ed ivi ulteriori riferimenti, ove si scriveva che quella di situazione giuridica soggettiva è formula «che – sottoposta ad indaginedogmatica nello studio della vicenda dell’aspettativa, funzionale a ricollocarne i margini di resistenza – si caratterizza per la sua densitàdogmatica e si colloca tra i temi della teoria generale sia giuridica sia filosofica, che qui si intende evocare, nell’inevitabile sintesi, qualestato di tensione di un soggetto verso un interesse reale e/o concreto (elemento metagiuridico necessario) e criterio (o risultato) di unaqualificazione giuridica (o come criterio di ricostruzione, in concreto, della valutazione normativa) delle molteplici condotte umane che,negli statuti organizzativi dei privati (idonei a mediare il trascorrere dalla norma al fatto), esprimono la conformazione di quello stato ditensione, nella registrazione dell’affermazione secondo cui “[l]’interesse è il risultato interpretazione congiunta di norme e fatto. Affinchévi sia un interesse occorre interpretare le norme vigenti e chiedersi in che modo si debbano individualizzare in relazione a quel fatto con-creto” ovvero, in altra impostazione, “una concreta posizione nella struttura ordinativa che si consideri”, in una prospettiva rispettosa delprincipio solidaristico di matrice costituzionale».(10) D. Messinetti, voce Oggetto dei diritti, in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, p. 809.(11) P. Barcellona, Una nuova «narrazione»: la strategia dei nuovi diritti, in Diritti e società di mercato nella scienza giuridica europea, acura di D. La Rocca, torino, 2006, p. 29 ss.

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(12) D. Messinetti, Oggetto dei diritti, cit., p. 817.(13) D. Messinetti, Oggetto dei diritti, cit., p. 818. Il riferimento è evidente al processo di qualificazione che investe l’impresa sulla quales’è interrogato magistralmente R. nicolò, Riflessioni sul tema dell’impresa, in Riv. dir. comm., 1956, p. 181 ss., ora in Il diritto privatonella società moderna, a cura di S. Rodotà, Bologna, 1971, p. 412 ss.(14) Autorevolmente, nel senso di evitare ogni suggestione della nota teoria dei diritti su diritti, R. nicolò, L’adempimento dell’obbligo altrui,cit., p. 79 ss.; S. Pugliatti, voce Beni (teoria), in Enc. dir., V, Milano, 1959, p. 169; R. nicolò-M. giorgianni, voce Usufrutto (diritto civile),in Nuovo dig. it., XII, 2, torino, 1940, p. 782 ss.; C. Maiorca, L’oggetto dei diritti, Milano, 1939, p. 49 ss.; D. Rubino, La responsabilitàpatrimoniale. Il pegno2, in Tratt. dir. civ., diretto da Vassalli, torino, 1956, p. 216; L. Bigliazzi geri, Usufrutto, uso e abitazione, in Tratt.dir. civ. comm., diretto da Cicu e Messineo, continuato da Mengoni, Milano, 1979, p. 147; M. Comporti, Diritti reali in generale2, in Tratt.dir. civ. comm., diretto da Cicu-Messineo-Mengoni, continuato da Schlesinger, Milano, 2011, p. 121 ss.

performatività del linguaggio. Mettendo a profitto le riferite considerazioni, devequi rivalutarsi, trascorrendo così alla secondadelle due indicate direttrici, quella distinzione,acquisita al patrimonio concettuale dei giuristi, tra‘oggetto giuridico’ ed ‘oggetto materiale’ e chepure, nella vicenda teorica dei diritti su diritti, par-rebbe smarrire la sua diffusa percezione, origi-nando equivoci e contrasti. Invero, se è agevole constatare che ogni entitàintesa in termini naturalistici può essere compresadal (e ricompresa nel) diritto soltanto in esito ad unprocesso di qualificazione che consenta di rece-pirla mercé una formalizzazione originante daun’oggettivazione in relazione ad una situazionegiuridica (soggettiva) di tutela (a sua volta esito diun processo di qualificazione di un interesse ver-sus utilità prodotte da quella entità), non parimentiagevole si è rivelata la condivisione di quel rilevoche permette di osservare come i divisati processidi valutazione non avvengano una sola volta e conesiti immodificabili, ma sono ripetibili, nella pro-spettiva giuridica, innumerevoli volte, in ragionedello scopo fondamentale ad essi sotteso. Vale adire la realizzazione massima e diveniente (inforza dell’evoluzione e del progresso) del rapportofunzionale che correla l’oggetto al soggetto. Sarebbe così agevole ipotizzare sia una pluralitàdi situazioni giuridiche di relazione tra soggetto eoggetto, sia una pluralità di oggetti giuridici in rife-rimento alle utilità che il soggetto intende conse-guire, con la predisposizione delle relative speci-fiche tecniche di tutela. Sì che, quel riferimentoalla medesima entità esterna potrà, nel compiersidel processo di qualificazione, finire per costituireuna pluralità di oggetti giuridici (o, il che è lo stes-

so, di beni giuridici) in merito ai quali, in ragionedella protezione dei rispettivi interessi soggettivi,vengono elaborati diversi strumenti di tutela, ido-nei a consentirne la soddisfazione, ora in viadiretta ed immediata, ora in via indiretta e mediatadall’intervento di un’attività di cooperazione altruiche, svolgendosi, ne consenta la realizzazione. Si sarebbe potuto apprendere che se, per unverso, il c.d. fenomeno dei ‘diritti su diritti, èsenz’altro ammissibile nella sua pensabilità logi-co-giuridica12, per l’altro, non sempre il ricorso adesso si sarebbe rivelato proficuo e concludente,se non si fossero individuate anche le condizioni(giuridiche) in presenza delle quali sarebbe statopossibile (e necessario) ipotizzare un processoche assumesse ad oggetto proprio una (o più diuna) situazione giuridica soggettiva, per la realiz-zazione di interessi altri e diversi rispetto a quellida questa protetti. Dovrà occorrere in altri terminila necessità di ipotizzare «un interesse autonoma-mente tutelato, … attraverso una situazione sog-gettiva, della quale sia manifestazione diretta [unao più utilità] che abbia[no] ad oggetto [le situazionisoggettive al fine di] realizzare quell’interesse»13.Incanalando la questione generale nei profili piùspecifici potrà rilevarsi come nelle discusse ipotesidi usufrutto (del diritto) di credito, pegno (del diritto)di credito, ipoteca (dei diritti) di usufrutto, superfi-cie, enfiteusi sarebbe stato conveniente evidenzia-re la non necessarietà del ricorso alla divisata tec-nica ricostruttiva, qualora si fosse riusciti ad accer-tare che in quelle vicende, in verità, si produce (adispetto dell’esclusività) una concorrenza di inte-ressi (e, dunque, di situazioni giuridiche soggetti-ve), tra essi non incompatibili, su una determinataentità della realtà esterna14, sì come la medesima

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viene filtrata dall’ordinamento (in esito ai relativiprocessi – non neutrali – di qualificazione) e cheassumerà rilevanza per come conformata (idest: costituita) alla stregua dei differenti interessie delle rispettive utilitas che ciascuna delle spe-cifiche tecniche di tutela s’incarica di soddisfare.Da qui gli innumerevoli studi diretti ad approfon-dire i rapporti tra cosa e bene, con i connessitentativi di elaborazione di una teoria giuridicagenerale delle cose. non potendone qui ripercorrerne la lunga storia,conviene far convergere il discorso nella direzio-ne che propone di indagare la natura giuridicadei diritti all’aiuto e, più specificamente, delleautorizzazioni all’impianto, funzionalizzando iprestigiosi risultati che quel dibattito ha prodotto. E così, al fine di evitare di incorrere in pocoavveduti trompe l’oeil linguistici, conviene chiari-re che: i) le cose, in quanto appartenenti allarealtà fenomenica, sono esterne al diritto, làdove i beni, esito di un processo di qualificazio-ne, sono interni al diritto (ma non si esaurisconoin quelle), sì che rimane valida la relazione percui non tutte le cose sono beni e non tutti i benisono cose; ii) che con il significante ‘cosa’ sipossono evocare ora porzioni materiali dellarealtà (c.dd. cose materiali), ora entità che, pursfuggendo alla dimensione della fisicità, sonotuttavia esistenti e percepibili come altrettanteporzioni della realtà naturalistica (c.dd. coseincorporali); iii) che, conseguentemente, nelladimensione della giuridicità, si ritrovano beni cherinviano ora ad entità materiali-corporali, ora aporzioni della realtà materiale-incorporale (pursempre percepibili e sintesi di utilità per il sog-

getto) e beni immateriali.

2.- I beni immateriali: ricognizione terminologica

Sennonché, la declinata distinzione tra benimateriali e beni immateriali avrebbe ingeneratonon poche perplessità qualora non si fosse pro-ceduto con chiarezza nel precisare i termini ado-perati per fondarla. Orbene, se si accetta che la formula (convenzio-nale e diffusa) ‘beni immateriali’ è propria di spe-cifiche entità che risultano in esito ad un’attivitàdi produzione umana di matrice intellettuale15 (idest: apporto creativo16) non pre-esistente nellarealtà naturalistica, e che nelle caratteristiche(generali) della riproducibilità e dell’infinitezzarinviene le sue caratteristiche essenziali, si potràconvenire che ogni altro processo di qualifica-zione che avesse preso origine da realtà diversenon potrà ricorrere alla divisata formula, penauna confusione concettuale figlia di quella lingui-stica. Ed allora, anche per i diritti all’aiuto l’opinioneche ne riconduce la natura giuridica a beni mobi-li immateriali17 dovrebbe essere meglio specifi-cata, proponendo, in suo luogo, quella di benimobili materiali (in quanto la porzione di realtàcui rinviano è già oggettivamente esistente nellarealtà) ma privi di corporalità (nel senso di tangi-bilità, ma pur sempre utilizzabili in termini di uti-lità). Evidenziando come sia la stessa operazio-ne logico-giuridica della reificazione del titoloall’aiuto in termini di bene18 a scontare alcuneincertezze ricostruttive che ne minano l’attendi-

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(15) Puntualmente, M. Are, voce Beni immateriali, in Enc. dir., V, Milano, 1959, p. 244 ss., spec., p. 248 ss.; S. Satta, Cose e beni nell’e-secuzione forzata (1964), ora in Id., Soliloqui e colloqui di un giurista, nuoro, 2004, p. 309.(16) Si riconducono alla categoria, comunemente: diritti di autore, diritti di brevetto per invenzioni industriali, modelli industriali, diritti relativi aisegni distintivi delle persone degli imprenditori e delle loro aziende e prodotti (ditta, insegna, marchi). (17) M. Maggiolo, Beni artificialmente creati nei settori agroalimentare e dell’energia. Un catalogo di nuovi beni mobili registrati, in Giust.civ., 2016, p. 283 ss.(18) nella cui categoria qui si ritiene che convergano, assumendo il superamento di talune distinzioni che si ritengono non incidenti per ilfine ricostruttivo, ora le quote latte, ora i diritti di impianto e reimpianto, ecc. Cfr., I. Canfora, La quota latte come bene giuridico, in Riv.dir. agr., 1996, II, p. 57 ss.; Id., La cessione delle quote di produzione, in Tratt. dir. agr., 1, Il diritto agrario: circolazione e tutela dei diritti,diretto da L. Costato-A. germanò-E. RooK Basile, torino, 2011, p. 329 ss., spec., p. 334 ss.

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bilità per rendersi meritevole di un rinnovatoapproccio metodologico.

3.- I diritti all’aiuto nell’ambito della nuova politicaagricola europea

I diritti all’aiuto sono entità (suscettibili di valuta-zioni) economiche costruite nella dimensionedella politica europea della OCM al fine di elabo-rare una particolare modalità di intervento nellagestione del mercato agricolo dell’unione, con lacostruzione di un ampio spazio giuridico all’inter-no del quale i singoli Stati membri disciplinano –in considerazione di prefissati, sia pure mutevoli,adattabili e nella costante tensione all’equilibrio –obiettivi di politica comune, con particolare riferi-mento alla circolazione di tali diritti. Con la distri-buzione ai singoli soggetti che in quel mercatosvolgono le loro attività, si tende al raggiungimen-to di una migliore allocazione delle risorse prodot-te da e destinate a quel mercato (tra concorren-zialità e socialità), tra produzione di beni e distri-buzione della ricchezza. Si tratta di un’entità che,in quanto costituita per contribuire alla massimarealizzazione della complessiva politica di inter-venti dell’unione nell’ampio settore agricolo, conla tendenza all’ottimale collocazione delle risorsenella prospettiva concorrenziale19, è destinata asubire, nella sua conformazione, anche nei rap-porti tra privati, quell’originaria funzione di stru-mento di regolazione del mercato. Sì che la rimo-dulazione di obiettivi economici e di politichecomunitarie finiscono inevitabilmente per inciderenella relazione soggetto pubblico (che i diritti attri-

buisce e distribuisce) e soggetto privato (che aidiritti ambisce), conformando quel rapporto fon-damentale alla cui stregua la figura dei dirittiall’aiuto viene elaborata e costruita. È in ragione di tale relazione che il diritto all’aiutosorge e subisce la conseguente conformazione,in funzione dell’interesse primario alla regolazio-ne del marcato agricolo, incidente, immediata-mente, sui modi della titolarità, sulle modalità elimitazioni circolatorie, sulle possibilità di godi-mento della terra.La distribuzione e l’attribuzione dei diritti all’aiuto,abbandonando la logica sottesa al RuP (paga-mento unico aziendale di cui al precedente siste-ma di assegnazione20), sono state sensibilmenterimodulate dai Regg. (uE) n. 1306/2013, per l’in-dividuazione delle condizionalità, e n. 1307/2013,in tema di c.d. decoupling, con il relativo «spac-chettamento»21, per procedere ad una più concre-ta funzionalizzazione in ragione di specifiche emirate finalità riconducibili alla politica comuneeuropea e che, in termini generali, virano versodistinte metodologie di interventi pubblici nell’eco-nomia del mercato agricolo per regolarne e con-trollarne lo svolgimento22. Si trascorre dal contin-gentamento delle eccedenze produttive (princi-palmente: quote latte e diritti di impianto) agliincentivi a sostegno ed orientamento (c.d. pre-miali), oltre che alla promozione di un’attività agri-cola ricollocata in una dimensione complessiva etotalizzante, con una rinnovata prospettiva che algoverno della produzione affianchi rinnovate poli-tiche (non soltanto) c.d. di greening23, (bensì) dipromozione culturale e sociale, nella sottesa ten-denza diretta al conseguimento degli ambiziosi e

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(19) Cfr., in termini generali, A. Jannarelli, «Agricoltura e concorrenza» o «concorrenza e agricoltura»? Gli artt. 169, 170 e 171 del reg. n.1308/2013 e il progetto di guidelines presentato dalla Commissione, in Riv. dir. agr., 2015, I, p. 3 ss.(20) Invero, i diritti attribuiti ai sensi del regolamento (CE) n. 1782/2003 e del regolamento (CE) n. 73/2009 scadono il 31 dicembre 2014(come dispone l’art. 21, paragrafo 2 de Reg. ue n. 1307/2013) (21) È espressione di A. germanò-E. Rook Basile, voce Contratti agrari (nell’attuale realtà giuridica italiana), in Dig. disc priv-sez. civ.,Aggiornamento, X, torino, 2016, p. 105(22) F. Albisinni, I diritti di impianto dei vigneti e la loro circolazione, in Tratt. Dir. agr., 1, cit., p. 347 ss.; n. Lucifero, Il sistema di autoriz-zazioni per gli impianti viticoli: il regime vigente e la riforma dell’OCM post 2020, in Riv. dir. agr., 2020, p. 254(23) L. Russo, Profili di tutela ambientale nelle proposte per la Pac 2014-2020: la «nuova» condizionalità ed il greening, in Riv. dir. agr.,2011, I, p. 628 ss.; A. Scaramuzzino, Il pagamento d’inverdimento nella nuova riforma PAC 2014-2020, in Riv. dir. agr., 2015, I, p. 281ss.

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plurimi obiettivi24 fissati dall’art. 39 tFuE e allarealizzazione di interessi generali25. Invero, tanto per la determinazione delle condi-zionalità (di cui all’art. 93 del reg. n. 1306), quantoper l’ammissione ai pagamenti diretti26 disaccop-piati (di cui ai plessi normativi artt. 36-4227, 43-4728, 48-4929, 50-5130 e 6131 del Reg. (uE) n.1307/2013 che si aggiungono al ‘pagamento dibase’ di cui all’art. 21) è sempre nell’obiettivo delmantenimento attivo32 del terreno in buone condi-zioni agronomiche, ambientali e climatiche (allastregua di criteri fissati a livello nazionale), unita-mente alla pervasiva vigenza del principio euro-peo di effettività, che si deve individuare una tra leprimarie finalità della nuova politica agricola

comune. La quale, negli ulteriori disciplinati regimidei pagamenti accoppiati (art. 52) e del sostegnoai giovani agricoltori (artt. 50-51) rinviene le con-correnti finalità33 da perseguire. Sì che «la produ-zione di merci agricole, senza … cessare di esse-re attività economica meritevole di fornire ade-guata redditività ai propri operatori, si inserisce inuna prospettiva più ampia nella quale l’agricolturacontribuisce alla produzione di beni pubblici, sottoforma di governo dell’ambiente, del territorio e delpaesaggio agrario tale da legittimare su basinuove la specifica attenzione della società per lasua persistenza e, dunque, per tutti coloro che visi dedicano»34.La più diffusa linea di pensiero35, di recente con-

(24) A. Jannarelli, Agricoltura sostenibile e nuova PAC: problemi e prospettive, cit., p. 38 ss.; F. Adornato, Agricoltura, politiche agricolee Istituzioni comunitarie nel Trattato di Lisbona: un equilibrio mobile, in Riv. dir. agr., 2010, I, p. 261 ss.; F. Albisinni, Le proposte per lariforma della PAC verso il 2020: profili di innovazione istituzionale e di contenuti, in Riv. dir. agr., 2011, I, p. 604 ss.; Id., Il diritto agrarioeuropeo dopo Lisbona fra intervento e regolazione: i codici europei dell’agricoltura, in Agr. ist. merc., 2011, 2, p. 29 ss.; Id., La definizionedi attività agricola nella nuova PAC, tra incentivazione e centralizzazione regolatoria, in Riv. ital. dir. pubbl. comun., 2014, p. 967 ss.; L.Costato, La PAC e il Trattato di Lisbona, in Dir. e giur. agr. e amb., 2008, p. 731 ss. cit., p. 731 ss.; M. Baudouin, Le Traité de Lisbonneet la Politique agricole comune, in Rev. de droit rur., 2010, p. 3 ss.(25) Ancora F. Albisinni, I diritti di impianto dei vigneti e la loro circolazione, cit., p. 361 ss.; Id., La nuova PAC e le competenze degli statimembri tra riforme annunciate e scelte praticate, cit., p. 43 ss.; nonché, A. Jannarelli, Agricoltura sostenibile e nuova PAC: problemi eprospettive, cit., p. 23 ss.; (26) In termini generali, D. Maresca, Il sostegno diretto all’agricoltura tra proporzionalità e over regulation nell’esperienza giurisdizionaleeuropea, in Riv. dir. agr., 2013, II, p. 145 ss.; A. tommasini, Quote latte, diritti di impianto e titoli all’aiuto. Limiti all’iniziativa economicae valori del sistema, Milano, 2008, p. 12 ss., 40 ss.(27) Pagamento ridistributivo.(28) Pagamento a favore degli agricoltori che applicano pratiche agricole benefiche per il clima e l’ambiente.(29) Pagamento per zone soggette a vincoli naturali.(30) Pagamento per i giovani agricoltori.(31) Pagamento per i piccoli agricoltori.(32) Particolarmente incidente, sul punto, A. Albisinni, La nuova PAC e le competenze degli stati membri tra riforme annunciate e sceltepraticate, cit., p. 52 ss.(33) Corte di giustizia europea, 20 maggio 2010, n. 434/2008, in plurisonline.it. Si discute espressamente di «agricoltura multifunzionale»:A. tommasini, Quote latte, diritti di impianto e titoli all’aiuto. Limiti all’iniziativa economica e valori del sistema, cit., p. 12 ss., 42.(34) A. Jannarelli, Il divenire del diritto agrario italiano ed europeo tra sviluppi tecnologici e sostenibilità, in Riv. dir. agr., 2013, I, p. 34 s.;L. Costato, Agricoltura, ambiente e alimentazione nell’evoluzione del diritto dell’Unione europea, in Riv. dir. agr., 2015, p. 210 ss.; F.Albisinni, La nuova PAC e le competenze degli stati membri tra riforme annunciate e scelte praticate, cit., p. 43 ss.(35) g. Cian, Sulla pignorabilità e sulla costituibilità in pegno degli aiuti comunitari, in Casadei e Sgarbanti (a cura di), Il nuovo diritto agra-rio comunitario. Riforma della politica agricola comune. Allargamento dell’Unione e Costituzione europea. Diritto alimentare e vincoliinternazionali, Milano, 2005, p. 355; I. Canfora, La quota latte come bene giuridico, cit., p. 57 ss.; Id., La cessione delle quote di produ-zione, cit., p. 334 ss.; M. Maggiolo, Beni artificialmente creati nei settori agroalimentare e dell’energia. Un catalogo di nuovi beni mobiliregistrati, cit., p. 293 ss., 304 ss.; n. Lucifero, La cessione del diritto all’aiuto, in Tratt. dir. agr., cit., p. 366 ss., spec., p. 385 ss., p. 393;Id., I contratti di cessione delle quote di produzione, dei diritti di reimpianto e dei titoli all’aiuto diretto, in I contratti di agrari, a cura di A.germanò-E. Rook Basile, in Tratt. dei contratti, diretto da p. Rescigno-E. gabrielli, torino, 2015, p. 221 ss., 227-228, 255; L. Russo,Avviamento, beni immateriali e “nuovi beni” dell’azienda agricola, in Riv. dir. agr., 2016, p. 444 ss., spec., p. 450 s.; diversamente, l’ufficiostudi del Consiglio nazionale del notariato (Studio 2-2007/A, approvato in data 2 febbraio 2007, Appunti sul regime di trasferimento deidiritti all’aiuto previsti dal regolamento Ce n. 1782/2003 nell’ambito della riforma della politica agraria comune): nel prendere atto che nelnostro ordinamento, con la formula ‘beni immateriali’ si evocano i beni di matrice intellettuale, si esprime qualche perplessità sulla ricon-duzione dei titoli all’aiuto ai beni mobili immateriali.

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fermata in giurisprudenza36, ritiene che il discipli-nato meccanismo di trasferimento37 autonomo deidiritti all’aiuto (art. 34 Reg. (uE) n. 1307/2013;artt. 20 e 21 Reg. (uE) n. 639/2013; artt. 7 e 8 delReg. (uE) n. 641/2014, nonché il sempre attualeDecreto del MiPAAF 5 agosto 2004, prot. n. 1787,artt. 10 e 11 e il Decreto MiPAAF 18 novembre2014, n. 6513, artt. 9 e 13) indipendentemente38

dal terreno ammissibile che ne costituisce il pre-

supposto generativo (unitamente alla distinta ipo-tesi del trasferimento realizzato ai sensi dell’art.24 del Reg. (uE) n. 1307 e artt. 20 del Reg. (uE)n. 639/2014, nel cui ambito il ‘diritto’ si pone qualecomponente del più ampio trasferimento dell’a-zienda agricola), imputabile causalmente al nego-zio39 idoneo a produrlo40, consenta di rinvenire inessi la natura giuridica di un nuovo ‘bene mobileimmateriale’, da collocarsi nel più ampio orizzonte

(36) Cass. pen., 17 maggio 2019, n. 21712.(37) Sul quale l’approfondita Circolare di Agea del 21 novembre 2017, prot. n. 89117. Il trasferimento (che è effetto imputabile a titoli diver-si: compravendita, permuta, donazione, ecc.) può avvenire autonomamente o unitamente al bene (azienda o terreno) cui accede; a titolooneroso o gratuito; in via definitiva o temporanea.(38) Pare essere sufficientemente diffusa quell’impostazione che vorrebbe trarre decisive indicazioni nel senso della qualificazione deidiritti all’aiuto in termini di bene dalla riconosciuta l’ammissibilità dell’autonoma circolazione del diritto all’aiuto. non si può non rilevarela scarsa persuasività alla quale essa si espone, nell’attribuire decisività alla pretesa relazione di consequenzialità tra la libera circola-zione e la ricostruzione del diritto all’aiuto in termini di bene. Decisività che è agevole revocare in dubbio se solo si pone mente alla cir-costanza che anche la riconducibilità di quelli alla figura di un’autonoma giuridica situazione soggettiva (ben distinta dal bene che necostituisce oggetto) avrebbe consentito, parimenti, senza particolari sforzi concettuali, di giungere all’ammissibilità della sua libera cir-colazione. Ed infatti la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 114/E del 17 ottobre 2006 giustappunto riferendosi al regime del trasfe-rimento dei diritti all’aiuto è pervenuta alla conferma dell’opposta conclusione della loro assimilazione ai diritti di credito. (39) Si tratterà di un contratto che dovrà essere sottoscritto da entrambe le parti (cedente e cessionario), anche in caso di ‘successioneanticipata’ (lo ribadisce, da ultimo, Cass., 24 aprile 2019, n. 11199), con autenticazione ai sensi del codice civile (art. 10 del DecretoMiPAAF n. 1787/2004, per quanto l’ulteriore formalità dell’autentica delle sottoscrizioni deve ora ritenersi non più necessaria alla streguadel sopraggiunto art. 13 del D.MiPAAF n. 6513/2014 che prevede il solo requisito della forma scritta) e da comunicarsi agli Enti pagatorinel termine di 10 giorni dalla conclusione, ai fini dell’opponibilità ai medesimi del trasferimento e, dunque, al fine dell’ottenimento del paga-mento concreto dei contributi; l’Agea avrà un termine di 30 giorni (ora ridotti a 5 per effetto del riferito art. 13 del Decreto MiPAAF n. 6513)dalla ricezione della comunicazione per procedere alla validazione del trasferimento. Cfr., art. 34 Reg. (uE) n. 1307/2013, considerandon. 23 e artt. 20 e 21 Reg. (uE) n. 639/2013, artt. 7 e 8 del Reg. (uE) n. 641/2014, nonché il sempre attuale Decreto del Ministero dellePolitiche Agricole del 5 agosto 2004, prot. n. 1787 (artt. 10 e 11) e il Decreto MiPAAF 18 novembre 2014, n. 6513 (art. 13). quale sia laconseguenza della mancata osservanza del requisito della forma scritta rimane questione non ancora definitivamente condiviso, poten-dosi astrattamente ipotizzare almeno la nullità (qualora il vincolo di forma fosse assimilato alla forma scritta ad substantiam) o la merainopponibilità della cessione all’Agea ed agli altri organismi pagatori, avendo, al contrario, la cessione piena efficacia tra le parti.(40) Si potrà trattare: i) sia di uno dei comuni contratti predisposti per la realizzazione del trasferimento quali la vendita, la permuta, la dona-zione, la datio in solutum, ecc.; ii), sia di più ampie operazioni societarie quali fusioni, scissioni, conferimento e cessione di azienda, ecc.,nel cui più ampio ambito si effettua, altresì, il trasferimento dei diritti all’aiuto; iii) sia, infine, di alcune vicende che, nel linguaggio del legi-slatore europeo e di quello italiano che ne ha operato la traduzione, si sono individuate come ‘successione anticipata’ (art. 34, Reg. (uE)n. 1307/2013, ad imitazione dello Erbvertrag di matrice germanica) per la cui comprensione bisogna rinviare al Decreto del Ministero dellePolitiche Agricole del 5 agosto 2004, n. 1787, ove, all’art. 3, si chiarisce che «(Criteri di ammissibilità). 1. nella definizione di “successioneanticipata” di cui all’articolo 33 del regolamento (CE) n.1782/2003 del Consiglio rientrano: a) il consolidamento dell’usufrutto in capo alnudo proprietario; b) tutti i casi in cui un agricoltore abbia ricevuto a qualsiasi titolo l’azienda o parte dell’azienda precedentemente gestitada altro agricoltore, al quale il primo può succedere per successione legittima». In proposito si potrebbe osservare: i) che il consolidamentodell’usufrutto alla nuda proprietà potrebbe non coincidere con la successione anticipata se è vero che tra l’usufruttuario e il nudo proprie-tario non deve necessariamente esserci un rapporto che sia di presupposto al fenomeno successorio (F. Albisinni, Profili istituzionali nelRegolamento sull’Aiuto Unico e nel Decreto di attuazione per l’Italia, in Agr. ist. merc., 2004, 2, p. 68; Id., Profili di diritto europeo per l’im-presa agricola. Il regime di aiuto unico e l’attività dei privati, cit., p. 99 ss.) e, in ogni caso, tale fenomeno rientra nella più ampia disciplinadel diritto di proprietà, il cui contenuto, ‘compresso’ dalla concorrenza del (contenuto costituente il complesso delle facoltà del diverso)diritto di usufrutto (o di altro diritto reale ‘minore’), alla estinzione di quest’ultimo, si ‘riespande’ per effetto di quel consolidamento, esclu-dendo, se non ci s’inganna, perciò stesso, ogni fenomeno successorio; ii) quanto all’ipotesi del trasferimento dell’azienda inter vivos afavore di soggetto che al cedente «può succedere per successione legittima» si può precisare, sia che il trasferimento può avvenire aqualsiasi titolo, sia che il diritto all’aiuto si trasferisca in capo al cessionario immediatamente (A. tommasini, Quote latte, diritti di impiantoe titoli all’aiuto. Limiti all’iniziativa economica e valori del sistema, cit., p. 120 ss.); iii) infine che nel 2006, con l’introduzione degli artt. 768-bis ss. c.c., si è disciplinato, nel nostro ordinamento, l’istituto del patto di famiglia che, con riferimento all’azienda, costituisce un’ipotesi –ulteriore e specifica – di successione anticipata, anche con riferimento all’azienda agricola.

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della complessa organizzazione dei fattori costi-tuenti l’azienda agricola. Per quanto, talvolta, si propongano risultati con-trapposti, sia pure in adesione alla medesimadistinzione tra ‘aiuti’ trasferiti autonomamente e‘aiuti’ che circolano unitamente al bene cui acce-dono (terreno o azienda agricola) e si assume41

che la natura giuridica dei medesimi possa modi-ficarsi in ragione della morfologia dello strumentodi circolazione idoneo a fondarne tipologicamente(più che funzionalmente) il trasferimento. Se inalcune ricostruzioni42 essi assumono la natura di‘bene mobile’ soltanto se trasferiti unitamenteall’azienda43, là dove, a costituire oggetto esclusi-vo del contratto, riconquisterebbero la natura giu-ridica di diritto; in altre44, al contrario, soltanto setrasferiti indipendentemente dai fattori che nehanno consentito l’origine continuerebbero a qua-lificarsi come beni, giacché, nell’ipotesi opposta,a circolare «non è la quota [in quanto bene], masoltanto la situazione che legittima l’acquisto»,vale a dire la struttura agricola cui essi accedono. Si tratterebbe, altresì, di un bene per il qualesarebbe impossibile un’individuazione definitiva,se tutti gli elementi idonei ad identificarlo (e, spe-cificamente, la misura dell’ammontare del quan-tum del contributo economico), si modificano inragione di diversi fattori soggettivi ed oggettivi,oltre che del tempo, e che pure sono a fondamen-to dell’iniziale attribuzione e della successiva pos-sibile conservazione (con le previste dinamiche dicui agli artt. 21-35 del Reg. (uE) n. 1307), allastregua di quelle condizionalità che la complessapolitica europea propone mutevolmente per la

realizzazione dei prefissati obiettivi45. un bene lacui individuazione concreta, in termini di valore,sarebbe in continuo divenire e sulla cui individua-zione inciderebbero non soltanto i requisiti iniziali,fissati dalla normativa europea e nazionale, bensìanche il concreto svolgimento, da parte del possi-bile acquirente, di tutte quelle attività che costitui-scono il presupposto per la sua conservazione. quale conseguenza della divisata operazionedogmatica, si sarebbe dovuto individuare il con-nettivo di correlazione tra il bene ed il soggetto,che non avrebbe potuto che rimettersi alla perva-siva figura di qualificazione del diritto di proprietàdel nuovo bene mobile immateriale. La tecnicaadoperata (di per sé significativa) è quella cui tra-dizionalmente si ricorre46 allorquando sopraggiun-gano nuove esigenze e rinnovate istanze allequali sono sottese utilità sfruttabili in termini eco-nomici, nel procedersi, mercé il processo dioggettivazione giuridica degli interessi, con l’ag-glutinarli nella formazione di un nuovo bene. Sennonché, l’esito della riconduzione dei dirittiall’aiuto alla figura di (un nuovo) bene (mobile)immateriale non pare mostrarsi operazione con-vincente, né utile alla comprensione della vicendaad essi sottesa. Se, per un verso, non parrebberoqui ricorrere quelle necessarie premesse logico-sistematiche che avrebbero consentito, in altricontesti, di giungere alla configurabilità di unnuovo bene, limitandosi ad attribuire quei diritti, alrispettivo titolare, la legittimazione alla (possibile)pretesa di una somma di denaro (che, di per sé,sarebbe già compendiata nella figura del diritto dicredito); per l’altro, parrebbe denunciarsi una ten-

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(41) Senza dubbi, A. Jannarelli, voce Quote di produzione, in Dig. disc. priv-sez. civ., XVI, torino, 1997, p. 205. (42) A. germanò-E. Rook Basile, Contratti agrari (nell’attuale realtà giuridica italiana), cit., p. 105. (43) Al contrario, per L. Russo, Avviamento, beni immateriali e “nuovi beni” dell’azienda agricola, cit., p. 450-451 il diritto all’aiuto nonpotrebbe qualificarsi come bene aziendale, in quanto si tratta di un’entità attribuita «alla persona dell’imprenditore e non [risulta] colle-gat[o] ad una specifica azienda agricola» pur contribuendo, nondimeno, «a costituire un elemento di valorizzazione di quest’ultima».(44) Per vero, nell’analisi di A. Jannarelli, Quote di produzione, cit., p. 205 il riferimento è alle quote di produzione e, specificamente, allequote-latte, anche per il successivo virgolettato.(45) Ad es., l’art. 23 del Reg. (uE) n. 809/2014 stabilisce che anche successivamente all’assegnazione dei titoli definitivi, attribuiti ai sensidel Reg. (uE) n. 1307/2013 e 3 Reg. (uE) n. 639/2014, è possibile eseguire ricalcoli nel portafoglio dei singoli agricoltori a seguito diaggiornamenti puntuali dei dati di riferimento, con le previste riduzioni lineari di cui al Reg. (uE) n. 1307/2013.(46) Sebbene in senso critico, M. trimarchi, Nuovi beni e situazioni di godimento, in Il Diritto civile oggi. Compiti scientifici e didattici delcivilista, napoli, 2005, p. 575 ss., il quale conia il neologismo di «“benizzazione” del reale».

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sione inquinata non poco dal rinvio alla proprietàquale unica ed escludente espressività del piùampio concetto che veicola, sì da ridimensionarela possibilità di cogliere il valore specificativo didiverse forme giuridiche di appartenenza-godi-mento, di appropriazione delle e di titolarità (dellesituazioni) sulle risorse e sulle entità generative diricchezza.Si sarebbe costretti, nella censurata prospettiva,ad immaginare che tale nuovo bene mobile abbiaper suo oggetto un altro bene mobile costituitodalla somma di denaro, mediante un duplice pro-cesso di oggettivazione che non tarderebbe apalesare la superfetazione in cui finisce per incor-rere. Invero, la censurata tecnica qualificatoria se potràconsentire di evitare di incrociare l’antica questio-ne che s’addensa nella formula della ‘proprietàdel credito’ non riuscirà ad evitare l’altra, e gravo-sa, sottesa al possibile processo di qualificazionedel ‘credito come bene’. La critica potrebbe assestarsi nel rilievo per cui leutilità prodotte da quei ‘beni’ non si distinguereb-bero in alcunché da quelle che possono essereconseguite con la titolarità e l’esercizio dellasituazione soggettiva creditoria avente ad oggettouna somma di denaro: sia direttamente, mercé laricezione del pagamento (c.d. valore d’uso), siaindirettamente mercé il trasferimento della mede-sima alla stregua delle regole di circolazione (c.d.valore di scambio). Probabilmente l’antica vicen-da dell’ammissibilità del ‘credito come bene’ hacontinuato a svolgere, nell’analisi attuale dei titoliall’aiuto, quelle inevitabili suggestioni che dasempre è idonea a provocare, inducendo allasovrapposizione dei fattori di individuazione delcredito e del bene in senso giuridico. Con la sov-

veniente complicità originante da un linguaggiocodicistico ora non pienamente performativo (tragli artt. 810 e 813), ora non specificamente pun-tuale se, nella formulazione dell’art. 2740, al con-cetto di ‘bene’ si fa riferimento in termini essen-zialmente economici, per indicare qualsiasi entitàcostituente il patrimonio del debitore, purchésuscettibile di valutazione a prix de argient. gli èche, se nella dimensione giuridica, il credito rima-ne una relazione (id est: rapporto obbligatorio) trale situazioni giuridiche complesse, nella dimen-sione economica (o di garanzia per le ragioni delcreditore, sì come lo assume l’art. 2740) finisceper apprendere le significanze di un valore che,divenendo oggetto di trasferimento, potrà contri-buire all’implementazione del regime di circola-zione della ricchezza.La reazione alla ricostruzione in termini di ‘bene’si è allora compendiata in una diversa linea rico-struttiva che ha individuato essenzialmente neldiritto di credito47 la natura giuridica dei dirittiall’aiuto, evidenziando come il contenuto non simanifesti in altro se non nella pretesa al ricevi-mento di una somma di denaro. La conferma èstata individuata non soltanto nella legislazionecomunitaria nel cui ambito si ricorre frequente-mente alla formula dei “diritti” all’aiuto, intesi,quindi, quale nuova e autonoma situazione giuri-dica soggettiva48, ma anche nella legislazionenazionale con l’art. 18 del d. lgs. 29 marzo 2004,n. 102 che consente agli imprenditori agricoli dicostituire, volontariamente, a garanzia delle obbli-gazioni contratte (per e) nello svolgimento dell’at-tività agricola, pegno (ora formalmente anche) sui“diritti all’aiuto”, con un enunciato che significati-vamente rinvia all’art. 2806 c.c., non generica-mente a quelle di cui all’’art. 2784: se alla specifi-

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(47) Al diritto di credito, invero, fanno riferimento sia parte della dottrina (A. tommasini, Quote latte, diritti di impianto e titoli all’aiuto. Limitiall’iniziativa economica e valori del sistema, cit., p. 66 ss., 72 ss., 78 ss.), sia prassi operative con la Risoluzione dell’Agenzia delleEntrate n. 114/E del 17 ottobre 2006 e la nota del Ministero delle Politiche Agricole del 21 marzo 2006; in senso contrario, argomentandoprincipalmente dal richiamo all’art. 2806 operato dall’art. 18 comma 1, del D. Lgs., n. 102/2004, M. Maggiolo, Beni artificialmente creatinei settori agroalimentare e dell’energia. Un catalogo di nuovi beni mobili registrati, cit., p. 294 ss. (48) F. Albisinni, Appunti sulla riforma della PAC di metà periodo, in Nuovo dir. agr., 2004, p. 106; Id., Profili di diritto europeo per l’impresaagricola. Il regime di aiuto e l’attività dei privati, cit., p. 67 il quale discute di una situazione o «un interesse protetto in termini procedi-mentali, non definito una volta per tutte».

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cità del richiamo deve attribuirsi un significato nonpleonastico, dovrà convenirsi che con esso si èinteso indirettamente (ma esplicitamente) indivi-duare un importante elemento per la ricostruzionedella natura dei diritti all’aiuto in termini di situa-zione giuridica soggettiva e non di bene. Invero, se si convenisse con la natura di benemobile dei titoli all’aiuto, dovrebbe altresì conve-nirsi che il richiamo all’art. 2806 sarebbe, per unverso, superfluo, se, ai sensi dell’art. 2784, i ‘benimobili’ costituiscono già (e principalmente) ogget-to di pegno e, per l’altro, inconferente, se la richia-mata disposizione è funzionale a consentireespressamente l’estensione dell’oggetto delpegno anche a “diritti diversi dai crediti”, ma, per-ciò stesso, pur sempre diritti (id est: situazioni giu-ridiche soggettive) e non beni. ulteriori spunti di riflessione sovvengono dalladibattuta questione in margine al pignoramentodei titoli all’aiuto che, in termini generali, dovrebberitenersi ammissibile nella misura in cui i medesi-mi sono liberamente trasferibili, anche in via auto-

noma, senza il contestuale trasferimento del ter-reno e/o azienda agricola, il cui precedente godi-mento costituisce il principale criterio di ammissi-bilità. Il procedimento, dopo gli espletamenti dellenotifiche di legge, si conclude con il ricorso allapubblicità nel Registro nazionale dei titoli (Rnt),istituito49, in conformità al Reg. (CE) n. 1782/2003,ai sensi del D.L. n. 182/2005 convertito nellalegge n. 231 del 2005 e consultabile, nelle moda-lità telematiche, tramite il portale del SistemaInformativo Agricolo nazionale.E, tuttavia, pur registrandosi un principio di liberatrasferibilità dei diritti all’aiuto (sempreché avven-ga tra soggetti che siano ‘agricoltori in attività’50:art. 9 del Reg. (uE) n. 1307/2013), oltre alla pos-sibilità di costituirli in pegno (c.d. senza sposses-samento51), per quanto limitatamente alle obbliga-zioni contratte (e, dunque, che rinvengano il lorotitolo) nell’esercizio dell’impresa agricola (art. 18del D. Lgs., 29 marzo 2004, n. 102), si deve rile-vare che le «somme dovute agli aventi diritto inattuazione di disposizioni dell'ordinamento comu-

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Anno XIV, numero 3 • Luglio-Settembre 202024

(49) Rimangono discusse la sua natura (se pubblica o privata) e le sue funzioni (se, cioè, oltre a quella di costituire la base per la disciplinaorganizzativa pubblica per i rilasci dei titoli all’aiuto, possa svolgere anche quella dichiarativa che sarebbe predisposta al fine di risolverei conflitti tra due o più aventi causa dal comune cedente, al pari di quella funzione alla quale è deputata primariamente la trascrizioneimmobiliare). (50) Ma la formula, che privilegia lo svolgimento di un’attività e, dunque un “fare” parrebbe dover essere abbandonata con la riforma dellaPAC 2021-2027 che le sostituirebbe, in base alle proposte attualmente circolanti, quella di “agricoltore vero e proprio” alla quale, al con-trario, sarebbe sotteso uno status: in merito, A. Albisinni, La nuova PAC e le competenze degli stati membri tra riforme annunciate escelte praticate, cit., p. 59 ss.(51) Ai sensi del comma 2 dell’art. 18 del D.Lgs. n. 102/2004 ove espressamente si prescrive che gli agricoltori «continuano ad utilizzare»i diritti all’aiuto; come confermato dalla Agea, nella Circolare, 21 novembre 2017, prot. n. 89117, Agea, nella Circolare, 21 novembre2017, prot. n. 89117, in https://www.agea.gov.it/ portal/page/portal/AgEAPagegroup/RedazioneAgea/normativa/Circolare%20AgEA.2017.%20%20del%20trasferimento%20titoli.pdf, p. 16. Cfr., g. Cian, Sulla pignorabilità e sulla costituibilità in pegno degli aiuticomunitari, cit., p. 355 ss.; M. Maggiolo, Beni artificialmente creati nei settori agroalimentare e dell’energia. Un catalogo di nuovi benimobili registrati, cit., p. 294 ed ivi nota 24. Peraltro, l’Ordinamento conosceva già almeno altre due ipotesi: il pegno dei formaggi a deno-minazione protetta (art. 7 della legge 27 marzo 2001, n. 122) e il più noto pegno dei prosciutti a denominazione di origine (legge 24 luglio1985, n. 401). Sennonché, con la recente innovazione del D.L. 3 maggio 2016, n. 59, convertito con modificazioni in legge 30 giugno2016, n. 119 si è introdotta, quale ipotesi generale (per quanto limitata agli operatori d’impresa), il pegno non possessorio e rotativo, perfar fronte al particolare momento di crisi e favorire un maggior impegno finanziario nei confronti delle imprese da parte degli istituti ban-cari. Da una parte la rotatività, nel senso che il costituente può trasformare, alienare o comunque disporre dei beni dati in pegno, con ilsolo limite del rispetto della ‘destinazione economica’ (che assai da vicino richiama la ‘destinazione agricola’), senza alcun effetto nova-tivo, ove non sia diversamente disposto nel contratto costitutivo del pegno (essa fa del pegno «una forma di garanzia che consenta lasostituibilità e mutabilità nel tempo del suo oggetto senza comportare, ad ogni mutamento, la rinnovazione del compimento delle moda-lità richieste per la costituzione della garanzia o per il sorgere del diritto di prelazione, ovvero senza che tale mutamento dia luogo allecondizioni di revocabilità dell’operazione economica in tal modo poste in essere»: E. gabrielli, Studi sulle garanzie reali, torino, 215, p.187); dall’altra il superamento dello spossessamento risponde alla diversa finalità di favorire la continuità dell’attività d’impresa, consen-tendo sia l’accesso al finanziamento mediante l’impiego del capitale aziendale, sia il superamento dell’ostacolo costituito dall’immobi-lizzazione delle risorse produttive, di guisa che, dunque, non sarà più il creditore, bensì il debitore – imprenditore o terzo costituente –a poter fare uso dell’oggetto della garanzia, che egli stesso conserva presso di sé.

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nitario relative a provvidenze finanziarie … nonpossono essere sequestrate, pignorate o formareoggetto di provvedimenti cautelari, ivi compresi ifermi amministrativi … tranne che per il recuperoda parte degli organismi pagatori di pagamentiindebiti di tali provvidenze» (art. 2, comma 2, delD.P.R. 24 dicembre 1974, n. 727, come sostituitodall’art. 3 del D.L. 9 settembre 2005, n. 182, con-vertito nella Legge 11 novembre 2005, n. 231),indipendentemente dal titolo sul quale si fondal’assunzione dell’obbligazione rimasta, evidente-mente, inadempiuta. Dunque, se, per un verso, è consentita la seque-strabilità e la pignorabilità dei titoli all’aiuto, non èparimenti consentita, dall’altro, un’azione del cre-ditore direttamente sulle somme che, tali titoli,consentono di ottenere, trattandosi di importidestinati esclusivamente all’agricoltore. taleesclusione si giustifica in ragione della pervasivafunzione sottesa all’assegnazione dei titoli PAC,quali attribuzioni dirette e specifiche a beneficiodel singolo agricoltore, al fine di agevolare lo svol-gimento della sua attività, in attuazione della piùampia politica agricola europea, oltre che con rife-rimento alla strategia di garanzie reddituali e peril ruolo che il medesimo svolge per la proficuarealizzazione di interessi generali quali l’agrono-mia, l’ambiente, l’ecologia. Orbene: da un lato, lalibera trasferibilità e, quindi, anche la pignorabi-lità, da parte di terzi, dei titoli all’aiuto; dall’altro, l’i-nammissibilità della pignorabilità delle sommedelle quali si ha facoltà di beneficiare in funzionedella titolarità di tali diritti. La lettura che si provasse ad armonizzare l’appa-

rente contraddittorietà dovrebbe inevitabilmentepassare attraverso la proposta di una possibiledistinzione dei ‘titoli all’aiuto’ dalle ‘somme didenaro’; sì che converrà specificarne le rispettivenature e, così, di situazione giuridica soggettivaper primi, la cui titolarità si rivela condizionanteper la percezione concreta dei premi, e di ‘bene’per le seconde, intese quale esito del processo dioggettivazione del diritto di credito. Con la conse-guenza che il pignoramento potrà svolgersi diret-tamente presso il debitore (artt. 513 ss. c.p.c.)con riferimento ai titoli all’aiuto (in piena titolarità,non anche per quelli utilizzati in virtù di un contrat-to di affitto), mediante i quali si manifesta formal-mente la situazione giuridica soggettiva di relazio-ne di tensione tra l’agricoltore in attività52 (chedovrà soddisfare alcuni presupposti e condiziona-lità53) e l’organizzazione pubblica che, in eserciziodella sua (per quanto limitata) discrezionalità, liassegna, nelle forme autorizzatorie; sì come,peraltro, risulta confermato dall’assenza di «unanorma che colleghi, come avviene invece perquanto riguarda il diritto al premio (laddove è pre-visto un organismo pagatore), il suddetto dirittoad una situazione giuridica passiva dell’Agea»54. Successivamente – in caso di inadempimento – siprocederà con la vendita all’asta dei titoli, deiquali potrà rendersi acquirente subastato soltantoun agricoltore in attività55 ai sensi dell’art. 9 delReg. uE n. 1307/2013 e che rappresenta l’unica«modalità [di] soddisfacimento del creditore titola-re del pegno»56, il quale potrà ottenere, con larelativa monetizzazione, la soddisfazione del pro-prio interesse. Al contrario, il pignoramento non

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Anno XIV, numero 3 • Luglio-Settembre 202025

(52) Ai sensi dell’art. 3, comma 2, del Decreto MiPAAF 18 novembre 2014, n. 6135, in riferimento all’articolo 4, par. 1, lettera a), e del-l’articolo 9, par. 3, lettere a) e b), del regolamento (uE) n. 1307/2013, con l’espressa esclusione dei soggetti di cui al comma 1, del mede-simo art. 3, «sono considerati agricoltori in attività i soggetti che, al momento della presentazione della domanda unICA di cui all’articolo12, dimostrano uno dei seguenti requisiti: a) iscrizione all’InPS come coltivatori diretti, imprenditori agricoli professionali, coloni o mez-zadri; b) possesso della partita IVA attiva in campo agricolo e, a partire dal 2016, con dichiarazione annuale IVA relativa all’anno prece-dente la presentazione della domanda unICA di cui all’articolo 12. Per le aziende con superfici agricole ubicate, in misura maggiore alcinquanta per cento, in zone montane e/o svantaggiate ai sensi del Regolamento (CE) n. 1257/1999 è sufficiente il possesso della partitaIVA in campo agricolo». (53) Corte di giustizia europea, 20 maggio 2010, n. 434/2008, cit.(54) trib. Roma, sez. 4-bis, n. 25949/2009.(55) trib. Matera, ord., 31 ottobre 2018.(56) I. Canfora, La cessione delle quote di produzione, cit., p. 345.

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potrà eseguirsi né direttamente presso il debitore,sugli importi in denaro eventualmente già perce-piti dall’agricoltore, né nelle forme ‘presso terzi’(artt. 543 ss. c.p.c.), sulle somme non ancora cor-risposte, stante l’espresso divieto della pignorabi-lità. È, invero, prescritta, in deroga57 all’art. 2740c.c., un’impignorabilità ex lege58, «derivante dalledisposizioni del diritto comunitario, vincolanti pertutti gli Stati membri, secondo cui i finanziamentidella Politica Agricola Comunitaria [sono] versatiintegralmente ed esclusivamente ai diretti benefi-ciari, con esclusione di qualsivoglia forma didistrazione delle somme, ivi compreso il pignora-mento a favore di soggetti diversi dai legittimidestinatari»59, come confermato dall’art. 5-terde-cies del D.L. 9 settembre 2005 n. 182, convertitocon modificazione nella legge 11 novembre 2005,n. 231 ove si dispone che: «[l]e somme giacentisui conti correnti accesi dagli organismi pagatoripresso la Banca d'Italia e presso gli istituti tesorie-ri e destinate alle erogazioni delle provvidenze dicui al comma 5-duodecies [vale a dire i premidovuti in virtù dei titoli all’aiuto] non possono, diconseguenza, essere sequestrate, pignorate oformare oggetto di provvedimenti cautelari». Si è,dunque, in presenza di un credito personalissimo(dell’agricoltore nei confronti dell’ente erogatore)che costituisce l’effetto premiale del diritto all’aiu-to dal quale continua a distinguersi. In verità, la ricostruzione dei diritti all’aiuto qualifigure specifiche della generale situazione obbli-gatoria di credito, seppur maggiormente avvici-nandosi alla comprensione della vicenda, rispetto

a quella conducente ai ‘beni mobili immateriali’,non riesce, tuttavia, a rappresentarne convincen-temente le peculiarità morfologiche e contenutisti-che. D’altra parte, nella prospettiva del (diritto di)credito, sarebbe rimasto da spiegare il dispostodell’art. 2, comma 3, del D.P.R. 24 dicembre1974, n. 727 ove si prescrive l’incedibilità dei«crediti inerenti alle suddette provvidenze» (equindi anche ai titoli all’aiuto europei): se questiultimi venissero ricondotti ai diritti di credito, sipotrebbe prefigurare una possibile antinomia tral’art. 34 del Reg. n. 1307 (che ne sanziona la libe-ra trasferibilità) e tale ultima disposizione (che, alcontrario, ne esclude la cedibilità), senza che inquella ricostruzione la prefigurata antinomia fossestata analizzata e verificata.Le divisate situazioni giuridiche, al contrario, pro-prio nella relazione pubblico-privato ad esse sot-tesa, parrebbero rinvenire il fondamento dellaspecifica conformazione prevista dal legislatoredell’unione e da quello nazionale60. La situazione alla quale intende riferirsi è quellache, nei confronti degli enti preposti al riconosci-mento dei titoli all’aiuto, non può che esprimersinelle forme dell’interesse legittimo pretensivo eche, nelle relazioni tra privati, assume la morfolo-gia della figura dell’aspettativa61 (di diritto), qualesituazione idonea a rappresentare una potenzia-lità: entrambe, sia pure da distinte prospettiveinvestigative, riuscirebbero compiutamente adesprimere la dinamica della tensione al bene ulti-mo di riferimento, patrimonialmente valutabile,manifestando quell’intrinseca strumentalità che le

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Anno XIV, numero 3 • Luglio-Settembre 202026

(57) trib. Potenza, 3 febbraio 2011, n. 129. (58) È, dunque, in ragione di tale impignorabilità che le somme spettanti all’agricoltore non possono essere sottoposte alle procedure for-zose di cui agli art. 543 ss., e non tanto perché Agea (che è, in Italia, l’ente pagatore oltre che Organismo di coordinamento delle politicheagricole) non è debitrice nei confronti di quell’agricoltore dei divisati importi, sì come, al contrario, parrebbe argomentare trib. Roma,sez. 4-bis, cit.(59) trib. Catanzaro, 27 febbraio 2014, n. 605/14.(60) Con consueto rigore, F. Albisinni, I diritti di impianto dei vigneti e la loro circolazione, cit., p. 348; A. germanò, Le quote di produzionenel diritto comunitario dell’agricoltura, in Dir. e giur. agr. amb., 1995, p. 604 ss.; lo rileva, altresì, A. tommasini, Quote latte, diritti diimpianto e titoli all’aiuto. Limiti all’iniziativa economica e valori del sistema, cit., p. 72.(61) R. nicolò, voce Aspettativa (dir. civ.), in Enc. giur. Treccani, III, Roma, 1988, p. 1 ss.; A.C. Pelosi, voce Aspettativa di diritto, in Dig.disc. priv.-sez. civ., I, torino, 1987, p. 465 ss.; u. Breccia, Le obbligazioni, in Tratt. dir. priv., a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1991, p. 786;g. Amadio, La teorica degli effetti preliminari tra fattispecie e situazioni giuridiche soggettive, in Domenico Rubino, I, Interesse e rapportigiuridici, a cura di P. Perlingieri e S. Polidori, napoli, 2009, p. 91 ss.; e, infine, sia permesso il rinvio a R. Franco, Il trasferimento della‘potenzialità edificatoria’. I diritti edificatori tra beni e situazioni giuridiche soggettive, cit., p. 393.

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(62) F. Albisinni, Profili di diritto europeo per l’impresa agricola, cit., p. 6 ss., 86; Id., Profili istituzionali nel Regolamento sull’Aiuto Unicoe nel Decreto di attuazione per l’Italia, cit., p. 71; in termini di aspettativa, con riferimento alle quote latte, S. Masini, Sulla definizione di“quota latte”: bene immateriale o licenza amministrativa?, in Dir. e giur. agr. amb., 1999, p. 112.(63) R. nicolò, Istituzioni di diritto privato, p. 5 ss., p. 55 ss.(64) Lo si è già fatto sia con riferimento al trasferimento dei diritti edificatori (R. Franco, Il trasferimento della ‘potenzialità edificatoria’. Idiritti edificatori tra beni e situazioni giuridiche soggettive, cit., p. 390), sia in merito alla complessa figura della donazione con riserva didisporre (R. Franco, La donazione con riserva di disporre: ripensamento dei dogmi e concretezza degli interessi, in Eur. dir. priv., 2018,p. 631 ss.), sia, ancora, con riferimento al contributo allo studio della rinunzia alla proprietà (R. Franco, La rinunzia alla proprietà (immo-biliare): ripensamenti sistematici di (antiche e recenti) certezze. Spunti per una comparazione giuridica, napoli, 2019, p. 55 ss.).

pervade e ne conforma il contenuto giuridico, intermini di poteri e facoltà. una figura specifica-mente idonea ad esprimere (in termini attuali dicontenuto) la potenzialità realizzatoria del pienosoddisfacimento dell’interesse sostanziale adessa sotteso, e, dunque, quella relazione di atte-sa giustificata (e qualificata in termini di penden-za) dalla probabilità del verificarsi di un determi-nato evento. All’un tempo, significando, per un verso, che laposizione dell’agricoltore in attività non è quelladel creditore tout court, sì come quella della P.A.non è assimilabile alla posizione giuridica deldebitore di diritto privato: il primo non ha il dirittosoggettivo a ricevere l’attribuzione del titoloall’aiuto, né a ricevere, negli anni successivi, ilpuntuale importo che in origine fosse stato indivi-duato; la seconda non è tenuta al pagamento senon verificando costantemente, in esercizio delladiscrezionalità tecnico-amministrativa, la persi-stenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi delbeneficiario. E per l’altro che la divisata situazione giuridicasoggettiva attiva assume carattere non soltantostrumentale, ma (anche) attuale e sostanziale,autonomamente rilevante, quale riferimento uni-tario del sistema di tutela predisposto dall’ordina-mento (europeo e nazionale) a presidio dell’inte-resse che la fonda.Invero, i titoli all’aiuto sottendono ad una progres-siva vicenda relazionale con la Pubblica ammini-strazione, che non si esaurisce affatto con la finedel procedimento diretto a verificare la sussisten-za delle condizionalità (considerando e art. 93Reg. uE n. 1306/2013) e presupposti (indicati,almeno, negli artt. 9-11, 21, 24, 32 del Reg. uE

1307/2013) che incidono sull’attribuzione finaleall’agricoltore in attività, ma continua anche dopoil momento formale dell’attribuzione, se è veroche l’aspettativa potrà subire interventi rimodula-tori del contenuto, formale e sostanziale, in ragio-ne delle sopravvenute modifiche di strategie poli-tico-economiche ovvero di una sopravvenutaverifica dell’assenza di quell’effettività che svolgeun ruolo decisivo ai fini della persistenza, in capoall’attributario, del titolo all’aiuto. La proposta incontrerebbe conferme nell’autore-vole linea di pensiero62 che già da tempo sottoli-neava quanto apparisse difficile «qualificarecome pieno diritto soggettivo [quella] che si confi-gura come posizione tutelata, che gode di prote-zione, ma per sé solo non attribuisce la certezzagiuridica del diritto di conseguire il risultato econo-mico atteso anche nei futuri anni di applicazione»e permetterebbe di recuperare antiche acquisizio-ni del patrimonio della civilistica là dove lucida-mente si osservava come «l’entità in cui si trasfor-ma l’interesse del soggetto, può essere diversa aseconda dell’intensità della tutela predispostadalla norma. Il risultato di una tutela più attenuatapuò essere la creazione di un interesse legitti-mo»63 o, nel versante privatistico, di un’aspettati-va di diritto. non è qui necessario interrogarsi né sull’attitudi-ne della prefigurata situazione di aspettativa asubire l’atto di disposizione64; né sulle modalità dicircolazione dell’aspettativa giuridica, intesaquale situazione strumentale ma indipendente, làdove il miglior orientamento civilistico ha avutomodo di evidenziare, da tempo, come essa, alpari di qualsiasi altra situazione soggettiva (siapure strumentale), esprima una utilità attuale.

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4.- Il complesso sistema della produzione vitivini-cola nell’evoluzione dello scenario del mercato(prima europeo e poi divenuto) globalizzato

non si riuscirebbe a comprendere la nuova lineastrategica introdotta dall’unione europea con ilReg. uE n. 1308/2013 (artt. 39 ss. e 61 ss.), conil conseguente apparato di norme attuative (Reg.uE delegato, 15 dicembre 2014, n. 560 e Reg.uE di esecuzione del 7 aprile 2015, n. 561, poirispettivamente abrogati e sostituiti dai Reg. uEdelegato e Reg. uE di esecuzione, entrambi indata 11 dicembre 2017, nn. 273 e 274, in vigoredal 3 agosto 2018), se non la si collocasse nel-l’ambito del più ampio contesto politico ed econo-mico che sta sullo sfondo del delicato settore viti-colo (e, dunque, vinicolo) e non si procedesse,conseguentemente, a recuperare all’analisi com-plessiva, tutti quei dati, elementi ed indici di valu-tazione che soltanto in una prospettiva diacronicapotrebbero icasticamente emergere. Affinché deirinnovamenti introdotti nel 2013 (sottoposti adulteriori modifiche in previsione della prossimaPac 2021-202765) non ci si limiti a percepire i pro-fili di distinzione rispetto alla previgente disciplina,bensì ad apprenderne le ragioni, almeno tenden-ziali, ad essi sottesi, utili e funzionali, in prospetti-va sincronica, ad individuare il fondamento dellariformata impostazione proposta dall’unioneEuropea.E tuttavia, qui, della segnalata significativa evolu-zione politico-economica (e, quindi normativa) –anche per non allontanarsi dai confini di senso alcui interno queste riflessioni vorrebbero rimanere– non ci si può che limitare a cogliere il fattore cheè parso come determinante nel tracciare la dire-zione di quell’evoluzione: la rinnovata considera-zione del mercato. Invero, solo a partire dagli anni’60 del secolo scorso, dopo che per decenni gli

interventi normativi nazionali si erano limitati adintrodurre misure di sostegno ed incentivi alla pro-duzione e, più in generale, alla regolazione delsettore viticolo, l’allora CEE intercetta la sensibi-lità di avviare un’innovativa disciplina di regolazio-ne del settore viticolo. Sì che, nel recepire leprime istanze sovvenienti dai produttori, s’inizia acondividere lo scopo di ri-organizzare una mate-ria fino a quel momento sostanzialmente orienta-ta, nelle singole discipline nazionali, a fronteggia-re (quasi esclusivamente) l’impatto di precedentie devastanti eventi atmosferici e la diffusione dipericolosi contagi e infezioni delle viti. Soltanto se si percepisce il profondo rinnovamen-to che le complesse dinamiche del mercato sonoidonee a provocare al riguardo, si riuscirà a com-prendere la ratio ultima dell’innovativa modificaintrodotta con la OCM del 2013, sì da inserirla inun più complesso orizzonte nel quale individuaregli indici che ne hanno stimolato l’adozione.Diversamente, essa potrebbe apparire ingiustifi-cabile se non, addirittura, schizofrenica. Invero,dopo tre lustri dall’introduzione della prima rego-lamentazione europea assunta con il Reg. (CEE)n. 24/1962 e i primi interventi diretti al censimentodegli impianti ed alla verifica della produzione conla iniziali discipline di controllo e pianificazione, sigiunge nel 1976, anno in cui, con il Reg. (CEE) n.1162, si introduce formalmente, sia pure con piùo meno ampie deroghe, il divieto di costituirenuovi impianti viticoli; divieto che – in forza di piùproroghe, di intervenuti tentativi di sistemazionerazionale66 e di radicali modificazioni67 – è giuntofino al 31 dicembre 201568, salvo possibili dero-ghe concesse dai singoli Stati membri «in via dieccezione ed in presenza di condizioni restrittiva-mente e specificamente fissate»69 (art. 30-bis reg.n. 337/1979, poi modificato dal reg. n. 454/1980).Solo a partire da 1° gennaio 2016, infatti – sia

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(65) F. Albisinni, La nuova PAC e le competenze degli stati membri tra riforme annunciate e scelte praticate, cit., p. 63 ss., ed ivi partico-larmente la questione di cui alla nota 48 in margine al c.d. ‘vino dealcolizzato’.(66) Reg. (CE) n. 1493/1999.(67) nuova OCM vino di cui al reg. CE n. 479/2008.(68) Per effetto dell’art. 90 del reg. n. 479/2008. (69) F. Albisinni, I diritti di impianto dei vigneti e la loro circolazione, cit., p. 349.

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pure preannunciato dal Reg. ue n. 479/2008 il cuiconsiderando n. 58 registrava come l’interdizione«provvisori[a] di nuovi impianti ha inciso in unacerta misura sull’equilibrio tra domanda e offertasul mercato del vino, nello stesso tempo ha peròostacolato i produttori competitivi che desideranorispondere in maniera flessibile all’aumento delladomanda» – il new deal introdotto con il Reg. uEn. 1308 (artt. 61 ss.) ha abolito quel divieto ed haconsentito ai singoli Stati membri di «mettere adisposizione ogni anno delle autorizzazioni pernuovi impianti equivalenti all’1% della superficievitata totale nel loro territorio» (art. 63), introdu-cendo significative innovazioni nel regime di cir-colazione dei ‘diritti’ di impianto, tali da mutarnenatura e termini per il rilascio. E tuttavia, anchetale ultima nuova impostazione politico-economi-ca, prima che giuridica, sarà destinata a modifi-carsi ancora, in nome di quel necessario ecostante adeguamento ai fattori sovvenienti dalmercato, se è vero che lo stesso Reg. (uE) n.1308/2018 si auto-destina alla transitorietà, impo-nendosi un termine di efficacia finale al 31 dicem-bre 2030 (art. 61). gli è che il diveniente giuridico costituisce la cifratendenziale dell’incessante modificarsi delleistanze economiche e dello sviluppo delle dinami-che della globalizzazione che ha investito ancheil settore viticolo, con il sovvenire delle nuove,significative realtà australiane, californiane, suda-fricane e cinesi ed un generale e complessivoaumento della domanda internazionale di vino diqualità (come la previsione di misure di sostegnoalla produzione dei vini dell’unione non può checonfermare: art. 45 Reg. (uE) n. 1308). In unaparola: del mercato70. Con la consapevolezza cheil Mercato (come tutti i mercati) non è un ordo

naturalis, bensì uno statuto normativo; non unospazio anomico, lasciato al vorticoso svolgersidelle relazioni (meramente) economiche71, bensìuno spazio ‘pieno’ di regolazione, per un efficientee trasparente funzionamento (oltre che per il con-trollo dello svolgimento) delle dinamiche econo-miche, ricacciando le possibili alterazioni imputa-bili a pratiche commerciali scorrette o all’illecitaconcorrenza72. Esso è locus non naturalis ma arti-ficialis, non dimensione fattuale ma istituzione(economicamente, politicamente e giuridicamen-te ordinata e orientata, in funzione di determinate,mutevoli e poli-funzionali scelte fondamentali,definitivamente globalizzate).nella proposta linea di lettura parrebberomostrarsi più chiare le ragioni che sottostannoalle direttrici a fondamento del mutamento dell’im-postazione73 della politica viticola, già annunciatanel 2008 con il Reg. (uE) n. 479/2008 il cui terzoconsiderando prendeva realisticamente atto che«[n]on tutti gli strumenti attualmente previsti … sisono rivelati efficaci nel guidare il settore vitivini-colo verso uno sviluppo competitivo e sostenibi-le», e poi adottata con il Reg. (uE) n. 1308, con ilquale, nell’abbandonare le direttrici favorevoli aduna completa liberalizzazione, si è proposto, perun verso, una riapertura, sia pure controllata,dell’assegnazione di nuovi impianti viticoli inluogo del precedente divieto (con la previsione diun “meccanismo di salvaguardia”74) e, per l’altro,si è introdotto un sistema ‘autorizzatorio’ idoneo amutare la natura dei precedenti diritti di impiantoe reimpianto, sì da escluderne la circolazione traprivati (se non per limitate e individuate ipotesi). Si sono introdotte, pertanto, rinnovate strategie dicontrollo, di programmazione e di intervento nelsettore specifico del mercato viticolo, le quali, per

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(70) Al riguardo le dense e lucide, a tratti preoccupate, riflessioni di L. Costato, Il “Dio mercato” e l’agricoltura, in Riv. dir. agr., 2018, p. 71ss.(71) È capitato già di sostenerlo in R. Franco, L’etichettatura dei prodotti alimentari: il ‘luogo di provenienza’, il ‘paese d’origine’, la ‘sededello stabilimento di produzione’, la ‘sede dello stabilimento di confezionamento’. L’anagramma di un problema senza fine?, in q. Riv.www.rivistadirittoalimentare.it n. 4-2019, p. 27 ss.(72) n. Irti, La concorrenza come statuto normativo, in Id., L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998, p. 133 ss. (73) già con riferimento alla OCM del vino del 2008, F. Albisinni, I diritti di impianto dei vigneti e la loro circolazione, cit., p. 361 ss. discu-teva di «radicale riforma dell’organizzazione comune del mercato vitivinicolo» (74) Reg. uE n. 1308, sia il considerando n. 57, sia l’art. 63 che disciplina il relativo meccanismo.

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quanto ancora oggetto di riflessioni critiche,hanno proposto la riconfigurazione del previgentemodello della circolazione dei diritti all’impianto,rimesso essenzialmente agli sviluppi delle dina-miche private, in quello dell’attribuzione pubblicae gratuita (art. 62 Reg. uE n. 1308) delle autoriz-zazioni, assegnate personalmente all’agricoltorein attività, sì da escluderne il trasferimento75. Allastessa si è fatto corrispondere una riapertura delsistema delle assegnazioni di nuovi impianti viti-coli, al fine di stimolare, per un verso, una mag-giore produttività idonea ad implementare la com-petitività internazionale dei produttori appartenen-ti all’unione europea, e consentire, dall’altro, l’in-gresso di nuovi soggetti, realizzando uno sviluppodel più ampio settore economico-imprenditorialedi riferimento e favorendo l’accesso a più perfor-manti soluzioni tecnologiche e innovazioni scien-tifiche76 in costante relazione biunivoca con il piùpervasivo principio della sostenibilità77. Di tuttociò, il mutamento della figura soggettiva di riferi-mento (che dai diritti giunge alle autorizzazioni)costituisce momento assai significativo, al pari diquello politico che è sullo sfondo del Reg. uE n.1308 e probabilmente il principale segno di mani-festazione giuridica del rinnovato sistema dellelogiche attributive degli aiuti nel settore viticolo.

5.- Il nuovo modello: dai diritti (trasferibili) alleautorizzazioni (non destinate alla circolazione)

Il mercato del settore vitivinicolo è attualmentedisciplinato da provvedimenti dell’unione e nazio-nali: Reg. (uE) n. 1308/2013; Reg. (uE) delegato,11 dicembre 2017, n. 273 (che abroga78 e sostitui-

sce il Reg. (uE) delegato, 15 dicembre 2014, n.560); Reg. (uE) di esecuzione, 11 dicembre2017, n. 274 (che abroga79 e sostituisce il Reg.(uE) di esecuzione, 7 aprile 29015, n. 561);Decreto del Ministero delle Politiche agricole,ambientali e forestali, 19 febbraio 2015, n. 1213 eDecreto80 del medesimo Ministro, 15 dicembre2015, n. 12272 (con la relativa nota interpretativadi cui alla Circolare del medesimo ministero, 25ottobre 2016, n. 5852), oltre che dal susseguirsi diCircolari interpretative dell’Agea.Il mutamento dell’impostazione sottesa alla politi-ca economica relativa al settore vitivinicolo preve-de, tra le sue più evidenti novità, la sostituzionedel regime di circolazione dei diritti con quellodella intrasferibilità delle autorizzazioni di impian-to e reimpianto. L’innovativo regime va a collocar-si in una più ampia prospettiva sottesa alla nuovaOCM vino, la quale (almeno fino al 2030) dal con-tingentamento e/o controllo della produzione tra-scorre al sostegno diretto ai viticoltori per rimodu-lare e programmare nuovi ambiziosi obiettivi disostenibilità agricola, ambientale e climatica81.nell’ambito di quelli indicati dall’art. 43 Reg. n.1308, gli obiettivi vanno dall’adozione di misureper la promozione di vini dell’unione (sia median-te una sollecitazione alla maggior consapevolez-za dei consumatori, sia mercé una più pervasivapolitica della competitività globale) alla ristruttura-zione e riconversione dei vigneti; dalle misure afavore della ‘vendemmia verde’ a quelle di solle-citazione dei fondi di mutualizzazione e della dif-fusione delle pratiche di ‘assicurazione del raccol-to’, fino agli investimenti monetari funzionali all’ef-ficientamento delle imprese agricole minori edalla promozione di tecnologie innovative allo

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(75) F. Albisinni, I diritti di impianto dei vigneti e la loro circolazione, cit., p. 348.(76) L. Costato, Innovazione tecnologica, agricoltura e alimentazione: una sfida risalente, in q. Riv. www.rivistadirittoalimentare.it n. 2-2019, p. 1 s.(77) Cfr., in termini generali, le stimolanti e sapienti pagine di A. Jannarelli, Il divenire del diritto agrario italiano ed europeo tra sviluppitecnologici e sostenibilità, cit., p. 11 ss.(78) A far data dal 3 agosto 2018.(79) A far data dal 3 agosto 2018.(80) Sì come modificato dal D.M. 30 gennaio 2017, n. 527 e dal D.M. 13 febbraio 2018, n. 935, che ha introdotto l’importante comma 4all’art. 10, in merito alla circolazione delle autorizzazioni relative a terreni concessi in affitto.(81) M. tamponi, I diritti della terra, in Riv. dir. agr., 2011, p. 482 ss., spec., p. 491 ss.

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(82) già intuita dalla dottrina d’oltralpe, come riferisce C. Del Val gomez, Synthèse de l’ougrage, in http://www.academie-amorim.com/wp-content/uploads/2018/03/2004_cristina_del_val_gomez_04.pdf, p. 4 (83) S. Carmignani, Profili pubblicistici e profili privatistici delle quote latte, in Dir. e giur. agr. amb., 1997, p. 90 ss., spec. p. 93 ss.(84) A. germanò, L’azienda agraria e i suoi nuovi beni. Le quote di produzione e il diritto di reimpianto dei vigneti, in Dir. dell’agr., 1995,p. 11 ss.(85) J.J. Carre, Plantation par le preneur sur le sol du bailleur – Droits de chacune des parties sur la plantation et sur le droit de plantation,in Rev. droit rur., 1997, p. 493 ss.; J.M. Bahans-M. Menjucq, Droit de la vigneet du vin. Aspects juridiques du marché vitivinicole, Parigi,2010, p. 188 ss.(86) Rispettivamente par. 1 par. 2 dell’art. 64 del Reg. uE n. 1308, in coordinato con gli artt. 4, 6 e 7 del Reg. (uE) 2018/274 oltre checon l’art. 4 del Reg. (uE) 2018/273.(87) In senso contrario, tuttavia, con riferimento ai titoli all’aiuto, A. tommasini, Quote latte, diritti di impianto e titoli all’aiuto. Limiti all’ini-ziativa economica e valori del sistema, cit., p. 66 ss.(88) A. Orsi Battaglini, voce Autorizzazione amministrativa, in Dig. disc. pubbl., II, torino, 1987, p. 60 ss.; cfr., altresì, P. Salvatore, voceAutorizzazione, in Enc. giur. Treccani, IV, Roma, 1988, p. 1 ss.(89) R. Villata, Autorizzazioni amministrative e iniziativa economica privata, Milano, 1974, p. 63 ss. (l’enfasi è aggiunta).

scopo di «aumentare le prospettive di commer-cializzazione e la competitività dei prodotti vitivini-coli dell’unione» (art. 51 reg. n. 1308).Con riguardo alla natura giuridica delle autorizza-zioni82 possono sovvenire feconde le riflessionigià svolte in merito ai titoli all’aiuto o alle quotelatte83, confermandosi come anch’esse si collochi-no in un piano dell’indagine che mette in relazionepubblico e privato, P.A. e produttore, distinguen-dosi decisamente da quei profili autorizzatori chepure incidono nella conformazione delle dinami-che del diritto tra privati. Ebbene con la introdottatrasformazione, dovrebbe definitivamente abban-donarsi l’impostazione che riconduceva i diritti diimpianto a beni mobili immateriali84, inerenti al ter-reno o all’azienda vitivinicola, ovvero, come èaccaduto alla dottrina85 francese, ai diritti immobi-liari tout court, per convenire con la condivisibilericostruzione che ne individua la natura in unasituazione giuridica soggettiva di aspettativa (idest: tensione verso un’utilità), almeno fino almomento in cui la P.A., in esercizio della discre-zionalità tecnico-amministrativa (con ciò eserci-tando i profili del potere di controllo e di program-mazione), non rilasci formalmente (in esito allaverifica della ricorrenza dei prescritti presuppostisoggettivi ed oggettivi), l’autorizzazione all’im-pianto (in ragione dei previsti criteri di ammissibi-lità in una a quelli di priorità86). L’autorizzazione si esplica (nella visione tradizio-nale) nella rimozione di un ostacolo all’eserciziodi una – altra, diversa e condizionata – situazione

giuridica soggettiva, inserendosi concettualmentenella scissione, successivamente recepita, tra lecategorie della titolarità (statica) delle situazionigiuridiche soggettive e la legittimazione (dinami-ca) all’esercizio delle medesime. Essa, nelladuplicità della natura che l’assiste, per un versorimuove l’ostacolo all’esercizio di un diritto; perl’altro è costitutiva della legittimazione all’eserci-zio di quel medesimo diritto87, consentendone l’e-spressività dinamica, con la sottesa «valutazionedi non contrasto tra l'attività privata e gli interessiche [compresi nella politica dello Stato membro edell’unione, nell’ampio settore vitivinicolo] l'ordi-namento intende garantire con la apposizione dilimiti alla libertà individuale»88. nel derubricare amero presupposto la situazione preesistente, si èaffermato che «il titolo in base al quale l'attività(materiale o giuridica) oggetto dell'autorizzazionepuò essere lecitamente o legittimamente svolta èuna distinta e autonoma situazione soggettivacreata ex novo dall'atto, che non deriva in alcunmodo da altre situazioni preesistenti masi aggiunge al patrimonio giuridico del destinata-rio, quale che ne fosse la precedente consisten-za»89. Soltanto nel momento successivo al rilasciodell’autorizzazione potrà esercitarsi legittimamen-te il vero e proprio ‘diritto’ all’impianto di viti, nellamisura e modalità indicate dettagliatamente nel-l’autorizzazione. L’indagine deve ora proseguire al fine di verifica-re, più approfonditamente, le due principali inno-vazioni introdotte con la nuova OCM del 2013: i)

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l’abolizione del divieto di procedere con l’attribu-zione di nuovi impianti viticoli (art. 63); ii) le dina-miche coinvolte dall’introduzione del divieto (nonespresso, ma che si ricava per via interpretativa)di trasferimento autonomo delle autorizzazioniagli impianti.

6.- Il meccanismo di salvaguardia per i nuoviimpianti

Il Reg. (uE) n. 1308/2013 procede ad innovare ilprecedente sistema: dai diritti (trasferibili tra pri-vati) si passa alle autorizzazioni (concesse ai sin-goli agricoltori alla stregua di criteri di ammissibi-lità e di priorità90), con la previsione che eccettuaquegli «impianti o reimpiantati … destinati a scopidi sperimentazione o alla coltura di piante madriper marze, a superfici il cui vino o i cui prodottivitivinicoli sono destinati esclusivamente al con-sumo familiare dei viticoltori [e] a superfici da adi-bire a nuovi impianti in conseguenza di misure diesproprio per motivi di pubblica utilità a norma deldiritto nazionale» (art. 62, par. 4). Le autorizzazio-ni hanno una durata prestabilita di tre anni91 (art.62, par. 3) con la previsione di sanzioni92 per que-gli agricoltori che non le utilizzassero, nei tempiprevisti, effettivamente e in funzione del fine per ilquale erano state rilasciate. La porzione terriera

massima che ogni Stato membro può mettere adisposizione è indicata nella misura dell’1% della«superficie vitata totale» nel rispettivo territorio(art. 63 Reg. ue n. 1308), con la previsione dellapossibilità di ridurre tale incremento qualora ricor-ressero le esigenze di «un palese rischio di offer-ta eccedentaria di prodotti vitivinicoli» ovvero «dievitare un palese rischio di significativa svaluta-zione di una particolare denominazione di origineprotetta o indicazione geografica tipica» (art. 63,par. 3). Il Reg. (uE) n. 1308 individua i fattori alla cui stre-gua assegnare le porzioni di terreno con il rilasciodelle relative autorizzazioni prevedendo diversicriteri di ammissibilità (art. 64, par. 1 e art. 7 delD. MiPAFF 15 dicembre 2015, n. 12272), tra iquali il nostro Paese aveva ritenuto, inizialmente,di adottare soltanto quello relativo alla precedentedisponibilità93 della superficie agricola almeno paria quella per cui si richiede l’autorizzazione94, conla connessa tecnica ridistributiva proporzionale odel pro rata nell’ipotesi in cui le richieste avesserosopravanzato la concreta disponibilità dellesuperfici (esito che, dal 2016, si è sempre verifi-cato95). Soltanto dall’anno 2018 lo Stato italiano(con la modifica dell’art. 7-bis del menzionato D.MiPAFF 15 dicembre 2015) ha rimodulato, pertale ultima evenienza, l’esclusivo e rigido criteriodella proporzionalità con la previsione (tra quelli

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Anno XIV, numero 3 • Luglio-Settembre 2020

(90) Con le eccezioni indicate dall’art. 62, par. 4 del Reg. (uE) n. 1308/2013 e art. 3 Reg. (uE) 2018/273.(91) Per far fronte alla emergenza sanitaria in seguito alla diffusione del Covid-19 è stato adottato il Reg. (uE) 30 aprile 2020, n. 601(pubblicato in gazzetta ufficiale il 4 maggio 2020 e direttamente in vigore da tale data, ai sensi dell’art. 3 del medesimo reg.) con il quale,all’art. 1, si prescrive una proroga per tutte le autorizzazioni all’impianto e al reimpianto in scadenza nel 2020, posticipando per esse lascadenza ai 12 mesi successivi all’entrata in vigore del reg. e, quindi, al 3 maggio 2021.(92) Cfr., il medesimo Reg. (uE) 2020/601, art. 1, par. 2.(93) nella Regione di riferimento: Circolare Agea, 13 febbraio 2020, n. 11517, consultabile su www.agea.gov.it, p. 14.(94) Ancora cfr., Circolare Agea, 13 febbraio 2020, n. 11517, cit., p. 14: «[a]l fine di contrastare fenomeni elusivi del criterio di distribuzioneproporzionale, anche nell’ambito dell’introduzione di criteri di priorità e del rispetto del miglioramento della competitività del settore nel-l’ambito delle singole Regioni, dal 2017 sono state introdotte le seguenti prescrizioni: 1) nelle domande di autorizzazione per nuoviimpianti dovranno essere specificate la dimensione richiesta e la Regione nella quale si intende localizzare le superfici oggetto di richie-sta. Le autorizzazioni per nuovi impianti concesse dalla campagna 2017 e 2018, quindi, non sono più trasferibili da una regione ad un’al-tra, in quanto ciò contrasta con il criterio di ammissibilità; 2) Il vigneto impiantato a seguito del rilascio dell’autorizzazione è mantenutoper un numero minimo di 5 anni, fatti salvi i casi di forza maggiore e/o motivi fitosanitari. Per tale motivo, l’estirpazione dei vigneti impian-tati con autorizzazioni di nuovo impianto prima dello scadere dei 5 anni dalla data di impianto non dà origine ad autorizzazioni di reim-pianto».(95) Per l’anno 2020 è stata di 6722 ettari la superficie messa a disposizione, pari all’1% della superficie vitata nazionale riferita alla datadel 31 luglio 2019, integrata dalle superfici autorizzate di nuovi impianti oggetto di rinuncia nella annualità 2019: art. 1 del D. MiPAAF,14 novembre 2019, n. 6069 (per l’anno 2019: 6602 ettari; per l’anno 2018: 6665; per l’anno 2017: 6621,67).

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(96) Art. 7-bis, comma 1, lett. a) del D. MiPAFF n. 12272/2015: «organizzazioni senza scopo di lucro con fini sociali che hanno ricevutoterreni confiscati per reati di terrorismo e criminalità di altro tipo».(97) Art. 7-bis, comma 1, lett. b) e c) del medesimo D.M. che prevedono, rispettivamente, riferimenti a particolari tipologie di terreni sog-getti a siccità, di scarsa profondità radicale, con problemi di tessitura e pietrosità del suolo, di forte pendenza, ubicate zone di montagnae in piccole isole e la contribuzione alla conservazione dell’ambiente a favore di soggetti, già viticoltori, che si impegnano nella produ-zione biologica.(98) Ma sempre in esito ad un’espressa richiesta.(99) Il citato Reg. (uE) 2020/601 ha, all’art. 2, consentito gli Stati membri di «prorogare il termine stabilito per l’estirpazione fino a 12 mesidopo l’entrata in vigore del presente regolamento [e, quindi, al 3 maggio 2021] nei casi in cui sia stato impossibile procedere all’estirpa-zione a causa della pandemia di Covid-19 e su richiesta debitamente motivata del viticoltore».(100) Peraltro, come consentito dall’art. 68, par. 1, seconda parte, del Reg. n. 1308, il nostro Stato ha beneficiato della possibilità di posti-cipare il termine entro cui procedere alla conversione al 31 dicembre 2020.(101) Art. 1 del D. MiPAFF 19 dicembre 2015, n. 1213.(102) Invero, l’art. 62 si esprime in termini di ‘concessione’ dell’autorizzazione, ingenerando, in un ordinamento come il nostro che conoscela figura della concessione amministrativa al fianco dell’autorizzazione, qualche, peraltro lieve, problema che avrebbe meritato una piùmirata attenzione terminologica.(103) Art. 68 Reg. n. 1308 e art. 2 D.MiPAAF, 19 febbraio 2015, n. 1213, cit.

individuati dall’art. 64, par. 2 del Reg. n. 1308) diconcorrenti criteri di priorità, di natura soggettiva96

e oggettiva97 nell’elevazione di nuovi obiettivi ariferimento della più ampia politica agricola euro-pea e nazionale.Alla disciplina dell’assegnazione dei diritti di reim-pianto è preposto l’art. 66 del Reg. n. 1308, ove siprevede: a) che i singoli Stati membri concedanoautomaticamente98 ai produttori, che hanno pro-ceduto all’espianto, nuove autorizzazioni (di reim-pianto) per la corrispondente superficie già vitatae senza che tali superfici debbano essere «calco-late ai fini dell’art. 63»; b) la possibilità dell’attribu-zione di un’autorizzazione anticipata99 (di unquadriennio), dietro rilascio di una fideiussione(art. 5, Reg. 2018/273), per quegli agricoltori che«si impegnano ad estirpare una superficie vitata… entro la fine del quarto anno dalla data in cuisono state impiantate nuove viti»; c) che l’autoriz-zazione al reimpianto possa essere utilizzata sol-tanto «nella stessa azienda in cui è stata intrapre-sa l’estirpazione», con la possibile ulteriore limita-zione per i vini a denominazione o a indicazionegeografica protetta,Il descritto meccanismo si colloca nell’ambito delpiù ampio sistema di innovazione introdotto con ilReg. n. 1308, nel quale è contenuta sia unanorma che, procedimentalizzando il profilo tem-porale dell’entrata in vigore, prescrive un terminefinale alla vigenza del precedente sistema (conl’abolizione dei diritti di impianto), indicando nel

31 dicembre 2015 la data100 entro la quale proce-dere alla conversione in autorizzazioni (art. 68,par. 1); sia una disposizione che prevede un’auto-limitazione di efficacia alla data del 31 dicembre2030 (art. 61 Reg. n. 1308). È opportuno segnalare che prima dell’approva-zione della riferita disciplina temporale si era svol-to (in sede di negoziazione della PAC 2014-2020)un vigoroso dibattito in merito alla possibile previ-sione di un sistema c.d. binario che contemplassesia (la persistente efficacia de)i diritti di impianto(che avrebbero continuato a circolare nelle moredella conversione), sia le autorizzazioni, per lequali la circolazione sarebbe stata esclusa.nondimeno, in sede di approvazione finale, taleopzione non è stata recepita, sì che, entro il 31dicembre 2015, si è dovuto improrogabilmenteprocedere alla conversione di tutti i diritti in auto-rizzazioni (in Italia, per effetto dell’adottata proro-ga, il termine entro il quale provvedere è stato fis-sato al 31 dicembre 2020101), pena la inutilizzabi-lità (sia in termini di godimento, sia in termini discambio).

7.- Il sistema innovativo delle autorizzazioni:divieto di circolazione autonoma

L’art. 62 del Reg. (uE) n. 1308, nel prescrivere ilrilascio102 gratuito (id est: «senza costi») dell’auto-rizzazione (di durata triennale103), implica l’abban-

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dono del precedente sistema104 di libera trasferi-bilità dei diritti di impianto (e di reimpianto) conl’introduzione (in scia al modello francese) di unnuovo regime il quale, con l’attribuzione persona-le e nominale dell’autorizzazione, esclude ogniipotesi di trasferimento privatistico105, in terminiautonomi, delle autorizzazioni (art. 64 e 66). Ilsistema, in altri termini, da una dimensione priva-tistica, che ammetteva il ricorso ai normalimodelli di trasferimento, con la costituzione di unvero e proprio mercato dei ‘diritti’ tra i produttori (iquali avrebbero potuto utilizzarli concretamentesu terreni in loro disponibilità su tutto il territorionazionale), trascorre in un nuovo contesto dicarattere pubblicistico, sia pure non concessorio,funzionale alla verifica costante, in capo al richie-dente, dei presupposti individuati dal Reg. (uE)n. 1308.nel nostro ordinamento parrebbe essersi creatauna questione interpretativa in merito alla esattaindividuazione dell’ambito di applicazione del pre-detto divieto di trasferimento, in quanto se conl’art. 2 del D.M. n. 12272/2015 l’intrasferibilitàdelle autorizzazioni viene confermata, la succes-siva Circolare106 esplicativa del medesimoMinistero n. 5852 del 2016 prevede, sia che «[l]avendita di una particella o azienda non autorizzail trasferimento delle autorizzazioni all’acquirenteanche se esse sono state rilasciate per particellespecifiche. Il trasferimento delle autorizzazioni inquesto contesto è vietato al fine di evitare ogniforma di speculazione. Colui che vende conserva,dunque, in portafoglio le proprie autorizzazioni»,sia che, con riferimento al contratto di affitto,«[n]on è ammesso il trasferimento delle autoriz-

zazioni in questo contesto (affitto, mezzadria,comodato, …) al fine di evitare ogni forma di spe-culazione. Il locatore non può trasferire le autoriz-zazioni al locatario anche se esse sono state rila-sciate per particelle specifiche e conserva dun-que in portafoglio le proprie autorizzazioni». Orbene, la Circolare, nello specificare l’estensio-ne del ripetuto divieto, precisa, non soltanto che i)non è ammesso il trasferimento delle autorizza-zioni con modalità autonome rispetto al bene cuiaccedono; ma altresì che ii) il trasferimento delterreno107 (ivi individuato, con terminologia cata-stale, quale particella) o dell’azienda «non auto-rizza il trasferimento delle autorizzazioni all’acqui-rente», sì che qualora si fosse concluso un con-tratto idoneo a provocare siffatto trasferimento, inogni caso l’oggetto subirebbe una rimodulazioneex lege, in quanto «[c]olui che vende conserva …in portafoglio le proprie autorizzazioni». una solu-zione estremamente restrittiva che ha generatonon poche questioni ricostruttive e pratiche, e nonpoche perplessità nell’ambiente degli operatoridel settore (produttori, organizzazioni professio-nali, professionisti, ecc.).Successivamente, il D.M. 13 febbraio 2018, n.935 ha introdotto il nuovo comma 4 all’art. 10 delD.M. 12272 del 2015, con la previsione di unadettagliata disciplina dei contratti di concessionein godimento dei terreni (scilicet: «atti di trasferi-mento temporaneo della conduzione», sic!) cuiafferiscono le autorizzazioni all’impianto, con l’e-spresso fine di «contrastare fenomeni elusivi delprincipio della gratuità e non trasferibilità dellatitolarità delle autorizzazioni» che alcune diffusetecniche contrattuali avevano consentito di porre

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(104) In vigore fino al 31 dicembre 2015.(105) Come prescrive il D.M. n. 12272/2015, art. 2: «[l]e autorizzazioni sono gratuite e non trasferibili». Cfr., altresì, Circolare MinisteroPolitiche Agricole, 25 ottobre 2016, n. 5852, cit.; Circolare Agea, 13 febbraio 2020, n. 11517, cit.(106) Alla quale si rinvia per l’indicazione delle ulteriori ipotesi al cui ricorrere un trasferimento, in senso ampio (melius: in tutte le previstevicende un trasferimento, in termini rigorosi, non è a prodursi), dell’autorizzazione è consentito: si va dalla fusione e scissione societariaalla successione ereditaria ed a quella c.d. anticipata, dal matrimonio/unione civile al divorzio, fino al conferimento in società qualora siapossibile registrare la concorrente ricorrenza di una ipotesi di successione anticipata. Cfr., F. Albisinni, Profili di diritto europeo per l’im-presa agricola. Il regime di aiuto unico e l’attività dei privati, cit., p. 83 ss. 99 ss.; n. Lucifero, I contratti di cessione delle quote di pro-duzione, dei diritti di reimpianto e dei titoli all’aiuto diretto, cit., p. 267 s.(107) O anche l’affitto o la concessione in godimento del medesimo a soggetti terzi

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in essere108. Si prescrive che ogni contratto con il quale si con-cede in conduzione un terreno – al quale inerisco-no autorizzazioni all’impianto, e rispetto al quale ilconduttore procede con un successivo espiantodelle viti al fine di ottenere, in sostituzione, ulterio-ri autorizzazioni al reimpianto (art. 66) – «non dàorigine ad autorizzazioni di reimpianto in unaRegione differente da quella in cui è avvenuto l’e-stirpo» se non dopo che siano trascorsi almenosei anni dalla data di stipula del contratto. Si èinteso così evitare la continuazione di quella diffu-sa prassi contrattuale che procedendo con la sti-pula di contratti di conduzione a carattere tempo-raneo poneva di fatto in essere un trasferimento(vietato) delle autorizzazioni in quelle Regioni apiù alto ‘rendimento’ viticolo.E tuttavia, dall’introduzione del suddetto comma4, sovvengono significativi elementi utili a con-sentire una proposta interpretativa ridimensionan-te109 l’ambito applicativo del divieto di trasferimen-to delle autorizzazioni, sì come individuato dallamenzionata Circolare ministeriale. Invero, dall’in-troduzione della modifica del 2018 parrebberopotersi dedurre almeno le ulteriori distinte dispo-sizioni, per quanto non espressamente formulate:i) il «trasferimento temporaneo della conduzione»del terreno, mediante atti inter vivos, può compor-tare, sia pure con le individuate limitazioni(soprattutto temporali), il conseguente e correlatotrasferimento dell’autorizzazione all’impianto; ii)stante l’assoluta irragionevolezza di una soluzio-ne contraria, parrebbe doversi, altresì, condivide-re la lettura alla cui stregua anche il trasferimento

tout court della proprietà di un terreno con annes-sa autorizzazione importi la circolazione diquest’ultima, sì che l’interpretazione restrittivaproposta dalla Circolare n. 5852 del 2016 (conl’autorizzazione che, in caso di trasferimento delterreno, rimarrebbe nel “portafoglio” del cedente)dovrà ritenersi definitivamente superata; iii)dovrebbe, infine, essere consentito il libero trasfe-rimento delle autorizzazioni da una regione all’al-tra, senza i requisiti indicati nel ripetuto comma 4,nell’ipotesi in cui il terreno di ‘partenza’ e quello di‘arrivo’ siano in proprietà esclusiva del medesimosoggetto agricoltore, se in questa vicenda sareb-bero da ritenersi intrinsecamente esclusi quei«fenomeni elusivi» o di «speculazione» che ilnuovo comma s’incarica di «contrastare». Il tutto,evidentemente, sempreché il soggetto acquirentesia in possesso dei medesimi requisiti del ceden-te e sia verificato che siano parimenti rispettati icriteri che hanno consentito il rilascio originariodell’autorizzazione.La rielaborazione interpretativa, tuttavia, nonpotrebbe ritenersi esaurita se non si recuperasse-ro, nell’ambito della sua più ampia formulazione,quegli indici di ‘ammissibilità’ (art. 61, par. 1, reg.n. 1308) e ‘priorità’ (art. 64, par. 2, reg. n. 1308)che il D.M. n. 12272, nel recepire ed integrare,s’incarica di precisare e disciplinare, al fine delrilascio delle autorizzazioni a livello regionale110.Invero, da una più approfondita lettura, parrebbepotersi comprendere che la verifica della lororispettiva sussistenza non sia destinata ad esau-rirsi nel momento del rilascio dell’autorizzazione,bensì a continuare a conformarne i tratti essen-

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(108) Ed invero, alla stregua del precedente disposto dell’art. 10 del d.m. MiPAAF n. 12272 del 2015 le autorizzazioni di reimpianto pote-vano essere liberamente utilizzate, su diverse superfici terriere, se le medesime fossero state ricomprese (a qualunque titolo: proprietà,godimento, locazione, conduzione, ecc.) ed utilizzate nella medesima azienda: l’«autorizzazione è utilizzabile nella stessa azienda». Ladisposizione si era prestata ad un’agevole elusione che veniva posta in essere con la stipula di contratti di conduzione di alcune superficie il reimpianto in altre e diverse zone terriere (diverse da quelle estirpate), ricomprese nella medesima azienda: con tale tecnica con-trattuale si poneva in essere un sostanziale trasferimento dell’autorizzazione, producendo surrettiziamente quegli effetti che la nuovaPAC intendeva proibire(109) In questo senso, di recente, anche n. Lucifero, Il sistema di autorizzazioni per gli impianti viticoli: il regime vigente e la riformadell’OCM post 2020, cit., p. 254 ss.(110) non tutte le Regioni hanno adottato criteri di priorità da modulare in una a quello di ammissibilità e/o pro-rata; e le Regioni che lihanno adottati hanno fatto ricorso ad essi con modalità differenti, anche in ragione della specifica programmazione di crescita locale delsettore vitivinicolo, considerando, ad esempio, la dimensione delle singole aziende, i viticoltori storici, ambiente, obiettivi sociali, ecc.

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ziali, sì da impedirne il trasferimento (sia pure uni-tamente al terreno) qualora l’acquirente nonpotesse anch’egli dimostrare di essere in posses-so dei medesimi requisiti, inizialmente occorrential rilascio111. quel che si sta tentando di argomen-tare è che i requisiti di volta in volta richiesticonformino il contenuto dell’autorizzazione all’im-pianto, sì che sarebbe senz’altro non consentito,perché speculativo o elusivo della riferita discipli-na112, quel trasferimento di terreno che fosse effet-tuato a favore di un soggetto che, in possesso deirequisiti previsti dalla disciplina OCM per rendersiattributario delle autorizzazioni all’impianto, nonconsentirebbe l’accertamento anche di quei “cri-teri di priorità” (soggettivi e oggettivi) indicati dal-l’art. 64, par. 2, del Reg. (uE) n. 1308 sì comeintegrati dall’art. 7-bis del D.M. n. 12272, che fos-sero stati decisivi ai fini del primo rilascio113.Il ragionamento si distingue dalla limitrofa que-stione inerente alle condizionalità previste per(l’attribuzione e la conservazione de)i titoli all’aiu-to, là dove si è condivisibilmente evidenziato, nonsenza qualche perplessità114, come «anche aseguito della cessione … dei diritti all’aiuto, il ces-sionario (a qualunque titolo) non potrà in alcunmodo aggirare il vincolo della condizionalità pre-viste nel regolamento, poiché – diversamente –subirebbe (al pari del proprietario cedente) i bennoti effetti sanzionatori quali la decurtazione ol’annullamento dei detti aiuti»115: l’effettivo rispettodelle condizionalità andrà costantemente verifica-to in capo al cessionario.

E, tuttavia, se le condizionalità attengono propria-mente alla sfera della gestione del terreno chel’attributario o il successivo cessionario dovrannotenere effettivamente «in buone condizioni agro-nomiche e ambientali … con riferimento aiseguenti settori: a) ambiente, cambiamento cli-matico e buone condizioni agronomiche del terre-no; b) sanità pubblica, salute delle piante e deglianimali; c) benessere degli animali», i criteri dipriorità involgono, al contrario, più specifiche qua-lità soggettive del beneficiario ed oggettive delterreno, idonee a mettere in forma quelle finalitàsottese alla politica agricolo-viticola, che non siesauriscono nell’obiettivo della produzione, ma siestendono a quelle sociali, ambientali, di prote-zione e sviluppo del territorio, fino al vasto mondonel non-profit. Idonei, tali requisiti di priorità, aconformare l’autorizzazione stessa, modellando-ne il contenuto in ragione di quelle specificità allequali essi rispettivamente si riferiscono. Sì chedovrebbe potersi argomentare che se, per unverso, le autorizzazioni concesse ad «organizza-zioni senza scopo di lucro con fini sociali» in rife-rimento a «terreni confiscati per reati di terrorismoe criminalità di altro tipo» (art. 7-bis del D.MiPAAF n. 12272) non possono essere trasferite– unitamente al terreno cui accedono – se non asoggetti che integrino la stessa natura di quelleorganizzazioni, e sempreché sia trascorso ilperiodo quinquennale di divieto generale di dispo-sizione116; per l’altro, le autorizzazioni rilasciatecon riguardo a terreni con particolari caratteristi-

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(111) Condivide il ragionamento, n. Lucifero, Il sistema di autorizzazioni per gli impianti viticoli: il regime vigente e la riforma dell’OCM post2020, cit.(112) Con la conseguenza che la sanzione alla violazione dovrebbe essere individuata nella più grave nullità e non nella mera inefficaciadell’atto di trasferimento; in ogni caso, ne conseguirebbe l’inutilizzabilità dell’autorizzazione in capo al cessionario.(113) Corte di giustizia europea, 20 maggio 2010, n. 434/2008, cit.(114) F. Albisinni, Le proposte per la riforma della PAC verso il 2020: profili di innovazione istituzionale e di contenuti, cit., p. 604 ss.; n.Lucifero, I contratti di cessione delle quote di produzione, dei diritti di reimpianto e dei titoli all’aiuto diretto, cit., p. 257, ove si pone l’in-terrogativo se non fosse stato più performante, per le finalità della politica europea, insistere sull’effettivo svolgimento dell’attività agri-cola e sulla verifica concreta del rispetto delle condizionalità, piuttosto che sui requisiti soggettivi del soggetto (cedente e cessionario).(115) A. tommasini, Quote latte, diritti di impianto e titoli all’aiuto. Limiti all’iniziativa economica e valori del sistema, cit., p. 78 ss. ed ivinota 40, spec., p. 82; M. Maggiolo, Beni artificialmente creati nei settori agroalimentare e dell’energia. Un catalogo di nuovi beni mobiliregistrati, cit., p. 293; n. Lucifero, I contratti di cessione delle quote di produzione, dei diritti di reimpianto e dei titoli all’aiuto diretto, cit.,p. 257.(116) Art. 7-bis, comma 1, punto 3) prevede che «il richiedente … si impegna, per un periodo di 5 anni, a non affittare, né alienare le super-fici di nuovo impianto ad altra persona fisica o giuridica. tale periodo non si estende oltre il 31 dicembre 2030».

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che di ‘disagio’ ovvero a superfici «in cui l’impian-to di vigneti contribuisce alla conservazione del-l’ambiente» e risultano destinati ad una «produ-zione biologica» non potranno essere trasferitese non a soggetti che si impegnino ad utilizzarlesui medesimi terreni e per le medesime finalitàovvero su altri terreni che, in ogni caso, abbianole medesime qualità di quelli originari (di cuiall’art. 7-bis, comma 1, lett. b, del predetto D.MiPAAF).

8.- I possibili esiti e gli spunti di riflessione

La cultura della sostenibilità quale significante divalori condivisi dovrà tenere unite le esigenze del-l’impresa agricola e gli interessi diffusi dellacomunità, con una rimeditata dimensione dellaresponsabilità sociale, parte integrante della stra-tegia, e della riprogrammazione del processo pro-duttivo e della trasformazione agricola, acquisen-do la sensibilità sottesa ai tre pilastri della soste-nibilità: ambiente – società – economia (anchenoto come l’equilibrio delle tre E: ecologia, equità,economia) che, dal 2001 (a seguito dell’introdu-zione degli artt. 1 e 3 della DichiarazioneUniversale sulla Diversità Culturale, unESCO),sono divenuti quattro, affiancandosi ad essi «...ladiversità culturale [che] è necessaria per l'uma-nità quanto la biodiversità per la natura (...) [con-fermando che] la diversità culturale è una delle

radici dello sviluppo inteso non solo come cresci-ta economica, ma anche come un mezzo per con-durre una esistenza più soddisfacente sul pianointellettuale, emozionale, morale e spirituale».L’Europa non potrebbe che rimanere «fedele allasua identità “plurale”: agricola, alimentare, pae-saggistica, culturale»117 con un’agricoltura cheribadisce «l’affermarsi di una visione più generaleche si espande in più direzioni: verso lo sviluppoproduttivo, integrato, la qualità e la sicurezza delconsumatore, la gestione del territorio e dell’am-biente»118 e che per essere «forte ed efficiente[deve fondarsi sugli] agricoltori»119 (ricacciandoogni strisciante diffusione del land grabbing). E,dunque, ri-fondarsi sulla centralizzazione assiolo-gica della persona e delle specificità locali e diver-sità territoriali120 (in luogo di un’uniformante globa-lizzazione), mercé la sostituzione della logicadello sfruttamento e della produzione con quellaassai proficua della conservazione e della prote-zione dell’ambiente, del clima121 e della salute122,perché «la terra è libertà»123 e res frugifera. Conuna costitutiva impostazione per tutta l’umanità:gli uomini di oggi e le generazioni del domani, sìda «fare della terra una cosa umana, … [una]come cosa umana nel mondo umano della sto-ria»124, mettendo in forma quella relazione virtuo-sa tra persone e cose che ha ricevuto, di recente,un mirabile ripensamento125.Si riuscirebbe a riaggiornare quell’insuperatoinsegnamento che soggiungeva dalla Commis-

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(117) F. Adornato, Lo sviluppo rurale paradigma dell’Europa comunitaria, in I diritti della terra e del mercato agroalimentare, cit., p. 1043.(118) C. Desideri, Oltre l’agricoltura: nuovi segnali dalle Regioni, in Agr. Ist. Merc., 2004, p. 114.(119) L. Costato, Agricoltura, ambiente e alimentazione nell’evoluzione del diritto dell’unione europea, in I diritti della terra e del mercatoagroalimentare, cit., p. 977.(120) Insiste vigorosamente F. Albisinni, La nuova PAC e le competenze degli stati membri tra riforme annunciate e scelte praticate, cit.,p. 63 ss. rilevando le numerose criticità della Proposta di riforma del Reg. 1308/2013.(121) tema di estrema attualità intercettato dal recente documento comunitario della Commissione del 11 dicembre 2019, doc. COM(2019) 640 final con il titolo “Green Deal europeo” sul quale, per qualche riflessione, A. Jannarelli, Agricoltura sostenibile e nuova PAC:problemi e prospettive, cit., p. 38 ss.(122) In questa direzione politico-assiologica parrebbe andare la nuova programmazione agricola dell’unione, sulla quale, per i primiapprocci, i contributi proficui di A. Jannarelli, Agricoltura sostenibile e nuova PAC: problemi e prospettive, cit., p. 23 ss., 30 ss.; A.Albisinni, La nuova PAC e le competenze degli stati membri tra riforme annunciate e scelte praticate, cit., p. 43 ss.(123) C.A. graziani, Terra bene comune, in I diritti della terra e del mercato agroalimentare, cit., p. 150, al quale fa eco A. Jannarelli,Agricoltura sostenibile e nuova PAC: problemi e prospettive, cit., p. 28 s.(124) g. Capograssi, Agricoltura, diritto, proprietà, in Id., Opere, V, Milano, 1959, p. 273.(125) R. Esposito, Le persone e le cose, torino, 2014, passim.

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sione mondiale delle nazioni unite già dal lontano1987, alla cui stregua dovrà qualificarsi sostenibi-le126 «uno sviluppo in grado di assicurare il soddi-sfacimento dei bisogni della generazione presen-te senza compromettere la possibilità delle gene-razioni future di realizzare i propri». un insegna-mento che, per un verso, è idealmente collegatoa quanto sostenuto da giuseppe Capograssi127

nella straordinaria pagina della ‘unione delle trevite’: la vita dell'uomo singolo, delle collettivitàorganizzate e dell'intera umanità, con la vita stes-sa della terra come 'sistema vivente' e, per l’altro,si ricongiunge al noto pensiero di Jorge LuisBorges: «[l]a terra è un paradiso. L’inferno è nonaccorgersene».

ABSTRACT

Le vicende relative ai ‘titoli all’aiuto’ e alle ‘autoriz-zazioni viticole’ hanno suscitato, negli ultimi anni,notevoli questioni interpretative che originano,primariamente, dall’individuazione della loro natu-ra giuridica. Lo studio si propone di svolgere un’a-

nalisi ricostruttiva funzionale alla proposta che liriconduce alla figura (nota al diritto privato) dell’a-spettativa di diritto, indagandone le conseguenzecon riferimento alle rispettive possibili ipotesi ditrasferimento, inserendo la trattazione nelle com-plesse tensioni sottese al settore agronomico,collocato sul crinale tra agricoltura, ambiente,economia circolare e sviluppo sostenibile del ter-ritorio.

Events related to the “investment aid” and “autho-rizations for vine plantings” aroused, in recentyears, relevant issues of interpretation, which pri-marily originate from the identification of theirlegal nature. The study aims to carry out a func-tional reconstructive analysis to the proposal thatwhich leads them back to the shape (known toprivate law) of the right expectation, investigatingthe consequences with regard to the differentpossible transfer scenarios, looking to the topicwithin the complex tensions underlying the agro-nomic sector located on the ridge between agri-culture, environment, circular economy andsustainable development of the territory.

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(126) Ricacciando quella diffusa opinione che individua nella formula della ‘sviluppo sostenibile’ un ossimoro ed acquisire, al contrario, lapervicace consapevolezza che il futuro dovrà appartenere necessariamente ad esso, se l’umanità vorrà continuare a vivere sul pianetaterra, nel coniugare virtuosamente le politiche di food security e del climate change. Lo sottolinea con consueta efficacia A. Jannarelli,Agricoltura sostenibile e nuova PAC: problemi e prospettive, cit., p. 25 ss.(127) g. Capograssi, Agricoltura, diritto, proprietà, cit., p. 271 ss.: «[i]l problema è di unire le tre vite, la vita del singolo, la vita della comu-nità, la vita della terra: tutte e tre debbono unirsi come vita, non come sfruttamento o asservimento dell’uno all’altra»

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L’eccezionalismo agricolo all’atten-zione della giustizia amministrati-va: un atteso riscontro

Antonio Jannarelli

1.- Due decisioni preziose

La decisione del Consiglio di Stato 2 novembre2020 e la sentenza di prime cure del tar Lazio 6novembre 2019 si rivelano preziose in quantopermettono di evidenziare, a tacer d’altro, il ritar-do e le conseguenti distorsioni ermeneutiche concui, anche nel nostro paese, la cultura giuridicadelle corti e del ceto forense affronta le tematichegenerali della concorrenza e, al loro interno, lequestioni legate al particolare trattamento di favo-re riservato al settore agricolo: trattamento singo-lare che viene sinteticamente descritto in terminidi “eccezionalismo agricolo”1. Ai nostri fini, non si prendono in esame tutte lediverse questioni al centro della controversiaaffrontata dalle decisioni in epigrafe, in particolaredei motivi di ricorso su cui si sono pronunciati,con esiti opposti, il tar Lazio e, successivamente,il Consiglio di Stato. La presente riflessione inten-de concentrarsi sui soli motivi di ricorso chehanno fatto perno sulla disciplina europea dellaconcorrenza e che hanno portato le due corti aconclusioni diverse.La controversia al centro delle decisioni in epigra-fe, relativa al settore vitivinicolo, è emersa inoccasione della proposta di modifica di un disci-plinare, ossia di quel complesso di norme tecni-che che è alla base del riconoscimento di alcunispecifici segni distintivi per particolari prodotti

agricoli: segni distintivi che permettono, in misuradiversa, di dare rilievo sul mercato a qualità spe-cifiche di prodotti provenienti da ben individuatiterritori e di cui possono fruire tutti gli operatori ivipresenti, sempre che conformino la loro attivitàproduttiva al disciplinare che accompagna il sin-golo segno.E’ quasi inutile ricordare che per ragioni sia stori-che, sia legate alla ricca morfologia del territorioitaliano, il nostro paese beneficia, a livello euro-peo, di molti segni distintivi che assicurano ai pro-dotti agro-alimentari italiani un rilievo importanteanche sui mercati internazionali.

a) Prima di illustrare i termini specifici della con-troversia al centro delle decisioni che qui si com-mentano, è bene rammentare che, da moltidecenni, a livello della esperienza giuridica comu-nitaria, al fine di differenziare le produzioni agrico-le in termini qualitativi, nell’interesse sia dei pro-duttori, desiderosi di conseguire prezzi più alti, siadei consumatori, desiderosi di orientare al megliole proprie scelte di acquisto, la legislazione comu-nitaria, nell’ambito della politica agricola comune,ha introdotto, nei distinti comparti produttivi agri-coli, alcuni originali segni distintivi, che si aggiun-gono a quelli tradizionali propri delle singoleimprese (si pensi, in particolare, ai marchi, sianoessi individuali o collettivi) tutti ispirati a valorizza-re la qualità dei prodotti. Si tratta di segni distintivi finalizzati a comunicareai consumatori la presenza nel prodotto di origi-nali caratteri qualitativi dovuti al territorio di produ-zione delle materie prime ovvero alle particolarimodalità della loro trasformazione e lavorazionein grado di giustificare la loro conseguente diffe-renziazione rispetto agli altri prodotti agro-alimen-tari. Si tratta di segni tra loro diversi in quanto pre-suppongono la presenza di caratteristiche quali-

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(1) Sui questo tema ci permettiamo il rinvio al nostro recente saggio Il mercato agro-alimentare europeo, in Scaffardi e Zeno-Zencovich(a cura di), Cibo e diritto Una prospettiva comparata, Romatre-press 2020, 251ss; nonché in Diritto agroalimentare 2020.

Commenti e note

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tative distinte, con particolare riferimento alla pro-venienza territoriale delle materie prime impiega-te.A titolo esemplificativo, nel comparto vitivinicolo,che più da vicino qui interessa, la normativa haintrodotto, tra vari segni distintivi che qui nonmette conto richiamare, tanto il segno DOC, ossiadenominazione di origine controllata, quantoquello Igt, ossia indicazione geografia tipica. Ilriconoscimento dell’uno o dell'altro dipende dallapresenza di ben diversi requisiti dei prodotti coin-volti dai quali si evince, significativamente, undiverso grado di rilevanza della qualità.Il segno DOC mira a certificare la zona di originee ben delimitata della raccolta delle uve utilizzateper la produzione del prodotto le cui caratteristi-che sono connesse all'ambiente naturale ed a fat-tori umani e corrisponde all’applicazione di unospecifico disciplinare di produzione approvatocon decreto ministeriale.Il segno Igt si riferisce a prodotti vitivinicoli pursempre creati con uve determinate, ma apparte-nenti a un’area vasta, non necessariamentericonducibile a un territorio ristretto e che sonoottenuti mediante il rispetto di un disciplinaremeno restrittivo rispetto a quello richiesto per iprodotti DOC. Inoltre, nelle etichette dei vini Igt,a differenza di quelli DOC, non è necessario, dinorma, scrivere il vitigno di provenienza e tantomeno l’annata e il colore del vino; tuttavia le uvedevono provenire, per almeno l’85%, dalla zonageografica indicata e presentare le caratteristicheorganolettiche fissate nel disciplinare.Ai fini del riconoscimento di tali segni, la normati-va comunitaria ha previsto che l’iniziativa partadai produttori interessati che presentano appuntoal ministero dell’agricoltura una richiesta correda-ta da un dossier che evidenzia la sussistenza deirequisiti richiesti dalla disciplina e che comprendeanche un disciplinare contenente tutte le modalitàtecniche da osservare per la fruizione del segno.L’iniziativa, sulla quale decide il ministero con pro-prio decreto, a conclusione di un’articolata istrut-toria, vede coinvolto, nella maggior parte dei casi,quale promotore, un consorzio di operatori costi-tuito sia da imprenditori agricoli, ossia da produt-

tori di uve che provvedono anche alla loro trasfor-mazione in vino, sia da imprenditori commercialiche producono vino, avvalendosi di uve acquisitesul mercato.Salvo a ritornare successivamente sull’ osserva-zione circa la composizione delle strutture collet-tive che avviano la procedura per il riconoscimen-to di tali segni, è bene precisare che questi ultimicostituiscono “beni collettivi” di cui possono fruiretutti gli operatori interessati, sempre che abbianoi requisiti richiesti e rispettino il disciplinare di pro-duzione: segni, la cui sola gestione spetta al con-sorzio, legittimato, come tale, a promuovere sia latutela dello stesso, sia le procedure per la even-tuale revisione o correzione del disciplinare dasottoporre pur sempre all’approvazione delMinistero.Attualmente, la disciplina di base dei segni di ori-gine comunitaria ora richiamati è contenuta nelreg. 1308 del 2013 relativo all’organizzazioneunica dei mercati agricoli che ha sostituito l’artico-lata disciplina della Comunità europea edell’unione, disseminata, per decenni, nei diversiregolamenti adottati in attuazione della politicaagricola comunitaria di cui agli artt. 39 e ss deltrattato di Roma e, attualmente, del trattato difunzionamento dell’unione europea.

b) quanto alla disciplina della concorrenza. è suf-ficiente, al fine di valutare correttamente le duepronunce in epigrafe, rammentare che, nell’ espe-rienza europea, il quadro normativo introdotto apartire dal trattato di Roma ed ereditato da quellodell’unione europea non solo ha fatto da battistra-da rispetto alle normative nazionali, indirizzando-le nei contenuti da adottare, ma prevale, sul pianooperativo, sulle stesse regole antitrust nazionali,sempre che si sia in presenza di fenomeni ingrado di incidere negativamente sul mercatounico interno e non solo su quello nazionale.Sulla falsariga degli indici disciplinari già introdottialla fine dell’Ottocento negli Stati uniti, la discipli-na del trattato dell’unione attualmente vigente daun lato vieta, in linea di principio, gli accordi intesee pratiche tra operatori economici che alterano lalibera concorrenza (art.101 del trattato

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dell’unione), dall’altro reprime comportamentiabusivi posti in essere da parte di imprese chesono in posizione dominante sul mercato(art.102). non è qui il caso di richiamare la ricchissimaesperienza applicativa dell’art.101, che ha ripresosostanzialmente l’art.85 del trattato di Roma.Salvo a ritornare nel prosieguo sull’argomento,basta qui sottolineare che, secondo la giurispru-denza della Corte di giustizia, nel caso in cui unaccordo tra imprese lesivo della concorrenza siastato recepito in un atto governativo, in particolarein un decreto, resta pur sempre applicabile a sif-fatto accordo il divieto di cui all’art.101, dovendo-si, in definitiva distinguere tra la valutazione delcomportamento dei privati, soggetto alla discipli-na antitrust ai sensi dell’art.101, e quello dei sin-goli Stati in ordine al mancato rispetto deltrattato2.nell’ambito delle scelte di fondo già presenti neltrattato di Roma e tuttora vigenti, l’esperienzagiuridica europea ha peraltro inteso assicurare untrattamento privilegiato al settore agricolo, indivi-duato, come è noto, sulla base di una puntualeelencazione merceologica dei prodotti “agricoli”.In particolare, ai sensi dell’art.42 nel trattato, ladisciplina della concorrenza, applicabile a tutti isettori economici, non opera in linea di principioper il settore agricolo, ma può applicarsi solo neiprecisi limiti previsti dalle eventuali specifichedeterminazioni legislative adottate dal Consiglio. Sulla base di questo principio generale contenutonel trattato e, quale esito di una lunga evoluzionenormativa, il reg. 1308/2013, all’art.206 ha preci-sato che la disciplina sulla concorrenza di cui agliartt.101-106 del trattato dell’unione va applicataanche ai prodotti agricoli, fatto salvo pur semprequanto permesso dalle disposizioni contenute nelmedesimo regolamento generale sull’organizza-zione comune dei mercati dei prodotti agricoli:ossia le disposizioni che attualmente individuanoi contenuti puntuali della politica agricola comuneanche nel comparto vitivinicolo.

Inoltre, quale specifica deroga all’art.206 orarichiamato, il successivo art.209 del medesimoreg. 1308/2013, a proposito di accordi intese epratiche avendo ad oggetto prodotti agricoli, haaltresì precisato che, fermo restando in ogni casoil divieto di imporre l’osservanza di prezzi identiciovvero di escludere totalmente la concorrenza,l’art.101 del trattato non trova però applicazionein due specifiche ipotesi: a) quando tali accordi,intese e pratiche risultino “necessari per il conse-guimento degli obiettivi di cui all'arti colo 39tFuE”. ossia della PAC, quali che siano i prota-gonisti di siffatti accordi; b) ovvero quando prota-gonisti degli stessi siano soltanto “agricoltori,associazioni di agri coltori o associazioni di detteassociazioni, o di organizzazioni di pro duttori rico-nosciute in virtù dell'articolo 152 o dell'articolo161 del presente regolamento, o di associazionidi organizzazioni di produttori riconosciute in virtùdell'articolo 156 del medesimo regolamento 1308nella misura in cui riguardano la produzione o lavendita di prodotti agricoli o l'utilizzo di impianticomuni per lo stoccaggio, la manipolazione o latrasformazione di prodotti agricoli”, sempre che,in questa ipotesi, “non siano compromessi gliobiettivi di cui all'articolo 39 tFuE”. In definitiva, al di fuori delle espresse disposizionilegislative attuative della PAC, eventuali accordiintervenuti tra le imprese aventi ad oggetto pro-dotti agricoli sono soggetti al divieto di cuiall’art.101. con le sole deroghe contenute nelledue fattispecie ora richiamate, ossia quando taliaccordi risultino pur sempre strumentali al perse-guimento degli obiettivi della PAC contenuti nel-l’art.39: nel primo caso, in termini positivi circa laloro necessità ed inevitabilità ai fini del persegui-mento di tali obiettivi, nel secondo caso, in termininegativi, ossia di non pregiudizio per il rispettodell’art.39. E’ facile comprendere, in definitiva,che anche queste deroghe contenute nell’art.209circa l’applicazione dell’art.101 tFuE, qualinorme di chiusura, sono in linea con il primatodella PAC sulla disciplina della concorrenza, in

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(2) Sul punto si v. infra nel testo.

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quanto è sempre e solo il perseguimento degliobiettivi della prima a permettere legittimamente ilsacrifico della seconda3.

2.- Il caso di specie e le diverse risposte offertedalle due pronunce.

La vertenza è sorta in occasione dell’avvio delprocedimento a livello amministrativo diretto allamodifica dei disciplinari che riguardavano il vinoIgt “terre Siciliane” ed il vino DOC “Sicilia” in rife-rimento al nero D’Avola e al grillo. quanto alprimo, su richiesta avanzata dall’ Associazione divitivinicoltori della Igt “terre Siciliane”, si volevavietare per il futuro che nelle indicazioni contenu-te nell’etichettatura si specificasse il riferimento alvitigno nero D’avola e al vitigno grillo. Inoltre, inordine al disciplinare della DOC “Sicilia” la propo-sta modifica del disciplinare da parte dell’entelegittimato riguardava l’aumento delle rese massi-me per ettaro della produzione di nero d’Avola edi grillo. A fronte di queste iniziative, l’impresaricorrente, che si dichiarava pioniera nella produ-zione e commercializzazione dei vini con la deno-minazione Igt nero d’Avola, si doleva di talimodifiche. A suo dire, esse avrebbe comportato lasostanziale cessazione della propria attività diimpresa ovvero la conversione, con gravi costi edifficoltà, della produzione di vino nero d’Avola dacommercializzare con il segno Igt in DOC“Sicilia”, dovendo passare, in questo caso, alrispetto del nuovo più rigoroso disciplinare previ-sto per il vino DOC.nel contestare la legittimità degli atti sino ad allo-ra intervenuti nell’iter destinato alla definitivaapprovazione delle modifiche ai disciplinari,richiedendone l’annullamento, tale impresa avevapromosso dinanzi al tar Lazio un ricorso contro ilMinistero delle Politiche agricole alimentari e fore-stali e nei confronti, tra gli altri, siadell’Associazione Vitivinicoltori della Igt “terre

Siciliane” che aveva promosso la modifica deldisciplinare Igt, sia dell’Autorità garante dellaConcorrenza, la quale, pur costituitasi nel giudizioper il tramite dell’Avvocatura dello Stato, nonsvolse alcuna difesa propria.A fondamento delle sue doglianze la ricorrente

aveva lamentato numerose violazione di legge. Inparticolare, a base della illegittimità quanto allaproposta di modifica del disciplinare della DOC“Sicilia”, l’impresa ricorrente aveva prospettatoanche “la violazione dell’art.101 (ex art.81) deltFuE e dell’art.2 della legge 287/1990, sul pre-supposto che scopo delle modifiche ad entrambi idisciplinari sarebbe stato sostanzialmente quellodi “sopprimere una parte consistente della Igt avantaggio della DOC, aumentando il prezzo delprodotto senza però innalzarne la qualità” (così lanarrativa nella pronuncia del tar).A ben vedere, il richiamo alla violazione del-l’art.101 del tFuE, contenuta nel quarto motivodel ricorso, era strettamente legato al terzo moti-vo in cui, in definitiva, si censuravano per svia-mento di potere le determinazioni proposte pro-posito del segno Igt. Infatti, secondo la ricorren-te, le modifiche al disciplinare della Igt nonrispondevano ad esigenze interne alla stessa, infunzione del miglioramento della qualità del pro-dotto perseguito da tale segno distintivo. A suodire, erano finalizzate soltanto da ragioni com-merciali, al fine di tutelare meglio i produttori delnero d’Avola e del grillo: non a caso era stataprospettata anche la corrispondente modifica deldisciplinare della DOC “Sicilia” al fine di ottenereuna migliore valorizzazione della produzioneDOC. A conclusione della valutazione del terzo motivodi ricorso, esaminato dal tar Lazio congiuntamen-te al quarto, la pronuncia lo ha ritenuto fondato.Secondo il tar Lazio, la proposta di modifica dellaIgt circa il divieto di indicare nella etichetta i viti-gni grillo e nero d’Avola, lungi dal rispondere alloscopo di valorizzare in maniera autonoma tali pro-

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(3) Sul quadro disciplinare europeo relativo alla concorrenza, a seguito del reg. n.1308 del 2013, si rinvia al nostro, Profili giuridici delsistema agro- alimentare e agro-industriale. Soggetti e concorrenza2, Bari 2018.

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duzioni secondo il segno Igt, sarebbe stata rivol-ta semplicemente a ridimensionare la valenza disiffatto segno a tutto vantaggio della contestualevalorizzazione del segno DOC con effetti, in defi-nitiva anticoncorrenziali tra i diversi produttoricointeressati.una volta accolto il terzo motivo di ricorso su que-sta motivazione, la decisione ne ha fatto tesoronell’analizzare, sinteticamente, l’altra doglianza(la quarta) relativa alle modifiche del disciplinareriguardante il segno DOC basata sulla violazionedell’art.101 del tFuE in quanto nella specie sisarebbe posta in essere un’intesa restrittiva dellaconcorrenza: al riguardo, la pronuncia si è, infatti,limitata semplicemente a ritenerla fondata per lestesse ragioni per le quali era stato accolto il pre-cedente motivo di ricorso.A prescindere dalla valutazione nel merito circa laconclusione del tAR relativa al terzo motivo diricorso e, pur comprendendo, senza però in alcunmodo giustificarla, la meccanica pigra traslazionedell’argomentazione prospettata per tale motivodi ricorso al quarto che, autonomamente, erastato basato sulla violazione dell’art.101 deltFuE, la tranciante soluzione adottata dal tarLazio si rivela non solo del tutto insoddisfacente,quanto a motivazione, ma anche totalmente erra-ta in diritto.

a) In primo luogo, ed in termini generali, era deci-samente improponibile porre a fondamento di unricorso amministrativo per annullamento di prov-vedimenti amministrativi la violazione dell’art.101del tFuE. Infatti, questa disposizione deltrattato, peraltro di immediata operatività nei rap-porti orizzontali, vieta agli operatori economici diporre in essere accordi, intese e pratiche checompromettono la concorrenza. nel caso di specie, ammesso pure che si fosse inpresenza di siffatta ipotesi, oggetto della contro-versia sottoposta all’attenzione del tar Lazio nonera certo la validità di siffatti comportamenti,bensì la validità di provvedimenti amministrativiadottati dal Ministero dell’agricoltura sulla base dideterminazioni assunte da un consorzio compo-sto tra operatori economici coinvolti nella produ-

zione di vini, in parte imprenditori agricoli, in parteimprenditori commerciali. Come si è già in prece-denza rammentato, la giurisprudenza della cortedi giustizia in materia di concorrenza ha già inaltre occasioni chiarito che deve pur sempredistinguersi la valutazione degli atti posti in esse-re dai privati da quella dei provvedimenti ammini-strativi fondati sui medesimi. In particolare, la questione è stata affrontata nellasentenza del 3 dicembre 1987 nella causa C-136/86 in cui si verteva circa la contrarietà alladisciplina della concorrenza di cui all’art.85 (l’at-tuale art.101 tFuE) di un accordo avente adoggetto la fissazione di un limite alla produzionedi cognac e che era intervenuto tra vari operatorieconomici produttori di acquavite e commerciantifrancesi, presenti nel Bureau interprofessionneldu cognac; tale accordo era stato poi recepito,perché avesse efficacia erga omnes, da undecreto ministeriale secondo la specifica discipli-na dettata dal legislatore francese. Poiché si trat-tava di un prodotto (il cognac) non rientrante traquelli agricoli, alla controversia doveva applicarsi,senza alcun dubbio, la disciplina del trattato inmateria di concorrenza. In quella occasione, la Corte di giustizia precisòinnanzitutto che l’avvenuta adozione del decretoamministrativo di recepimento dell’intesa anticon-correnziale raggiunta da soggetti privati, sia pureall’interno di una struttura associativa, non potevaeliminarne l’antigiuridicità per violazione delladisciplina europea della concorrenza sollevatadalla Commissione. Al tempo stesso, la corte pre-cisò che la presenza del decreto amministrativointegrava, a sua volta, una autonoma violazionedel trattato, questa volta da parte dello Statoquale inadempimento allo stesso.Alla luce di tale precedente appare del tutto chia-ro che i provvedimenti amministrativi adottati dalMinistero, non sono certo soggetti, come tali,all’art.101 del tFuE, proprio in quanto non costi-tuiscono essi l’accordo o l’intesa cui si riferiscetale disposizione del trattato. Sicché, contraria-mente a quanto sostenuto dal tar Lazio, non èpossibile far valere direttamente la disciplinaeuropea della concorrenza dettata per vietare

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accordi tra i privati in violazione della disciplinadella concorrenza, perché si determini l’annulla-mento di un provvedimento amministrativo cheabbia recepito un’intesa anticoncorrenziale.

b) In secondo luogo, il tar Lazio ha del tutto igno-rato che, nella specie, si era di fronte a provvedi-menti riguardanti prodotti agricoli, in particolarevini DOC e Igt, da un lato soggetti ad una parti-colare disciplina giuridica di fonte europea conte-nuta nella PAC, peraltro richiamata in manierainadeguata negli stessi motivi di ricorso, dall’altrobeneficiari, in ogni caso, dello speciale trattamen-to quanto all’applicazione della disciplina antitrustsecondo l’art.42 del medesimo trattato tFuE.Sotto questo profilo, l’esclusivo, quanto direttoriferimento all’art.101 del tFuE, passivamenterecepito dalla pronuncia del tar Lazio sulla basedel discutibile motivo avanzato dal ricorrente, sirivela doppiamente errato non solo sulla basedella considerazione svolta sub a), ossia perchéè stato applicato direttamente ai provvedimentiamministrativi, ma anche per una altra ragione.Infatti, il tar Lazio ha clamorosamente ignoratoche, trattandosi di un prodotto agricolo, bisogna-va comunque affrontare la questione circa la pre-sunta violazione della disciplina antitrust sullabase del trattamento di favore che in siffattamateria il trattato ha riservato al settore agricoloe, dunque, in ogni caso, bisognava partire dall’analisi del trattamento di favore destinato ai pro-dotti agricoli e solo in caso di scrutinio con esitonegativo circa la osservanza di siffatta di taledisciplina si sarebbe potuto chiamare in causa ladisciplina generale di cui all’art.101 tFuE, siapure filtrata per il tramite sempre dell’art.209tFuE.

3.- La decisione del Consiglio di Stato

Prima di entrare nel merito della soluzione accoltadal Consiglio di Stato con riferimento alla questio-ne relativa all’applicazione al caso di specie delladisciplina della concorrenza, non può non farsiun’osservazione di ordine preliminare che attiene

all’effettiva operatività nella concreta esperienzagiurisprudenziale del principio fondamentale “iuranovit curia”. nel caso di specie, infatti, è difficilenegare che la soluzione accolta dal Consiglio diStato e che ha ribaltato la decisione del tar Laziosia stata il frutto anche di una corretta individua-zione del quadro giuridico da applicare nella spe-cifica controversia, favorita dalla cooperazioneassicurata dai ricorsi degli appellanti che hannoposto al centro della controversia l’effettiva con-creta disciplina da applicare.Senza qui analizzare partitamente tutte le rispo-ste che il Consiglio di Stato ha fornito a fronte deimotivi avanzati dagli appellanti, mette contoanche qui concentrarsi, sinteticamente, sul temarelativo all’applicazione al caso di specie delladisciplina della concorrenza di cui all’art.101tFuE che era stato positivamente risolto dal tARLazio nei termini sopra analizzati. Ebbene, sullo specifico punto, il fondamentalesegnale di fondo in ordine alla difformità dellamotivazione offerta dal Consiglio di Stato rispettoa quella del tar si rinviene nella effettiva centralitàche nella analisi del supremo collegio è stataassicurata alla lettura della disciplina europea inmateria di prodotti agricoli, in particolare dei vinicui deve conformarsi quella nazionale. La diversa impostazione presente nella motiva-zione del Consiglio di Stato ben si coglie in duesue fondamentali passaggi. a) In primo luogo, emerge la differente valutazio-ne della funzione che sono chiamati a svolgere isegni distintivi adottati a livello europeo in terminidi DOC e di Igt.A ben vedere, infatti, la decisione del tar, purfacendo leva, sia pure in termini astratti, sullatutela della qualità dei prodotti, ha considerato isegni Igt e DOC, nella preminente, sia pure nonesclusiva, prospettiva dei tradizionali segni chia-mati a differenziare i prodotti nei rapporti concor-renziali tra gli imprenditori coinvolti: di qui, l’imme-diato forte rilievo assegnato al profilo concorren-ziale nella stessa valutazione circa le motivazionie gli effetti che sarebbero stati alla base tantodella modifica del disciplinare dei vini Igt, quantodi quella relativa al disciplina dei vini DOC.

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Orbene, già sotto questo profilo, è possibile evi-denziare la diversa impostazione presente nelladecisione del Consiglio di Stato. Sulla scorta diuna più attenta lettura delle concrete funzioniassegnate dalla disciplina europea a siffatti segnidistintivi, il Consiglio ha ritenuto che tale disciplinaha certamente messo a disposizione dei produt-tori strumenti destinati a permettere la differenzia-zione dei prodotti e dunque anche quella dei prez-zi, ma, ha inteso offrire informazioni precise quan-to univoche ai consumatori in ordine alla diversa“qualità” comunicata dall’utilizzazione di siffattisegni. E’ bastata questa più compiuta e corretta letturadella disciplina di fonte comunitaria relativa ai vini,perché il Consiglio di Stato ridimensionasse, nellacorretta lettura giuridica della controversia, il ruoloesponenziale che era stato assegnato al conflittoconcorrenziale nell’originario ricorso e che il tarLazio aveva fatto proprio. Ciò, a ben vedere, aveva indotto il tar Lazio adinterpretare la controversia facendo perno sullasimmetrica modifica del disciplinare previsto per ilVino Igt “terre siciliane”, da attuarsi tramite l’eli-minazione della indicazione in etichetta dei vitigninero d’Avola e grillo, e del disciplinare relativo alvino DOC “Sicilia”, sì da dedurne che si era difronte ad un conflitto puramente di natura concor-renziale.non a caso il Consiglio ha fatto riferimento espli-cito al preambolo del reg. n.1308 del 2013 proprioal fine di evidenziare innanzitutto che “lo scopodella normativa comunitaria in materia è quello dipreservare le particolari caratteristiche di qualitàdei vini e non quello, se non indiretto, di persegui-re finalità concorrenziali dei prodotti sul mercatointernazionale”. Sotto questo profilo, il verificato rispetto delladisciplina comunitaria e di quella nazionale nelleproposte relative alle modifiche ai disciplinari haportato il Consiglio di Stato a ribaltare il decisumtar Lazio, con particolare riferimento al terzomotivo di ricorso che in precedenza il tar Lazioaveva accolto. Il Consiglio di Stato ha considerato le modifichedei due disciplinari in linea con la normativa euro-

pea e quella nazionale, in quanto orientate pursempre a promuovere la tutela della qualità deiprodotti vitivinicoli.

b) In secondo luogo, con specifico riferimento alladoglianza avverso la decisione del tar Lazio chein origine aveva accolto il ricorso per violazionedell’art.101 tFuE e dell’art.2 della l. n.287/1990,il Consiglio di Stato ha fatto proprie le argomenta-zioni critiche avverso tale soluzione fornite dagliappellanti: argomentazioni secondo le quali talidisposizioni non avrebbero potuto in ogni casoinvocarsi proprio in ragione del trattamento gene-rale di favore, in termini di eccezionalismo agrico-lo, che gli artt. 42 e 43 tFuE hanno assicurato alsettore agricolo e che si concretizza nella discipli-na legislativa attuativa della PAC in cui ricadeanche quella dettata per il settore vitivinicolo,nella specie, per il tramite delle norme relativeanche ai segni distintivi dei prodotti agricoli.A questo riguardo, pur ponendosi sul medesimoterreno della decisione del tar Lazio che, assaidiscutibilmente, non aveva tenuto conto che laquestione da decidere riguardava pur sempre lalegittimità di provvedimenti amministrativi e noncerto la validità ex art.101 del tFuE di inteseintervenute tra soggetti privati, il Consiglio diStato, quanto al richiamo alla disciplina della con-correnza, ha colto correttamente i termini giuridicidella controversia, e, più in generale, ha eviden-ziato la sola corretta prospettiva in cui devonoaffrontarsi le problematiche riguardanti i mercatidei prodotti agricoli nell’esperienza giuridica euro-pea.Infatti, per la prima volta, il Consiglio di Stato,facendo perno sulle norme primarie contenute neltFuE, ha riconosciuto che “la concorrenza delmercato non è l’obiettivo primario della politicaagricola comune (PAC), se non come effetto dellatutela della qualità dei prodotti e della informazio-ne adeguata e trasparente del consumatore”.non può dimenticarsi che questa conclusione bensi rinviene in un consolidato orientamento dellaCorte di giustizia che, assai di recente, è statoribadito nella decisione del caso indivia con lapronuncia della grande Corte 14 novembre 2017

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nella causa 671/20154. Il che certamente nontoglie rilievo alla convinta adesione a questo indi-rizzo manifestata dal Consiglio di Stato nella pro-nuncia del 2 novembre 2020. Si è di fronte infattidi una vera e propria “scoperta” posta in essereda parte della nostra suprema autorità ammini-strativa che induce a sperare da un lato che essaporti ad ulteriori fruttuose applicazioni nell’espe-rienza giuridica italiana, dall’altro che ne facciainnanzitutto tesoro la nostra autorità garante dellaconcorrenza, tradizionalmente poco disponibile amisurarsi con le problematiche del settore agrico-lo e con il paradigma dell’eccezionalismo agricoloche proprio in materia di concorrenza contraddi-stingue l’esperienza giuridica dell’unione euro-pea, come, del resto, si evidenzia nella stessasostanziale inerzia processuale tenutadall’Autorità nel corso dei giudizi qui analizzati,sebbene sia stata chiamata a parteciparvi.

ABSTRACT

Il testo contiene un commento a due pronuncedella giustizia amministrativa intervenute a propo-sito di una medesima controversia riguardantealcuni provvedimenti amministrativi adottati per lamodifica dei disciplinari di due segni IGT e DOC

Le sentenze

Denominazioni di origine dei vini – DOP e IGP– Modifica dei disciplinari di produzione –Disciplina della concorrenza – Specialità delleregole del mercato agricolo

tar Lazio, Sez. II-ter, 6 novembre 2019, n. 12756/2019.S.p.A. xxx c/ Mipaaf e altri.

relativi ad alcuni vini siciliani. In particolare, essosi sofferma sulle questioni legate all’applicazionedella disciplina anticoncorrenziale, e pone in evi-denza l’importanza della soluzione finale adottatadal Consiglio di Stato che, per la prima volta, hariconosciuto apertamente il trattamento specialeche il Trattato dell’Unione ha riservato al settoreagricolo, in termini di “eccezionalismo agricolo”,attraverso il primato della politica agricola comu-nitaria sulle regole generali della concorrenza.

The paper comments two decisions of administra-tive judges, the Tribunale AmministrativoRegionale del Lazio (Administrative Court of firstinstance) and the Consiglio di Stato (AppellateAdministrative Court) that decided the petitionsconcerning a dispute on administrative measuresadopted for the modification of the specificationsof two PGI and PDO of some Sicilian wines. Inparticular, it focuses on issues related to the appli-cation of the competition rules, and highlights theimportance of the final solution adopted by theCouncil of State which, for the first time, openlyrecognized the special treatment that the EUTreaty has reserved to the agricultural sector, interms of “agricultural exceptionalism”, through theprimacy of the Common Agriculture Policy overthe general rules of competition.

La proposta di modifica del disciplinare relativo al segnoIGT “Terre siciliane”, contenente il divieto di indicare inetichetta i vitigni Nero D’Avola e di Grillo è illegittima, persviamento di potere, avendo finalità esclusivamentecommerciali e non di promozione della qualità del pro-dotto.

La proposta di modifica del disciplinare relativo al vinoDOC “Sicilia”, con la revisione delle rese di prodotto adettaro, intervenuta contestualmente a quella relativa al

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(4) Su questa pronuncia si v. ex multis i nostri saggi Il caso “Indivia” alla Corte di giustizia (Atto primo: le conclusioni dell’avv. generale tradiritto regolatorio europeo e diritto privato comune), in Riv. Dir. Agr. 2017, 2, 366 ss; nonché, Dal caso 'indivia' al regolamento omnibusn.2393 del 13 dicembre 2017: le istituzioni europee 'à la guerre' tra la PAC e la concorrenza?, in Diritto agroalimentare 2018, 109 ss.

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segno IGT “Terre Siciliane” integra la presenza di unaintesa anticoncorrenziale ai sensi dell’art.101 TFUE.

DIRIttO… 5. Venendo al merito del ricorso, esso è in parte fondatoe va pertanto accolto nei limiti che si diranno.…10. Con il terzo motivo, parte ricorrente sostiene che visarebbe stato uno sviamento rispetto alla finalità genera-le di ogni denominazione protetta e ciò troverebbe con-ferma nella parallela modifica del nero d’Avola DOC pro-posta dal Consorzio, in cui si afferma che “l’istanza dimodifica è volta a valorizzare esclusivamente comeDOC il nero d’Avola e il grillo”. La modifica all’Igt nongioverebbe dunque all’Igt, ma alla DOC.La sua finalità non sarebbe quella di valorizzare l’Igt,ma di deprivarla del nero d’Avola e del grillo, e quindidel 50% del suo valore, a favore e a vantaggio esclusivodella DOC.La modifica proposta determina l’effetto di “elevare” aDOC una cospicua parte della Igt (i due vitigni in discor-so). tuttavia, a tal fine, ai sensi dell’art. 8 del D.lvo 61/10,comma 2, sarebbe stata necessaria la rappresentativitàdel 35% dei viticoltori interessati e che rappresentinoalmeno il 35% della produzione dell’area interessata; eavrebbe dovuto essere espressamente esaminata dalComitato. Inoltre, tale modifica avrebbe dovuto essereespressa ed esplicita in tal senso.Il motivo deve essere esaminato congiuntamente alquarto, con cui parte ricorrente denuncia illegittimitàdegli atti impugnati per violazione dell’art. 101 (ex art.81) del tFuE e dell’art. 2 della Legge 287/1990, che vie-tano agli operatori economici di porre in essere inteserestrittive della concorrenza all’interno degli Stati Membridell’unione Europea.Sempre nel quarto motivo di ricorso, parte ricorrente, perquanto riguarda la modifica del disciplinare DOC, rilevache il divieto di intese restrittive della concorrenza rendo-no illegittime sia le proposte in tema di “rese ad ettaro”(art. 4), delle quali il Comitato Vini non si è occupato eche sono state improvvidamente approvate, sia le modi-fiche proposte in tema di “resa di uva in vino”, (art. 5),che il Comitato Vini aveva bocciato ma che sono state,ciò nonostante, approvate dal ministero (senza alcunamotivazione sul punto: di qui anche il vizio di motivazioneinesistente su un punto controverso dell’istruttoria).Entrambi i motivi sono fondati nei limiti che si diranno.10.1. Appare evidente dalla contemporanea approvazio-ne delle modifiche del disciplinare IgP terre siciliane eDOC Sicilia, l’intendimento – peraltro dichiarato - di pro-muovere una politica commerciale volta a consentire lacommercializzazione dei vitigni grillo e nero D’Avola

solo come DOC e non più con l’indicazione della deno-minazione del vitigno in etichetta come IgP.Se è vero infatti che, come sottolineato dalla controinte-ressata, nulla vieta che un vino a Igt terre siciliane siavinificato da uve nero d’avola o da uve grillo, è tuttaviaevidente che la modifica in contestazione ha portato avietare l’indicazione in etichetta di un vino a Igt terresiciliane delle varietà grillo e nero d’avola, con evidentieffetti negativi sulla commercializzazione delle produzio-ni in questione.Dunque, l’unico modo per il ricorrente per continuare aprodurre vino che rechi in etichetta l’indicazione dei pre-stigiosi vitigni sarebbe quello di adeguarsi al disciplinareDOC.…10.2. Appare opportuno rapidamente richiamare la nor-mativa europea e nazionale rilevante in materia.Ai sensi dell’art. 118 septvicies del Reg. CE 1234 del2007 (ora abrogato dall’art. 230 del Regolamento del17/12/2013 - n. 1308, ma riprodotto dall’art. 190 delregolamento n. 108 del 2013), che reca “indicazionifacoltative” nell’etichetta dei vini IgP e DOC: “1.L’etichettatura e la presentazione dei prodotti di cui all’ar-ticolo 118 sexvicies, paragrafo 1, possono contenere, inparticolare, le seguenti indicazioni facoltative:a) l’annata;b) il nome di una o più varietà di uve da vino;c) (…)”.Il comma 9 del d.lgs. n. 61 del 2010 prevede: “9. I vini adenominazioni di origine e i vini a indicazione geograficapossono utilizzare in etichettatura nomi di vitigni o lorosinonimi, menzioni tradizionali, riferimenti a particolaritecniche di vinificazione e qualificazioni specifiche delprodotto.” Il comma 11 prosegue dicendo: “Le specifica-zioni, menzioni e indicazioni di cui al presente articolo,fatta eccezione per la menzione vigna, devono essereespressamente previste negli specifici disciplinari di pro-duzione, nell'ambito dei quali possono essere regola-mentate le ulteriori condizioni di utilizzazione, nonchéparametri maggiormente restrittivi rispetto a quanto indi-cato nel presente articolo.”Dunque, la normativa sia uE che nazionale consente dinorma l’indicazione del nome del vitigno in etichetta,mance se rimette ai disciplinari la disciplina di tali profili.Il DM 13 agosto 2012, all’allegato 2, prevede una “Listadei nomi delle varietà di vite e loro sinonimi, costituite ocontenenti una DOP o IgP, che possono figurare in eti-chettatura dei vini DOP e IgP italiani, in conformitàall’art. 62, par. 3 del regolamento (Art. 6, comma 2, deldecreto).tra essi si riscontra il nero d’Avola. Il grillo vene inveceindicato all’allegato 3, recante “Elenco varietà di vite, oloro sinonimi, da escludere per l’etichettatura e la pre-sentazione dei vini che non hanno una DOP O IgP (Art.

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7, comma 1, lett. c, del decreto)”, come “Vitigno autocto-no italiano strettamente connesso a DOP e IgP delleRegioni Puglia e Sicilia.L’art. 5 del D. lgs. n. 61/10 e art. 30 della Legge n.238/2016, espressamente consentono la coesistenza diuna Igt e di una DOC sullo stesso territorio, come è nelcaso di specie, ove il territorio delle due denominazionicoincida e siano protetti sia il nero d’Avola DOC Siciliasia il nero d’Avola Igt terre Siciliane.L’art. 105 del Regolamento CE 1308 del 2013, inoltre,prevede: “Ogni richiedente che soddisfi le condizioni pre-viste all'articolo 95 può chiedere l'approvazione di unamodifica del disciplinare di una denominazione di origineprotetta o di un'indicazione geografica protetta, in parti-colare per tener conto dell'evoluzione delle conoscenzescientifiche e tecniche o per rivedere la delimitazionedella zona geografica di cui all'articolo 94, paragrafo 2,secondo comma, lettera d). La domanda descrive lemodifiche che ne costituiscono l'oggetto e illustra le rela-tive motivazioni.”La finalità della modifica del disciplinare in questione nonappare rispondente a quelle indicate, sia pure esemplifi-camene, dal sopra citato articolo.Resta da chiedersi se, tra le ulteriori possibili finalità dellemodifiche ammesse dal Regolamento, sia consentitaanche una modifica del disciplinare incidente sulla eti-chettatura a meri fini di politica commerciale, per valoriz-zare due vitigni sotto l’aspetto commerciale e dell’imma-gine, mediante riserva del loro utilizzo in etichettaturacon la DOC “Sicilia” del corrispondente territorio.Sul punto, appare rilevante la sentenza della Corte digiustizia uE, nella sentenza 20.5.2003 n. 108 (caso pro-sciutto di Parma DOP), al paragrafo 63, ha rilevato che:“Occorre rilevare che la normativa comunitaria manifestauna tendenza generale alla valorizzazione della qualitàdei prodotti nell'ambito della politica agricola comune, alfine di promuoverne la reputazione grazie, in particolare,all'uso di denominazioni di origine oggetto di una tutelaparticolare (v. sentenza Belgio/Spagna, cit., punto 53).tale tendenza si è concretata nel settore dei vini di qua-lità con l'adozione del regolamento (CEE) del Consiglio16 marzo 1987, n. 823, che stabilisce disposizioni parti-colari per i vini di qualità prodotti in regioni determinate…, abrogato e sostituito dal regolamento (CE) delConsiglio 17 maggio 1999, n. 1493, relativo all'organiz-zazione comune del mercato vitivinicolo … Essa si èmanifestata anche, relativamente ad altri prodotti agrico-li, con l'adozione del regolamento n. 2081/92, il quale,alla luce dei suoi considerando, mira in particolare a sod-disfare l'attesa dei consumatori in materia di prodotti diqualità e di un'origine geografica certa nonché a facilitareil conseguimento da parte dei produttori, in condizioni di

concorrenza uguali, di migliori redditi in contropartita diuno sforzo qualitativo reale.”Pur trattandosi di un obiter, questa pronuncia enuclea lefinalità della disciplina di protezione dei prodotti alimen-tari, tra cui la possibilità per i produttori di avere unamaggiore remunerazione economica a fronte dei proprisforzi di garantire una produzione di qualità, ma in con-dizioni comunque di parità.10.3. In questo quadro, il terzo motivo di ricorso deveritenersi fondato, laddove denuncia uno sviamento delfine della modifica proposta, in quanto essa non è voltaa valorizzare la produzione di vini grillo e nero d’avolacome IgP (anzi ne determina un evidente svilimento) masolo come DOC. Invece, il disciplinare, e le relative modi-fiche, devono avere per fine la valorizzazione e la tuteladei prodotti della propria denominazione, tanto è veroche il decreto ministeriale all’art. 2 del DM 7 novembre2012 prevede, per le domande di modifica, che i propo-nenti debbano agire nell’interesse della stessa (“purchérappresentanti gli interessi della relativa denominazio-ne”).Va in primo luogo chiarito che la modifica del disciplinareIgP terre siciliane non ha carattere di autonomia giac-ché essa trova la sua ragione solo nella concomitantemodifica del disciplinare “Sicilia DOC”. Si tratta evidente-mente di un’azione congiunta, volta sì a valorizzare i viti-gni nero d’Avola e grillo, ma solo come DOC, a discapitodella loro commercializzazione come IgP, essendo vie-tata l’indicazione del nome del vitigno.Ancorché formalmente la modifica non faccia venir menola protezione IgP per questi vitigni, potendo essi comun-que essere utilizzati e venduti come IgP terre siciliane,il divieto di menzionare il loro nome in etichetta avràcome necessaria conseguenza lo spostamento dellaproduzione dall’IgP al DOC (giacché sarebbe assoluta-mente antieconomico usare tali vini nella produzione IgPsenza poterli indicare in etichetta) , cosicché - in sostan-za – la modifica, anche se riguarda la sola etichetta, avràcome effetto che detti vini saranno commercializzati conil loro nome solo come DOC. nello stesso tempo, all’IgPderiverà uno svantaggio considerevole in termini compe-titivi, posto che il nero d’Avola e il grillo costituisconouna rilevante parte della produzione IgP. …Dunque è fondato il profilo di doglianza di sviamento. 10.4. L’illegittimità di tutta l’operazione commerciale inesame risulta poi confermata, sempre con riferimento alprofilo dell’eccesso di potere per sviamento, perché con-testualmente alla valorizzazione solo come DOC dei viti-gni in esame, è stata anche approvata una modifica deldisciplinare DOC, volta ad aumentare le “rese ad ettaro”(art. 4) e la “resa di uva in vino”, (art. 5). Poiché il DOC ècaratterizzato normalmente ad una resa ad ettaro e di

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uva in vino minore dell’IgP, tale modifica appare finalizza-ta allo scopo di rendere il più possibile simili le caratteri-stiche del nero d’avola e grillo IgP (non più commercia-bili con detto nome) con quelle dei medesimi vini DOC. …10.8. Con il quarto motivo, parte ricorrente denuncia unaintesa restrittiva della concorrenza e la violazione del-l’art. 101 del trattato. Il motivo è fondato.La previsione solo per i vitigni nero D’avola e grillo (a dif-ferenza di quanto avviene per tutti gli altri vitigni) di undivieto di indicazione in etichetta pregiudica in modo rile-vante le potenzialità commerciali dei produttori di viniIgP, come parte ricorrenti, limitandone la libertà di con-correre con i propri prodotto nel mercato del settore IgP.Si tratta dunque di una misura anticoncorrenziale, chenon trova giustificazione in rilevanti motivi di interessepubblico ma solo in ragioni di politica commerciale, voltia favorire la produzione DOC. La censura pertanto deveessere accolta. …

P.q.M.Il tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio(Sezione Seconda ter), definitivamente pronunciandosul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie inparte, nei sensi di cui alla motivazione…

* * * * * *Consiglio di Stato, Sez. III, 2 novembre 2020, n.6745/2020. Cons. tutela DOC Sicilia (Avv.ti F. Albisinni-S.Amorosino), Ass. Viticoltori IGT Terre Siciliane (Avv.ti C.Merani, A. Cortassa, D. Cortassa) c/ S.p.A. xxx e altri.

La proposta di modifica del disciplinare relativo al segnoIGT “Terre siciliane”, con il conseguente divieto di indica-zione in etichetta dei vitigni Nero d’Avole e di Grillo, èconforme alla disciplina comunitaria e nazionale la cui ratioè quella di preservare le particolari caratteristiche di qualitàdei vini e non quella, se non indirettamente, di favorire ilconfronto e la libertà di concorrenza tra produttori.

Ai sensi dell’art. 42 e 43 del TFUE, intese ed accordi traoperatori economici aventi ad oggetto segni distintivi deivini, posti in essere in conformità alla disciplina comuni-taria attuativa della PAC e alla disciplina nazionale, sfug-gono all’applicazione delle regole sulla concorrenza dicui all’art. 101 TFUE, in quanto la concorrenza del mer-cato non è l’obiettivo primario della politica agricolacomune (PAC), se non come effetto della tutela dellaqualità dei prodotti e della informazione adeguata e tra-sparente del consumatore.

DIRIttO

1. - Preliminarmente, va disposta la riunione del ricorso

n.r.g. 423/2020 agli altri due già riuniti, ai sensi dell’art.96, comma 1, c.p.a., in quanto proposto avverso la stes-sa sentenza.2. - gli appelli meritano accoglimento. …5. - Dall’esame del quadro normativo sinteticamente cosìriassunto, emerge chiaramente come gli acronimi DOC eIgt non individuano un marchio, poiché si tratta di deno-minazioni comuni ad una varietà di prodotti; si tratta,invece, di denominazioni utilizzate in enologia per certifi-care la zona di origine della raccolta delle uve utilizzateper la produzione del prodotto sul quale è poi apposto ilmarchio del produttore.gli acronimi designano entrambi un prodotto di qualità,per la cui produzione deve essere rispettato uno specifi-co disciplinare di produzione approvato con decretoministeriale.La collocazione di un vino tra gli Igt o i DOC è dovutaessenzialmente a scelte commerciali dei viticultori e pro-duttori.Il disciplinare Igt è meno restrittivo rispetto al disciplina-re DOC. … Le caratteristiche del prodotto DOC sono strettamenteconnesse all'ambiente naturale ed ai fattori umani e tradi-zionali dell’ambito geografico; per i prodotti Igt è rilevan-te il solo collegamento con la zona geografica di produ-zione, collegamento preponderante ma non necessaria-mente esclusivo, potendo essere utilizzate in piccolaparte (15%) anche uve di altra provenienza geografica (equesto consente anche di sperimentare nuovi tipi di uvag-gi, grazie proprio alla maggior libertà di azione). Diversaè poi la previsione di resa per ettaro e di resa uva/vino,vale a dire che è consentito un maggiore sfruttamentointensivo dei vigneti rivendicati a produzione Igt.Dunque, i disciplinari DOC e Igt prevedono diversi livellidi “identità” dei vini, determinati essenzialmente dalladiversa percentuale e qualità di vitigni autoctoni utilizzatiper la produzione e dal carattere più o meno delimitato eben individuato e/o ristretto della zona geografica di pro-duzione delle uve, caratteristiche che fanno sì che i viniDOC risultino più specificamente correlati alle caratteri-stiche uniche del territorio, superiori in qualità e più rino-mati proprio in ragione del carattere pregiato dei vitigniutilizzati e della loro stretta caratterizzazione geografica.L’ambiente di derivazione del DOC unisce condizioninaturali, come il clima e i vitigni tradizionali della zona, afattori umani, come le tecniche di produzione e trasfor-mazione tipiche e tradizionali, che conferiscono ancheuna qualità sensoriale specifica al prodotto, legata inmodo precipuo al territorio; tanto che solo per i DOC èprevisto un controllo della qualità organolettica e nei casidi abbondante produzione, tali controlli sono sistematicie non “a campione” (è il caso del DOC “SICILIA”).

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La denominazione di origine controllata, che risale inItalia al decreto legge del 12 luglio 1963, n. 930, in defi-nitiva, ha inteso, sin dall’origine, attraverso una rigidadisciplina di individuazione delle caratteristiche di produ-zione, assistita da adeguati strumenti di vigilanza e rela-tive sanzioni, promuovere e proteggere la maggiore qua-lità dei prodotti vinicoli in relazione all’origine da zone diproduzione particolarmente vocate, per condizioniambientali, a dar vita a prodotti “esclusivi”, anche sotto ilprofilo delle caratteristiche sensoriali.tali sintetiche considerazioni rendono chiare le ragioni,ampiamente messe in evidenza dal Ministero nella notadirigenziale di conclusione del procedimento, oltre chedalle appellanti nelle Relazioni socio-economiche allega-te alla domanda di modifica dei disciplinari, per cui lamodifica del disciplinare dell’Igt “terre siciliane”, preclu-dendo l’indicazione dei vitigni nero d’Avola e grillo, difatto solo in parte utilizzati per la produzione Igt, com-porterà la valorizzazione sotto l’aspetto qualitativo equantitativo dei detti vitigni tipici della regione siciliana,che sarà possibile indicare solo nella produzione DOC,la sola che, a seguito della modifica del disciplinaredell’Igt, potrà fregiarsi della indicazione in etichetta delnome dei detti vitigni.tutto ciò, ad avviso del Collegio, a tutela non solo dellacompetitività in campo commerciale dei detti vitigni, maa tutela, tra l’altro, del consumatore, specie del consu-matore meno accorto, che potrà così non essere tratto ininganno dalla indicazione “nero d’Avola” e “grillo” tantonell’etichetta dei vini Igt che dei vini DOC (come avve-niva prima della modifica), nonostante i relativi protocollidi produzione seguiti siano diversi, nell’uno e nell’altrocaso, in ordine alla provenienza esclusiva o meno deivitigni dalla zona geografica, al tipo di controlli eseguiti,circa l’intensità di sfruttamento dei vigneti e delle uveprodotte.Il consumatore, dopo la modifica dei disciplinari e delleetichettature, dovrebbe potenzialmente essere in condi-zione di compiere le proprie scelte più consapevolmente.…7.2. - Il Collegio ritiene fondato il motivo di appello.Lo scopo della normativa comunitaria in materia è, comechiaramente esposto nel preambolo del regolamento uE1308/2013 sopra riportato sinteticamente (par. 92 e 93),quello di preservare le particolari caratteristiche di qualitàdei vini e non quello, se non indiretto, di perseguire fina-lità concorrenziali dei prodotti sul mercato internazionale.A tale scopo, gli Stati membri vengono autorizzati adapplicare norme anche più rigorose di quelle dettate alivello europeo (par. 94).già l’art. 70 del Reg. n. 607/2009 disponeva (con dispo-sizione ripresa dall’art. 58 par. 1 del vigente Reg.2019/33) che “1. Per i vini a denominazione di origine

protetta o indicazione geografica protetta prodotti sul loroterritorio, gli Stati membri possono rendere obbligatorie,proibire o limitare l’uso delle indicazioni di cui agli articoli61, 62 e da 64 a 67 mediante l’inserimento di condizionipiù rigorose di quelle stabilite dal presente capo neldisciplinare di produzione dei vini di cui trattasi.”.L’art. 62 del Reg. n. 607/2009 (con disposizione ripresadall’art. 50 del vigente Reg. 2019/33) fa riferimento alle“varietà di uve da vino” ed alle condizioni di impiego dellestesse in etichetta.Il Regolamento uE 1308/2013, come si è visto, consentesia per il DOC che per l’Igt, facoltativamente, l’indicazio-ne in etichetta del nome di una o più varietà di uve davino (art. 120). In via più rigorosa, la norma nazionale(art. 31, comma 13, della L. 238/2016) prevede, appunto,che per i vini a DO e Ig, l’uso dei nomi di vitigno possaessere regolamentato negli specifici disciplinari di produ-zione anche con condizioni e parametri più restrittivirispetto a quanto generalmente previsto dal comma 11dello stesso articolo.Dunque, la modifica richiesta al disciplinare di produzio-ne dei vini IgP “terre Siciliane”, riguardante il divieto diutilizzare in etichetta i soli nomi dei vitigni, grillo,Calabrese e sinonimi (nero d’Avola), è pienamente legit-tima, in quanto consentita dalla norma interna più restrit-tiva di cui all’art. 31, comma 13, L.238/2016 richiamata.né dal testo della norma, né dalla sua ratio è desumibilequanto asserisce l’appellata, e cioè che una volta previ-sta dal disciplinare l’indicazione del vitigno non possaessere successivamente vietata.Operazione questa, per altro, già verificatasi per altreproduzioni vitivinicole regionali: è il caso (noto come il“PROgEttO PInOt gRIgIO”) di ben otto disciplinariIgP delle regioni Friuli Venezia giulia e Veneto e dellaprovincia autonoma di trento, in cui la filiera produttivaha optato per analoga scelta di valorizzazione di un viti-gno, escludendone l’indicazione in etichetta Igt, nono-stante fosse precedentemente consentita, e le modifichesono già state approvate anche a livello comunitario, conRegolamento di esecuzione (uE)2020/1064 dellaCommissione del 13/07/2020.7.3. - Va precisato, peraltro, che non sussiste il vulnusalla libertà di impresa lamentato dall’appellata: il discipli-nare Igt non vieta in assoluto di specificare nell’etichet-tatura i nomi dei vitigni (è possibile, al contrario, specifi-care fino a quattro vitigni, purché il vino sia ottenutoalmeno per l’85% dal corrispondente vitigno e così inordine decrescente fino al limite del 15%), ma escludesolo i nomi dei detti vitigni grillo e nero d’Avola, riservatialla produzione secondo il più incisivo disciplinare DOC.Lo scopo dichiaratamente perseguito è quello ricono-sciuto dal Regolamento uE di valorizzazione dei prodottiagro-alimentari di qualità, a tutela sia dei produttori, sia

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dei consumatori.L’esclusione dell’utilizzo in etichetta dell’Igt del nomedel vitigno nero d’Avola e grillo ha come finalità quella dipreservare ed elevare la qualità del vino prodotto con talivitigni, “le cui peculiarità qualitative, quantitative e di mer-cato sono la base del valore storico-produttivo ed econo-mico della vitivinicoltura siciliana, valorizzandolo esclusi-vamente come DOC” (cfr. Relazione socio–economicaallegata alla modifica del disciplinare DOC SICILIA, pag.6). …7.5. - non è condivisibile quanto afferma la sentenza diprimo grado circa il carattere anticoncorrenziale dellamodifica del disciplinare IgP che risponderebbe solo a“ragioni di politica commerciale, volta a consentire lacommercializzazione dei vitigni grillo e nero d’Avolasolo come DOC” (punto 10.1 della sentenza).La domanda che si pone il primo giudice, se sia consen-tito in sede di modifica del disciplinare IgP limitare soloper alcuni vitigni più pregiati la possibilità della loro indi-cazione in etichetta, non può che ricevere risposta affer-mativa.Come si è visto, la normativa europea e nazionale richia-mate lo consentono e, secondo le considerazioni giàsvolte dal Collegio in premessa (punto 5.), la ratio delladisciplina in materia è quella di preservare le particolaricaratteristiche di qualità dei vini, e non quella, se nonindirettamente, di favorire il confronto e la libertà concor-renziale tra produttori.7.6. - nessun effetto anticoncorrenziale, intesa restrittivadella concorrenza e violazione dell’art. 101 del trattatoistitutivo della Comunità europea discende dalla modificadel Disciplinare Igt.Va rilevato, infatti, che rientra nella libera scelta dei pro-duttori di aderire all’uno o all’altro disciplinare di produ-zione, essendo in Italia i vigneti contemporaneamenteiscritti allo schedario viticolo ai fini della produzione siadei vini DOC che dei vini Igt della zona di riferimento. …9.3. - Anche la censura concernente la violazione e falsaapplicazione degli artt. 42, 43, 101 tFEu, e dell’art. 2della L. n. 287/1990 è fondata. La sentenza appellata, secondo il Consorzio DOC appel-lante, ha ritenuto erroneamente sussistere una intesarestrittiva della concorrenza e la violazione dell’art. 101del trattato istitutivo della Comunità europea in materiadi concorrenza ai danni dei produttori di vini Igt.L’esclusione della indicazione dei vitigni nero d’Avola egrillo dall’etichetta dei vini Igt terre siciliane integrereb-be, secondo il tAR, “una misura anticoncorrenziale chenon trova giustificazione in rilevanti motivi di interessepubblico, ma solo in ragioni di politica commerciale, voltia favorire la produzione DOC.”.9.4. - Ad avviso del Collegio, la sentenza di primo gradonon tiene conto delle disposizioni di cui agli artt. 42 e 43

del tFuE, che escludono la diretta ed immediata appli-cazione alla produzione ed al commercio di prodotti agri-coli delle regole di concorrenza, se non nella misuradeterminata dal Parlamento europeo e dal Consiglio, nelquadro delle disposizioni e conformemente alla procedu-ra di cui all'articolo 43 del trattato, avuto riguardo agliobiettivi enunciati nell'articolo 39 (art. 42 paragrafo 2).L’art. 43, par. 2, tFuE precisa: “Il Parlamento europeo eil Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativaordinaria e previa consultazione del Comitato economicoe sociale, stabiliscono l'organizzazione comune dei mer-cati agricoli.”Per il vino, come per gli altri prodotti agricoli, dunque, ledisposizioni di cui all’art. 101 tFuE sono applicabili solonella misura risultante dall’Organizzazione comune deimercati agricoli, quale approvata dal ParlamentoEuropeo e dal Consiglio.Specificamente, il Regolamento uE 1308/2013, che recale norme in materia di organizzazione comune del mer-cato agricolo, come si è già detto, persegue dichiarata-mente e principalmente una politica di qualità dei prodottialimentari, tra cui il vino, inquadrabile negli obiettivi di cuiall’art. 39 del trattato (cfr. preambolo del Regolamento(uE) n. 1308/2013).Anzi, il Regolamento auspica nel settore vitivinicolo l’isti-tuzione di “misure di sostegno che rafforzino le strutturecompetitive” (paragrafo 43), “l’incentivazione all’impiantodi nuovi vigneti nella prospettiva di un aumento delladomanda a livello di mercato mondiale”, “l’obiettivo diaumentare la competitività del settore vinicolodell’unione in modo da non perdere quote di mercatoglobale” (paragrafo 55) e, nell’ottica della politica di qua-lità, ritiene opportuna la previsione di norme di commer-cializzazione diversificate per prodotto o settore (para-grafo 65), “per tenere conto delle aspettative dei consu-matori e migliorare le condizioni economiche della pro-duzione e commercializzazione, nonché la qualità dideterminati prodotti agricoli e adeguarsi alla costanteevoluzione delle condizioni del mercato e della domandadei consumatori” (paragrafo 70).Lo scopo dell’applicazione di norme di commercializza-zione settoriali è quello di garantire l’agevole approvvi-gionamento del mercato con prodotti di qualità normaliz-zata e soddisfacente ed è importante che le normeriguardino in particolare la definizione tecnica, le classifi-cazioni, la presentazione, la marchiatura e l’etichettatu-ra, il condizionamento, il metodo di produzione, la con-servazione, etc. (paragrafo 71).Infine, dato l’interesse dei produttori a comunicare lecaratteristiche dei prodotti e della produzione e l’interes-se dei consumatori a ricevere informazioni adeguate etrasparenti sui prodotti, è opportuno per il Legislatoreeuropeo che sia possibile stabilire il luogo di produzione

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e/o il luogo di origine, caso per caso, al livello geograficoadeguato, tenendo conto delle peculiarità di determinatisettori, soprattutto nel caso di prodotti agricoli trasformati(paragrafo 72).A ben vedere, dunque, la concorrenza del mercato nonè l’obiettivo primario della politica agricola comune(PAC), se non come effetto della tutela della qualità deiprodotti e della informazione adeguata e trasparente del

consumatore. …P.q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezioneterza), definitivamente pronunciando sugli appelli, comein epigrafe proposto, dispone preliminarmente la riunio-ne del ricorso n.r.g. 423/2020 agli altri due ricorsi già riu-niti, ai sensi dell’art. 96, comma 1, c.p.a.; li accoglie e,per l'effetto, dichiara legittimi gli atti impugnati.

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La Corte di giustizia e l’origine deiprodotti alimentari: un’irrisoltaincertezza

Ferdinando Albisinni

1.- Una risalente incertezza

Alcune recenti decisioni della Corte di giustiziahanno riportato l’attenzione sui temi legati all’indi-cazione di origine dei prodotti alimentari.Il tema è di rilevante1 e risalente interesse2, ed havisto più volte negli ultimi decenni interventi legi-slativi, amministrativi e giurisdizionali, in sedeeuropea e nazionale.Interventi al cui interno non è agevole individuareuna linea condivisa, e che talvolta sono staticaratterizzati dall’insorgere di espliciti conflitti trale istituzioni europee.Va detto che nel corso dei decenni laCommissione Europea, pur con il mutare dellacomposizione geografica dell’unione e degli stes-si orientamenti politico-istituzionali in esito all’a-desione di numerosi nuovi Stati membri, ha sem-pre seguito una linea intesa a privilegiare la c.d.

“qualità materiale”, ed ha più volte espresso neipropri documenti la tesi secondo la quale l’originedei prodotti avrebbe rilievo solo se accompagnatada elementi materiali specificamente legati aquella certa zona di origine, dovendosi intendere– in mancanza di tali elementi materiali e docu-mentabili – ogni indicazione di origine comesuscettibile di indurre in errore il consumatore,attribuendo al prodotto qualità che non sonopeculiari ed esclusive di quel certo luogo.tale tesi, espressa nell’Annual Report del 1999, èstata confermata anche nei successivi rapportiannuali, nei quali la Commissione ha costante-mente insistito sul riconoscimento esclusivo dellac.d. “qualità materiale o qualità intrinseca” deiprodotti agricoli ed alimentari, con conseguentevalutazione di illegittimità di sistemi nazionali disegni distintivi, che si limitino in ipotesi a segnala-re al consumatore il legame con un dato territoriodi origine3.Ad avviso della Commissione, l’eventuale ricono-scimento di una denominazione nazionale di qua-lità legata all’origine sarebbe incompatibile con ildiritto comunitario, perché configurerebbe «unaviolazione delle norme in tema di concorrenza, inquanto il marchio ed il segno di cui trattasi posso-no favorire i prodotti nazionali a scapito dei pro-dotti provenienti da altri Stati membri»4.La Commissione, insomma, a chiare lettere ha

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(1) Come ha sottolineato ancora di recente in q. Riv. L. Costato, L’origine conta: nell’alimentare e in agricoltura, www.rivistadirittoalimen-tare.it n. 1-2020, 1.(2) Sulle risalenti controversie in tema di indicazione di origine sull’etichetta dei prodotti alimentari, sia consentito rinviare a F. Albisinni,L’origine dei prodotti alimentari nell’etichetta, in Trattato breve di diritto agrario italiano e comunitario, dir. da L. Costato, III ed., Cedam, 2003,p. 639 ss.; Id., I prodotti alimentari: la costruzione dell’origine, in “Etichette, origine e informazioni al consumatore” a cura dell’Accademiadei georgofili, Firenze, 2011, p. 87-117; e da ultimo Id., Strumentario di diritto alimentare europeo, Wolters Kluwer – utet, 4^ ed., 2020, Cap.XII, p. 343 ss., “L’origine dei prodotti agricoli e alimentari”. Per un’ampia rilettura critica della vicenda disciplinare v. di recente in q. Riv. R.Franco, L’etichettatura dei prodotti alimentari: il ‘luogo di provenienza’, il ‘paese d’origine’, la ‘sede dello stabilimento di produzione’, la ‘sededello stabilimento di confezionamento’. L’anagramma di un problema senza fine?, in www.rivistadirittoalimentare.it n. 4-2019, p. 27 ss.(3) Commissione europea, XVII Annual Report on monitoring the application of Community law, Bruxelles, COM (1999) 301 final, al doc. 2.13,Agriculture, 2.13.1, Free movement of agricultural products, ove si legge: «A quality description or quality label should not be reserved for pro-ducts from a particular geographical entity but should be based exclusively on the intrinsic characteristics of the products. That being the case,any national quality label or description should, pursuant to articles 12 and 34 of the EC Treaty, as of right be accessible to any potentialCommunity producer or user whose products meet the objective and verifiable criteria mentioned.». La Commissione ha espresso posizionianaloghe nei rapporti annuali, sia precedenti che successivi. In argomento Cfr. S. Ventura, I limiti giuridici delle denominazioni di qualità, inter-vento al Convegno di “I prodotti tipici”, Bologna, 10 settembre 1999; Id., Principi di diritto dell’alimentazione, Franco Angeli ed., Milano, 2001.(4) Così si è espressa la Commissione nella comunicazione inviata nel settembre 1998 al governo italiano, nella quale formulava osservazionie censure sull’art. 7 del D.Lgs. 30 aprile 1998, n. 173, che prevedeva l’istituzione di un «marchio identificativo della produzione nazionale».

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(5) In argomento v. La qualità e le qualità dei prodotti alimentari tra regole e mercato, a cura di R. Saija – P. Fabbio, Wolters Kluwer –Cedam, 2020, ove sono pubblicate le relazioni discusse durante il Convegno dell’AIDA tenutosi presso l’università di Reggio Calabria nel2017. Si v. in particolare in tale volume, per analisi secondo differenziate prospettive delle questioni discusse in queste note: M. giuffrida,Declinazioni della qualità alimentare nelle regole europee, 13; P. Borghi, qualità alimentare e controlli, 84; R. Saija, Informazione alimen-tare e qualità, 133; F. Aversano, Sulla disciplina dei materiali e degli oggetti destinati al contatto alimentare, 162; S. Masini, La filiera agroa-limentare e il Made in Italy, 191; F. Albisinni, Le declinazioni della qualità agroalimentare. Regole e prospettive, 207.(6) In argomento v., per tutti, S. Masini, La filiera agroalimentare, cit.(7) Cfr. M. Holle, Globalisation of Innovation – (Re-)localisation of Food Law?, in Aida-Ifla (ed.), Innovation in Agri-Food Law betweenTechnology and Comparison, Wolters Kluwer – Cedam, 2019, ove sono pubblicate le relazioni discusse durante il Convegno dell’AIDAtenutosi presso l’università di trento nel 2018.(8) E’ il notissimo Regolamento (uE) n. 1169/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura diinformazioni sugli alimenti ai consumatori; in argomento v. le relazioni presentate nel Convegno EFLA-AIDA di Milano del 2011, pubbli-cate in q. Riv. www.rivistadirittoalimentare.it n. 2-2011, con contributi di A. Artom, S. Ferrari, D. Rossi, M. Abis, F. Albisinni, D. gorny, L.Di Via, V. Rodriguez Fuentes, P. Borghi.(9) V. infra par. 2.(10) Sicché, come ha ben sottolineato S. Masini, La filiera agroalimentare, cit., a p. 204: “nella materia resta, ancora, da dipanare un’at-tività di invenzione, da parte dell’interprete, destinata a mettere a fuoco i risultati di un lavoro consistente nel cercare e trovare soluzioniadeguate ad uno dei temi più complessi posti dalla dimensione globale degli scambi”.

più volte negato all’origine territoriale dei prodottiin quanto tale una connotazione spendibile nelsenso dell’indicazione di peculiari qualità immate-riali dei prodotti agricoli ed alimentari5.Per converso, già a partire dagli anni di fine e ini-zio secolo, fra il XX ed il XXI secolo, in non casua-le sintonia con il crescere dei processi di globaliz-zazione nell’approvvigionamento dei prodotti agri-coli ed alimentari, numerosi Stati membri hannoadottato con crescente frequenza normativenazionali per l’indicazione di origine dei prodottinazionali (dal made in Italy6, al made in France, almade in Poland, per ricordare solo alcuni esem-pi).ne sono seguite ripetute contestazioni dellaCommissione Europea, che ha sempre espressoposizioni di contrasto a tali iniziative nazionali, inciò sostenuta dalle analisi di chi ha parlato di ten-tativi di Re-Nationalisation of Food Law7.All’interno di questo confronto di posizioni, la que-stione prevalentemente discussa è stata quella,soprarichiamata, della legittimità o meno di indi-cazioni nazionali di origine.E’ rimasto in qualche misura sullo sfondo il tema,ad esso logicamente e sistematicamente preordi-nato, dell’individuazione dei canoni in forza deiquali determinare l’origine dei prodotti alimentari,trasformati e non trasformati.Il quadro disciplinare generale ha trovato undichiarato assetto nel Regolamento (uE) n.

1169/20118. Eppure, proprio in questo ultimodecennio, successivo all’adozione di tale regola-mento, l’irrisolto conflitto sulle regole di comunica-zione dell’origine, sugli elementi che impongonola dichiarazione di origine, sugli stessi contenuti epresupposti che individuano l’origine, si è accen-tuato ed appare lungi dal trovare una propria defi-nizione, come posto in evidenza dal vivace con-fronto sulla legittimità o meno di una dichiarazio-ne di origine “UE – non UE”, prevista da alcuniregolamenti di esecuzione della CommissioneEuropea9.Da ciò risalenti incertezze, perduranti pur doponumerose pronunce della Corte di giustizia,dell’Autorità anti-trust e dei giudici nazionali, piùvolte intervenuti su questi temi; e ripetuti episodidi conflitto fra istituzioni europee e nazionali10.

2.- Due regolamenti di esecuzione dellaCommissione Europea

Esemplari in proposito alcuni recenti regolamentidi esecuzione, che hanno visto l’emergere di con-flitti fra Parlamento e Commissione, proprio sui cri-teri disciplinari ed applicativi idonei a consentirel’individuazione dell’origine dei prodotti alimentari.Come è noto, il Regolamento (uE) n. 1169/2011,innovando rispetto alle precedenti direttive sull’e-tichettatura dei prodotti alimentari, ha introdotto

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espresse definizioni di Paese di origine11 e Luogodi provenienza12.Si tratta peraltro di definizioni generali, che nonesauriscono le possibili casistiche concrete.Da ciò l’esigenza di affiancare, al regolamentogenerale sulle informazioni sugli alimenti ai con-sumatori, specifici regolamenti relativi ad alcunefiliere produttive o ad alcune tipologie di prodotti.Esigenza a cui il regolamento generale ha intesodare risposta delegando la Commissione ad adot-tare regolamenti delegati o di esecuzione13.tali atti della Commissione, adottati negli annisuccessivi (talvolta con grande ritardo, rispetto aitermini previsti dal Regolamento (uE) n.1169/2011, a conferma del perdurante vivaceconfronto fra le diverse posizioni in argomento),hanno spesso contributo a rendere – se possibile– più incerto il quadro disciplinare.Due esempi sono in proposito illuminanti.

2.a) Il Regolamento (UE) n. 1337/2013 sull’eti-chettatura delle carni diverse dalle carni bovine

Il Regolamento (uE) n. 1169/2011 stabilisce, fral’altro, l’obbligatorietà dell’indicazione del paesedi origine o del luogo di provenienza per le carnifresche, refrigerate o congelate di animali dellaspecie suina, ovina, caprina e di volatili, ed affidaalla Commissione il compito di adottareRegolamenti di esecuzione a tal fine14. nel dicem-bre del 2013 la Commissione ha adottato unRegolamento di esecuzione in materia, n.1337/201315, ma non ha esteso a tali carni le rigo-rose prescrizioni in tema di origine dettate datempo per la carne bovina (sicché ad esempio per

la carne suina il nuovo regolamento prevede in eti-chetta l’indicazione del solo paese in cui l’animaleè stato allevato negli ultimi quattro mesi, senzache debba essere indicato il paese di nascita od ipaesi ove si sono svolte precedenti fasi di alleva-mento; e per i volatili l’indicazione del solo paesein cui si è svolto l’ultimo mese di allevamento)16, edin particolare per le carni macinate od in pezzi haammesso l’utilizzazione in etichetta della generale(e generica) indicazione: «Origine: UE» oppure«Origine: non UE» o «Origine: UE e non UE»17.tali disposizioni sono state criticate da alcunicommentatori, i quali hanno sottolineato che lamancata indicazione del paese di nascita e di tuttii paesi di allevamento, nonché la generica indica-zione di origine «UE» per la carne macinata,apparivano non coerenti con le finalità di traspa-renza nella comunicazione perseguite dalRegolamento n. 1169/2011, e che l’indicazionedell’intera uE come origine della carne macinataappariva inadeguata a prevenire l’insorgere dinuove crisi di mercato, quale quella conseguenteal rinvenimento di carne di cavallo nei prodotticontenenti carne macinata; crisi che aveva avutoorigine appunto dall’utilizzazione di carne maci-nata proveniente da taluni Stati membri.Il Parlamento europeo, facendo proprie tali osser-vazioni critiche, nel gennaio 2014 ha adottato unasevera risoluzione, richiamando espressamente«i recenti scandali alimentari, ivi inclusa la fraudo-lenta sostituzione di carne di manzo con carne dicavallo»; ha dichiarato che il Regolamento di ese-cuzione adottato dalla Commissione non rispetta-va i vincoli imposti dal Regolamento n.1169/2011; ed ha quindi concluso: «1. ritiene cheil regolamento di esecuzione della Commissione

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(11) V. l’art. 2.3. del Reg. n. 1169/2011, che rinvia al Reg. (CE) n. 2913/82, Codice doganale comunitario, oggi sostituito dal Codice doga-nale dell’Unione Europea, Reg. (uE) 9 ottobre 2013, n. 952/2013.(12) V. l’art. 2.2. lett. g) del reg. n. 1169/2011.(13) V. artt. 9 e 26 del Reg. n. 1169/2011.(14) Art. 26.2. del Reg. n. 1169/2011.(15) Regolamento di esecuzione della Commissione (Eu), n. 1337/2013, 13 dicembre 2013, che fissa le modalità di applicazione del rego-lamento (uE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’indicazione del paese di origine o del luogo diprovenienza delle carni fresche, refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili.(16) Art. 5 del Reg. n. 1337/2013.(17) Art. 7 del Reg. n. 1337/2013.

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ecceda le competenze di esecuzione conferitealla medesima a norma del regolamento (UE) n.1169/2011;2. invita la Commissione a ritirare il regolamentodi esecuzione;3. chiede alla Commissione di redigere una ver-sione riveduta del regolamento di esecuzione,che preveda l'indicazione obbligatoria sull'etichet-ta del luogo di nascita nonché dei luoghi di alleva-mento e di macellazione dell'animale per le carninon trasformate di animali della specie suina,ovina, caprina e di volatili, in conformità della legi-slazione vigente in materia di etichettatura di ori-gine delle carni bovine;4. invita la Commissione a sopprimere le derogheal regolamento di esecuzione previste per le carnimacinate e le rifilature;»18.La Commissione ha totalmente respinto la risolu-zione del Parlamento, osservando: «The optionadvocated by the Parliament resolution (i.e. themandatory indication of place of birth) wouldnecessitate strengthening the animal labellingsystem for swine, sheep, goats and poultry. Thiswould incur disproportionate costs for animal rea-ders and national administrations. … The exemp-tion for minced meat provided for in the adoptedImplementing Regulation is justified by the natureof the product and the associated productionsystem, which uses meat from a variety of originsmuch more frequently than other types of meat.»;ed ha aggiunto, quale considerazione finale econclusiva, che la proposta della Commissioneera stata approvata dal Comitato permanente perla catena alimentare e la salute degli animali19 con

il voto favorevole di una maggioranza compostadai rappresentanti di 23 Stati membri su 28, peral-tro senza specificare quali fossero gli Stati favore-voli e quelli contrari20.Il Regolamento esecutivo della Commissionesull’etichettatura di origine di carni diverse dallacarne bovina è dunque entrato in applicazione dal1 aprile 201521, nonostante il parere contrarioespresso dal Parlamento.ne è risultata l’adozione di regole di origine per lecarni di pollame, di maiali, ovine e caprine, diverseda tutte quelle sino all’epoca vigenti, siccomediverse non solo da quelle di cui alla carne bovinama anche da quelle previste in generale per lecarni dalla precedente disciplina orizzontale, nellamisura in cui il Reg. n. 1337/2013 dichiara origina-ria di un solo paese la carne di un animale che siastato allevato in più paesi e che abbia trascorsonel paese indicato soltanto l’ultimo periodo di alle-vamento, laddove il Codice doganale comunitariodefiniva come originaria di un solo paese la carnedi animali interamente allevati in quel paese22.Insomma: le nuove regole introdotte da questoregolamento di esecuzione, ispirate ad una logicadi eccezione per singoli prodotti, non hanno certofacilitato la costruzione di una categoria uniformee sistematicamente orientata di origine.

2.b) Il Regolamento (UE) 2018/775 sull’indicazio-ne di origine degli ingredienti

Analoghe criticità sono emerse in prosieguo conun altro regolamento di esecuzione della

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(18) Risoluzione del Parlamento Europeo del 6 febbraio 2014, P7_tA(2014)0096.(19) Di cui all’art. 58.1. del Reg. n. 178/2002.(20) Replica della Commissione Europea del 15 aprile 2014, B7-0087/2014 / P7_tA-PROV(2014)0096.(21) Atteso il parere favorevole espresso dalla maggioranza degli Stati membri, ex Reg. (uE) n. 182/2011 del Parlamento Europeo e delConsiglio.(22) Il Reg. n. 2913/1992, Codice Doganale Comunitario, all’art. 23 disponeva: “1. Sono originarie di un paese le merci interamente ottenutein tale paese. 2. Per merci interamente ottenute in un paese si intendono: a) i prodotti minerali estratti in tale paese; b) i prodotti del regnovegetale ivi raccolti; c) gli animali vivi, ivi nati ed allevati; d) i prodotti che provengono da animali vivi, ivi allevati;” sicché ai sensi di questoRegolamento, non si poteva certo considerare come originaria di un solo paese la carne di maiali allevati in quel paese solo per gli ultimi quat-tro mesi, o di voltatili allegati in quel paese solo per l’ultimo mese. Anche il vigente Codice Doganale dell’Unione Europea, Regolamento (uE)del Parlamento e del Consiglio, 9 ottobre 2013, n. 952/2013, che ha sostituito il testo del 1992, all’art. 60 dispone: “1. Le merci interamenteottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio.”, adottando un criterio che privilegia come canonedi origine del prodotto quello di essere interamente ottenuto in un unico paese; criterio ben diverso da quello di cui al Reg. n. 1337/2013.

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Commissione: quello relativo all’indicazione in eti-chetta del paese di origine o del luogo di prove-nienza dell’ingrediente primario di un alimento.L’art. 26 del Regolamento (uE) n. 1169/2011 pre-vede al par. 3:«3. Quando il paese d’origine o il luogo di prove-nienza di un alimento è indicato e non è lo stessodi quello del suo ingrediente primario:a) è indicato anche il paese d’origine o il luogo diprovenienza di tale ingrediente primario; oppureb) il paese d’origine o il luogo di provenienza del-l’ingrediente primario è indicato come diverso daquello dell’alimento.»,ed affida l’attuazione di tale disposizione ad atti diesecuzione, che la Commissione era chiamata adadottare entro il 31 dicembre 201323.tale termine del 31 dicembre 2013 è inutilmentedecorso, senza che la Commissione abbia adot-tato il previsto regolamento di esecuzione.Il Parlamento Europeo, preso atto dell’inutiledecorso dei termini fissati, con una risoluzione del12 maggio 201624, ha richiamato la Commis-sionea dare applicazione a tutte le disposizioni delRegolamento n. 1169/2011, ivi incluse quelle rela-tive alla «indicazione obbligatoria del paese d’ori-gine o del luogo di provenienza di taluni alimenti»,concludendo: «rinnova l’invito alla Commissionead adempiere all’obbligo giuridico di adottare,entro il 13 dicembre 2013, gli atti di esecuzionenecessari alla corretta applicazione dell’articolo26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n.1169/2011 affinché le autorità nazionali possanocomminare le corrispondenti sanzioni;»25.Sollecitata dal Parlamento, la Commissione il 4gennaio 2018 (oltre quattro anni dopo la scaden-za del termine fissato dal Regolamento n.

1169/2011) ha presentato una proposta di regola-mento sull’indicazione dell’origine dell’ingredienteprimario26.Il 28 maggio 2018 è stato infine adottato ilRegolamento 2018/775 della Commissione,avente ad oggetto appunto l’indicazione dell’origi-ne dell’ingrediente primario27, in applicazione dal1 aprile 202028.Si tratta di un provvedimento, che dovrebbe limi-tarsi a dare esecuzione a quanto disposto dalRegolamento del Parlamento e del Consiglio n.1169/2011, ma che sotto molti profili opera scelteed introduce disposizioni, che appaiono in contra-sto con il regolamento generale (che pure costi-tuisce la fonte del potere di regolazione attribuitoalla Commissione, e che come tale doveva, edeve, essere rigorosamente rispettato).Come già ricordato, l’art. 26.3. del Regolamenton. 1169/2011 prevede l’indicazione in etichetta delpaese di origine o luogo di provenienza dell’ingre-diente primario quando è diverso dal paese di ori-gine o luogo di provenienza dichiarato per l’ali-mento finale.L’art. 2 del medesimo Regolamento n. 1169/2011,rubricato “Definizioni”, recita: «1. Ai fini del pre-sente regolamento si applicano le definizioniseguenti». Sembra dunque pacifico che, anche aifini di cui all’art. 26 del regolamento debbanoessere applicate le definizioni di cui all’art. 2 delregolamento, e così fra le altre le definizioni intema di luogo di provenienza e paese di origine.Il Regolamento della Commissione 2018/775,invece, all’art. 2, pur utilizzando in rubrica la for-mula “Indicazione del paese di origine o luogo diprovenienza dell’ingrediente primario”, alla letteraa) del medesimo articolo fa riferimento ad «una

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(23) V. par. 8 dell’art. 16 del citato Reg. n. 1169/2011.(24) Risoluzione del Parlamento europeo del 12 maggio 2016 sull'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienzadi taluni alimenti (2016/2583(RSP)).(25) Così il punto 32 della citata Risoluzione del Parlamento Europeo del 2016.(26) Brussels, SAntE/11425/2016 (POOL/E1/2016/11425/11425-En.doc).(27) Regolamento di Esecuzione (uE) 2018/775 della Commissione del 28 maggio 2018, recante modalità di applicazione dell’articolo26, paragrafo 3, del Regolamento (uE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni suglialimenti ai consumatori, per quanto riguarda le norme sull’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente pri-mario di un alimento.(28) Art. 4 del Reg. 2018/775.

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delle seguenti zone geografiche», e dunque adun criterio e ad una definizione diversi da quellispecificamente indicati dal Regolamento n.1169/2011.L’art. 2 introduce poi una serie di riferimenti perquesta nuova definizione di zona geografica29

(assente – giova ripeterlo – nel Regolamento n.1169/2011, che ha conferito la delega allaCommissione); riferimenti diversi da quelli diluogo di provenienza e paese di origine definiti nelregolamento generale del Parlamento e delConsiglioCosì, ai sensi dell’art. 2.a.i) del regolamento diesecuzione, la zona geografica che va indicataper l’ingrediente primario, viene identificata anzi-tutto in «UE», «non UE» o «UE e non UE», valea dire con un criterio che non corrisponde né alPaese di origine (country nella versione inglese,termine che identifica uno Stato membro) né alLuogo di provenienza (place nella versione ingle-se, che sta a designare un luogo specificato).A questa scelta di un criterio generale (quellodella zona geografica), che appare del tutto diver-so da quelli fissati dal Regolamento n. 1169/2011,seguono ulteriori scelte disciplinari, che appaiono

incoerenti, oltre che con il regolamento orizzonta-le n. 1169/2011, anche con i regolamenti verticalidi settore.Il Regolamento n. 2018/775 della Commissioneprevede infatti la possibile scelta alternativa(oppure – or nel testo inglese) fra criteri che l’or-dinamento non considera alternativi. Le normati-ve verticali di settore impongono per certi prodottiun preciso canone di origine, non sostituibile conaltri: così per frutta e vegetali il paese di raccolta,e per il pesce l’area di pesca. Sulla base di quanto previsto dal regolamento diesecuzione, invece, risulterebbe lecito semplice-mente indicare come origine dell’ingrediente«UE» o «non-UE» oppure ancora «UE e non-UE», senza rispettare le specifiche regole di origi-ne del pesce, della frutta e verdura30, o di altri pro-dotti che costituiscano ingredienti di prodotti com-posti31.Entrambi questi due recenti regolamenti di esecu-zione (sull’etichettatura di carni diverse da quellabovina, e sull’indicazione dell’ingrediente prima-rio) hanno dunque confermato la perdurante irri-solta incertezza sui canoni di individuazione e dicomunicazione dell’origine dei prodotti alimentari.

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(29) Recita l’art. 2 del Reg. 2018/775: «L’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza di un ingrediente primario, che nonè lo stesso paese d’origine o luogo di provenienza indicato per l’alimento, viene fornita:a) con riferimento a una delle seguenti zone geografiche:i) «uE», «non uE» o «uE e non uE»; oii) una regione o qualsiasi altra zona geografica all’interno di diversi Stati membri o di paesi terzi, se definita tale in forza del diritto inter-nazionale pubblico o ben chiara per il consumatore medio normalmente informato; oiii) la zona di pesca FAO, o il mare o il corpo idrico di acqua dolce se definiti tali in forza del diritto internazionale o ben chiari per il con-sumatore medio normalmente informato; oiv) uno o più Stati membri o paesi terzi; ov) una regione o qualsiasi altra zona geografica all’interno di uno Stato membro o di un paese terzo, ben chiara per il consumatore medionormalmente informato; ovi) il paese d’origine o il luogo di provenienza, conformemente alle specifiche disposizioni dell’unione applicabili agli ingredienti primariin quanto tali;b) oppure attraverso una dicitura del seguente tenore: «(nome dell’ingrediente primario) non proviene/non provengono da (paese d’ori-gine o luogo di provenienza dell’alimento)» o una formulazione che possa avere lo stesso significato per il consumatore.». (30) V. l’art. 113-bis del Regolamento (CE) del Consiglio, n. 1234/2007, del 22 ottobre 2007, recante organizzazione comune dei mercatiagricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM); ed attualmente l’art. 76 del vigente Regolamento(uE) del Parlamento Europeo e del Consiglio, n. 1308/2013, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei pro-dotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio. Perun commento al citato art. 113-bis v. F. Albisinni, Commento agli artt. 113-121 del reg. (CE) 1234/2007, in “Commentario al regolamento(CE) n.1234/2007”, a cura di L. Costato, in Riv. dir. agr., 2008, 1.(31) Si v. l’art. 2 sopracitato del Reg. 2018/775, che alla lettera a) punto VI) assegna alle “specifiche disposizioni dell’Unione applicabiliagli ingredienti primari in quanto tali” il valore di uno soltanto fra i possibili diversi criteri di origine utilizzabili, al quale può essere preferitouno qualunque degli altri criteri introdotti, fra cui appunto “UE e non-UE”.

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3.- Tre decisioni della Corte di giustizia

In questo risalente confronto, la Corte di giustiziae gli stessi giudici nazionali sono più volte interve-nuti, sin dagli anni ’70 del secolo passato, ed inprosieguo, con una serie di pronunce, collocate alcrocevia fra le indicazioni del Codice doganalecomunitario e le regole di mercato sulla libera cir-colazione delle merci e sul divieto delle misure dieffetto equivalente32.Si tratta di una giurisprudenza, che – come giàanticipato33 – in larga misura ha avuto riferimentoalla legittimità o meno di norme nazionali, che avario titolo hanno introdotto obblighi di indicazio-ne di origine sugli alimenti, mentre il tema dell’e-satta individuazione dei canoni di origine dei pro-dotti alimentari, trasformati e non trasformati, purdiscusso già in alcune risalenti pronunce deglianni ’70 ed ’80 del secolo scorso34, è rimastocomplessivamente in secondo piano.Di recente, tuttavia, nel quadro regolatorio edapplicativo così determinatosi, sono intervenutenell’arco di pochi mesi, a breve distanza l’unadall’altra, ben tre decisioni della Corte di giusti-zia35, che hanno discusso nel merito proprio suicontenuti da assegnare alla definizione di originedei prodotti alimentari.Decisioni che, se non hanno risolto dubbi ed

incertezze, consentono però di guardare conmaggiore consapevolezza ai contenuti assegnatiall’origine dei prodotti alimentari ed alle varianti ingioco in quest’area disciplinare.

3.a) La Corte di giustizia e l’origine dei funghi

Il primo dei tre casi qui richiamati, è quello decisodalla Corte di giustizia con sentenza del 4 set-tembre 201936, che ha dichiarato che per originedei funghi deve intendersi il Paese ove sono rac-colti (in questo caso la germania), anche se i fun-ghi erano stati coltivati in altri Paesi, esportati incassette con una base di torba e calcare, e rac-colti appena tre giorni dopo l’ingresso nel Paesedi importazione.Il caso è nato nell’ambito di un giudizio promossonel 2013 da un’Associazione tedesca per la lottaalla concorrenza sleale contro una società chevendeva in germania dei funghi coltivati, indican-do in etichetta “Origine: Germania”.Secondo quanto riferito in motivazione, si trattavadi funghi coltivati in cassette contenenti torba ecalcare. Le diverse fasi di lavorazione, avviate inBelgio e proseguite nei Paesi Bassi, comprende-vano la preparazione della materia prima, seguitadalla pastorizzazione, dalla preparazione del

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(32) Per ulteriori indicazioni in argomento, v. M. Holle, Globalisation of Innovation – (Re-)localisation of Food Law?, cit.; F. Albisinni,Strumentario di diritto alimentare europeo, cit., Capp. III e XII.(33) V. supra par.1.(34) Si possono qui ricordare, esemplificativamente, fra le risalenti decisioni che hanno espressamente investito il tema dell’individuazionedei canoni di origine: Corte di giustizia, 26 gennaio 1977, C-49/76, Gesellshaft fur Ubersseehandel mbh c/ Handelskammer Hamburg,secondo cui: “la pulitura e la macinatura di un prodotto base, quale la caseina grezza importata in uno Stato membro da paesi terzi,come pure la cernita e l'imballaggio del prodotto ottenuto, non costituiscono trasformazione o lavorazione sostanziale ai sensi dell'art. 5del regolamento n. 802/68 nè conferiscono al suddetto prodotto l'origine comunitaria a norma dello stesso regolamento.”; in prosieguoCorte di giustizia, 28 marzo 1985, C-100/84, Commissione c/ Regno Unito, che in riferimento all’origine del pescato in acque internazio-nali: “l'origine del pesce dev'essere determinata tenendo conto, non già della bandiera del battello che procede unicamente a sollevarele reti, bensì della bandiera della nave che procede alla parte essenziale della cattura, cioè in particolare la localizzazione del pesce ela presa nelle reti, di guisa che il pesce non si sposti più liberamente nel mezzo marino.”; in Italia in questo secolo v. fra le altre: Cass.,sez I civ., 4 maggio 2001 n. 6267, che ha individuato il luogo di origine del latte a lunga conservazione nel luogo in cui tale latte vienetrattato termicamente e non in quello di allevamento degli animali e di mungitura; Cass., sez. III pen., 12 luglio 2007 n. 27250, che, sullabase di quanto disposto dall’art. 24 del Codice doganale comunitario in riferimento all’origine dei prodotti trasformati, ha individuato comeorigine di una macedonia di frutta in scatola il luogo di confezionamento della macedonia e non quello di origine della frutta.(35) Due delle quali non casualmente chiamate a decidere controversie insorte in Francia, paese che, come l’Italia, è da sempre moltoattento ai temi legati all’origine dei prodotti alimentari.(36) Corte di giustizia, 4 settembre 2019, C-686/17, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs Frankfurt am Main eV c/ PrimeChamp Deutschland Pilzkulturen GmbH.

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compost, dall’inserimento del micelio nel compo-st, dalla formazione del carpoforo, e dalla crescitadei funghi, per un periodo complessivo compresofra i 52 ed i 62 giorni. Le cassette venivano quinditrasportate in germania, ove in un periodo da unoa cinque giorni aveva luogo la prima raccolta deifunghi e dopo dieci-quindici giorni la seconda37.L’Associazione ricorrente assumeva che l’indica-zione di origine Germania era tale da indurre inerrore il consumatore, inducendolo a ritenere chenon solo la raccolta ma l’intero processo di produ-zione aveva avuto luogo in germania38.La Corte federale tedesca, investita della questio-ne, ha posto alla Corte di giustizia, fra le questionipregiudiziali: «1) Se, ai fini della determinazionedella nozione di “paese di origine” ai sensi dell’ar-ticolo 113 bis, paragrafo 1, del regolamento n.1234/2007 e dell’articolo 76, paragrafo 1, delregolamento n. 1308/2013 debbano essere presein considerazione le definizioni di cui agli articoli23 e segg. del codice doganale [comunitario] eall’articolo 60 del codice doganale dell’Unione.2) Se i funghi di coltivazione, raccolti nel territorionazionale, abbiano un’origine nazionale ai sensidell’articolo 23 del [codice doganale comunitario]e dell’articolo 60, paragrafo 1, del [codice doga-nale dell’Unione], anche nel caso in cui fasisostanziali della produzione abbiano luogo in altriStati membri dell’Unione europea e i funghimedesimi siano stati trasportati nel territorionazionale solo nei tre giorni precedenti la primaraccolta.»39.La Corte di giustizia ha risposto positivamente adentrambi i quesiti.In ordine al primo quesito, la Corte ha osservatoche sia la prima che la seconda OCM unica impo-nevano di indicare il paese d’origine per la com-

mercializzazione dei prodotti ortofrutticoli, iviinclusi i funghi40. pur senza precisare i canoni allacui stregua individuare tale origine.Accertato l’obbligo di dichiarare l’origine, la sen-tenza prende atto che ratione temporis alla con-troversia non era applicabile il Regolamento (CE)n. 1169/201141, ma la precedente direttiva sull’eti-chettatura dei prodotti alimentari del 200042 chenon conteneva norme specifiche sull’individuazio-ne dell’origine.tuttavia – conclude la Corte – anche prima delRegolamento (CE) n. 1169/2011, “per definire lanozione di «paese d’origine», di cui a tali disposi-zioni in materia agricola [ndr: le richiamate normedella OCM unica], occorre fare riferimento airegolamenti in materia doganale per la determi-nazione dell’origine non preferenziale delle merci,ovvero gli articoli 23 e seguenti del regolamento(CEE) n. 2913/92, del Consiglio, del 12 ottobre1992, che istituisce un codice doganale comuni-tario e l’articolo 60 del regolamento (UE) n.952/2013, che istituisce il codice doganaledell’Unione.” 43.La Corte riconosce pertanto portata generale aicanoni di origine fissati dal Codice doganalecomunitario (e poi dal Codice doganale dell’Unio-ne Europea), non solo a fini doganali, ma anchea fini di comunicazione nel mercato, assegnandoalle successive scelte in tal senso del Reg. (uE)n. 1169/2011 portata confermativa di principi daintendersi già presenti nell’ordinamento.In ordine al secondo quesito, relativo ai contenutida assegnare ai canoni di origine fissati dai codicidoganali quanto ai prodotti vegetali, la Cortedichiara che la formula utilizzata dalla normativadoganale che recita:“1. Sono originarie di un paese le merci intera-

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(37) Punto 36 della sentenza.(38) Punto 39 della sentenza.(39) Punto 51 della sentenza.(40) V. l’art. 113-bis del Reg. (CE) n. 1234/2007, e l’art. 76.1. del Reg. (uE) n. 1308/2013.(41) La controversia era insorta nel 2013, mentre il Reg. 1169/2011 è entrato in applicazione solo dal 13 dicembre 2014, ex art. 55.(42) Direttiva 2000/13/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 marzo 2000, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degliStati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità.(43) Punto 39 della sentenza.

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mente ottenute in tale paese. 2. Per merci intera-mente ottenute in un paese s'intendono: … b) iprodotti del regno vegetale ivi raccolti;”44,deve essere intesa nel senso che i prodotti vegetalisono originari del paese in cui sono stati raccolti,“a prescindere dal fatto che fasi sostanziali dellaproduzione abbiano luogo in altri Stati membridell’Unione e che i funghi di coltivazione sianostati trasportati nel territorio di raccolta soltantonei tre giorni precedenti la prima raccolta.”45.Così argomentando, la decisione privilegia l’ag-gettivo “raccolti” rispetto al sostantivo “prodotti”,operando un’interpretazione che assegna all’ag-gettivo un significato che lo isola dalla connessio-ne con il sostantivo cui accede e con l’interoenunciato precettivo, omettendo qualsivogliaindagine sulla finalità perseguite dalla disciplina.La scelta di un’interpretazione testuale, che siferma alla singola parola e che prescinde da con-testo e finalità, appare singolare non solo per chisia formato ai canoni interpretativi di cui all’art. 12disp. prel. cod. civ.46, ove si consideri che è princi-pio risalente, da tempo affermato dalla stessaCorte di giustizia, quello secondo cui:«ogni disposizione di diritto comunitario va ricollo-cata nel proprio contesto e interpretata alla lucedell'insieme delle disposizioni del suddetto diritto,delle sue finalità, nonché del suo stadio di evolu-zione al momento in cui va data applicazione alladisposizione di cui trattasi.»47.un’interpretazione sistematicamente orientatadella disposizione in esame ben avrebbe potuto(e potrebbe) valorizzare un approccio del legisla-tore che, per assegnare l’origine ai prodotti vege-tali, muove dall’attività di produzione e dunque di

coltivazione (i prodotti del regno vegetale) e ri-chiede che questa attività si concluda con il rac-colto.nel disegno del Codice doganale comunitario epoi del Codice doganale dell’Unione Europea, ilraccolto non è elemento menzionato in sé solo,ma è considerato dal legislatore a conclusione diun ciclo produttivo interamente svolto in unPaese, coerentemente con la matrice doganaledella disciplina, intesa a valorizzare la circostanzadell’essere le “merci interamente ottenute in unpaese” quale criterio per individuare la correttatassazione.La sentenza nulla dice quanto alla coerenza (oincoerenza) dell’interpretazione da essa accoltacon la formula “merci interamente ottenute in unpaese” e con le finalità sistematiche della norma-tiva in applicazione.In ogni caso, a prescindere dalla persuasività omeno dell’interpretazione accolta dalla Corte digiustizia e dalla possibilità che questa interpreta-zione venga in futuro rivista dalla stessa Corte(come già accaduto in passato proprio nell’ambitodel diritto alimentare, ad esempio sulla crucialequestione dell’imbottigliamento in zona di originedei vini di qualità, con le due contrapposte deci-sioni del 1992 e del 2000 sul vino Rijoca48), sideve prendere atto che allo stato il canone di ori-gine dei prodotti vegetali – quale interpretato dallagiurisprudenza della Corte di giustizia – ha riferi-mento esclusivamente al momento del raccolto,restando irrilevante la fase di coltivazione.ne emerge un modello giurisprudenziale di origi-ne che per i vegetali privilegia una logica attentaal momento finale della commercializzazione sva-

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(44) Così recita l’art. 23 del Reg. (CEE) n. 2913/92, Codice doganale comunitario; analoga formula è contenuta nell’art. 31 lett.b) delRegolamento delegato (uE) 2015/2446 della Commissione, del 28 luglio 2015, che integra il regolamento (uE) n. 952/2013 delParlamento europeo e del Consiglio in relazione alle modalità che specificano alcune disposizioni del codice doganale dell'unione.(45) Punto 58 della decisione.(46) Sul valore di tale disposizione non può non rinviarsi all’insegnamento di g. gorla, I precedenti storici dell'art. 12 disposizioni prelimi-nari del codice civile del 1942 (un problema di diritto costituzionale?), in Il Foro Italiano, 1969, V, 111.(47) Corte di giustizia, 6 ottobre 1982, causa 283/81, Srl CILFIT in liq. e altri c/ Min.Sanità, Lanificio di Gavardo SpA c/ Min. Sanità; punto20 della decisione; in argomento v. g. Strozzi, Il sistema normativo, in Trattato di diritto amministrativo europeo, dir. da M. P. Chiti e g.greco, giuffré ed., 1997, Parte generale, 15, a p. 48.(48) Sono le due note sentenze della Corte di giustizia sul caso del vino Rioja, 9 giugno 1992, causa C-47/90, e 16 maggio 2000, causaC-388/95.

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lutando la fase agricola di produzione e coltivazio-ne; modello giurisprudenziale che in qualchemodo si pone in sintonia con le scelte operatepochi anni prima dalla Commissione Europea conil Regolamento n. 1337/2013 sull’etichettatura diorigine delle carni diverse da quella bovina49, cheaveva individuato come rilevante ai fini dell’origi-ne il solo periodo finale antecedente alla commer-cializzazione negando rilievo alle fasi precedenti.Si tratta di un canone di origine che potrà avere inun prossimo futuro ambiti applicativi ben più ampidi quelli relativi ai funghi, nella misura in cui le tec-niche dell’oggi vanno estendendo ad una nume-rosa serie di prodotti vegetali le tecniche di lavo-razione senza terra, con conseguente possibilitàdi esportare i prodotti vegetali unitamente allepiante nei contenitori in cui sono state coltivate,così da far acquisire al prodotto finale un’indica-zione di origine apprezzata nel mercato.quali che siano le opinioni sulla coerenza o menodi tale modello rispetto alle dichiarate finalità dellaPAC, al ripetuto insistere in sede europea su trac-ciabilità, disciplina di filiera e trasparenza50, edalla riscoperta della sicurezza europea degliapprovvigionamenti nei documenti adottati intempo di Covid51, resta la circostanza che inter-preti, ed operatori economici, devono oggi tenereconto di un canone di origine dei prodotti vegetali,che di fatto svaluta il legame dell’attività agricolacon la terra.

3.b) La Corte di giustizia, l’origine ed il diritto inter-nazionale

Dopo appena due mesi, nel novembre 2019, la

Corte di giustizia, con una sentenza pronunciatadalla grande Sezione52, è nuovamente intervenu-ta sul tema dei contenuti da assegnare alladichiarazione di origine dei prodotti alimentari.La Corte è stata chiamata a giudicare il caso del-l'indicazione di origine sui prodotti alimentari origi-nari dei territori palestinesi occupati dallo Stato diIsraele dal giugno 1967.un avviso pubblicato dal ministro francesedell'Economia e delle finanze del 24 novembre2016, aveva specificato:«Secondo il diritto internazionale le alture delgolan e la Cisgiordania, compresa gerusalemmeest, non fanno parte di Israele. Di conseguenza,per non trarre in inganno il consumatore, l'etichet-tatura dei prodotti alimentari deve indicare accu-ratamente l'origine esatta dei prodotti, sia che laloro indicazione sia obbligatoria ai sensi della nor-mativa comunitaria o apposta volontariamentedall'operatore.Per i prodotti della Cisgiordania o delle alture delgolan che hanno origine negli insediamenti,un'indicazione limitata a "prodotto originario dellealture del Golan" o "prodotto originario dellaCisgiordania" non è accettabile. Sebbene questitermini si riferiscano all'area più ampia o territoriodi origine del prodotto, l'omissione delle informa-zioni geografiche aggiuntive che indicano che ilprodotto proviene da insediamenti israelianirischia di fuorviare il consumatore sulla vera origi-ne del prodotto. In tali casi, è necessario aggiun-gere, tra parentesi, il termine "insediamento israe-liano" o termini equivalenti. Pertanto, possonoessere utilizzati termini come "prodotto originariodelle alture del golan (insediamento israeliano)" o"prodotto originario della Cisgiordania (insedia-

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(49) V. supra par. 2.a).(50) Sugli ultimi provvedimenti europei in tema di trasparenza nella disciplina dei prodotti alimentari, v. le relazioni presentate nel corsodel Convegno dell’AIDA e dell’università Federico II di napoli, Portici, 11-12 ottobre 2019, pubbl. in q. Riv. www.rivistadirittoalimentare.it,n. 3-2019 e 4-2019.(51) Cfr. il documento della Commissione Europea, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al ComitatoEconomico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni - Strategia dell'UE sulla biodiversità per il 2030 - Riportare la natura nellanostra vita, Bruxelles, 20.5.2020, COM(2020) 380 final.(52) Corte di giustizia, 12 novembre 2019, C-363/18, Organisation juive européenne, Vignoble Psagot Ltd v. Ministere de l’Économie etdes Finances.

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mento israeliano)".»53

In due giudizi promossi innanzi al Consiglio diStato dall'Organizzazione Juive Européenne edalla società Vignoble Psagot Ltd contro ilMinistero francese, la legalità di tale avviso èstata contestata. Il Consiglio di Stato ha sospesoil giudizio ed ha sottoposto alla Corte di giustiziale seguenti questioni pregiudiziali:«1) Se il diritto dell’Unione europea, ed in partico-lare il regolamento n. 1169/2011 (…), quando l’in-dicazione dell’origine di un prodotto che rientranel campo di applicazione di tale regolamento èobbligatoria, imponga per un prodotto provenien-te da un territorio occupato dallo Stato d’Israeledal 1967 l’indicazione di tale territorio nonchéun’indicazione che precisi che il prodotto provieneda un insediamento israeliano, qualora ricorratale ipotesi.2) In caso di risposta negativa, se le disposizionidel [regolamento n. 1169/2011], in particolarequelle del capo VI, consentano ad uno Statomembro di esigere tale indicazione»54.La Corte di giustizia ha risposto positivamente sulprimo quesito, dichiarando assorbito il secondo,ed ha così deciso:«L’Articolo 9 (1) (i) del regolamento (UE) n.1169/2011 del Parlamento europeo e delConsiglio, del 25 ottobre 2011, sulla fornitura diinformazioni sugli alimenti ai consumatori, ... lettoin combinato disposto con l'articolo 26, paragrafo2 ( a) di tale regolamento, deve essere interpreta-to nel senso che i prodotti alimentari originari di

un territorio occupato dallo Stato di Israele devo-no recare non solo l'indicazione di tale territorio,ma anche, se tali prodotti alimentari provengonoda una località o da un gruppo di località checostituiscono un insediamento in quel territorio,l'indicazione di quella provenienza»55.La decisione si articola attraverso alcuni passag-gi, che intervengono su profili centrali della disci-plina dell’etichettatura di origine dei prodotti ali-mentari: l’individuazione dei presupposti per l’ob-bligatorietà dell’indicazione dell’origine; l’asse-gnazione di contenuti alle formule paese d’origi-ne, luogo di provenienza, e territorio; il riconosci-mento di meccanismi di diretta applicazione deldiritto internazionale all’interno dell’ordinamentouE; la valorizzazione del diritto dei consumatori dioperare scelte consapevoli con riferimento aduna serie aperta di elementi capaci di incidere sutali scelte.quanto ai presupposti per l’obbligatorietà dell’in-dicazione di origine, la Corte richiama gli artt. 9 e26 del Reg. (uE) n. 1169/2011, secondo cui l’indi-cazione di origine è necessaria tutte le volte in cuil’omissione di tale indicazione possa indurre inerrore i consumatori sull’effettiva origine del pro-dotto alimentare56. Si tratta di una disposizionerisalente57, ma la circostanza che la Corte insistasu di essa, senza menzionare alcuna possibilelimitazione di tale canone generale (a differenzadi quanto avvenuto pochi mesi dopo nella senten-za sull’etichettatura di origine del latte francese58)– ma anzi ribadendo che comunque, quando l’in-

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(53) Punto 17 della sentenza; corsivo agg.(54) Punto 20 della sentenza. Il giudice del rinvio ha fatto riferimento in particolare all’art. 9, par. 1 lett. i) che rende obbligatoria l’indica-zione del paese di origine o del luogo di provenienza, ove previsto dall’art. 26, ed all’art. 26, che al par. 2 precisa:“2. L'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria:a) nel caso in cui l'omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d'origine o al luogo di prove-nienza reali dell'alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l'alimento o contenute nell'etichetta nel loro insiemepotrebbero altrimenti far pensare che l'alimento abbia un differente paese d'origine o luogo di provenienza;”.(55) Così il dispositivo.(56) Punti 22-25 sentenza.(57) V. già l’art. 3.1. punto 7) della Direttiva 18 dicembre 1978, n. 79/112/CEE, del Consiglio, relativa al ravvicinamento delle legislazionidegli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità; e in prosieguo l’art.3.1. punto 8) della successiva Direttiva di codificazione in materia di etichettatura, 20 marzo 2000, n. 2000/13/CE, del Parlamento euro-peo e del Consiglio.(58) Corte di giustizia, 1 ottobre 2020, C-485/18; v. infra par. 3.c).

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dicazione di origine o provenienza è specificatasull’alimento, essa non deve essere ingannevo-le59 – vale a conferire a tale criterio rilievo centralenell’edificazione dell’intero quadro disciplinare intema di etichettatura.La regola generale così enunciata assume speci-fica declinazione nel capo della pronuncia cheassegna precisi contenuti alle formule paese d’o-rigine, luogo di provenienza, e territorio, richiama-te nella vigente legislazione ma sin qui non defini-te nei loro esatti contenuti, al punto che laCommissione Europea nei suoi regolamenti diesecuzione aveva potuto assegnare a tali formulecontenuti mutevoli60.In particolare, quanto al significato da assegnareall’espressione paese d’origine di cui alRegolamento n. 1169/2011 ed al Codice dogana-le comunitario, la Corte con rigore precisa:“28. Per quanto riguarda il termine «paese»,occorre rilevare, da un lato, che esso è utilizzatopiù volte dal Trattato UE e dal Trattato FUE qualesinonimo del termine «Stato». Occorre pertanto,al fine di fornire un’interpretazione coerente deldiritto dell’Unione, conferire il medesimo significa-to a tale termine nel codice doganale dell’Unionee nel regolamento n. 1169/2011.29. D’altro lato, la nozione di «Stato» deve a suavolta essere intesa nel senso che designa un’en-tità sovrana che esercita, all’interno dei suoi con-fini geografici, la pienezza delle competenze rico-nosciute dal diritto internazionale”61.Resta dunque escluso che con il termine paesed’origine possa farsi riferimento alla “UE” unitaria-mente intesa, o ancora ad un indistinto spazio“non UE”, dovendosi fare riferimento ad unoStato.quanto al significato del termine territorio, la

Corte osserva:“30 Per quanto riguarda il termine «territorio»,dall’alternativa stessa contenuta nell’articolo 60del codice doganale dell’Unione risulta che essodesigna entità diverse dai «paesi» e, di conse-guenza, diverse dagli «Stati».31 Come già rilevato dalla Corte, simili entitàcomprendono, in particolare, spazi geograficiche, pur trovandosi sotto la giurisdizione o sotto laresponsabilità internazionale di uno Stato,dispongono tuttavia, sotto il profilo del diritto inter-nazionale, di uno statuto proprio e distinto daquello di tale Stato.”, richiamando a tal fine proprie precedenti pronun-ce in cui si dava conto di territori dotati di uno sta-tus internazionale diverso da quello dello Statoche li occupa62.In questa prospettiva, territorio identifica uno spa-zio soggetto alla sovranità di uno Stato e colloca-to all’interno dei confini di questo, ma che sotto ilprofilo del diritto internazionale gode di un propriospecifico statuto.Infine, quanto al luogo di provenienza, la Cortechiarisce:“la nozione di «luogo di provenienza» deve esse-re intesa come un rinvio a qualsiasi spazio geo-grafico determinato situato all’interno del paese odel territorio di origine di un alimento, ad esclusio-ne dell’indirizzo del produttore.”63.La formula luogo di provenienza, secondo laCorte, identifica pertanto uno spazio geograficointerno ad uno Stato o ad un territorio a sua voltainterno ad uno Stato, e così identifica una dimen-sione per sua stessa natura più piccola di quelladegli Stati.La sentenza elabora così precise formulazioniinterpretative e ricostruttive, fortemente innovati-

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(59) Punto 25 sentenza(60) V. supra par. 2.(61) Punti 28-29 sentenza.(62) Punti 30-38 sentenza. Le precedenti decisioni della Corte, richiamate in sentenza, sono 21 dicembre 2016, Consiglio/Front Polisario,C‑104/16, e nonché del 27 febbraio 2018, Western Sahara Campaign UK, C‑266/16; entrambe relative al territorio del Sahara spagnolo,occupato dallo Stato del Marocco, ma ove opera il movimento Polisario per l’indipendenza, movimento riconosciuto a livello internazio-nale.(63) Punto 41 sentenza.

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ve rispetto a quelle prevalenti negli atti dellaCommissione Europea.Come già ricordato:- la Commissione Europea, nel 2013, aveva adot-tato il Regolamento di esecuzione (uE) n.1337/2013, nel quale, chiamata ad individuare ilpaese di origine o luogo di provenienza dellacarne macinata64, aveva indicato come equivalen-te all’indicazione del paese di origine l’indicazione«Origine: UE» oppure «Origine: non UE» o«Origine: UE e non UE»65, vale a dire dimensionigeografiche ben più ampie degli Stati e non carat-terizzate come entità sovrane;- appena un anno prima della sentenza qui inesame, la medesima Commissione Europea, conil proprio Regolamento di esecuzione (uE)2018/775 sull’indicazione di origine degli ingre-dienti66, aveva tradotto i termini paese d’origine eluogo di provenienza in una nuova categoria,quella di “zona geografica”, assente sia nel Reg.(uE) n. 1169/2011 che nel codice doganalecomunitario, dilatando tale nuova categoria di“zona geografica” fino a comprendere una dimen-sione genericamente individuata quale “UE onon-UE”67.Sicché la sentenza, pronunciandosi sui territorioccupati da Israele, enuncia un’interpretazioneautentica di portata generale (con pronuncia tantopiù autorevole perché emessa dalla grandeSezione) di termini a lungo indefiniti e controversi;interpretazione che sul piano sistematico e defini-torio suona come smentita delle scelte espressedalla Commissione nei regolamenti di esecuzionesoprarichiamati, e ben potrebbe essere invocatain eventuali futuri giudizi in cui vengano, in ipotesi,

censurati tali regolamenti di esecuzione.un ulteriore rilevante passaggio nella motivazio-ne attiene al rilievo assegnato al diritto internazio-nale all’interno dell’ordinamento uE.La Corte richiama la Convenzione di ginevra del12 agosto 1949 sulla protezione delle personecivili in tempo di guerra, il parere consultivo 9luglio 2004 della Corte internazionale di giustiziasui territori palestinesi occupati, alcune risoluzionidel Consiglio di sicurezza della nazioni unite, econclude:“In tale contesto, occorre sottolineare che, confor-memente all’articolo 3, paragrafo 5, TUE,l’Unione contribuisce alla rigorosa osservanza deldiritto internazionale, in particolare dei principidella Carta delle Nazioni Unite.”68.Muovendo da tale considerazione sulla necessa-ria osservanza del diritto internazionale nell’ambi-to della quotidiana applicazione del dirittodell’unione Europea, la Corte conclude che l’eti-chettatura dei prodotti alimentari provenienti daiterritori palestinesi o siriani occupati da Israeledeve fare espressa menzione di tale circostanza,poiché “l’omissione dell’indicazione che un ali-mento proviene da un «insediamento israeliano»situato in uno dei territori di cui al punto 33 dellapresente sentenza può indurre in errore i consu-matori, facendo pensare loro che tale alimentoabbia un luogo di provenienza diverso dal suoluogo di provenienza reale.”69.La sentenza prosegue richiamando il diritto inter-nazionale umanitario ed il già citato parere con-sultivo della Corte internazionale di giustizia suldiritto all'autodeterminazione del popolo palesti-nese70, riconosciuti dalla Corte di giustizia come

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(64) Art. 26.2. lett. b) del Reg. n. 1169/2011; v. supra par. 2.a)(65) Art. 7 del Reg. n. 1337/2013.(66) V. supra par. 2.b).(67) Art. 2 del Reg. (uE) della Commissione 2018/775 sull’indicazione di origine degli ingredienti.(68) Punto 48 sentenza. giova qui ricordare che l’art. 3 par. 5 del tuE dispone: “5. nelle relazioni con il resto del mondo l'unione affermae promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo svilupposostenibile della terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all'eliminazione della povertà ealla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in par-ticolare al rispetto dei principi della Carta delle nazioni unite.”(69) Punti 49, 50, 51 sentenza.(70) Punto 56 sentenza.

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elementi aventi diretto rilievo all’interno dell’ordi-namento dell’unione Europea, in una prospettivache conferma la crescente apertura del Dirittoagro-alimentare europeo verso una dimensioneglobale della regolazione71, rispetto a precedentiorientamenti della medesima Corte di giustizia,che avevano rivendicato l’autonomia della Corteeuropea in sede di applicazione e interpretazionedegli accordi internazionali72.Il rilievo assegnato al diritto internazionale ai finidella interpretazione, costruzione, ed applicazio-ne del diritto della uE, giova poi – nelle argomen-tazioni della Corte – a sostenere conclusioni dilargo respiro quanto alla valorizzazione degli ele-menti di scelta da parte del consumatore.La Corte osserva che gli obiettivi fissati dall’art.1par. 1 del Regolamento n. 1169/2011, intesi a“garantire un elevato livello di protezione dei con-sumatori in materia di informazioni sugli alimenti,tenendo conto delle differenze di percezione deiconsumatori stessi”73, assumono contenuti precisiai sensi del successivo art. 3 par. 3, dal quale“risulta che le informazioni fornite ai consumatoridevono consentire a questi ultimi di effettuarescelte consapevoli nonché rispettose, in partico-lare, di considerazioni sanitarie, economiche,ambientali, sociali o etiche”74, e prosegue osser-vando che “tenuto conto del fatto che tale elenconon è tassativo, occorre sottolineare che anchealtri tipi di considerazioni, come quelle attinenti alrispetto del diritto internazionale, possono esserepertinenti in tale contesto.”75.

Sicché la Corte, rilevato che “la circostanza cheun alimento provenga da un insediamento stabili-to in violazione delle norme del diritto internazio-nale umanitario può essere oggetto di valutazionidi ordine etico che possono influenzare le decisio-ni di acquisto dei consumatori.”76, conclude:“Pertanto, benché l’articolo 9, paragrafo 1, letterai), e l’articolo 26, paragrafo 2, lettera a), del rego-lamento n. 1169/2011 si riferiscano all’indicazionedel paese d’origine «o» del luogo di provenienza,tali disposizioni impongono, in una situazionecome quella di cui al procedimento principale,tanto l’indicazione che un alimento è originario diuno dei territori di cui al punto 33 della presentesentenza quanto quella che tale alimento provie-ne da un «insediamento israeliano», qualoradetto alimento provenga da un insediamentosituato all’interno di uno di questi territori, poichél’omissione di tale seconda indicazione può indur-re in errore i consumatori quanto al luogo di pro-venienza dello stesso.”77.Alla risalente riconosciuta tutela delle considera-zioni sanitarie, economiche, ed ambientali, siaggiunge – nelle considerazioni della Corte – latutela di “considerazioni … sociali od etiche”, sot-tolineando altresì che “tale elenco non è tassati-vo”.La sentenza conclude enunciando un criterio divalorizzazione delle scelte del consumatore,come categoria aperta, che deve tenere “contodelle differenze di percezione dei consumatoristessi”78 e che dichiaratamente deve comprende-

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(71) In argomento v. F. Albisinni, The Path to the European and Global Food Law System, in L. Costato – F. Albisinni (eds.), Europeanand Global Food Law, Wolters Kluwer – Cedam, 2^ ed., 2016, p. 15.(72) Cfr. la sentenza della Corte di giustizia, 9 ottobre 2001, C-377/98, Regno dei Paesi Bassi c/ Parlamento europeo e Consigliodell'Unione europea, che ha respinto il ricorso dell’Olanda contro la Direttiva 6 luglio 1998, n. 98/44/CE, del Parlamento europeo e delConsiglio, sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche; ricorso che era stato proposto allegando la violazione diConvenzioni internazionali, fra le quali la convenzione di Monaco di Baviera del 5 ottobre 1973 sulla concessione di brevetti europei, ela convenzione di Rio de Janeiro del 5 giugno 1992 sulla diversità biologica. Sulla Direttiva n. 98/44/CE e sulla richiamata sentenza, perulteriori indicazioni v. F. Albisinni, Strumentario di diritto alimentare europeo, 4^ ed., cit., Cap. XIII.(73) Punto 52 della sentenza.(74) Punto 53 della sentenza.(75) Punto 54 della sentenza.(76) Punto 56 della sentenza.(77) Punto 57 della sentenza.(78) Punto 52 della sentenza.(79) Punto 53 della sentenza.

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re anche qualità dei prodotti alimentari per lorostessa natura immateriali, quali quelle risultantida “considerazioni … sociali o etiche”79.La decisione della grande Sezione si proponecosì come generale restatement, espressione diun consapevole ruolo di law maker, che benpotrebbe valere a superare molte delle incertezzequanto ai contenuti della disciplina dell’etichetta-tura di origine dei prodotti alimentari.Le perduranti incertezze si manifestano però nuo-vamente dopo pochi mesi, con la sentenza del 1ottobre 2020 sulle normative nazionali in tema dietichettatura di origine; sentenza pronunciatadalla Corte con il medesimo relatore del casorelativo ai territori palestinesi occupati da Israele,ma caratterizzata da un approccio ben diversoquanto al rilievo assegnato alle considerazioni deiconsumatori.

3.c) La Corte di giustizia e le norme nazionali diorigine

nel terzo caso qui discusso80 la Corte è statachiamata a decidere nell’ambito di una controver-sia sulla legittimità di un decreto francese, entratoin vigore nel gennaio 2017, che prevede che l’eti-chettatura del latte e dei prodotti a base di latteindichi il paese di raccolta ed il paese di confezio-namento o di trasformazione, con facoltà di indi-care come origine un unico paese ove in talepaese siano avvenuti sia la raccolta che il confe-zionamento o la trasformazione, oppure di indica-re come “Origine: UE“ oppure “Origine: extra UE”,quando raccolta, confezionamento o trasforma-zione siano avvenuti rispettivamente in più Statimembri della UE ovvero in più Stati non apparte-nenti all’Unione Europea81. Il decreto in ogni caso

esclude da tale disciplina i prodotti legalmentefabbricati o commercializzati in altro Stato mem-bro82.Il Consiglio di Stato francese – innanzi al quale ungrande gruppo alimentare multinazionale di matri-ce francese aveva contestato la legittimità deldecreto – ha posto alla Corte di giustizia alcunequestioni pregiudiziali:- quanto all’armonizzazione o meno della vigentedisciplina uE in tema di etichettatura del latte edei prodotti a base di latte;- quanto ai presupposti necessari per giustificaredisposizioni nazionali ai sensi dell’art. 39 par. 1 e2 del Reg. (uE) n. 1169/2011, con riferimento a “ilnesso comprovato tra talune qualità dell’alimentoe la sua origine o provenienza … e, in particolare,se il giudizio sul nesso comprovato possa esserefondato su elementi soltanto soggettivi concer-nenti l’importanza dell’associazione che la mag-gior parte dei consumatori può compiere tra lequalità dell’alimento e la sua origine o provenien-za.”83;- quanto alla rilevanza o meno della capacitàdell’alimento di resistere al trasporto, nell’ambitodi una valutazione sulla qualità dell’alimento;- quanto alla valutazione delle condizioni fissatedall’art. 39 del Reg. (uE) n. 1169/2011, in partico-lare se tale disposizione «presupponga di consi-derare le qualità di un alimento come uniche acausa della sua origine o della sua provenienza ocome garantite da detta origine o provenienza e,in quest’ultimo caso, se, malgrado l’armonizza-zione delle norme sanitarie e ambientali applica-bili in seno all’unione europea, la menzione del-l’origine o della provenienza possa essere piùprecisa di una menzione sotto forma di “UE” o“extra UE”»84.La sentenza della Corte di giustizia preliminar-

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Anno XIV, numero 3 • Luglio-Settembre 202067

(80) Corte di giustizia, 1 ottobre 2020, C-485/18, Groupe Lactalis c/ Premier ministre, Garde des Sceaux, ministre de la Justice, Ministrede l’Agriculture e de l’Alimentation, Ministre de l’Économie et des Finances.(81) Punto 15 della sentenza. (82) Così da rispettare i principi di mutuo riconoscimento e libera circolazione delle merci. Disposizioni analoghe sono presenti nei Decretiitaliani sull’etichettatura di origine del latte e dei prodotti lattiero-caseari, della pasta, del riso, delle conserve ed estratti di pomodoro.(83) Punto 20, 2) della sentenza; cors. agg.(84) Punto 20, 4) della sentenza; cors. agg.

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mente ricorda che il giudizio sul decreto franceserelativo all’etichettatura del latte e dei prodotti lat-tiero-caseari era stato sospeso in attesa delladecisione del giudizio sui prodotti provenienti daterritori palestinesi occupati da Israele, ed erastato ripreso dopo la decisione di tale procedi-mento85, con ciò riconoscendo l’esistenza di ele-menti di obiettiva connessione fra le questionidecise nei due giudizi. Va detto però che, nono-stante questo espresso richiamo alla decisionedella grande Sezione, degli innovativi principi ecriteri lì affermati non si trova traccia nell’ultimasentenza qui in commento.Sul primo quesito la Corte sottolinea che la que-stione sull’obbligatorietà dell’indicazione di origi-ne o provenienza degli alimenti, nei casi in cuil’assenza di tale indicazione potrebbe indurre inerrore il consumatore, deve ritenersi già oggettodi disciplina armonizzata ex art. 26, par. 2 a) delReg. (uE) n. 1169/2011, nella misura in cui taledisposizione prevede: “2. L'indicazione del paesed'origine o del luogo di provenienza è obbligato-ria: a) nel caso in cui l'omissione di tale indicazio-ne possa indurre in errore il consumatore in meri-to al paese d'origine o al luogo di provenienzareali dell'alimento,”.Sicché – precisa la Corte – gli Stati membri pos-sono adottare disposizioni ulteriori solo nellamisura in cui risultino compatibili con l’armonizza-zione già operante a livello uE, e dunque per casidiversi da quelli relativi alla tutela del consumato-re da errori sull’origine86.La sentenza, pur richiamando nell’esposizionepreliminare la disposizione contenuta nell’art. 26del Reg. (uE) n. 1169/2011 che prevede che“Entro il 13 dicembre 2014, la Commissione pre-

senta al Parlamento europeo e al Consiglio rela-zioni sull’indicazione obbligatoria del paese d’ori-gine o del luogo di provenienza per i seguenti ali-menti: (...) b) il latte; c) il latte usato quale ingre-diente di prodotti lattiero-caseari;”87, nulla dice inargomento nella parte motiva; e soprattutto nulladice sulla circostanza che al momento della sen-tenza (ottobre 2020) erano già decorsi inutilmentemolti anni dalla scadenza dei termini previsti dalRegolamento (uE) n. 1169/2011 per l’adozione diregolamenti di esecuzione in materia di origine didiversi prodotti, quali il latte ed i prodotti lattierocaseari, nonostante il Parlamento sin dal 2016avesse espressamente sollecitato la Commis-sione (senza esito) ad adottare, fra le altre, speci-fiche misure per l’indicazione di origine di tali pro-dotti88.La sentenza si limita dunque ad un richiamogenerale alla dichiarata armonizzazione della fat-tispecie per l’obbligatorietà delle indicazioni di ori-gine, senza entrare nel merito dei presupposti, inpresenza dei quali l’armonizzazione è chiamataad operare per evitare di indurre in errore il con-sumatore.La Corte in particolare non considera:- quanto al latte, che l’art.23.2. lett. d) del CodiceDoganale Comunitario89 prevede che il latte e glialtri prodotti di origine animale costituisconomerci originarie di un paese in quanto interamen-te ottenute in tale paese, e specificamente inquanto si tratti di “d) prodotti che provengono daanimali vivi, ivi allevati”, laddove il latte vendutocon il nome ed il marchio di una grande aziendafrancese, e con l’indicazione di uno stabilimentodi trattamento e confezionamento collocato inFrancia (come nel caso del latte della società

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(85) Punto 21 della sentenza.(86) Punti 28-31 della sentenza.(87) Punto 20, 4) della sentenza.(88) V. la Risoluzione del Parlamento Europeo, del 12 maggio 2016 sull'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di prove-nienza di taluni alimenti (2016/2583(RSP)) - P8_tA(2016)0225, che sottolineava: “28. ritiene che l'indicazione del paese d'origine per illatte destinato al consumo diretto e i prodotti lattiero-caseari leggermente trasformati (ad esempio formaggi e panna), come anche peri prodotti a base di carne e leggermente trasformati (ad esempio il bacon e gli insaccati) abbia costi associati fortemente ridotti, e chetale etichettatura vada esplorata in via prioritaria;”. La Risoluzione è rimasta sostanzialmente inascoltata dalla Commissione.(89) I cui canoni erano stati dichiarati di generale applicazione dalla sentenza sui funghi tedeschi, anche per casi antecedenti all’applica-zione del Reg. (uE) n. 1161/2011; v. supra par. 3.a).

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ricorrente nell’originario giudizio innanzi alConsiglio di Stato francese), ben può indurre inerrore il consumatore, apparendo come originariodella Francia, ove sull’etichetta nulla sia precisatoin proposito;- quanto ai prodotti a base di latte, che l’indicazio-ne dell’origine del latte utilizzato come ingredienteè già disciplinata dal Regolamento di esecuzionedel 2018 sull’indicazione di origine degli ingre-dienti90, che tuttavia fa riferimento ad una defini-zione, quella di “zona geografica”, non previstadal Codice doganale comunitario e dal Reg. (uE)n. 1169/2011; sicché, quanto all’origine degliingredienti, l’armonizzazione esiste ma può risul-tare solo apparente, non garantendo al consuma-tore compiute informazioni sul paese di origine osul luogo di provenienza, quali definiti dallagrande Sezione nella sentenza del 12 novembre201991.La Corte non si occupa di tali questioni, di decisi-vo rilievo decisorio, limitandosi a ribadire che l’av-venuta armonizzazione disciplinare (nei limiti giàrichiamati) consentirebbe l’intervento degli Statimembri solo ove si tratti di misure “«ulteriori»rispetto a quelle previste dallo stesso regolamen-to n. 1169/2011, tra le quali figura, come enuncia-to al punto 27 della presente sentenza, l’indica-zione del paese d’origine o del luogo di prove-nienza degli alimenti, nel caso in cui l’omissionedi tale indicazione possa indurre in errore il con-sumatore.”92.questi argomenti introducono al secondo capodella pronuncia, che investe la questione crucialedei requisiti per l’adozione di misure nazionali intema di indicazione di origine.La Corte sottolinea: “35. A tal riguardo, occorresottolineare che l’articolo 39, paragrafo 2, delregolamento n. 1169/2011 è caratterizzato da una

struttura e da una formulazione precise. Infatti,esso stabilisce, nella sua prima frase, che gli Statimembri possono introdurre ulteriori disposizioniconcernenti l’indicazione obbligatoria del paesed’origine o del luogo di provenienza degli alimentisolo ove esista un nesso comprovato tra talunequalità di detti alimenti e la loro origine o prove-nienza, prima di aggiungere, nella sua secondafrase, che, al momento di notificare tali disposizio-ni alla Commissione europea, gli Stati membri for-niscono elementi a prova del fatto che la maggiorparte dei consumatori attribuisce un valore signi-ficativo alla fornitura di tali informazioni. …questo secondo requisito interviene quindi a vallee in modo accessorio e complementare rispetto alprimo.”93, precisando: “39. Di conseguenza, occorre esami-nare tali due requisiti in successione, verificando,in un primo tempo e in ogni caso, se esista omeno un nesso comprovato tra talune qualità deiprodotti alimentari di cui trattasi in una determina-ta fattispecie e la loro origine o provenienza, poi,in un secondo tempo, e solo nell’ipotesi in cui siadimostrata l’esistenza di un tale nesso, se sianostati forniti elementi a prova del fatto che la mag-gior parte dei consumatori attribuisce un valoresignificativo alla fornitura di tali informazioni.”94,La sentenza insiste più volte sulla necessità diuna dimostrazione oggettiva di un nesso compro-vato tra origine o provenienza e qualità degli ali-menti, e conclude: “l’esistenza di tale nesso com-provato non può essere valutata solo sulla basedi elementi soggettivi, attinenti al valore dell’asso-ciazione che la maggior parte dei consumatoripuò stabilire tra talune qualità dell’alimento di cuitrattasi e la sua origine o provenienza.”95.La sentenza menziona la precedente decisionesui prodotti provenienti dai territori palestinesi

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(90) Reg. di Esecuzione (uE) 2018/775; v. supra par. 2.b).(91) V. supra par. 3.b).(92) Punto 31 della sentenza.(93) Punti 35-38 della sentenza; cors. agg.(94) Punto 39 della sentenza; cors. agg.(95) Punto 46 della sentenza.(96) Sentenza 12 novembre 2019, C-363/18; v. supra par. 3.b).

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occupati da Israele96 e ricorda che tale sentenzaaveva rilevato che occorre assicurare una tuteladei consumatori che tenga conto “delle differenzedi percezione dei consumatori stessi”97, ma omet-te di considerare che in quella sentenza nessunrilievo era stato assegnato all’individuazione di unlegame fra l’origine e le qualità materiali dei pro-dotti oggettivamente accertate, mentre era statavalorizzata e riconosciuta meritevole di tutela l’e-sigenza di fornire al consumatore informazionicompiute e corrette, che consentano di compiere“scelte consapevoli nonché rispettose, in partico-lare, di considerazioni sanitarie, economiche,ambientali, sociali o etiche”98, dunque in riferimen-to a profili prescindenti dalle qualità materiali deiprodotti in quanto tali99.Discostandosi nei fatti, pur senza dichiararloesplicitamente, dall’insegnamento enunciatopochi mesi prima dalla grande Sezione, la sen-tenza sul latte francese assegna agli orientamentidei consumatori valore solo integrativo e subordi-nato rispetto al prerequisito dell’accertata esisten-za di differenze materiali obiettivamente esistentinella qualità degli alimenti, prerequisito sovraordi-nato rispetto a quello soggettivo delle preferenzedel consumatore. Sicché, le eventuali disposizioninazionali integrative, che impongano la dichiara-zione di origine di un alimento, possono essereadottate soltanto ove giustificate da documentatee provate caratteristiche materiali del prodotto,accertate prima di qualsivoglia indagine sugliorientamenti dei consumatori, che rileva solosubordinatamente all’avvenuto accertamento diqualità dell’alimento “oggettivamente documenta-te”.

E’ vero che per l’Italia la vecchia legge italiana n.138 del 1974100, che vieta di utilizzare latte in pol-vere per preparare latte o prodotti caseari desti-nati al consumo umano, tuttora in vigore, consen-tirebbe di sostenere che l’origine italiana del latteutilizzato segnala una specifica qualità (assenzadi latte in polvere) non sussistente per latte e pro-dotti caseari provenienti da altri Paesi europei.Ma questo argomento non sarebbe utilizzabileper altri prodotti, per i quali l’Italia ha adottatodisposizioni nazionali in tema di dichiarazioneobbligatoria dell’origine.Ed in ogni caso si resterebbe all’interno di unmodello di qualità materiale, che la sentenza suiterritori palestinesi sembrava aver superato, eche la sentenza sul latte francese riporta al centrodella gerarchia disciplinare in tema di informazio-ne ai consumatori dei prodotti alimentari.tale conclusione è rafforzata da una singolareomissione nella pronuncia della Corte, lì ove trat-ta congiuntamente le questioni terza e quarta sol-levate dal Consiglio di Stato101, ma di fatto si pro-nuncia solo sulla terza questione dichiarando chel’eventuale capacità di un alimento di resistere altrasporto non può rilevare ai fini dell’esistenza del“nesso comprovato tra tale qualità dell’alimento ela sua origine”, mentre omette di trattare la quartaquestione posta dal Consiglio di Stato, lì ove que-sto aveva richiesto se, in sede di applicazionedell’art. 39 sulle indicazioni previste da disposizio-ni nazionali, “la menzione dell’origine o della pro-venienza possa essere più precisa di una men-zione sotto forma di «UE» o «extra UE»”102.La coerente applicazione dei principi enunciatinella sentenza della grande Sezione quanto al

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(97) Cfr. il punto 43 della sentenza sul latte francese, ed il punto 52 della sentenza sui territorio palestinesi.(98) Punto 53 della sentenza C-363/18.(99) V. i punti 37-38 della sentenza C-363/18, che così individuano il presupposto per l’indicazione di origine: “37. Inoltre, al fine di evitareche i consumatori possano essere indotti in errore in merito al fatto che lo Stato di Israele è presente in tali territori in quanto potenzaoccupante e non in quanto entità sovrana nel senso descritto al punto 29 della presente sentenza, appare necessario indicare loro chei suddetti alimenti non sono originari di tale Stato. 38 Pertanto, l’indicazione del territorio di origine di alimenti come quelli di cui al pro-cedimento principale non può essere omessa e si deve quindi ritenere che abbia carattere obbligatorio in forza degli articoli 9 e 26 delregolamento n. 1169/2011.”(100) Legge 11 aprile 1974, n. 138, nuove norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana.(101) Punti 47-52 della sentenza.(102) Punto 20, 4) della sentenza.

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significato da assegnare a paese di origine, luogodi provenienza, territorio, avrebbe consentito diguardare in modo originale alla quarta questionesollevata dal Consiglio di Stato francese, ma laCorte di giustizia ha ritenuto di non pronunciarsi inargomento.

4. L’incertezza permane

L’ultima decisione della Corte di giustizia si collo-ca così all’interno del risalente modello di qualitàmateriale da sempre sostenuto dalla Commis-sione Europea103, trascurando quanto di innovati-vo la stessa Corte aveva affermato pochi mesi fanella sentenza sui prodotti provenienti da territoripalestinesi occupati.L’incertezza che sembrava superata dalla senten-za della grande Sezione torna a dominare lascena, e se possibile si accresce, ove si consideriche la successiva sentenza sul latte franceseomette qualunque considerazione sulla dichiara-zione di origine degli ingredienti.Restano aperti numerosi interrogativi.Le regole di origine dei prodotti vegetali vannointerpretate privilegiando la sola fase del raccolto,e svalutando quella agricola di coltivazione?nell’indicazione di origine degli ingredienti sidovranno utilizzare le definizioni chiaramente edinnovativamente formulate dalla grande Sezionesu paese di origine, luogo di provenienza, territo-rio, o si dovrà fare riferimento alla formula liquidadi zona geografica introdotta dalla CommissioneEuropea nel regolamento di esecuzione sull’indi-cazione di origine degli ingredienti?Le regole che impongono di “non indurre in erroreil consumatore in merito al paese di origine o alluogo di provenienza dell’alimento” valgono per lecaratteristiche immateriali dell’alimento solo perle questioni “attinenti al rispetto del diritto interna-zionale”, o effettivamente “tengono conto delledifferenze di percezione dei consumatori stessi”anche con riferimento ad elementi immateriali

non riducibili ad una dimensione immediatamentepolitica?Le disposizioni nazionali concernenti l’indicazioneobbligatoria del paese di origine potranno esserein ipotesi adottate sulla base di sole considerazio-ni ambientali, sociali od etiche, ad esempio legateal minor inquinamento derivante dalla minoredistanza?In attesa che nuove pronunce (o nuovi interventidel legislatore europeo) possano dare rispostecomplessive e coerenti a questi interrogativi, l’in-certezza permane.

ABSTRACT

Il lavoro muove da alcuni regolamenti di esecu-zione della Commissione Europea e da alcunerecenti decisioni della Corte di giustizia sui temilegati all’indicazione di origine dei prodotti alimen-tari, per tentare di individuare presupposti e snodioperativi della disciplina.Nel confronto di posizioni fra i protagonisti, istitu-zionali e di mercato, la questione prevalentemen-te discussa è stata quella della legittimità o menodi indicazioni nazionali di origine.E’ rimasto in qualche misura sullo sfondo il tema,ad esso logicamente e sistematicamente preordi-nato, dell’individuazione dei canoni in forza deiquali determinare l’origine dei prodotti alimentari,trasformati e non trasformati.Si tratta di questione risalente che, pur dopo l’e-manazione del Regolamento (UE) n. 1169/2011sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai con-sumatori, non ha ancora trovato un assetto defini-to, e che propone irrisolti quesiti, in un quadro diperdurante incertezza.Il lavoro analizza il Regolamento (UE) di esecu-zione della Commissione Europea n. 1337/2013sull’etichettatura delle carni diverse dalle carnibovine, ed il Regolamento (UE) di esecuzionedella Commissione Europea 2018/775 sull’indica-

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(103) V. supra par. 1.

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zione di origine degli ingredienti, ponendone inluce gli elementi caratterizzanti e talune contrad-dizioni fra le scelte disciplinari operate ed il qua-dro generale di riferimento definito dalRegolamento (UE) n. 1169/2011 e dal Codicedoganale comunitario.Vengono poi analizzate tre decisioni della Cortedi giustizia: del settembre 2019 sull’origine di fun-ghi coltivati in cassette in un paese, esportati inaltro paese all’interno delle cassette di coltivazio-ne e raccolti in tale ultimo paese; del novembre2019, sull’origine di prodotti agricoli ottenuti in ter-ritori palestinesi occupati da Israele a far tempodalla guerra del 1967; ed infine dell’ottobre 2020,sulla legittimità o meno di norme nazionali sull’in-dicazione di origine dei prodotti alimentari.La conclusione di tale analisi è che l’incertezza inargomento permane, e se possibile si accresce,in ragione della non omogeneità dei criteri assuntiin tali decisioni.

The comment moves from the analysis of someimplementing regulations of the EuropeanCommission and of some recent decisions of theCourt of Justice on issues related to the indicationof the origin of food products, to try to identify con-ditions and operational junctions of the discipline.In the long-lasting debate between the institutio-nal and market actors, the question mainlydiscussed has been that of the legitimacy of natio-nal indications of origin.The theme, logically and systematically preordai-ned to it, of identifying the rules to establish the

origin of food products, processed or unproces-sed, remained to some extent in the background.This is a dating question which, even after theissue of Regulation (EU) no. 1169/2011 on theprovision of information on food to consumers,has not yet found a defined structure, and whichproposes unresolved questions, in a framework ofpersistent uncertainty.The work analyzes the (EU) ImplementingRegulation of the European Commission No.1337/2013 on the labeling of meat other thanbeef, and the (EU) Implementing Regulation ofthe European Commission 2018/775 on the indi-cation of origin of the ingredients, highlighting thecharacterizing elements and some contradictionsbetween the disciplinary choices made and thegeneral reference framework defined byRegulation (EU) No. 1169/2011 and theCommunity Customs Code.Three decisions of the Court of Justice are thenanalyzed: of September 2019 on the origin ofmushrooms grown in boxes in one country, expor-ted to another country within the cultivation boxesand harvested in the latter country; of November2019, on the origin of agricultural products obtai-ned in Palestinian territories occupied by Israelsince the 1967 war; and finally of October 2020,on the legitimacy or not of national rules on theindication of origin of food products.The conclusion of the analysis is that the uncer-tainty in the matter persists, and if possibleincreases, due to the non-homogeneity of the cri-teria adopted in these decisions.

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