q.b.quantobastaFVG ottobre 2011

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Ottobre 2011 - Autorizz. Tribunale di Trieste n. 1202 del 19 settembre 2009. Costo: € 1,50 quanto basta FVG GUSTO E BUONGUSTO NELL’EUROREGIONE RISTORANTI DA SCOPRIRE I VINI CONSIGLIATI NUOVE TECNOLOGIE NELLA CUCINA DI CASA SAPORI E RICETTE D'AUTUNNO GOOD PRICE € 0,50 HAPPY PRICE Tutte le irresistibili forme del cioccolato

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mensile di gusto e buongusto nell'euroregione ristoranti, cantine, prodotti, eventi Friuli Venezia Giulia

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gusto e buongusto nell’euroregione

RistoRanti da scopRiRe

i vini consigliati

nuove tecnologie nella cucina di casa

sapoRi e Ricette d'autunno

Good pRice

€ 0,50HAPPY

pRice

tutte le irresistibili forme del cioccolato

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Era il 14 ottobre 2009. Usciva il primo numero di q.b.quantobasta FVG, gusto e buongusto nell’euroregione. In copertina c’erano le immagini di Good. Per due anni abbiamo raccontato, con le nostre pagine allegate ai due principali quoti-diani regionali, di ristoranti, prodotti, vini, appuntamenti golosi. Nel frattempo è

arrivato il magazine on line, www.qbfvg.it, diventato ormai un quotidiano cliccatissimo e seguitissimo per la sua puntualità nell’informare e commentare liberamente e senza pregiu-dizi le molte forme del mondo dell’enogastronomia.

Ora accanto al web abbiamo deciso di scegliere un nuovo formato e nuove modalità di comunicazione con i lettori. Ci è sembrato che l’occasione di Good - due anni dopo - fosse il momento giusto! Un numero speciale di un magazine che crescerà con la collaborazione dei lettori, grazie ai loro commenti e ai loro suggerimenti. In una sinergia costante con il mondo della rete. Un luogo di aggregazione cartaceo e virtuale dove ospitare le opinioni di tutti, dai singoli cittadini dubbiosi sulle loro scelte cibesche o esperti gourmet che offro-no i loro consigli, agli esponenti di associazioni che lavorano per il territorio, nel mondo dell’agricoltura e dell’enogastronomia.

In quel primo numero di due anni fa il titolo del mio primo editoriale era “Polenta e kebab: i nuovi intrecci della nostra alimentazione”. Un titolo sempre di grande attualità, consi-derando le recenti polemiche su divieti (limitazioni) all’apertura di kebab e sushi restaurant. I commenti in proposito sulle nostre pagine facebook sono stati accesi, numerosi e tutto sommato saggi: dipende ancora una volta dalle nostre scelte individuali quello che vogliamo e/o possiamo mangiare. Alla base c’è sempre e prima di tutto l’esigenza di una seria edu-cazione alimentare. E di un atteggiamento di tolleranza anche culturale. Un argomento quello della contaminazione culinaria che non si declina trasversalmente solo fra est e ovest, ma anche fra cucina alta e bassa. Il mac Marchesi, il panino di uno dei maestri della cucina italiana distribuito al mac Donald è stato un altro degli argomenti che ha ottenuto più commenti sulla nostra pagina Facebook. Ricorda un po’ l’operazione vincente sul piano dell’immagine per la multinazionale quando ebbe come testimonial per i panini all’Asiago l’allora ministro Zaia (e noi su q.b. intervistammo l’assessore Violino con un titolo un po’ provocatorio “A quando il mc Frico?” A chi interessa, tutti i numeri arretrati del q.b. con tutti gli articoli sono disponibili in pdf sul sito www.qbfvg.it).

Nuove formule per il q.b. quantobasta FVG dunque. Per suggerire idee, innovazioni, collabo-razioni. In un’ottica di fiducia e ottimismo che è alla base della nostra linea editoriale. In questo numero troverete le storie emblematiche di alcuni giovani, da chi apre un ristoran-te di pesce in mezzo alle prosciutterie a chi decide di importare spezie, anticipando i trend o di valorizzare l’azienda di famiglia facendo rinascere addirittura una risaia. Ma accanto al nuovo c’è sempre la forza della tradizione consolidata. Da conoscere a fondo e valorizzare.

Fabiana Romanutti

tipografia Aggiungete voi

205 X 265 al vivo

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L’AMORE ALL’IMPROVVISOCucina per single e non solo

IL SOLE NEL PIATTOPasta e pesce di un giovane chef

IL VINO PER ALLEGRIACantina Skok dal cuore del Collio

LA FABBRICA DI CIOCCOLATOLa scommessa vincente di Zotter

SALUBRITà& SICUREZZALe cape a chilometri zero

ATTENTI A QUEI FUNGHIAcquisto, conservazione e cottura consapevoli

SOMMARIO

è tornato il pan di sorc   P.  6

Risotto sì,  ma con riso friulano  P.  7

Rombi d’ascesa   P.  10

Il riso della vita   P.  11

Una dispensa a cielo aperto  P.  12

Sievoli soto sal   P.  14

I sì e i no della vongola  coltivata   P.  15

Scrigni di meraviglie:  i molluschi bivalvi   P.  16

Un ristorante di pesce  nel cuore dei prosciuttifici  P.  18

Muffin alla zucca   P.  20

E’ tempo di boreto  (alla gradese è meglio)   P.  22

Cucina rivierasca semplice  e genuina   P.  23

Il ghiaccio e il vino   P.  24

Lieviti autoprodotti  by Feresin   P.  25

Skok e i vini  che fanno allegria   P.  26

L’Onav: assaggiare  per conoscere   P.  28

Wine blogger   P.  30

Il vino della memoria   P.  31

Il calendario 2012  P.  32

Cuoche a domicilio   P.  34

Il signore delle spezie   P.  36

Mattonella di sale  dello chef   P.  37

Tutto è racchiuso  in una tazza di cioccolato   P.  38

Cucina artistica e creativa.  Un amore all’improvviso   P.  39

Attenti a quei funghi   P.  40

Come conservare i funghi   P.  41

Raccogliere erbe per la cena   P.  43

Lezioni golose con la scuola  Mestoli e padelle   P.  44

Vasocottura   P.  46

Igiene e sicurezza in cucina   P.  47

Abbattitore domestico   P.  48

Autunno in Istria   P.  50

Ricette funghi  e castagne all’istriana   P.  51

San Martino: appuntamenti  P.  53

Caffè al sapor di Carinzia   P.  54

Il Laboratorio di Josef Zotter  P.  55

Bollicine del secolo scorso   P.  56

Pasticceria filosofica   P.  57

Espressionismo   P.  58

Letture da assaporare   P.  60

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è tornato il Pan di sorcImparate a prepararlo e regalatelo per Natale

Un pane dolce e speziato, ricco di  contaminazioni  d'oltralpe che  le  famiglie  del  gemone-

se preparavano per le feste ma che si consumava  e  regalava  in  particolare in occasione del Natale. Ogni famiglia di  questa  zona  lo  cucinava,  con  una propria  ricetta  che  però  prevedeva sempre di base una miscela di farina di mais (il sorc appunto), segale, fru-mento, fichi secchi. Qualcuno aggiun-geva anche uvetta e semi di finocchio. La cottura avveniva sempre nei  forni comuni dei paesi o presso i forni delle famiglie più abbienti. Spesso una par-te  del  pane  rimaneva  al  proprietario del forno, in vendita o come compen-so; gli altri pani erano consumati nella festa oppure dati  in dono ai bambini per Natale.Poteva essere dolce o salato, e lo si ac-compagnava anche ai ai salumi. Essic-cato, veniva inzuppato nel latte. Il pan di  sorc  è  una  pagnotta  rotonda  alta pochi centimetri e con la crosta molto scura e fragranteche  fa  da  contrasto  con  la  mollica gialla e dal caratteristico aroma di po-lenta. I cereali erano coltivati in loco: segale, frumento tenero e tanto mais, di varie tipologie e di vari colori: tutti accomunati da una caratteristica: svi-lupparsi e maturare in 50 giorni e per 

questo  detti  cinquantini.  In  questo modo riuscivano a svolgere il ciclo vi-tale completo anche in una zona poco calda  e  piovosa  come  il  gemonese. L'Università  di  Udine  ha  avviato  per questo  nuovo  Presidio  di  Slow  Food un  lavoro  di  selezione  e  caratteriz-zazione  di  questi  mais,  partendo  dal materiale  genetico  reperito  in  loco. L'Ecomuseo delle Acque del Gemone-se ha avviato da alcuni  anni un pro-getto di recupero della filiera del pan di sorc, riproponendone il consumo e la vendita. Considerandolo non solo un prodotto alimentare tradizionale, dal-le elevate caratteristiche qualitative e di tipicità, ma un vero e proprio «bene culturale»  da  proteggere  e  riqualifi-care sul mercato per contribuire alla valorizzazione  della  cultura  locale. Con un progetto ambizioso, che punta a pratiche di sviluppo rurale incentra-te  sulla  sostenibilità  ambientale,  con l'organizzazione  di  una  rete  di  "con-servatori" che si  impegnino a preser-vare parte del germoplasma presente a livello locale e l'ottimizzazione delle pratiche agricole attraverso la rotazio-ne e la successione delle colture. Una filiera agroalimentare di raccordo tra produttori,  trasformatori e consuma-tori  volta  anche  alla  riqualificazione del paesaggio.

Depositario della ricetta originaleDomenico Calligaro, fornaio per cinquant’anni a Buja

I SALUMI DI CARNIA S.R.L.unipersonaleVia Guart di Luincis ,34 - 33025 Ovaro UD

www.isalumidicarnia.it - [email protected]

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RISO DEL PARADISO

risotto? sì, ma con riso friulano!Un semilavorato ideale per la mantecatura che è già entrato nel Guinness dei primati

Dite  riso  e,  se  siete  diversa-mente  giovani,  pensate  su-bito  alle  mondine,  a  Vercelli 

e Novara; se siete cinefili vi ricordate di Silvana Mangano in Riso amaro (i più giovani magari alla parola riso ag-giungono  l’aggettivo  cantonese,  che mangiano nei ristoranti etnici). Dite riso e con molta difficoltà vi ver-rebbe in mente il Friuli come produt-tore.  E  invece.  C’è  un  Vialone  nano che sta  facendo rivivere antichi  fasti alle  risaie  che  fino  agli  anni  ’50  si trovavano  nella  zona  delle  Risorgi-ve. Oggi a Pocenia, località Paradiso, accanto  a  Villa  Caratti,  è  attiva  una 

risaia  e  si  produce  il  riso.  è  già  sta-ta fatta la prima raccolta e il riso è in vendita!  Paradossalmente  l’abbiamo scoperto sul finire dell’estate quando a Sappada  si  è  celebrato  il Guinness dei  primati  per  il  risotto  più  grande del mondo.  Ebbene,  il  riso di  questo risotto veniva dal Friuli, dall’azienda di  Domenico  Fraccaroli.  Domenico  - già  il  nome  parla  di  cose  solide  e  di antichi  valori  in  un  mondo  di  Kevin e Samanthe - ha trentadue anni, si è laureato a Udine in Tecnologie Agra-rie e da sei anni vive e lavora a Para-diso. Certo, viene da una famiglia che nel  Veronese  produce  vini  e  oli,  ma la  scelta  di  dedicarsi  al  riso  e  di  far crescere l’azienda è tutta sua (Dome-nico Fraccaroli, il nonno ovviamente, diede inizio alla coltivazione di viti in Friuli nel 1958). “Il riso, il cereale con meno grassi, ci spiega Domenico negli accoglienti locali della frasca annessa all’azienda agricola, può essere suddi-viso  in  quattro  varietà  fondamenta-li:  comuni,  semifini,  fini  e  superfini. Il  Vialone  Nano  che  produciamo  in azienda  è  un  semifino,  con  chicchi di media  lunghezza  dalla  forma  ton-deggiante.  Un’altra  classificazione importante distingue i risi come clas-sici, semi lavorati e integrali non sulla 

Fabiana Romanutti

base della loro varietà, ma in funzione della loro lavorazione. Quello classico è  sottoposto  a  numerosi  processi  di lavorazione  per  eliminarne  tutti  gli strati  esterni,  mentre  nell’integrale si estrae il chicco dal suo rivestimen-to  più  esterno,  mantenendo  intatti gli  altri  strati.  Questa  differenza  ha delle  conseguenze  significative  nei valori nutrizionali e di sali minerali e anche nei tempi di cottura. Il motivo della grande diffusione di riso con la lavorazione classica sta nel  fatto che con l’asportazione di più strati il chic-co assume un colore molto più bianco e  più  accattivante  per  le  vendite… 

Il  riso Domenico Fraccaroli  è un  se-milavorato che permette di avere un contenuto più alto  in vitamine e sali minerali rispetto ai risi a lavorazione classica. Il tempo di cottura è legger-mente superiore rispetto ai risi comu-ni (13-15 minuti). Una varietà  ideale per risotti mantecati”. La  mia  filosofia  aziendale,  ci  spiega ancora il giovane titolare, è di far ve-nire le persone in azienda a conoscere il prodotto. Per questo tre giorni alla settimana, il mercoledì, giovedì e ve-nerdi  facciamo  degli  incontri  in  cui serviamo gratuitamente del risotto a chi viene a degustare i nostri vini. 

Il costo del calice è 0,60 euri, ed è  possibile  comprare  il  vino  sfu-so di nostra produzione, il mede-simo  che  mettiamo  in  bottiglia per  1  euro  al  litro”  (sì  avete  let-to bene,  1  euro  al  litro!).  In più, aggiungiamo,  si  trovano notevoli vini  dei  Colli  Euganei  dell’azien-da  di  famiglia  a  prezzi  davvero competitivi:  abbiamo  visto  sullo scaffale un Amarone a 18,50 euri.

INFO

Domenico FraccaroliVia S. Ermacora - Paradiso di Pocenia Tel. 0432 777455La frasca è aperta tutti i giorni,  tranne il lunedì, dalle 10 alle 12.30  e dalle 16 alle 21.

LA RICETTA

RISOTTO allo ZENZERO

X 4 persone:

320 g riso "Domenico Frac-

caroli", 1 cipolla piccola, 2

cucchiai d'olio extravergine,

70 g di zenzero grattugiato,

200 g di stracchino, brodo ve-

getale, 4 rametti di magiorana

Affettare molto fine la cipolla

e farla soffriggere dolcemente

in una casseruola con l'olio, se

necessario aggiungere un po’

di brodo bollente mescolando,

portare avanti la cottura aggiun-

gendo poco brodo alla volta. Nel

frattempo grattugiare lo zenzero,

aggiungerlo al riso verso metà

cottura e continuare versando

poco brodo e mescolando sem-

pre. Fermare la cottura al dente

e con il risotto abbastanza soste-

nuto. A fuoco spento aggiungere

lo stracchino e mescolare con

cura per amalgamare il tutto.

Impiattare guarnendo ogni piatto

con un rametto di maggiorana e

servire.

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BERREttI BIANChI

il riso della vitaUn cereale che sposa le stagioni, la religiosità e il tempo della vita

rombi d’ascesa

GERmano Pontoni

maRta omERo

In questo momento di congiuntu-ra, economica e non solo, che io definisco  ricerca  di  umanesimo 

del terzo millennio si  inizia a notare che torna l’esigenza dello stare assie-me,  confrontarsi  e  comunicare,  alla ricerca di una parola amica e perché no,  di  scambiarsi  un  sorriso…  Fino all’altro ieri davamo del matto quan-do  una  persona  cantava  durante  il lavoro o  le  faccende domestiche. Un modo  di  fare  andato  a  scomparire intorno agli anni ‘50 e ‘60 dello scor-so  secolo,  come  il  riso,  di  cui  anche nella  nostra  regione  facevamo  largo uso.  Ricordo  con  nostalgia  il  perio-do  in  cui  con gli  allievi delle Scuole Alberghiere  Regionali  abbiamo  pub-blicato  con  la  firma  Associazione Cuochi  della  Provincia  di  Udine  Un volumetto titolato un “SORRISO PER L’ESTATE” per raccogliere fondi a fa-vore della  “Via di Natale” di Aviano. Nel titolo ci sono più riferimenti. Un Sorriso per le persone ammalate, un Sor-riso  nelle  ricette  proposte  come ricchezza e come qualità del riso usa-to. Insomma lode al riso e al vivere in amicizia.Non sempre il riso in “bianco” è indice di povertà o dietetico: se il condimen-to era un cucchiaino di burro di latte-ria  turnaria  e  un  cucchiaino  di  Lat-teria grattugiato ecco che diventava 

mangiare da Signori.  Il  riso sposa  le stagioni e la religiosità: in Quaresima con ortaggi  invernali e pesci o  fega-tini di pollo, in primavera-estate con carni bianche, colori dell’orto e pesci di mare o di  acqua dolce,  abilmente sfilettati e trasformati in gustose da-dolate,  in  autunno  con  i  colori  delle zucche  o  abbinati  a  carni  sapide,  e selvaggina di laguna, maiale, verza in brodo per le maialate d’inizio d’anno. Ma  il  riso  accompagna anche  le  sta-gioni della vita: dalla prima infanzia con  le  cremine  di  riso,  nella  scuo-la  primaria  con  risi  che,  con  i  nomi più  fantasiosi  vengono  proposti  da cuoche  mamme  che,  sapientemente con gusti e colori, attirano dapprima l’attenzione e poi stuzzicano il gusto e l’appetito. Risi con spezie, al curry, per giovani che amano la cucina etni-ca e via, via fino all’età degli incontri amorosi, cene al lume di candela con risotti impreziositi da bollicine. C’era in  Friuli  l’usanza  per  i  viandanti  e ospiti che durante la notte di Natale bussavano  alla  porta,  di  offrire  riso e  latte preparato con cura,  lo stesso riso e latte che le persone in età avan-zata  gradiscono  in  tutti  i  pasti  della giornata. Il riso è tutto, e come dice la pediatra Teresa De Monte nel suo ul-timo libro, il riso è amore per il nostro organismo e per la salute del mondo.

“Il riso è amore per il nostro organismo e per la salute del mondo”

Concluso  il  centenario  del  Futurismo,  resta  valida questa ricetta di risotto, che vi proponiamo in pa-gina, una delle tante create all’epoca. è nota infatti 

l’avversione di Filippo Tommaso Marinetti e della cucina futurista  nei  confronti  della  pastasciutta  “alimento  ami-daceo” e "assurda religione gastronomica italiana" che dà "fiacchezza,  pessimismo,  inattività  nostalgica".  Sì  invece al riso, florida coltivazione bandiera di italianità. Con ine-diti  abbinamenti  lontani  dal  "quotidianismo  mediocrista". Da sottolineare che già allora, accanto alle rivoluzioni nel campo della pittura, dell'architettura, della letteratura, in primo piano c’era  la  cucina. Provocatoria,  innovativa,  in-consueta. Era il 28 dicembre 1930 quando il quotidiano to-rinese “La Gazzetta del Popolo” pubblicò a piena pagina il manifesto della cucina Futurista di Marinetti. In un’epoca in cui non solo ci si accontentava di poco, ma in cui l’indu-stria alimentare, a parte pochissime marche, era a livello artigianale. Alcuni  dei  suggerimenti  di  Marinetti  per  ricette  che  ap-parivano  rivoluzionarie,  ma  in  realtà  erano  spesso  tratte da indicazioni rinascimentali, sono diventati poi prassi co-mune, dall’integrazione dei cibi con additivi e conservanti all’adozione in cucina di strumenti tecnologici per tritare, polverizzare ed emulsionare. Il cuoco precursore della cu-cina  futurista,  si  legge  su  Taccuini  storici,  fu  il  francese Jules Maincave, che nel 1914, annoiato dai «metodi tradi-zionali delle mescolanze... monotoni sino alla stupidità», si ripropose di «avvicinare elementi separati da prevenzioni senza  serio  fondamento:  filetto  di  montone  e  salsa  di gamberi, noce di vitello e assenzio, banana e groviera, aringa e gelatina di fragola. I principi del futurismo a tavola, accanto a nuovi mix e sperimentazioni con bocconi  simultanei  che  contenessero  dieci,  venti sapori  da  gustare  in  pochi  attimi,  consideravano l'abolizione  dell'uso  della  forchetta  e  del  coltello "per i complessi plastici che possono dare un piace-re tattile prelabiale"; suggerivano l'uso dell'arte dei profumi  per  favorire  la  degustazione  e  molto  altro ancora. 

LA RICETTA

Riso alla Marinetti

Mondate e tritate finemente

una cipolla, quindi

fatela appassire in

una casseruola con

tre cucchiaiate d’olio

d’oliva. Aggiungete del

riso e a fiamma vivace tostatelo

per alcuni minuti ed infine sfumatelo con

del vino bianco.

Proseguite la cottura del riso aggiungendo

di tanto in tanto del brodo bollente. Nel

frattempo, per il condimento, riducete a

filettini sottili la buccia di mezza arancia

che sbollenterete in un pentolino con

acqua e aceto.

Mettete poi a riscaldare del sugo di arro-

sto, allungato con del marsala, del rum e il

succo di mezza arancia. Lasciate sobbol-

lire il sughetto e togliete dal fuoco il riso

al dente.

Servite disponendo nei piatti di portata il

riso cosparso del condimento con sopra i

filetti d’arancia adagiati a cascata.

I futuristi si  impegnarono a  italianizzare  alcuni  termini  di 

origine straniera: il cocktail divenne la "poli-bibita" (che si poteva ordinare al "quisibeve" e non al 

bar),  il  sandwich prese  il nome di  "traidue",  il dessert di "peralzarsi" e il picnic di "pranzoalsole". Il successo maggiore di 

pubblico e stampa i futuristi lo ebbero con gli “aerobanchetti”: me-morabile quello organizzato a Bologna nel ’31. Niente tovaglia, sosti-tuita da foglie di alluminio e piatti di metallo. Tavola a forma di aereo, con al centro delle due appendici raffiguranti le ali, una motocicletta come motore. Dopo la portata “aeroporto piccante” (insalata rus-

sa), venne servito “rombi d’ascesa” (risotto con arancia, di cui vi forniamo ricetta). Come carburante  lambrusco, travasato  in 

latte da benzina.

aERobanchEtti

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Scadono in questi giorni i termini di partecipazione ai  bandi  per  l’assegnazione  di  40  lotti  disponibili nei due nuovi orti urbani in corso di realizzazione 

in via Zugliano a Sant’Osvaldo e  in via Pellis a Paparotti nel  comune di Udine. La durata della  concessione passa da uno a tre anni. “Un arco temporale più ampio che per-metterà di raggiungere meglio gli obiettivi di aggregazione sociale e di  sensibilizzazione sui  temi della  salvaguardia e della riqualificazione del territo-rio comunale”. La notizia sta a nostro parere pro-prio  nella  rinascita  degli  orti  ur-bani in una funzione di socializza-zione e di necessità di  risparmio, di hobby e desiderio di consumare prodotti visti crescere sotto i pro-pri  occhi.  L’orto  torna  di  moda  e non  solo  come  mera  espressione verbale di richiamo bucolico (non si sono mai visti tanti prodotti che si rifanno all’orto verde come in questi anni). Sugli orti urbani in rapporto alla vite e alle vecchie viti ha scritto un interessante pezzo Roberto Cipresso,  l’enologo che con Bisol, nell’isola di Mazzorbo sta facendo rinascere la Dorona un vitigno storico autoctono (ne abbiamo scrit-

ORtI URBANI

una dispensa a cielo apertoto  nel  numero  di  q.b.  del  10  maggio  2011).  “A  un  primo sguardo gli orti appaiono come una dispensa a cielo aper-to,  angoli  di  campagna  -  in  qualche  caso  rigorosamente disciplinati,  in  altri  magari  lasciati  a  se  stessi  ed  un  po’ decadenti - ricavati in aree più o meno nascoste di paesi e città, a ridosso di case, muri e cortili. Il loro valore, comunque notevole anche considerando sol-tanto il loro ruolo storico, sociale ed estetico, risulterà no-

tevolmente amplificato qualora si osservino un po’ più attentamen-te, e si valuti l’immensa ricchezza che offrono quali centri di raccol-ta e di conservazione di materiale genetico e biodiversità. è proprio negli  orti  infatti  che  riusciamo ancora  a  trovare  l’antica  varietà locale  di  pomodoro  da  condire dalla  polpa  consistente,  succosa, e dal sapore antico, che ricorda la 

nostra infanzia, e che al supermercato da tempo non è più reperibile, per leggi e regole che spesso sfuggono alla no-stra comprensione. Ed è ancora negli orti che troviamo la susina dalla forma strana e dal colore poco invitante, che sappiamo essere di gran lunga più dolce e ricca di sapore della prugna lucida a disposizione del consumatore”.

silvaneer o ZinfanDel?RobERto ciPREsso

Agli inizi del 1800, un nobile della

Vienna asburgica, per sdebitarsi di un

servizio reso, fece dono di una grande

quantità di viti della varietà precoce Cr-

ljenak – originariamente coltivata in Dal-

mazia, ma anche in serra nella capitale

dell’impero asburgico per la produzione

di uva da tavola – ad alcuni frati fran-

cescani in partenza per le Americhe con

la missione di evangelizzazione della

California; e fu così che queste barba-

telle giunsero nell’orto della chiesetta

della comunità rurale di Nuestra Senora

la Reina de Los Angeles, e fu ad esse at-

tribuito il nome sbagliato di Silvaneer, la

varietà più diffusa tra i vitigni austriaci,

che poi divenne Zinfandel.

Anche la storia di questo vitigno,

orgoglio e bandiera della viticoltura

americana, vede quindi il suo punto di

partenza proprio negli orti e nella col-

tivazione destinata a semplici e piccole

comunità. Sono vicinissimo al progetto

promosso da Città del Vino in merito

all’esplorazione del materiale genetico

presente negli orti di Siena, al punto che

circa 10 anni fa, proprio allo scopo di

verificare con prove di vinificazione e

micro vinificazione i risultati di indagini

anche di questo tipo, ho dato vita alla

mia cantina del Winecircus, una sorta

di laboratorio nel quale poter condurre

liberamente le attività di ricerca e le

sperimentazioni che più mi appassio-

nano.

Sono infine fermamente convinto

che il vero messaggio di novità e di

freschezza che stiamo cercando sia da

perseguire non nel mero recupero di ciò

che ci viene imposto dalla tradizione,

bensì esplorando, tra le cose antiche, gli

elementi più validi, veri e preziosi.

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Con la parola Cefalo spesso si indica la generica famiglia dei Mugilidi che però è rappresentata nel Golfo di Trieste da 5 specie diverse

siEvoli sotto salLa storia e la cucina dei pesci conservati

Giuliano oREl, auRElio ZEntilin

Parliamo  di  Cefali  o  Sievoli (nel  dialetto  istro-veneto)  o Cieul  (in  friulano)  che  sono 

tra le specie ittiche le più diffuse ed apprezzate in tutto il mondo.L'apprezzamento  deriva  dall'eccel-lente  qualità  delle  carni,  dalla  ab-bondante  disponibilità  e  dalla  rela-tiva  facilità  di  cattura  realizzata,  a volte,  con  metodi  molto  ingegnosi  e coinvolgenti come la Trata in Istria o la Canara nelle Lagune Venete.Con  la parola Cefalo spesso si  suole indicare la generica famiglia dei Mu-gilidi  che  però  è  rappresentata  nel Golfo di Trieste da 5 specie diverse. In  generale  tutti  i  cefali  mostrano una  forma  affusolata  e  ben  propor-zionata, molto idrodinamica e quindi adatta al nuoto.Tradizionalmente i pescatori di Gra-do  e  di  Marano  Lagunare,  ma  non solo,  usavano  preparare  i  Sievoli soto sal. Quando la pesca estiva era abbondante,  i  pescatori  pulivano  i 

cefali, solo sventrandoli e squaman-doli se di piccole dimensioni, oppure aprendoli  “a  cotoletta”  (Spacai)  se di dimensioni maggiori e li metteva-no in vasi di coccio disponendoli, ben serrati, a strati, con sale grosso alter-nato tra uno strato e l’altro. Quando il recipiente era pieno veniva coperto con un coperchio sopra il quale si po-neva un peso e lo si teneva a matura-re per due-tre mesi durante  i  quali, nei primi tempi di maturazione, i ce-fali, per effetto osmotico, cedevano il loro liquido che veniva allontanato e rabboccato  con  nuova  soluzione  sa-lina (Salamoia), costruita scioglien-do in acqua tiepida circa 300 grammi di sale ogni litro d’acqua. A  maturazione,  alla  bisogna,  i  Sie-voli  venivano  tolti  dal  sale  e  dopo averli lasciati una notte in un catino con  acqua  dolce  venivano  preparati in Saor o semplicemente conditi con olio e aceto. Potevano anche essere lessati assie-

me a cipolla,  sedano,  carota e qual-che foglia di alloro e successivamen-te conditi con olio e aceto. Ma la vera ghiottoneria erano i Sievoli sotto sal che,  dopo  essere  rimasti  per  una notte in ammollo in acqua dolce, ve-nivano impanati con farina bianca e fritti.Il Sievolo frito acquista la consi-stenza e il colore di un biscotto salato e tostato che ne faceva la gioia dei più piccoli affamati bimbi dei tempi andati e oggi è prefetto come piacevole aperi-tivo nei pochi  ristoranti che attual-mente  stanno  riscoprendo  questo antico modo di conservare, piuttosto che di preparare, i Sievoli.I Sievoli sotto sal sono uno dei 144 preziosi  prodotti  agroalimentari del  Friuli  Venezia  Giulia  individuati dall’ERSA,  agenzia  regionale  per  lo sviluppo rurale ed inseriti nel Nuovo Cibario del Friuli Venezia Giulia. At-lante dei Prodotti della Tradizione.

1. SI.    In negozio acquistate le vongole sempre in con-fezioni integre e con la loro etichetta.

2. NO.    In  negozio  non  acquistate  le  vongole  se  sono aperte e non si chiudono. 

3. SI.    A  casa  conservate  le  vongole  in  frigorifero, mettendole nella loro confezione, in una terri-na e coprendole con un coperchio

4. NO.    A casa non metterle a spurgare in acqua, sono già state depurate.

5. SI.   A  casa,  se  ben  conservate,  le  vongole  posso-no  essere  consumate  entro  2,3  tre  giorni.  At-tenzione:  per  i  Molluschi,  nell’etichetta  non  è riportata  una  data  di  scadenza  ma  la  data  di confezionamento.  Fra  il  tempo  impiegato  dal momento  dell’acquisto  alla  preparazione  non dovrebbero trascorrere più di 4-5 giorni.

6. NO.    A casa non è necessario fare una provvista di vongole perché si trovano fresche tutti i giorni presso i vostri punti di acquisto.

DODECALOGO

i sì e i no sulla vongola “coltivata” friulana

7. SI.    A casa, prima della  cottura,  le  vongole vanno semplicemente  risciacquate  sotto  l’acqua  cor-rente, eliminando quelle rotte.

8. SI.    A casa le vongole vanno consumate previa cottura.

9. NO.    A  casa,  dopo  la  cottura  non  aprire  le  vongole che restano chiuse ma eliminarle dalla padella.

10. SI.    A  casa  se  ne  rimangono  dopo  il  consu-mo,  pulitele,  raccogliete  il  frutto  e  assie-me  al  liquido  di  cottura  conservatele  nel congelatore…  ma  non  troppo  a  lungo.  Potranno servire per preparare uno spaghetti alle vongole.

11. SI.    Preferite le vongole e i molluschi del Friuli Ve-nezia Giulia perché sono vostri  vicini di  casa, sono del vostro territorio e a km 0.

12. SI.    Fidatevi delle vongole perché sono controllate e sono un prodotto certificato.

Le VONGOLE ALLEVATE o COLTIVATE (ed in generale tutti  i molluschi di allevamento) SONO “UGUALI” A QUELLE PESCATE PERCHè SI NUTRONO DI QUELLO CHE MADRE NATURA OFFRE e cioè di fitplancton, le microscopiche alghe unicellulari presenti nelle acque marine e lagunari.

Ecco alcune semplici “regole” per poter gustare con tranquillità e consapevolezza questi squisiti “scrigni del mare”:

Page 9: q.b.quantobastaFVG ottobre 2011

l’unicità e la freschezza delle vongole del FRiuli veneZia

giulia della filiera pma Fvg sono da abbinare con un

Friulano ma anche con una malvasia istriana.

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quanto basta fvg

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quanto basta fvg

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sCrigni Di MeraviglieI molluschi bivalvi tra orgoglio e pregiudizio: la salubrità delle capetonde

auRElio ZEntilin

Anche  in  Friuli  Venezia  Giu-lia  le  “càpe”(in  veneto)  o “lis càpis”  (in  friulano)  ov-

vero  i molluschi bivalvi e  il  loro uso in  cucina  era  considerato,  in  tempi non molto lontani, riservato ai poveri poiché erano molto abbondanti nelle numerosissime specie, non richiede-vano l’uso di grandi fuochi ed erano disponibili anche in inverno, quando il resto del pesce soggiorna nelle ac-que più profonde e calde del Golfo di Trieste.Nel  contempo,  il  consumo  di  alcu-ne  specie  era  però  percepito  come molto  rischioso  in  quanto,  se  i  pro-dotti  non  erano  “freschi”  e  vivi,  o se  venivano  raccolti  in  certe  aree  e in  condizioni  sfavorevoli,  potevano provocare problemi di salute di varia gravità.  Questo  dualismo  tra  illimi-tata  disponibilità  di  risorse  a  basso costo e la loro potenziale pericolosità è caratteristico di tutte  le comunità costiere di tutti i mari del pianeta.La  cattiva  “nomea”  di  cui  godono  i 

molluschi  bivalvi  e  in  particolare  il Mitilo  o  Cozza  (Mytilius gallopro-vincialis)  e  alcune  specie  lagunari di  cui  il Cuore o Capatonda  (Cera-stoderma glaucum)  è  l’esempio  più eclatante,  è  da  ricercare  in  un insieme  di  caratteristiche peculiari  della  specie  ed all’impreciso  stato  delle conoscenze e dell’igiene che fino a qualche anno addietro regnava anche dalle nostre parti. Lo  sversamento  diretto di  acque  spesso  contami-nate  da  batteri  fecali  nei  corpi  idri-ci  (laghi,  fiumi,  lagune  e  mare),  la presenza  dei  banchi  di  molluschi  in vicinanza degli scarichi, la loro facile accessibilità  di  raccolta  e  la  scarsa conoscenza  delle  dinamiche  di  pre-venzione sanitarià permetteva scam-

bi e contaminazioni molto  frequenti e veloci fra organismi patogeni, l’ali-mento molluschi e  le popolazioni ri-vierasche.Anche leggendo la storia della fortez-za di Marano Lagunare (Ud) si evin-ce che periodicamente la popolazio-ne  veniva  decimata  da  epidemie  di morbus Cholera, di bacillo virgola e  di  tifo,  all’interno  di  un’area  dove inoltre regnava endemica la malaria. Tradizione vuole che all’epidemia del 1635 siano scampate solo 17 anime di sesso maschile le quali, una volta ri-stabilitesi, si diressero con le batele a remi alla volta di Grado per rapire altrettante  màmole (fanciulle)  da portare  a  Marano  per  ricostruire  la comunità falcidiata.

L’ultima epidemia, causa-ta da tifo, è stata regi-

strata  a  Marano  nel 1955  dove  180  per-sone  furono  ricove-rate  in  Ospedale  a Palmanova e,  fortu-

natamente, si è risol-ta senza alcuna perdita. 

Una  targa  votiva  di  ringraziamento, ubicata  nel  santuario  della  Beata Vergine  della  Salute,  ricorda  anco-ra  oggi  questo  fatto.  Ancora  oggi, nell’immaginario collettivo della po-polazione  di  Marano,  le  Capetonde sono sinonimo di tifo.

la canzone di molly malone:

capetonde e Peoci

Questo tipo di problematiche sono però comuni in tutte le popolazioni che ne fanno uso. Una curiosa analogia con le storie friulane la si può trovare in 

una famosissima ballata irlandese The song of Molly Ma-lone (la canzone di Molly Malone) conosciuta anche come Cockles and Mussels (Capetonde e Peoci). Questo canto funebre  narra  di  una  pescivendola  del  XVIII  sec.  (quasi certamente una figura storica) che morì durante una epi-demia di colera che periodicamente devastava anche Du-blino. La ballata di Molly Malone dice più o meno così:

Nella serena città di Dublino dove le ragazze sono così carine un tempo viveva una fanciulla chiamata la dolce Molly Malone e spingendo il suo carretto con le ruote attraverso i vicoli larghi e stretti gridava “cappetonde e peoci vivi, vivi OH!”

Molly Malone morì per febbre, nessuno poté salvarla e quella fu la fine della dolce Molly Malone.

Ora è il suo fantasma che spinge il suo carret-to attraverso i vicoli larghi e stretti gridando “capetonde e peoci vivi, vivi OH!”

Traduzione di L. Scala

la sicurezza per i consumatori

Ovviamente oggi la situazione è totalmente evoluta e tutti i molluschi coltivati o pescati in mare e in laguna, Capetonde e Peoci compresi, per precise 

norme igienico sanitarie emesse dai Regolamenti Comuni-tari e recepite dal Ministero della Salute, prima di essere messi in commercio per il consumo, devono essere control-lati sin dall’inizio della filiera produttiva, depurati (laddove necessario) in centri di depurazione (CDM) autorizzati ed ancora ricontrollati, confezionati ed etichettati in centri di spedizione (CSM) anch’essi riconosciuti e codificati con un numero  CE.  L’etichetta  che  deve  essere  apposta  ad  ogni confezione non deve essere asportabile e deve contenere tutte le informazioni che possano permettere al consuma-tore di sapere quale specie sta acquistando, da quale zona proviene, come è stata prodotta, quando è stata confezio-

nata e da quale centro di spedizione l’alimento è par-tito. L’etichetta è quindi la carta di identità che ac-

compagna l’alimento e permette l’individuazione delle  diverse  fasi  di  lavorazione  (tracciabilità). Onde evitare poi i possibili rischi di incorrere in spiacevoli conseguenze di tipo gastro-intestina-le, i molluschi vanno consumati cotti.

Cape in scotadeoFar aprire le vongole su un tegame basso con coperchio a

fuoco moderato, senza aggiungere acqua, con aglio tagliato

a pezzi, olio extra-vergine di oliva e un pizzico di pepe nero.

Alla completa apertura delle vongole aggiungere una mancia-

ta di prezzemolo e servire.

e oRa QualcHe Ricettina Facile Facile

Spaghetti con le CapeFar aprire i bivalvi su un tegame basso con coperchio, senza

aggiungere acqua, a fuoco moderato con aglio tagliato a pez-

zi, olio extra-vergine di oliva ed un pizzico di pepe nero o un

po’ di peperoncino. A parte, cuocere gli spaghetti al dente e

dopo averli scolati farli saltare nel tegame con i molluschi.

Prima di servire, aggiungere una manciata di prezzemolo ed

un po’ di pane grattugiato. Suggerimento: Il sugo può essere

fatto con tutti i molluschi bivalvi e si possono aggiungere

anche pomodori per una spaghettata “in rosso”.

Zuppa di patate di terra e patate di mareLessare 6 patate, pelarle e passarle al mixer assieme a brodo di

pesce o brodo vegetale fino a ottenere una purea semiliquida.

In una padella larga mettere dell’aglio tritato, olio extra vergi-

ne di oliva, poco prezzemolo, aggiungere 1 kg di vongole, una

spruzzata di vino bianco e farle aprire a fuoco vivace per 4-5

minuti coprendo la padella con un coperchio. Sgusciare e tenere

al caldo i frutti avendo l’accortezza di conservare 3 o 4 vongole

con le valve per guarnire ogni piatto. Recuperare il liquido di

cottura delle vongole filtrandolo ed amalgamarlo con la purea.

Incorporare alla minestra le vongole sgusciate ed aggiustare di

sale e pepe. Il piatto, da mangiare ovviamente con il cucchiaio,

può essere completato con crostini di pane abbrustolito.

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<  gusto e buongusto nell’euroregione

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18 gusto e buongusto nell’euroregione  >

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AI SAPORI

un RistoRantE di PEscE nEl cuoRE dEi PRosciuttiFici

I giovani che ci piace conoscere: hanno meno di 75 anni in tre!

Fabiana Romanutti

Giulia  Plos,  la  titolare,  che  si occupa del bar e del servizio in sala. Stefano Comello, chef 

(triestino di origine, ma ormai natu-ralizzato  friulano),  Nicola  De  Cecco, addetto  ai  vini  (e  a  tutto  quello  che serve) e compagno di vita di Giulia. In tre non raggiungono i 75 anni. Sono i tre giovani che hanno creato il risto-rantino Ai Sapori, protagonisti a buon diritto della rubrica “I giovani che ci piace conoscere”. Il posto ce  l’ha segnalato un giovane amico di Facebook, Angelo Bortoluz-zi,  che  si diletta di  infusi  e  sogna di fare il distillatore. Il Bar Ristorantino ai Sapori si trova a Villanova, frazione di  San  Daniele  del  Friuli.  Lo  vedete subito sulla strada. è un locale tutto nuovo ma realizzato con quell’elegan-za informale che vi dà subito un gran-de  senso  di  accoglienza  e  ospitalità. Un  ambiente  curato  e  accogliente, dall’arredamento  chiaro  luminoso, dove  la  cortesia  è  di  casa.  Il  risto-rantino  Ai  Sapori,  (ristorantino  sup-poniamo  si  riferisca  alle  dimensioni ridotte,  massimo  25-30  posti  all’in-terno, non certo alla qualità) è strut-turato  “alla  vecchia  maniera”  come le trattorie di una volta che si aprono 

sul bar (aperto dalle 9. 30 alle 15, vi si  servono  gustose  polpette,  fette  di frico, ma anche crostacei in forma di lecca  lecca.  E  ottimi  vini  al  calice). La sfida è stata quella di differenziar-si dagli altri  locali della zona, spiega Giulia, una  laurea alle spalle e  tanta voglia di mettersi alla prova anche se gli orari, si sa, sono abbastanza fatico-si, ed ecco allora la scelta di proporre un menù soprattutto a base di pesce (a  disposizione  comunque  anche  al-ternative per gi amanti della carne), in combinazioni nuove e gustose. An-che  un  semplice  polpetto  su  letto  di patate  al  Friulano  con  porcini  crudi in olio alle erbe, diventa un piatto da gourmet.Ottimo anche il branzino con olio, sali e  scorza  di  limone,  che  abbiamo  gu-stato  accompagnato  da  un  Toblar  di Specogna. In menu erano assai tenta-tori un San Pietro con fiori di zucca, mostarda, aromi di vaniglia e cannel-la, il tonno all’arancio, il cartoccio con calamaretti e formaggi. Insomma  c’è  di  che  scegliere  e  an-che  all’ora  di  pranzo,  quando  ci  sia-mo andati, c’erano i tavoli quasi tutti occupati.  Supponiamo  quindi  che  la sera sia un locale che sta diventando 

di  tendenza.  Apprezzato  anche  per i  prezzi  contenuti.  “La  materia  pri-ma è sempre di altissima qualità e  il pesce  è  sempre  abbinato  a  prodotti di  stagione”,  ci  racconta  il  giovanis-simo  chef,  triestino,  che  ha  fatto  le sue  prime  esperienze  da  Skabar,  poi 

in  vari  ristoranti  importanti  con  ca-tering  di  alta  gamma.  “Ho  sempre desiderato  cucinare  e  in  particolare il pesce”, ci  racconta Stefano Comel-lo, che da Trieste veniva ogni giorno a  Udine  a  studiare  allo  Stringher.  A sentirlo,  vi  sembra  strano  che  abbia 

tutta quell’esperienza alle spalle, ma, ci dice “ho cominciato a lavorare a 14 anni!” Sua l’idea di un piatto davvero scenografico: il sole, con pasta di Gra-gnano farcita con spuma di branzino e  scampi,  con  salsa  ai  calamaretti  e verdure di stagione.

Ristorantino ai SaporiVia Giacomo Bernè, 33  San Daniele del Friuli

Telefono: 0432 95 30 25Giorno Chiusura: domenica

Coperti: 25-30 posti (esterni 20)Prezzo medio: 25, 30 euri

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ingredienti:

350 g di farina, 200 g di

zucca, 60 g di zucchero

bianco e 60 g di zucchero

di canna, 3 uova, 150 g di

burro, 1 bustina di lievito

per dolci, 100 ml di latte, 1

cucchiaio di cannella, 3 cuc-

chiaini da caffè di zenzero

in polvere, un po' di noce

moscata

preparazione:

Far asciugare la polpa della

zucca in un padella antia-

derente per circa 20 minuti.

Schiacciare la polpa renden-

do il composto cremoso. Far

sciogliere il burro e lasciarlo

raffreddare. Unire lo zuc-

chero e lavorare fino a che

risulti ben spumoso. Aggiun-

gere le uova e incorporare

nell'ordine: farina, lievito

e la polpa di zucca. Infine

unire il latte e le spezie,

mescolando delicatamente.

Versare il composto nelle

formine o in stampino di

alluminio e cuocere in forno

per circa 25 minuti a 180°

C. Infine a dolce ultimato e

raffreddato scavarlo in cima

con un coltello e farcirlo con

la mostarda.

LA RICEttA

Muffin alla zucca con la sua mostarda su crema Chantilly calda

MOSTARDA:ingredienti: 1 kg di polpa di

zucca, 350 g di zucchero, 1/2

cucchiaino di cannella, succo

e buccia di 1 limone, 1 pizzico

di noce moscata

preparazione: Tagliate la pol-

pa a pezzetti, mettetela in un

contenitore e coprite tutto con

lo zucchero,: Lasciate macera-

re, coperta da coperchio, per

circa 12 ore. Finito il tempo

di macerazione mettete il

tutto in una padella sul fuoco

e aggiungete sia il succo che

la buccia del limone, poi le

spezie. Fate cuocere a fuoco

dolce per circa un’ora. Alla fine

della cottura aggiungete un

bicchierino di rum jamaicano e

un po’ di amaretti sbriciolati.

muffin: per saperne di più

Un muffin è un dolce simile

a un plum cake, di forma

rotonda con la cima a calotta

semisferica senza glassa di

rivestimento. Si possono

preparare con ripieno di

mirtilli, cioccolato, cetrioli,

lampone, cannella, zucca,

noce, limone, banana, aran-

cia, pesca, fragola, mandorle

e carote. In genere i muffin

si tengono in un palmo della

mano e si consumano in

un sol boccone. La parola

muffin viene citata per la

prima volta in Inghilterra nel

1703 con la scrittura "moo-

fin". Qualcuno la fa derivare

dal francese mouflet, che

significa soffice, inteso come

il pane, altri dal tedesco

muffen che significa piccole

torte. Le prime versioni di

muffin erano meno nobili. Il

fornaio di famiglia inizial-

mente cucinava i muffin per

la servitù con i rimasugli del

pane del giorno prima e con

i rimasugli di lavorazione di

biscotti, mescolando il tutto

con delle patate schiacciate.

Il tutto veniva fritto facendo

divenire il composto così

ottenuto leggero e croccan-

te. Quando questo dolcetto

venne scoperto dai signori

inglesi dell'epoca diventò

l’accompagnamento preferito

per l'ora del tè.

La ricetta del muffin è di Stefano Comello, che nella foto piccola esibisce il suo Sole di Gragnano ripieno di polpa di branzino

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IL RIStORANtE SCELtO E CONSIGLIAtO DA COMMANDERIE DES CORDONS BLEUS,

DELEGAZIONE DI tRIEStE

è tempo di boreto: alla gradese è meglio!

anna Fast

caRlo moRandini

La Delegazione di Trieste della Commanderie des Cordons Bleus si è ritrovata a Grado in una sera di inizio  ottobre  appena  rinfrescata  dal  borino  alla 

scoperta dei veri sapori del generoso mare della laguna.La folla estiva di turisti di questa calda e lunga estate del 2011 era ormai solo un ricordo; tra le calli dell’Isola d’Oro, rischiarate da sapiente illuminazione, si respiravano ma-gia e suggestione. Ma la poesia del luogo, confessiamolo, passava ben presto in secondo piano in quasi tutti i Commandeurs, per il de-siderio di testare insieme il menù per noi predisposto dai fratelli Tarlao. La stagione più propizia per la pesca è all’inizio e la Ta-vernetta all’Androna, piccolo e storico ristorante nel cuo-re della città vecchia, è un punto di riferimento di note-vole  appeal.  Il  ristorante  è  stato  per  lunghi  anni  punto di riferimento per  i  i gourmet, gli spaghetti all’Androna hanno  deliziato  i  palati  più  esigenti.  L’attuale  gestione non ha tradito le aspettative e grazie al rigoroso utilizzo del prodotto del  territorio è uno dei  ristoranti di punta dell’Isola. Da ben tre generazioni la famiglia Tarlao si oc-

cupata di ristorazione. Nel gennaio del 2001 ha rilevato il ristorante, con Attias ai fornelli e Allan in sala. Attenti alla freschezza e alla rigorosa scelta dei prodotti del terri-torio (ce lo hanno sottolineato molte volte nel corso della serata e del resto il nostro palato se ne è subito reso con-to) hanno rivisitato le ricette del passato, mantenendo i sapori della tradizione. Si  inizia  la  serata  con  una  fritturina  di  pesce  e  piccole verdure. Seguono delle splendide cicale di mare (meglio conosciute dalle nostre parti come canoce) accompagna-te da una gremulade di verdurine. Gradevolissime le sfo-gliatine di polenta, prima di passare al piatto forte della serata: un boreto gradese di pesce nobile, accompagnato da polenta e generosamente cosparso di pepe, come vuo-le la tradizioneAl  momento  del  dessert  papà  Tarlao  si  esibisce  con  in-credibile destrezza nel servizio del Santonego, amaro ri-scoperto dai Gradesi, ospitato in bottiglia dal collo estre-mamente lungo e sottile. Il ristorante merita una visita o una riscoperta!Parola di Cordons Bleus!

LA RICETTA DI ATTIAS TARLAO

BORETO DI PESCE MISTO ALLA GRADESE CON POLENTA BIANCA

ingredienti per 4 persone: 1.8 Kg di pesci misti (1

orata, 1 branzino, 600-700 g di rombo, 2 sogliole),

4 spicchi d’aglio privati della pellicina, sale grosso,

pepe nero, un bicchiere di aceto bianco, olio di semi

(8 cucchiai da tavola), ½ bicchiere di acqua bollente.

preparazione:

Eviscerare e squamare il pesce, tagliarlo a tranci.

In una casseruola far imbiondire gli spicchi d’aglio

interi nell’olio di semi.

Toglierli quando saranno di colore tendente al nero

e l’olio sarà fumante. Mettere nella pentola bollen-

te i tranci di pesci, farli rosolare da entrambi i lati.

Salare, pepare abbondantemente e bagnare con

l’aceto bianco; far evaporare e coprire il pesce con

l’acqua bollente. Coprire la pentola con il coperchio e

cuocere per 8 minuti circa finché il sugo si addensa.

Servire con polenta bianca.

Cucina semplice e genuina; vasta proposta di vini

Lola in cucina, il marito Gianni in sala

Da  venticinque  anni,  chi  raggiunge  Li-gnano Pineta nelle ore serali,  in qual-siasi stagione, sa di poter contare su un 

punto di ristoro genuino, curato, ove degustare vini  di  pregio  del  vigneto  Friuli  Venezia  Giu-lia, e non solo. D’altro canto, il nome prescelto da Gianni e Lola, rivieraschi DOC, originari di Ronchis e di Rivignano, per il locale che oramai gestiscono da venticinque anni, rappresenta la sintesi estrema dell’offerta: ‘La buca dei Papi’ in via Tana del gambero 4, richiama la tranquillità del posto.  Le dimensioni  raccolte,  certo  suffi-cienti  anche  per  piccoli  convivi  tra  amici  (30 

posti  all’interno,  20 all’esterno),  danno al  posto  un  tocco  di intimità. Lo conosce-vo  fin  dall’apertura. Quando,  a  poca  di-stanza vi si trovavano le discoteche e i locali della  notte,  che  fre-quentavo  negli  anni 

’80 e  ’90. è da Gianni e Lola, nelle  lunghe se-rate dell’estate, che ho imparato a conoscere i Sauternes,  la  Malvasia  delle  Lipari,  lo  Cham-pagne  di  alta  caratura.  Ma  non  spaventatevi: per pasteggiare  ‘alla Buca’,  come  lo  chiamano gli  affezionati  clienti,  vanno  benissimo  i  vini della casa, Tenuta Villanova. Il locale apre alle 19,30, per chiudere alle 3 del mattino. Il menù è  semplice.  Quattro  antipasti,  quattro  primi, quattro  secondi,  quattro  dolci.  Genuini  e  dal sapore autentico. Carni  selezionate. Dalla  tar-tara alla tagliata. Anche il ragù di carne per la pasta,  rigorosamente  fatta  in casa è di  filetto. Nei fine settimana c’è anche il pesce; solo quel-lo pescato. E ora arriva la stagione del tartufo…  Chiuso il lunedì. Tel. 0431 42 22 79.

Buon rapporto qualità-prezzo, elemento "plus"

di una valida ristorazione

rivierasca

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il ghiaccio&il vinoSeduzioni ice style per conquistare il consumatore

Fabiana Romanutti

Pinot grigio: un bianco che gioca a fare il rosso, particolarmente amato dal consumatore americano

Nel numero del 21 luglio di q.b. il vino protagonista era Jasik, di  Borgo  San  Daniele  a  Cor-

mons, un vino che si caratterizza per la  ghiacciatura  del  grappolo  intero, tramite  abbattitore,  attendendo  poi il rialzo naturale della temperatura e 7-8°. Un vino che è stato il nostro amico di bicchiere  per  una  lunga  calda  esta-te. Poi, nel numero del 15 settembre, il  raffreddamento  delle  uve  tramite azoto  liquido,  tecnica  dell’azienda vinicola Cantarutti, ci ha fatto risco-

prire vini fantastici e ricchi di aromi, che mantengono tutte le note varieta-li  e minerali,  come quelli  dalla  linea Scacco al Re. Una tecnica complessa e  costosa  quella  del  raffreddamento delle uve con temperatura controlla-ta di qualche grado sopra  lo zero,  in un macchinario imponente che pote-te vedere nella  terrazza accanto alla cantina  a  San  Giovanni  al  Natisone. Ora  il  vino  dell’autunno:  uno  straor-dinario  Friulano  di  Davide  Feresin: e  anche  in questo caso  il  freddo e  il congelamento hanno il loro ruolo. La 

Magnum Edi (il nome del vino è una dedica  al  padre)  era  assai  richiesta ai  tavoli  della  cena  dei  wine  blogger ospiti  qualche  settimana  fa  a  Borgo Conventi.  Dove  peraltro  i  produttori della  Doc  Isonzo  hanno  presentato il  meglio  dei  loro  vini  d’annata:  un autentica  scoperta.  Davide  Feresin, che  ama  sottolineare  come  anche quest’anno  abbia  fatto  una  vendem-mia quasi tardiva, cominciata intonro al 27 settembre è arrivata al 5, 6 ot-tobre per il Tocai, in modo che fosse-ro  maturi  sia  i  frutti  sia  i  vinaccioli. Pochissima  la  solforosa utilizzata,  in un’ottica che tende ai vini naturali e bio, anche se Feresin non ama che si usi quest’espressione. Il suo rapporto con  il  ghiaccio?  Riguarda  i  lieviti:  al primo travaso, racconta, raccogliamo lo strato di lievito, una sorta di crema, e  lo  mettiamo  in  freezer  in  appositi contenitori. Servirà per l’inoculo alle fermentazioni future.

liEviti autoPRodotticongelati per i successivi inoculi

Davide Feresin, giovane vignaiolo di 35 anni, vive a Cor-mons, frazione San Quirino. Grazie alla collaborazione con Michele Bean, enologo emergente, Feresin sta per-

seguendo un progetto rivoluzionario: creare un Pinot Grigio che vada bene sia come vino bianco che rosso, da assaporare a tutto pasto, anche con la carne. Grazie alla qualità della vendemmia 2011, ottima per chi, come lui , ha saputo aspettare evitando di raccogliere anticipatamen-te, Feresin metterà a punto un Pinot Grigio del tutto inusuale, dal colore fortemente ramato, quasi rosso, ed un notevole corpo.“Dobbiamo rispettare quello che la natura ci dà, spiegano Davi-de e Michele. – Qui il Pinot Grigio è un vino intenso, carico, e non possiamo né vogliamo stravolgerlo per rincorrere le tenden-ze del mercato. Abbiamo così deciso di creare un vino “trasversale”, un bianco che si comporta da rosso e può abbinarsi perfettamente al pesce come ai piatti robusti della tradizione regionale”. Uve  perfettamente  mature,  abbiamo  detto,  macerazione  con le bucce di 5-6 giorni e fermentazione si svolgerà con lieviti rigorosamente natura-li. “Non usiamo lieviti di sintesi e selezio-niamo noi stessi ogni anno i ceppi miglio-ri, spiegano. A fine vinificazione vediamo quelli che si sono comportati meglio nello sviluppo dell’alcol, analizzando le singole vasche. Prendiamo quindi la feccia delle migliori, la congeliamo e l’anno dopo la scongelia-mo per preparare l’innesco della fermen-tazione. Applichiamo  questa  tecnica  a  tutti  i  no-stri vini dal 2006 con ottimi risultati“. Si tratta di un metodo assolutamente inno-vativo per  il Friuli Venezia Giulia e, pro-babilmente,  a  livello  nazionale,  che  per-mette di ascoltare la natura fino in fondo e farla esprimere con la massima tipicità. I  vini che ne  risultano vanno  in direzio-ne opposta alla standardizzazione. Lo sa bene Davide che, andando contro tutto e tutti,  ha  recuperato  la  propria  selezione massale  di  Tocai  Giassico,  ereditato  dal nonno, per produrre un Friulano unico e un rosso, il Nero di Botte, che sta facendo parlare di sé per il gran carattere.

Nero di botte, il nome gioca su un

doppio senso. Guardate l’etichetta, un

po’ scherzosa e quasi goliardica: due

caricature del vignaiolo e dell’enologo.

Nero di botte, perché è un vino rosso,

un Refosco dal peduncolo rosso ma il

dibattito “botte grande barrique” ha

fatto quasi arrivare alle mani Davide

e Michele, quasi a farsi ludicamente

neri di botte.

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PROVAtI PER VOI

skok: i vini che fanno allEGRia

Fabiana Romanutti

Grazie all’Onav di Gorizia e alla sua  infaticabile responsabile Claudia  Culot,  abbiamo  sco-

perto una piccola azienda dal grande cuore.  Umano  e  vinicolo.  Gruppo  af-fiatato,  molta  attenzione  alle  spiega-zioni  e  una  protagonista  inimitabile: Orietta Skok. Capace di raccontare il suo  vino  e  l’attività  in  azienda  come una bella storia di vita quotidiana, in un  rapporto  scherzosamente conflit-tuale  con  il  fratello.  Il  nostro  titolo, i vini che  fanno (e danno) allegria è dovuto non solo alla bella esperienza vissuta nella saletta di degustazione, ma  anche  al  colore  delle  etichette. Inconsuete per altro, di un vistoso e solare color arancione.“Il  colore  dei  nostri  tramonti”  han-no  detto,  “il  colore  dell’allegria  che vince  il grigio”. Un’allegria talmente contagiosa  che  anche  noi  abbiamo scelto  l’arancio  per  la  copertina  di questo  primo  numero  di  q.b.  maga-zine.L’Azienda  Vinicola  Skok  nacque  nel 1968  quando  i  fratelli  Giuseppe  e 

Armando  rilevarono  la  proprietà. Da  subito  concentrarono  l’atten-zione  verso  la  coltivazione  di  Pinot Grigio  e  Sauvignon.  E  proprio  con questi  vini  si  continuano  a  ottene-re  i  risultati più notevoli, con premi del  GamberoRosso  e  la  nomina  a Vino  Slow  da  parte  di  SlowFood  e l’ingresso  nel  2011  nel  gruppo  dei SuperWhites, l’eccellenza dei bianchi del Collio. Ora alla guida dell’azienda nel comune di San Floriano del col-lio,  località  Giasbana,  sono  i  fratelli Orietta ed Edi, che dedica una cura 

maniacale  ai  vigneti  ed  è  oltretutto indaffaratissimo  per  la  realizzazio-ne  della  nuova  cantina.  Tutti  i  vini imbottigliati dall’azienda Skok (e ac-quistabili  direttamente  in  azienda) sono DOC Collio. “Seguendo la tradizione del Collio, si legge sul loro sito, la produzione dei bianchi è più nutrita: Pinot Grigio, Chardonnay,  Sauvignon,  Zabura Friulano e l’uvaggio Bianco Pe/Ar. Siamo  molto  fieri  di  questi  vini  che ricevono  riconoscimenti  di  anno  in anno. Per i rossi ci siamo concentrati sul Merlot, prodotto da uve di un ra-rissimo clone Ferrari F2 in una vigna di  40 anni.  Imbottigliamo  il Merlot Classico e il Merlot Riserva VillaJa-sbinae,  sapientemente  maturato  in botti di rovere. Un vino che profuma di  ciliegia  e  confettura,  strutturato, ma senza chiusura tannica.Per  quanto  ne  possiamo  dire  per averli assaggiati, ottimo il Pinot gri-gio ramato, lasciato a macerare 4 ore sulle  bucce,  con  vendemmia  in  cas-setta, pressatura  soffice.  “Sui  lieviti 

selezionati non  riesco a vincere con Edi,  racconta  Orietta,  ma  in  vigna sono più  libera e sono  io che decido quante  gemme  lasciare…”  Notevole lo Zabura, un Friulano, 8  file di cru da un vecchio mappale, 5500 piante per ettaro. Talmente  perfetto  e  antico  nel  suo sapore  di  mandorla,  da  essere  defi-nito da alcuni critici enologici, “trop-po tipico”! Ebbe sì, così va il mondo. Un  vino  profumato  e  corposo  con 24 di  estratto  secco, quasi  come un rosso. Vino coerente con correspon-sione  naso-bocca  e  retrogusto,  il Sauvignon che già faceva pregustare nei  primi  freddi  d’autunno  un  buon risotto  con  gli  apsaragi  come  abbi-namento  ideale. Poi c’è  il Pe Ar (gli anglofoni  leggono  Piir,  pera,  ma  il nome  è  più  semplicemente  formato dalle  iniziali  di  Pepi  e  Armando… Un uvaggio con 60% di Chardonnay, 30% di Pinot grigio e 10% di Sauvi-gnon.  Caratterizzato  da  surmatura-zione  di  circa  due  settimane  sulla pianta. E affinato in barrique.  Foto di pagina: Sabrina Gargiulo

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claudia culot

L'associazione  Onav  è  uno  dei più  antichi  sodalizi  del  set-tore enoico del nostro paese: 

nasce ad Asti nel 1951 con  lo  scopo di  formare  assaggiatori  affidabili  e preparati. Con la presidenza del prof. Giorgio  Calabrese  negli  ultimi  due anni  si  sono  aggiunte  altre  finalità come  quella  della  diffusione  della filosofia del bere consapevole e del-la promozione della cultura del vino attraverso  la  valorizzazione delle  ti-picità ed eccellenze territoriali.Per raggiungere questi scopi organiz-ziamo corsi per aspiranti assaggiato-ri  in  cui  diamo  ai  soci  la  possibilità di acquisire e specifiche conoscenze tecniche, che assieme alle doti natu-rali  di  ciascuno  e  al  continuo  adde-stramento permette di dare un giu-dizio  il più obiettivo possibile  su un vino.  La  formazione  è  continua  con serate  mensili  di  approfondimento su  temi  enoici  e  di  degustazioni  te-matiche.Per quanto riguarda il mio percorso all'interno  di  Onav,  sono  diventata Delegata  "solo" poco più di un anno fa,  dopo  un'esperienza  di  quattro anni come segretario di sezione. Ho virgolettato il solo perché un anno può sembrare un lasso di tempo bre-ve, ma in realtà le esperienze vissute dalla nostra sezione in quest'anno lo dilatano moltissimo. Oltre  agli  impegni  istituzionali  dei corsi  e  delle  riunioni  mensili  sem-

l’onav: assaggiare per capire

pre  molto  seguite  dai  soci,  abbiamo collaborato  con  enti  amministrativi locali,  associazioni  di  settore  e  di promozione  territoriale  (Ferragosto in Castello, Gusti di Frontiera, Uvag-gi nel Mondo, degustazioni  ai Musei Provinciali,  Likof  di  San  Floriano, Gran Premio Noè,Gorizia si presenta a San Candido, Calici di Stelle).Tutto questo grazie all'appoggio che il  Consiglio  Provinciale  mi  ha  sem-pre dato in ogni iniziativa e al clima che  si  è  instaurato  tra  i  nostri  soci, sempre pronti a collaborare oltre che sempre  curiosi  e  desiderosi  di  am-pliare le proprie conoscenze in cam-po enoico.Il  che  ci  ha  permesso  di  crescere  e consolidarci come gruppo.Prossimo  obiettivo  è  di  potenziare la  già  buona  collaborazione  con  le altre  Delegazioni  Provinciali  delle nostre regione, Trieste è seguita ot-timamente  da  Tito  Cuccaro,  Udine lavora  bene  con  Simona  Migliore  e 

poi  abbiamo  la  matricola  Pordeno-ne  con Marco Furlan. Tutti  insieme continueremo a dare ai nostri soci la possibilità  di  confrontarsi  e  appro-fondire la formazione. Un altro obiettivo che impegnerà Onav Gorizia nei prossimi anni, ma che cre-do vedrà coinvolte anche le altre De-legazioni,  è  quello  importantissimo dell'educazione dei giovani alla cultu-ra del vino, come possibile deterrente agli "eccessi del sabato sera":abbiamo in  programma  delle  agevolazioni  per frequentare  i  nostri  corsi  (Onav  Ju-nior 18-25) e organizzeremo momenti didattici  presso  gli  Istituti  Superiori per  le  classi  V  o  in  ambito  di  mani-festazioni.  In  chiusura  una  nota  più leggera, senza nulla togliere ai signori Delegati e soci, volevo sottolineare la vivace  presenza  femminile  Onav  vi-sta nella nostra regione: non solo due Delegate  Provinciali  ma  tantissime assaggiatrici  dimostrano  quanto  sia forte  nell'universo  femminile  regio-nale la passione per il mondo del vino, situazione  non  comune  nell'ambito delle altre organizzazioni del  settore enoico. La  presenza  femminile  nell'associa-zione,  con  le assaggiatrici  che eccel-lono in precisione, sensibilità olfattiva e  gustativa,è  il  vero  valore  aggiunto Onav  e  l'occasione  per  ribadire  l'im-portanza della filosofia del bere con-sapevole.  Bere  poco  ma  di  qualità come facciamo noi donne. 

Novità del 2012 è la possibilità che ci viene data dalla sede nazionale di avviare il corso di 2° livello. Agevolazioni per frequentare i corsi Onav junior.

ENOLOGICA FRIULANA srl / Via Stiria 36/1 33100 UDINE / T. 0432.602194 F. 0432.523544

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WinE bloGGERIl vino si racconta on line

Degustazione di refoschi della riviera friulana

Blogger e comunicatori del vino da  tutto  il  mondo  per  cono-scere la realtà vitivinicola e il 

food regionale: tre Consorzi di tutela delle  zone  Doc  della  regione:  Collio e  Carso,  Colli  Orientali  del  Friuli  e Ramandolo,  Friuli  Isonzo,  in  colla-borazione  con  ERSA  hanno  ospitato tra il 17 e il 19 ottobre un gruppo di una  trentina  di  blogger  provenienti dall’European  Wine  Blogger  Confe-rence,  per  la  prima  volta  organizza-ta in Italia. Noi li abbiamo incontrati alla  cena  organizzata  a  Borgo  Con-venti  dai  produttori  del  Consorzio Friuli  Isonzo  che  avevano  messo  in assaggio un nutrito gruppo di eccel-lenze, soprattutto etichette di anna-ta  (il  Piere  Sauvignon  ’96  di  Vie  di Romans ci ha fatto perdere la testa) a dimostrazione della validità e longe-

vità di un prodotto non solo di pronta beva. C’erano Elisabetta Tosi e Gian-piero Natali, wine blogger nazionali, che,  con  il  direttore  del  Consorzio Doc  Friuli  Isonzo  Pierpaolo  Penco sono  stati  tra  i  promotori  della  ve-nuta in regione dei bloggers. Cosa vi ha colpito di più abbiamo chiesto: le cantine del Carso scavate nella  roc-cia  è  stata  quasi  unanime  la  rispo-sta.  “Amazing!”  (cioè  meraviglioso, straordinario, sorprendente) è stato il commento di tutti e in particolare del notissimo Ryan Opaz (blogger di Catavino).  Fra  i  vini  si  sono  stupiti davanti al Pinot Grigio Ramato, così tipico e originale che forse è difficile da vendere nel grande mercato, han-no detto, ma che sempre più conqui-sterà  le  nicchie  degli  appassionati. F.R.

è stata  una  Donna  Del  vino FVG,  Tiziana  Canzutti  a guidare  le  degustazioni  di 

una  interessante serata voltasi ne-gli  accoglienti  spazi  (il  Cantinone con il caminetto acceso ha sempre la  sua  suggestione)  dell’azienda Foffani a Clauiano. Protagonisti i Refoschi. Dopo gli interventi di Giovanni Foffani,  inventore del Merlot  bianco,  di  Elena  Clarin del  Consorzio  Friuli  Aquileia e  di  Valentina  e  di  Elisabetta dell’azienda Cà Bolani. I vini in degustazione  Bortolusso  della doc  Friuli  Annia,  Zaglia  della doc Friuli Latisana, Valpanera, Cà  Bolani,  Mulino  delle  Tolle, Foffani queste ultime della doc Friuli  Aquileia.  L’idea  è  nata con lo scopo dare l’opportunità 

a  tanti  amici  appassionati  di  co-noscere  meglio  il  Refosco  della 

Riviera Friulana, che, grazie al sapiente lavoro dei produttori, è  la  dimostrazione  che  ottimi vini  si  possono  ottenere  an-che in territori non di collina. Vini colore rubino, tendenti al porpora  i più giovani, con  in-tensi sentori di piccoli frutti di bosco,  leggermente  speziati, con una buona acidità e giu-stamente  tannici.  Le  annate andavano dal più giovane del 2010  a  una  riserva  del  2007 fino a un ottimo 2005. Abbia-

mo dato un taglio giocoso alla serata, ci  racconta Tiziana,  e dopo aver par-lato  del  territorio  e  del  vitigno  Refo-sco in generale, ai partecipanti è stato chiesto di compilare una scheda, cer-cando di individuare le varie annate e le aziende produttrici dei campioni che sono stati serviti “alla cieca”. Con sor-presa  di  tutti,  la  maggior  parte  delle risposte erano esatte, rivelando quin-di  consumatori  attenti  e  con  buona capacità di giudizio.  In progetto altre serate, anche con vini di altre regioni, grazie alla collaborazione di produttri-ci dell’associazione Donne del Vino. Ve ne parleremo.

il vino della memoria

Riscoprire per caso in cantina una bottiglia di vent’anni prima.

Un mondo di emozioni

tiZiana baita

Stappare una bottiglia è sempre un'emozione. Se poi quel vino era  stato  imbottigliato  da  tuo 

padre venti anni prima e dimenticato nell'ultimo  scaffale  in  cantina,  quel gesto ti fa battere forte il cuore.Capiterà anche a voi, una volta all’an-no, di armarvi di buona volontà e af-frontare il caos della cantina. Poi magari di  lavoro ne fai poco per-ché ti perdi fra gli oggetti del tuo vis-suto. Sfiori quelle cose messe da par-te  perché  logore  o  non  più  di  moda, ma  che  ora  diventano  importanti  e ti  riempiono  di  nostalgia.  Giorni  fa in una pulizia più accurata, in fondo, dove solitamente non ci vai mai, vi era una bottiglia di vino rosso dimentica-to. Quella sera a cena vi era un moti-vo per fare festa. Mentre il verme del cavatappi forava il sughero ritornavo con  il  pensiero  al  tempo  in  cui  quel vino,  maturato  al  punto  giusto,  era stato imbottigliato.Eravamo  piccole,  mia  sorella  e  io,  e fortunate a vivere negli anni in cui la quotidianità era scandita dagli eventi 

che ogni stagione portava con sè. Era la natura che regolava il ciclo della no-stra vita, in quel tempo non mangiava-mo i pomodori o le fragole d'inverno, ma  solo  le  mele  che  accuratamente venivano  conservate  nei  granai.  Era il tempo in cui il Venerdì Santo si im-bottigliava  il  verduzzo  e  nella  luna vecchia di agosto il rosso importante. In cantina le damigiane erano già al-lineate, ognuna piena di vino buono. Mio  padre  andava  all'Enologica  (con la stessa emozione con cui una donna entra in gioielleria) a cercare i tappi, quelli buoni, belli, grossi, di sughero naturale. A me toccava  il compito di preparare  le  etichette.  Allora  non  vi era  il  computer,  tutto  si  scriveva  a mano:  30  di  merlot,  20  di  cabernet, 50 di verduzzo, poi quel nomi lunghi, pinot grigio o difficili come il malbech e attenzione a non dimenticarsi  l'an-nata. Alla fine ti faceva talmente male la mano da avere  la scusa giusta per non  fare  i compiti. Quando  tutto era pronto, le bottiglie lavate e allineate, tutta la famiglia si riuniva in cantina. Agli  occhi  di  noi  bimbe  quel  gesto veloce della tappatrice che stringeva e  infilava  quel  pezzo  di  sughero  nel collo  della  bottiglia,  aveva  qualcosa di magico. Una dopo l'altra le bottiglie venivano  riposte  negli  scaffali  vuo-ti  già  pensando  che  sarebbero  state testimoni  di  attimi  della  nostra  vita futura, per festeggiare un evento, far festa  ad  un  amico  o  semplicemente per  farci  compagnia  in  un  momento di stanchezza. Ora quel pezzetto di storia vissuta era nel mio calice,  forse un po’ ossidato, con qualche parametro organolettico sballato,  ma  per  me  era  perfetto.  Il suo profumo, il suo sapore mi coinvol-gevano e il suo calore mi arrivava sino in fondo al cuore.

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IN VENDITA IN TUTTE L E L I B R E R I E

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il futuro è in bianCo?the Wine Advocate: accusa o difesa per

i vini bianchi di eccellenza?

L’11 e il 12 novembre il Consor-zio Tutela Vini Collio e Carso organizza il primo summit in-

ternazionale dedicato all’enologia  in bianco. Obiettivo? Conoscere meglio le opportunità e i rischi del mercato internazionale chiamando a interve-nire  chi  sta dall’altra parte.  I  riflet-tori  saranno  puntati  in  particolare sugli  Stati  Uniti,  primo  mercato  di export per il vino italiano. Momento centrale l’appuntamento di sabato 12 novembre alle 15.00 per delineare gli “Scenari internazionali: opportunità e minacce per i vini bianchi di eccel-lenza”. Moderatrice Lucilla Incorvati, coordinatrice del Rapporto Vino del Sole24Ore.  A  parlare  sarà  anzitutto la  critica,  grazie  a  “The  Wine  Ad-vocate”,  oracolo  del  mondo  del  vino voluto  da  Robert  Parker,  certamen-te  uno  dei  critici  più  temuti  a  livel-lo  internazionale.  A  rappresentarlo sarà  Antonio  Galloni,  responsabile delle  degustazioni  dei  vini  italiani. Da  Oltreoceano  arriveranno  anche esperti di comunicazione come Paul Wagner di Balzac Consulting, che of-frirà suggerimenti operativi su come trasmettere  l’unicità  dell’enologia italiana  (nel  patrimonio  turistico un  importante  alleato).  A  chiudere l’incontro l’analisi delle tendenze dei vini  bianchi  nei  mercati  internazio-nali di Filip Cayman per Wine Intel-ligence, società di indagini di merca-to specializzata nel mondo del vino. Per  informazioni:  tel.  0481  630303, www.consorziocolliocarso.it

cuochE a domicilio

Per insegnare proporre e difendere le ricette della tradizione

è nata quest’anno l’associazione nazionale delle cuo-che a domicilio. L’idea è stata di Maria Elena Cur-zio, napoletana che vive a Catania da tanti anni, che 

ha deciso di riunire in un'associazione onlus, tutte quelle donne che per passione raccolgono, difendono e diffondo-no con le loro pietanze le ricette tipiche del territorio, pro-ponendole alla famiglia, agli amici,ma anche e soprattutto a chiunque voglia conoscerle per imparare a preparare, e così anche salvare, le ricette tradizionali in tutta Italia. Per conservare  le  tecniche  antiche,  per  tramandare  anche  ai giovani e ai bambini il gusto del cibo genuino. Corsi e lezio-ni in stretto rapporto con i produttori locali di ogni regione in una sinergia che mira a  far conoscere  i propri prodot-ti  locali  avvicinandosi  al  consumatore  proprio  attraverso le  ricette  dell’associazione.  Il  tutto  in  collaborazione  con l'associazione di volontariato “Mettiamoci in gioco”, che si occupa di ragazzi disabili, cui vengono proposti corsi di cu-cina per essere più autonomi. Ecco i riferimenti per chi è interessata a far parte dell’associazione che ancora non è presente in regione: Maria Elena Curzio, tel. 3404121035. www.associazionenazionalecuocheadomicilio

La Baita dei Sapori

Via Saisera - 33010 Valbruna (UD) - tel. e fax 0428 660493

LOCALE ACCOGLIENTELUOGO MERAVIGLIOSO

SULLE PISTE DA SCI

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Lui  è  Gianluca  Mingotti,  lau-reato  in  Scienze  e  Tecnologie Alimentari  e ha 33  anni.  E'  il 

creatore di Petit Lorien, un marchio di  qualità  e  un  brand  che  racchiude cura e dettaglio per le materie prime, ben conosciuto dai sempre più nume-rosi  estimatori  delle  migliori  qualità di sali, pepi, spezie, zuccheri.“L'idea,  ci  spiega,  nasce  da un’atten-ta analisi dell’evoluzione della cucina italiana  e  mondiale,  dalla  presenza di  consumatori  sempre  più  attenti anche  alle  caratteristiche  culturali di  un  prodotto.  Da  qui l’idea di aprire un cen-tro di importazione, la-vorazione e rivendita di sali alimentari,  spezie  e  caffè provenienti dalle più esotiche locali-tà presenti nei cinque continenti; quei prodotti,  che  per  la  loro  essenzialità e semplicità, da sempre vengono uti-lizzati nelle cucine di tutto il mondo.Ci sono molte ricette tradizionali, in-gredienti  rari  e aromi che aspettano di  essere  riscoperti.  Sono  continua-

il siGnoRE delle sPEZiE

I petali arancio del macis, i semi bruni della fava tonka,

le capsule verdi del cardamomo

maRta omERo

mente alla ricer-ca  di  prodotti freschi  da  sele-zionare,  garanten-do una filiera corta: questo vuol dire massima qualità delle mate-rie  prime  e  prezzo  competitivo.  Con grande cura per il packaging.Analizzando  il  settore  alimenta-re  specializzato,  dopo  alcuni  anni di  esperienza  come  commerciale  di grandi  marchi  nel  settore  della  ga-stronomia  di  qualità,  mi  sono  accor-to  che  a  parte  i  grandi  marchi  della GDO, sul campo delle spezie e affini 

c'era  ancora  spazio  per  un  ragaz-zo  giovane  con  idee  imprendi-

toriali.  In  più  sono  stato sempre attratto dai  gusti,  dagli  odori  e dalla buona cucina.

Attualmente  sono  molto  apprezzati  i sali  colorati  e  appariscenti,  dal  rosa al  nero,  vanno  molto  le  spezie  più conosciute  come  cannella  o  vaniglia bourbon;  ma  stanno  prendendo  pie-de  le  miscele  di  spezie  più  esotiche. 

Preciso che tutte le miscele  vengono create  in  italia, perché  importa-

re  dei  macinati  dal terzo mondo vuol dire 

ritrovarsi  solo gli  scarti di  lavorazio-ne, per non parlare della possibilità di trovarsi  macinati  spaghi  e  altro.  Per ogni  mia  referenza  ho  redatto  una scheda descrittiva relativa al prodot-to e al suo uso in cucina. Mi piacciono molto  i  pepi  meno  conosciuti,  come il pepe  lungo del Bengala,  il pepe di Java, tutti prodotti che per le loro pe-culiarità aromatiche e curiose forme, attraggono i consumatori più esigenti. Per  non  parlare  poi  del  caffè...  ".  Ma di questo argomento e delle spezie in dettaglio parleremo nel prossimo nu-mero. 

Mattonella Dello CHef

In puro sale “dolce” di Cervia per cotture a caldo o preparazioni a freddo

coRso di PERFEZionamEnto suGli aRomi autEntici

Meno  sale  e  più  salute,  è  lo slogan  della  campagna  di prevenzione  alle  malattie 

cardiovascolari  del  comune  di  Pa-gnacco. Gli italiani a tavola assumono circa 10 grammi di sale al giorno (contro i 5 g massimi indicati dai dietologi). Certo il rischio c’è, ma non vorrete toglierci 

il piacere di rendere sapide la nostre pietanze,  proprio  ora  che  abbiamo scoperto  il  blu  di  Persia,  il  nero  di Cipro, il rosa dell’Himalaya. Senza di-menticare la mattonella dello chef in puro sale "dolce" di Cervia ideale per la cottura a caldo o per preparazioni a  freddo  delle  pietanze.  Permette  di cuocere  le  pietanze  senza  l'aggiunta 

di grassi risultando ideale per una cu-cina dietetica. La pietanza cotta sulla mattonella assume dalla stessa la giu-sta quantità di sale di cui ha bisogno, salandosi  autonomamente.  I  tempi di  cottura  rispetto  all'antica  tecnica "sotto sale" o "in crosta di sale" sono notevolmente  ridotti,  soluzione  fon-damentale  per  chi  ha  poco  tempo  a disposizione. 

Come usarla per cucinare Può essere riscaldata al  fine di cuci-narvi sopra le pietanze. Per  una  cottura  completa  delle  pie-tanze  (carne-pesce-verdure) portare il forno ventilato a 250°. Dopo 10 mi-nuti inserire la mattonella nel forno e lasciarla  riscaldare per 20-30 minuti permettendogli  di  raggiungere  una temperatura di 200-220° C. A questo punto sarà possibile rimuo-vere  la  mattonella  dal  forno  e  con cautela  adagiarvi  sopra  la  pietanza, rimettendo eventualmente poi  il  tut-to in forno ancora per alcuni minuti in base allo spessore del cibo. Si serve in tavola direttamente sulla mattonella. Per una mezza cottura o un intiepidi-mento  delle  pietanze  (es.  Tartare  di carne o pesce, uova) portare il forno ventilato  a  250°.  Dopo  10  inserire  la mattonella nel forno e lasciarla riscal-dare per 10-15 minuti permettendogli di  raggiungere  una  temperatura  di 120°-130°.  A  questo  punto  rimuove-re  la  mattonella  dal  forno,  adagiarvi sopra  la  pietanza  servendola  imme-diatamente a tavola.  In questo modo il  commensale  potrà  gustare  diret-tamente la tartare o "cucinarla" ulte-riormente sopra la mattonella di sale a proprio gradimento.Note: Si consiglia l'utilizzo di piat-ti che possano sopportare alte tem-perature (ceramica, pietra, legno). Per salvaguardare il piatto è con-sigliabile utilizzare un centrino in lino da porre tra la mattonella e il piatto.

Rivolto a tutti gli operatori della produzione, preparazione, somministrazione e

distribuzione degli alimenti e bevande e a coloro che per professione o per passio-

ne si occupano di assaggio e prodotti ad alto valore sensoriale, il corso, promosso

dall’Associazione Culturale Assaggiatori Pordenonesi, ha per obiettivo il poten-

ziamento delle capacità di percezione nel campo delle erbe aromatiche. Un corso

interattivo, della durata di otto ore, in programma il 13 dicembre, che accanto alle

nozioni base sulla composizione e identificazione dell’aroma naturale, punta anche

alla descrizione analogico affettiva dell’aroma autentico. Le esercitazioni si effettue-

ranno partendo da materie prime come tinture e distillati. Valutazioni con descrittori

oggettivi, edonici e analogico-affettivi.

Quota di partecipazione € 300 iva inclusa // termine iscrizioni 05.12.2011

tel. 334.2973335 // e-mail [email protected]

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38 gusto e buongusto nell’euroregione  >

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Mi  piacerebbe  riuscire  a  in-segnarvi  come  potete  re-galarvi un momento di gio-

ia  rilassante, di calore  rassicurante. Tutto per voi. Provando quelle stesse emozioni di quando passate una se-rata  con  una  persona  cara.  Tutto  è racchiuso in una tazza di cioccolata. Scegliete una tazza che vi evochi dei ricordi, anche quella del caffelatte di quando  eravate  piccoli.  Per  mesco-lare non usate  il  cucchiaino,  troppo freddo al tatto, ma usate un baston-cino di cannella. Vi  sentirete  subito meglio e  in pace con voi stessi. Questa tazza di ciocco-lata:  io  la chiamo Filtro d’amore e le dosi che vi racconto sono per quat-tro persone. Servono 200 g di  latte, 100 g di panna al 35%, 2 g di pepe-roncino in polvere, 30 g di cioccolato al 70%, 30 g di zucchero semolato, 50 

antonElla vaRotto

g di cacao in polvere. Cuocete insie-me latte e panna portando a bollore; aggiungete  il  peperoncino.  Versate sul cioccolato spezzettato (non scio-glietelo  a  bagnomaria!).  Mescolate fra loro a freddo zucchero e cacao e aggiungete al composto. Versate nel-le tazze e decorate con cioccolato in scaglie. Ed eccovi anche  le  indicazioni della Cioccolata per scaldare il cuore. Servono 500 g di latte intero, 30 g di zucchero, 120 g di cioccolato al latte, 20 g di cioccolato amaro  in polvere, 1 cucchiaino di maizena  se vi piace un  risultato  più  denso;  pochissima grappa  della  vostra  preferita  per dare al tutto un profumo delle nostre tradizioni locali. Qualcosa  di  più  alcolico?  Eccovi lo  Schioppettino di Prepotto al cioccolato. Vi rivelo subito il segre-

to della perfetta riuscita. Scaldate a fuoco basso 300 g di vino con 20 g di miele. Aggiungete 200 g di cioccola-to al 60% a pezzi e mescolate bene. Togliete  dal  fuoco  e  versate  tiepido nelle  tazze. Decorate con una  foglia di vite fritta croccante.

Gnocco  ripieno  di  cioccolato spolverato con cannella e ca-cao.  Risotto  al  Terrano  con 

scaglie di cioccolato di Modica. Guan-cialetto di manzetta cotto nel vino e accompagnato da salsa di cioccolato. Sono stati questi i primi piatti che ci hanno fatto conoscere la maitre cho-colatier Antonella Varotto. Poi  abbiamo  assaggiato  il  cioccolato con  il  pesce e  in ogni piatto. Perché cioccolato, ci dice, non vuol dire solo cioccolatini.  La  sua  storia  professio-nale  è  davvero  interessante:  come quegli amori mai sopiti che si rivelano all’improvviso  e  non  sopportano  più le antiche costrizioni, Antonella ha la-sciato un lavoro sicuro nel settore ar-tistico e ha deciso di esprimere la sua creatività  dedicandosi  al  cioccolato. Ma  accanto  alla  fantasia  e  all’abilità ci vogliono tante tante conoscenze. E 

cucina artistica e creativaL’ingrediente segreto? Il cioccolato in tutte le sue forme

una  professionalità  che  si  acquisisce solo nei corsi professionali dei grandi maestri. E nell’ambito di questi corsi il suo ta-lento naturale si è espresso immedia-tamente. Ma inutile dilungarsi, Anto-nella Varotto è già ben nota ai nostri lettori e al vasto pubblico dei chocola-te addicted della  regione e non solo, per le sue particolarissime creazioni. Sempre esaurite  le sue  lezioni di cu-cina artistica e creativa (info: 333 50 09 482) dove a non professionisti  in-segna ricette che hanno come deno-minatore comune il cioccolato: pesci, carne, tortelli. Da  qualche  anno  Varotto  svolge  so-prattutto  attività  di  consulenza  per ristoranti e aziende anche fuori regio-ne e ha già brevettato una decina di progetti  di  cioccolatini  e  praline  del tutto originali.

Con Claudio Lauritano, affermato chef del Gaudemus di Sistiana, An-tonella Varotto (cui abbiamo deciato l'immagine di copertina) ha av-viato un progetto ricco di seduzione. Che partirà da lunedì 14 novem-

bre in ore serali (info: 3472241926)ed è rivolto ai single. “A quelli che single lo  sono  e  non  voglio  più  esserlo,  e  a  quelli  che  ora  sono  in  coppia  e  single non vogliono diventare”. Lezioni di cucina del tutto particolari e imperdibili con ingredienti speciali e spesso afrodisiaci. Ma non è solo l’ingrediente che conta, ci dice Antonella, è il contesto. Tutti i lunedì sera, una quindicina di persone al massimo potrà imparare come cucinare piatti semplici (nel giro di quattro ore si cucina e si mangia insieme quello che si è preparato). Il tutto accompagnato dai mitici vini di Borgo San Daniele. 

un amore all’improvviso

Pomodoro caramellato e ravioli al cioccolato

tutto è raCCHiuso in una taZZa

Le parole per dirlo: basta un po' di cibo degli dei

Qualcosa di più alcolico? Eccovilo Schioppettino di Prepotto alcioccolato. Vi rivelo subito il segreto....

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attEnti a QuEi FunGhi!

Ennio FuRlan

Nel numero di q.b. dell’ottobre 2009  la  mia  rubrica  comin-ciava con una notizia di cro-

naca “mangia chiodini e resta intossi-cata”. A distanza di due anni, qualche giorno  fa,  sempre  sul  Messaggero Veneto,  si  leggeva:  “Funghi,  intossi-cati  in  aumento.  In  ospedale  curate 100 persone”.  Ma allora  ve  le  andate a  cercare!  Troppo  numerosi  sul  no-stro territorio i casi di avvelenamento per  incauto  consumo.  Quest’anno  il rischio  è  maggiore,  vista  la  scarsità di  funghi, siano essi porcini,  finferli, o mazze di tamburo. Spesso il rischio nasce nel proprio giardino o vicino a casa,  dove  i  non  esperti  pensano  di 

trovare  sempre  le  medesime  specie di funghi che magari hanno raccolto qualche  anno  prima.  Vi  invito  a  non comprare devono mai funghi dai ven-ditori  abusivi,  bisogna  sempre  farli controllare  dagli  addetti  dell’Ufficio micologico presso le ASSL. Di funghi infatti si può morire. Molte volte però i  malori  dipendono  anche  da  errata conservazione ed errate preparazione e cottura. Prima di tutto bisogna ac-certarsi che siano in buona salute, di bella presenza, sodi, interi, con un bel colorito,  non  grigiastri  e  rattrappiti. Diffidare se sono in condizioni preca-rie, a pezzetti o con odori marcescen-ti:  nella  mistura  può  celarsi  qualche 

Come conservare i funghi: essiccati

Stabilito che non dovete fidarvi né

di voi stessi, né di conoscenti che ve

li regalano, né di venditori improv-

visati, cominciamo a imparare come

conservarli. Per l’essiccazione i funghi

non vanno lavati, ma solo ben puli-

ti. Tagliateli a fette di 3-4 millimetri

e disponeteli su telai a rete, mai di

plastica, su cartone o tavole o giornali.

Metteteli al sole moderato in un posto

ventilato, girandoli di tanto in tanto.

Se il tempo non è favorevole dovete

servirvi dell’essiccatoio, poi riponeteli

in un sacchetto di tela come quelli del

riso. Se non sono ben chiusi i funghi

infatti verranno attaccati da insetti che

deporranno le loro uova. Nei mesi di

maggio e giugno queste si schiuderan-

no con i risultati di deterioramento che

vi lascio immaginare.

I funghi si possono congelare, ma non da crudi e oltretutto serve persona con apposito patentino

Per congelarli vi consiglio di metterli nel congelatore dopo una sbollentata di pochi minuti, poi lasciateli raffreddare. Potete anche cuocerli prima di congelarli.

fungo non commestibile. Vanno ripo-sti in contenitori rigidi e aerati, lavati accuratamente e cotti a lungo. Perché ovviamente  i  funghi  raccolti  NON  si mangiano crudi! I funghi vanno con-sumati prima possibile, considerando il loro veloce deterioramento: più sono vecchi peggiore sarà il gusto finale. A mio  modesto  parere  (dopo  più  di  40 anni che  faccio  il cuoco) posso dirvi che lavare i funghi prima di essiccar-li  è  un  grosso  errore.  Io  consiglio  di farli a pezzi ne lla maniera desiderata, quindi di  lavarli  velocemente perché non è il caso che si inzuppino d’acqua e solo dopo passare alla cottura o alle varie conservazioni. 

Non fidatevi neanche di voi stessi

Non fidatevi degli amici raccoglitori

Non fidatevi dei venditori abusivi I funghi possono essere mortali!

Come conservare i funghi: sott’olio

Per conservare i funghi sott’olio, meglio sce-

gliere funghi di piccola taglia e il più freschi

possibile. Come prima cosa bisogna tagliarli a

pezzi, quindi lavarli velocemente, poi farli bolli-

re in una soluzione di 1 lt d’acqua, 1 lt di aceto

e 1 lt di vino bianco con il sale e a piacere

aromi vari (evitare i chiodi di garofano e l’aglio

che coprono l’eventuale aroma dei funghi).

La bollitura deve durare almeno 20 minuti, il

doppio del tempo per quelli a commestibilità

condizionata.

La dose dei liquidi va ovviamente aumentata

secondo la quantità dei funghi da cucinare. Una

volta bolliti, si scolano e si dispongono su un

canovaccio ad asciugare per una notte. Sarebbe

opportuno avvolgerli in un altro panno asciutto

premendo leggermente, di modo che esca il più

possibile la parte acquosa in loro contenuta. In-

fine si versa l’olio nei vasetti sterilizzati, quindi

i funghi a strati. Bisognerà mettere uno spes-

sorino per mantenerli sott’olio. Vanno chiusi e

conservati in un posto fresco con temperatura

non superiore ai 10°C. (con le alte tempera-

ture si può ripresentare il problema Botulino).

Personalmente adotto un altro sistema per

conservare i funghi sott’olio: dopo averli lessati

li scolo, poi li verso in una padella con dell’olio

e porto a ulteriore cottura fino a che non si

vedrà più il vapore: questo significa che l’acqua

in eccesso se n’è andata. A questo punto passo

all’invasamento chiudendo subito a caldo. La

ulteriore cottura nell’olio non rovina i funghi:

rimangono sempre integri.

nb: Mai dimenticarsi che per conservare i

funghi sott’olio è indispensabile l’acetificazione

antibotulinica che non deve superare il valore

di Ph 4,5. Di botulino (Clostridium botulinum) si

può anche morire: questo batterio è anaerobi-

co, vive cioè in assenza di ossigeno,

in special modo nei prodotti da conservare ed

è letale per l’essere umano. Il botulino molto

raramente dà qualche segno (odore, colore,

sapore) perciò se all’apertura di un vasetto fuo-

riesce dell’odore sgradevole e trasborda l’olio

difficilmente è “lui”, ma la causa è dovuta ad

altri fattori. Comunque sarà il caso di buttare

il tutto.

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La frase del titolo era ricorrente in campagna, una volta. Il gesto era tipico una raggomi-

tolata al grembiule a formare una sac-ca,  per  poi  uscire  dal  cortile-orto  ed entrare nei campi adiacenti l’abitazio-ne. Ed è cosi che si raccoglieva la cena, fatta  di  diverse  erbe.  Naturalmente non avendo una conoscenza botanica precisa e un nome piantina per pian-tina, si generalizzava chiamandole Li-drichessis, Radicele o Talis. In queste righe vi parlerò delle Crepis, Sonchus, Hipochoeris, Cycorium. Fra poco sarà giunto il tempo della raccolta, così po-tete  prepararvi  in  tempo  e  studiarle un po’. Resta inteso che le Radicchiel-le migliori sono quelle raccolte subito dopo le prime brinate,  infatti  le pian-tine si ammorbidiscono e sono delizio-se. Questo vale nel periodo  invernale anche per il tarassaco, che perde una parte del gusto amaro. Poi l’arrivo del gelo le brucerà e si dovrà aspettare la primavera per continuare  la  raccolta. Per tutte le erbe, a parte il tarassaco, il periodo di raccolto sarà breve, visto che con il primo caldo le piantine van-no “in menata”, cioè verso la florescen-za e diventano pelose e coriacee. Mai raccoglierle in estate perché abbonda-no  di  un  lattice  pericoloso  altamente caustico  specialmente  per  i  bambini. Di queste erbe un tempo si faceva uso comune, come semplice verdura bolli-ta o saltate con olio o burro; si usavano nelle  zuppe,  nelle  frittate,  nei  ripieni dei Cjalzons, dei tortelli, dei cannello-ni. Io voglio farvele mangiare in modo diverso, senza stravolgerle, ma con un gusto nuovo.

Dove vai mamma? vado a raccogliere la cena!

Ennio FuRlan

Curate e lavate e le foglie vanno tagliate due cm. prima del cuore della piantina(ovviamente non gettate la parte fogliare ma utilizza-

tela come verdura da cuocere). La prima versione consiste nel fare un  taglio all’inizio della  radice: vi  resterà qualcosa che sembrerà un riccio. La seconda versione prevede di pulire la radice raschiandola  leggermente, poi  tagliandola a metà nel senso della lunghezza e togliendo la parte legnicola centrale: per fare ciò basterà attorcigliare con le mani per poi aiutarsi con un coltellino. Nella terza versione (doppio uso) dopo aver pulito la radice, si fa un taglio all’inizio della radice stessa e si crea il riccio, la si taglia per lungo togliendo la parte legni-cola e infine la si taglia a julienne. Questi prodotti si possono cuocere  in acqua salata bollente o nel vino (rosso o bianco, 

magari Verduzzo). Non van-no  cotte  troppo  altrimenti si spappolano, ma nemmeno troppo poco: decidete secon-do  il  vostro  gusto.  Per  con-servarle  in  vasetti  bisogna eseguire  un  sistema  di  ace-

tificazione antibotulinico corretto, detto delle tre parti; cioè una parte di aceto una di vino e una di acqua con l’aggiunta di sale grosso calcolando il dosaggio secondo le quantità di erbe. Nella soluzione, bollente, vanno messe le erbe fino a cottura, si consiglia che rimangano un po’ croccanti. Stenderle su un canovaccio ad asciugare per una notte, meglio se coperte con una garza per evitare i moscerini che sono ghiotti di aceto. In-fine mettere nei vasetti precedentemente sterilizzati, stratifi-cando con olio e qualche pizzico di sale. Mettere lo spessorino e conservare al fresco e al buio.

Ennio Furlan, chef del Collegio Cocorum ed esperto d’erbe ha

scritto e pubblicato un prezioso manualetto dal titolo “Erbe, funghi

e marmellate”, dove vi rivela i suoi segreti.

Per contatti Tel. 0432 521917- 3200598212.

Come usare i cuori basali

Raccontare il ciboRaccontare il vino

Maurizio Soldà, un attore che racconta storie di cibo, di vino, di passato e presente.Narrazioni ironiche e allegre che penetrano nelle tradizioni di un tempo come nello spettacolo “Ostrighe e granzi i mesi con la erre” sulle tradizioni della cucina istriana. Dialoghi con i ragazzi in “Panem in fabula” dove gli spettatori-attori fanno il pane mente ascoltano (e vedono) storie di farina. Affabulazioni sul vino, racconti enoici per animare serate di degustazione come in “Calici d’arte”, evento appena concluso al museo Revoltella.

Educazione alimentare: con il teatro didattico!

Il bambino imbottito: uno spettacolo per le scuole dell’obbligo ricco di informazioni e spunti, per insegnare sorridendo

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lezioni golose: dai primi piatti alla pasticceria è boom di scuole di cucina

Mestoli e padelle, con gli elettrodomestici all’avanguardia di Mìele

Micol Pisa è l’affermata mae-stra della scuola di Cucina Mestoli e Padelle, che svol-

ge  le  sue  lezioni  nello  spazio  Miele della Sincerotto a Buttrio. Una sede prestigiosa,  dove  le  attrezzature sono  all’avanguardia  ma  alla  porta-ta dei non professionisti.  “Le parole d’ordine nella mia scuola, ci raccon-ta, sono rigore, tecnica e qualità del-le ricette. Unite ad altri piccoli grandi segreti: la  passione  e  l’  umiltà  di  riconosce-re  i  propri  limiti.  Ed  è  per  questo che frequento abitualmente corsi da professionisti del settore (in Castali-menti,  ma  non  solo:  ormai  a  Milano da Simone Medagliani sono di casa). C’è un gran parlare di cucina un po’ ovunque e oggi più che mai è impor-tante la consapevolezza del mangia-re,  della  qualità  del  cibo,  delle  ma-terie  prime,  dei  prodotti  stagionali: ecco tutto questo in sintesi è Mestoli e Padelle”. “Durante  le  lezioni,  continua  Micol, non realizziamo ricette fini a se stes-se, ma cerchiamo di affrontare l’argo-mento in un ‘tuttotondo’ di idee, sug-gerimenti. Tenendo ben presente che a  casa  non  si  cucina  come  gli  chef, ma si possono ben rubare le loro idee e  i  loro  accorgimenti!”  La  scuola  di cucina  Mestoli  e  Padelle  ([email protected])  è  nata  da  un  hobby 

praticato  con  passione,  frequentan-do corsi su corsi e dalla scoperta di avere  una  naturale  propensione  per l’insegnamento. Mestoli  e  Padelle,  accanto  a  tutti i  corsi  base  e  alle  lezioni  secondo stagione,  dedica  ampio  spazio  alla pasticceria, dai dolci al cucchiaio ai biscotti da the, dalle torte da forno ai semifreddi. “Sono  particolarmente  fortunata  ad aver  trovato  una  sede  così  ben  at-trezzata, aggiunge Pisa, con Giorgio Sincerotto  il  feeling  è  stato  imme-diato. Ci siamo  incontrati anni  fa  in Fiera alla Mostra della Casa Moderna nell’ambito  di  uno  show  cooking  e l’idea di collaborare ha portato frutti davvero interessanti per entrambi. “Infatti, ci spiega Sincerotto, per noi ospitare la scuola di cucina, non solo è  un’interessante  forma  di  co-mar-keting, ma rappresenta un’utilissima occasione di testare i prodotti di un brand di alta gamma come Miele. Le nostre cucine infatti sono in que-sto modo sperimentate in tutti i loro possibili utilizzi e il nostro servizio al cliente è maggiormente mirato. Anche per chi sceglie mobili ed elet-trodomestici per una cucina di pochi metri quadrati”. Noi  a  qualche  lezione  di  Mestoli  e Padelle ci siamo stati ed eravamo da Sincerotto anche per la presentazio-

Fabiana Romanutti

ni dei corsi: c’era la fila per entrare, come a teatro! Una nota per non sba-gliarvi, venendo da Udine, sulla sta-tale,  il  Sincerotto  presso  cui  dovete fermarvi per raggiungere la scuola è il secondo che trovate sulla destra.

INFO

MESTOLI & PADELLE Scuola di cucinaVia Nazionale, 7 - 33042 Buttrio (UD) tel. +39 0432 67 46 33

prenotazioni 347 30 92 448 micol [email protected] www.mestoliepadelle.it

MAESTRA

IO E DAVIDE

imPERdibilE lEZionE sui macaRons

E i dolci dEcoRati

“Guardate la foto di Davide Malizia e osservate come ammira la sua creazione:  ecco  perché  l’ho  fortemente  voluto  nella  mia  scuola, siamo entrambi innamorati… del nostro lavoro! 

Ci siamo conosciuti a luglio, durante un corso di pasticceria nella scuo-la Castalimenti, una delle più qualificate in Italia, alle lezioni di Iginio Massari,  più  noto  a  livello  mondiale  come  “Il  Pasticcere”.  Con  Davide siamo entrati subito in sintonia e ci siamo accordati per una sua “incur-sione” nella mia scuola. Da me, solo il meglio per i miei allievi! “ Così ci racconta Micol Pisa. E Davide Malizia è certamente il meglio: vincitore di numerose medaglie d’oro conquistate in competizioni internazionali nel settore artistico, è consulente e docente del nuovo settore emergente della pasticceria, la sucrerie, decorazione con zucchero. Il 6 dicembre nello spazio Miele presso Sincerotto a Buttrio, la scuola di cucina Mestoli e Padelle propone una lezione imperdi-bile: Macarons e i dolci decorati per le feste di Natale. Con Davide Malizia come docente. F.R.

Macaron,  che passione!

Provenienza  francese  ma nome  di  origine  italiana 

(avete  presente  i  maccheroni?) Uno  dei  pasticcini  più  modaioli del momento in Italia (in Francia è ormai un classico) è il macaron, un dolce morbido come una me-ringa ottenuto da una miscela di 

albume  d'uovo,  fa-rina di mandorle e  zucchero  gra-nulato.  Superfi-

cie  liscia,  crosti-cina  croccante,  due 

pezzi  a  cupola  che  racchiudono seduzione per le papille. Macaron è per gli appassionati sinonimo di Ladurée  , dal nome dalla pastic-ceria che li ha creati a Parigi nel 1930. Dallo scorso anno gli origi-nali si trovano anche a Milano, in via Spadari (di fronte a Peck, ico-na della gastronomia italiana) fra stucchi e medaglioni con l’angelo pasticcere  simbolo  della  maison. Sono  declinati  in  vari  sapori  se-condo  stagione,  compresi  basili-co  e  liquirizia,  rosa  e  violetta… Fare macaron richiede una gran-de quantità di studio, precisione, tecnica.  Nella  foto  un  macaron all’olio di oliva e vaniglia.

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Tutte le idee sono novità e le novità creano nuove idee. La cucina è da sempre la

mia passione, in quello che creo c’è tutto me stesso, compresi pregi e di-fetti. Quando non lavoro penso ai piatti, quando lavoro li perfeziono.“Sono  attratto  dalla  tecnologia  in  cu-cina e ricerco nuovi metodi di cottura. Un piatto non è solo un’idea, dopo l’idea viene il calcolo, la ricerca della tempe-ratura,  della  quantità  e  della  misura ottimale,  delle  cromie  e  degli  equili-bri”. Così scrive Cristian Mometti, chef trevigiano, nella prefazione del suo vo-lume  Vasocottura  ,  Club  Magnar  ben editore.  Trentadue  ricette  descritte passo passo e splendidamente fotogra-fate da Ezio Prandini. Mometti l’abbia-mo conosciuto alla Subida di Cormons, nel corso di “Tavole divine”, un evento culinario  a  quattro  mani  con  lo  chef Alessandro Gavagna,  e  l’accompagna-mento dei vini Borgoluce di Coneglia-no  Valdobbiadene  (con  un  Prosecco DOCG di assoluta eccellenza). Accan-to  alla  “provocazione”  di  portare  vini della  Marca  Trevigiana  nel  cuore  del Collio,  i  vasetti  di  vetro  contenenti  le creazioni  tipiche  della  Subida  (girini, ovvero  pasta  butada  in  primis)hanno fatto da protagonisti, in una sinfonia di profumi, consistenze e sapori. La vaso-cottura è una tecnica della cucina mo-derna  che  si  rifa  al  passato,  all’antica tradizione balcanica di cucinare il cibo 

lentamente nel proprio sugo in pento-loni di ghisa chiusi e poi coperti con la brace, per fare in modo che le pietan-ze  rimanessero  succose  conservando il  loro  autentico  sapore,.  Vasocottura, sottovuoto, basse temperature consen-tono a Mometti di creare veri capolavo-ri culinari. La sua Variazione sul pollet-to gli ha fatto vincere nel 2009 il titolo di Cuoco dell’anno. Senza dimenticare l’mpio uso di materie prime locali vene-te, dal  broccolo di Creazzo all’agnello dell’Alpago.  Anche  in  questa  tecnica, suggestiva è il caso di dirlo, anche per l’impatto estetico dei vasetti che arri-vano  a  tavola  la  qualità  della  materia prima è  fondamentale. Cucinare “nel” vaso enfatizza i pregi ma anche i difetti degli ingredienti… I vasetti usati sono del tipo Weck adatti alla cottura e alla conservazione. Perché una volta posti all’interno  dei  vasi,  i  prodotti  non  su-biranno altri  trasferimenti da un con-tenitore  all’altro,  perché  nello  stesso vaso saranno cotti, abbattuti, stoccati, rigenerati, presentati e degustati.

vasocottuRaTecnica moderna che riprende antiche

tradizioni balcaniche

Fabiana Romanutti

LA RICETTA

L’uovo incastonato

ingredienti: 4 uova bio, 1 picco-

lo tartufo nero di Norcia, 2 pa-

tate di media grandezza, 1 por-

ro, 180 g di golosetta di Nonno

Nanni, 50 g di olio extravergine

di oliva, sale q.b., pepe nero q.b.,

20 g di germogli di porro.

Tagliare

una patata

a fette

sottili e

l’altra a

cubetti; cucinarle al dente a fuoco

dolce con pochissimo olio. Con

gli scarti delle patate e del porro

pulito e tagliato a pezzettini fare

una crema leggermente densa.

Mettere nei vai un goccio d’olio, il

tartufo a lamelle e l’uovo. Aggiun-

gere le patate a fette, regolare di

gusto. Appoggiarvi sopra i cubetti

di patata, la crema di porro e

infine la golosetta a pezzi. Chiu-

dere i vasetti e cuocere in forno

a vapore a una temperatura

controllata di 65°C per 55 minuti.

Servire l’uovo in abbinamento a

germogli di porro che prontamen-

te saranno posti nel vaso dopo

l’apertura.

igiene e siCureZZaLa cucina è più pericolosa del ristorante?

Da  una  chiacchierata  con Martina  Tartara,  docente  di Tecnologie  alimentari  alla 

Scuola  Alberghiera,  abbiamo  appre-so che ciò di cui tante volte sentiamo parlare, è proprio vero. L’igiene nelle nostre cucine lascia a desiderare, an-che se siamo convinti di averle pulite a  fondo.  In  pratica,  ci  dice  Martina, sotto il pulito spesso ci sono… i batte-ri. La pulizia della cucina, dei taglieri, dei  contenitori dei  cibi  cotti  e  crudi, delle pentole (rispettando i metodi di cottura  più  idonei)  è  elemento  prio-ritario.  Non  vanno  trascurate  alcu-ne  regole base per  la  sicurezza nella conservazione dei cibi, come quella di mantenere sempre i prodotti refrige-

rati e quelli surgelati alla temperatu-ra indicata sull’etichetta, riponendo il cibo in frigo o nel congelatore subito dopo l’acquisto. Quindi è bene leggere con attenzione  le  istruzioni per  l’uso e  sulle modalità di conservazione  ri-portate  sulle  etichette.  Da  leggere con  attenzione  anche  il  cartello  con gli  ingredienti  esposto  negli  esercizi pubblici.  Si  possono  evitare  fastidio-si  problemi  di  allergie  o  intolleranze alimentari. In caso di dubbi, ci si può rivolgere alle ASL o alle Associazioni dei Consumatori. Ma vogliamo comin-ciare  con  un  consiglio  banale?  Tipo lavarsi  le mani prima di  trafficare  in cucina, fermare i capelli con una cuf-fia o un fermaglio, cambiare frequen-temente gli strofinacci per asciugare le  stoviglie  o  le  mani  (o  utilizzare quelli  usa  e  getta,  svuotando  spesso la  pattumiera),  arieggiare  spesso  la stanza  (la  cappa  aspirante  può  non sempre bastare).

La  conservazione  sotto  vuoto la  consociamo  praticamente tutti, ora è il momento di pas-

sare alla cottura sotto vuoto. Per non perdere  i  i preziosi nutrienti e  l’umi-dità  naturale  del  cibo.  La  tecnica  di cottura sottovuoto è adatta per pesce e  carne,  che  vengono  assemblati  a crudo con eventuali salse, condimen-ti o spezie,  in un resistente sacchet-to di plastica per alimenti e svuotato dell’aria interna. La cottura avviene a temperature non troppo elevate (tra i 70° e i 100°C) in umido, in un forno a vapore, a bagnomaria oppure nel mi-croonde.  Non  essendoci  contatto  tra l’alimento e il mezzo di cottura, gli in-gredienti si mescolano perfettamente tra di  loro, gli aromi si conservano e la  pietanza  risulta  molto  tenera.  Al momento  di  servirlo,  il  piatto  viene tolto  dalla  sua  confezione  e  nuova-mente  riscaldato  o  gratinato  in  un forno  tradizionale  o  nel  microonde. 

la cottuRa sottovuoto

è una tecnica da tempo utilizzata dai ristoranti  (e  ora  ci  sono  vari  service che distribuiscono ai posti di  ristoro sacchetti  di  cibo  sottovuoto  pronto per gli ultimi tocchi). La  macchina  sottovuoto  utilizzata nella ristorazione è quella a campana, molto efficace e precisa, ma piuttosto costosa:  ha  l’aspetto  di  una  scatola dal coperchio trasparente sollevabile, a chiusura ermetica. Ma oggi ci sono macchine confezionatrici per uso do-mestico  molto  più  semplici,  sempre dotate  di  una  barra  termosaldante, dal  costo  non  eccessivo  e  di  qualità accettabile.  Fra  i  risultati  un’accen-tuazione dei sapori e degli aromi delle vivande, che rimangono più naturali; la possibilità di cuocere a basse tem-

perature, che mantengono più tenero l’alimento; una dispersione minore di vitamine e sali minerali, in assenza di aria e  liquidi;  la possibilità di cuoce-re contemporaneamente nella  stessa pentola più alimenti, ovviamente cia-scuno  nei  sacchetti  sigillati;  un  calo inferiore di peso del prodotto, grazie alla mancata evaporazione dell’acqua dell’alimento.

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L’OFFICINA DEGLI AttREZZI

abbattitore rapido di temperatura domestico

Se  siete  appassionati  di  ga-stronomia e volete a casa vo-stra una cucina professionale 

come quella di un ristorante, mettete nella lista per Babbo Natale, l’abbat-titore rapido di temperatura.Dopo  Freddy  proposto  sul  merca-to dalla  Irinox nel 2006, molte altre aziende  si  sono  lanciate  in  questo promettente  mercato,  studiando  di-mensioni,  consumi, design, pannelli di  controllo  e  salvaguardando  sem-pre le prestazioni di assoluta profes-sionalità.La Kitchen Aid, sì proprio quella del-la vostra impastatrice di riferimento, ha  assemblato  le  tre  macchine  che oggi si utilizzano in ambito professio-nale per sviluppare il sistema cook & 

chill (cuoci e raffredda). Ecco quin-di a disposizione in un'unica colonna forno  a  vapore,  macchina  del  sotto-vuoto a campana e abbattitore rapi-do  di  temperatura.  Prima  si  mette sotto vuoto il prodotto, poi si decide se abbatterlo subito o dopo la cottu-ra.  Garantendo  una  filiera  di  igiene e  conservazione  ottimale.  Ciò  con-sente di avere una scorta di prodotto pronto all’uso preservandone le qua-lità organolettiche e  i sapori.  In sin-tesi:  risparmio di  tempo (i  tempi di preparazione diminuiscono  in modo considerevole)  e  di  soldi  (consente di  fare approvvigionamenti conside-revoli  quando  si  trova  una  materia prima  di  proprio  gusto)  all’insegna della qualità.

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AUtUNNO IN IStRIA

funghi e castagne, tra ricordi e presente

Entrava,  in  punta  di  piedi, nascosto  tra  le  pieghe  degli strofinacci che ingombravano 

il  cesto,  confuso  tra  i  rametti  secchi di  Santonego  e  qualche  spiga  di  la-vanda fiorita dopo le piogge d’ottobre. Il  profumo  si  espandeva  dispettoso, rivelando  l’arrivo  della  sua  stagione, quella dei funghi che nell’Istria bassa e rossa si rivela attraverso la prestan-za  dei  porcini  ma  soprattutto  nella succosa  delizia  dei  funghi  di  “San Martin”. Cappello  importante ma so-prattutto quel profumo inconfondibi-le anche dopo la cottura.Il fuoco acceso nel cammino ispirava una preparazione veloce. Puliti, lavati ed  asciugati,  i  più  grossi,  cuocevano in pochi minuti alla brace, per finire nel grande piatto con olio d’oliva, sale e pepe. Un fetta di pane e la cena era pronta. Con i funghi di piccole dimen-sioni si preparava una frittata, o veni-vano destinati  al  risotto o  alla pasta del  giorno  dopo.  Reminescenze,  che ritornano, oltre che nelle case anche nella ristorazione dell’Istria odierna.

i FungHi di san maRtin

In  questa  stagione  si  possono  acqui-stare  al  mercato.  Per  chi  non  ha  il caminetto, si  fanno saltare  in padella con  dell’olio  d’oliva.  Il  cappello  va  la-sciato intero e girato e rigirato finché si asciuga il liquido di cottura. Ottimi al forno con le patate.Il nome varia con la geografia: Cardi-

nale  (Campania),  Cimballo,  Marem-mano, Ordinale / Ordinale da prato / Ordinario / Ordinello e così via.Ma  non  varia  solo  il  nome.  Il  sapore dipende dal tipo di terreno in cui vie-ne colto. Da Rovigno a Gimino, alcu-ne  decine  di  chilometri  di  distanza, il  fungo  si  rivela  un  vero  e  proprio “mutante”.  Dolce  verso  il  mare  e  la terra rossa, più aspro nell’entroterra. Dispettoso,  ma  anche  un  fungo  che merita grande attenzione, come affer-mava il micologo Giacomo Bresadola, a  proposito  dellaClitocybe  geotropa: “... è uno dei funghi più squisiti e, pel forte aroma che possiede, si può cuocere anche alla maniera dei tartufi, servendosene come di questi per condimento...”.In  Istria,  in  questa  stagione  si  può assaporare  soprattutto  negli  agritu-rismi dove la cucina casereccia ripro-pone piatti di estrema semplicità ma all’insegna dell’autentico gusto ritro-vato.

i maRRoni di lauRana

In  fondo  al  cesto,  le  sere  d’autunno nelle case istriane, entrava un pizzi-co  d’allegria  con  le  castagne,  da  far aprire  in padella, ben coperta, dopo aver  praticato  un  taglio  orizzontale per  farle  cuocere  a  dovere.  Oppure bollite  nell’acqua  salata  e  insapori-ta  con  foglie  di  lauro.  Il  regno  delle castagne, tra l’Istria e il Quarnero, è nella zona di Laurana, sulle falde del 

Rosanna GiuRicin tuRcinovich

Monte  Maggiore.  La  Marunada  è  un invito alla degustazione di piatti dol-ci  e  salati  preparati  con  le  castagne migliori,  raccolte  sulle  pendici  del Monte che sovrasta la costa e ne de-termina quel clima mite che anche la lungimiranza  austro-ungarica  aveva definito “salubre e curativo”.

L’Impero aveva fatto di più: ogni albero di castagne doveva avere un padrone che lo seguisse e lo curasse, non ce ne doveva essere uno, per decreto, che fosse abbandonatoE  la  gente  aveva  colto  il  richiamo, facendo a gara per il raccolto più im-portante  e  la  durata  del  frutto  che veniva  ricoverato,  ancora  nel  riccio, sotto  una  montagna  di  foglie  e  ter-riccio per essere mangiato sino a pri-mavera  inoltrata.  Tutte  queste  note ritornano nei giorni della Marunada, o  Festa  delle  castagne  a  Laurana  e dintorni  soprattutto  nella  prepara-zione dei dolci in cui fantasia ed abbi-namenti non hanno fine. Torte e pa-sticcini con cioccolato e liquori, torte e budini, la castagna regna sovrana. E arrostita e innaffiata con vino no-vello  e  grappa  serve  ad  affrontare  i primi rigori dell’inverno. Momenti da non perdere! E da gustare nei risto-ranti di Laurana e Abbazia.

ricette “tipicamente istriane”suggerite da Rosanna Giuricin

Minestra di funghi e castagne

ingredienti

250 g di porcini, 100 g di castagne (anche surgelate),

1 cipolla, 40 g di burro, 3 cucchiai di olio extravergi-

ne d'oliva, 20 g di farina bianca, 1 l di brodo vege-

tale, 1 cucchiaio di foglioline di timo, 100 g di pasta

fresca all'uovo già stesa, 2 cucchiai di prezzemolo

tritato, sale e pepe

preparazione

Sbucciate la cipolla, tritatela fine e fatela soffrigge-

re in una casseruola con il burro e l'olio per circa 5

minuti. Pulite i funghi, tagliateli a tocchetti e aggiun-

geteli al soffritto di cipolla; spolverizzateli con la

farina, mescolate per qualche minuto e

versate a filo il brodo bollente.

Unite le castagne e il timo e cuoce-

te a fiamma bassa per 20 minuti.

Nel frattempo tagliate le sfoglie di

pasta in piccoli rettangoli irrego-

lari. Cuocete poi la pasta in acqua

bollente leggermente salata, scolatela

e unitela alla zuppa di funghi. Completate

con il prezzemolo tritato, regolate di sale,

pepate e servite.

Tagliolini ai sapori di bosco

Cuocete le castagne nell'apposita padella con i buchi,

poi sbucciate e spezzettate grossolanamente le casta-

gne cotte. Versate il sugo di noci (si trova già confe-

zionato) in un pentolino, scioglietevi poca panna e,

mescolando delicatamente, aggiungete le caldarroste,

degli amaretti (se vi piacciono ) e dei gherigli di noci

tritati non troppo finemente.

Regolate il sale e il pepe, profumate il composto con

l'alloro e il rosmarino e cuocete i tagliolini in acqua

bollente salata. Una volta scolati metterli nel tegame

ove avete preparato il sugo di condimento mescolan-

do velocemente e, se vi pare il caso, aggiungete una

noce di burro fresco di ottima qualità. Servire caldi

con una manciata di parmigiano.

Ravioli di castagne

Preparate la pasta setacciando farina di castagne e

farina bianca, aggiungete 5 uova, una per ogni 100 g

di farina e impastate fino a ottenere un impasto liscio

ed elastico.

Lasciate da parte la pasta e intanto preparate il ripie-

no dei ravioli. Fate bollire le castagne in una pentola

con sale fino a quando non risulteranno morbide.

Una volta cotte sbucciatele e togliete la pellicina e

passatele con lo schiacciapatate o con una forchetta.

Unitevi della ricotta, formaggio grana, pecorino e

un uovo, sale e pepe a piacere e impastate fino

a ottenere un composto ben amalgamato.

Preparate i ravioli stendendo la pasta in

una sfoglia sottile, distribuite sopra a

mucchietti regolari il ripieno e ri-

piegate a modo di portafoglio;

premendo attorno ai muc-

chietti chiudete i ravioli che

andranno poi ritagliati. Fate

bollire una pentola d'acqua,

intanto preparate il condimento:

in una pentola mettete una noce di

burro, poca panna, timo e fate soffrigge-

re per pochi minuti. Quando l'acqua bolle salatela e

versatevi i ravioli che a cottura ultimata andranno

conditi con il sughetto preparato in precedenza.

Tagliatelle di castagne al sugo di funghi

Impastare bene 150 g di farina di castagne, 150 g di

farina bianca per sfoglia, 3 uova, un pizzico di sale, 1

cucchiaino d’olio d’oliva.

Tirare la sfoglia e preparare le tagliatelle che andran-

no condite con sugo di funghi porcini o con sugo di

salsiccia e funghi o con ricotta.

Page 27: q.b.quantobastaFVG ottobre 2011

Il 5 e il 6 novembre a Verteneglio

presentazione di ogni specie di fungo

istriano. Laboratori didattici e conferenze.

Incontri e gare delle numerose società micologiche dell’Istria e della Croazia Degustazione di specialità a base di

funghi nei menu di ristoranti, trattorie e agriturismi.

<  gusto e buongusto nell’euroregione

quanto basta fvg

52 gusto e buongusto nell’euroregione  >

quanto basta fvg

53

Funghi e patate al fornoingredienti

Funghi porcini g 500, patate g 500, 2 spicchi d'aglio,

prezzemolo, vino bianco, olio d'oliva, sale e pepe

preparazione

In una padella fate rosolare, in 8 cucchiai d'olio, un

trito di aglio e prezzemolo. Prima che l'aglio prenda

colore unite i gambi dei funghi, puliti e tritati grossola-

namente. Salate, pepate e fate cuocere piano per una

decina di minuti. Pulite e tagliate a fette le cappelle dei

funghi. Sbucciate le patate e tagliatele a fette alte circa

1/” cm. Ungete leggermente una teglia, coprite il fondo

con uno strato di patate, coprite il

tutto con i funghi rosolati, fate un

altro strato di patate e terminate

con i funghi a fettine. Salate, pepate,

cospargete con altro prezzemolo (o

nepitella). Bagnate con mezzo bic-

chiere di vino, irrorate con 8 cucchiai

d'olio e cuocete in forno caldo per

circa 40 minuti.

Frittata di funghiingredienti

6 uova, funghi a volontà, 40 g di burro, sale, pepe

preparazione

Pulite i funghi, affettateli sottilmente e metteteli in

una padella antiaderente con il burro fuso, lasciate

insaporire per qualche minuto a fuocodolce. Sguscia-

te le uova in una terrina, conditele con sale e pepe,

battetele a lungo, versatele lentamente nella padella,

con i funghi. Cuocete la frittata dalle due parti, sco-

latela lasciatela riposare 2 minuti e servitela. Potete

aggiungere qualche fettina di tartufo.

Castagne, funghi e lenticchieingredienti

150 g lenticchie, 15 g di porcini secchi, 1 cipolla pic-

cola, 100 g di farina di castagne, 75g di farina bianca,

1 uovo, 50 ml di grappa, 20 g burro, 4 o 5 foglie di

salvia, sale, olio d’oliva

preparazione

Ammollate i funghi secchi in acqua tiepida, tritarli

grossolanamente e conservare l'acqua. Tritate fine-

mente la cipolla, metterla in un tegame (se possibile di

coccio) e fate fondere con un poco di acqua. Quando

l'acqua sarà evaporata aggiungete un po' di olio. Non

appena la cipolla inizia a soffriggere aggiungete le

lenticchie ben lavate e lasciate insaporire 5 minuti.

Aggiungete i funghi, la loro acqua filtrata attraverso

un telo e altra acqua. A metà cottura regolate di sale.

Lasciate cuocere fino a quando le lenticchie sono

morbide ma non disfatte. Nel frattempo setacciate le

due farine, unite l'uovo, la grappa, un pizzico di sale e

l'acqua necessaria per ottenere una pastella morbida

ma non liquida. La consistenza deve essere simile alla

pasta per fare i bignè. Mettete la pasta in un sac a po-

che senza beccuccio finale o con un beccuccio molto

grande. Spremete la pasta tagliandola

in tronchetti di circa 2cm di lunghez-

za facendoli cadere in una pentola di

acqua salata in ebollizione. Lasciate

cuocere gli gnocchi fino a quando

non verranno a galla e l'acqua inizie-

rà a bollire nuovamente. Scolate gli

gnocchi e passateli velocemente in

una padella con burro fuso e salvia.

In ogni piatto disponete una porzione

di zuppa di lenticchie e guarnite con

gli gnocchi.

Cavolini di bruxelles con castagne e pancetta

Fate due tagli a croce sulla buccia delle castagne e fa-

tele bollire in una grande pentola per venti minuti. Nel

frattempo, mondate i cavolini di Bruxelles praticando

un'incisione alla base di ognuno. Gettateli nell’acqua

bollente salata e fateli cuocere: devono risultare cotti

ma non sfatti. Togliete le castagne con la schiumarola

e pelatele, togliendo anche la pellicina interna. Fate

scaldare il forno a 170 gradi (termostato 5).

Tagliate la pancetta a dadini. Fate fondere 25 g di bur-

ro in una padella e rosolate la pancetta finché è dorata

e croccante. Aggiungete le castagne sbucciate e lascia-

te per due minuti nel burro a fuoco dolce. Togliete dal

fuoco. Ungete una pirofila con 10 g di burro. Scolate

i cavolini e mettetene metà nella pirofila, coprite con

pancetta e castagne, poi con il resto dei cavolini. Sala-

te leggermente, pepate e cospargete di noce moscata.

Versatevi sopra il brodo, il pangrattato e infine il resto

del burro a fiocchetti. Infornate e fate cuocere per

quindici minuti. Spegnete allora il forno, accendete il

grill e fate dorare per qualche minuto. Servite subito.

RICEttE tIPICAMENtE IStRIANE

san Martino: ogni mosto si fa vino!

I primi  giorni  di  novembre  sono  il  momento  ideale per i primi assaggi di botte e per il vino novello, che viene stappato in atmosfere allegre e conviviali ac-

compagnato da castagne arrostite e piatti a base d’oca! Mentre,  per  dirla  con  il  poeta,  “Gira  su’  ceppi  accesi  lo spiedo scoppiettando”… Anche il Movimento Turismo del Vino FVG celebra San Martino. E naturlamente  lo  fa  in cantina! Nel  fine  settimana del 12 e 13 novembre 48 aziende vitivinicole di tutta la regio-ne, da Pinzano al Tagliamento a San Dorligo della Valle, da San Floriano del Collio a Palazzolo dello Stella  sono aperte per gli  enoturisti  con una degustazione speciale (per esempio una verticale di diverse annate o una com-parativa tra diverse tipologie), con abbinamenti tra vini e prodotti tipici, una cena  o  un  pranzo con il vignaiolo. Qual’è  la  diffe-renza  tra  Cantine Aperte e San Mar-tino  in  Cantina? Quest’ultimo,  si legge  sul  sito  de-dicato, è un evento più  raccolto, quasi più intimo, in cui si esalta la relazione tra enoturista e vi-gnaiolo, che possono dialogare attorno a un tavolo con la calma e la rilassatezza di una domenica di fine autunno, davanti  a  un  calice  di  buon  vino.  All’insegna  della  tra-smissione di una lieta operosità, con i racconti dei lavori in vigna e in cantina, con le ansie e le aspettative di una buona annata! In programma anche le cene del sabato e i pranzi della domenica sempre in compagnia del vignaio-lo. Info: www.mtvfriulivg.it

q.b. IN BREVE

Ristorante con cantina o cantina con ristorante?

A Vipacco sulla Strada dei vini (Vinarska Cesta 5)

l’amico Furio Baldassi ci ha consigliato un interes-

sante indirizzo, quello del Vipaki Hram. Un locale

dove si fa ampio uso del legno con tocchi da Okto-

berfest e la cucina è quella della tradizione, con

poche interessanti innovazioni. Selvaggina, pesce

di acqua dolce e di mare, molte verdure. Si va dal

carpaccio di tonno con tartufi ai fusi (di origine

istriana) con radicchio e salsiccia alla scarpena in

pergamena abbinata a gnocchi gratinati gamberi e

verdura. Interessane e saporito il manzo arrostito

con sugo di vino servito con polenta. Come dolci si

suggeriscono il rotolo con miele e ricotta (sicura-

mente a km zero) e gli stuklji di noci e dragoncello.

Chiuso domenica e lunedì. Apertura continuata,

come d’uso in Slovenia, dalle 12 alle 22.

san martino, patrono del vino e dei vignaioli

Anche in Slovenia, paese ancora fortemente

agricolo, si celebra San Martino, patrono del vino

e dei vignaioli. Numerose le feste del vino nelle

zone della Slovenia orientale a maggiore vocazione

vitivinicola (Podravje, Pomurje, Prlekija, Prekmurje

e Slovenske Gorice), nei piccoli centri, ma anche a

Ptuj e Maribor, dove esiste la vite attiva più antica

del mondo, con almeno 400 anni di età. Degusta-

zioni dei vini novelli, concorsi di vini stagionati

accompagnati dall’oca arrosto sono in programma

dal 4 al 13 novembre.

nel segno della salsiccia

Fino al 6 novembre i ristoratori del Carso orga-

nizzano la decima edizione di Sapori del Carso.

Quindici “gostilne”, dalla Val Rosandra a San Michele

del Carso propongono specialità e menù tipici all’in-

segna delle specialità di maiale. Con pane di farina

macinata a pietra naturale arricchita dai ciccioli.

Informazioni su menù, esercizi, produttori, serate,

mostre e escursioni su: www.triesteturismo.net.

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quanto basta fvg

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caffè al sapore di carinziaSan Giusto a Kötschach Mautehn

In  questo  numero  di  q.b.  quanto basta FVG vi presento il più buon caffè  dopo  la  dogana  (ex  doga-

na), con il sapore della Carinzia!Negli ultimi anni in Austria è cambia-ta la cultura del caffè.La  gente  ha  cominciato  a  decidere precisamente dove berlo.Qualcuno  va  in  cafeteria  solo  per leggere  I  giornali  e non gli  interessa molto  se  il  caffè  é  più  o  meno  buo-no. Altri  invece ci vanno proprio per bere  il  buon  caffè.  Anche  a  casa  sta cambiando la cultura del caffè, fino a qualche anno fa si beveva solo caffè-filtro e adesso si usano diversi tipi di macchine per bere anche a casa qual-cosa di ottimo. Alcuni si fanno condizionare dal mar-keting senza chiedersi che cosa ci sia dentro  le  confezioni,  le  qualità  dei semi, gli eventuali aromi aggiunti. Poi ci sono altri che scelgono le ditte giu-ste, quelle che vogliono solo il meglio per gli amanti del caffè. Fra  i  più  bravi  secondo  me  ci  sono Helmut  Thurner  e  suo  figlio  Chri-stian, che vivono come me dopo la do-gana, a Kötschach-Mauthen.Qualche  anno  fa  hanno  cominciato con  una  torrefazione  con  una  pre-cisa  filosofia  che  si  basa  sulla  scelta dei semi per la propria selezione. Per il caffè  filtro hanno  lavorato  insieme 

hERWiG ERtl

con San Giusto a Trieste. Adesso han-no  deciso  di  fare  tutto  da  soli:  com-prano  la  migliore  qualità  dei  semi  a Trieste, e li lavorano in Carinzia. Vendono anche apposite macchinette per  produrlo,  perché  solo  se  la  mac-china  funziona  perfettamente  viene fuori  il  giusto  caffe.  Helmut  e  Chri-

stian  fanno  anche  lezioni  per  baristi in  tutta  l’Austria  per  diffondere  la cultura del prodotto. Venite ad assag-giare  il  migliore  caffè  in  Austria  da 

Helmut  e  Christian  Thurner  (www.sangiust.at),  poi  fate  un  passaggio anche da me ([email protected]): scoprirete molti prodotti speciali anche della vostra regione che maga-ri  non  conoscete…  Perché  noi  qui  a Kötschach-Mauthen siamo alla  ricer-ca dell’eccellenza!

il laboratorio Di Josef Zotter

Willie Wonka per un giorno

Willy Wonka e  la fabbrica di cioccolato  è  un  film  del 1971,  diretto  dal  regista 

Mel  Stuart  e  ispirato  a  un  romanzo di  Roald  Dahl;  nuovamente  portato sullo schermo nel 2005 da Tim Bur-ton con Johnny Depp come protago-nista. La trama è nota: il proprietario di una fabbrica di dolci bandisce un concorso, i cinque bambini che trove-ranno il biglietto d'oro nelle barrette di cioccolato da lui prodotte potran-no entrare nella sua favolosa fabbrica per scoprirne i segreti. Bene,  per  entrare  in  mondo  magico e  ludico,  sentendovi  subito  il  vinci-tore di un biglietto  sapor cacao che vi  fa  entrare  in  luoghi  misteriosi  e carichi  seduzione  basta  andare  da Josef Zotter a Riegersburg, in Stiria. Non è lontano e, come si usa dire, la visita merita il viaggio. Ne sono con-vinti tutti quelli che già dalle 10 del mattino fanno la fila per entrare. La fabbrica è organizzata alla perfezio-

ne anche nella sua parte descrittiva, in una sorta di vero laboratorio inte-rattivo. Vi si racconta tutta  la storia del cacao con le fasi di raccolta. Zotter  segue  il  Fair  Trade,  termine che  potremmo  tradurre  come  com-mercio equosolidale, si seguono sen-za  compromessi  i  criteri  della  pro-duzione  biologica  e  i  principi  della filosofia “bean to bar”: nella fabbrica si  produce  direttamente  a  partire dalle  fave di  cacao,  scelte personal-mente nelle piantagioni. Quando  attraversate  il  corridoio dove  scendono  da  apposite  macchi-

nette  tutti  i  tipi  di  cioccolatini,  e sono a vostra completa disposizione, per poi passare nella sala dove ruota-no davanti a voi tutti i tipi di ciocco-lato, e ce ne sono davvero tantissimi in gusti spesso impensabili, e potete farvi tutti gli assaggi in tazza, beh, la felicità è davvero a portata di mano. 

C’era  una  volta,  negli  anni  '90,  un mastro pasticciere che aveva a noia i consueti prodotti di cioccolato. Allo-ra decise di ritirarsi nel suo laborato-rio a Graz per fare nuovi esperimen-ti...Potrebbe  cominciare  così  questa storia. Josef Zotter si  lanciò  in esperimenti con cioccolato  fatto a mano  in com-binazioni di gusti finora mai provati. Oltre al marzapane e semi di zucca, ecco  il gusto canapa e caffè. Presto nacque una fabbrica dedicata al cioc-colato che è ormai diventata un  im-pero del gusto. La veste grafica delle confezioni  è  piacevolissima  e  ludica anch’essa.  Provate  a  immaginare una cioccolata, purchè fatta a mano, che  vi  piacerebbe  assaggiare?  Da zotter  è  probabile  che  la  troverete. Le  fa anche su misura e personaliz-zate, come quella al formaggio che ci ha fatto conoscere l’amico Herwig… Bergl 56, Riegesburg,

tel +43 3152 5544, www.zotter.at

Ph: F. Neumuller

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A tAVOLA CON LA StORIA

bollicine del secolo scorsoPrima la bustina con la scritta in blu,

poi quella con la scritta in rosso…

silvano bERtossi

Quanta magia in quell'acqua di rubinetto.  Un'acqua  che  di-ventava effervescente, grade-

vole, leggermente acidula. Sulle tavole delle  famiglie  l'acqua  frizzante  non mancava mai, mezzogiorno e sera. Ad-dirittura, per non sprecare nulla, la si conservava per rimetterla in tavola la volta successiva. Potremmo  dire,  usando  una  piccola esagerazione, che alcune generazioni sono  cresciute  proprio  con  quest'ac-qua  resa  frizzante  dalle  polverine. Anche  la  preparazione  era  una  spe-cie di rito. Si doveva versare prima la bustina  con  le  scritte  blu,  poi  quella con  le  scritte  in  rosso. La prima pol-vere  entrava  nel  collo  della  bottiglia con  facilità,  la  seconda,  quella  che provocava  la  reazione  immediata per cui era necessario stare pronti con  il tappo,  spesse  volte  restava  per  metà sul bordo: provocando,  fra  l'anello di gomma del tappo e il vetro, tutta una serie  di  bollicine  che  scoppiettavano allegramente. Bisognava chiudere ra-pidamente  la  bottiglia  e  agitarla  per sciogliere  completamente  la  polvere che si depositava sul  fondo. All'inter-no si scatenava una reazione chimica che  generava  l'effervescenza.  Poi  nel tempo,  la  bustina  divenne  unica.  Ma ugualmente  bisognava  agire  con  la stessa velocità. Alcuni, per diminuire l'effetto  effervescente,  versavano  la bustina in una brocca d'acqua. Veniva così giocato l'effetto champagne. 

Le bustine uniche contengono anche oggi bicarbonato di sodio (E500), aci-do  malico  (E296)  e  acido  tartarico (E334).  Questa  miscela  è  stabile  in mancanza di acqua, ma diventa subito effervescente a contatto con il liquido liberando l'anidride carbonica ne-cessaria per la formazione delle “bollicine”.  L'inventore  delle polverine frizzanti fu il cavalier Arturo  Gazzoni,  impren-ditore  bolognese,  che nel 1907 fondò una in-dustria  farmaceutico-alimentare  producendo l'Idrolitina  (ma anche  la Pasticca del Re Sole e il Resoldor: entrambi ebbe-ro un enorme successo popolare). Per reclamizzare  il  prodotto,  cioè  quel-le  magiche  polverine,  si  affidò  a  un poeta  bolognese  di  nome  Zangarini autore delle rime che pubblichiamo.

“Diceva un oste al vino: tu mi diventi vecchio ti voglio maritare all'acqua del mio secchio.

Rispose il vino all'oste: fai le pubblicazioni sposo l'Idrolitina del cavalier Gazzoni”L'azienda di Gazzoni ha chiuso la sua attività nel 1990 con un fatturato di 85 miliardi.  Oggi  l'Idrolitina  fa  capo  alla Prontofood  dell'imprenditore  Lucia-no Pensante della Prontofood, un self made man bresciano che confeziona il prodotto nel Genovese. Le bustine di Idrolitina, Salitina, Cristallina e Friz-zina  –  per  citare  quelle  più  note  –  ci sono  ancora  sugli  scaffali  dei  super-

mercati,  però  l'abitudine  all'ac-quisto  è  molto  diminuita,  per-

ché  di  bibite  frizzanti  ora c'è  una  ricca  varietà  e c’è solo  l'imbarazzo del-le  scelta.  Del  resto  gli alimenti hanno una loro periodicità. Vengono so-

stituiti, passano di moda, cambiano i gusti dei consumatori, na-scono nuovi sapori. L'Idrolitina era un rito per  i bambini degli anni  '60, una ragione  per  farsi  trovare  puntuali  a tavola all'ora stabilita. Quell'acqua del rubinetto trasformata ci faceva sentire parte di un mondo pieno di promesse.

la ciambella di Parmenide

e altre golosità

“Con  la  sua  forma  ben  rotonda, la zuccherosa ciambella parme-nidea è un dolce adatto a pochi. 

Soltanto gli intenditori, infatti, ri-escono a rispettare la regola di  mangiarne  una  e  solo una.  La  ricetta  della ciambella  è  segretissi-ma.  Sono  rimasti  solo pochi  frammenti  di quella  originale.  Tut-tavia,  gli  uomini  saggi sapranno facilmente rico-struirla percorrendo  la giu-sta via che porta ai mercati più esclusivi. I comuni mortali hanno solo opinione di come si fa la ciambella ma non una vera e propria scienza”. Ecco una  delle  ricette  “sapienziali”  che  ci ha  conquistato nel  blog  che  su-bito  vi  facciamo conoscere:  Pa-sticceria  filoso-fica.  Come  non apprezzare  per esempio  i  biscot-ti al cioccolato di Hegel? “La fluidi-tà  del  cioccolato si  realizza  nella  solidità  della  pasta frolla, in un goloso superamento della morta frolla e dell'informe cioccolato. La sintesi perfetta  tra compatta scio-glievolezza  e  morbida  croccantezza. Senza contare che le forme dei biscotti (cuori, stelline, lune) ben rappresenta-

no l'unità organica nel reciproco diffe-rire degli elementi che li compongono, e  che  solo  nella  sintesi  del  biscotto 

acquistano autentico senso”. E la macedonia  di  Empedocle? 

“Dalla semplicità di pochi elementi alla eterogenea mescolanza di tanti, go-losi  pezzettoni  di  frut-ta”.  Last  but  not  least il  cioccolato  kantiano. 

“Puro  come  un'idea della  ragione,  questo 

cioccolato  fa  pensare  molto al  primo  morso.  Esteticamente 

compromettente,  schematizza  analo-gicamente il sapore corposo del cacao con  le  rappresentazioni  razionali  del-la volontà di desiderare. Dopo un solo 

assaggio, si speri-menterà  la  legge assoluta  di  non distaccarsene”. Un  metodo  easy per  capire  i  con-cetti  basic  della la  filosofia  e  nel contempo  adde-strarsi ai fornelli. Se  da  filosofi  si 

resta disoccupati, almeno ci si prepara un’alternativa di lavoro.Su Facebook  il  gruppo Pasticceria  fi-losofica, post-laurea in filosofia consi-glia: «Ti sei laureato in filosofia? Vuoi fare ricerca? Vuoi insegnare? Macché, apri una pasticceria».

maRta omERo

L'APERITIVO DIVENTA FILOSOFICO

A Vicenza dal 24 al 26 novembre

Torna a Vicenza dal 24 al 26novembre  l'appuntamen-

to  con  ViviDOC,  happy hour filosofico  a  base  di  prodotti locali  promosso  dal  Consorzio Tutela Vini Colli Berici e Vicen-za. La terza edizione della ras-segna coincide quest'anno con il VII Convegno Nazionale della Società Italiana Counseling Fi-losofico.  “L'aperitivo  –  spiega Andrea  Monico,  coordinatore del  Consorzio  –  è  uno  dei  rari momenti in cui ci possiamo fer-mare  e  riflettere  su  quanto  ci circonda.  Noi  vogliamo  porre l'attenzione su ciò che mangia-mo e beviamo in questi momen-ti: per una sera proporremo di abbandonare  cocktail  e  snack confezionati,  sostituendoli  con qualcosa  di  probabilmente  più sano  e  certamente  più  ricco di  significato,  come  i  vini  del nostro  territorio  e  i  prodotti DOP”. Saranno  infatti  Sopressa  Vi-centina DOP, Formaggio Asiago DOP  e  Prosciutto  Berico-Eu-ganeo  DOP  ad  accompagnare Tai Rosso, Garganego e gli altri vini Colli Berici DOC e Vicenza DOC.  Tra  i  vari  appuntamen-ti  segnaliamo  “E  se  fosse  la filosofia...a  parlare  di  amore, matrimonio, tradimento?” dove l'amore  sarà  rappresentato dal Tai  Rosso  Spumante,  il  matri-monio  dal  Tai  Rosso  Tradizio-nale  e  il  tradimento  dal  Tai Rosso Riserva, e il simposio “Il Senso della Vite. Pratiche filosofiche e Bacco: i valori immateriali del vino”.

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esPressionisMoDedicato a Marcella

Era la seconda volta che veniva nel  suo  studio.  Era  giovane, una bambina, o meglio un’ado-

lescente.L’adolescenza  è  ...  “come  un  ponte” aveva pensato. Il purgatorio che decide l’avvenire  della  gioventù  e  della  cre-scita.  Forse  lei  non  aveva  conosciuto questa  fase o per  lo meno non  l’aveva vissuta.-Buongiorno signo’ aveva bisbigliato.-Buongiorno,  aveva  detto  lui.  “Siediti …-Marcella,  mi  chiamo  Marcella,  aveva bisbigliato di nuovo la bambina.-Si  ...Marcella siediti. Ecco mettiti ad-dosso questo corpetto..nello spogliato-io.Lei si allontanò per tornare indietro in un istante. Nel suo movimento leggero senza rumore del suo corpo fanciulle-sco fece notare a lui solo il profumo di arancia… Sì di arancia e di qualcos’al-tro, forse di zucchero, di miele. Il profu-mo lo svegliò in un attimo per portarlo non nella realtà ma in un altro paese. Realtà e paese. Due concetti che ulti-mamente gli sfuggivano. Non riusciva a metterli insieme. Marcella si avvicinò a lui e lo guardò con i suoi occhi profondi neri come la notte. Lui alzò lo sguardo e  con  la  mano  indicò  alla  fanciulla  la poltrona dove sedersi.-Prendi una posizione comoda, Marcel-la, come meglio ti senti.La  fanciulla  si  sdraiò.  Era  rigida  e  il suo  sguardo  girava  nella  stanza.  Era 

intimidita un po’. -Marcella, puoi stare come vuoi e pensare ciò che tu deside-ri, non essere spaventata!La ragazza fissò i suoi occhi. Il pittore notò il nero dei suoi occhi. Assomiglia-vano alla notte. Ha visto che la bambi-na non era a suo agio. Per lei era ancora uno sconosciuto. Forse il suo modo di fare la spaventava. Forse era troppo se-rio per lei. Allora lasciò per un attimo la sua matita e si avvicinò alla bambina. Ma di che cosa le poteva parlare? Era una bambina, e probabilmente non an-dava neanche a scuola.  I suoi colleghi gliela avevano consigliata per la parti-colarità del suo viso. “Sofferenza. Ecco cos’ha  il  suo  viso.  Ma  lei  nemmeno  si rende conto” pensò.Il profumo di …scorza d’arancia  lo ri-portò  di  nuovo  ai  suoi  pensieri.  “Che profumo  allegro”  pensò.  “La  sua  vita non  ha  niente  dell’arancia,  ma  il  suo profumo…”-Profumo  di  scorza  d’arancia”  disse d’un tratto sorridendo alla bambina.Marcella aprì gli occhi spaventata e si mosse sulla poltrona.-Oh niente, tranquilla, volevo dire che sento  un  profumo  di  scorza  d’arancia che  viene  dalle  tue  …-  -la  bambina strinse le dita delle sue mani - sì, dalle tue mani forse, continuò il pittore.-Che bel profumo… hai sbucciato del-le  arance?  Chiese  allegro  non  tanto per la curiosità quanto per rompere il ghiaccio. Ma quel profumo l’aveva mes-so davvero di buon umore e si sentiva 

tingiamo le scorze zuccherate. Solo un pezzettino di  loro, un angolino. Lo la-sciamo diventare solido in modo che si attacchi alla buccia zuccherata. E una volta  pronte  io  me  le  prendo  e  me  le mangio con le mani.Lo zucchero, pensò il pittore. Renden-dosi  conto  solo  in  quell’  attimo  che l’intesa era perfetta: la bambina aveva preso la posizione del feto, accucciata, i suoi pensieri sopra la poltrona. Con un piede piegato vicino alla pancia, sopra la poltrona e uno che toccava il suolo. Con  i suoi calzini color viola a strisce nere  e  le  ciabatte  color  arancione,  gli occhi  che  guardavano  un  punto  della stanza,  lei  era persa nei  suoi profumi e ricordi.Marcella alzò lo sguardo e vide il pit-tore  a  fissarla  preso  dal  movimento del  corpo  creato  dal  suo  racconto. D’un  tratto  si  intimidì  mettendo  la mano sulla bocca come per dire “ecco ho finito, è tutto qui il profumo.”La piccola aveva raccontato al pitto-re  tutti  i  colori necessari  per  la sua  tela  e  tutti  i colori  della  sua infanzia.  D’un tratto  il  pittore cominciò  a  di-pingere.  Il  ros-so,  l’arancione, il  verde  del  suo vestito  a  strisce nere  e…  il  nero degli suoi occhi e forse anche della sua adolescenza.I  colori  sembra-vano  finti,  creati nella  mente  in un  attimo  stac-cati  dalla  realtà, come  la  sua  ricetta  staccata  dalla realtà in cui la ragazza viveva la sua vita. E lo zucchero, lo zucchero, che si addensa per rimanere zucchero, non il miele… Era ancora una bambina.

in  vena  di  chiacchierare.  La  ragazza stava  silenziosa  guardandolo  negli occhi.“Spero che non sia tanto pazzo”, pensò. E  si mosse di nuovo  sulla pol-trona.-Le  tue mani, Marcella,  hanno  il  pro-fumo  della  scorza  d’arancia,  ripeté  il pittore.-Sì, fece la fanciulla, arancia. Mia ma-dre e mia sorella si sono messe a fare le scorze di arancia oggi a casa”, disse, e abbassò i suoi occhi.-A fare le scorze d’arancia?” chiese sor-ridendo il pittore prendendo nelle sue mani la matita.-Sì, disse la bambina. Per fare le scor-ze…è un lavoro  lungo signò, continuò la ragazza.Si prendono delle arance con la buccia spessa. Si sbucciano tagliandole a stri-sce lungo gli spicchi come i meridiani, si leva via la parte bianca di loro e poi le bucce si fanno bollire per ben tre volte. Ben tre volte -ripeté la bambina-cam-biando per ben tre volte l’acqua.Il pittore notò la ripetizione delle paro-le del suo racconto tipico della sua età e gli sembrava che insieme con l’acqua la bambina cercasse di buttare via l’ama-rezza…delle arance.-E poi dopo la terza volta le scola sotto l’acqua fredda.”“Poi la mamma mette sul fuoco un te-game colmo d’acqua e zucchero il dop-pio delle bucce e fa bollire piano piano insieme  le bucce e  l’acqua zuccherata per  ancora  10  minuti  fin  che  l’acqua zuccherata non si addensa senza però prendere colore. Deve solo addensarsi intorno alle arance.Poi mia madre le mette sopra una tova-glia su un marmo e le lascia asciugare per ben 7 ore. Una volta asciutte mia mamma  mette  ancora  dello  zucchero sopra  che  si  attacca  sopra  le  bucce. E  poi,  continuò  allegra  muovendo  le mani, mia sorella in un tegamino scio-glie a bagnomaria della cioccolata fon-dente, comprata dal negozio dei Muller in  fondo  la  strada,  e  io  e  mia  madre 

Ernst Ludwig Kirchner: Marcella,1910.

olio su tela, cm 101x 76. firmato a destra

El. Kirchner. Berlino, Byrche-Museum .

“La ragazza rappresentata in questo

dipinto è una delle famose modelle-bam-

bine degli artisti della “Burche”; anche il

vestito nero a righe è un elemento ricor-

rente. Questa scena molto probabilmente

è da ricollegare ad uno dei soggiorni degli

artisti della “Burche” ai laghi di Moritz-

burg. Gli artisti apprezzavano soprattutto

la disinvoltura e la naturalezza con la quale si muovevano le

modelle,caratteristiche che ben si coniugavano con il principio

d’immediatezza che costituiva il loro motto. …” Mario Gol-

din, curatore della mostra “Espressionismo” a Villa Manin 22

Ottobre 2010.

liRika nakEllaRi

il dolcE Più caRo al mondo

Se per caso vi recate al Lindeth Howe Country House Hotel di Windemere in Cumbria atten-

zione a quello che or-dinate sul menu. Que-sta  delizia  di  dolce che vedete nell’imma-gine costa ben 22mila sterline, più di 25mila euro  ed  è  stata  crea-ta  dal  capochef  Marc Guibert  in  occasione della  National  Choco-late Week. Si tratta di un  tortino  di  cioccolato  con  sfoglia d’oro e diamante sulla sommità. De-

dicato ovviamente ai palati più fini e ai portafogli più gonfi del mondo. Un  mix  di  foglie  d’oro,  cioccolato  e 

champagne,  il  tutto impreziosito  con  un diamante.  “Il  dolce  è spettacolare,  ha  un sapore  incredibile  e per questo ha un prez-zo così alto”. Fonte:  http://sweet-temptations.alterv i-sta.org/eventi/,  un blog  di  un  giovane 

friulano che seguiamo con molta at-tenzione!

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<  gusto e buongusto nell’euroregione

quanto basta fvg

60 gusto e buongusto nell’euroregione  >

quanto basta fvg

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Bianco e neroFormazione à la carte

Nella  nostra  civiltà  occidentale abbiamo  perso  le  “vie  di  mezzo”: le  cose  sono  bianche  o  nere;  si  è d’accordo oppure no. L’interessan-te delle filosofie orientali è invece il  cercare  le  “zone  d’ombra”,  cioè tutti  quegli  spazi  intermedi  che permettono  un  confronto  meno diretto e,  a volte, più  realistico.  Il senso  della  relatività  che  ne  de-riva  si  imprime  anche  nella  vita. Mentre noi occidentali costruiamo tutto perché duri in eterno, per gli orientali tutto è transitorio e cam-bia con le stagioni.Parlando  della  nostre  spiritualità, siamo convinti che quello che sia-mo  diventati  negli  anni  sia  suffi-ciente  per  aiutarci  a  essere  felici, senza considerare l’importanza del coltivarla  e  svilupparla  la  felicità. Per questo badiamo poco alle  for-me e ai contenuti pensando che la “sostanza” ci sia “sempre e comun-que”. L’orientale, al contrario, è at-tento  a  ogni  singolo  gesto,  a  ogni dettaglio.  Ecco  perché,  a  volte,  le nostre tavole imbandite in fretta e furia servono solo per riempire gli stomaci, ma ben poco l’anima. 

paolo g. biancHi

www.formazione-zero.blogspot.com

Abbiamo  avuto  la  fortuna  di scoprire  un  volume  recentis-simo,  edito  dalla  Biblioteca 

Internazionale La Vigna, che costitu-isce una vera novità nella grande mas-sa di volumi intorno al baccalà. L’auto-re è Otello Fabris, specialista di Storia della Gastronomia del Medioevo e del Rinascimento. In campo enogastrono-mico Fabris vanta una trentennale at-tività per  il recupero della tradizione enologica e di alcuni  formaggi carat-teristici della pedemonta-na vicentina-trevigiana. Ed è presidente di molte altre associazioni che non citiamo  per  mancanza  di spazio. Menzioniamo solo l’ideazione della rassegna di  cultura  enogastrono-mica  Merlin  Cocai  (e  di certo al lettore il nome di Teofilo Folengo farà veni-re  in  mente  interessanti  reminiscen-ze “maccheroniche”) e  il  fatto che  fa parte di ben due Confraternite, quella del baccalà alla vicentina e quella del baccalà mantecato alla veneziana. “La pubblicazione,  scrive  nella  presen-tazione  Marco  Bagnara,  come  è  ben documentato anche dalla ricchissima bibliografia  riportata  in  appendice, 

libri Da leggere CoMe un roManZo

I misteri del ragno: documenti e ipotesi sulla storia del Baccalà

spazia  infatti  dal  Veneto  e  dall’Italia a tutti  i paesi  interessati alla pesca e alla  commercializzazione  del  pesce baltico. Fra  le  novità  la  verità  storica  sul Querini,  la cui relazione pubblicata a Venezia  dal  Ramusio  nel  1559,  ebbe tanto  successo  da  essere  ripubbli-cata persino a  fumetti.  “Ma non  fu  il Querini, precisa Fabris il primo a par-lare di stoccafisso e neppure ne fu  il primo  importatore.  Prima  di  lui,  già 

a  partire  dal  XII  secolo, il  pesce  secco  era  cono-sciuto  nel  Medterraneo senza  dimenticare  che  lo stoccafisso  era  giunto  a Venezia  per  via  fluviale prima che per mare. Sono oltre 300 pagine, frutto di 5 anni di ricerche. Secoli di storia d’Europa narrati con  linguaggio  lieve  ma 

preciso,  seducente  e  con  continui  ri-ferimenti, ricette, citazioni, arricchito da illustrazioni, incisioni. Un affresco si secoli di storia e della nostra cultura enogastronomica  con  unico  filo  con-duttore e punto di vista: quello dello stoccafisso?  O  dobbiamo  chiamarlo baccalà? Una  lettura avvincente e  il-luminante. Si consiglia!

Il RISTORANTE DELL’AMORE RITROVATO

Questo  è  il  libro  vinci-tore  del  Premio  Ban-carella  cucina  2011. Autrice  Ito  Ogawa, edizioni  Neri  Pozza. Ringo, una ragazza che lavora  nelle  cucine  di un  ristorante  turco  di Tokyo, rientra una sera a  casa  con  l'intenzione 

di preparare una cena succulenta per il suo fidanzato col quale convive da un po'. Con suo sommo sgomento, però, scopre che l'ap-partamento  è  completamente  vuoto.  Nien-te  televisore,  lavatrice,  frigorifero,  mobili, tende, niente di niente. Spariti  persino gli utensili in cucina, il mortaio di epoca Meiji ereditato dalla nonna materna, la casseruo-la Le Creuset acquistata con la paga del suo primo  impiego,  il  coltello  italiano  ricevuto in  occasione  del  suo  ventesimo  complean-no.  E,  soprattutto,  sparito  il  fidanzato  in-diano, maître nel ristorante accanto al suo, un ragazzo con la pelle profumata di spezie.Lo choc di Ringo è tale che resta impietrita al centro della casa desolatamente vuota, la voce che non  le esce più dalla bocca. Deci-de allora di ritornare al villaggio natio, dove non mette più piede da quando, quindicen-ne,  è  scappata  di  casa  in  un  giorno  di  pri-mavera. E per tornare pienamente alla vita decide di aprire un ristorante per non più di una coppia al giorno, con un menu ad hoc, ri-tagliato sulla fisionomia e i possibili desideri dei clienti. La magia (il perché lo scoprirete leggendo) del Lumachino, questo il nome del ristorante, si diffonde in tutto il circondario. Perché tutti vogliono sedersi alla tavola del ristorante dell'amore ritrovato.

LEttURE DA ASSAPORARE

LA SCRITTRICE CUCINAVA QUI

Un libro imperdibile per chi ama le storie. Stefania Aphel Barzini racconta per i tipi di Gribaudo la vita di dieci gran-di scrittrici dalla parte dei fornelli. Virginia Woolf, Simone De Beauvoir, Elsa Morante, Karen Blixen, Agatha Christie, Grazia  Deledda,  Harriet  Beecher  Stowe,  Gertrude  Stein, Pamela L. Travers, Colette tra ambienti e oggetti quotidia-ni,  ingredienti,  ricordi  alcune  delle  ricette  che  più  ama-vano. La cucina, la vera cucina, diceva Colette, è fatta da chi assaggia, assapora, sogna un istante, aggiunge un filo d'olio, un pizzico di  sale, una  foglia di  timo, da chi pesa senza bilancia, misura  il  tempo senza orologio,  sorveglia l'arrosto solo con gli occhi dell'anima e mescola  le uova, il burro e  la farina secondo ispirazione, come una strega benigna. Attraverso il cibo infatti passa la vita. 

POLLO ALLE PRUGNE

Pollo alle prugne è un film. Ma prima è stato una graphic novel. è la storia di un piatto  che  diventa  simbolo  di  una  vita. Il  film  presentato  al  festival  di  Venezia racconta una vita a cui fu negata la feli-cità. Non c’è niente che possa cambiare la situazione, neanche l’offerta di un as-saggio di quel Pollo alle Prugne (da qui il titolo) che aveva sempre amato mangia-re… (Per i lettori golosi: la ricetta preve-

de fra gli ingredienti pollo, prugne, cannella e peperoni). La frase emblematica è: “il giorno in cui lascerai nel piatto quella sublime e squisita pietanza vorrà dire che hai perso il senso della vita”. "Poiché nessuno riusciva più a procu-rargli il piacere di suonare, Nasser Alì Khan decise di mo-rire, si distese nel letto e otto giorni dopo, il 22 novembre 1958, venne sepolto di  fianco a sua madre..." Questa è  la storia  che Marjane Satrapi  racconta mostrandoci  sin dal principio  come  e  quando  finirà  la  vita  del  protagonista. "Pollo alle prugne" non è solo un affresco sull’Iran. E' so-prattutto, la storia di un uomo innamorato che vive grazie alla forza della memoria. Come il ricordo di quel pollo alle prugne che mangiava da bimbo e il cui sapore, quando ci pensa, riesce ancora a dargli piacere.

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quanto basta fvg

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Direttore responsabileFabiana Romanutti

hanno collaborato a questo numeroTiziana Baita, Silvano Bertossi, Paolo G. Bianchi, Roberto Cipresso, Claudia Culot, Herwig Ertl,

Anna Fast, Ennio Furlan, Rosanna Giuricin Turcinovich, Carlo Morandini, Lirika Nakellari, Marta Omero, Germano Pontoni, Giuliano Orel, Antonella Varotto, Aurelio Zentilin

Foto di copertina: Massimo Petrossi

Impaginazione: Eurograf, Tarvisio (UD)

Stampa: Tipografia La Tipografica snc, Basaldella (UD)

Autorizzazione n. 1202 del 18 settembre 2008 del Tribunale di Trieste 

Assoc. Culturale Studio Giallo, via San Michele 26 Trieste

q.b. è on line sul sito www.qbfvg.it / Per scrivere alla redazione: [email protected]

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