Pro.di.gio. n.II Aprile-Maggio 2015

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A ??? ??? ??? A cura di ??? BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP NUMERO II - APRILE 2015 - ANNO XVI - LXXXIX NUMERO PUBBLICATO WWW.PRODIGIO.IT progetto di giornale Accessibilità IACOPO MELIO e l’iniziativa #Vorreiprendereiltreno pagina 2 Tutti per Uno Spazio aperto ad associazioni e una slot-machine con scopo sociale pagina 4 Vincersi Superare gli ostacoli in parete, così come nella vita di tutti i giorni pagina 5 Social Street a Trento I residenti di San Pio X e dintorni si organizzano per far rivivere la comunità di quartiere pagina 8 Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70%- DCB Trento . Contiene I.R.

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1. ‪#‎Vorreiprendereiltreno‬ : l'intervista a Iacopo Melio 2. TUTTI PER UNO Bar Food : il nuovo Bar per il Sociale a Spini di Gardolo 3 .Progetto VINCERSI : tre ragazzi non vedenti e il loro sogno di arrampicata 4. La Social street Italia arriva anche a Trento nel quartiere di San Pio X

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BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAPNUMERO II - APRILE 2015 - ANNO XVI - LXXXIX NUMERO PUBBLICATO www.PROdIgIO.IT

progetto di giornale

AccessibilitàIACOPO MELIO e l’iniziativa#Vorreiprendereiltreno

pagina 2

Tutti per UnoSpazio aperto ad associazioni e una slot-machine con scopo sociale

pagina 4

VincersiSuperare gli ostacoli in parete, così come nella vita di tutti i giorni

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Social Street a TrentoI residenti di San Pio X e dintorni si organizzanoper far rivivere la comunità di quartiere

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EVENTIACCESSIBILITà

«È tempo di ricucire quel prezioso tessuto di relazioni umane, come si fa con un ricamo, per generare meccanismi virtuosi di solidarietà e collaborazione».(Il presidente della Fai, Massimo Occello)

A bbiamo colto con piacere l’invito da parte della FAI al convegno “Ricamare Comunità” da lei organizzato presso la

sede della Federazione Trentina.Obiettivo dell’incontro? Ripensare al siste-

ma del welfare fuori dagli schemi, sostenere le spinte provenienti dal basso ponendo la cittadinanza al centro dello sviluppo. Un pa-niere di argomenti interconnessi e avvincenti. Dalle locali esperienze di quartiere nella città di Trento, passando per quelle di Bologna e Catania, si è delineato un filo conduttore che fa emergere la voglia di cambiamento, nel si-stema dei servizi e della cura alla persona. Una presa di coscienza sociale che trova la forza dalle relazioni tra persone, dallo scam-bio e dallo sforzo comune di enti e istituzioni, in generale portatori di interessi. Se ne è par-lato al convegno a Trento dal titolo “Ricamare Comunità” che si è tenuto alla sala Don Guetti presso la sede della Federazione delle Casse Rurali, in cui sono sfilate tante esperienze concrete di welfare che parte dal basso. L’ini-ziativa è della cooperativa sociale Fai con la collaborazione della Fondazione Cassa Rurale di Trento, il consorzio delle cooperative socia-li Consolida, il Comune di Trento e la Provincia autonoma.

Il convegno ha offerto anche l’occasione per un confronto sul ruolo del privato sociale in un contesto di ridimensionamento delle ri-sorse.

Per Massimo Occello, presidente di Fai, che ha aperto i lavori, «è tempo di ricucire quel prezioso tessuto di relazioni umane, come si fa con un ricamo, per generare meccanismi vir-

tuosi di solidarietà e collaborazione. Da una maggiore interazione sociale, a partire dai vici-ni di casa, per condividere necessità, scam-biarsi professionalità, portare avanti progetti di interesse comune possono derivare benefi-ci collettivi».

Stiamo andando verso un nuovo welfare di comunità secondo il sociologo Nadio Delai: «Nel 2030 gli anziani saranno il 50% in più di oggi. La crisi di risorse pubbliche obbliga a una mutazione genetica del concetto di wel-fare, che deve ripartire dal basso»: tante le ini-ziative che partono dalla gente per la gente e contribuiscono a ricamare il nuovo welfare di comunità.

«Individuare i bisogni prima che diventino emergenze». La frase di Rossana Gramegna, presidente della Fondazione Cassa Rurale di Trento che ha sostenuto il progetto della coo-perativa Fai, introduce a un concetto nuovo di welfare, che intercetta bisogni non espressi di emarginazione e disagio. Per questo occorre uscire nelle strade, nei parchi, nei luoghi di aggregazione per incontrare le persone e le loro esigenze.

I bisogni sociali in aumento, da un lato, e le risorse pubbliche in contrazione, dall’altro, rendono urgente la costruzione di un nuovo sistema di protezione sociale, in cui dovran-no convergere responsabilità e risorse diver-se: quelle pubbliche, quelle private indivi-duali e familiari, quelle del privato sociale, quelle del mercato privato, quelle della mu-tualità spontanea, basata sullo spirito colla-borativo e solidale che abita la comunità.

Quest’ultimo ambito (il welfare che cre-sce dal basso) raccoglie già oggi delle espe-rienze interessanti nate in Trentino e in Italia, assumendo le caratteristiche di un “welfare di rammendo”. «Si tratta – ha affermato Delai – di risposte a situazioni di disagio ma anche di voglia di crescere e di impegnarsi che, se

opportunamente accompagnate, possono trasformarsi in un welfare di ricamo, diretto a dare qualità evoluta alla nostra convivenza».

Numerose le esperienze di condivisione e scambio virtuoso che partono dalla comunità presentate al convegno. Annalisa Morsella e Paolo Vicentini, collaboratori di Fai, hanno il-lustrato i risultati dei laboratori RaccontArti attivati nella Circoscrizione Oltrefersina, che hanno favorito le relazioni tra adulti over 50 attraverso diverse forme di espressione come la lettura, poesia, scrittura, recitazione, l’uso del corpo e il canto. I laboratori, proposti nelle zone di Clarina-San Bartolomeo e poi a Ma-donna Bianca, hanno permesso ai parteci-panti di superare alcune fragilità affrontando insieme temi quali la paura, la solitudine e l’indifferenza.

Nel campo dell’housing sociale sono sta-te presentate alcune realtà di Trento come il Progetto Abito.me e l’esperienza coabitativa di Isera, e sharing economy. Si è riflettuto quindi su alcune esperienze di “rammendo” del tessuto sociale ospitando le testimonian-ze del quartiere Librino di Catania e delle social streets di Bologna e di Trento.

La seconda parte del convegno è stata de-dicata agli interventi istituzionali. Hanno pre-so la parola tra gli altri Donata Borgonovo Re, assessora alla Salute e alla Solidarietà sociale, e il presidente della Provincia Ugo Rossi.

Cooperativa Fai: chi è?La cooperativa, presieduta da Massimo

Occello, offre assistenza domiciliare a circa 450 persone e gestisce il Centro diurno “Filo Filò” a Ravina, luogo di ritrovo per diverse persone anziane della zona, la Casa del Clero e l’Infermeria dei Frati Francescani a Trento, oltre a diversi altri servizi territoriali. La coo-perativa dà lavoro a 130 persone, 119 delle quali sono donne. Metà di esse sono stranie-re. La Fai raggiunge con i suoi servizi tutta la

città di Trento. Altri servizi sono forniti in as-sociazione temporanea di impresa con le cooperative sociali Sad e Spes. Per aiutare le famiglie che desiderano mantenere una per-sona cara non più autonoma in casa, Fai ha dato vita recentemente a uno sportello che fornisce informazioni sui servizi di assistenza alla persona.

Lorenzo Pupi

Al convegno della FAI si impara a ricostruire il tessuto sociale dal basso

Ricamare Comunità

Tra utopie e false verità, l’accessibilità rimane un problema per tutti

EditorialeA cura di Lorenzo Pupi

Intervista a Iacopo Melio

L’iniziativa #vorreiprendereiltrenoA cura di Giulio Thiella

I n questo numero partiremo con una copertina evocativa e provocatoria in cui il tema dell’ac-cessibilità è portato volutamente all’eccesso:

L’astronauta disabile incontra la Luna, come a dire che se vi è la volontà si possono superare tutte le barriere, ma la realtà spesso supera la fantasia e purtroppo in senso peggiorativo. L’illustrazione a cura del nostro Maurizio Menestrina con ironia ci suggestiona e ci porta a immaginare il supera-mento dei limiti fisici e mentali nello spazio, ma tra sogno e finzione ricadiamo sulla terra ferma con le tante incongruenze, esperienze di vita e di riscatto. Quindi l’accessibilità è un diritto inviola-bile e trasversale? Si può parlare ancora nel 2015 di problemi di mobilità e trasporti, in un’Italia che fa dello spostamento una ragione fondante e stra-

tegica? Per addentrarci in questo mondo abbiamo pensato di intervistare il giovane Iacopo Melio, che per necessità e provocazione ha lanciato la campagna #vorreiprendereiltreno attra-verso cui sensibilizza e informa sul difficile mondo del trasporto ferroviario italiano, ben lontano da un’idea di accessibilità per tutti. Il viaggio con pro.di.gio. continua, con una serie di articoli che testimoniano il fermento in atto nel mondo del Sociale che sente di doversi rigenerare. Nuove sfide, prospettive, esperienze e canali di finanziamento, che si costruiscono dal basso. Parleremo di Social Street, di crowdfunding in rete, fattorie sociali, ospedali psichiatrici, eco-nomia dello scambio e della condivisione e tanto altro. Quindi senza ulterior indugio vi auguria-mo buona lettura di questo numero.

Ciao Iacopo, parlaci della tua iniziativa #vor-reiprendereiltreno, da dove parte, dove sie-te giunti e dove volete arrivare?

Iacopo: «È nato tutto da uno scambio di battute su twitter con l’ex Ministra dell’Istruzio-ne Maria Chiara Carrozza, lei elogiava i treni, mentre io le ho ricordato quanto poco accessi-bili fossero i nostri mezzi di trasporto pubblico, pieni di barriere da renderli impraticabili.

Lei rispose che avevo ragione ma la cosa finì lì, allora scrissi sul mio blog e prendendo spunto da questo scambio di battute, ho voluto manda-re un messaggio. Se i politici non vogliono capire quanto sia difficile per una persona disabile spostar-si con questi mezzi, almeno pensino al fatto che sono single; sì, perché non potendo viaggiare con i trasporti pubblici, non ho l’occasione di innamorarmi proprio come succede nei film.

Si è creato un passaparola spontaneo e inaspettato che ha reso #vorreiprendereiltreno un tema di forte interesse, grazie al sostegno di tutti e alle tantissime condivisioni.

Già 24 ore dopo la pubblicazione dell’articolo il blog inizia ad essere molto seguito, allora decido di sfruttare questa attenzione mediatica per sviluppare una campagna di sensibilizza-zione, cogliere l’occasione per parlare di disabilità, non come spesso viene fatto oggi, in manie-ra secondo me troppo superficiale, ma in modo spontaneo e diretto.

È importante far capire alle persone che l’accessibilità dei trasporti e più in generale l’indi-pendenza siano temi che riguardano tutti noi, e non solamente chi si sposta in carrozzina, basti pensare alle mamme con il passeggino o agli anziani.

Credo sia quindi giusto portare avanti questa campagna di sensibilizzazione, così il 31 gen-naio di quest’anno è nata Vorreiprendereiltreno Onlus, vista la grande partecipazione credo che il passo di associazione sia la via giusta per fare meglio e fare ancora di più».

Cosa significa per te accessibilità? I: «Avere semplicemente le stesse opportunità che hanno gli altri, essere disabile non vuol

dire essere seduti su una carrozzina o non poter vedere, ma lo divento quando non mi vengono dati gli strumenti di cui ho bisogno per vivere tranquillamente in mezzo alle altre persone.

Spesso si pensa al treno unicamente come mezzo di trasporto, invece mi piacerebbe parlare di viaggio come nella vita. Per questo il nostro obiettivo è di fare sensibilizzazione a 360°, pro-vando a cambiare la mentalità delle persone grazie alla solidarietà e alla partecipazione dei cittadini più sensibili».

Sosteniamo da sempre che le barriere più difficili da abbattere siano quelle mentali, cosa pensi a riguardo?

I: «La disabilità è il contesto, sono gli altri che ti rendono disabile nel momento in cui non ti danno gli stessi strumenti che per-mettono di fare della propria vita quello che uno vorrebbe, viaggiare, spostarsi, non si-gnifica solo poter andare all’Università, vuol dire essere parte della comunità.

Le barriere più dure da abbattere non sono tanto quelle architettoniche, ma so-prattutto quelle mentali, si pensi alle mac-chine parcheggiate nei posti per disabili, le persone lo fanno con leggerezza, senza pensare alle difficoltà in cui possono trovarsi altre persone per colpa del loro gesto.

Per cambiare la mentalità delle persone bisogna fargli aprire gli occhi su ciò che da sole non riescono a vedere, grazie alla par-tecipazione della cittadinanza sensibile al tema dell’inclusione sociale. Essere cittadini attivi significa essere in movimento, avere delle relazioni sociali; togliere autonomia e indipendenza alle persone è inaccettabile nel 2015 in un paese democratico e civile».

pro.

di.g

io. Proprietà: Associazione Prodigio Onlus

Indirizzo: via A. Gramsci 46/A, 38121 TrentoTelefono: 0461.925161 Fax: 0461.1590437Sito Internet: www.prodigio.itE-mail: [email protected]. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000Spedizione in abbonamento postale Gruppo 70%Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana).

Direttore responsabile: Francesco Genitoni.Redazione: Lorenzo Pupi, Giulio Thiella, Carlo Nichelatti, Giuseppe Melchionna, Luciana Bertoldi, Sara Caon, Martina Dei Cas, Olga Paris.Vignette a cura di: Maurizio Menestrina.Hanno collaborato: Fabio Pipinato, Paola Maria Bevilacqua, Marta Pilotto, Carla Galletti, Iacopo Melio, Unimondo, Valentina Pavarotti - Fondazione Fontana.In stampa: lunedì 30 marzo 2015.

Abbonamento annuale (6 numeri)Privati € 15,00; enti, associazioni e sostenitori € 25,00 con bonifico bancario sul conto corrente con coordinate IBAN IT25 O 08013 01803 0000 6036 2000 intestato a “Asso-ciazione Prodigio Onlus” presso la Cassa Rurale di Aldeno e Cadine indicando la causale “Abbonamento a pro.di.gio.”.Pagamento con carta di credito su www.prodigio.it

Ugo Rossi, presidente della Provincia, interviene al termine del convegno

Sala Don Guetti, sede Federazione Casse Rurali che ha ospitato il convegno

In compagnia di Massimo Occello, presidente della Cooperativa FAI e tra i promotori dell’evento

Sommariopag.

1 In copertina la vignetta di Maurizio Menestrina

5 • Vincersi• Cos’è la felicità?

11 • “Il PomoDoro” - Una fattoria sociale all’insegna dell’integrazione

2• Editoriale• Redazione e collaboratori• Intervista a Iacopo Melio #vorreiprendereiltreno

8 • L’angolo del Filosofo• Social Street San Pio X

3 • Ricamare comunità - Convegno FAI

9• Le follie umane - Uno sguardo al mondo che ci circonda• Nulla di nuovo sul fronte OPG• La Famiglia

4 • Bar Tutti per Uno• Rassegna Stampa

10 • L’atlante dei conflitti ambientali: Unimondo• International Day for mine awareness

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ESPERIENZA

E picuro, in una lettera sulla felicità a Me-neceo, gli dichiarava che non c’era età per conoscere la felicità: non si è mai né

vecchi né giovani per occuparsi del benessere dell’anima, filosofando, cioè amando il pen-siero. La filosofia e la conoscenza delle cose creano lo stato di felicità. Nella sua vita natu-rale l’uomo allontana da sé il dolore sia fisico che psichico e l’assenza di queste due cause porta al raggiungimento della felicità. Anti-camente si definiva l’appagamento delle ne-cessità primarie secondarie e sovrastruttura-te. La felicità assoluta per il Cristianesimo e anche per l’Ebraismo è la visione di Dio. Lo studio scientifico della felicità comporta la valutazione di diversi aspetti e di diverse sfaccettature che spaziano dall’aspetto psi-cologico a quello filosofico arrivando anche a valutazioni di tipo materiale. La scienza uma-nistica studia queste diverse forme. La felicità può essere considerata come il provare ciò che esiste di bello nella vita. Non è un’emozio-ne oggettiva, né è casuale come un evento del destino, ma è una capacità individuale di scoprire e di percepire. La felicità appartiene alla sfera del trascendente per quanto ri-guarda la sua sostanza, oggetto della ricerca dell’individuo. Alcuni elementi definiti fra i bi-sogni primari quali gli impulsi biologici come la fame, il sonno, la sete e la voglia espressa in impulso sessuale, ci spingono a cercare la feli-cità, meta di appagamenti. Quindi i cosiddetti bisogni biologici danno forma a una situazio-ne di attesa e di infelicità nella speranza di ri-solvere questa esigenza. Al raggiungimento

di queste, ne segue una fase temporalmente breve, in cui si riformano altri bisogni e diffe-renti necessità, frutto di elaborati meccanismi altalenanti fra pulsioni e istinti primordiali. Le persone hanno dentro di sé la necessità di elevare la propria psiche a cose trascendenti

che le portino a soddisfare la loro sete di co-noscenza di verità e di infinito. A parer mio le caratteristiche della felicità variano a seconda di chi soggettivamente ci si rapporta. Per al-cuni può essere la semplice serenità, che con-sente di godere di appagamento, di eccitazio-

ne, di ottimismo. La felicità può essere il raggiungimento di un desiderio, la soddisfa-zione di vederlo realizzato. Il bisogno di felici-tà, sotto il profilo psicologico, può essere an-che una soluzione a un determinato problema e la soluzione dello stesso procura l’appaga-mento che trascina con sé la gioia di sensazio-ni e di emozioni dell’intelletto e del corpo. Se l’uomo è felice, subentrano nella sua anima anche le sensazioni di appagamento e di sod-disfazione e di quiete. Innegabilmente l’uo-mo è un’entità che si compone di elementi indissolubili quali psiche, corpo e spirito che si influenzano vicendevolmente. La felicità solo nel piano biologico, significa dipendere unicamente dai bisogni biologici e non anda-re oltre, condizione questa di un susseguirsi ciclico che ritorna su se stesso ma ciò avviene solamente in pochi casi. A livello anatomico recenti studi di elettrofisiologia e immunoi-stochimica hanno articolato il concetto intro-dotto da Papez sulla centralità del sistema limbico nel procurare una reazione di natura certamente chimica ed elettrica, causale di quella che viene definita percezione della psi-che e degli sbalzi di umore. Infine il raggiungi-mento del benessere del corpo ma anche il raggiungimento della serenità dell’anima cre-ano la felicità. Solo il raggiungimento di en-trambi dà la felicità completa. Trilussa nella sua versione in romanesco della felicità la de-finiva «na’ piccola cosa, come un’ape che se posa sopra un botton de rosa, l’annusa e se ne va». Io la condivido pienamente.

Paola Maria Bevilacqua

L oro si chiamano Giulia, Giulio e Mat-teo, e sono i giovani atleti bolognesi della squadra non vedenti Arrampica-

ta Sportiva-Paraclimbing CUS Bologna, ago-nisti di questa difficile quanto bella pratica sportiva, sintesi di intelligenza motoria e controllo mentale. Ho saputo di loro e delle loro imprese per caso, trovandomi a una delle anteprime del Trento Filmfestival della Montagna 2015, a Riva del Garda. I ragazzi, protagonisti del progetto e docufilm “Vin-cersi”, erano quasi tutti presenti e la loro ma-turità e profondità mi hanno colpito molto. Il progetto Vincersi si realizza grazie all’ini-ziativa dei registi Mirko Giorgi e Alessandro Dardani che raccontano con freschezza ed energia la storia di un gruppo di ragazze e ragazzi non vedenti o ipovedenti, nei panni di arrampicatori, ma anche come giovani in-traprendenti tra insicurezze e rivincite, co-gliendone con ritmo, dinamicità e originali-tà la loro intima essenza.

“Vincersi” è finalista al Filmfestival di Tren-to del 2014 con l’obiettivo discreto di stupire e mettere a fuoco la viva, profondissima rela-zione dello speciale gruppo di arrampicatori, mostrando come il training sportivo, intessu-to di elementi tecnici, educativi, sociali e uma-ni, si trasformi in una palestra di vita e in un fertile terreno di umana condivisione.

Mi raccontano che si stanno intensamen-te allenando per i Campionati Europei Cha-monix 2015 e per i Campionati del Mondo Parigi 2016. Si allenano a Bologna, ma spesso fanno trasferte a Verona, Treviso, Trento, Bol-zano dove trovano un terreno simile a quello delle gare. L’esistenza di questa squadra è qualcosa di unico sia nel territorio nazionale sia nel panorama internazionale ed è un’ec-

cellenza bolognese di cui loro vanno orgo-gliosissimi. Solitamente, infatti, gli atleti non vedenti si allenano individualmente in un rapporto di uno a uno, poiché necessitano della presenza del tecnico che funge anche da guida.

Il team è seguito da diversi tecnici, oltre all’allenatrice Carla Galletti, ideatrice e ani-ma della squadra, che dal basso guida i ra-gazzi durante le gare; nel 2015 è parte della squadra anche Federico Stella, trentino, stu-dente di scienze motorie a Bologna e Istrut-tore FASI. Ma non è tutto, perché dal 2013 il team ha stretto amicizia con Pietro Dal Pra, guida alpina, icona dell’arrampicata moder-na, che con sempre crescente partecipazio-ne e autentica passione contribuisce al lavo-ro della squadra, di cui oramai è parte integrante, donando tutta la sua inestimabi-le esperienza sulle pareti.

Per la stagione 2015 il team dovrà prov-vedere ad autososte-nersi econo-micamente, poiché l’attività promozionale degli scor-si anni scorsi è stata interrotta a causa della chiusura della parete di arrampicata. Questa resta ina-gibile in attesa di fondi per il suo rifacimento e adeguamento, per-tanto i costi della stagione agoni-

stica in corso dovranno essere sostenuti diver-samente. Attualmente lo spazio di parete utilizzabile dalla squadra è molto ristretto e non consente allenamenti specifici. Così per l’arrampicata con corda il gruppo deve fre-quentare un’altra struttura cittadina e nei gior-ni festivi trasferirsi fuori regione in strutture più grandi e dunque più adeguate. Nonostan-te la carenza di fondi il lavoro della squadra non si è fermato, anzi è più che mai intenso. Sostenuti da anni di impegno, di risultati cen-trati e dalla smisurata passione per questo sport, hanno deciso di affrontare una nuova sfida per poter attuare al meglio gli obiettivi di allenamento: un progetto di microcredito attraverso il crowdfunding. A quanto pare an-che su questo nuovo fronte la squadra sta fa-cendo bene, e per questo ha deciso di rivol-gersi a Ideaginger, startup emiliana che

gestisce una piattaforma di mi-crofiananziamento sul web.

(www.ideaginger.it).Il progetto si chiama VINCER-

SI. Così come l’omonimo docu-film che, grazie all’iniziativa dei filmakers Mirko Giorgi e Alessan-dro Dardani, racconta la storia dei ragazzi, non solo come ar-rampicatori, ma anche come gio-vani non vedenti.

Come aderire e sostenere il progetto?Se volete conoscere la loro storia innanzi-

tutto non perdetevi il film “Vincersi”: emozio-nante vessillo di questo gruppo, quanto sor-prendente, frizzante e potente opera che, insieme alla cultura che abbatte i pregiudizi, ha lo scopo di divulgare il progetto di microfi-nanziamento.

Per conoscere e aderire al progetto VIN-CERSI, andate a questo link http://www.idea-ginger.it/progetti/vincersi.html dove trove-rete il trailer del film, la descrizione dell’idea, un calendario aggiornato delle proiezioni e la possibilità di sostenere questi ragazzi e la loro iniziativa.

Lorenzo Pupi

Non è un’emozione oggettiva né casuale come il destino

Cos’è la felicità?

La storia di tre giovani arrampicatori bolognesi non vedenti che con passione e determinazione

superano i loro ostacoli, in parete, così come nella vita di tutti i giorni.

Vincersi

SOCIETà

Aperto il nuovo Bar Food “Tutti per Uno” a Spini di Gardolo, impresa no-profit che raccoglierà fondi

per la Fondazione Trentina per l’Autismo. Spazio aperto ad associazioni e una slot machine con scopo sociale

Quando andare al bar può aiutare qualcuno

A ll’inaugurazione del Bar Food “Tutti per Uno” il 20 feb-braio non potevamo mancare. Un grande evento che ha visto la presenza di moltissime persone, gente co-

mune ma anche alcuni esponenti politici e delle Istituzioni, come Mariachiara Franzoia, assessore alle Politiche sociali del Comune di Trento, Bruno Dorigatti, presidente del Con-siglio della Provincia Autonoma di Trento e il senatore tren-tino Franco Panizza. Testimonial dell’evento Katia Ricciarelli che da sempre sostiene la Fondazione Trentina per l’Autismo.

Il locale si trova in Via Kufstein, 1 a Spini di Gardolo e ri-sulta ben visibile anche dai passanti dal grande logo verde di una faccia che sorride con lo slogan “TUTTI PER UNO”. All’interno un ambiente moderno, cura nel dettaglio dal punto di vista della scelta dei mobili, dell’organizzazione, della qualità del servizio e del cibo. Sì, perché la cura e bel-lezza estetica che si ritrova nel locale non è equiparabile al nobile scopo che si prefigge.

Attraverso un’intervista al Presidente Gianni Coletti, al Vice presidente Daniele Cozzini della Fondazione Trentina per l’Autismo e alla collega Patrizia Miano vi racconteremo che cosa è questo bar e l’idea che ci sta dietro.

L’iniziativa è nata da due imprenditori, Franco Pinamonti e Gianni Coletti, che insieme a Patrizia Miano hanno deciso di intraprendere questa sfida: creare un un’attività per creare profitti di cui gli utili da destinare a fini sociali. Coletti raccon-ta che l’idea è nata per lanciare messaggi nuovi, di cui il primo è quello di «creare un esercizio che deve autosostenersi con la propria attività ma i cui utili del bar andranno a beneficio per la realizzazione della Casa Sebastiano a Coredo, struttura destinata alle persone con autismo progettata della Fonda-zione Trentina per l’Autismo, ad attività e percorsi per l’inse-rimento sociale dei giovani con disabilità. I fondi andranno anche alle associazioni che si impegnano nel sociale. Il se-condo messaggio – continua Coletti – è rappresentato dalla slot machine presente nel locale, che farà da raccolta di fondi non per la Fondazione ma per enti di beneficenza che adesso hanno necessità di fare dei progetti su soggetti singoli o su una famiglia in necessità. Curiosa è la sembianza umana del-la slot machine all’interno del bar, posta in un angolo ben vi-sibile. Una vera e propria presenza a cui è stato dato anche un nome: Mister Slot e che Coletti ha inventato per giustificare la presenza di una slot machine che non vuole far parte del-la cultura del gioco d’azzardo ma essere una macchina per raccogliere fondi a scopo sociale. Gianni Coletti spiega: «noi faremo una raccolta fondi attraverso la slot e indicheremo ad ogni inizio mese a chi andranno in beneficenza i soldi, così che ci sia trasparenza per la gente che sa a quale associazione andranno devoluti i soldi raccolti, soldi che poi investirà su un soggetto in situazione svantaggiata».

La vostra Fondazione si occupa da anni di autismo, come crede che questo bar pos-sa portare aiuto a persone affette da que-sta malattia?

«Innanzitutto a fianco del bar – spiega Colletti – c’è una saletta che viene gestita dal personale del bar e viene data in comodato d’uso alle associazioni no profit gratuitamen-te. Per le aziende invece è prevista una quota di pagamento. Si sono già tenute una serie di conferenze per la formazione sull’autismo, da parte di docenti e operatori coinvolti in attivi-tà socio-sanitarie. Questo luogo sta diventan-do un punto di formazione, con docenti ben qualificati e progetti ben determinati. La sala potrà anche essere usata per attività ludiche e serali a favore di enti e associazioni».

La Fondazione Trentina per l’Autismo ha da sempre cer-cato le condizioni per aumentare la cultura e la conoscenza dell’autismo ed è per questa ragione che ha voluto creare questo spazio. Coletti ci spiega che per creare questa nuova cultura sul tema dell’autismo il centro principale è Casa Seba-stiano, in Val di Non, un progetto importante che ha richiesto un grande investimento economico.

La crisi economica ha provocato un taglio ai servizi sociali che il pubblico offriva ai cittadini. Si cerca adesso di arri-vare al sociale attraverso altri mezzi, partendo dal basso. Il vostro progetto è in linea con la nuova idea di welfare che deve partire dal privato? Come crede che il bar possa essere un servizio a disposizione della società?

«Di questi tempi – chiarisce Daniele Cozzini – ci obbliga-no a coinvolgere anche il privato perché l’ente pubblico non ha la possibilità di coprire tutto, allora l’altra alternativa sareb-be che lo coprano le famiglie, ma le famiglie che hanno già grossi problemi possano avere almeno un aiuto».

Coletti interviene rispondendo che non servono progetti milionari per aiutare un welfare territoriale. Bastano piccoli aiuti che potrebbero nascere in collaborazione fra il mondo dell’imprenditoria e del welfare. Queste risorse derivate da diverse collaborazioni integrate con quelle pubbliche posso-no dare vita a un nuovo e concreto welfare territoriale.

Il segreto di questo progetto e del bar, come di altre inizia-tive della Fondazione Trentina per l’Autismo, è la continuità di queste collaborazioni a medio termine per garantire stabilità. È necessario essere responsabili per non creare iniziative che a medio-lungo periodo vadano a ricadere poi sul pubblico.

Accanto alla figura di Coletti c’è Patrizia Miano, l’altra collega che ha fondato il Bar Food a cui spetta il compito di gestire il bar. Con coraggio ha accettato la scommessa e ha sposato l’idea di un’impresa non solo a fini di lucro, ma a supporto del mondo dell’autismo. Patrizia usa prodotti delle cooperative sociali di zona. Ciò che si vuole creare è una rete fra i coltivatori limitrofi e le cooperative che si affiancheranno a Patrizia per proporre il tipo di prodotto di qualità.

Nel mondo di oggi più che mai la questione della par-tecipazione della donna è di primaria importanza e Pa-trizia rappresenta un importante simbolo per tante altre donne imprenditrici.

Patrizia ci dice con franchezza: «questa iniziativa è sta-ta una scommessa su più fronti: innanzitutto questa è la mia prima esperienza in questo settore e poi è anche una scommessa su di me come donna e come mamma».

Quale è il suo segreto per conciliare il nuovo lavoro con la sua figura di mamma?

«Abbiamo appena iniziato l’attività e quindi in questo periodo mi sono molto concentrata qui al lavoro, per for-tuna ho alle spalle chi mi dà una mano. Sicuramente non è una situazione che voglio portare avanti così perché ho dei doveri e degli obblighi in quanto mamma che sento in maniera forte, e quindi ci sarà bisogno di un grande lavoro di gruppo e di brave collaboratrici che stiamo valutando. Una buona organizzazione è la chiave!».

Com’è stato il primo impatto con le persone all’inaugu-razione? Siete rimasti soddisfatti?

«Ci è piaciuto soprattutto lo spirito franco e sereno del-le persone che sono venute, abbiamo anche creato contatti nuovi per l’esercizio. Sono venute anche persone da lontano e tutta una serie di simpatizzanti del mondo dell’autismo, persone nuove che si affacciavano per la prima volta a que-sto mondo e questo ci ha fatto piacere». Coletti aggiunge:

«C’erano anche persone affette da autismo, ma nessuno si è accorto proprio perché c’era una bellissima atmosfera».

E adesso? Cosa possono fare le associazio-ni e gli individui per aiutarvi a far crescere e sviluppare questo nuovo progetto del bar?

«Supporto morale, frequentare il bar, par-lare di noi, esserci a fianco dal punto di vista culturale, dal punto di vista delle motivazioni del perché è nato questo locale e lanciare mes-saggi insieme per creare sinergie. E questo è quindi l’invito che vogliamo lanciarvi: andate a fare un giro nella zona di Spini di Gardolo e fermatevi al Bar Food “Tutti per Uno” perché prendendo anche solo un caffè potrai aiutare molte persone: “fa bene a te, fa bene agli altri”».

Olga Paris

pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | [email protected] | aprile 2015 - n. 2

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Rassegna stampadal social-web!

VITA.IT > Otto utenti di internet su dieci fanno donazioni online L’83% degli internauti italiani, tra i 18 e 64 anni, ha effettuato

nel 2014 almeno una donazione, scegliendo di farlo per acquista-re un regalo solidale, per sostenere un’organizzazione non profit o per partecipare a un’iniziativa di solidarietà (tra cui il crowdfun-ding). Tra questi donatori, 1 su 5 ha utilizzato internet per effet-tuare la propria donazione. Sono questi alcuni dei risultati dell’in-dagine, condotta da Duepuntozero Doxa per PayPal Italia e Rete del Dono, sulle nuove frontiere della donazione online. http://www.vita.it/it/article/2015/03/19/otto-utenti-di-internet-su-dieci-fanno-donazioni-online/131786/

SUPERABILE > Autismo, l’Iss presenta la prima indagine sull’assistenza sanitaria in Italia

ROMA - Creare un database globale sui disturbi dello spettro auti-stico, istituire una rete scientifica ed epidemiologica europea, promuo-vere l’avvio di Registri nazionali in Italia e negli altri paesi. Sono questi gli obiettivi discussi oggi all’Istituto superiore di Sanità (Iss) nell’ambito della conferenza internazionale “Strategic agenda for Autism Spectrum Disorders: a public health and policy perspective”. Tema centrale è «l’urgenza di ottenere stime di prevalenza a livello nazionale ed euro-peo per la pianificazione di servizi efficaci e correlati all’età». Secondo gli ultimi studi epidemiologici del Center for Disease Control america-no, 1 bambino su 68 negli Stati Uniti è autistico. Per l’agenzia federale si tratta di un “serio problema di salute pubblica”. In Europa invece sono pochi i paesi che hanno a disposizione dati di prevalenza nazio-nale e aggiornati. http://www.superabile.it/web/it/CANALI_TEMA TICI/Salute_e_Ricerca/News/info1036619867.html

VITA.IT > Sim-patia, la cooperativa sociale che strizza l’occhio con il Cyberlink

Quando è nata, 25 anni fa, era una piccola residenza per persone con disabilità motoria acquisita. Oggi Sim-patia è un centro all’avan-guardia nel “piegare” le tecnologie per restituire autonomia alla singo-la persona. Il segreto? Stampanti 3D, circuiti Arduino e un’impresa so-ciale che dà lavoro vero. A Sim-patia il centralino è attrezzato per quattro disabilità differenti: ci lavorano alcuni disabili del territorio in cambio dell’accesso alla piscina, in un “baratto di servizi”. Le carrozzi-ne elettriche che sciamano in giardino sono comandate ognuna in maniera differente: con il soffio, con il mento, con un tutore che è il calco esatto della tua mano, realizzato qui dentro con una stampante 3D. L’ascensore è domotico, per consentire a ciascun ospite di muo-versi in autonomia. http://www.vita.it/it/article/2015/03/11/simpatia -la-cooperativa-sociale-che-strizza-locchio-con-il-cyberlink/131679/

SUPERABILE > Accessibilità: la chiave del cambiamento è formazione di architetti, ingegneri e geometri

NAPOLI - Un convegno per discutere sul tema dell’accessibilità dedicato ad architetti, ingegneri e geometri, “La parola chiave è for-mazione. Garantire l’accessibilità non è solo un dovere morale ma anche un obbligo normativo”.

L’accessibilità inizia dal portone di scuola: pensare le città senza barriere è possibile. È quanto emerso dal convegno promosso a Na-poli, nel complesso universitario di Monte S. Angelo, dall’associazione di volontariato Peepul e rivolto, in particolare, ai “tecnici”: architetti, ingegneri, geometri, che progettano le nostre città, e agli studenti che lo diventeranno. «Siete mai andati a spasso con un disabile? – ha chiesto Liana De Filippis, dell’associazione Insieme –. È un’esperienza che dovrebbero fare tutti per capire sul campo con quali problemi ci si scontra, anche in quei luoghi dichiarati accessibili. Garantire l’acces-sibilità non è solo un dovere morale ma anche un obbligo normativo. Le leggi vengono disattese, i controlli sono inesistenti. Risultato? Sono tanti i luoghi pubblici appena inaugurati che non sono a norma. Decenni di battaglie per la parità dei diritti costantemente calpestati dalla disattenzione, a voler essere buoni, di funzionari e progettisti». http://www.superabile.it/web/it/CANALI_TEMATICI/Senza_Barrie-re/Il_Punto/info-179233360.html

DISABILI.COM > Disabilità e Startup: idee italiane tra strumenti e app

Dallo studio alla comunicazione, passando per la cura e l’assisten-za. Alla scoperta delle realtà che progettano prodotti e servizi di rile-vanza sociale. Pedius ad esempio è una app che permette ai sordi di telefonare attraverso lo smartphone, ma anche con il tablet. Si digita un testo o si pronuncia un messaggio, e la app lo trasmette all’interlo-cutore, traducendo in forma scritta le sue risposte grazie alla sintesi e al riconoscimento vocale. Tutto questo senza bisogno di intermediari. http://www.disabili.com/lavoro/articoli-lavoro/disabilita-e-start up-idee-italiane-tra-strumenti-e-app

Gianni Coletti e Patrizia Miano

La nostra volontaria Olga all’inaugurazione del locale

Nelle foto da sinistra:

Giulia Poggioli, 18 anni, dal 2012 atleta nazionale categoria B2 ipovedente gravissima. A 15 anni esordisce ai Campionati del Mondo Paraclimb Lead di Parigi, salendo sul terzo gradino del podio, bronzo anche ai Campionati del Mondo di Spagna 2014.

Giulio Cevenini, 21 anni, nella squadra nazionale B di Paraclimbing dal 2012, categoria B2 ipovedente gravissimo. Nel 2014 salito per la prima volta sul primo gradino del podio della Paraclimbing Cup di Arco di Trento.

Matteo Stefani, 22 anni, atleta nazionale dal 2009, categoria B1 cieco totale. Nel 2011 Campione del Mondo Lead e Speed, nel 2012 e 2014 bronzo ai Campionati del Mondo Lead. Nel 2013 oro alla Paraclimbing Cup Boulder a Laval e argento ai Campionati Europei Lead di Chamonix.

Progetto Vincersiwww.ideaginger.it

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Reti di alleanze, solidarietà e protagonismo delle famiglie per alimentare il welfare sussidiario

L a poliedrica rete di alleanze familiari composta dall’associazionismo, l’auto-organizzazione delle famiglie, le allean-

ze locali e le consulte familiari era ampia-mente rappresentata. Il convegno “Welfare sussidiario”, tenutosi presso il palazzo della Provincia a Trento, ha avuto come mission quella di indagare il tema del welfare di co-munità e il contributo che stanno dando per la sua crescita e sviluppo gli stakeholders terri-toriali. Il tema è stato esaminato attraverso le testimonianze di vari soggetti pubblici e pri-vati attivi sul fronte del welfare sussidiario, provenienti dalle province di Trento, di Bolza-no e dal Land Brandeburgo.

«Questa è un’occasione preziosa – ha det-to in apertura il dirigente provinciale dell’A-genzia per la famiglia Luciano Malfer – per unire e intrecciare in rete diverse esperienze di welfare sussidiario sul territorio provinciale ed extra provinciale. Il welfare oggi – ha ag-giunto – si declina secondo diverse sfumatu-re tipologiche: non si esaurisce in quello “so-ciale”, che tutti conoscono, ma persiste e sta crescendo sul territorio anche il secondo wel-fare, il welfare aziendale (che esula dalla con-ciliazione vita-lavoro, ma interessa un sistema integrato e dialettico di vita in azienda e vita personale), il welfare di comunità, il welfare/well being e il welfare familiare. E in tutti que-sti – ha detto Malfer – si sta introducendo il welfare mix che stimola partnership tra pub-blico e privato foriere di servizi efficienti e di potenziamento del sistema economico sul territorio. Le criticità persistono, soprattutto in questo momento di crisi economica, e la denatalità è indubbiamente il primo indica-tore (in Trentino la media è di 1,6 figli contro i 2,1 di Francia e Paesi Scandinavi): c’è dunque tanto da fare – ha concluso – e per colmare questo gap occorrono politiche bottom up, partendo dal basso, dalle famiglie e investen-do su di loro per la crescita della società e dell’economia».

Presenti tra le istituzioni anche il neo-presidente della Consulta provinciale per la famiglia Giovanni Manenti che, essendosi da poco insediato, sta portando avanti un’opera-zione ascolto del territorio al fine di acquisire esempi virtuosi e definire i prossimi indirizzi da intraprendere in Provincia. La presiden-te del Forum delle Associazioni Familiari del Trentino Silvia Peraro Guandalini ha invece ri-cordato come «questo evento sia una prezio-sa opportunità per far crescere il senso civico e diffonderlo sul territorio, stringere alleanze fra soggetti che lavorano nel settore al fine di far crescere una comunità solidale e attenta al tema del welfare. Al primo posto – ha prose-guito – deve comunque permanere il valore della famiglia, al di là di stereotipi e pregiu-dizi, e per costruire sussidiarietà orizzontale, essa deve poggiarsi su tre cardini: coerenza, concretezza e progettualità lungimirante».

La responsabile del Servizio provinciale Politiche sociali Ileana Olivo è intervenuta al posto del dirigente del Dipartimento Salute e Solidarietà sociale Silvio Fedrigotti: «La mia relazione non vuole fare focus sul ruolo dell’amministrazione pubblica nelle politiche sociali, ma sulla necessità dell’Ente di ricollo-carsi e riposizionarsi in tal senso delegando, per quanto possibile, la rete di servizi e inter-venti sul territorio al sistema delle famiglie. Porto un esempio concreto che è emblema-tico di questa trasformazione in corso: è quella dell’USL 8 di Belluno che ha supporta-

to la costituzione in ogni Comune di reti di famiglie “forti” (o anche cono-sciute come “fa-miglie accoglien-ti”) in soccorso a

famiglie “deboli” (es. accoglienza minori, soste-gno nella gestione vita-lavoro, affiancamento agli operatori sociali ecc.). Un esempio massi-mo di sussidiarietà che potrebbe essere mu-tuato anche nel nostro territorio e – ha aggiun-to – si tratta di interventi sul campo dove tutti sono “pari” (e questo deve valere anche per la PA)». Infine ha tratteggiato sommariamente il progetto del Distretto dell’economia solidale.

La professoressa delle Scuole “Crispi”, Stel-la Bozzarelli, e Laura Pedrotti, referenti del progetto “Trento, una città per educare”, han-no portato testimonianza delle varie iniziative di cui il loro istituto si è fatto promotore – tra cui il “Progetto tutto pace” – e l’ultimo che è quello di costituire il Distretto famiglia della città di Trento. Ha preso poi la parola Rober-ta Lochi della Uisp Trentino che ha presenta-to il Servizio di conciliazione famiglia-lavoro attuato presso le Scuole “Sanzio” di Trento. Cristina Violi del Gruppo Famiglie Valsugana e Francesca Parolari dell’Asif Chimelli hanno presentato i Servizi autorganizzati per le fa-miglie di Pergine Valsugana che hanno preso il via nel 2012. «Tutti progettati “dal basso”» ci tengono a dire fin dall’inizio, e forse consi-ste in questo il loro successo. «Le attività che promuoviamo intervengono innanzitutto sul tema della genitorialità (supportati anche dal volontariato che copre il 20% del personale), che si traduce nell’offerta alle famiglie, dietro il pagamento di una tessera annuale di 23 euro, in: laboratori creativi per i bambini 0-6 anni, ludoteca, Punto incontro, spazio geni-tori, consulenza psicologica e legale. Ad oggi – hanno proseguito – sono 300 le famiglie so-cie con oltre 900 persone iscritte».

Jessika Huebner, referente delle Alleanze per la famiglia di Perlberg e Wittenberge – Land Brandeburgo (D) – ha tratteggiato il ruolo del-le alleanze per la famiglia a Wittenberge che hanno visto i primi passi nel 1998 per poi in-traprendere un corso più definito e ricono-sciuto dalle istituzioni nel 2009. «Si tratta di circa 28 soci fondatori, rappresentati da enti ecclesiastici, associazioni, scuole, fondazioni sportive, partiti politici, chiamati a lavorare in stretta sinergia sui temi caldi della società per offrire: consulenze su maternità, conflitti fami-liari, assistenza disabili e anziani, consulenza lavoro, integrazione delle famiglie disagiate e degli immigrati nella comunità, assistenza e cura dell’infanzia. Anche questo sistema è par-tito dal basso e su base volontaria e, ad oggi, grazie alla costituzione di vari Gruppi di lavo-ro, l’Alleanza per la famiglia è in grado di offri-re alla comunità: feste per le famiglie, eventi “sport e famiglie”, feste natalizie, Marcia per

la pace e la tolleranza, accoglienza per una settimana all’anno di bambini provenienti da Chernobyl, oltre a servizi di consulenza, ascol-to e sostegno alle famiglie in difficoltà».

Rosanna Bolognani, referente istituziona-le, e Stefania Campestrini, referente tecnico del Distretto famiglia Valle dei Laghi, hanno illustrato il ruolo della Consulta famiglia come progetto strategico del Distretto Famiglia Valle dei Laghi. «La Consulta famiglia intende prioritariamente mettere al centro la famiglia e non limitarla a mero fruitore di servizi, ma a soggetto che interviene fattivamente sul ter-ritorio ed è regista delle politiche territoriali. Per fare ciò si è puntato fin dall’inizio alla col-laborazione tra istituzioni e alleanze familia-ri, al fine di ottimizzare i servizi offerti di tipo culturale, economico, ricreativo, turistico a nuclei familiari autoctoni e ospiti. Per acqui-sire le necessità delle famiglie abbiamo inter-rogato il territorio con il coinvolgimento delle varie tipologie di famiglie: famiglie numerose, adottive, miste e straniere, monogenitoriali, di nuovi residenti, giovani e con soggetti disa-bili. La novità è il progetto della Consulta dei nonni di prossima attuazione e i viaggi studio con gemellaggi presso le famiglie».

Presente anche Sonia Capponi della Con-sulta dei genitori dell’Istituto comprensivo Val Rendena, che ha presentato il tema delle consulte scolastiche nei Distretti famiglia, e Christa Ladurner del Forum Prevenzio-ne Alto Adige che ha portato uno spaccato della realtà altoatesina: «L’Alleanza famiglia è composta da un eterogeneo panorama di Enti di settore: dalle Acli alla Consulta geni-tori, dal Consultorio familiare alle famiglie numerose, rappresentative di uno spettro

ampio di ciò che è oggi la società. Le critici-tà in Alto Adige sono l’invecchiamento della popolazione che ha portato negli anni – ha dichiarato – a una maggior attenzione ai servizi per anziani e per le famiglie. Il trend sociale vede matrimoni e maternità sempre più tardive, aumento dei divorzi e nascite extra matrimoniali. Quale futuro dunque per la famiglia? Tra i desideri delle mamme vi sa-rebbe una copertura della maternità fino ai tre anni, uguale part-time padri e madri, più servizi per la prima infanzia».

Ha chiuso la sessione di relazioni l’asses-sora provinciale alla Salute e Solidarietà So-ciale che ha precisato che vi sono tre termini sui quali deve poggiare la crescita della co-munità: alleanza, solidarietà, protagonismo. «Alleanza che – a differenza del concetto di ”rete” – include concetti di condivisione, colla-borazione, coesione e unione. Alleanza come raggruppamento di competenze e soggetti in un disegno comune. La sfida oggi è che le relazioni o alleanze divengano generative: le alleanze cioè devono contribuire alla crescita della comunità, al rafforzamento delle relazio-ni per far emergere tutto il “buono” che anche le persone fragili possiedono. Un’altra sfida – ha proseguito – è di dare risposte alla plu-ralità della società e al rispetto e accoglienza delle differenze. La solidarietà – secondo termi-ne strategico – se alimentata, contribuirà a far superare ogni difficoltà economica e sociale, e infine il protagonismo delle famiglie: le sfide si conquistano – e le testimonianze di oggi lo hanno confermato – partendo dal basso e coin-volgendo sempre le famiglie e la società tutta per garantirle un futuro e benessere sociale ed economico nel territorio trentino».

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122

S uperare gli ospedali psichiatrici giudiziari, secondo quando stabilito dalla normati-va nazionale che fissa al 1° aprile 2015 il

termine ultimo per completare il processo di chiusura di queste strutture. È quanto ha ap-provato la Giunta provinciale, su proposta dell’assessora alla Salute e Solidarietà sociale, che commenta: «Negli anni alcune commissio-ni d’inchiesta parlamentari hanno dimostrato l’inefficacia degli ospedali psichiatrici giudiziari, eredi diretti dei manicomi giudiziari, e numero-si sono stati i richiami al rispetto dei diritti uma-ni fondamentali da parte degli organismi euro-pei, della Corte Costituzionale sino all’appello del precedente Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ritengo quindi che indivi-

duare una progettualità sul territorio che ci consenta di superare queste strutture sia una dimostrazione di civiltà e, al contempo, una sfi-da importante per garantire a queste persone, che tra l’altro almeno sul territorio trentino sono davvero un numero ridottissimo, prote-zione e dignità, salute e sicurezza».

Con la deliberazione approvata dalla Giun-ta provinciale, si dà quindi mandato all’Azien-da per i servizi sanitari di realizzare i program-mi di intervento terapeutico riabilitativi per le persone dimesse dagli ospedali psichiatrici giudiziari, nonché di riorganizzare e adatta-re, entro il prossimo mese, la struttura di cura e di custodia destinata ad accogliere queste persone.

Superare gli ospedali psichiatrici giudiziari

In arrivo nuovi farmaci per i malati di Epatite C cro-nica: la Giunta provinciale, su proposta dell’asses-sora alla Salute e Solidarietà sociale, ha approvato

le linee guida per l’accesso e l’erogazione ai malati dei nuovi farmaci Sovaldi (sofosbuvir) e Olysio (si-meprevir) che, a giudizio della Commissione con-sultiva tecnico-scientifica dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), possiedono il requisito dell’innova-tività terapeutica. «Con questo provvedimento pre-vediamo il trattamento di circa 120 pazienti rien-tranti nei criteri AIFA di priorità da 1 a 6, ai quali garantiamo la disponibilità di questi nuovi farmaci che, rispetto alle terapie precedenti, hanno una maggiore efficacia e ci consentono di trattare anche pazienti per i quali in precedenza non esistevano possibilità di cura».

Le Regioni e le Province autonome devono, se-condo quanto previsto dal decreto-legge n. 158 del 2012 in materia di innovatività terapeutica, assicura-re la disponibilità immediata agli assistiti, mediante gli ospedali e le aziende sanitarie locali, al fine di

garantire su tutto il territorio nazionale il rispetto dei livelli essenziali di assistenza (LEA).

L’AIFA, con due provvedimenti di novembre e dicembre 2014, ha attribuito a questi due nuovi far-maci il numero di AIC (autorizzazione immissione in commercio), ne ha disciplinato la classificazione ai fini della rimborsabilità e della fornitura, nonché ha fissato le condizioni e le modalità di impiego.

Il Sovaldi (sofosbuvir), un nuovo inibitore del virus dell’Epatite C, rispetto alle terapie precedenti si distin-gue per essere un farmaco sicuro, ben tollerato, con un ottimo profilo farmacologico, dotato di un’elevata bar-riera contro le resistenze legate a mutazioni genetiche del virus, di una maggiore efficacia e utilizzabile a fa-vore di categorie di pazienti per le quali in precedenza non esistevano possibilità terapeutiche.

L’Olysio (simeprevir), un altro nuovo inibitore, in associazione con Sovaldi (sofosbuvir), è stato anche individuato dall’Associazione italiana per lo studio del fegato (AISF) come trattamento ottimale per i pa-zienti affetti da tale malattia.

In arrivo nuovi farmaci per i malati di Epatite C cronica

Villa Rosa: presentata la nuova

cardiologia riabilitativa

P resentati al Villa Rosa di Pergine Valsugana le attività e i nuovi locali della cardiologia riabilitativa, la branca della cardiologia che si occupa di ac-compagnare i pazienti che hanno subito un evento cardiologico acuto

nella ripresa delle attività quotidiane.«Sono fiero di presentare questo servizio – ha detto in apertura di confe-

renza stampa Roberto Bonmassari, direttore dell’unità operativa di cardiologia dell’ospedale di Trento – che completa l’offerta dell’Apss in ambito cardiolo-gico. Le attività della struttura consentono di concludere il percorso di cura dei pazienti con patologie cardiache e vascolari accompagnandoli nella fase post acuta. È una ricchezza avere una riabilitazione che lavora in stretto colle-gamento con la degenza cardiologica. Le attività di questa struttura sono volte a favorire, nella persona cardiopatica, la stabilità clinica, a ridurre le disabilità conseguenti alla malattia e il rischio di nuovi eventi cardiovascolari, a suppor-tare il mantenimento e la ripresa delle attività abituali».

L’assessora alla Salute e Solidarietà sociale della Provincia autonoma di Tren-to si è detta «molto soddisfatta per questo centro che rappresenta un’eccellenza all’interno dei servizi sanitari trentini e che aggrega in un’unica struttura le funzioni riabilitative – cardiologiche e neuromotorie. Questo è un importante servizio per i pazienti che non necessitano di ricovero perché permette di accompagnarli nel percorso di recupero delle attività quotidiane».

È intervenuto poi Mario Grattarola, direttore dell’ospedale di Trento, che ha evidenziato: «Questo è un importante risultato attuato grazie al lavoro di molti operatori, che ringrazio anche a nome della direzione generale. L’attività che qui viene svolta interviene in un momento molto particolare del percorso del paziente caratterizzato dalla presa di coscienza che l’evento che l’ha colpito potrebbe avere importanti ripercussioni sulla sua vita e quindi il ruolo fondamentale della riabi-litazione è quello di una presa in carico a 360 gradi non solo dell’organo colpito, in questo caso il cuore, ma anche della persona e talvolta dell’intera famiglia. In questo percorso è molto importante anche l’alleanza con le associazioni che so-stengono i pazienti nel percorso post acuto con varie attività».

«L’introduzione nella realtà trentina della cardiologia riabilitativa gestita dalla cardiologia ospedaliera – ha continuato poi Bonmassari – risale a quasi vent’anni fa ed è sempre stata svolta con modalità di accesso in day hospital o ambulatoriale. Il primo centro afferente alla Cardiologia del Santa Chiara è stato attivato all’Ospedale San Giovanni di Mezzolombardo nel 1999 e successivamente, in seguito alla chiu-sura del presidio ospedaliero, il centro è stato temporaneamente spostato a Trento, a Villa Igea, in previsione, nel quadro di un progetto provinciale di riordino di tutta l’attività riabilitativa, della collocazione definitiva nel nuovo Ospedale riabilitativo Villa Rosa di Pergine. Il trasloco è avvenuto all’inizio di luglio dello scorso anno».

Alla conferenza stampa erano presenti Marco Zeni e Marcello Disertori in rappresentanza dell’Associazione per la lotta alle malattie cardiovascolari (ALMAC) che hanno evidenziato l’importanza della collaborazione tra servi-zi sanitari e associazioni di volontariato nel migliorare la vita delle persone affette da patologie cardiache sottolineando che i centri come il Villa Rosa sono punti di rinascita vera e propria per i pazienti che, sotto la guida di pro-fessionisti, intraprendono un lungo percorso per ritornare alla propria vita quotidiana. Nell’ambito della prevenzione secondaria è stato evidenziato come il ruolo del volontariato si potrà esprimere favorendo lo svolgimento di attività fisica, al di fuori della fase acuta, in palestre gestite da ALMAC.

«La nuova struttura – ha proseguito Annalisa Bertoldi, responsabile dell’atti-vità di riabilitazione cardiologica – è, sotto il profilo costruttivo e logistico, eccel-lente, gli spazi e la loro collocazione soddisfano le esigenze dell’attività e appaio-no favorevoli anche in un’ottica di un suo potenziamento. Attualmente l’attività effettuata è articolata in: riabilitazione cardiologica in day hospital, riabilitazione cardiologica ambulatoriale, attività cardiologica ambulatoriale per esterni. Le at-tività principali sono rappresentate da: valutazione completa e approfondita, sia clinica sia strumentale, delle condizioni cliniche globali del paziente, valutazione del rischio cardiovascolare globale, assistenza clinica volta alla completa stabi-lizzazione delle condizioni cardiache e generali del paziente, formulazione di un piano di trattamento terapeutico personalizzato che include anche la prescri-zione di un programma di attività fisica, partecipazione a lezioni di educazione sanitaria, dietologica e psicologica (aperte anche ai familiari) per far conoscere i corretti stili di vita e dare informazioni utili nei riguardi della prevenzione se-condaria della malattia cardiaca. L’attività riabilitativa viene svolta dal lunedì al venerdì, con la possibilità di adottare protocolli elastici di articolazione settima-nale degli accessi, per superare il disagio dello spostamento giornaliero dalla propria residenza. La durata del percorso riabilitativo è generalmente di quattro settimane. Nel 2014 i trattamenti di cardiologia riabilitativa in regime di degenza

diurna e ambulatoriale sono stati 285 mentre l’attività ambulatoriale per esterni è stata di 10.209 prestazioni». La cardiologia riabilitativa è collocata al piano terra dell’ospedale e si estende su una superficie di circa 900 mq suddivisa in due aree distinte ma comunicanti. La prima area è dedicata alla riabilitazione in regime di day hospital ed è composta da una palestra attrezzata con cyclette e tapis rou-lant, un ambulatorio infermieristico, uno studio medico, soggiorno-pranzo, spo-gliatoi per pazienti e locali di supporto. Vi è poi un’area ambulatoriale per esterni e consulenze costituita da un ambulatorio per le visite, uno per gli elettrocardio-grammi, due ambulatori per le ecocardiografie, e uno per l’ergometria.

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CONDIVISIONI

P rendo spunto dal centenario della nascita del più gran-de fumettista americano Charles Addams, che disegnò l’omonima famiglia. Un modo dissacratorio e ironico di

rappresentare un nucleo famigliare dei vecchi anni trenta. Ma la famiglia non è solamente un ironico black humour, non è Morticia, madre elegante in grado di far accendere le candele con la semplice forza dello schiocco delle sue dita. La famiglia non è papà Gomez, gentile ed educato padre con l’ossessione di far saltare i trenini elettrici oppure lo zio Fester brutto, goffo grasso e calvo in grado d’accendere le lampadine semplice-mente introducendole nella sua bocca. Bene, la famiglia è anche questo ma non solo, la fami-glia è normalità. La famiglia è com-posta da gente semplice che, unita da un vincolo d’affetto e di lealtà, vi-ve nella più totale condivisione di tempo, spazio e affetti. La famiglia è un paradiso e a volte un inferno, un mondo di silenzi e di urla ma sicura-mente un mondo garantito, tutelato, protetto. Il ruolo fondamentale che ricopre il nucleo famigliare è quello dell’insegnamento dettato dall’espe-rienza. Sono linee guida che i geni-tori indicano ai propri figli per evitare loro di sbagliare. Non sempre quando si è giovani si ascoltano i consigli e i sug-gerimenti dei genitore e della famiglia intera, sempre in guer-ra col mondo, col proprio mondo e con se stessi. Crescendo ci si rende invece conto che gli insegnamenti ricevuti da bambi-ni serviranno poi a camminare rettamente nella vita di noi adulti. Normodotati o disabili trovano in questa istituzione cri-stiana, in questa prima forma di società parentale, il piccolo mondo in cui rifugiarsi quando fuori infuria la bufera.

Nessuno mai potrà esserci d’aiuto quanto un parente, quanto un genitore, quanto un fratello o una sorella. Le prime scoperte per tentare di volare fuori dal guscio non sempre ci ri-servano belle sorprese. Troppo spesso attratti dalla facilità di relazioni con i nostri coetanei o per mostrare loro di essere all’altezza del branco, ci allontaniamo dalla famiglia salvo poi

ritornarci, in cerca di chi possa aiutarci a lenire i nostri dolori. In-quietudini giovanili, voglia di libertà nel nome di una famiglia che ci costringe a ruoli per noi inaccettabili ci portano a volare lontano, salvo poi rientrare in famiglia devastati dalle esperien-ze del mondo esterno. Il giusto equilibrio all’interno dei ruoli precostituiti dalla famiglia serviranno anche a formare il carat-tere dei ragazzi sia disabili che normodotati. Il rispetto della pa-rola data, il senso di responsabilità, il saper scegliere le proprie strade senza doppi giochi e nella massima correttezza.

L’insegnamento di una madre e di un padre servono a creare in noi equilibri psicologici che vanno poi ad alimentare

la nostra autostima e la nostra logica coerenza. Essere disabile in una fa-miglia in cui ti viene spiegato che nulla di più ti è dovuto rispetto ai tuoi fratelli e sorelle o rispetto ai tuoi amici e coetanei, ti permetterà da grande di poterti rapportare con la tua disabilità e con le tue proble-matiche sociali, affrontandole nel migliore modo possibile e dando a queste esclusivamente il peso che si meritano. Non serve proteggere perché disabile, non serve proteg-

gere perché diverso, serve invece lasciarlo camminare a due gambe oppure a due ruote o con tre piedi ma sempre nel pie-no rispetto della persona che vi è dietro, nella totale convinzio-ne che ciò che si ottiene con i propri mezzi ha un sapore di vit-toria. Magari non sarà un oscar alla carriera, alla professionalità o alla perfezione ma sicuramente sarà ciò che ognuno di noi, forte della propria identità famigliare, forte della propria condizione naturale, vivrà con dignità e con fierezza.

Consci che ciò che si è riusciti a ottenere fino a qui, se lo si è guadagnato grazie alla propria famiglia e grazie a se stessi, avrà il sapore della vittoria. Nessun favoritismo e nessuna pietà ser-ve a crescere più che le sconfitte. Grazie alla famiglia però si ri-parte forti e sereni, grazie al sorriso di una madre si lotta per vincere.

Paola Maria Bevilacqua

I l piano di superamento degli istituti per infermi di men-te autori di reati, portato avanti negli ultimi anni attra-verso proroghe e ritardi, sembra giunto finalmente al

termine. La data è fissata per la fine di marzo, ma le per-plessità riguardo al post-OPG continuano ad alimentare le critiche riguardo a una questione tenuta nel cassetto fino al 2010, quando finalmente si è deciso di sbirciare dentro. La situazione di degrado e indigen-za vissuta qui da centinaia di malati psichici è apparsa a tutti evidente e inaccettabile; veri e propri manico-mi criminali, anche se sulla carta ri-sultano aboliti dal 1978. Strutture realizzate per l’assistenza di pazien-ti psichiatrici dove, con il tempo, le esigenze di custodia hanno preval-so su quelle di cura.

Nel 2008 l’istituzione di una Commissione parlamentare d’in-chiesta sul Servizio Sanitario Na-zionale ha finalmente permesso di far luce sulle reali con-dizioni di vita negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, e una dettagliata relazione ha favorito l’emanazione di un primo decreto legge del 2011 che indicava il 1° febbraio 2013 co-me il termine per la chiusura definitiva degli OPG. Termine disatteso e rinviato al 31 marzo 2014, successivamente prorogato fino ai giorni nostri.

I Ministri di Giustizia e Sanità assicurano che non vi sa-ranno ulteriori ritardi, e che le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) entreranno regolarmente in funzione per prendersi carico di chi è ancora sottoposto a misure di sicurezza detentive.

Le nuove strutture saranno caratterizzate da una mag-giore assistenza sanitaria e psicologica, e dall’assenza di celle o sistemi di contenimento, ampiamente usati negli OPG. Questi istituti accoglieranno un numero molto limi-tato di pazienti, meno di 30, per facilitare l’individuazione del percorso trattamentale sul singolo paziente, ma anche per rendere l’accesso a queste strutture una misura resi-

duale. Verranno difatti preferite alternative meno invasive come per esempio l’affidamento alle comunità di tratta-mento o ai Dipartimenti di Salute Mentale.

È stato previsto anche un limite per la durata della per-manenza presso le REMS, pari al massimo della pena per il reato commesso. Questa importante novità permette di evitare i cosiddetti “ergastoli bianchi”, causati dalle conti-

nue proroghe semestrali che ren-devano gli OPG dei luoghi spesso impossibili da abbandonare.

A preoccupare maggiormente è la riconversione delle strutture, affidata alle regioni, che quasi cer-tamente non saranno in grado di assicurare l’apertura delle nuove Residenze entro i tempi stabiliti. Questa situazione oggettiva fa te-mere il ricorso a soluzioni provvi-sorie, viste di cattivo occhio per la loro innata tendenza, in certi am-

biti, a protrarsi sine die.L’obiettivo principale è invero quello di implementare

le attività trattamentali finalizzate alla riabilitazione e alla conseguente concessione di misure meno invasive, così da dimettere più pazienti possibili verso le altre strutture di assistenza presenti sui territori. I rischi di una dimissione di massa ricadrebbero però proprio sui centri di assistenza psicologica, impreparati ad accoglierli in gran numero e in breve tempo.

Il superamento dei manicomi criminali è a un passo, ma le perplessità rimangono non solo perché le nuove strutture non sono ancora state predisposte, o perché fino allo scadere del termine gli OPG accoglieranno internati, e nemmeno il fatto che già si parli di pre-REMS, che come se non bastasse ricordano una fase del sonno caratterizzata dagli incubi, fa temere che nemmeno quest’anno si riesca ad archiviare l’era degli ospedali psichiatrici, anche se un vago presentimento purtroppo lo lasciano.

Giulio Thiella

è il fulcro centrale della vita dei disabili e dei normodotati

La Famiglia

Il 31 marzo scadrà il termine per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Ma le premesse

non sembrano auspicare la svolta tanto attesa

Niente di nuovo sul fronte OPG

L’Angolo del Filosofo

Metafisica del treno in corsa

Il ritmo della rotaia nasconde sempre nuove sorprese

I residenti di San Pio X e dintorni si organizzano per far rivivere la comunità di quartiere

La Social Street arriva anche a Trento

C redo di star sviluppando una dipendenza preoc-cupante dai treni in ge-

nerale, e dai macchinisti-capi-treno-bigliettai in particolare. Il treno (e ciò che accade in tre-no) comincia e conclude le mie settimane e le rende, chissà perché, chissà come, migliori. Un esempio? Lunedì mattina (erano circa le 7) salivo da Bas-sano del Grappa a Trento e, ancora mezza addormentata, mi rannicchiavo in un sedile ac-canto al finestrino del primo va-gone, quello che dà proprio sulla cabina del macchinista e capotreno per intenderci. Ero lì in stato comatoso (bocca aperta, occhi chiusi, guancia schiac-ciata sul finestrino) quando mi sono svegliata di soprassalto. Carpanè Valstagna. Esce il capotreno, e si alza il macchinista. Costui mi guarda, ed io guardo lui (era un tipino niente male). Inaspettatamente sorride e viene verso di me, dicendomi: «Scusa».

Non pensando di aver capito bene, lo guardo interrogati-vamente, e lui ripete: «Scusa», al che gli rispondo incuriosita: «E di cosa?». «Di averti svegliata. Devo aver fermato il treno trop-po bruscamente, ma cercherò di migliorare». Senza parole, devo aver farfugliato un “grazie” ma forse l’ho solo fissato a bocca spalancata. Riprendo a chiudere gli occhi e per un pezzo provo davvero ad addormentarmi, consapevole che ad ogni fermata del treno il macchinista usciva per vedere se avevo gli occhi chiusi oppure no. Dopo un po’, siccome non ero abba-stanza rilassata, ho smesso di tentare e ho intrapreso la lettura di “Storia del Medio Oriente contemporaneo”. A Borgo Valsu-gana alzo gli occhi. Eccolo lì, con un sorriso birichino, che mi ammicca e dice: «Beh, ora non puoi dare la colpa a me. È il libro che ti sta tenendo sveglia». Io ridacchio, stando al gioco.

Figuratevi che gli devo aver detto qualcosa del tipo: «Sei anche troppo bravo», anche se non sapevo bene a che bravu-ra facessi riferimento, se a quella di guidare il treno, se a quel-la di flirtare. So solo che, di fatto, ogni qualvolta il treno si fermava a una stazione (e la tratta Bassano del Grappa-Trento conta ben 22 fermate!) dovevo istintivamente smettere tutto quello che stavo facendo e vedere che faceva lui. Lo ammet-to: speravo ogni volta che mi rivolgesse la parola. Al momen-to di scendere, ha aperto il finestrino della cabina e mi ha ur-lato: «Sapevo che saresti scappata, prima o poi!». Ridendo, ci siamo salutati. Inutile dirvi che, per la prima volta in vita mia, non volevo che il viaggio in treno finisse in “sole” due ore e un quarto: in realtà la mia idea era che avrebbe potuto tendere all’infinito.

L’aneddoto è lezioso, mi dicono, ma la metafisica che c’entra? In realtà nulla ma questo termine, in filosofia, suona sempre bene: aggiunge parvenza di serietà a un nucleo di senso che sfugge e lascia – ancora una volta – in attesa.

Sara Caon

T rento, quartiere di San Giuseppe, zona di via San Pio X; qual è la sua fisionomia nella città?

È una parte di Trento che è molto cambiata nel tempo; nasce come espan-sione a sud della città negli anni ‘50 co-me quartiere di edilizia popolare, quindi un quartiere giovane, ma poi natural-mente col tempo la popolazione invec-chia; negli anni ‘90 è un quartiere di an-ziani ma che a poco a poco vede mutare il suo profilo: arrivano gli immigrati e di nuovo le strade sono popolate di bambi-ni: Maghreb, Albania, Romania, Polonia e tutto l’Est europeo trovano spazio qui; poi negli ultimi anni un’altra ondata mi-gratoria colora il quartiere: sono arrivati gli studenti universitari che riempiono strade e bar con una presenza che non passa assolutamente inosservata: sono chiassosi, amano la musica e amano tira-re tardi chiacchierando fra amici. Diven-terà un quartiere difficile dove ognuna delle tre componenti guarderà le altre con sospetto? O ci si fonderà insieme rendendo il quartiere vivo e allegro con una propria caratteristica di socialità?

E qui entra in gioco il gruppo di So-cial Street “Residenti di via San Pio X e dintorni”. Ma chi sono? E soprattutto che cos’è Social Street?

Andiamo con ordine: l’esperienza è nata nel quartiere di San Pio X circa quat-tro mesi fa da un piccolo gruppo di abitanti dell’area e oggi conta più di 300 iscritti sulla pagina Facebook “Re-sidenti di via San Pio X e dintorni”. Per permettere l’inclusione anche a coloro che non sono iscritti a Facebook è sta-ta creata una mailing-list: residenti [email protected] con la quale si ri-mane in contatto, ci si aggiorna sulle ini-ziative e si scambiano pareri e opinioni. Social Street è un’idea, nata da poco, ma che potenzialmente è rivoluzionaria nel-la sua semplicità: il concetto di Social Street (strada sociale) è molto recente e si può far risalire a un’esperienza del set-tembre 2013 a Bologna in Via Fondazza 1. La sua creazione è frutto di un’intuizione a costo zero di un giovane residente, tra-sferitosi in quella via circa quattro anni prima.

L’obiettivo, che ha dato origine all’i-dea, era molto semplice: si trattava di un invito a conoscersi (tra vicini di casa) e scoprire se vi fossero dei bambini che potessero diventare i compagni di gioco del proprio figlio, fino a quel momento isolato dall’ambiente circostante.

Per raggiungere l’obiettivo è stato creato un gruppo chiuso su Facebook. FB, quale mezzo di comunicazione am-piamente diffuso e utilizzato da molti nella quotidianità, ha facilitato l’incontro tra vicini. Questo è stato l’avvio della pri-ma Strada Sociale. Quindi Strada Sociale è conoscersi e vivere attivamente la pro-pria strada di residenza, aiutando coloro che nella strada abitano e/o lavorano a entrare in contatto tra loro, a conoscersi e a scambiarsi idee/opinioni/tempo, e magari pensare insieme a nuovi proget-ti, spazi, eventi, per rigenerare una cultu-ra sociale di vicinato.

Tutto questo può avvenire semplice-mente scoprendo chi sono i propri vicini, quali sono le loro capacità e i loro biso-gni, e creando una nuova rete sociale.

Gli esempi sono infiniti e dipendono in gran misura dalle caratteristiche della via e dagli interessi dei suoi residenti. Le proposte arrivano dal gruppo stesso (so-no proposte “dal basso”) e sono rivolte al gruppo nel suo insieme: si propongono e, se trovano consenso, si attuano.

Ecco, tutto qui: riscoprire il valore del buon vicinato, della socialità e del co-

struire insieme la vita del quartiere. Que-sta iniziativa vuole essere una scintilla che inviti gli abitanti della zona a cono-scersi meglio e vivere più intensamente il quartiere migliorando la qualità della propria vita.

I primi passi del Social Street “Residenti di via San Pio X e dintorni - Trento”. Storia di un processo partecipato

Qui, in questi mesi, attraverso il grup-po sono stati proposti incontri, aperitivi, cene, concerti e altri momenti di aggrega-zione e di confronto. Grazie all’energia ge-neratasi da questa iniziativa e al contribu-to attivo dei partecipanti è stata creata una casetta per il libero scambio di libri, che ora è istallata in via S. Pio X, in collabo-razione con il Comune di Trento. A breve, sarà disponibile uno spazio apposito (ca-setta postale) per poter lasciare commen-ti, suggerimenti, idee e bisogni che ri-guardano l’intera comunità. L’invito è quello di entrare attivamente in questa nuova rete sociale e al tempo stesso usu-fruire del flusso positivo che solo insieme possiamo generare. Le idee sono libere e gratuite. La sfida è quindi quella di passa-re sempre più dal virtuale al reale!

Una delle prime iniziative intraprese dal nostro gruppo di vicini è stata dun-que l’installazione di una casetta per il li-bero scambio di libri.

L’idea è stata suggerita il 4 novembre 2014 da una signora che ci esprimeva es-sere proprio quello il suo sogno da mol-to tempo. La proposta, da tutti condivi-sa, è stata portata avanti riutilizzando un vecchio pensile da cucina. Durante un pranzo sociale ci siamo suddivisi in pic-coli gruppi, alcuni hanno lavorato al ria-dattamento della struttura, altri hanno pensato al decoro estetico, altri ancora al contenuto di una locandina da affianca-re all’installazione.

La creatività, il fare insieme qualcosa di divertente e la curiosità dei/delle par-tecipanti hanno fatto da catalizzatore per la nostra esperienza di socializzazio-ne. Si sono rafforzati i rapporti di fiducia e identificazione con qualcosa di cui ap-propriarsi e si sono poste le basi per una

concreta azione collettiva finalizzata a migliorare la qualità di vita nonché le connessioni tra le persone presenti nella comunità. Una volta creato il manufatto, abbiamo indetto un sondaggio on-line per il nome, la proposta che ha ottenuto più consensi richiama il nome del quar-tiere: PIOvonoLIBRI. Abbiamo poi co-minciato a informarci su dove colloca-re la nostra Casetta. Spazio privato o spazio pubblico? Scegliere uno spazio privato avrebbe comportato probabil-mente meno lungaggini burocratiche ri-spetto a uno spazio pubblico, invece la disponibilità dimostrata dall’Amministra-zione e la possibilità di partecipare all’ini-ziativa “Adotta un’aiuola” ci hanno fatto scegliere questa seconda possibilità.

In soli tre mesi dal lancio della propo-sta sul gruppo, la Casetta PIOvonoLI-BRI è stata installata lungo San Pio X in uno spazio tra una fontana e una pan-china, con l’impegno di prenderci cura dell’aiuola circostante.

Il Comune ci ha fornito un supporto in cemento e una tettoia, riutilizzata da una vecchia casetta gioco per bambini.

Sul lato della Casetta sono disponibili dei guanti monouso per rimuovere di tanto in tanto cartacce, mozziconi di siga-retta e quant’altro. Come membri della Social Street ci impegniamo in prima per-sona alla pulizia dello spazio circostante alla Casetta e invitiamo tutti gli abitanti del quartiere come anche i cittadini tutti a prendere parte a quest’iniziativa, perché occuparsi della propria città è come pren-dersi cura di se stessi! I nostri obiettivi a lungo termine? Saranno gli stessi abitanti del quartiere a suggerirli mano a mano che queste idee affonderanno le radici.

Un saluto da tutti i partecipanti del Social Street San Pio X e dintorni e un in-vito: fatevi vivi, vi aspettiamo!

I residenti di San Pio X e dintorni

AtomicheUna follia galattica che potremmo descrivere con le parole di Norberto Bobbio: «Ho letto in un recente discorso di Gorbaciov che il 95% degli armamenti nucleari potrebbero essere eliminati da USA ed URSS senza alterare minimamente l’equilibrio delle loro forze». Trattasi di una “logica folle”, termini peraltro antitetici.

PowerI politologi più avveduti sono straconvinti che per uscire dagli attuali 36 conflitti armati bisogna cambiare assetto nelle Isti-tuzioni internazionali. Quindi, giusto per fare un esempio, via i 5 vincitori della seconda guerra mondiale dal Consiglio di Si-curezza e dentro i rappresentanti di 5 organizzazioni regionali: Unione Europea, Unione Africana, Organizzazione Stati Africa-ni, Organizzazione (tutta da creare) tra gli Stati Asiatici e la Lega Araba. In modo che siano rappresentate tutte le culture/regio-ni/religioni. Inoltre introdurre presso l’Assemblea Generale un voto ponderato in base alla popolazione in modo tale che San Marino non conti proprio come il Brasile. Ebbene: se non rie-quilibriamo, e presto, la rappresentanza politica sarà giocofor-za impossibile che non vi siano reazioni “fuori controllo” da chi non si sente rappresentato. Se non vogliamo lasciare il posto a tavola dobbiamo, perlomeno, aggiungervi nuove sedie.

CiboAl mondo ci sono 800 milioni di affamati e 1 miliardo in so-vrappeso. È stata proposta una tassazione ad hoc sugli alimenti eccessivamente calorici, il cosiddetto junk food. Ma, poi, non se n’è fatto nulla. Chissà perché. In media una famiglia italiana butta 49 kg di cibo, complessivamente vengono sprecati 1,19 milioni di tonnellate di alimenti. In termini economici questo corrisponde a circa 7,65 miliardi di euro (316 € per famiglia). E tra i paesi occidentali non siamo nemmeno i peggiori.

EuropaDopo la moneta va fatta la spada. Invece continuiamo a sper-perare denari in ogni stato nazione dei 28 che compongono l’Europa. Un’assurdità. L’Italia spende 23 miliardi di euro per di-fendersi dal mondo intero. Se poi esiste un problema ai nostri confini, come la guerra dei Balcani ha dimostrato più volte, l’Eu-ropa chiede aiuto agli Stati Uniti perché incapace. La Comunità europea di difesa (CED) fu un progetto di collaborazione militare tra gli stati europei proposto e sostenuto dalla Francia e preci-samente dal primo ministro René Pleven con la collaborazione dell’Italia di Alcide De Gasperi nei primi anni ‘50. Poi fallì perché la Francia decise di agire da sola. Proprio come abbiamo visto in Libia, destabilizzandola. Lo spreco infinito s’estende anche ai servizi segreti e l’attentato a Parigi dimostra che siamo un cola-brodo. O rispondiamo assieme o non rispondiamo.

MediterraneoIl Nord Africa è un paradiso. L’abbiamo prima bombardato e de-stabilizzato per buttare giù Gheddafi e Mubarak senza peraltro avere alternative alcune e oggi ci troviamo l’Isis armato da noi stessi alle porte di casa. Alla cooperazione euromediterranea non abbiamo mai creduto tant’è che gli stati si trovano, oggi, im-potenti davanti al proliferare delle mafie che fanno affari con il traffico migranti; al di qua e al di là del canale di Sicilia. Tutto vie-ne affrontato in una logica emergenziale e mai, seppure la cosa duri da decenni, in termini politici e programmatici. Purtroppo, in fondo al mare, ci stanno quasi 30.000 persone. Dopo Srebreni-ca un’altra onta europea. Mogherini se ci sei batti un colpo.

ItaliaL’expò non si può fermare; nemmeno il Moses. Gomorra vince ovunque. Si fa i selfie. Se la polizia fa un bliz contro i Casalesi arrestando anche i figli di Sandokan ecco che ne spuntano i sostituti: peggiori dei primi. E i democratici, cattolici e popola-ri, insomma, le persone per bene non muovono un dito. Anzi, uno lo muovono: contro la politica. Come se la politica non fos-se anche la loro apatia.

DIRITTI

Uno sguardo sul mondo che ci circonda

Follie umaneA cura di Fabio Pipinato

9pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | [email protected] | aprile 2015 - n. 2

OPG Ferri, Volterra. Abbandonato dagli anni ’70

Page 6: Pro.di.gio. n.II Aprile-Maggio 2015

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INTEGRAZIONE

Mercoledì 18 marzo 2015 su gentile concessione di Unimondo - www.unimondo.org

Nasce anche in Italia l’Atlante dei Conflitti Ambientali

S egnalando emblematici conflitti ambientali del nostro paese come quelli del Vajont e di Casal Monferrato, della Val di Susa e della Terra dei Fuo-

chi, ma dando spazio anche a conflitti meno conosciuti, l’Atlante Italiano dei Conflitti Ambientali, online dal 13 marzo, è una mappa interattiva che rappresenta i conflitti ambientali di varia natura presenti sul territorio. Contribuisce a espandere l’Atlan-te Globale della Giustizia Ambientale, online dal 2014 e contenente più di 1.400 casi di con-flitti in tutto il mondo.

La mappa racchiude storie di devasta-zione e saccheggio ambientale, di ecocidi ed eco-apartheid, ma anche esperienze di cit-tadinanza attiva, di difesa territoriale e di co-struzione di modelli alternativi di gestione delle risorse portati avanti da diversi attori sociali che si mobilitano per la giustizia ambientale.

In Italia come nel resto del mondo, di-versi territori subiscono gli impatti ecolo-gici, sociali ed economici dei processi di produzione e della gestione delle risorse naturali. Progetti ad alto impatto ambientale come le attività minerarie, le maxi dighe, le piantagioni, l’in-staurazione di campi petroliferi e di centrali a carbone, gli inceneritori, possono spesso causare gravi conse-guenze per la popolazione locale che per far valere i propri diritti si trova a entrare in conflitto con gli attori coinvolti nei progetti. Azioni come la presentazione formale di lamentele, petizioni, incontri, boicottaggio, scioperi, disobbedienza civile, campagne a livello loca-le e internazionale sono esempi di azioni portate avanti dalle popolazioni per far difendere il proprio territorio e i propri diritti.

Nonostante queste dinamiche siano diffuse a livello globale, come mostra l’Atlante, questi processi avven-gono spesso lontano dagli occhi dei consumatori che usufruendo dei prodotti finiti non sono a conoscen-za delle controversie legate alla loro produzione. L’obiettivo dell’Atlante è quello di rendere queste conse-guenze più visibili e di promuovere la responsabilità di imprese e istituzioni sulle ingiustizie.

L’Atlante è concepito come una piattaforma par-tecipativa: registrandosi sul sito è infatti possibile segnalare nuovi casi, che appariranno sulla mappa dopo l’approvazione da parte dell’équipe di ricerca del Centro Documentazione Conflitti Ambientali, respon-sabile del progetto. Le schede sono suddivise in alcune

aree principali: energia nucleare, estrazione mineraria e cave; gestione dei rifiuti; biomas-se e conflitti legati alla terra; energia (fossile, rinnovabile e giustizia climatica); gestione dell’acqua; infrastrutture e cementificazione; turismo; biodiversità; industria, manifattura e installazioni militari.

A livello italiano più di 100 schede sono già state registrate, mostrando una peniso-la punteggiata di conflitti più o meno estesi. La categoria più diffusa in Italia è quella delle “discariche, trattamento rifiuti speciali/perico-losi, smaltimento illegale” con 23 casi, seguita dalle “reti d’infrastrutture per il trasporto (stra-de, ferrovie, idrovie, canali, gasdotti, oleodotti, ecc.)” con 17 casi, e dai “conflitti legati allo svi-

luppo urbano” con 15 casi.è la Campania la regione dove vengono segna-

lati più conflitti, con 11 casi legati principalmente alla gestione dei rifiuti. Seguono il Veneto con 9 casi legati soprattutto alla costruzione di infrastrutture e il Lazio, sempre con 9 casi legati alla gestione dei ri-fiuti, all’energia, all’industria, alla conservazione della biodiversità e alla gestione dell’acqua. Tra le aziende coinvolte nei conflitti sono in testa ENEL spa con 9 casi, Eni S.p.A con 6 casi, Cooperativa Muratori & Cementisti con 4 casi, Edison e Carbide Corporation con 4 casi e Shell con 4.

La piattaforma italiana è stata realizzata nell’am-bito del progetto europeo di ricerca Ejolt (Envi-ronmental Justice Organisations, Liabilities and Tra-de), finanziato dalla Commissione europea e che ha coinvolto, per 5 anni, oltre 20 partner internazionali tra università e centri studi.

Valentina PavarottiFondazione Fontana

4 aprile 2015 Giornata mondiale contro le mine antiuomo

Trappola per topiA cura di Martina Dei Cas

«Nessun topo al mondo costruirebbe mai una trappola per to-pi» scriveva Albert Einstein all’indomani dello sganciamen-to delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Chissà

cos’avrebbe pensato delle tecniche di combattimento che, a partire dal-lo sgretolamento dell’URSS, si sono propagate a macchia d’olio nei con-flitti asimmetrici ed etnici che stanno dilaniando il pianeta.

In primis, l’uso crescente di mine antiuomo, ovvero di munizioni in-nestate nel terreno e pronte a esplodere per mezzo del contatto o prossimità di una persona o veicolo. Le mine possono essere piazzate ovunque, nei campi, lungo la strada, nella foresta, nel deserto, davanti a una scuola o un ospedale e gli effetti sono devastanti.

Tre vittime su quattro infatti sono civili, una su tre è un bambino; al-cuni congegni infatti, come le bombe a grappolo e i “pappagalli verdi”, sono realizzati apposta con colori brillanti per sembrare giocattoli. Colpi-re una donna che va a prendere l’acqua, un ragazzo che fa la legna o un bambino che corre nel prato, non è un’azione militare, ma un crimine, che non ha nessuna giustificazione politica, difensiva o economica.

Va anche detto che i congegni a volte vengono azionati molti anni dopo la fine del conflitto e la loro presenza rappresenta un freno allo sviluppo dell’economia locale. Le attività agricole vengono infatti limi-tate alla produzione del necessario per la sussistenza e l’irrigazione è ostacolata. Spesso inoltre a cadere nella trappola sono i contadini, di cui la mina causa la morte o l’invalidità permanente, privandoli degli arti, della vista o dell’udito e costringendo i loro figli ancora piccoli ad abbandonare gli studi per sostituirli nella cura dei campi, con la pro-spettiva di finire un giorno o l’altro allo stesso modo.

Produrre una mina costa pochissimo, meno di tre dollari, ma i danni al tessuto umano e sociale sono enormi e difficilmente si rimar-gineranno nel breve periodo. Per combatterne la diffusione, le Nazio-ni Unite hanno istituito quattordici diversi dipartimenti e l’agenzia specializzata UNMAS e dal 1997 celebrano il 4 aprile di ogni anno la Giornata Mondiale per la promozione e l’assistenza all’Azione contro le mine. A ciò si aggiungono numerose iniziative promosse dalla società civile, come quella del colombiano Juan Pablo Salazar. Il suo Paese in-fatti è, dopo l’Afghanistan, quello con il più alto numero di cittadini mutilati o uccisi dalle mine. Le stime ufficiali parlano di circa diecimila persone, quelle ufficiose di molte di più. In compagnia della sua sedia a rotelle, Salazar ha fatto molta strada, diventando Presidente del Co-mitato Paraolimpico Colombiano e candidandosi al Senato con un progetto volto all’eliminazione delle barriere architettoniche e alla co-struzione di una società inclusiva. In occasione del 4 aprile ha lanciato la campagna Presta tu pierna (presta la tua gamba), una sorta di flash mob in cui ciascuna persona dovrà arrotolarsi simbolicamente un pan-talone all’altezza del ginocchio, per chiedere la smilitarizzazione della Colombia e del mondo.

«So che rimboccarci i pantaloni non servirà a impedire alle perso-ne di cadere ancora vittime delle mine, ma servirà a farle sentire me-no sole e a far capire ai guerriglieri che noi vogliamo voltare pagina e scrivere per il Paese una nuova storia di pace e riconciliazione» spie-ga Salazar.

Ciò nella convinzione che in pieno ventunesimo secolo le disabilità vadano combattute attraverso la ricerca e l’impegno civile e non crea-te a causa della stupidità umana. Perciò caro lettore, se ti va il 4 aprile, presta simbolicamente la tua gamba a chi la sua l’ha perduta al modi-co prezzo di tre dollari!

TUTELA DEL TERRITORIO

10pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | [email protected] | aprile 2015 - n. 2

Salazar, il promotore della campagna “Presta tu pierna”, durante una presentazione ufficiale dell’iniziativa in Colombia

Grazie alla nuova collaborazione con Unimondo, abbiamo il piacere di ospitare nel-la nostra rubrica “Spazio Verde”, un articolo che ci parla della crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica rispetto al problema dei danni ambientali, i rischi per la salute e il destino delle generazioni presenti e future. Una ritrovata consapevolezza che nel dialogo e nella denuncia degli abusi, trova la giusta strada da percorrere. L’Atlante dei Conflitti Ambientali, di cui potrete leggere nel pezzo qui sotto, risponde in parte a queste spinte, concretizzandosi in uno strumento su base partecipativa in rete che, grazie all’incontro tra cittadinanza attiva ed esperti di settore, disegna una mappa virtuale per fotografare e aggiornare la continua lotta all’inquinamento su base nazionale e transfrontaliera.

SPAZIO VERDEA cura di Lorenzo Pupi

C ircondati da carciofi, cavolfiori e carote, Maria Teresa e suo figlio Alessandro mi accolgono con un sorriso. Maria Teresa

De Luca fa parte del direttivo dell’associazio-ne “il PomoDoro” di Vicenza, una fattoria so-ciale per ragazzi con disabilità mentali, psichi-che e fisiche.

Accoglienza, formazione e inclusione so-no i concetti chiave del loro progetto, che mi-ra a far diventare le persone disabili vere pro-tagoniste del proprio sviluppo sociale e non più dei semplici assistiti.

«Tutti hanno delle potenzialità nascoste, i nostri ragazzi sono diversamente abilissimi» mi dice Maria Teresa mostrandomi la cascina e i lavori di ristrutturazione portati avanti.

Servito l’ultimo cliente, scopriamo meglio come è nato e cresciuto “il PomoDoro”.

Per cominciare, che cos’è “Il PomoDoro”?“Il PomoDoro” nasce nel 2009 da un grup-

po di genitori che hanno figli con problemi.All’inizio non ci conoscevamo, ma erava-

mo accomunati dalla voglia di creare un pro-getto per il futuro dei nostri figli.

Le due mamme da cui è partita l’idea era-no in contatto con la realtà della Conca d’Oro di Bassano, dove da una quindicina d’anni esi-ste una fattoria sociale che funziona ed è un fiore all’occhiello tra le realtà di questo tipo.

Abbiamo iniziato con dei primi incontri, all’inizio sembrava un sogno.

Il progetto doveva riguardare l’agricoltu-ra, perché la terra, se coltivata, dà i suoi pro-dotti a tutti. Un pomodoro è sempre un po-modoro, che lo coltivi con una disabilità o meno il risultato è sempre lo stesso. L’agricol-tura appiana le diversità.

Che cos’è una fattoria sociale?È un luogo dove i ragazzi possono cresce-

re, dove possono esprimere le loro potenziali-tà. Anche i ragazzi che sembrano avere meno degli altri, hanno in realtà delle capacità che devono assolutamente essere valorizzate.

L’agricoltura, in particolare, ha dei tempi che non costringono alla frenesia, che è un po’ ciò verso cui spinge la società di oggi.

La corsa, l’efficienza, la competizione, in un’agricoltura che rispetta l’ambiente non ci sono. Quindi il ragazzo disabile trova dei ritmi che sono più suoi.

Come avete ottenuto la fattoria? Da dove sono venuti i fondi iniziali e per la ristrut-turazione?

Quando ci siamo incontrati e abbiamo ini-ziato a porre le basi per questo progetto cer-cavamo un posto che prima di tutto non fosse isolato, perché volevamo che si instaurasse un’integrazione con la comunità circostante.

Questa fattoria di Bolzano Vicentino ci è sembrato il luogo più idoneo: è circondata da case, i vicini entrano ed escono, danno una ma-no. Volevamo evitare che si creasse una sorta di ghetto. Questa cascina e il terreno circostan-te sono di proprietà dell’IPAB che ce l’ha con-cessi in comodato d’uso per 25 anni.

I primi fondi li abbiamo ottenuti parteci-pando a bandi di concorso, ci sono stati dati da Cariverona e li abbiamo investiti nella ri-strutturazione. Poi c’è stato un contributo massiccio da parte dei volontari.

Non tutte le realtà hanno un volontariato così presente, partecipe e inserito come il no-stro, noi in questo siamo molto fortunati.

Abbiamo poi ricevuto molte donazioni, non di grandissima entità, ma da tante perso-ne diverse che hanno voluto partecipare e credere nella nostra idea. Il nostro progetto, inoltre, non si ferma alla coltivazione, ma pro-

segue con la trasformazione dei prodotti e la ristorazione, che vorremmo attivare nel pros-simo futuro.

Ci è stata anche donata dalla Chiesa Val-dese una cucina professionale da fare invidia a Carlo Cracco.

Abbiamo lavorato tanto in questi anni. L’edificio, nello stato in cui lo abbiamo ricevu-to, era un tugurio. I lavori sono ancora in cor-so: le porte, ad esempio, sono state montate poco prima di Natale, ci chiamavamo “Pro-getto Aperto” anche per questo.

La parte retrostante la stanza adibita a punto vendita era uno spiazzo in terra battu-ta, ora invece sono state alzate delle pareti e istallata la cucina.

I termosifoni sono stati installati oggi, ma ancora non funzionano. Questi lavori sono stati realizzati, in larga parte, da volontari. Goccia a goccia facciamo tutto.

Cosa producete? Come e dove vendete i vostri prodotti?

Noi coltiviamo verdura di stagione. La pri-ma coltivazione è partita l’estate di due anni fa con le patate. Poi l’anno sorso abbiamo piantato ortaggi estivi e abbiamo avuto un ottimo raccolto. Abbiamo una serra non ri-scaldata che ci è stata donata e lì siamo riusci-ti a salvare un po’ di pomodori; quest’anno è stata dura per le troppe piogge.

La nostra filosofia è coltivare solo prodotti di stagione, possibilmente non trattati, quindi nel rispetto dell’ambiente, ma in quanto asso-ciazione ONLUS non ci possiamo fregiare del-la denominazione Bio.

Anche ciò che non coltiviamo direttamen-te proviene da strutture biologiche che han-no, possibilmente, un collegamento con il so-ciale o con il disagio in generale.

Il vino, per esempio, viene da un’altra coo-perativa di ragazzi disabili che personalizzano tutte le etichette in modo molto creativo.

Dall’anno scorso abbiamo iniziato a colti-vare il mais ricavandone la farina e poi, in col-legamento con altre associazioni, ne abbiamo trasformato una parte in biscotti e cracker.

Quest’anno è arrivato, per la prima volta, anche il farro e del succo ottenuto da mele trentine di una coltivazione biodinamica. È una pura spremuta di mela fatta dai ragazzi, molto buona, provare per credere.

Il nostro obiettivo, come genitori, è di riu-scire pian piano a tirarci indietro, lasciando anche l’aspetto dirigenziale ai ragazzi, pur sempre affiancati dagli operatori.

Non vediamo il loro lavoro come semplice riempitivo, come “parcheggio”, ma come un’at-tività adeguata alle loro capacità e portata avanti con dignità.

Vendiamo i nostri prodotti in questo pun-to vendita che abbiamo creato direttamente all’interno della fattoria. Abbiamo attivato an-che un servizio che si chiama “il PomoDoro ex-press” attraverso il quale le persone che non possono venire direttamente ordinano delle cassette con gli ortaggi che vogliono e poi le vanno a ritirare in diversi punti della città.

Questo sarebbe anche un bel progetto da portare avanti con un furgone con i ragazzi e un operatore, ma aspettiamo altri fondi per concretizzarlo.

Abbiamo iniziato anche un’attività di api-coltura: le casette delle api sono state colora-te dai ragazzi.

Il nostro è un prodotto di qualità, magari non siamo concorrenziali sul prezzo rispetto ai supermercati, ma bisognerebbe girare la questione e chiedersi come mai il prezzo dei supermercati è così basso.

Quante persone lavorano nella fattoria? Quanti ragazzi con disabilità sono coin-volti nel progetto?

Il direttivo è formato da quattro famiglie con figli disabili e da altri membri che collabo-rano in maniera stabile al progetto. Noi geni-tori lavoriamo tutti e, con l’aiuto dei volontari, riusciamo a tenere aperto il negozio tutte le mattine e due pomeriggi a settimana.

Da quest’anno è partito un progetto con due operatori per circa una decina di ragazzi con disabilità che si sono aggiunti ai nostri figli.

La parte più prettamente agricola è guida-ta da un agronomo che fa parte del direttivo e da un agricoltore della zona che collabora molto con noi.

Concretamente, che cosa fanno i ragazzi con disabilità?

Il lavoro dei ragazzi è diviso tra l’attività di raccolta direttamente nel campo e un labora-torio, che varia di giorno in giorno, e che va dall’attività di etichettatura dei prodotti alla trasformazione degli stessi. Nei giorni scorsi, per esempio, abbiamo cucinato dei crauti.

Alessandro, mio figlio, batte in cassa, dà il resto ai clienti e aiuta i volontari nella gestio-ne del negozio.

Per Natale i ragazzi hanno preparato il sa-le aromatico e hanno confezionato delle cas-sette, interamente dipinte a mano, con i no-

stri prodotti. Nei nostri eventi di ristorazione servono ai tavoli. Chi viene da noi condivide un progetto in cui l’attesa assume un nuovo valore: rispettare i tempi della diversità.

Come hanno vissuto i ragazzi l’inserimento in un contesto lavorativo? Sotto quali aspet-ti questa esperienza è risultata positiva?

I ragazzi sono tutti entusiasti. Sono un gruppo unito.

È molto importante che siano partecipi di tutte le fasi del prodotto. Quest’anno, per esempio, hanno visto piantare il mais, l’hanno osservato crescere. Quando è stato maturo, l’hanno raccolto e sgranato a mano.

Ne hanno curato la vendita e gioito del successo che ha avuto.

Hanno, quindi, assistito a questo processo dal suo inizio alla sua conclusione. È molto importante che i ragazzi percepiscano la logi-ca che c’è dietro un pomodoro. Il nostro obiet-tivo è di mettere in piedi un’attività che fun-ziona anche dal punto di vista economico, in modo da permettere di partecipare anche a chi non è in grado di pagare un operatore.

Com’è per voi genitori questa esperienza? Avete trovato degli ostacoli man mano che il progetto prendeva piede?

È un’esperienza faticosa, ma che, tuttavia, regala tanta carica e speranza.

Il problema è nel capire come muoversi, perché alla fine stiamo creando un’impresa praticamente da zero, ma nessuno di noi ha mai fatto cose del genere.

Sono mille esperienze nuove in una.

Ho visto dal vostro sito che ospitate spesso gli studenti delle scuole. Cosa dà a voi e co-sa dà a loro questa collaborazione?

L’esperienza delle scuole è stata molto po-sitiva, abbiamo ospitato anche gli Scout e dei rifugiati di Vicenza.

Gli studenti che vengono qui lavorano nei campi con noi, arrivando a capire che ci sono delle realtà diverse, che possono capitare a tutti. La cosa bella è che fanno lo stesso lavo-ro dei nostri ragazzi con disabilità.

Tutti quelli che passano di qui tornano a casa stanchi, ma felici, perché il segreto è sen-tirsi utili.

Il nostro obiettivo è dare delle motivazioni e uno scopo.

Ai ragazzi delle scuole questa esperienza trasmette sicuramente un po’ di profondità: ai miei tempi eravamo spinti da grandi motiva-zioni, grandi ideali, speravamo in un mondo migliore, aiutavamo, eravamo coinvolti per-ché era politicamente giusto.

Questa cosa oggi un po’ manca. Manca un certo bisogno di sociale.

Forse è proprio la necessità di efficienza e di competitività ciò che penalizza i ragazzi di oggi. Qui non ci sono prestazioni, ognuno fa quello che deve fare con i suoi tempi e i propri limiti. E di fronte a un compito da portare a termine, da tutti emergono potenzialità ina-spettate.

Qual è l’attività che avete promosso di cui andate più fieri?

Un’iniziativa che ci ha dato molta soddi-sfazione è stata la festa che abbiamo organiz-zato a settembre. Abbiano preparato una ce-na sotto i portici della fattoria – quindi ancora in una situazione molto precaria – cucinando tutto nelle case di genitori e volontari, perché ancora non avevamo una cucina funzionante.

Non ce l’aspettavamo, ma sono venute più di 250 persone.

Si è creato un clima di entusiasmo, di fami-glia, che ha coinvolto tutti.

Lasciamoci con uno sguardo verso il futu-ro. Che progetti avete in mente?

Come obiettivo per il futuro ci poniamo si-curamente la ristorazione.

La nostra ricetta sarà: prodotti di qualità e riciclo. Oltre a questo rimaniamo fedeli al sogno che ci ha spinti a mettere in piedi “il PomoDoro”: creare un luogo aperto a tutti, in cui andare per trovare qualcosa che negli altri posti non si trova. E non parliamo solo di prodotti...

Marta Pilotto

Una fattoria sociale all’insegna dell’integrazione

Il PomoDoro

www.unimondo.org

Centro DocumentazioneConflitti Ambientali

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