Pro.di.gio. n.VI dicembre 2011

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Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70%- DCB Trento progetto di giornale BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP Numero VI - dicembre 2011 - aNNo Xii - lXiX Numero pubblicato telefoNo e faX 0461 925161 WWW.prodiGio.it La libertà attraverso la legalità Un’occasione di confronto con il giudice Gherardo Colombo e l’avv. Umberto Ambrosoli pagina 3 A che gioco giochiamo? Il problema del gioco d’azzardo ai nostri giorni pagina 8 Il Risorto Un progetto per ridare vita alla voglia di stare all’aria aperta pagina 9 QR CODE... cos’è? Da questo numero inseriamo dei codici per poter accedere rapidamente hai dei contenuti su Internet pagina 11 Intervista a Rudi Probst responsabile alle comunicazioni per BMW Motorrad-Germania La sicurezza stradale è di casa in Germania C i è sembrato interessante vedere come il problema della sicurezza stradale sia affrontato dai nostri vicini d’ oltralpe. Soprattutto, ci interessava analizzarlo dal punto di vista delle due ruote. Ma non quelle dei circuiti del moto Gp, bensì quelle che gli appassionati usano nel tempo libero o come mezzo per andare a lavoro. Di seguito troverete alcuni spunti e riflessioni che potranno essere utili a chi non vuole rinun- ciare all’emozione della moto, rimanendo però sempre in sicurezza. Le chiedo cortesemente, se può rispondere, come pensa possa BMW di migliorare la sicu- rezza sulle moto che vende? Solitamente il tema della sicurezza stradale comprende due tematiche: la protezione attiva e quella passiva negli incidenti. Alla BMW se- guiamo un approccio complessivo che include tutti gli aspetti della protezione negli incidenti. La prevenzione è il metodo più efficace di prote- zione. Qui di seguito trattiamo della prevenzione affinché, possibilmente, non si arrivi ad un inci- dente. Si inizia dal conducente: noi offriamo corsi di guida sicura per principianti, avanzati o per coloro che già controllano molto bene la moto. Offriamo corsi anche a persone che risalgono in moto dopo diversi anni. Per quanto riguarda la moto, offriamo sistemi che la rendono facilmen- te gestibile, soprattutto nelle situazioni critiche. Per questo BMW è stato il primo produttore che ha immesso sul mercato l’ABS per le moto. In tem- pi più recenti si aggiungono sistemi di sicurezza come il controllo di trazione applicato all’inclino- metro e l’impianto illuminante anteriore (ALC), per cui il fascio di luce segue l’andamento del per- corso stradale. Nell’ambito della “BMW MOTO connected ride” lavoriamo a sistemi innovativi che possano in seguito innalzare ulteriormente la sicurezza stradale (vedesi link...). Alcuni dei sistemi qui menzionati li troverete presto nei prossimi modelli di moto BMW. La protezione passiva del motociclista è una sfida maggiore in confronto a quella dell’automobilista, poiché manca totalmente la cellula di protezione così come per il pedone o il ciclista. La BMW Motor- rad è uno dei pochi produttori che sviluppi e venda abbigliamento protettivo. Qui troviamo soluzioni innovative come per es. il collare che impedisce lo stiramento delle vertebre cervicali. Ampia è l’offerta di abbigliamento tecnico protettivo, ciò significa che c’è tutto quanto serva per viaggiare sicuri. In Italia ci sono purtroppo numerosi morti e feriti in incidenti stradali con le moto, come prevenire ed educare i motociclisti? L’aumento della protezione negli incidenti è un compito di tutti. Tutti gli interessa- ti, produttori di veicoli, infrastrutture, scuole guida, la politica etc., devono collaborare per ottenere il massimo. Poiché accanto alle tematiche sulle quali i produttori ed i consumatori possono influire, le infrastrutture del traffico (per le due ruote sicure) o le condizioni generali della politica sul traffico sono partner con uguali responsabilità nell’am- bito della sicurezza stradale. L’obbiettivo deve essere quello di aumentare la sicurezza di tutto il traffico stradale nel suo complesso, anche se una sicurezza totale non può comunque esistere. Lei che oltre ad esse- re un general manager di Bmw Motorrad è un appassionato motoci- clista, come vive questa passione? Da quando avevo 15 anni viaggio su due ruote motorizzate: motorini, scooter e moto. Per- sonalmente mi piace molto andare in moto. Comunque cerco di non superare mai i limiti fisici delle condizioni di guida sulle strade pubbliche. Cerco anche di pensare come gli altri guidatori, poiché come motocicli- sta è facile passare inosservati. L’andare in moto è uno sport per il quale bisogna sempre essere concentrati al 100 %. Giuseppe Melchionna Traduzione dal tedesco a cura della Prof. Flavia Basso O re 04.50, la mia sveglia suona già da 5 mi- nuti, è l’ora di alzarsi, vestirsi e mettersi in marcia con destinazione il ghiacciaio di Val Senales. Lì mi aspetta la squadra italiana di snowboard paraolimpico. Sono ormai 2 anni, cioè da quando è stata creata la nazionale, che vengono ad alle- narsi in questo luogo magico e suggestivo, incastonato tra le montagne altoatesine. Quando esco fuori di casa è ancora notte e il silenzio è a dir poco assordante. Tele- camera, cavalletto e macchina fotografica sono lì, accanto alla porta, come anche tutta l’attrezzatura necessaria per affrontare una lunga giornata a meno 10 sotto zero. Mi resta solo caricare il furgone e partire. La tappa successiva è il parcheggio dell’area ex Zuffo, Trento, dove ho appuntamento con una amica, Stefania, che mi aiuterà nelle riprese e nelle interviste. La voglia di rimettere la tavola sotto i piedi è tanta, ma non è lo scopo principale per cui ho organizzato questo incontro. Sì, è vero, lo snowboard è una vera passione per me e l’ occasione che mi si è presentata, è quella di condividere e documentare questo amore per la medesima disciplina con delle ragazze e ragazzi che l’hanno trasformata in occasione di riscatto. Un’ opportunità per vivere la loro disabilità nel migliore dei modi, continuando a fare ciò che amano e traendo pure grandi soddisfazioni. La strada per raggiungere Maso Corto, loca- lità da dove parte la cabinovia per il ghiacciaio è lunga, ma sicuramente resa piacevole dalla vista del paesaggio mozzafiato che si staglia tutto intorno. Le vette sono innevate e il con- trasto con i tipici colori dell’autunno e il cielo terso mi rendono partecipe di un’opera d’arte. Riemergo dai miei pensieri e mi rendo conto che siamo praticamente giunti a destinazione anche se un po’ in anticipo. Poco male, c’è giusto il tempo di una bella tazza di the caldo. In ogni caso alle 08.00 l’appuntamento è rispet- tato e iniziamo a presentarci. Il clima è disteso e subito facciamo conoscenza con i 2 giovani allenatori: Silvia Bre- sciani e Igor Confortin. Entrambi hanno dedica- to la loro vita al mondo dello snowboard come maestri in molte località sciistiche. Leggo nei loro occhi una grande soddisfazione per il ruolo che ricoprono, non solo per una questione di prestigio: essere allenatori di una Nazionale non è cosa da poco. Sentono di contribuire a qualcosa che va oltre alla disciplina agonistica.- ”Lavorare con questi ragazzi che giungono da esperienze di disabilità completamente diverse le une dalle altre, mi ha cambiato” (...) “Mi hanno insegnato ad apprezzare le piccole cose e dimostrano, ogni volta che ci alleniamo, una volontà d’animo difficile da riscontrare in una persona normodotata”-. Silvia Bresciani mi sintetizza in poche parole quello che ormai per lei è un sogno divenuto realtà. Il gruppo non tarda a farsi riconoscere, non tanto per il fatto che si vedono protesi alle gambe o alle braccia, ma per l’esplosio- ne di felicità e armonia che diffonde. Sia io che Stefania siamo piacevolmente sorpresi che al primo contatto con i ragazzi della nazionale, ci sentiamo subito anche noi parte del gruppo. Il momento della ascesa sul ghiacciao non tarda ad arrivare. In cima, le condizioni meteo sono ottime, a parte la temperatura di meno tredici gradi che mi limita un po’ nelle riprese. La nazionale è in fermento e dopo un po’ di riscaldamento a terra si prepara per l’alle- namento vero e proprio. È questo il momento per regolare l’attrezzatura, non solo allacciare le tavole, ma anche controllare le protesi agli arti inferiori per assicurarsi che non tradiscano all’atterraggio da un salto o mentre si effettua una curva.-” Spesso le protesi non resistono alle sollecitazioni e semplicemente “esplodono”, la ricerca in questo campo è ancora tanta da fare, anche se ogni anno si migliora sempre qualcosa”-; queste le parole di Marco, che mi permetterei di rinominare “l’uomo dei test”. E’il primo componente che riusciamo ad intervista- re e la sua determinazione e voglia di superare i limiti ci cattura immediatamente. Ci racconta che ha perso entrambe le gambe in un inci- dente sul lavoro e da quel momento cupo, ha saputo trarre il meglio non perdendosi d’animo e provando anche cose nuove, come appunto lo snowboard.-”Per me è una sfida continua, ogni volta che raggiungo un buon livello con una determinata attrezzatura, la cambiamo per vedere quale è la combinazione migliore tra tavola attacchi e protesi”. In questa continua sfida, Marco è seguito da Silvia Bresciani che ormai ha accumulato una notevole esperienza nel percepire le difficoltà e nel trovare insieme ai suoi atleti le giuste soluzioni. Lasciamo Silvia e Marco fare i loro test e deci- diamo di raggiungere tutto il resto del gruppo allo Snowpark. A seguirli c’è Igor Confortin che tra una spiegazione e l’altra mostra agli atleti come si affrontano i salti. Mentre filmo le loro evoluzioni sono colto da un impulso di felicità nel vedere alla base dei loro sforzi e della loro concentrazione tanto sano e puro divertimento per quello che stanno facendo... La giornata è stata intensa, ma quello che mi porto a casa dopo un’esperienza del genere, è la voglia di non arrendersi alle varie difficoltà e lo spirito di apprezzare anche le cose più piccole e generalmente date per scontate. Un ringraziamento speciale a tutti voi amici della nazionale per la disponibilità che avete di- mostrato e per la positività che avete trasmesso. Lorenzo Pupi Reportage: In Val Senales con la Nazionale Italiana di snowboard Paraolimpico Neve per tutti

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Pro.di.gio. è un bimestrale indipendente che da voce al disagio sociale e alla disabilità in tutte le sue forme, promuovendo la partecipazione attiva di tutti.

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progetto di giornale

Bimestrale di informazione dell’associazione prodigio onlus sul mondo del disagio e dell’handicap

pro.di.gio.Numero VI - dicembre 2011 - aNNo Xii - lXiX Numero pubblicato telefoNo e faX 0461 925161 WWW.prodiGio.it

La libertà attraverso la legalitàUn’occasione di confronto con il giudice Gherardo Colombo e l’avv. Umberto Ambrosoli

pagina 3

A che gioco giochiamo?Il problema del gioco d’azzardo ai nostri giorni

pagina 8

Il RisortoUn progetto per ridare vita alla voglia di stare all’aria aperta

pagina 9

QR CODE... cos’è?Da questo numero inseriamo dei codici per poter accedere rapidamente hai dei contenuti su Internet

pagina 11

Intervista a Rudi Probst responsabile alle comunicazioni per BMW Motorrad-Germania

La sicurezza stradale è di casa in Germania

Ci è sembrato interessante vedere come il problema della sicurezza stradale sia affrontato dai nostri vicini d’ oltralpe.

Soprattutto, ci interessava analizzarlo dal punto di vista delle due ruote. Ma non quelle dei circuiti del moto Gp, bensì quelle che gli appassionati usano nel tempo libero o come mezzo per andare a lavoro.

Di seguito troverete alcuni spunti e riflessioni che potranno essere utili a chi non vuole rinun-ciare all’emozione della moto, rimanendo però sempre in sicurezza.Le chiedo cortesemente, se può rispondere, come pensa possa BMW di migliorare la sicu-rezza sulle moto che vende?Solitamente il tema della sicurezza stradale comprende due tematiche: la protezione attiva e quella passiva negli incidenti. Alla BMW se-guiamo un approccio complessivo che include tutti gli aspetti della protezione negli incidenti. La prevenzione è il metodo più efficace di prote-zione. Qui di seguito trattiamo della prevenzione affinché, possibilmente, non si arrivi ad un inci-dente. Si inizia dal conducente: noi offriamo corsi di guida sicura per principianti, avanzati o per

coloro che già controllano molto bene la moto. Offriamo corsi anche a persone che risalgono in moto dopo diversi anni. Per quanto riguarda la moto, offriamo sistemi che la rendono facilmen-te gestibile, soprattutto nelle situazioni critiche. Per questo BMW è stato il primo produttore che ha immesso sul mercato l’ABS per le moto. In tem-pi più recenti si aggiungono sistemi di sicurezza come il controllo di trazione applicato all’inclino-metro e l’impianto illuminante anteriore (ALC), per cui il fascio di luce segue l’andamento del per-corso stradale. Nell’ambito della “BMW MOTO connected ride” lavoriamo a sistemi innovativi che possano in seguito innalzare ulteriormente la sicurezza stradale (vedesi link...). Alcuni dei sistemi qui menzionati li troverete presto nei prossimi modelli di moto BMW. La protezione passiva del motociclista è una sfida maggiore in confronto a quella dell’automobilista, poiché manca totalmente la cellula di protezione così come per il pedone o il ciclista. La BMW Motor-rad è uno dei pochi produttori che sviluppi e venda abbigliamento protettivo. Qui troviamo soluzioni innovative come per es. il collare che impedisce lo stiramento delle vertebre cervicali.

Ampia è l’offerta di abbigliamento tecnico protettivo, ciò significa che c’è tutto quanto serva per viaggiare sicuri.In Italia ci sono purtroppo numerosi morti e feriti in incidenti stradali con le moto, come prevenire ed educare i motociclisti?L’aumento della protezione negli incidenti è un compito di tutti. Tutti gli interessa-ti, produttori di veicoli, infrastrutture, scuole guida, la politica etc., devono collaborare per ottenere il massimo. Poiché accanto alle tematiche sulle quali i produttori ed i consumatori possono influire, le infrastrutture del traffico (per le due ruote sicure) o le condizioni generali della politica sul traffico sono partner con uguali responsabilità nell’am-bito della sicurezza stradale. L’obbiettivo deve essere quello di aumentare la sicurezza di tutto il traffico stradale nel suo complesso, anche se

una sicurezza totale non può comunque esistere.Lei che oltre ad esse-re un general manager di Bmw Motorrad è un appassionato motoci-clista, come vive questa passione?D a quando avevo 15 anni viaggio su due ruote

motorizzate: motorini, scooter e moto. Per-sonalmente mi piace molto andare in moto. Comunque cerco di non superare mai i limiti fisici delle condizioni di guida

sulle strade pubbliche. Cerco anche di pensare come gli altri guidatori, poiché come motocicli-sta è facile passare inosservati. L’andare in moto è uno sport per il quale bisogna sempre essere concentrati al 100 %.

Giuseppe MelchionnaTraduzione dal tedesco a cura

della Prof. Flavia Basso

Ore 04.50, la mia sveglia suona già da 5 mi-nuti, è l’ora di alzarsi, vestirsi e mettersi in marcia con destinazione il ghiacciaio

di Val Senales. Lì mi aspetta la squadra italiana di snowboard paraolimpico.

Sono ormai 2 anni, cioè da quando è stata creata la nazionale, che vengono ad alle-narsi in questo luogo magico e suggestivo, incastonato tra le montagne altoatesine.

Quando esco fuori di casa è ancora notte e il silenzio è a dir poco assordante. Tele-camera, cavalletto e macchina fotografica sono lì, accanto alla porta, come anche tutta l’attrezzatura necessaria per affrontare una lunga giornata a meno 10 sotto zero.

Mi resta solo caricare il furgone e partire. La tappa successiva è il parcheggio dell’area ex Zuffo, Trento, dove ho appuntamento con una amica, Stefania, che mi aiuterà nelle riprese e nelle interviste.

La voglia di rimettere la tavola sotto i piedi è tanta, ma non è lo scopo principale per cui ho organizzato questo incontro. Sì, è vero, lo snowboard è una vera passione per me e l’ occasione che mi si è presentata, è quella di condividere e documentare questo amore per la medesima disciplina con delle ragazze e ragazzi che l’hanno trasformata in occasione di riscatto. Un’ opportunità per vivere la loro disabilità nel migliore dei modi, continuando a fare ciò che amano e traendo pure grandi soddisfazioni.

La strada per raggiungere Maso Corto, loca-lità da dove parte la cabinovia per il ghiacciaio è lunga, ma sicuramente resa piacevole dalla vista del paesaggio mozzafiato che si staglia tutto intorno. Le vette sono innevate e il con-trasto con i tipici colori dell’autunno e il cielo terso mi rendono partecipe di un’opera d’arte.

Riemergo dai miei pensieri e mi rendo conto che siamo praticamente giunti a destinazione anche se un po’ in anticipo. Poco male, c’è giusto il tempo di una bella tazza di the caldo. In ogni caso alle 08.00 l’appuntamento è rispet-tato e iniziamo a presentarci.

Il clima è disteso e subito facciamo conoscenza con i 2 giovani allenatori: Silvia Bre-sciani e Igor Confortin. Entrambi hanno dedica-to la loro vita al mondo dello snowboard come maestri in molte località sciistiche. Leggo nei loro occhi una grande soddisfazione per il ruolo che ricoprono, non solo per una questione di prestigio: essere allenatori di una Nazionale non è cosa da poco. Sentono di contribuire a qualcosa che va oltre alla disciplina agonistica.-”Lavorare con questi ragazzi che giungono da esperienze di disabilità completamente diverse le une dalle altre, mi ha cambiato” (...) “Mi hanno

insegnato ad apprezzare le piccole cose e dimostrano, ogni volta che ci alleniamo, una volontà d’animo difficile da riscontrare in una persona normodotata”-. Silvia Bresciani mi sintetizza in poche parole quello che ormai per lei è un sogno divenuto realtà.

Il gruppo non tarda a farsi riconoscere, non tanto per il fatto che si vedono protesi alle gambe o alle braccia, ma per l’esplosio-

ne di felicità e armonia che diffonde.Sia io che Stefania siamo piacevolmente

sorpresi che al primo contatto con i ragazzi della nazionale, ci sentiamo subito anche noi parte del gruppo.

Il momento della ascesa sul ghiacciao non tarda ad arrivare. In cima, le condizioni meteo sono ottime, a parte la temperatura di meno tredici gradi che mi limita un po’ nelle riprese.

La nazionale è in fermento e dopo un po’ di riscaldamento a terra si prepara per l’alle-namento vero e proprio. È questo il momento

per regolare l’attrezzatura, non solo allacciare le tavole, ma anche controllare le protesi agli arti inferiori per assicurarsi che non tradiscano all’atterraggio da un salto o mentre si effettua una curva.-” Spesso le protesi non resistono alle sollecitazioni e semplicemente “esplodono”, la ricerca in questo campo è ancora tanta da fare, anche se ogni anno si migliora sempre qualcosa”-; queste le parole di Marco, che mi permetterei di rinominare “l’uomo dei test”. E’il primo componente che riusciamo ad intervista-re e la sua determinazione e voglia di superare i limiti ci cattura immediatamente. Ci racconta che ha perso entrambe le gambe in un inci-dente sul lavoro e da quel momento cupo, ha saputo trarre il meglio non perdendosi d’animo e provando anche cose nuove, come appunto lo snowboard.-”Per me è una sfida continua, ogni volta che raggiungo un buon livello con una determinata attrezzatura, la cambiamo per vedere quale è la combinazione migliore tra tavola attacchi e protesi”. In questa continua sfida, Marco è seguito da Silvia Bresciani che ormai ha accumulato una notevole esperienza nel percepire le difficoltà e nel trovare insieme ai suoi atleti le giuste soluzioni.

Lasciamo Silvia e Marco fare i loro test e deci-diamo di raggiungere tutto il resto del gruppo allo Snowpark. A seguirli c’è Igor Confortin che tra una spiegazione e l’altra mostra agli atleti come si affrontano i salti.

Mentre filmo le loro evoluzioni sono colto da un impulso di felicità nel vedere alla base dei loro sforzi e della loro concentrazione tanto sano e puro divertimento per quello che stanno facendo...

La giornata è stata intensa, ma quello che mi porto a casa dopo un’esperienza del genere, è la voglia di non arrendersi alle varie difficoltà e lo spirito di apprezzare anche le cose più piccole e generalmente date per scontate.

Un ringraziamento speciale a tutti voi amici della nazionale per la disponibilità che avete di-mostrato e per la positività che avete trasmesso.

Lorenzo Pupi

Reportage: In Val Senales con la Nazionale Italiana di snowboard Paraolimpico

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Direttore responsabile: Francesco Genitoni.Redazione: Bosetti Ugo, Giuseppe Melchionna, Carlo Nichelatti, Andrea Truant, Viviana Garbari e Lorenzo Pupi.Hanno collaborato: Dorotea Maria Guida, Matteo Tabarelli, Francesca Raffini, Elisa Stefanati, Prof. Flavia Basso.In stampa: mercoledì 28 settembre 2011Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana)

L’ospedale San Giovanni Battista appartiene al Sovrano Militare di Malta.Che cos’è esattamente l’Ordine di Malta?Il Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme di Rodi e di Malta, comunemente abbreviato in Sovrano Militare Ordine di Malta è un ordine religioso dipenden-te dalla Santa Sede con finalità assistenziali, riconosciuto dalla giurisprudenza italiana e da gran parte della comunità internazionale come soggetto di diritto internazionale, pur essendo privo del requisito della territorialità. In effetti l’Ordine ha come suo collegamento con la comunità internazionale il fatto di aver governato un tempo Rodi e poi, fino alla fine del Settecento, Malta.

È il successore naturale dell’antico ordine dei Cavalieri Ospitalieri, fondato nel 1048 e reso sovrano il 15 febbraio 1113 da Papa Pasquale II. Dallo SMOM dipendono numerose associazioni che riuniscono i cavalieri e le dame dei vari Paesi di residenza; nel caso dell’Italia tale associazione è l’Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta, dalla quale dipendono un corpo militare ausiliario dell’Esercito Italiano, il Corpo militare dell’ACISMOM, e il Corpo Ita-liano di Soccorso dell’Ordine di Malta (CISOM).

Gli ambiti di attività dell’Ordine sono molte-plici e diversificati: assistenza medico-sociale, soccorso alle vittime di conflitti o di calamità naturali, servizi di emergenza, corpi di primo soccorso, assistenza ad anziani, disabili, bambini in difficoltà, organizzazione di corsi di pronto soccorso, interventi in favore dei rifugiati e degli immigrati, senza distinzione di razza, estrazione sociale o religione. Per oltre 900 anni l’Ordine di Malta ha operato in maniera imparziale, curando persone di ogni credo: musulmani, ortodossi, cattolici, protestanti, ebrei.

Il suo motto è Tuitio Fidei et Obse-quium Pauperum (Difesa della fede e aiuto ai poveri). L’Ordine batte una sua moneta numismatica, lo scudo maltese, immatricola veicoli con targa SMOM, e celebra la sua festività nazio-nale il 24 giugno.Quanti sono nel mondo gli ospedali dello SMOM?Dalla sua costituzione l’Ordine svolge la propria azione umanitaria in numerosi contesti inter-nazionali. Oggi, grazie a circa 13.000 membri, 80.000 esperti volontari e 20.000 dipendenti, molti dei quali medici o paramedici gli inter-venti alle persone più deboli e bisognose in varie regioni mondiali si sono moltiplicati. Molti ospedali dell’Ordine di Malta sono localizzati in Europa e più precisamente in Germania, in Francia, in Belgio, in Inghilterra e in Italia. La maggior parte sono policlinici. L’Ospedale dell’Ordine a Roma, dedicato al Santo patrono San Giovanni Battista, è specializzato in par-ticolare nella neuro-riabilitazione, ma anche nelle altre discipline riabilitative. L’Ospedale in Inghilterra e alcuni in Germania hanno unità specializzate nella terapia del dolore per i malati terminali. Strutture simili operano in Argentina, Australia, Italia, Sud Africa e Stati Uniti. L’utilizzo di terapie all’avanguardia, l’aiuto fornito da vo-lontari appositamente formati, in un ambiente che opera secondo i principi etici cattolici è parte rilevante dell’attività sanitaria dell’Ordine.

Discorso particolare va riservato all’Ospedale per la maternità di Betlemme: fornisce un servi-zio indispensabile alla popolazione dell’area di Betlemme e, con il coordinamento dell’Associa-zione francese, tutto l’Ordine contribuisce alla sua operatività offrendo alle donne della regione l’unica possibilità di dare alla luce i propri figli in una struttura dagli standard medici di elevato livello tecnico-logistico.Il San Giovanni Battista è un Ospedale come gli altri, oppure ha particolari specializza-zioni?L’Ospedale italiano dell’Ordine è nato agli inizi degli anni ‘70, agli albori della riabilitazione. Non è un Ospedale generale ma interamente dedicato alle problematiche riabilitative. All’ini-zio era unicamente dedicato alla riabilitazione neuro-motoria per cui si è subito distinto per l’eccezionalità delle prestazioni erogate e per la qualità assistenziale in pazienti particolarmente

bisognosi di cure e terapia fisica, psicologica e morale. La cura ed il management delle sequele dell’ictus cerebrale, partico-larmente invalidanti e foriere di numerosi disagi organizzativi nei nuclei familiari colpiti, hanno costituito, per decenni, la ‘mission’ della Struttura. Ma, col tempo, gli interessi assistenziali si sono di-versificati in funzione della nuova domanda emergente sul territorio, costituita anche dai sempre cre-scenti pazienti in stato vegeta-tivo (spesso a seguito di gravi incidenti strada-li), dai molti pazienti affetti da gravi di-sturbi del movimento (primi fra tutti i malati di Parkinson) e dai numerosi e crescenti pazienti con patologia ortopedica e vascolare periferica. Tra questi ultimi una particolare eccellenza assistenziale si è raggiunta nella cura e nel monitoraggio dei malati di Linfedema primario e seconda-rio (anche questi in crescita).Perché proprio i grandi traumatizzati e gli ammalati di linfedema sono al centro della

vostra attenzione?Perché sul territorio esistono pochissime realtà assistenziali dedicate a questi tipi di patologia e l’Ordine, con la sua storia millenaria, anche in questo è stato premonitore, cogliendo tempesti-vamente dei ‘vuoti assistenziali’ particolarmente evidenti e coinvolgenti migliaia di persone. A titolo di esempio le confermo che attualmente, per quanto riguarda i pazienti con linfedema, la Struttura accoglie e cura pazienti provenien-ti da tutte le regioni italiane ed alcuni anche dall’estero.Parliamo del linfedema. Che cos’è esattamen-te? È vero che sono pochi i centri specializzati per curare questa patologia?Il Linfedema costituisce una malattia cronica di un particolare distretto del sistema vascolare ca-ratterizzata da una ridotta capacità di trasporto linfatico in un determinato territorio corporeo, per cause congenite o acquisite. Il sistema lin-fatico, diffuso in tutto l’organismo, può essere paragonato ad una fitta rete autostradale che termina nel sistema circolatorio sanguigno dre-nandovi tutte le componenti macromolecolari proteiche e lipidiche. Durante il suo percorso, attraverso i canali linfatici, i viaggiatori (varie molecole e cellule) incontrano più stazioni di caselli autostradali (i linfonodi); a questo livello la sosta è obbligatoria, analogamente alla cir-colazione autostradale (non esiste la possibilità di Viacard o Telepass). Nel transito attraverso i linfonodi la linfa viene attentamente esaminata

dalle cellule immunocompetenti presenti all’in-terno di queste strutture e viene ‘depurata’

dei suoi componenti potenzialmente nocivi per l’organismo, mediante

la neutralizzazione degli ‘ele-menti negativi’ (virus, batteri, tossine, cellule neoplastiche). Quando un soggetto nasce, per motivi congeniti, con meno

linfonodi in un determinato di-stretto (meno caselli), o quando

questi linfonodi vengono asportati dal chirurgo o fibrotizzati dalla ra-

dioterapia per combattere un tumore, si crea inevita-bilmente un ostacolo alla normale circolazio-ne e conseguentemente

un ‘ingorgo’. La possibilità di smaltire, più o meno rapidamente, l’incremento di traffico locale è legata esclusivamente alle vie collaterali presenti nella regione. A questo proposito sono solito fare l’esempio di un ‘blocco’ in autostra-da: un conto è che questo avvenga nei pressi di Piacenza, ove le strade statali, provinciali e comunali consentono di deviare gran parte del flusso e decongestionare la principale arteria ostruita ed, altro conto è che lo stesso ‘blocco’ si crei nei pressi di Lagonegro, ove le vie di pos-sibile deflusso sono consistentemente inferiori. Queste vie collaterali sono diverse da soggetto a soggetto e sono quelle che andiamo a stimolare con i nostri trattamenti terapeutici per consentire un ‘deflusso’ accettabile nell’unità di tempo. Quando il rallentamento della circolazione linfatica supera certi limiti compare il ‘gonfiore’ del territorio anatomico interessato (in genere arti inferiori o superiori) con progressivo inte-ressamento e compromissione delle strutture muscolari ed articolari loco-regionali.Quanto è diffuso il linfedema primario e se-condario? E quali risultati si possono ottenere con le cure che voi praticate?I dati ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità risalgono al 1994 e parlano di oltre 140.000.000 di casi nel mondo, di cui circa la metà rappresentata dalle forme primarie e l’al-tra da quelle secondarie. Ma i dati di oggi sono consistentemente aumentati, specialmente per quanto riguarda le forme secondarie. Proprio nel 1994, ad esempio, i malati di tumore in Italia

erano circa 300.000; di questi il 37% superava i 5 anni di sopravvivenza dal momento della diagnosi. A marzo del 2011 i dati ufficiali parlano di 2.000.000 di pazienti di cui circa il 58% con sopravvivenza oltre i 5 anni. Questo significa due cose: che il tumore sta diventando una pa-tologia ‘di massa’, ma, fortunatamente per la diagnosi più precoce e per gli affinamenti della terapia, anche che sta diventando una malattia cronica. Una logica conseguenza di questo è che anche le sequele relative all’intervento ed alla radioterapia sono in netto incremento; tra queste il linfedema secondario che colpisce circa il 25% dei pazienti operati od irradiati. Con i trattamenti fisici decongestivi si ottiene una notevole regressione di volume e consistenza degli arti con recupero della capacità funzionale ed un netto incremento delle performances per-sonali, relazionali e sociali. Raramente si ottiene la guarigione completa! Sempre, se il soggetto aderisce al progetto terapeutico, si ottiene un netto miglioramento clinico che può essere man-tenuto con l’osservanza dell’indumento elastico definitivo che viene prescritto al termine del trat-

tamento intensivo. La malattia è cronica e deve essere co-gestita con il paziente mediante una notevole motivazione ed informazione dello stesso; fondamentali sono i follow up periodici ed i controlli clinici e strumentali.Il linfedema può comportare conseguenze mortali? E quali altre conseguenze patolo-giche può determinare?Il Linfedema influisce molto sulla qualità di vita dei pazienti che ne sono affetti. Ne vengono identificati quattro stadi di evolutività clinica: un primo stadio, subclinico, tipico dei casi (pri-mari o secondari) a forte rischio di comparsa

clinica (esempio mastectomizzata con arti coincidenti in quanto a volume e consistenza degli arti); un secondo stadio in cui l’edema è presente ma scompare con la posizione anti-declive e con il riposo notturno; un terzo stadio in cui l’edema è permanente e regredisce solo parzialmente con i trattamenti fisici e farma-cologici; un quarto stadio in cui all’elefantiasi (deformazione molto importante della confor-mazione dell’arto) si associano frequenti com-plicanze infettive, verrucosi e papillomatosi. In alcuni casi avanzati le complicanze infettive possono esitare in ‘setticemia’; sono stati de-scritti (ed è esperienza anche personale) casi in cui è stata necessaria l’amputazione dell’arto

per risparmiare la vita del soggetto. In rari casi (stadi clinici più avanzati) è stata descritta la de-generazione in tumore maligno, il Linfosarcoma.Quali progetti ha, in questo e in altri contesti, il San Giovanni Battista per il futuro?

Nonostante la sua storia millenaria (o forse proprio per questa), l’Ordine di Malta cerca di adeguarsi alle continue sfide imposte dalle modificazioni sociali ed assistenziali relative ai tempi moderni. Lo fa con spirito realistico inse-guendo e perseguendo le soluzioni più ardue e più attuali che gli assetti socio-economico-po-litico-assistenziali del momento impongono nei singoli contesti sociali. Il riuscire ad individuare i fabbisogni assistenziali emergenti dal punto di vista sanitario e sociale ha costituito da sempre una prerogativa dei Cavalieri e della ‘mission’ dell’Ordine stesso. Per questo siamo certi che i programmi strategici aziendali dell’Ospedale non potranno prescindere da queste conside-razioni e proseguiranno su questi fronti aumen-tando ed affinando, non soltanto l’assistenza in questi due settori emergenti, ma anche negli altri in cui è attualmente impegnato e magari anche nei confronti dei malati terminali (ana-logamente a quanto altre strutture dell’Ordine fanno in altri Paesi), in considerazione del loro incremento esponenziale. L’attenzione verrà sempre rivolta verso gli ‘ultimi’, i più negletti, i più anziani, i più poveri, quei malati che, purtroppo, vengono evitati o rifiutati dalla maggioranza delle altre Strutture per il notevole impegno assistenziale e per la complessità dei problemi socio-familiari che gravitano intorno ad essi. È la naturale vocazione dell’Ordine; è la vocazione che lo ha distinto nei secoli dalle altre Istituzioni facendone un baluardo dei più genuini dettami evangelici.

La redazione

In alto il dott. Sandro Michelini. A sinistra in alto il Santo Padre in visita pastorale presso l’Ospedale il 2 Dicembre 2007. Un momento dell’incontro al capezzale di un paziente ricoverato presso l’Unità di Risveglio.Nelle altre foto dei momenti di cura e riabilitazione.

Intervista al Primario Del San Giovanni Battista, Sandro Nichelini

La cura del linfedema

incontri

3pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | [email protected] | dicembre 2011 - n. 6

le interviste di prodigio

Un’occasione di confronto con il giudice Gherardo Colombo e l’avv. Umberto Ambrosoli

La libertà attraverso la legalità

Presso l’Istituto Superiore Martini di Mezzolombardo, si è svolto un incontro con due importanti per-

sonaggi del mondo giuridico italiano: il dottor Gherardo Colombo e l’ Avvocato Umberto Ambrosoli.

Il primo, è un noto magistrato e lo si ricorda maggiormente per essere legato a grandi inchieste, una fra tutte “Mani pulite”. Dal 2007 cessa di operare nelle sale giudiziarie e dedica il suo tempo a divulgare un messaggio di legalità e responsabilità nelle scuole medie e superiori di tutta Italia, con circa 300 incontri l’anno. L’Avvocato Ambrosoli che lo accompagna spesso nelle trasferte, è invece figlio di Giorgio Ambrosoli. Vero e proprio eroe italiano, investito negli anni ‘70, dell’incarico di commissario liqui-datore della Banca Privata Italiana che lo portò a svelare un intricata trama di operazioni finanziare che vedevano come artefice principale, l’allora finanziere siciliano Michele Sindona, mandante dell’omicidio dello stesso Ambrosoli.

Nell’Istituto Martini si è quindi svolto un appassionante dibattito, moderato dal direttore dell’Adige Pierangelo Giovanetti, che ha ac-compagnato il pubblico attraverso le riflessioni, le esperienze di vita e professionali di due sinceri cittadini italiani. Essi cercano di combattere l’indifferenza verso la legalità, generando occasioni di confronto nel luogo che è per antonomasia dedicato alla cultura, la scuola.

Quello che è emerso, è che solo dal confronto con l’altro e dal ri-spetto reciproco può realizzarsi un terreno fertile, indispensabile, per coltivare ben più elevati principi come la democrazia e la legalità.

La libertà vera, è quella che si realizza attraverso la conoscen-za, cioè facendo informazione, creando cultura e raccontando le esperienze sia positive che non.

Cuore centrale dell’evento è stata la proiezione di un video, realizzato dalle classi quinte dell’Istituto Martini, dedicato al “caso Sindona”. Questi studenti, su impulso di alcuni insegnanti e con l’appoggio del Dirigente dell’Istituto Paolo Rasera, hanno sintetizzato, col loro lavoro e se-rietà, quello spirito che Colombo e Ambrosoli vanno diffondendo nelle aule scolastiche di tutta Italia. Hanno saputo raccontare

un evento storico italiano di notevole importanza e ancora oscuro per certi aspetti, con dovizia di particolari e attenzione ai fatti, riuscendo altresì a trasmettere una forte emozione, sia a chi quei fatti gli ha vissuti da vicino, sia a chi probabilmente fino a quel momento gli ignorava.

Notevole apprezzamento per il lavoro di documentazione e di pro-duzione del video è venuto anche da Colombo e Ambrosoli che in due interventi consecutivi, hanno eviden-

ziato come questa opera non sia cosa facile. L’impegno, ricorda Colombo, è presupposto essenziale per il vivere sociale. È quella linfa

che permette di apprezzare le piccole cose. Da esse nasce la presa di coscienza, ricorda Ambrosoli, che ognuno di noi è in connessione all’altro e in un certo senso siamo responsabili, sì per noi stessi, ma anche per gli altri.

Da questa semplice, ma fondamentale formula, si può iniziare a parlare di legalità. Non come un groviglio di leggi sterili, ma come l’insie-me degli atteggiamenti co-scienziosi e rispettosi operati dalle persone, anche nelle cose apparentemente più insignificanti. Il mutamento vero è solo quello che ognu-

no di noi può operare dentro di sé, esaltando le virtù e non cedendo a delle prassi consolidate e intrinsecamente scorrette.

Per spiegare questo concetto viene più volte fatto riferimento, durante l’incontro, all’emble-matico esempio del parcheggio per disabili. Il fatto che in quel momento sia libero, non legittima dal occuparlo anche per breve tempo se non si è disabili. Pensare esclusivamente alla nostra esigenza momentanea mentre si occupa quello stallo abusivamente, non è solo un comportamento contrario alla norma, ma ancora di più, è un atteggiamento che denota una profonda distanza da quello che è il mondo reale, cioè sempre in relazione. Le nostre azioni, anche se legittimate da una prassi e accettate dentro di noi, hanno sempre delle conseguenze verso gli altri. Sta a noi decidere se esse deb-bano essere, non tanto giuste o ingiuste, ma rispettose o meno della sfera altrui.

Lorenzo Pupi

Momenti dell’intervista organizzata da Prodigio in collaborazione con Telepace Trento; in alto con il dott. Gherardo Colombo e in basso con l’ avv. Umberto Ambrosoli.

Cercasi volontariAttenzione attenzione: volontari cercasi. Abiti a Trento, o lontano da qui ma conosci comunque

l’Associazione Prodigio? È proprio te che stiamo cercando! Se decidi di essere dei nostri, avrai la possibilità di: scrivere articoli per il nostro bimestrale, anche seduto comodamente sul tuo divano di casa; accompagnare i disabili dell’Associazione agli incontri nelle scuole,

conferenze, tavole rotonde, convegni; collaborare attivamente agli eventi organizzati e promossi

dall’Associazione; esprimere la tua creatività e voglia di fare al servizio dei diversamente abili. Non esitare, ti vogliamo così come sei!

Per info chiama i numeri: 0461 925161 o 335 5600769, oppure visita il

nostro sito: www.prodigio.it. Siamo a Trento, in via Gramsci 46 a/b

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La povertà riguarda tuttiDieci testimonial per il Fondo di

solidarietà città di Trento

Un conto corrente per raccogliere le offerte di chi decide di fare elemosina in modo diverso, per contribuire a cambiare il domani e non solo l’oggi di chi è in difficoltà.

Il Fondo di solidarietà città di Trento, promosso dal Tavolo per la solidarietà responsabile, nasce a favore delle persone in condizioni di emargina-zione sociale, in difficoltà economica, abitativa, sociale e personale che vivono in strada o in si-stemazioni di fortuna; ha come obiettivo quello di dare risposta a quei bisogni minori, ma non meno importanti, che non sono coperti dagli interventi istituzionali tradizionali e dalle offerte dei servizi socio-assistenziali.

A due anni dalla nascita del fondo, è partita una nuova campagna di promozione dell’iniziativa, a cui hanno prestato il loro volto dieci “personag-gi” trentini: l’Associazione di promozione sociale Infusione, Daniele Groff, Giuseppe Zumiani, Katia

Bernardi, Marcello Fari-na, Marco Merler, Maria Concetta Mattei, Mario Cagol nei panni di Non-na Nunzia, la Trentino Volley.

Personalità diverse, accomunate dal desi-derio di fare qualcosa di concreto per gli altri, perché il problema della povertà chiama in causa ciascuno di noi.

In questi due anni di attività, il fondo, gestito dalla Croce Rossa Italia-na della sede di Trento, è stato alimentato da do-nazioni di enti pubblici, di associazioni e di priva-ti, per un totale di oltre 40.000 euro, che hanno reso possibile interve-nire sulle segnalazioni raccolte da Comune, Punto d’incontro e Ca-ritas; interventi vari, che riguardano, ad esempio, la predisposizione della documentazione neces-saria alle operazioni di rimpatrio o al rinnovo del permesso di soggior-no, l’acquisto di farmaci, il sostenimento di spese legali o sanitarie.

Il fondo di solidarietà, che raccoglie i bisogni direttamente sul territo-rio può dare utili indica-zioni per programmare in maniera più efficace e tempestiva le future linee di intervento dei sevizi sociali. Il lavorare in rete, poi, permette di confrontare le espe-rienze delle realtà che operano nel campo dell’esclusione sociale e di costruire un’imma-

gine più precisa del fenomeno dell’elemosina, evidenziando i dati numerici, la provenienza ge-ografica; le esperienze che hanno o che possono aver determinato la condizione di emarginazione, i bisogni materiali, le aspettative.

Come partecipare all’iniziativaOltre a segnalare eventuali situazioni di bisogno

agli enti che aderiscono all’iniziativa, ecco le coor-dinate per effettuare le donazioni: conto corrente bancario: IBAN IT 98U03240018010 - 00010010054 causale: progetto fondo di solidarietà città di Trento.

Dalla parte delle famiglie

Affetti speciali, un’esperienza concreta di solidarietà a favore dei bambini

Fin dal 1996, all’interno del Servizio Attività sociali, è stata avviata l’attività dell’accoglienza familiare con lo scopo di promuovere la cultura della disponibilità ad accogliere bambini e ragazzi

provenienti da famiglie in temporanea difficoltà.Nasce così lo Sportello Affetti speciali, per ga-

rantire a bambini e ragazzi di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia. Lo sportello è gestito da un assistente sociale, che raccoglie da un lato le segnalazioni di bisogno e di necessità di intervento rilevate dai servizi sociali territoriali, dall’altro la disponibilità di fa-miglie e singole persone a diventare volontario accogliente.

L’accoglienza familiare consiste nel prendersi cura temporaneamente di un bambino o di un ragazzo quando i genitori, per motivi di lavoro o per difficoltà personali e relazionali, non sono in grado di occuparsene autonomamente.

L’accoglienza si può realizzare in diversi modi: � sostenendo la famiglia naturale nell’organizza-zione quotidiana, ad esempio accompagnando i figli a scuola, ospitandoli per cena, offrendo la presenza di un adulto per alcune ore; �ospitando i bambini per brevi periodi in situa-zioni di urgenza, come nel periodo del ricovero ospedaliero di un genitore; �offrendo sostegno scolastico e occasioni per stare in compagnia, come la partecipazione ad attività sportive o ricreative; �proponendo occasioni di svago e di relazione a bambini e ragazzi che vivono in strutture residenziali, accogliendoli in casa durante il fine settimana; �dando opportunità di contatto e solidarietà a famiglie in difficoltà a costruire rapporti sociali; � affiancandosi alla famiglia nello svolgimento di alcune attività, come ad esempio portare i bambini a visite mediche specialistiche.L’accoglienza si può articolare nell’arco di

un’intera giornata o di una parte di essa, per alcuni giorni alla settimana o quotidianamente, nei fine settimana, nel periodo estivo, in forma residenziale per periodi brevi e limitati, come accoglienza notturna.

I volontari accoglienti possono essere singoli o famiglie, con o senza figli, anche appartenenti a culture diverse dai bambini accolti.

A loro vengono offerti momenti formativi e di confronto per sostenerli nell’azione concreta dell’accoglienza. L’ente gestore sostiene inoltre i volontari con una copertura assicurativa e un eventuale contributo spese.

Tutte le persone che desiderano conoscere meglio questa preziosa forma di volontariato e eventualmente offrire la propria disponibilità, possono rivolgersi a: Sportello Affetti Speciali, Corso Buonarroti 55, tel. 0461/889947-889948 (dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 12.00), [email protected]

I Concerti della domenica

Dal 22 gennaio fino al 18 marzo avrà luogo la 29a

edizione de I Concerti della Domenica, rassegna di musica classica intitolata a Giuseppe Mazzeo, promossa dal Servizio Cultura, turismo e politiche giovanili e realizzata con la collaborazione della Società Filarmonica.

Le esecuzioni avranno luogo la ogni domenica alle 10.30 nella sala concerti della Società Filarmo-nica di via Verdi 30.

L’orario mattutino intende favorire la partecipa-zione di famiglie con bambini, giovani e anziani che non sempre possono fruire dell’offerta musi-cale in orario serale.

Il biglietto d’ingresso sarà in vendita presso la Filarmonica a 5 euro (intero); per i studenti il presso del biglietto è ridotto a 2 euro.

Ecco il programma completo della manifesta-zione:22 gennaioFrancesca Vicari, violinoStefania Neonato, fortepianoW.A. Mozart: Sonate per violino e fortepiano29 gennaioTrio DalìAlessia Pallaoro, violinoSimone Margaroli, clarinettoSayaka Ide, pianoforteMusiche di Milhaud, Stravinski, Khacaturjan, Bartok5 febbraioM.Letizia Grosselli, sopranoEnrique Ferrer, tenoreRoberta Ropa, pianoforteBruno Vanzo, voce narranteDuetti d’opera12 febbraioStefano Guarino, violoncello/pianoforteMusiche di Bach, Debussy, Gershwin, Cassadò,

Skryabin19 febbraioQuintetti allievi Classe Musica da Camera Conservatorio Bonporti Trento26 febbraioDuo ArmonicoFabrizia Dalpiaz, chitarraRoberto Caberlotto, fisarmonicaMusiche di Vivaldi, Caberlotto, Giuliani, Villa Lo-bos, Piazzolla4 marzoMassimiliano Rizzoli, contrabbassoLaura di Paolo, pianoforteMusiche di Rota, Bottesini11 marzoOrnella Gottardi, traversiereMarianna Bisacchi, clavicembaloMusiche della famiglia Bach18 marzoTrio BrozMusiche di BeethovenPer informazioni:Ufficio Cultura, n. tel. 0461 884286numero verde 800017615 - www.trentocultura.it

Approvata la nuova variante per

opere pubblicheIl Consiglio comunale ha approvato la variante

urbanistica per le opere pubbliche. Il documento contiene trentatré interventi; si tratta per lo più di azioni puntuali conseguenti a prese d’atto di interventi già realizzati o di adeguamenti per opere già programmate, di modifiche a seguito degli esiti di sentenze del Tar o stralci di opere che non risultano più rispondenti alle esigenze del territorio. Tra gli interventi più significative c’è la previsione del nuovo ponte sull’Adige di collegamento con il polo della rottamazione e il futuro termovalorizzatore. Il ponte verrà realizzato a sud dell’Interporto, tra Laghetti di Vela e Ischia Podetti e ridurrà il traffico pesante sull’abitato della Vela e sulla strada arginale.

Tra le altre opere sono inseriti alcuni adegua-menti della viabilità, modifiche normative sui parcheggi e l’ampliamento di alcune aree sportive e per servizi nei sobborghi.

Trento nord, c’è il Piano guida

È arrivato in aula il secondo passaggio deciso per il via al progetto di recupero e valorizzazione di Trento Nord. Il Consiglio comunale, infatti, ha approvato il 26 ottobre scorso ad ampia maggio-ranza il Piano Guida. Il documento rappresenta un passaggio indispensabile per arrivare alla stesura del progetto di bonifica dell’area; se quest’ulti-mo sarà approvato dal Ministero dell’Ambiente si potrà procedere alla definizione del piano di attuazione. Insieme al Piano i consiglieri hanno trovato ampia convergenza su un ordine del giorno collegato al documento che ribadisce che sull’intera area, dunque ex Carbochimica ed ex Sloi, non si potrà edificare fino a quando non sarà compiuta una bonifica integrale secondo quanto previsto dalle norme.

Sì unanime ad un ordine del giorno sulle indennità di esproprio

Per fronteggiare la rideterminazione a rialzo delle indennità di esproprio, il Consiglio comu-nale ha votato un ordine del giorno sottoscritto da tutti i capigruppo per sollecitare la Provincia a stanziare delle risorse aggiuntive o un fondo ad hoc. In questo modo l’Amministrazione potrà rispondere con minori difficoltà agli incrementi di spesa determinati dai maggiori oneri derivanti dalla lievitazione delle indennità di esproprio su opere pubbliche già finanziate, in conseguen-za dell’introduzione delle nuove norme sulla quantificazione delle indennità. Il nuovo quadro normativo e le conseguenti decisioni della Corte d’appello hanno, infatti, prodotto un consistente esborso aggiuntivo per l’Amministrazione che solo per il 2011 supera i 4,5 milioni di euro.

La povertà riguarda tutti

Iniziativa promossa e coordinata dalComune di Trento,Assessorato alle Politiche Sociali

Banco alimentare TAA-OnlusCaritas diocesana

Casa della giovaneComune di Trento

Croce Rossa ItalianaFondazione Comunità solidale

Frati CappucciniProvincia Autonoma di Trento

Punto d’IncontroVilla Sant’Ignazio

Info:www.comune.trento.it

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...VERSO UN NUOVO WELFARE PER IL TRENTINO...PIÙ EQUITÀ E PIÙ PARTECIPAZIONE DELLA RIFORMA SULLE POLITICHE SOCIALI

La Giunta provinciale ha approvato uno schema di convenzione-tipo che riguar-da l’inserimento lavorativo delle persone disabili. In base alla recente modifica (legge provinciale 3 marzo 2010, n. 2) della legge sul personale, la Provincia

autonoma di Trento può assumere persone disabili e distaccarle a lavorare presso cooperative che svolgono attività per conto della Provincia stessa. Lo schema di convenzione approvato disciplina questi casi.

Partendo dalla constatazione che alcune patologie sofferte dai lavoratori, assunti in forza delle norme a tutela della disabilità, possono rendere difficile una loro diretta collocazione nelle strutture provinciali, il legislatore provinciale ha inteso fornire un’ulteriore possibilità ai lavoratori, di prima assunzione ma anche già in servizio, che possono adesso essere collocati presso cooperative sociali, dove sia per l’ambiente lavorativo sia per una maggiore elasticità nell’organizzazione si presume possano evidenziare meglio le potenzialità professionali nonché eventuali bisogni di supporto e formazione specifica. Questa possibilità è prevista, come recita la norma, “per realizzare opere e attività affidate dalla Provincia”, nel senso che rientrano in tale definizione anche le attività indirettamente riconducibili alla Provincia, ad esempio anche le attività socio-assistenziali e di supporto a istituzioni finanziate dalla Provincia. Sono numerosi gli ambiti di attività in cui questa novità potrà trovare applicazione; per esempio per lavoratori impiegati nel campo della valorizzazione ambientale, presso i musei per lavori di custodia o sorveglianza, per l’assistenza presso le case di riposo.

Questo distacco è comunque temporaneo perché viene disposto per un periodo massimo di tre anni, prorogabile con successivo accordo tra soggetto ospitante e Provincia autonoma di Trento qualora, d’intesa anche con l’Agenzia del lavoro, si ritenga che nell’interesse del lavoratore sia opportuno proseguire l’esperienza in corso. Qualora invece gli stessi tre soggetti ritengano, di comune accordo, che sussistano le condizioni favorevoli per una cessazione del distacco, il dipendente può essere ricollocato, anche prima del triennio, in una struttura provinciale, dove gli saranno affidate le attività proprie della sua figura professionale. La convenzio-ne-tipo approvata prevede l’applicazione al dipendente in distacco delle stesse disposizioni che regolano il rapporto di lavoro dei dipendenti provinciali nonché la totale presa in carico dei costi da parte della Provincia, compresi quelli relativi al supporto e alla formazione ritenuta necessaria per lo svolgimento dei compiti assegnati. Lo schema tipo sarà adattato alle singole realtà perché spesso le coo-perative sociali presentano tipologie organizzative differenti e pertanto eventuali variazioni relative a specifiche situazioni potranno essere apportate direttamente nella convenzione che si andrà a sottoscrivere.

Inserimento lavorativo delle persone disabili: convenzione

con le cooperative sociali Il cuore del Trentino è il cuore di migliaia di vo-lontari che ogni giorno dedicano il loro tempo a favore della comunità. E a Mezzocorona, negli

spazi del Palarotari, il mondo del volontariato, forte in Trentino di 1100 associazioni, si è dato appunta-mento per discutere di valori e di futuro, nell’anno dedicato al loro movimento. La giornata ha visto la partecipazione, tra gli altri, dell’arci-vescovo della diocesi di Trento, monsignor Luigi Bressan, e l’as-sessore alla salute e politiche sociali Ugo Rossi. Il prela-to ha sottolineato nel suo intervento la “necessità di una grande alleanza tra l’aspetto formativo (fede) ed organizza-tivo (movimento)” per rilanciare verso il futuro il volontariato. “Il fattore comune tra volontariato trentino e istituzioni - ha ribadito l’assessore Rossi - è la volontà di mettere al centro il bisogno della persona, nel contesto in cui la stessa persona si realizza, ovvero la famiglia e la comunità. Dobbiamo però farci carico tutto del bisogno di alzare lo sguardo oltre il quotidiano e guardando al futuro: se vogliamo mantenere il benessere diffuso che oggi caratterizza il Trentino ed estenderlo anche agli ultimi, dobbiamo accettare il cambiamento che passa anche attraverso il principio della sostenibi-lità del sistema. E questo significa accettare scelte, talvolta, difficili, proprio per garantire domani ciò che già oggi abbiamo in modo diffuso”.

Il consiglio europeo ha proclamato il 2011 “Anno europeo delle attività di volontariato che promuo-vono una cittadinanza attiva”. Nell’ottica di svilup-pare la solidarietà sociale e la democrazia, l’Anno europeo si prefigge dunque lo scopo di migliorare la visibilità delle attività di volontariato e accrescere le opportunità per la società civile di partecipar-vi. In questo scenario, la Provincia autonoma di Trento - in collaborazione con il Centro Servizi per il Volontariato - ha promosso, presso il Palarotari di Mezzocorona, “Fatti di Volontariato”. La giornata di incontro e di formazione è stata voluta per rafforzare la visibilità del volontariato nell’ambito del territorio, e stimolare una riflessione sul ruolo che assume il volontariato trentino nell’ottica della riforma isti-tuzionale e favorire lo scambio di esperienze e di buone pratiche.

Nel suo intervento, l’assessore provinciale alla salute e alle politiche sociali, Ugo Rossi, ha ribadito

la centralità nel sistema trentino della persona: un principio riconosciuto dalla Carta costituzionale (articolo 118) e alla base del movimento in Trentino. “Questo è riconoscibile - ha spiegato l’assessore Rossi - nei settori della sanità, dove il volontariato,

attraverso la Consulta garantisce la rappresentanza del volontariato; nella famiglia e delle associazioni dei familiari che operano sul territorio; nel socio-assistenziale, dove la legge sulle politiche familiari ribadisce la volontà di costruire un modello, basato su efficacia ed efficienza, ma con la capacità di rac-cogliere le istanze che, partendo dal basso, fanno emergere i bisogni delle persone”.

Riprendendo le osservazioni di monsignor Luigi Bressan, l’assessore si è detto convinto della neces-sità di un patto forte con tre soggetti, necessario al miglioramento del “welfare di comunità”: Provincia autonoma di Trento, Comunità di valle e privato sociale. “La Provincia - ha spiegato Rossi - deve scommettere sulla capacità della comunità di eser-citare competenze e rendersi garante delle risorse. Le Comunità di valle hanno invece l’occasione di passare dalla delega all’assunzione di responsabi-lità e delle competenze, in una logica di priorità da accettare. Infine, il privato sociale deve rafforzare le competenze tecniche progettuali ed accettare la logica dell’efficenza”.

Secondo l’assessore, i tre diversi soggetti hanno un fattore in comune: “La capacità di mettere al centro la persona e di farsi carico della stessa nei due contesti abituali, la famiglia e la comunità”.

“Ricordiamoci - ha quindi concluso Rossi - che la nostra gratitudine va anche al volontariato spontaneo e spesso nascosto di chi in silenzio dà prova quotidiana di umana solidarietà, come quegli anziani che nelle case di riposo assistono e aiutano altri anziani”.

Il volontariato è la grande risorsa del Trentino

Sono state particolarmente apprezzate le due giornate di presentazione al pubblico del nuovo AW139 per l’elisoccorso, voluta

dalla Protezione Civile trentina e organizzata insieme al Museo dell’Aeronautica Gianni Caproni presso l’aeroporto cittadino. Nel corso delle giornate di giovedì 10 e venerdì 11 novembre, 100 studenti della scuola prima-ria e secondaria di I grado e 200 cittadini hanno potuto apprezzare da vicino il nuovo AgustaWestland AW139 marche I-TNCC, recentemente consegnato alla Provincia autonoma di Trento e che presto entrerà in servizio per l’elisoccorso. La presentazione della nuova eliambulanza è stata inoltre l’occasione per conoscere di persona al-cuni professionisti del soccorso in servizio presso il Nucleo Elicotteri della Provincia, eroi silenziosi che, quotidianamente, si adoperano per intervenire in salvataggio

di coloro che si tro-vino a chiedere il loro intervento.

La presentazione ha avuto inizio con la visione di un bre-ve filmato, prodot-to dalla Provincia

autonoma di Trento e, a seguire, la squadra di figure professionali che opera a bordo dell’eliambulanza - ovvero un pilota, un tecnico

volo, un tecnico elisoccorso, un medico rianimatore e un infermiere - ha illustrato i compiti assolti da ciascuno nel corso di una missione. Questo momento, nel corso del quale i partecipanti hanno avuto l’occasione di conoscere più nel dettaglio gli

aspetti tecnici del delicato ruolo spettante a ciascuno dei suddetti professionisti, ha offerto l’occasione per toccare con mano la forte dedi-

zione di queste persone che, con passione, svolgono tale lavoro: ciascun componente dell’equipaggio di soccorso ha scelto volontariamente di rischiare quotidiana-

mente la propria incolumità per salvare la vita di altri. È evidente come una scelta di questo

tipo non si sottoscriva per ragioni economiche, giacché i rischi sono evidentemente molti di più che non il ritorno economico che queste persone hanno da questo impegno. È questo uno spirito che, come riportato dal tecnico dell’elisoccorso, “risale a 100 anni fa, quando è nato l’alpinismo e, con esso, la necessità di aiutare” e unisce profondamente le cinque persone in turno.

La vera forza dell’elisoccorso trentino non è, infatti, la preparazione del singolo bensì il forte

spirito di gruppo dell’equipaggio: “tutti sono responsabili di tutto, il che non vuol dire che nessuno lo è, ma che c’è un fondamentale lavoro di squadra. Perché possano funzionare le cose, serve molto affiatamento e molta disponibilità a lavorare insieme e tutti si devono fidare ciecamente gli uni degli altri”.

La presentazione è quindi proseguita sulla pista dell’aeroporto dove il pubblico, a piccoli gruppi, ha potuto vedere da vicino il nuovo AW139, per l’occasione, esposto in display statico. L’equipaggio si è quindi congedato, regalando a tutti gli intervenuti la possibilità di assistere ad un breve volo dimostrativo di questo nuovo e potente strumento ora a

servizio della Protezione Civile trentina.

Elisoccorso: alla scoperta dell’AW139fo

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“Insieme verso...la meta!” è il nome del progetto estivo di escursioni in mon-tagna organizzato dalle associazioni

AGSAT e NuoveRotte. L’idea di tale progetto è nata sulla base dell’esperienza positiva realizzata la scorsa estate. Quest’anno ab-biamo cercato di coinvolgere più realtà ter-ritoriali e di migliorare alcuni aspetti (come gli spostamenti con i mezzi propri o la poca pubblicità). Nutriti dalla voglia di migliorare, abbiamo così presentato il progetto all’in-terno del Tavolo delle Politiche giovanili del Comune di Rovereto.

Il progetto ha pro-posto 10 escursioni in montagna divise in 2 gruppi da 5 uscite nel territorio della Valla-garina. I ragazzi disa-bili provenivano dalle associazioni “ASGAT”, “Macramé” ed “Insie-me” ed erano affian-cati da tre educatori e molti volontari con un’età molto simile a quella dei ragazzi (under 30), provenienti da varie realtà di Rove-reto e non solo.

Moltissimi i volon-tari che hanno dato la loro disponibilità a partecipare al pro-getto. Così tanti che, inizialmente, come referente del progetto, mi sono ritrovata a decidere se era il caso di coinvolgerli tutti op-pure no. Abbiamo così ripensato all’obiettivo principale del progetto, cioè favorire delle esperienze di integrazione e socializzazione all’interno di un contesto normalizzante. Il condividere con l’altro diventava essenziale e la nascita di un clima sereno di gruppo era alla base di tutto. Così, inizialmente un po’ titubanti, ci siamo inoltrati in questa avven-tura che ci ha visti protagonisti di un’espe-rienza davvero emozionante. Le perplessità iniziali rispetto al numero di volontari si sono decisamente annullate dopo le prime escursioni; i volontari erano sicuramente una risorsa e già dalle prime uscite il mio sentore (che poi ho scoperto essere lo stesso degli altri educatori e volontari) era quello di fare una camminata tra amici. Certo, non nego che qualche volta ci siano state anche delle difficoltà, ma il clima di gruppo che si era creato faceva scivolare ogni ostacolo e riportava sempre tutti alla serenità.

I percorsi sono stati graduali. Alcuni di questi? Da giri più facili come il giro della Maddalena (Terragnolo) e il biotopo del Lago di Cei si è poi passati a percorsi di me-dia difficoltà come Gombino-Bordala (con merenda a Malga Somator), Pian del Levro, Calliano-Castel Beseno. Per poi arrivare ad affrontare percorsi piuttosto impegnativi come il Monte Altissimo e il Monte Lancia.

Ad ogni escursione i ragazzi tessevano legami sempre più forti e la voglia di rive-

derci la prossima vol-ta era sempre mag-giore. Talvolta siamo stati accompagnati da Monica, un’edu-catrice ambientale (della Rete Trentina di Educazione Am-bientale) che lungo il percorso ci dava preziose informazioni sugli animali, il bosco e la natura che ci cir-condava. Non solo, con lei i ragazzi han-no potuto mettersi in gioco, attraverso divertenti indovinelli e sperimentandosi attraverso i sensi. Ab-biamo potuto assaporare pinoli, fragoline di bosco e lamponi, annusare il fiore del sambuco e persino un acido particolare, fatto dalle formiche, toccare licheni e capirne la

loro natura.Sui nostri percorsi abbiamo incontrato

anche diversi animali e, dopo qualche attimo di esitazione, i ragazzi hanno avuto la pos-

sibilità di accarezzare cavalli e asini; abbiamo potuto ve-dere anche mucche, greggi di pecore, ma anche grilli, farfalle, aquile e tanto altro.

Insomma, una splendida avventura che vorrei riassu-mere con una frase di una volontaria del progetto:

“Io adoro la montagna perché ritengo che la sua semplicità e la sua purezza spazzino via le diversità... chiunque voglia viverla deve armarsi di pazienza, deter-minazione ed umiltà... indi-pendentemente dalla classe sociale, il credo, l’età o... le disabilità di chi accarezza i suoi sentieri...”

Un ringraziamento par-ticolare alle associazioni AGSAT, NuoveRotte, Ma-cramè, Insieme, al Comune

di Rovereto, agli educatori, ai volontari e a tutti coloro che, in diverse modalità, hanno sostenuto la riuscita di questo progetto.

Elisa Stefanati

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mondo della disaBil itàdisagio sociale

“Scommettiamo che... per l’illusione di vincere il fu-turo ti giochi il presente?”.

Così cita lo slogan deciso per invitare la cittadinanza a due serate organiz-zate da Florinda Leo, responsabile del volontariato per la Cooperativa Fai, in collaborazione con l’associa-zione AMA e con l’ausilio del servizio per le dipendenze dell’ azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento. Nel corso degli incontri si è cercato di incentrare l’attenzione sulla grave problematica del gioco d’azzardo e di tutte le conseguenze che porta nella vita di quelle persone che per un motivo o per l’altro entra-no nel tunnel di questa dipendenza.

Con l’ausilio degli specialisti inter-venuti nelle due serate si è voluto fare, innanzi tutto, un’analisi genera-le per quello che riguarda le nuove modalità di gioco. Soprattutto si è constatata la facilità con cui ognuno di noi può venire a contatto con Slot Macine, Gratta e Vinci e sale Bingo e di come siano le persone socialmen-te più deboli a cadere nella trappola

del “ vincere è facile”, come ormai citano anche molti slogan televisivi.

Quello che non viene assoluta-mente detto e pubblicizzato, sono le conseguenze dovute dalla di-pendenza del gioco d’azzardo. Esse non riguardano solamente le ingenti perdite economiche, ma anche la perdita degli affetti. Il giocatore di solito mette in atto tutta una serie di stratagemmi per allontanarsi da casa e per recarsi nei luoghi adibiti al gio-co. La vita reale perde di significato, la famiglia non conta più e il lavoro diventa un mezzo per avere i soldi necessari ad alimentare il proprio vizio. Come riportato dai relatori pre-senti agli incontri, il gioco d’azzardo è come una vera e propria droga e di conseguenza porta a una dipenden-za sia fisica che psicologica, da cui è molto difficile uscirne da soli.

È per questo che, sia all’Associa-zione A.M.A che al Servizio per le tossicodipendenze APSS “Sert”, ci sono degli specialisti che seguono queste persone, per aiutarle a riap-propriarsi della loro vita e per fornirli

il supporto di cui necessitano. Questi centri sono a disposizione libera e gratuita del singolo cittadino che riconosce in se questo problema. Di conseguenza l’augurio è quello di rivolgersi a loro per qualsiasi evenienza o chiarimento necessario in merito alla dipendenza da gioco d’azzardo.

Molto spesso, chi decide di farsi aiutare, si risveglia dal torpore psi-cologico portato da questa dipen-denza e si trova solo e in situazioni economiche molto difficoltose. È as-sodata la necessità di non far sentire abbandonate queste persone, ma far capire loro che chiedere aiuto può risultare l’unica via di salvezza per riappropriarsi di una vita normale. Emerge prepotentemente quindi l’importanza di avere strutture adatte ad accogliere e curare questo tipo di patologia per accompagnare le persone durante tutto il lungo percorso di riabilitazione.

In questo, la città di Trento si sta già organizzando facendo fronte a questa, che io definirei, emergenza

sociale. Già perché la facilità nel trovarsi in luoghi o situazioni che incitano al gioco d’azzardo sta au-mentando a vista d’occhio e come sempre, le parti sociali, colpite sono quelle più deboli e svantaggiate. In

ogni caso il problema viene com-pletamente sminuito visto che, al contrario di molte altre dipendenze generalmente condannate, non è considerato illegale.

Francesca Raffini, Cooperativa F.A.I.

Il problema del gioco d’azzardo ai nostri giorni

“A che gioco giochiamo?”

“NuoveRotte” si presenta

Questa Associazione trentina nasce dall’esperienza di volontariato che alcuni studenti di Trento e Rovereto hanno maturato, alcuni anni fa, sull’imbarcazione

accessibile della Cooperativa Archè.Ospiti della barca, lo ricordiamo, sono principalmente

persone con vario tipo di disabilità, ma anche giovani dei licei, ragazzi erasmus, anziani delle case di riposo o minori accolti in case protette. La condivisione di queste diverse esperienze, è stata valorizzata dai fondatori di NuoveRotte e scelta come identità

dell’associazione stessa.I soci provengono tutti da realtà eterogenee e ognuno condivide con gli altri

punti di vista nuovi, senza pregiudizi. Grazie a questa filosofia, si sono potuti sviluppare progetti nei più svariati ambiti. Per citarne alcuni ricordiamo la ras-segna culturale dal nome “ Parla Potabile” che ha coinvolto i giovani dei licei e non solo, avvicinandoli, attraverso una serie di incontri liberi, a temi di grande rilevanza, come ad esempio la democrazia, la tutela dell’ambiente e l’immigra-zione. Cicli di incontri che hanno visto la partecipazione di esperti, che almeno in quella occasione, hanno reso “potabile “, cioè di facile comprensione, temi per forza di cose complessi. Oltre a questo NuoveRotte ha sempre dimostrato di saper fare sistema non solo al suo interno ma anche coinvolgendo altre asso-ciazioni. È il caso del progetto “Senti il vento”, viaggio in barca a vela in Olanda con un gruppo di non vedenti dell’Ass. Homerus; e non da ultimo il progetto di cui potete leggere qui accanto “Insieme verso la meta” che ha coinvolto molte esperienze associative in un percorso di passeggiate in montagna con ragazze e ragazzi affetti da autismo.

Lorenzo Pupi

Escursioni in montagna con ragazzi affetti da autismo

“Insieme verso... la meta!”

9pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | [email protected] | dicembre 2011 - n. 6

mondo della disaBil itàdisagio sociale

Al Centro Socio Educativo di via Gramsci non mancano mai nuove, stimolanti iniziative da proporre, e i suoi operatori

lavorano per tenere viva la voglia di fare, cer-cando sempre spunti nuovi. Abbiamo intervi-stato il responsabile del Centro, Luca Vareschi e l’operatore Maurizio Menestrina riguardo all’iniziativa che hanno rilanciato quest’anno insieme all’Anffas: Il Risorto.

Dal nome si può forse già intuire che questo progetto ha tentato di prender vita più di una volta. Dopo lo schizzo di un’idea realizzata soltanto sulla carta, gli operatori del Centro di via Gramsci hanno concretamente ridato vita al vecchio orto abbandonato, situato nello spazio degli orti della fondazione Crosina Sartori Cloch.Quando ha preso vita questo progetto?La storia dell’orto affonda le sue radici qualche anno fa. La prima idea del progetto è nata nel ‘91-’92, qui al Centro Socio Educativo di via Gramsci grazie ad un operatore appassionato di botanica. Con l’aiuto dell’associazione Cosina Sartori Cloch era riuscito ad ottenere un pezzo di terra e con il gruppo di ragazzi aveva iniziato a lavorarci. Il lavoro veniva suddiviso tra mo-menti all’aperto e momenti trascorsi all’interno del Centro, durante i quali si preparavano le piantine da trapiantare in vista dell’arrivo della primavera.

Dalla prima “nascita” ci sono state alcune battute d’arresto. Di recente col nostro gruppo di operatori, abbiamo deciso di riprendere in mano il progetto rifacendoci alle esperienze e idee passate, ma cercando nuovi spunti. Abbiamo dunque proposto un piano di riorganizzazione dell’orto che è passato attraverso la program-mazione e al confronto della nostra pedagogi-sta. Lo scopo era farlo tornare in vita, perciò il nuovo nome ci è venuto naturale: “Il Risorto”.

L’ambizione è stata quella di far nascere un ambiente sicuro, curando il piacere alla convi-venza alla tranquillità, in un ambiente verde. Un luogo alternativo per socializzare, con persone che condividono la medesima passione per gli orti. Chi tra i nostri ragazzi può, lavora e aiuta, e chi non è in grado di farlo beneficia di questa realtà. Per loro vuol dire molto stare in un luogo aperto come questo invece che in un luogo chiuso.Come riuscite ad integrare questa attività con le altre che proponete?Siamo riusciti a far ruotare tutto il nostro mondo intorno all’orto.

L’attività di ippoterapia ad esempio poteva tornare utile all’orto, fornendoci concime. Il quale è poi diventato pretesto per coinvolgere gli anziani degli orti vicini: noi regalavamo loro concime in primavera e loro ci donavano acqua in estate. Naturalmente tutte le attività

sono autorizzate e concordate con chi ha la supervisione pedagogica del Centro. Inoltre ci tengo a dire che tutto quello che abbiamo fatto è sempre stato un lavoro di squadra.

Ognuno ci mette del proprio e insieme si scambiano esperienze e pensieri.Cosa vuol dire avere un orto così?Siamo arrivati pian piano al terzo anno di at-tività! Abbiamo lavorato ulteriormente sull’ac-cesso, sulla facilità di interazione con l’orto, eliminando il più possibile gli ostacoli. Abbiamo avuto l’idea di creare un vivaio sopraelevato che permettesse di essere lavorato anche dai ragazzi che sono sulla sedia a rotelle. L’idea di poter far toccare la verdura, direttamente sulla pianta per alcuni utenti era un’ipotesi impensabile.

Nella realizzazione dell’orto rialzato è tornato in campo il nostro interesse per il riciclo, perché grazie ad un vecchio steccato di legno che sarebbe stato buttato via, abbiamo trovato il materiale ideale per formare una sorta di grande vasca, un contenitore dove in seguito è stata aggiunta la terra e, sempre facendo collaborare i ragazzi, sono stati poi piantati i semi.

Pulendo e sistemando abbiamo dimostrato che l’accesso per tutti poteva essere una realtà

concreta. A lavori terminati l’orto era a portata di mano anche delle persone in carrozzina, ed accessibile a 360 gradi, perché circondato da un ampio spazio.

Per quanto riguarda la sicurezza l’idea è stata quella di recuperare dei vecchi coper-toni da collocare in sostituzione al cemento.

Come omaggio per i 150 anni d’Italia, sono stati dipinti e disposti a tre a tre per formare la bandiera Italiana. Grazie al gioco cromatico creato sui copertoni è stata messa in evidenza l’entrata al giardino che ora è visibile, ampia e soprattutto sicura.Ha avuto luogo qualche tipo di inaugura-zione?Sì, precisamente in occasione della festa di fine estate nell’ambito del progetto “Do ciacere en compagnia”. Per noi è stato un avvenimento straordinario.

Voglio cogliere l’occasione per ringraziare Giuseppe Melchionna per essersi offerto a fare il taglio del nastro, per noi è stato davvero un piacere.

La cosa fondamentale è l’aver dimostrato che anche con niente si possono raggiungere

dei traguardi.Non è detto che in futuro si po-

trà perpetuare questo progetto, ma non possiamo dire nemmeno il contrario, perché c’è la volontà di mettersi in gioco e credo che questo l’orto lo abbia dimostrato.Avete riscontrato partecipazione da parte dei ragazzi del centro?Beh prima di tutto abbiamo notato che il nostro comportamento, come operatori, ma saprattutto quello dell’utenza, si modifica, cambia: si nota molta più elasticità, molto più piacere nell’affrontare le cose. Proprio per questo pensiamo di poter affermare che l’orto non cura, ma l’orto è una possibile cura. Non modifica neurologicamente lo stato dei ragaz-zi, le loro ansie e paranoie, ma influisce su di essi positivamente. Questo è possibile grazie alla tranquillità che si respira tra il verde degli orti e la bellezza del lavorare e stare insieme.

Mi piace ricordare una ragazza in particolare che al Centro è solita essere spesso inquieta, ma straordinariamente nell’orto non ha mai manifestato ansie, mai una volta l’abbiamo sentita lamentarsi. Ancora, Roberto un ragazzo cieco, ha tante possibilità, ma non ha voglia di applicarsi ed è difficile riuscire a coinvolgerlo nelle attività. A piccoli passi però ha iniziato a trovare interesse nel zappare la terra e nell’ap-prezzare le piccole cose. Ormai ha interiorizzato la frase: “vieni che andiamo a vangare l’orto”e abbina ad essa un significato positivo. Ha avuto l’opportunità di trovare famigliarità con concetti nuovi che prima gli erano astratti, indefiniti.Come descrivereste dunque quest’espe-rienza?Avere un orto, mangiare fuori, vivere in un certo contesto, e abbellirlo ha favorito anche il rap-porto con la fondazione Crosina Sartori Cloch. Per cui possiamo dire che l’orto è lo spunto per costruire anche altro. Per noi non vuol dire solamente lavorare la terra, ma attraverso essa tessere relazioni e realizzare qualcosa di utile per gli altri.

È una grande soddisfazione poter vedere il risultato di ciò che si è seminato e poter dire “Questo l’ho fatto io”. Anche nei ragazzi ab-biamo riscontrato entusiasmo. Poter vedere e toccare con mano i frutti del loro lavoro gli ha regalato tanta soddisfazione.

Riuscire a prolungare il progetto per un anno, abbinandolo poi ad altre proposte di attività ha creato un contesto piacevole, che ha motivato gli operatori e influenzato positivamente gli utenti.. Questo progetto non solo è nato, ma è anche risorto e per noi questo vuol dire molto.

Viviana Garbari

Intervista al dott. Luca Vareschi, responsabile del Centro Socio Educativo di via Gramsci dell’Associazione Anffas Onlus di Trento

“Il Risorto”: un progetto per ridare vita alla voglia di stare all’aria aperta

In alto a sinistra Giuseppe Melchionna in una dimostrazione della fruibilità del’ orto con Maurizio Menestrina.In basso a sinistra il momento dell’inaugurazione dell’orto Con Prodigio, Anffas e Fai.

Sono migliaia i disabili italiani laureati e specializzati, ma le aziende preferiscono pagare una multa piuttosto che assumerli

Simona Petaccia è una giornalista ed è presidente della onlus Diritti Diretti, con la quale sostiene iniziative volte a garantire eguaglianza e dignità ai cittadini del nostro Paese. Simona ha una disabilità motoria e, pur essendo laureata e specializzata conosce bene le difficoltà che le persone disabili in-contrano nel mondo del lavoro. Per questo si impegna in prima persona a promuovere la cultura dell’inclusione lavorativa e l’abbandono della cultura assistenzialistica, che in Italia regna sovrana.

Abbiamo intervistato Simona per capire con lei qual è la situazione lavorativa dei disabili italiani e per conoscere le sue esperienze e il suo impegno diretto.Simona, hai recentemente preso parte al con-vegno nazionale Oltre l’Orizzonte per chiarire la situazione circa l’occupazione lavorativa delle persone con disabilità. Qual è la reale situazione attuale? Perché i disabili italiani sono disoccupati?

Ci sono 100mila posti di lavoro riservati ai disabili in Italia, ma il 66% dei cosiddetti diversa-mente abili è disoccupato. Ciò accade perché le

aziende pre-f e r i s c o n o p a g a r e l e multe piut-

t o s t o c h e assumere di-

sabili. È quanto è emerso dalla ricerca ISTAT La

disabilità in Italia, così il mio intervento ha sottolineato la necessità di abbandonare l’attuale cultura “assistenzialistica” e di far capire ai datori di lavoro pubblici e privati che le norme vigenti non sono un’imposizione da combattere, ma offrono loro la possibilità di avvalersi di specialisti e, contemporaneamente, approfittare dei vantaggi fiscali e contributivi. Pertanto, ho voluto rivolgermi agli imprendi-tori e non agli uomini. Questo perché la cultura “assistenzialista” dell’inserimento lavorativo dei disabili ha minato e mina la giusta informazione che deve esserci sull’attuale livello culturale e professionale dei disabili, oltre che sui vantaggi fiscali e contributivi legati alla loro assunzione.Quali pensi siano le azioni realmente utili per cambiare questa situazione?

Molti addetti ai lavori parlano ancora di

“Formazione dei disabili”. Con il mio intervento, invece, ho cercato di dimostrare che ora serve una “Formazione ai manager pubblici/privati” affinché il cerchio si chiuda dato che nessuno sa (o si finge di non saperlo!) che migliaia di disabili italiani si sono già laureati e specializzati. Per assurdo, a me è capitato di sentirmi dire: “Lei è troppo qualificata per questo posto di lavoro!”.Attualmente sei disoccupata, ma hai fatto molte esperienze lavorative. Hai mai vissuto in prima persona esperienze di discrimina-zione sul lavoro?

Discriminazione quasi mai, ignoranza quasi sempre. Mi spiego: È inutile negare che il corpo è il nostro primo biglietto da visita nella vita e che il mio è arricchito da 4 ruote. A parte qualche caso, nel quotidiano, credo che molti considerino ancora le persone con disabilità come individui da compatire e questo fa sì che i disabili debbano impegnarsi il doppio dei normodotati nel fare comprendere la propria professionalità. Io parto sempre dal presupposto che nei manager ci sia buona fede e mi adopero col sorriso affinché si abbatta questo muro d’ignoranza. Il mio Curriculum Vitae dimostra che spesso ci sono riuscita. Non sempre, però, questo è possibile.

Attualmente, ad esempio, sono passata alle vie legali perché, dopo essere risultata idonea a una selezione pubblica, l’ente che ha bandito il concorso non ha applicato le relative quote di riserva. Ai giudici l’ardua sentenza...Quando e perché hai deciso di metterti in gioco in prima persona nel sostenere i diritti dei disabili italiani?

Nella tua domanda c’è un errore fondamen-tale, scusami. Diritti Diretti è aperta a tutti, non solo ai disabili. Questo perché, credo che chi non voglia essere escluso non debba escludere. La nostra onlus mira a essere il punto di riferimento di chi crede che la carità debba essere rimpiazza-ta da diritti concretizzati... non solo scritti sulla carta. Per questo, opera a favore delle categorie svantaggiate per condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari (anziani, minori, persone con disabilità temporanea o perma-nente, famiglie con passeggini, donne in stato di gravidanza, individui con esigenze dietetiche e/o con problemi di allergie ecc.). Il suo obiettivo? Contrastare la diffusione di pregiudizi o stereotipi e incoraggiare la presa di coscienza delle abilità degli svantaggiati e del loro contributo sociale. “It’s up to you!”, cioè: “Dipende da te!”. Su questa convinzione è nata Diritti Diretti Onlus. Questo perché i soci fondatori credono che chi pensa che non è giusto e resta a guardare è, allo stesso modo, responsabile di ciò che accade.

Articolo di Ilaria Vacca tratto da www.disabili.com

Lavoro e disabilità

Simona difende i diritti dei disabili

pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | [email protected] | dicembre 2011 - n. 6

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Bari Beccato brillo al volante, si

salva curando le capre5 ottobre 2011 ladige.itSono un piccolo esercito i trentini che si dedi-cano ai lavori socialmente utili per “schivare” una condanna salatissima per guida in stato di ebbrezza e, in qualche caso, anche salvare l’auto a rischio confisca. C’è chi è armato di ramazza pulisce i marciapiedi, chi con lo spazzolone dovrà lavare le auto della polizia municipale, chi si improvvisa animatore in casa di riposo e persino chi deve curare le capre (sì, lo offre a Carano la cooperativa Oltre). Per gli automobilisti il comma 9 bis dell’articolo 186 del Codice della strada, che consente agli imputati di guida in stato di ebbrezza di estinguere il reato attraverso un programma di lavori socialmente utili, è spesso in un ottimo affare. Invece che pagare sanzioni che possono superare con facilità i 10 mila euro ci si mette a dispozione degli oltre 80 enti, associazioni, cooperative sociali che in Trentino hanno sottoscritto un’apposita convenzione con il Ministero della giustizia.Due casi di violenza al giorno, ma molti restano nascosti6 ottobre 2011 ladige.itOttocentoventi casi di violenza sulle donne: più di due al giorno. Non sono per nulla incoraggianti le cifre fornite ieri in Consiglio provinciale, dove la quarta commissione ha affrontato proprio il drammatico tema dei soprusi. I dati arrivati in aula sono quelli riferiti all’ultimo quadrimestre del 2010 (dal 1° settembre al 31 dicembre) e parlano di 223 casi: quasi ottanta quelle fisiche, con

diciassette casi di violenza sessuale e cento di violenze psicologiche, più sottili, meno evidenti ma non meno gravi. Cifre pesanti. A raccogliere le statistiche è l’Osservatorio provinciale per le violenze di genere.Anziana disabile rapinata in casa6 ottobre 2011 trentinocorrierealpi.itTRENTO. Un’ottantenne pensionata e disabi-le è stata aggredita oggi a Roncegno duran-te un furto nella sua abitazione. Protagonisti due uomini, tra i 40 e 50 anni di età, che si erano introdotti nell’abitazione dell’anziana con la scusa di comperare delle uova.

Qui hanno poi rubato 800 euro dal por-tafoglio della donna, che pur trovandosi in sedia a rotelle ha tentato di ribellarsi. È stata scaraventata a terra dai due uomini che poi si sono allontanati: fortunatamente la donna non ha riportato lesioni. Indagano i carabinieri.Tetraplegico muove braccio meccanico con la sola forza del pensiero11 ottobre 2011 corrieredellasera.itUSA - Un uomo tetraplegico è riuscito a muovere un braccio meccanico con la sola forza del pensiero. È successo a Pittsburgh, in Pennsylvania: Tim Hemmes, bloccato da un incidente di moto nel 2004, ha toccato la mano della sua fidanzata grazie a un pro-getto da 100 milioni di dollari finanziato dal dipartimento della difesa americano.

L’ESPERIMENTO - L’esperimento, spiegano diversi giornali locali, è durato un mese: al soggetto è stato impiantato un chip, molto più piccolo di quelli utilizzati in altri esperimenti simili, nella corteccia motoria,

e sono iniziati i test per decodificare le onde cerebrali e tradurle in impulsi per il braccio meccanico. Ora che si è avuta la conferma che la strada intrapresa è giusta il chip verrà tolto a Hemmes, che aveva l’autorizzazione della Food and Drugs Administration solo per un mese, ma inizieranno nuove spe-rimentazioni su altri soggetti tetraplegici: «Siamo a un punto critico con questa tec-nologia - spiega Michael McLoughlin della Johns Hopkins University, che ha progettato il braccio - l’obiettivo è sperimentare movi-menti sempre più complessi». (Fonte: ANSA).Falsi invalidi smascherati da «detective» provinciali15 ottobre 2011 ladige.itTRENTO - Una trentina di persone. Tutte sanissime. Eppure con i permessi gratuiti per girare sugli autobus cittadini. Di una truffa organizzata ai danni di Trentino Trasporti avevamo scritto qualche mese fa. Ora, gra-zie alla risposta data dall’assessore Pacher all’interrogazione presentata dal consigliere provinciale del Pdl Borga, emerge che il sistema era decisamente esteso e, nella sua semplicità, ben congegnato.Giappone, la sedia a rotelle che fa un passo avanti19 ottobre 2011 punto-informatico.itRoma - I ricercatori dell’università giappone-se Miyazaki hanno creato una sedia a rotelle motorizzata destinata a persone afflitte da paralisi e a tutti coloro che sono affetti da distrofie muscolari.

Per il controllo del sistema, i ricercatori hanno creato un sistema basato sulla mu-

scolatura facciale: invece di impiegare un joystick (impossibile da usare per coloro che siano paralizzati dal collo in giù) utilizza dei sensori che rilevino i movimenti del viso. Tramite questo meccanismo il paziente può far girare la sedia a rotelle a sinistra o a destra strizzando l’occhio sinistro o destro e frenare serrando i denti. La velocità è invece graduata da un sensore di prossimità che accelera in assenza di ostacoli e rallenta al loro approssimarsi.

Toyota ha ottenuto risultati simili attra-verso una Brain Machine Interface (BMI), un sistema che permette molte più possibilità di sviluppo, ma con applicazioni e risultati immediati apparentemente inferiori. Altre diverse vie sono inoltre state seguite dal MIT.

Già per il prossimo anno, invece, i ricerca-tori giapponesi prevedono la produzione di una versione da immettere in commercio, con al posto dei sensori degli speciali oc-chiali collegati alla sedia in wireless.

Claudio TamburrinoDramma a Lavis, investiti disabile e accompagnatrice23 ottobre 2011 ladige.itLAVIS - La donna ha spinto la carrozzella in avanti, non appena ha visto l’auto arrivarle contro. Erano le 17 di ieri quando, in via Nazionale a Lavis (nella foto), il rumore di una frenata ha preceduto un urlo e poi le sirene di ambulanza e vigili del fuoco: distesa sull’asfalto la donna, distante qualche metro la carrozzella su cui sedeva un uomo di 56 anni ospite della casa di riposo; illesa una terza persona.

“ - Se volessi anche tu ci hai la tua casa. Di là c’è apposta il letto per te.

- No! - rispose ‘Ntoni. - Io devo andarmene. Là c’era il letto della mamma, che lei inzuppava tutto di lacrime quando volevo andarmene.

[...]” (Cit. I Malavoglia di Giovanni Verga)

Anche io, come ‘Ntoni, sono andata via. Mi sono trasferita definitivamente a Mondovì nella Primavera del 2010, dopo

una sofferta separazione e una convivenza di-sastrosa. I primi tempi avevo preso una camera presso le suore Francescane, poi con il passare del tempo, sono riuscita a prendere in affitto un alloggio.

Spesso la mia giornata di lavoro in ospedale era (ed è) particolarmente dura; in Medicina Generale ci si prende cura di molti pazienti anziani, giovani, devastati da patologie incu-rabili. Il mio ritorno a casa non era mai dei più felici, anche se continuo a sposare l’ottimismo, la grande forza di volontà e la determinazione, condite da un sorriso sempre acceso. Non ho mai perso la speranza nel futuro, malgrado da giovane donna, io viva, in parte per scelta, una solitudine di fatto, lontana e non solo metaforicamente dalla famiglia, dai figli, dagli amici, da tutti.

Non mi è mai mancata, però, la voglia di dar voce a quanti si battono per il riconoscimento di diritti basilari oppure la volontà d’essere por-tavoce di chi lotta contro i pregiudizi, l’emargi-nazione. Ho sempre cercato di sostenere chi ha il diritto di affrancarsi nella ricerca di una vita piena e normale anche con il disagio di una malattia o di limitazioni fisiche.

Un singolare “megafono” mi è stato messo a disposizione nell’estate del 2010 dalla rivista Pro.di.gio di Trento che cercava giornalisti vo-lontari per continuare a far vivere un giornale portavoce di temi sociali e di problematiche riguardanti la disabilità.

Con Giuseppe Melchionna, presidente dell’Associazione Prodigio, è stata subito intesa.

Ero libera di scrivere e realizzare articoli che potevano dare eco a problemi di emarginazio-ne e indifferenza. Avrei potuto scrivere storie che avrebbero parlato di diritti negati e di disagio. Avrei avuto, soprattutto, la possibilità di raccontare storie di solidarietà, di tenacia, di generosità e di vittoria!

Ho iniziato a scrivere di un uomo che aveva donato se stesso in una missione in Africa e che stava morendo nel reparto dell’ospedale nel quale presto servizio in qualità d’infermie-ra. Ho raccontato la storia e la scelta di vita, coraggiosa, di un ragazzo distrofico quasi immobilizzato totalmente. Ho incontrato il

rappresentante degli atleti del curling in car-rozzina; ho realizzato la difficile intervista a un ragazzo disabile che per provocazione ha deciso di donare il suo seme.

Mese dopo mese, io che giornalista non sono, ho iniziato a realizzare germogli di articoli

intervistando ora il sindaco paraplegico del comune di Mondovì, un giovane uomo che lotta contro la distrofia muscolare, l’inventore di una nuova carrozzina.

Storie intense, uniche, mai comuni e in-credibilmente realistiche. Ognuno di questi straordinari personaggi si sottoponeva all’in-tervista con la semplicità e l’umiltà dettate dal loro bagaglio d’esperienza, di sofferenza, di riscatto e tenacia.

Mi sorprendevo di ciò che riuscivo a raccon-tare, quando dalla mia penna venivano fuori spaccati di vita di persone disabili, di amici o di gente conosciuta per caso. Sono affiorate storie emozionanti, dal significato profondo, di una intensità unica.

L’avere avuto l’occasione di realizzare questi articoli mi ha dato anche la possibilità di incon-trare tante persone straordinarie come Danilo Destro, Piero Balconi, Enrico Audisio. Alcune le ho sentite soltanto telefonicamente come Paolo Badano, Gabriele Viti; altre, purtroppo ho avuto la possibilità di leggerli solamente per via e-mail come il dott. Claudio Imprudente.

È stato commovente, invece, raccontare la storia di un amico che ci ha lasciato da poco ma che ha dato umanità e concretezza all’Asso-ciazione Monregalese della quale faceva parte: Associazione Rainbow.

Questa raccolta di articoli termina con il

divertimento che immaginiamo diano gli spet-tacoli di Tarek, il clown a rotelle.

Tutto ciò è voluto per sfatare il luogo comune che disabilità voglia dire tristezza, pietismo, commiserazione. Al contrario, le vite straori-narie che racconto sono esempi di serenità, di speranza e di buona volontà.

Tarek, il clown intervistato, è uno dei tanti esempi che testimoniano il fatto che la disabi-lità fisica è solo un’espressione del corpo, della quale la mente riesce ad essere esente.

I racconti di vita che leggiamo testimoniano tutte e inequivocabilmente la serenità dello spirito e della mente anche dentro un corpo con delle limitazioni.

Dorotea Maria Guida

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Ops... ho scordato la disabilità a casa

L’idea del libro: Ops... ho scordato la disabilità a casa nasce dal desiderio di voler raggruppare degli articoli scritti per la rivista pro.di.gio. di Trento (Associazione Prodigio Onlus). “La normalità non esiste, esiste una moltitudine di diversità”

(cit. David Anzalone, Zanza). È questo il messaggio che si riesce ad estrapolare dalle righe di una raccolta di interviste, realizzata per far conoscere la vita straordinaria di persone disabili comuni, tra le quali tanti cuneesi, a noi vicini, ma lontani, quando non riflettiamo sulle loro incredibili potenzialità. Questi articoli raccontano le vite straordinarie di persone con disabilità. Persone uniche e dalle potenzialità illimitate.

Disabili che possiamo definire eroi del nostro tempo, poiché capaci di vivere delle vite dinamiche pur nel disagio di un Handicap. Persone impegnate nella vita politica, nell’imprenditoria, nello sport, nello spettacolo che “dimenticano” la loro disabilità e lottano ogni giorno con coraggio contro pregiudizi, barriere mentali e architettoniche, leggi inapplicate, retaggi mentali.

Edito dalla Casa Editrice Primalpe di Cuneo “Ops...ho scordato la disabilità a casa!”Dorotea Maria Guida

Dorotea Maria Guida si presenta..Dorotea Maria Gui-

da, che gli amici chiamano sem-plicemente Mary, nasce a Palermo nel 1972. Ha due figli, Giovanni e Martina.

N e l 19 9 5 s i diploma come infermiera profes-sionale e nel 2000 inizia a lavorare in un ospedale della provincia di Cuneo. Nel contempo collabora con alcune community on-line che si occupano di problemi di disabilità.

Il lavoro e il volontariato le fanno prendere coscienza dei problemi sociali e di quelli relativi alla disabilità che saranno il tema principale dei suoi scritti.

Nel Giugno del 2008 a Ferrara, con “Lettere dell’AlfaBeto”, vince il primo premio Narrativa de Variabile2008, disabilità oltre le barriere. -

Nello stesso anno pubblica: “Diversa/Mente...Abile” con un editore on-line.

Nella Primavera del 2010 si trasferisce a Mondovì (CN) e a settembre dello stesso anno inizia una collaborazione con la rivista “Pro.di.gio” di Trento dell’omonima Associazione Onlus.

I suoi articoli vengono ripresi da www.Superando.it e da numerosi siti locali e del settore.

È in corso di pubblicazione con la casa editrice Primalpe di Cuneo il suo secondo libro dal titolo: “Ops... Ho scordato la disabilità a casa!”

Dorotea Maria Guida ci racconta la vita straordinaria di persone disabili comuni

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11pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | [email protected] | dicembre 2011 - n. 6

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lezionismo. Non è facile spiegare il perché, tuttavia c’è chi lo fa per hobby e chi guidato da una vera e propria passione. Jonathan è un giovane ebreo nato negli Stati Uniti che colleziona in maniera ma-niacale oggetti a p p a r t e n e n t i al la sua fami-glia. Tra questi vi è una fotogra-f ia del nonno, v issu to i n u n piccolo villag-gio dell’Ucraina, che nel film ri-sponde al nome di Trachinbrod ma che, nel la realtà, intende far riferimento a Trochenbrod, uno shtelt, os-sia un insedia-mento di poche migliaia di per-sone prevalen-temente abitato da ebrei. Il vil-laggio in que-stione “scom -parve” dalle car-te geografiche, b r u c i a t o d a i tedeschi duran-te la Seconda Guerra Mondiale. Jonathan decide quindi di intraprendere un viaggio alla ricerca di questo paesino, aiutato da guide del po-sto molto particolari. La prima è Alex, un giovane coetaneo originario di Odessa, che vive all’americana e gli farà da interprete con il suo strampalato inglese; l’autista è il nonno di quest’ultimo, un burbero vec-chietto, apparentemente antisemita ma in realtà anch’esso ebreo e “sopravvissuto”, che si nasconde sotto due vistosi occhiali neri professando di essere cieco, affiancato dalla sua inseparabile cagnetta “mental-mente degenerata”. Questo singolare trio accompagnerà il giovane Jonathan nella sua “rigida ricerca” a bordo di una vecchia Trabant.

Tratto dall’omonima biografia scritta da

Jonathan Safran Foer, questa pellicola del 2005 segna l’esordio dietro la mac-china da presa di Liev Schreiber. Non è una pellicola che si lascia “imprigionare” all’interno di un genere ben preciso: si potrebbe definire una commedia drammati-ca “on the road”, un viaggio agro-dolce attraverso paesaggi evocati-

vi alla scoperta d e l l e p r o p r i e or igini grazie ai frammenti di memoria che le piccole cose la-sciano in eredi-tà a coloro che sono disp ost i a cercarle. Ma non tutti sono propensi a far-lo: da una par-te c’è Jonathan (interpretato da un ottimo Eli -jah Wood), con i suoi appari -scenti quanto ridicoli occhiali d a v is t a , co n lenti talmente sproporzionate al punto da as-sumere un forte significato sim-bolico nella sua ricerca, dall’al-tra abbiamo il nonno di Alex

che, al contrario, dietro ai suoi altrettanto grotteschi occhiali (scuri) sembra quasi volersi nascondere, estraniandosi volonta-riamente da ciò che lo circonda per paura di accettare il suo passato. Nonostante tutto ognuno dei tre troverà, con modalità diametralmente differenti, il modo di stare in pace con se stesso. Il film sfiora il tema della Shoah in maniera delicata, esortando a non dimenticare e alternando momenti di dovuta riflessione ad attimi di spensie-ratezza che permeano costantemente gran parte delle sequenze, grazie ad un’ironia mai irrispettosa ma che, al contrario, rende piacevole la visione confermando che ci si può commuovere anche con un sorriso.

Matteo Tabarelli

“Ogni cosa è illuminata dalla luce del passato”

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