Pro.di.gio. n°I febbraio 2013

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Il “Criloa” sulle onde dell’oceano per ricordare a tutti il legame tra mare, terra e cultura Elo Partecipativo! U n’antica storia araba narra di un tempo in cui esisteva una sconfinata savana vergine, dove gli animali vivevano indisturbati. In questo luogo idilliaco a regnare su tutti, per forza e grandezza, erano un leone e tre giovani tori. Questi ultimi avevano una livrea diversa ognuno: uno era nero, uno bianco e uno color ocra. Insieme e uniti esprimevano una potenza contro cui il leone nulla poteva. Più e più volte, infatti, egli aveva tentato di sopraffare i tre fratelli, ma mai era riuscito neanche ad avvicinarli. Venne il giorno però, in cui tutta la foresta fu scossa da un richiamo, era il leone che accogliendo a se i più curiosi disse: “ Ascoltate amici, ascoltate tutti! La nostra terra, si trova ora in grave pericolo, l’uomo sta venen- do in queste terre per cacciare di notte, con l’oscurità, mentre tutti dormono. Uno tra noi rappre- senta un pericolo... Pensateci amici! Il toro bianco è l’anima- le più visibile di notte ed è un rischio per tutti: i cacciatori lo noteranno di sicuro, entreran- no nelle nostre terre e a quel punto anche noi verremo cat- turati e uccisi. Io, amici, potrei risolvere il problema...”. Il toro nero e ocra, che passavano di lì per caso, udendo tale eresia, inizialmente rimasero contrariati, ma, convinti dalla folla in delirio, iniziarono anche loro a temere per la loro vita. Acconsentiro- no dunque alla proposta del leone, lasciando solo e indifeso il fratello bianco, che venne sbranato senza pietà. Passò qualche mese e il leone non ancora sazio, annunciò che all’orizzonte si stagliava un pericolo ancora più grande: “ Amici, ascoltate tutti! ! I caccia- tori sono alle porte della savana, e hanno intenzione di scovarci con la luce. Noteranno di sicuro la livrea scura del toro nero sullo sfondo dorato dell’erba, e a quel punto inizieranno a cacciare anche noi. Anche questa volta, il tono sicuro e convincente del leone fece tremare tutti e tutti lasciarono che anche il toro nero fosse lascito solo e divorato. Venne infine il giorno in cui l’ultimo toro rimasto, quello ocra, si trovò da solo di fronte al leone, il quale, senza dir nulla a nessuno, lo dilaniò. Il Leone come simbolo di ingordigia, generato- re di un calcolo inarrestabile che tutto divora. Si potrebbe quasi azzardare un parallelo col sistema economico- commerciale che tutto pretende di sbranare, creando alibi, mietendo indisturbato terre, mari, popoli e culture. Questo racconto tramandato nei millenni nelle terre africane, si collega misteriosamente con altri elementi di questo articolo: una barca a vela di 10m partita da Livorno, quattro giovani alle prese con l’attraversata oceanica e un’ Ong, ELO, da fondare a Rio De Janeiro. Quest’ultima rappresenta infatti la conclusione di questo viaggio e l’inizio di un’e- sperienza partecipativa che vuole dissentire dal modello di sviluppo fino ad ora proposto in Brasile. Tanti elementi per provare descrivere un’espe- rienza come poche se ne sentono, in un mondo fat- to di voli lowcost, di crociere, di resort e in sostanza di comodità. Siamo partiti dal porto di Livorno in Italia il 12 dicembre 2012 più di un mese fa quindi, e posso assicurarvi che in questo viaggio le comodità capitano in rari momenti. Solchiamo le acque in un periodo poco favorevole alla navigazione a vela in Mediterraneo, anzi forse nel momento meno indicato e impegnativo. Un mese tra colpi di vento, freddo, acqua, pentole che oscillano a ogni sussulto della barca, acqua salata in bocca, ma anche tanta ospitalità marinaresca e sfide vinte con il mare. Sia- mo un gruppo eterogeneo, Stefano Locci, il nostro capitano con alle spalle ben tre attraversate ocea- niche e una vita dedicata alla vela, Lorenzo Gentili e Priscilla Lopes, i due giovani futuri fondatori di ELO, nonché compagni nella vita e proprietari della barca “Criloa”, ed io nel duplice ruolo di marinaio e narratore. Noi, insieme sulle onde, sapremo fare tesoro anche della saggia rappresentazione della realtà tramandataci nella tappa Marocchina nel porto di Mohammedia, sulla costa Atlantica. Essa insieme a tante altre storie ci accompagnerà nel nostro viaggio tra le onde, i venti e i popoli. Ci ricor- deremo di non cadere nelle paure e nei pregiudizi, scopriremo ciò che lega uomo e natura. Collaborare insieme per un obiettivo comune senza abbando- narsi alle cieche paure e all’egoismo di una società che tutto consuma senza dare troppe spiegazioni. Elo partecipativo! Questo è lo slogan della futura Ong “Elo”. Il mare e la terra, così diversi tra loro ma facce della stessa medaglia. Ciò che dalla terra va al mare, prima o poi ritorna, seguendo un movimento cir- colare, ELO si traduce in “anello”, cerchio, che tutto accomuna. Questo è ciò che vogliamo inizialmente dimostrare con questa attraversata, impegnativa, culturalmente stimolante, vera nel suo approccio con gli elementi e rispettosa di tutti i luoghi e Aut. del Trib. di Trento n. 1054 del 5/6/2000 - Poste Italiane spa - Spedizione in abbonamento postale - 70%- DCB Trento . Contiene I.R. progetto di giornale BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP NUMERO I - FEBBRAIO 2013 - ANNO XIV - LXXVI NUMERO PUBBLICATO TELEFONO E FAX 0461 925161 WWW.PRODIGIO.IT Paolo Simoncelli racconta La fondazione Marco Simoncelli O.n.l.u.s e gli incidenti alcol- correlati secondo il papà di Marco pagina 2 Le bellezze negate di Sofia Viaggio nella capitale bulgara per tutti? Non ancora. pagina 3 Nuove tecnologie e emarginazione La società deve tutelare i diritti delle persone ma sembra che gli sforzi fatti non siano sufficienti pagina 9 Normalità. Verità? Una vicenda capitata qualche tempo fa tra le parti della stazione FS di Mestre pagina 9 continua a pagina 9 La solita orribile commovente poesia della guerra in 70 scatti Fabio Bucciarelli: una mostra per la tutela dei diritti umani N ascosti in Trentino gli scatti di Fa- bio Bucciarelli sono custoditi dalle galleria di Piedicastello: “Eviden- ce” è il titolo della sua mostra personale. Ma di chi si tratta? Lui è un giovane fo- toreporter torinese, inviato de La Stampa, del Il Fatto Quotidiano e collaboratore del- le più importanti testate internazionali: ha la scomoda caratteristica di raccogliere testimonianze sporcandosi le mani. Ripercorrendo la carriera di Bucciarelli si ha l’impressione di aver a che fare con un personaggio fuori dalla norma: un individuo inquieto che, lasciando del- le sicurezze che la laurea in Ingegne- ria delle Telecomu- nicazioni avrebbe potuto offrirgli, ha preferito girare il mondo per essere osservatore diretto degli effetti dei con- flitti sui civili contribuendo così, con l’in- formazione attiva, alla tu- tela dei diritti umani. Il risultato visibile agli spettatori? Sono 70 foto che testimoniano i combattimenti nelle zone attual- mente considerate più calde del mondo: Iran, Birmania, Sud Sudan, Siria e Libia. Un vero peccato che una de- nuncia tanto forte sia relegata nel grembo del Dos Trento, quasi a renderla innocua, circondata dal ben più frivolo, per quanto curato e ben allestito, excursus storico sullo sci: assolutamente consigliato per gli appassionati! Sono fotografie di un’immediatezza spiazzante: quasi definibili “belle” non fosse che sembrerebbe inopportuno tale aggettivo visto che sangue, distruzione, macerie e guerre la fan da padrona. Lo spettatore è schiaffeggiato dalle immagini per tutti e cinque i reporta- ge mostrati: non si arriva all’emozione attraverso lo splatter ma proponendo al pubblico una quotidianità che ha dell’incredibile. Il dolore è colto e mostrato senza filtri come quello dei genitori che abbracciano corpicini di figli privi di vita, all’atmosfera quasi fiabesca e decadente. Come l’anziana signora siriana che len- tamente incede, con tanto di borse della spesa, nella “via dei cecchini” di Aleppo, una strada della città vecchia costellata di macerie, fori di proiettili e ruderi. O ancora l’obbiettivo di Bucciarelli ha catturato un guerrigliero del Free Syrian Army (FSA) sul quel che resta di un’abi- tazione mentre lancia un RPG contro le postazioni dell’esercito di Assad, sempre ad Aleppo. Altri scatti hanno il sapore dello scoop, come l’immagine del corpo di Gheddafi, colto il giorno stesso della sua morte che Bucciarelli, dirà in un’intervista, aveva saputo esser stato portato fuori da Misurata. Talvolta il contesto rimane in secondo piano: come le protesi di fattura arti- gianale di Seiw Haina e Daw Lath Tiw, unico soggetto di uno scatto che non riprende i volti di queste due persone, la cui didascalia spiega che hanno perso le gambe a causa della mine antiuomo messe dall’esercito birmano nel Karen State. Ogni scatto offre allo spettatore tutti gli elementi per capire il contesto. Ulteriori informazioni, laconiche e suffi- cienti, sono date dalla targhetta: luogo e soggetto. Breve. Non serve altro: è l’immagine che parla, anzi urla. L’allestimento, arioso immediato, pro- pone le foto divise a seconda dei paesi d’appartenenza: i protagonisti sono i ci- vili, la guerra e la quotidianità. Fabio Bucciarelli “cammina nel mon- do”, “s’immerge nella storia” e non solo: prende parte a quel processo di memo- rizzazione storica che, senza testimoni come lui, renderebbe vani gli scontri perché se non c’è osservazione diretta si può dubitare del reale accadimento dei fatti. Necessaria si rivela, quindi, la documentazione di questi eventi per la memoria e la coscienza della società civile. Per approfondimenti segnalo un libro del fotoreporter: Fabio Bucciarelli, L’o- dore della guerra, Aliberti Editore 2012 Monica Miori Dall’alto: locandina; Seiw Haina e Daw Lath Tiw nel laboratorio di protesi di Mae Sot. Hanno perso le gambe a causa della mine antiuomo; Spazio espositivo di Evidence alle Gallerie di Piedicastello. Video Criloa sito Bucciarelli

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Pro.di.gio. è un bimestrale indipendente che da voce al disagio sociale e alla disabilità in tutte le sue forme, promuovendo la partecipazione attiva di tutti.

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Il “Criloa” sulle onde dell’oceano per ricordare a tutti il legame tra mare, terra e cultura

Elo Partecipativo!

Un’antica storia araba narra di un tempo in cui esisteva una sconfinata savana vergine, dove gli animali vivevano indisturbati. In

questo luogo idilliaco a regnare su tutti, per forza e grandezza, erano un leone e tre giovani tori. Questi ultimi avevano una livrea diversa ognuno: uno era nero, uno bianco e uno color ocra. Insieme e uniti esprimevano una potenza contro cui il leone nulla poteva.

Più e più volte, infatti, egli aveva tentato di sopraffare i tre fratelli, ma mai era riuscito neanche ad avvicinarli. Venne il giorno però, in cui tutta la foresta fu scossa da un richiamo, era il leone che accogliendo a se i più curiosi disse: “ Ascoltate amici, ascoltate tutti! La nostra terra, si trova ora in grave pericolo, l’uomo sta venen-do in queste terre per cacciare di notte, con l’oscurità, mentre tutti dormono. Uno tra noi rappre-senta un pericolo... Pensateci amici! Il toro bianco è l’anima-le più visibile di notte ed è un rischio per tutti: i cacciatori lo noteranno di sicuro, entreran-no nelle nostre terre e a quel punto anche noi verremo cat-turati e uccisi. Io, amici, potrei risolvere il problema...”. Il toro nero e ocra, che passavano di lì per caso, udendo tale eresia, inizialmente rimasero contrariati, ma, convinti dalla folla in delirio, iniziarono anche loro a temere per la loro vita. Acconsentiro-no dunque alla proposta del leone, lasciando solo e indifeso il fratello bianco, che venne sbranato senza pietà.

Passò qualche mese e il leone non ancora sazio, annunciò che all’orizzonte si stagliava un pericolo ancora più grande: “ Amici, ascoltate tutti! ! I caccia-tori sono alle porte della savana, e hanno intenzione di scovarci con la luce. Noteranno di sicuro la livrea scura del toro nero sullo sfondo dorato dell’erba, e a quel punto inizieranno a cacciare anche noi. Anche questa volta, il tono sicuro e convincente del leone fece tremare tutti e tutti lasciarono che anche il toro nero fosse lascito solo e divorato. Venne infine il giorno in cui l’ultimo toro rimasto, quello ocra, si trovò da solo di fronte al leone, il quale, senza dir nulla a nessuno, lo dilaniò.

Il Leone come simbolo di ingordigia, generato-re di un calcolo inarrestabile che tutto divora. Si potrebbe quasi azzardare un parallelo col sistema economico- commerciale che tutto pretende di sbranare, creando alibi, mietendo indisturbato terre, mari, popoli e culture.

Questo racconto tramandato nei millenni nelle terre africane, si collega misteriosamente con altri elementi di questo articolo: una barca a vela di 10m partita da Livorno, quattro giovani alle prese con l’attraversata oceanica e un’ Ong, ELO, da fondare a Rio De Janeiro. Quest’ultima rappresenta infatti la conclusione di questo viaggio e l’inizio di un’e-sperienza partecipativa che vuole dissentire dal modello di sviluppo fino ad ora proposto in Brasile.

Tanti elementi per provare descrivere un’espe-rienza come poche se ne sentono, in un mondo fat-to di voli lowcost, di crociere, di resort e in sostanza

di comodità. Siamo partiti dal porto di Livorno in Italia il 12 dicembre 2012 più di un mese fa quindi, e posso assicurarvi che in questo viaggio le comodità capitano in rari momenti. Solchiamo le acque in un periodo poco favorevole alla navigazione a vela in Mediterraneo, anzi forse nel momento meno

indicato e impegnativo. Un mese tra colpi di vento, freddo, acqua, pentole che oscillano a ogni sussulto della barca, acqua salata in bocca, ma anche tanta ospitalità marinaresca e sfide vinte con il mare. Sia-mo un gruppo eterogeneo, Stefano Locci, il nostro capitano con alle spalle ben tre attraversate ocea-niche e una vita dedicata alla vela, Lorenzo Gentili e Priscilla Lopes, i due giovani futuri fondatori di ELO, nonché compagni nella vita e proprietari della barca “Criloa”, ed io nel duplice ruolo di marinaio e narratore. Noi, insieme sulle onde, sapremo fare tesoro anche della saggia rappresentazione della realtà tramandataci nella tappa Marocchina nel porto di Mohammedia, sulla costa Atlantica. Essa insieme a tante altre storie ci accompagnerà nel nostro viaggio tra le onde, i venti e i popoli. Ci ricor-deremo di non cadere nelle paure e nei pregiudizi, scopriremo ciò che lega uomo e natura. Collaborare insieme per un obiettivo comune senza abbando-narsi alle cieche paure e all’egoismo di una società che tutto consuma senza dare troppe spiegazioni.

Elo partecipativo! Questo è lo slogan della futura Ong “Elo”.

Il mare e la terra, così diversi tra loro ma facce della stessa medaglia. Ciò che dalla terra va al mare, prima o poi ritorna, seguendo un movimento cir-colare, ELO si traduce in “anello”, cerchio, che tutto accomuna. Questo è ciò che vogliamo inizialmente dimostrare con questa attraversata, impegnativa, culturalmente stimolante, vera nel suo approccio con gli elementi e rispettosa di tutti i luoghi e

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progetto di giornale

BIMESTRALE DI INFORMAZIONE DELL’ASSOCIAZIONE PRODIGIO ONLUS SUL MONDO DEL DISAGIO E DELL’HANDICAP

pro.di.gio.NUMERO I - FEBBRAIO 2013 - ANNO XIV - LXXVI NUMERO PUBBLICATO TELEFONO E FAX 0461 925161 WWW.PRODIGIO.IT

Paolo Simoncelli raccontaLa fondazione Marco Simoncelli O.n.l.u.s e gli incidenti alcol-correlati secondo il papà di Marco

pagina 2

Le bellezze negate di SofiaViaggio nella capitale bulgara per tutti? Non ancora.

pagina 3

Nuove tecnologie e emarginazioneLa società deve tutelare i diritti delle persone ma sembra che gli sforzi fatti non siano sufficienti

pagina 9

Normalità. Verità?Una vicenda capitata qualche tempo fa tra le parti della stazione FS di Mestre

pagina 9

➽ continua a pagina 9

La solita orribile commovente poesia della guerra in 70 scatti

Fabio Bucciarelli: una mostra per la tutela dei diritti umani

Nascosti in Trentino gli scatti di Fa-bio Bucciarelli sono custoditi dalle galleria di Piedicastello: “Eviden-

ce” è il titolo della sua mostra personale.Ma di chi si tratta? Lui è un giovane fo-

toreporter torinese, inviato de La Stampa, del Il Fatto Quotidiano e collaboratore del-le più importanti testate internazionali: ha la scomoda caratteristica di raccogliere testimonianze sporcandosi le mani.

Ripercorrendo la carriera di Bucciarelli si ha l’impressione di aver a che fare con un personaggio fuori dalla norma: un individuo inquieto che, lasciando del-le sicurezze che la laurea in Ingegne-ria delle Telecomu-nicazioni avrebbe potuto offrirgli, ha preferito girare il mondo per essere osser vatore diretto degli effetti dei con-flitti sui civili contribuendo così, con l’in-f o r m a z i o n e attiva, alla tu-tela dei diritti umani.

Il risultato visibile agli spettatori?

Sono 70 foto che testimoniano i combattimenti nelle zone attual-mente considerate più calde del mondo: Iran, Birmania, Sud Sudan, Siria e Libia.

Un vero peccato che una de-nuncia tanto forte sia relegata nel grembo del Dos Trento, quasi a renderla innocua, circondata dal ben più frivolo, per quanto curato e ben allestito, excursus storico sullo sci: assolutamente consigliato per gli appassionati!

Sono fotografie di un’immediatezza spiazzante: quasi definibili “belle” non fosse che sembrerebbe inopportuno tale aggettivo visto che sangue, distruzione, macerie e guerre la fan da padrona.

Lo spettatore è schiaffeggiato dalle immagini per tutti e cinque i reporta-ge mostrati: non si arriva all’emozione attraverso lo splatter ma proponendo al pubblico una quotidianità che ha dell’incredibile.

Il dolore è colto e mostrato senza filtri come quello dei genitori che abbracciano corpicini di figli privi di vita, all’atmosfera quasi fiabesca e decadente.

Come l’anziana signora siriana che len-tamente incede, con tanto di borse della spesa, nella “via dei cecchini” di Aleppo, una strada della città vecchia costellata di macerie, fori di proiettili e ruderi.

O ancora l’obbiettivo di Bucciarelli ha catturato un guerrigliero del Free Syrian

Army (FSA) sul quel che resta di un’abi-tazione mentre lancia un RPG contro le postazioni dell’esercito di Assad, sempre ad Aleppo.

Altri scatti hanno il sapore dello scoop, come l’immagine del corpo di Gheddafi, colto il giorno stesso della sua morte che Bucciarelli, dirà in un’intervista, aveva saputo esser stato portato fuori da Misurata.

Talvolta il contesto rimane in secondo piano: come le protesi di fattura arti-gianale di Seiw Haina e Daw Lath Tiw,

unico soggetto di uno scatto che non riprende i volti di

queste due persone, la cui didascalia spiega che hanno perso le gambe a causa della mine antiuomo messe dall’esercito birmano

nel Karen State.Ogni scatto offre allo spettatore

tutti gli elementi per capire il contesto. Ulteriori informazioni, laconiche e suffi-cienti, sono date dalla targhetta: luogo e soggetto. Breve. Non serve altro: è l’immagine che parla, anzi urla.

L’allestimento, arioso immediato, pro-pone le foto divise a seconda dei paesi d’appartenenza: i protagonisti sono i ci-vili, la guerra e la quotidianità.

Fabio Bucciarelli “cammina nel mon-do”, “s’immerge nella storia” e non solo: prende parte a quel processo di memo-rizzazione storica che, senza testimoni come lui, renderebbe vani gli scontri perché se non c’è osservazione diretta si può dubitare del reale accadimento dei fatti. Necessaria si rivela, quindi, la documentazione di questi eventi per la memoria e la coscienza della società civile.

Per approfondimenti segnalo un libro del fotoreporter: Fabio Bucciarelli, L’o-dore della guerra, Aliberti Editore 2012

Monica Miori

Dall’alto: locandina; Seiw Haina e Daw Lath Tiw nel laboratorio di protesi di Mae Sot. Hanno perso le gambe a causa della mine antiuomo; Spazio espositivo di Evidence alle Gallerie di Piedicastello.

Video Criloa

sito Bucciarelli

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ALL’ESTERO

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SENSIBIL IZZAZIONE

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Direttore responsabile: Francesco Genitoni.Redazione: Bosetti Ugo, Giuseppe Melchionna, Carlo Nichelatti, Lorenzo Pupi, Giulio Thiella, Monica Miori e Maurizio Franchi.Hanno collaborato: Matteo Tabarelli, Dorotea Maria Guida, Sara Caon, Maurizio Menestrina, Ecaterina Cirlan, Karima Saad.In stampa: mercoledì 30 gennaio 2013.Stampa: Publistampa (Pergine Valsugana).

La fondazione Marco Simoncelli O.n.l.u.s e gli incidenti alcol-correlati secondo il papà di Marco

Dal dolore alla solidarietà: Paolo Simoncelli racconta

Le reazioni al dolore posso essere le più svariate. C’è chi si chiude in se stesso, chi esterna il suo disagio con moti di

rabbia, chi si isola dalla società.Due anni fa Paolo Simoncelli venne bal-

zato, suo malgrado, agli onori della cronaca per la tragica morte del figlio Marco, pilota motociclistico, che nell’ottobre 2011 fu protagonista di un incidente mortale sul circuito di Sepang in Malesia.

Il pilota perse il controllo della moto, tagliò trasversalmente la pista e fu investito da due compagni di gara: l’impatto fu così violento che perse il casco, le sue condi-zioni apparvero subito gravi e, a causa dei

gravi traumi subiti, morì il giorno stesso.I genitori e la fidanzata quel 23 ottobre

si trovavano a bordo pista a fare il tifo per Marco. Lo sconcerto e il dolore del momento non sono riusciti ad abbatterli, hanno scelto di perpetuare la memoria del ragazzo con un’azione concreta e che potesse onorare in modo duraturo l’impegno nel sociale di Marco, istituendo un’organizzazione a scopo umanitario che potesse promuovere e sostenere progetti umanitari e solidali.

La Marco Simoncelli Fondazione O.n.l.u.s. ha sede a Riccione ma opera a livello inter-nazionale riservando grande attenzione alle fasce sociali svantaggiate: promuove la scolarizzazione, assistenza sociale e sanita-ria ai disabili e ai soggetti deboli cercando di favorire la partecipazione e l’inclusione.

Tra i promotori emerge il papà Paolo, a cui abbiamo posto alcune domande.Ci parli un po’dello scopo della Fondazio-ne. Innanzitutto come mai avete sentito il bisogno di commemorare Marco istituen-do un’organizzazione con scopi umani-tari? Non è scontato che in un momento particolare, invece che rinchiudersi nel dolore, si decida di mettersi in gioco promuovendo progetti di solidarietà.“Quando Carlo Pernat mi suggerì d’intra-prendere questa direzione nel ricordo di Marco accettai, pur senza ben sapere cosa significasse né come sarebbe andata, oggi invece sono convinto e consapevole che fosse la cosa giusta, come le continue propo-ste di supporto ai nostri progetti umanitari ci confermano: grazie a fans, supporters, piccole e grandi iniziative in dodici mesi abbiamo potuto già aiutare tanti bambini ed ora abbiamo un progetto tutto italiano nella terra dove Marco era di casa.”Com’era nato in Marco Simoncelli l’im-pegno a favore delle persone disabili e perché il suo figliolo, nonostante la giovane età che solitamente è associata al “disimpegno”, aveva scelto di dedicarsi al campo del sociale?“Sapendo che alcuni ragazzi diversamente

abili ospitati da una comunità nei pressi di Coriano erano suoi fans, è capitato nel tempo libero che si recasse a trovarli. Non si trattava esattamente di un vero e proprio impegno nel sociale, più forse di generosità interiore, scattata dentro di lui dopo averli conosciuti e aver visto che anche solo un ora con quei ragazzi ti lascia tanto.”Lei, che è involontariamente balzato agli onori della cronaca, ora che è diventato una fonte autorevole per i giovani, ma anche per i più stagionati dall’animo sbarazzino, cosa direbbe loro sull’impor-tanza di rispettare il codice della strada?“Senz’altro è importante rispettare le regole

anche quando sono poco gradevoli, come mettere i 70km/h in superstrada, sono limiti ridicoli concepiti ai tempi della “topolino”, ora i mezzi e i tempi sono cambiati, tenere quei limiti ai comuni serve solo per fare cassetta. Comunque nel caso delle due ruote ci sono poi accorgimenti da tenere sempre ben presenti per la sicurezza del singolo, tra questi senz’altro il paraschiena e il casco integrale ben allacciato.”E sull’uso di bevande alcoliche prima di mettersi alla guida?“Su questo non ci sono dubbi, guida e alcol non sono compatibili.”Avendo tanto viaggiato per seguire le trasferte di Marco avrà potuto incontrare gente da tutto il mondo appassionata di motori. L’ha colpita qualche atteggia-mento in particolare, rispetto a quelli comunemente adottati dai connazio-nali, per quanto riguarda il rispetto del codice della strada e della sicurezza alcol-correlata?“Mi ha colpito l’intransigenza assoluta dell’Australia, i paradossi americani, tutti rispettano i limiti ma nessuno indossa il casco, e condivido lo stile dei tedeschi, limiti bassi e severissimi nei centri abitati e altrove nessun limite”.Cosa risponderebbe ai ragazzi che, in-formati sui problemi della sicurezza alla guida e sull’abuso di alcol, rispondono adducendo motivazioni fatalistiche? (“Se proprio deve succedere...”, “Si vede che era destino”...).“Il destino esiste quanto il libero arbitrio.”Ed infine che consiglio si sente di dare per migliorare la sicurezza sulle nostre strade (guardrail, organizzazione dei controlli...)?“A mio parere nelle strade a percorrenza veloce i guardrail attuali non sono ideali per le moto, anche i new jersey potrebbero essere migliorati. In centro abitato, invece, i dossi necessiterebbero di una migliore segnaletica e buone condizioni dell’asfalto sono essenziali.”

La Redazione

Paolo Simoncelli all’interno della fondazione dedicata al figlio.

Fondazione Marco Simoncelli

L’Auditorium Santa Chiara ha accolto con il tutto esaurito il famoso conduttore di Superquark

Piero Angela incontra Trento per parlare di politica, scienza e meritocrazia

Giovani, cultura e scien-za sono, secondo Pie-ro Angela, cardini e

motore dello sviluppo eco-nomico e sociale. Da que-sto concetto si è sviluppato nel corso della serata del 22 gennaio un accattivante monologo attraverso il quale Piero Angela ha proposto al pubblico presente la sua idea di innovazione politi-ca: secondo il suo pensiero la crescita economica non dovrebbe essere basata essen-zialmente sull’ “emendamento”, da intendere come la continua promulgazione di leggi, ma fondata su azioni politiche e concrete come il finanziamento alla cultura e il sostegno della meritocrazia.

Azzeccata è stata la proposta di adottare per la formazione culturale quanto già fa il CONI nello sport ovvero offrire la cultura a tutti motivando e

premiando i più bravi.Un altro tema trattato durante

la serata è stata la divulgazione scientifica tramite la televisio-ne. Secondo Piero Angela la televisione può essere un valido mezzo per trasmettere le co-noscenze scientifiche ma deve essere usata in modo appro-priato e deve avere l’obiettivo di divulgare le informazioni in modo chiaro e semplice perché tutti possano capire.

A questo punto il famoso conduttore di Superquark ha portato un esempio di come la Francia sia riuscita a convin-cere le persone a guardare i programmi proposti in prima serata. Il governo francese, infatti, decise tre anni fa di togliere le pubblicità nella fascia oraria 21.30-23.30 com-pensando i mancati introiti pubblicitari con la tassazione degli spot nelle televisioni private.Piero Angela ha concluso il

suo ragionamento ponendo l’attenzione sul fatto che è necessario studiare a fondo le dinamiche della società prima di agire.

Per noi di Prodigio è stata l’oc-casione per consegnare il nostro ultimo numero di “pro.di.gio.” direttamente nelle mani del famoso conduttore scientifico.

Maurizio Franchi

Un esponente ittico come testimone della cooperazione tra cittadini

Il ritorno del pesce-grazie*

Nella mattinata di martedì 11 dicembre 2012 all’in-gresso del CSE Anffas di

via Gramsci a Trento s’è tenuta l’inaugurazione dell’albero di Natale, evento patrocinato dal pesce-grazie e realizzato con la collaborazione tra CSE, l’Ufficio Parchi e Giardini del Comune di Trento e gli esercizi commer-ciali e associazionisti-ci del quartiere.

N o n o s t a n t e i l freddo pungente un variegato pubblico composto da familia-ri, scolaresche dell’a-silo, utenti, sosteni-tori, vicini di casa e rappresentanti di as-sociazioni e negozi, ha aderito di buon grado all’iniziativa.

Dopo i ringrazia-menti e le presenta-zioni del coordina-tore del centro, del direttore dell’ANFFAS, della presidentessa onoraria e della vi-cepresidente delle famiglie, sono state scattate le foto ricor-do sotto l’imponente albero che, forte dei loghi di associazioni e negozi, si staglia sulla curva di via Gramsci.

Il punto di raccolta non è stato scelto a caso: sotto quello stesso albero, dove faceva bella mo-stra un presepe, fino a qualche tempo fa erano accatastati più di una sessantina di chili di im-mondizia (siringhe e materassi annessi).

Grazie agli sforzi dei collabo-ratori e degli utenti del centro

è stato possibile nel tempo trasformare totalmente quello spazio.

Parallelamente alla mutazio-ne dell’angolo verde, si è notato che andava mutando anche l’at-teggiamento degli abitanti della zona: si stava instaurando con il

centro un rapporto di fiducia e di collaborazione, di contatto e di accettazione reciproca.

Ecco perché è diventato tanto significativo quell’incontro: l’al-bero di Natale rappresenta solo la punta dell’iceberg, il risultato tangibile di una costruzione quotidiana, durata anni, creata applicando costantemente la filosofia dell’accettazione, del “buongiorno”, il quotidiano incontro con una realtà solita-

mente tenuta nascosta forse per comodità.

L’incontro pare sintetizzabile riportando un apprezzamen-to da un partecipante a fine convegno: “complimenti per la determinazione!”.

Ma il messaggio del “nostro spazio” da rinnova-re e curare non si è limitato alle festività natalizie. L’albero, simbolo di comunità e rinnovamento, si sta avvicinando ad una nuova fase di mutazione: in colla-borazione con l’asilo del quartiere si sta presentando l’inizia-tiva “L’Aiuola Vale” che, mantenendo saldo il principio del riciclo, punta a rin-novarsi e si presta come monito per la collaborazione tra i cittadini.

Può sicuramente essere additato come esempio di come sia stata recepita ed applicata la nuova iniziativa della “mul-ta al contrario” (gli

agenti del corpo di polizia del quartiere potranno d’ora in poi premiare i cittadini virtuosi con una multa, o meglio, con una nota di lode) una filosofia, a dire il vero, ampiamente applicata anche prima di questa novità.

Monica Miori* per coloro che avessero perso i numeri precedenti: il pesce-grazie è un portachiavi itinerante, realizzato dal centro Anffas con materiali di scarto, per dire a tutti “noi ci siamo”.

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ALL’ESTERO

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Abituati al crogiuolo di etnie in Italia, non ci si stupirà di trovare una gran mesco-lanza di gente anche nella Repubblica

Bulgara: confinante a nord con la Romania, a ovest con Serbia e Macedonia e a sud con Turchia e Grecia, ne chiude il perimetro un ampio sbocco sul Mar Nero. Non è solo una questione geografica, l’in-fluenza culturale si fa sentire in ogni sua parte: dalla gastronomia alla lingua, ai tratti somatici degli sconosciuti che s’incrociano per strada... tutto porta a credere di trovarsi davanti ad una vivace commistione di popoli dalle ori-gini più disparate.

Un celere excursus storicoUn po’ di storia spiccia della Bul-

garia: fu il paese dei Traci al tempo dell’impero romano, venne poi inglobata nei domini bizantini. Sofia fu poi liberata dal dominio turco nel 1878 e dichiarata ufficial-mente capitale bulgara l’anno successivo. Uscita sconfitta da entrambe le guerre mondiali, molti monumenti della capitale furono distrutti dai bombardamenti aerei degli alleati e, dopo questi episodi, gli archi-tetti socialisti si misero all’opera riparando ai danni erigendo enormi condomini in periferia e mostruosi monumenti in centro.

Nel 1989 cadde il regime comunista: da lì l’incuria.

Sofia: cocktail culturale e suggestioni malinconiche

Sofia, la capitale, non è un’usuale meta tu-ristica: alla sua bellezza decadente e alla sua nostalgica patina di trascuratezza sono soli-tamente preferite destinazioni dell’Est Europa più note come Budapest e Praga.

È raggiungibile in due ore e la temperatura di -5/-11 gradi costanti d’inverno non costitui-scono un problema eccessivo.

L’economico valzer gastronomico a base di carne, zuppe e salse non si piega alla diffiden-za e utilizza tutte le sfumature culinarie degli stati confinanti (basti pensare al kebabche, alla moussaka... e alla grappa nazionale denominata rakia).

Una volta decifrate le lettere della lingua bulgara, la cui scrittura è il cirillico, emerge il sostrato indoeuropeo che rende riconoscibile il suono e senso finale delle parole facendo diventare insegne e testi brevi facilmente comprensibili agli stranieri europei.

Lo splendore architettonico del centro è contornato da casermoni dall’impronta comu-nista ed il tutto è lasciato al degrado. I palazzi

e le chiese si ergono maestosi e s’affacciano su strade sconnesse e marciapiedi in stato d’abbandono.

Ma se ci fosse un turista a mobilità ridotta?La partenza dall’aeroporto di Forlì, direzione

Sofia, non costituirebbe un problema: l’acces-sibilità è garantita nel rispetto dei dettami europei.

Gli ostacoli: una perpetua gincanaLe difficoltà inizierebbero a porsi una volta

messo piede fuori dall’aeroporto bulgaro. I taxi in attesa di turisti non mancano: scarseggiano invece quelli attrezzati, necessari per affrontare i 6 km che separano l’aeroporto dal centro.

Gli alberghi con strutture adeguate sono quelli di categoria più elevata e, solita-mente, sono le catene turistiche che ade-riscono agli standard europei e che sono presenti anche in altri stati.

Se qualcuno volesse affidarsi agli hotel locali tenga presente che sono gestiti “alla buona”: gradini elargiti a piene mani, entrate non facilmente praticabili e disli-velli di pavimenti poco giustificati sono la norma bulgara.

Anche un tranquillo giro in centro a Sofia può presentare grossi problemi: oltre a

marciapiedi in catti-vo stato, passamani posti trasversalmen-te alla via pedonale, alcuni sottopassaggi presentano rampe per disabili non mo-torizzate e anche le toilette attrezzate sono rare.

Poche delle bellez-ze della capitale in-fatti sono accessibili: parlando di barriere

architettoniche qui c’è da sbizzarrirsi. Giochi senza frontiere, celebre programma televisivo di qualche tempo fa, potrebbe essere quasi uno scherzo a confronto.

È evidente che non ci siano fondi sufficienti da investire nello sbar-

rieramento. Dalla chiesa ortodossa di Sveta Nedelya alla moschea Banya Bashi alla più grande sinagoga sefardita d’Europa inter-corrono poche centinaia di metri intervallate da tombini precari incastonati in avvalli dal dislivello notevole, fitti binari della tramvia che rigano il manto stradale e testimonianze di lavori urbani mai terminati.

Ipotizzando che il giro nella capitale bulgara preveda una sosta al bar è da notare nei locali sarebbe faticoso accedere: le rampe sono poche e ancor meno gli ascensori (a meno che non si parli di catene internazionali come Starbucks, ecc...).

Tra i mercati coperti il più rinomato è sicura-mente l’elegante Central Hali Shopping Centre costruito nel 1911: è di stampo mittel-europeo

ed offre al visitatore una gran scelta di frutta, verdura e formaggi accanto a negozi di ore-ficeria, chiavi, abbigliamento, pesce fresco...traspare da subito una certa predisposizione per la cura e la pulizia.

Più tipico è invece il Mercato delle Donne, lo Zhenski Pazar: questa via di bancarelle all’a-perto si estende per diversi isolati e propone tutti i generi di prodotti alimentari freschi accompagnati da tutta l’oggettistica che può venir in mente (prime fra tutte le tradizionali ceramiche Troyanska Kapka, poi borracce, rubinetti, trapani, orologi in plastica...).

Entrambi, nella vivacità del loro contesto, hanno delle pecche: se il primo non risulta raggiungibile a tutti per via della scalinata d’ingresso e che risulta l’unica via per accedere ai piani superiori il secondo, pur essendo all’a-perto, non permette un’agevole scambio dalla strada ai marciapiedi e anche l’alternanza tra asfalto e terra battuta potrebbe recare qualche problema.

La Bulgaria in generale non è una destina-zione facilmente accessibile per i viaggiatori disabili.

Il governo bulgaro sta adottando le norma-tive europee per quanto riguarda lo sbarriera-mento dei vari edifici e delle nuove strutture pubbliche, anche se è stato stimato debba trascorrere molto tempo prima d’arrivare a risultati concreti.

Informazioni di viaggioSe proprio non si resistesse alla curiosità per

informazioni è suggeribile contattare il “Center for Indipendent Living in Sofia”: un’organizza-zione bulgara che si occupa di disabili locali. Per altri suggerimenti ci si può affidare a Mondo Possibile (www.mondopossibile.com) che si occupa di turismo accessibile per le persone con disabilità.

Segnalo poi la app messa a disposizione dall’ENAC, l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile: si tratta di una guida che agevola le in-formazioni sull’assistenza riguardante i viaggi aerei dedicata a persone con mobilità ridotta.

Monica Miori

SENSIBIL IZZAZIONE

MA

RK

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ING

SA

IT

A partire dall’alto: Marciapiede antistante il Palazzo di Giustizia di Sofia; Strada Knyaginya Maria Luiza all’incrocio con strada Todor Alexandrov; le Terme Mineralna Banya che saranno trasformate nel museo storico Cittadino.

Viaggio a Sofia-София per tutti? Non ancora.

Le bellezze negate della capitale bulgara

Approvato il 17 dicembre 2012 il progetto

Palazzo delle Albere di Trento diventerà parzialmente accessibile

Il 17 dicembre 2012 la Sovrintendenza per i beni culturali per i beni architettonici del Comune di Trento ha dato il via libera

al progetto esecutivo che ha l’obiettivo di rendere accessibile se pur parzialmente il Palazzo delle Albere di Trento, chiuso per lavori dal 2010 e che riaprirà in primavera, tramite lo sbarrieramento dell’edificio.

La spesa prevista per il completamento di questo progetto è di 1 milione e 133 mila euro. Il lavoro sarà assegnato tramite bando privilegiando il minimo ribasso e consisterà in vari interventi sull’edificio.

I provvedimenti sono:• Realizzazione di una piazzola esterna per

due posti auto riservati al parcheggio di

mezzi per disabili;• Una rampa esterna (studiata per i disabili

e quindi dalla larghezza di 150 centime-tri e pendenza massima 8%) di accesso pedonale al museo che dal parcheggio porti al viale di accesso del palazzo;

• L’istallazione all’interno della torretta a nord-ovest di un ascensore con scala di accesso ai diversi piani in acciaio con gli elementi di tamponamento in vetro temprato indurito;

• Installazione di un corrimano in ottone nell’ultima rampa della scala principale e nel pianerottolo di arrivo al secondo piano.

Maurizio Franchi

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DISABIL I

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Condividere la SLA di mio marito, seconda parte

Quando “gridare” a gran voce non basta più..

Riportiamo la seconda parte di questa toccante intervista ricordando che la prima parte è stata pubblicata sul nume-

ro precedente a questo e può essere letta sul nostro sito Internet.Chi è il più forte tra di voi?Non lo so. Entrambi o nessuno dei due. Siamo normali, abbiamo momenti di sconforto e altri più sereni, certo la nostra situazione è difficile, davvero se guardiamo a quello che abbiamo perso rischiamo di finire in un baratro senza fondo, ma se guardiano a quello che possiamo ancora cercare di avere riusciamo ad andare avanti.Parliamo brevemente del Comitato 16 Novembre?È nato a ruota della mobilitazione che ha portato allo stanziamento dei 100 milioni di euro per l’assistenza domici-liare ai malati di SLA. È stata una mobi-litazione spontanea di malati che non si sentivano rappresentati dalle grandi associazioni nazionali e che volevano una risposta e non le solite promesse che non avevano seguito.Come siete giunti alla decisione dello scio-pero della fame?Ad aprile, a seguito di un’ennesima manifesta-zione a Roma, ci era stato detto che era allo studio, ormai da cinque mesi, un piano organico d’intervento sulle disabilità, avrebbe dovuto pazientare ancora un mese e il piano sarebbe stato reso pubblico.

Qualcuno di voi ha saputo qualcosa in merito? Non so se esasperi maggiormente la condizione in cui si vive o queste eterne prese in giro da parte delle istituzioni che dovrebbero garantirti. Si dice a mali estremi... estremi rimedi. Cos’altro possiamo fare?

Credo non si tratti solo di rivendicare un diritto

ma sia anche un dovere costringere le istituzioni ad adempiere il loro ruolo.

Inoltre gli ammalati di SLA avevano avuto un contributo e perché gli altri ammalati nelle stesse condizioni no? Ci sentivamo ingiustamente privilegiati.

Quello che rivendichiamo è che sia istituito un fondo per la tutela di TUTTI i non autosufficienti.

Senza contare che il nomenclatore degli ausili è vecchio di oltre 10 anni (non è previsto il comu-nicatore oculare per esempio) e i Lea andrebbero aggiornati.

C’è chi ci accusa di fomentare una guerra tra poveri, di non tenere conto che anche le altre disabilità, meno gravi, vanno tutelate.

È vero, ma in attesa della soluzione ideale per tutelare tutti, cominciamo a fare qualcosa almeno per chi sta peggio? Altrimenti rischiamo di restare eternamente in attesa di soluzioni fantastiche che non arriveranno mai.

A una persona privata di tutto meno che della lucidità di comprendere perfettamente la condizione in cui si trova, possiamo almeno risparmiare l’angoscia di sapere che, se decide di vivere ugualmente, costringe i propri familiari a una vita di sacrificio al limite delle possibilità?

Oggi deve scegliere se vivere, mettendo agli arresti domi-ciliari il marito o la moglie e/o togliere il futuro ai figli (perché ha necessità di qual-cuno costantemente al suo fianco), o rifiutare la trache-otomia e liberare la famiglia da un peso che, senza aiuti, è insopportabile.È stato naturale che lo fa-cessi anche tu?Sì, quando si dice che con la SLA è una famiglia che si ammala e non una persona, è vero.

Però quando ho paventato ad Alberto che se avessi do-vuto sentirmi male, l’unica

soluzione sarebbe stata quella di un ricovero... mi ha detto di mangiare.

Non l’ho fatto e non lo faccio, almeno per ora, spero di non metterlo nei guai...Cosa ci si aspetta da questo Governo?Francamente avevo parecchie attese su questo governo, sono abbastanza delusa, non ha attac-cato i privilegi ed ha pescato nelle solite tasche.Quando il tesoriere di un partito può perdere 100 mila euro al gioco di soldi pubblici e nessuno se ne accorge, vuol dire che hanno troppo denaro. Se a me mancano 50 euro nel portafoglio, me ne accorgo subito e li vado a cercare, se non li cerchi è perché non ne hai bisogno.

Se davvero si volessero recuperare gli sprechi, ci sarebbe denaro per le esigenze del sistema

sanitario e per interventi nel sociale.Quello che non riesco a capire è perché ci

siano tante resistenze a rendere praticabile un progetto che è a basso costo.

Sono malati che in ospedale sono ricoverati in rianimazione, nelle RSA fatichi a trovare posto perché non sono molte quelle attrezzate per ac-coglierli data l’alta intensità di cure di cui hanno bisogno. In ogni caso il costo per la collettività è elevato, si stima in 70.000 euro/anno. Per l’as-sunzione di assistenti familiari abbiamo fatto la richiesta di 20.000 euro/anno per i casi più gravi. Riesco solo a pensare che con le famiglie si possa intrallazzare poco...

Oppure, siccome le famiglie spesso sono disposte a svenarsi piuttosto che ricoverare il familiare, cinicamente le si lascia dissanguare, costa ancora meno.

Forse la nuova forma di protesta potrebbe essere quella di far ricoverare contemporane-amente tutti i nostri cari, credo andrebbe in tilt il sistema.Alberto sicuramente preferisce non mangiare.Cosa desideri più di tutto per il tuo compagno di vita?Serenità e qualche momento di allegria. Abbia-mo una splendida figlia, di cui siamo enorme-mente orgogliosi, vorrei che potesse godere dei suoi successi e consolarla nei momenti bui.Il futuro è solo domani, oppure?Sì, ho imparato a non fare progetti perché le condizioni di Alberto sono così imprevedibili che spesso facciamo programmi, anche a breve, che saltano all’ultimo minuto.

Può diventare frustrante non riuscire a portare a termine quello che avevi progettato, qualsiasi cosa sia. Meglio vivere alla giornata, che non vuol dire rinunciare a tutto, solo si fa quello che si ha voglia di fare in quel momento.

Grazie Francesca.Dorotea Maria Guida

Vicino a Tore Usala la moglie sulla brandina

Assistenza compiti in cambio della tua storia!

È un progetto pensato per ragazzi stranieri e ragazzi con disabilità fisiche che offre assistenza

durante lo svolgimento dei compiti scolastici.

Il servizio è gratuito: in cambio chiediamo che un genitore (o un familiare) sia disposto a raccontarci la

sua esperienza, o i problemi con cui quotidianamente si scontra, perché possano essere proposti alla comunità.

Lo scopo è favorire l’inclusione sociale tra i partecipanti, creando affiatamento fra i giovani, e pubblicare

le vostre storie sul nostro periodico Pro.Di.Gio.

Quando?Ogni martedì e giovedì dalle 14.30 alle 16.30,

massimo 8 partecipanti ad incontro.

Chi può partecipare?Bambini delle elementari e ragazzi delle

medie sia stranieri sia con disabilità fisiche che necessitino di aiuto compiti.

Quanto costa?Gratuito! Vogliamo solo la tua storia.

Chi saranno gli insegnanti?Giovani con esperienza che collaborano con

l’associazione Prodigio: laureati e competenti.

Come procedere?E’sufficiente una telefonata in Associazione allo 0461 92 51 61 o passare di persona per riservarsi un posto.

Si parte con il mese di febbraio!Associazione Prodigio

Via Antonio Gramsci 46 A-B0461 92 51 61

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GIOVANI

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Dalla Moldavia al Trentino: autobiografia di un’esperienza

Consapevole ho lasciato la mia casa a 18 anni, come meta l’Italia

Mi chiamo Ecaterina Cirlan, ho 24 anni e vengo dalla Repubblica Moldova; vorrei approfittare di questo spazio

per raccontarvi un po’ la mia storia, sperando che ci siano persone che vi si riconoscano. Sono in Italia da quando avevo 18 anni, ma non è stato facile arrivarci: ho pagato 4.000€ per aver la possibilità di essere qui. Eravamo quattro persone ad intraprendere il viaggio: siamo partite con un pullman da Chisinau, la ca-pitale della Moldavia, in direzione dell’Ucraina e qui ci è venuto a prendere uno sconosciuto. Non era, infatti, la stessa persona con cui ci eravamo accordati per il viaggio. Ci portò in un appartamento molto stretto in periferia di Kiev, aveva due stanze piccole occupate da cinque persone, tra cui c’era una signora con una bambina di tre anni. Abbiamo trascorso assieme tre giorni, durante i quali feci amicizia con loro: mi raccontò che si trovavano lì da una settimana per aspettare il visto, assolutamente necessario dato che voleva raggiungere il ma-rito in Germania.

Gli spazi in quel alloggio erano ristretti quin-di, finché sono rimasta con loro, la sera dormivo per terra vicino alla bambina.

Dopo tre lunghi giorni siamo ripartiti verso la Francia questa volta in aereo, lasciando madre e figlia in attesa dei loro documenti. Parigi era un posto nuovo per me e stavolta non venne nessun intermediario a guidarci per il paese. Abbiamo trascorso una notte in hotel,

prendendo poi il giorno seguente un treno in direzione di Bologna e da lì cambiandolo con un altro per arrivare finalmente, dopo una settimana, a Milano.

Ma la capitale lombarda non mi piaceva mol-to quindi dopo sei mesi sono venuta a Trento e mi sono innamorata di questo paesaggio

bellissimo, all’arrivo ho sentito d’essere arrivata nell’Italia che mi immaginavo. La lingua italia-na non la conoscevo, avevo molte difficoltà a capire e farmi intendere. Ho iniziato così a studiare dal dizionario, a guardare la tv locale e a leggere in italiano.

Appena arrivata ho affrontato subito anche la questione lavorativa: mi accolse una mera-vigliosa famiglia di Arco, avevano dei bambini ed un anziano in carrozzina. Il mio compito era assisterli nelle faccende domestiche, come giocare ed aiutare i bimbi a fare i compiti, e nelle pratiche quotidiane tenendo compagnia e sistemando la bombola d’ossigeno al nonno della famiglia. Il signore, una persona diverten-te e molto educata, lo chiamavo “nonno” e lui mi diceva “pòpa”, giocavamo a carte, facevamo parole crociate e gli preparavo da mangiare. Al signor Casimiro piacevano molto i nostri piatti tipici.

Talvolta lo portavo fuori a fare passeggiate, a mangiare un gelato o prendere un caffè al bar, a incontrare gli amici, anche loro disabili. Con loro mi sono molto divertita, li ho visti scherzare e sentivo la loro voglia di vivere.

Ho avuto la fortuna di star vicino ed aiutare persone meravigliose per quattro anni, e mi hanno fatto capire che la vita è bella e loro la sanno affrontare con quello che hanno, rega-lando sempre sorrisi e una parola di coraggio!

Dopo i quattro anni trascorsi ad Arco mi sono trasferita a Trento e per fare esperienza

in altri campi ho iniziato un corso di sei mesi incentrato sul turismo, il cui scopo è insegnar a vivere in una società più ampia ed europea, sapendosi integrare in contesti lavorativi nuovi con responsabilità. Già avevo un’infarinatura sull’argomento: avevo frequentato un altro percorso di formazione come addetto alle vendite sempre per il turismo.

Gli organizzatori di tale corso ci hanno portato presso l’Associazione Prodigio per un confronto diretto in ambito lavorativo. Durante quest’occasione mi sono proposta come tiroci-nante con loro perché volevo capire come fosse la condizione delle persone disabili in Trentino.

Ho trovato delle persone molto disponibili ed hanno accettato la mia presenza ed il mio aiuto in redazione. Mi piace perché il giornalismo è la mia passione e mi piacerebbe rimanere qui per continuare a collaborare; in ogni caso mi piacerebbe proseguire anche con altre asso-ciazioni sempre contribuendo nel campo della comunicazione.

Ho avuto la fortuna di incontrare persone che m’hanno accordato fiducia e mi hanno dato la possibilità di dimostrare le mie capacità, ora mi piacerebbe metterle in pratica in un ambito lavorativo per sentirmi compresa ed integrata in Trentino.

Grazie al Presidente Giuseppe Melchionna e a tutte le persone dell’associazione per l’opportunità.

Ecaterina Cirlan

Ecaterina al memoriale Eternitate in centro a Chisinau. Eretto in onore della vittoria nella II Guerra Mondiale.

Dalle montagne di Tadla-Azilal, regione nel cuore del Marocco, alle sponde del fiume Sarca

Racconto autobiografico di un’adolescente immigrata in Italia per scoprire altre realtà

Era l’estate del 2007 quando arrivai in Italia. L’idea dell’immigrazione iniziò già nel 2005. Mi trovavo nel mio paesino che si

trova nella regione Tadla-Azilal, esattamente la zona centrale del Marocco, a poca distanza dalle montagne Atlantiche.

Nel 2000 quando eravamo ancora a Tadla, la mia città natale, mia madre litigò con mio padre: era un momento molto difficile sia eco-nomicamente che moralmente.

Mio padre allora decise di partire per Tangeri dove passò più di un anno, mia madre così si ritrovò sola e chiese un aiuto alla sua famiglia: le consigliarono di trasferirsi nel paesino dove vivevano, loro ci avrebbero accolti.

Per me e mia sorella non era affatto piacevole questa scelta.

A noi quel villaggio non piaceva. Eravamo felici solo durante le vacanze, quando la zia e i quattro cugini tornavano in patria dall’Italia con tanti regali, ma soprattutto ci piaceva quando potevamo visitare le città del Marocco assieme a loro: lo zio aveva la macchina e molti soldi. Infatti rinnovavano ogni anno la casa e acquistavano sempre nuovi mobili.

In città, invece, ero felice: durante il mio primo anno di elementari i miei amici erano aumentati, infatti invitavo anche i compagni di classe che abitavano negli altri quartieri. Assieme giocavamo, ballavamo, ci divertivamo ad improvvisare recite e, ogni tanto, si andava al parco: non era un parco giochi come quelli italiani non c’erano panchine, altalene e giochi vari (né tappeti di sicurezza) ma era un grande giardino abbandonato.

Eravamo dei bambini forti, ai nostri genitori non chiedevamo mai di acquistare giocattoli, perché ce li costruivamo noi con la terracotta, con bastoncini di legno o con rami degli alberi d’olivo.

Dovevo lasciare tutti questi amici e le avven-ture fatte assieme, la mia fantastica classe e la mia ammirata maestra.

Mia madre aveva compreso la nostra soffe-renza e noi avevamo compreso la sua senza che nessuno di noi esprimesse i propri sentimenti.

Nel paesino la zia ci offrì la sua bellissima casa che, per fortuna, era vicina alla scuola che frequentavamo io e mia sorella. Era una struttura con quattro aule e cinquanta alunni per ogni classe.

In città ero abituata al bello, al nuovo e ai compagni profumati. Lì, invece, i ragazzini che erano in classe con me avevano un odore meno gradevole degli altri infatti spesso le loro famiglie possedevano animali come mucche,

asini, cammelli e cavalli. Persino uno di loro faceva un’ora di strada tutte le mattine con un asino che, durante la lezione, rimaneva legato dietro l’aula nel cortile della scuola.

Ora che ripenso a questi episodi mi viene da sorridere ma anche da pic-cola ho avuto la fortuna di af-frontare con un sorriso anche i momenti più duri della mia vita. Così questi nuovi compa-gni non si sono mai accorti del-la mia rabbia nei loro confronti causata dal trasferimento e non direttamente da loro. Mia madre chiese alla scuola di metterci nei primi ban-chi e pretese che nessun professore osasse darci botte sulle mani con basto-ni che utilizzavano sugli altri ragazzi. Per noi era ingiusto, ma secondo questi insegnanti era il me-todo più efficace per far sì che gli alunni facessero i compiti e che rispondessero alle interrogazioni correttamente. Ma mia madre infran-se questa regola: non le importava nulla di quello che poteva pensare il preside della scuola.

Gli anni passavano e sono riuscita a trovare qualche amica ma potevo giocare con loro soltanto durante la ricreazione, una volta che l’orario scolastico terminava le amiche le vedevo il giorno dopo.

Ho trascorso molto tempo della mia infanzia a ragionare e a pensare, mi ero anche creata un amico immaginario con cui giocavo nel tempo che trascorrevo fuori da scuola.

Mia madre iniziò a lavorare e ogni pome-riggio io e mia sorella eravamo sole a casa e sbrigavamo le faccende domestiche, compreso lo studio.

Nell’estate del 2004 mio padre tornò al vil-laggio ed io e mia sorella dall’insoddisfazione e dalla rabbia gli chiedevamo spesso di andarce-ne da lì. Mia madre si preoccupò, aveva il terrore che lui ci portasse via ma, nel momento in cui

ce lo propose seriamente, noi rifiutammo.

Il senso della responsabi-lità cresceva in noi, la nostra decisione era stata ragionata e soprattutto presa con con-sapevolezza e correttezza nei confronti di mia madre che fu l’unica che lottò in prima per-sona affinché non ci mancasse

mai niente.Nel 20 07 avrei

dovuto traslocare in un’altra città del Marocco, più gran-de, per frequentare la terza media. Fino all’estate di quell’an-no, i miei genitori continuarono ad incoraggiarmi per immigrare dalla zia in Italia. Per loro lo

studio era essenziale, ma per vari motivi scelsero questa opzione, in realtà era stata presa con tanta leggerezza.

Per esempio secondo loro trasferirsi in Italia era meno rischioso e perico-loso che andare a studiare a Casablanca. Ci fu anche una grande influenza da

parte della famiglia, infatti, una percentuale altissima di figli e nipoti erano immigrati sia in Europa sia in Nord America, importante, infine, fu la zia che

accettò di ospitarmi a casa sua a Sarche.Il 13 ottobre 2007 alle ore 19 arrivai in Italia,

precisamente a Trento. La zia arrivo a pren-dermi, mi tenne la mano e mi disse di correre perché avremmo preso l’ultima corriera che partiva per Sarche. Durante il tragitto osservai attentamente e in silenzio le strade, il paesag-gio e le persone, vi assicuro che per mesi la mia più grande sofferenza fu non capire la lingua e quindi non poter comunicare con le persone del posto.

Questo mi fece sentire diversa ed isolata dal

mondo; ora che ho superato il problema della comunicazione non mi spiego come facciano quelli che rimangono per anni all’estero senza imparare la lingua del posto.

Il giorno dopo mi svegliai con la voce di un turista francese che parlava, era strano per me che ero abituata a svegliarmi con il canto del gallo.

Aprii la finestra e lo salutai. Da lì si vedeva un bellissimo panorama delle montagne. Era talmente affascinante che ho disegnato corret-tamente questo scenario. L’avevo poi spedito come un pensierino originale a mia sorella con scritto sul retro del foglio quanto mi mancava e quanto il paesino era bello. Già i primi giorni chiesi alle mie cugine di portarmi a visitare il paese, ammiravo spesso il Castello Toblino e il fiume Sarca.

All’inizio questo luogo mi trasmetteva ener-gia finché non diventò una gabbia, un’abitudi-ne insopportabile.

Un po’ prima delle feste natalizie, iniziai ad stufarmi della pesante situazione che si era creata in casa.

Non sapevo esattamente cosa potevo fare ma la situazione mi preoccupava, non era affatto serena. Telefonavo ai miei genitori piangendo e raccontavo che la situazione non era quella che si immaginavano, alla seconda chiamata mi chiesero di tornare, mi dissero che loro, i miei amici e i professori erano dispiaciuti per “il mio viaggio”.

Quella notte la passai in bianco, dovevo scegliere se continuare con questa avventura iniziata malapena o tornare indietro.

Mi sono lasciata guidare dal destino e sono rimasta qui. Sono stata tolta all’affidamento della zia e tramite il servizio sociale ho iniziato a vedere la vera Italia. Ho avuto la possibilità di frequentare la scuola con costanza e sto terminando l’ultimo anno della scuola supe-riore dopo diverse intense estati di corsi e di lavoretti stagionali.

Ho avuto l’opportunità di visitare le città più belle dell’Italia: Venezia, Roma, Milano, Bologna e Perugia e anche paesi dell’Europa: Irlanda, Germania e Spagna.

Non solo, ho incontrato amici da tutti i con-tinenti che mi hanno fatto conoscere le loro culture: probabilmente in Marocco avrei avuto meno occasioni di relazionarmi con tradizioni così diverse.

Da questo viaggio sto imparando quello che nessun corso mi avrebbe mai insegnato!

Karima Saad

Dall’alto: Campagne circostanti al mio villaggio; Montagne dell’Atlante vicino alla città di Azilal; Villaggio della regione Tadla Azilal.

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PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122 TRENTO PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122 TRENTO

...IL TRENTINO CHE NON LASCIA SOLO NESSUNO...PIÙ EQUITÀ E PIÙ PARTECIPAZIONE DELLA RIFORMA SULLE POLITICHE SOCIALI

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Invalidi civili, ciechi e sordi

L’Agenzia provinciale per l’assistenza e la previdenza integrativa (APAPI) ha provveduto ad adeguare per l’anno 2013 gli importi delle provvidenze a favore dei

mutilati e invalidi civili, dei ciechi civili e sordi. I nuovi importi sono dovuti all’adeguamento automatico al costo della vita e sono erogati dall’Agenzia dal 1° gennaio 2013.

Con una delibera della Giunta provinciale del 5 ottobre 2012 si è inoltre stabilito l’importo dell’assegno mensile di cui alla ex legge provinciale n. 11/90 per l’anno 2013.

In Trentino sono circa 16.300 i soggetti invalidi (15 mila invalidi civili, 900 ciechi, 400 sordi) ai quali l’Apapi eroga gli assegni previsti dalla normativa. Nel 2012 l’Agenzia ha erogato complessivamente per tali categorie circa 110 milioni di euro.

In allegato la tabella con i nuovi importi delle prestazioni economiche riconosciute ai soggetti beneficiari.

Prestazioni economiche e soggetti beneficiari, misura delle prestazioni importo mensile per l’anno 2013

INVALIDI CIVILIpensione invalidi civili assoluti 275,87pensione invalidi civili parziali 275,87indennità di accompagnamento 499,27assegno mensile invalidi civili minorenni 275,87assegno integrativo invalidi civili assoluti 64,89CIECHI CIVILIpensione ciechi civili totali 298,33pensione ciechi civili totali ricoverati 275,87pensione ciechi civili parziali 275,87indennità di accompagnamento ciechi civili totali 846,16indennità speciale ciechi civili parziali 196,78assegno integrativo ciechi civili parziali 64,89assegno integrativo ciechi civili totali 102,45assegno ciechi civili decimisti 204,73SORDIpensione per sordi 275,87indennità di comunicazione 249,04assegno integrativo 64,89ASSEGNO L.P. 11l/90 255,80

Cure dentistiche pubbliche, le direttive per il 2013

La Giunta provinciale ha approvato le direttive per il 2013 in materia di assistenza odontoiatrica pubblica, in attuazione della legge provinciale n. 22 del 2007. L’assistenza odonto-

iatrica non figura certo al primo posto fra gli impegni di spesa del Servizio sanitario nazionale: anche per questo la Provincia autonoma di Trento ormai da alcuni anni sta attuando una politica di attenzione verso la salute del cavo orale, viste le rile-vanti implicazioni in termini di qualità della vita e di sostenibilità economica. Saranno infatti 30 gli studi convenzionati che nel 2013 garantiranno la copertura sull’intero territorio provinciale e 13.500.000 gli euro messi a disposizione dall’amministrazione provinciale per il comparto, la stessa cifra dell’anno precedente. Il tutto in coerenza con lo spirito della legge, laddove in particolare definisce i diritti esigibili da parte dei cittadini nel settore delle cure odontoiatriche; stabilisce l’impegno prioritario rivolto a per-sone in condizioni di particolare vulnerabilità sanitaria e sociale; consolida lo sviluppo dell’assistenza protesica e dell’ortodonzia.

Dopo l’approvazione delle legge provinciale 22/2007, sono stati via via assunti provvedimenti per gli esercizi 2008, 2009, 2010, 2011 e 2012, questo a causa della complessità della di-sciplina, delle pluralità dei potenziali soggetti beneficiali ed erogatori, delle diverse condizioni di accesso e trattamento, nonché delle diverse modalità erogative previste. Anche per le direttive del 2013 la fase istruttoria è stata caratterizzata dalla necessità di valutare e conciliare specifiche esigenze ed aspet-tative di ordine tecnico-sanitario, organizzativo ed economico-

finanziario, nonché di coinvolgere i soggetti rappresentativi delle categorie interessate.

In un quadro dunque di conferma sostanziale dell’assetto applicativo della legge provinciale 22/2007 anche per l’esercizio 2013 - e sempre nell’ottica del continuo miglioramento organiz-zativo ed erogativo dell’assistenza odontoiatrica - la Provincia ha ritenuto peraltro necessario, ad integrazione di quanto già progressivamente disposto nelle direttive dagli anni 2008 al 2012, adottare ulteriori misure:

1. fissare - con riferimento agli aspetti relativi alla program-mazione (epidemiologia, fabbisogno di cure, offerta com-plessiva, localizzazione e distribuzione territoriale della rete di studi/ambulatori odontoiatrici) - in numero di 30, su scala provinciale, il numero di strutture cui è possibile conferire l’accreditamento istituzionale per l’erogazione dell’assistenza odontoiatrica. Un numero che consente il bilanciamento fra l’esigenza di governare la domanda di prestazioni e l’esigenza di disporre di un numero potenziale di erogatori (autorizzati e accreditati) compatibile con il numero di accordi contrattuali annuali fissato in 25 in funzione della localizzazione distrettuale delle rispettive sedi, per l’erogazione delle prestazioni in nome ed a carico del servizio sanitario provinciale;

2. specifiche modifiche di carattere tecnico: variazioni al nomenclatore delle prestazioni odontoiatriche per migliorar-ne l’appropriatezza, l’estensione e l’efficienza, con particolare riferimento ai settori della conservativa e dell’ortodonzia.

Acque termali: cooperazione e valorizzazione a livello di Euroregione

La Giunta provinciale ha approvato lo schema di protocollo d’intesa tra il Land Tirol, la Provincia autonoma

di Bolzano e la Provincia autonoma di Trento che riguarda la cooperazione e la valorizzazione delle risorse termali dell’Euroregione.

“Con questo protocollo si vogliono promuovere e valorizzare le risorse termali e curative dei territori che fanno parte dell’Euroregione Tirolo-Alto Adige-Trentino, avendo al centro dell’atten-zione la salute e il benessere psicofisico delle persone, ma anche la possibilità che il comparto termale diventi una delle componenti strategiche dell’offerta turi-stica e territoriale.” Su questo tema verrà promossa anche una giornata di studio e di approfondimento sul tema del terma-lismo, con la parte- cipazione dei

rappresentanti e responsabili delle aziende termali che operano sui territori coinvolti nel GECT “Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino”.

Lo scopo dell’intesa è quello di realizzare azioni condivise, con l’o-biettivo di promuovere le cure ter-mali nell’ambito dell’Euroregione.

Si cercherà quindi, tra l’altro, di favorire la possibilità di usufruire liberamente da parte dei cittadini dell’Euroregione delle prestazioni termali erogate negli stabili-menti insediati sui tre territori; verranno realizzate forme di collaborazione tra le varie aziende per ampliare la conoscen-za delle proprietà curative delle acque; saranno promosse la prevenzione e la riabilitazione; saranno organizzate inizia-tive di formazione del personale; saranno attuate campagne di sensibilizzazione e di promozione delle cure termali anche in abbinamento alle iniziative di carattere turistico; sarà predisposto un progetto complessivo di comunicazione mediante sito web, mailing, folders ecc.; saranno sviluppate azioni di informazione nei confronti dei medici in materia di cure termali; saranno promosse forme di

collaborazione tra gli stabilimenti in modo da dare risalto alle specificità delle proprietà curative delle acque di ogni struttura.

“È evidente che la valorizzazione delle risorse termali si inserirà in una più ampia e composita azione di promozione territoriale dell’intero territorio dell’ Euroregione, con la sua storia e la sua cultura, con l’intento di individuare, all’interno dei rispettivi programmi operativi, quegli obiettivi comuni che riguardino il futuro delle terme”.

Centri diurni per anziani e servizio di

assistenza domiciliare

Approvati dall’esecutivo provinciale le direttive e il finanziamento 2013 dei centri diurni per anziani e del Servizio di assistenza domiciliare collegato con l’as-

sistenza infermieristica e le cure palliative. Si conferma così l’impegno della Giunta a garantire i servizi di supporto per gli anziani, nonché per i pazienti gestiti a domicilio, inoltre si prosegue nella politica di tutelare le famiglie con una persona non autosufficiente, implementando i servizi di assistenza per dare sollievo alle persone che seguono quotidianamente i familiari in situazioni di disabilità”. Il finanziamento per il Servizio di assistenza domiciliare è pari a quasi 1,8 milioni di euro, mentre quello per i centri diurni è di 4,5 milioni di euro.

Tra le novità contenute nel dispositivo approvato vi sono: l’apertura di un centro diurno per anziani in Valsugana a Scurelle, la creazione di due posti di centro diurno presso la APSP “Casa Laner” di Folgaria e di quattro posti presso quella di Malé, nonché di tre ulteriori posti nel centro diurno Alzheimer di Trento.

Per i centri diurni sono state stabilite risorse per 4.502.943,63 euro, mentre per il Servizio di assistenza domiciliare le risorse sono pari a 1.792.317 euro.

Villa Igea, inaugurato il Centro di chirurgia diurna

Il nuovo Centro è stato inaugurato nel corso di una conferenza stampa dal direttore generale dell’Apss che, nell’illustrare i lavori realizzati, ha evidenziato l’impegno dell’azienda sa-

nitaria nell’attuare, nei tempi previsti dalla programmazione provinciale, i lavori e l’inizio delle attività di chirurgia diurna o di day surgery a Villa Igea.

Il direttore si è detto lieto di presentare “un luogo funzionale e confortevole con spazi adeguati per le attività di pre-ricovero e ricovero chirurgico giornaliero. Una struttura importante, per-ché potrà sgravare l’ospedale Santa Chiara di tutti quei ricoveri che possono essere effettuati in giornata lasciando a quest’ul-timo lo spazio e le risorse per dedicarsi alle attività urgenti e più complesse. In questa struttura sono previsti circa sette mila ricoveri chirurgici diurni all’anno di pazienti che potranno essere operati senza lunghe permanenze in ospedale e che potranno tornare al loro domicilio sicuri di essere seguiti anche a casa con un follow-up personalizzato. Si è sottolineato che le attività di ricovero diurno non sono meno onerose di quelle a ricovero ordinario perché vi è un forte impegno dell’organizzazione nel sincronizzare e coordinare tutte le attività in un unico giorno per permettere interventi appropriati e di qualità”.

Durante la conferenza è stato ringraziato tutto il personale «per l’impegno nel realizzare, nel rispetto dei tempi previsti, gli

obiettivi assegnati». “A breve si vedranno le ricadute positive sull’organizzazione e sul servizio offerto ai pazienti. Saranno i cittadini a giudicare la bontà degli interventi nel prossimo futuro”.

Il direttore dell’ospedale di Trento ha evidenziato come “que-sto intervento rientra nella riqualificazione delle strutture affe-renti all’ospedale di Trento e nella riorganizzazione della rete ospedaliera trentina in risposta alla necessità di reindirizzare alcune specifiche attività”. Ha poi ringraziato tutti coloro che hanno contribuito con il proprio lavoro e il proprio impegno a questo importante risultato.

In ultimo il responsabile del day surgery e chirurgia ambu-latoriale ha illustrato le modalità operative e personalizzate di presa in carico dei pazienti. “I pazienti ricoverati e operati in re-gime diurno non dovranno avere un quadro clinico complesso, saranno seguiti da una nuova figura, il Case manager, un infer-miere appositamente formato, che li accompagnerà durante tutto il percorso di cura. Sul piano pratico il paziente accede a Villa Igea innanzitutto con un pre-ricovero, durante il quale vengono effettuati gli esami e le visite mediche. L’intervento vero e proprio sarà effettuato entro 15 giorni. Al ritorno a casa del paziente è previsto un follow-up finalizzato alla valutazione post operatoria e al controllo del dolore”.

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PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - PAGINA A CURA DELL’UFFICIO STAMPA - PIAZZA DANTE, 15 - 38122 TRENTO

Inserire il pdf

http://download.grandieventi.provincia.tn.it/ManifestoBregovic_A3.pdf

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SOCIETÀRUBRICHE

Quando la situazione diventa insostenibile serve

una svolta radicale

Soffocati dal carcere

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha nuovamente condannato l’Italia per il poco spazio che le nostre inadeguate

strutture carcerarie concedono ai detenuti. Già nel 2009 vi era stata una condanna si-mile, e purtroppo la situazione non sembra migliorata di molto; non si può negare il fatto che lo status di carcerato in Italia sia decisamente peggiore della media europea, una situazione che ci si aspet-

terebbe quasi di riscontrare in un paese del terzo mondo. I dati parlano chiaro: con una popolazione carceraria che raramente ospita meno di 65.000 soggetti e una capienza regolamentare poco superiore ai 45.000 posti le possibilità non sono molte: o vengono aumentati i posti, o si sfruttano misure alternative alla detenzione, ma stipare le persone in uno spazio non atto ad accoglierle, dove ognuno ha meno di tre metri quadri per mangiare dormire e vivere è inaccettabile. Eppure da anni si conti-nua a procedere in questa direzione, senza accorgersi di aver imboccato un vicolo cieco. Con il sovraffollamento la missione rieducativa diventa più difficoltosa e si affie-voliscono le attenzioni di cui ogni singolo soggetto ha bisogno, in base alle peculiari necessità.

Lo stesso esempio lo si può fare con il nostro sistema scolastico; se le scuole dell’obbligo fossero organizzate in classi da centinaia di studenti, nessuno riuscirebbe ad

avere un’educazio-ne adeguata.

Se le strutture carcerarie ospita-no un numero esa-gerato di soggetti, senza distinzione tra chi deve scon-tare una condan-na definitiva e chi invece si trova in prigione da lungo tempo in attesa di giudizio senza an-cora aver affronta-to un processo. Dal periodo di deten-zione difficilmente si potranno guada-gnare dei benefici rilevanti; dove vi è disorganizzazione

difficilmente si riesce a ricreare un ordine interiore. L’ar-ticolo 27 della Costituzione italiana prevede “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva” e al comma successivo “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Uno Stato democratico e civile, dotato di una Carta costituzionale lunga e detta-gliata, che non è in grado di attuare, ma anzi perpetra le proprie condotte in violazione di principi così importanti, è uno Stato che non sa prendersi cura dei suoi cittadini, soprattutto di quelli che dimostrano di essere in maggiore difficoltà. Non solo non siamo evidentemente in grado di mantenere le promesse e i buoni propositi costituzionali, ma nemmeno gli impegni europei e internazionali ci spronano a dare un taglio netto all’illegalità perpetrata da anni in ambito penitenziario.

Alla grave situazione si sono interessati in molti, come sempre succede nel breve periodo in cui viene data rilevanza mediatica a particolari avvenimenti come la sentenza, però il problema persiste in modo continuato da troppo tempo, anche durante i periodi in cui l’interesse di radio e tv si sposta su altri temi.

Un contributo irrinunciabile proviene da chi costante-mente si occupa del problema, cercando continuamente soluzioni di breve o lungo periodo, da chi dietro le mura vi lavora da anni e ha come obbiettivo quello di rendere il periodo di privazione della libertà meno penoso e logorante per l’individuo, e da chi continua a portare avanti scioperi della fame in nome dei diritti dei carcerati.

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ci dà la possibilità di guardare in faccia, da vicino, il problema. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napoli-tano l’ha definita come una “mortificante conferma della incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena”, da questa consapevolezza dobbiamo ripartire, analiz-zando punti deboli e punti di forza di un sistema che va messo in discussione per creare qualcosa di più utile per l’intera società, o quantomeno trovare un metodo di detenzione compatibile con i diritti umani e civili che ogni singolo necessita.

Giulio Thiella

Raccolti in un unico strumento le disposizioni normative, rendendo più efficace l’organizzazione del sistema sanitario rivolto agli stranieri

Pediatra anche per i minori senza permesso di soggiorno«Dobbiamo chiederci chi è un clan-destino, uno che non ha il permesso

di soggiornare in un paese. È una persona senza futuro perché non ha un’identità da rivendicare. Diventa una presenza illegale, illegittima. È

qui, ma al tempo stesso non è qui. Vive su una soglia. È una “non persona”.»

Nadir Gordimer

L’antefatto: nel febbraio 2009 passò il disegno di legge proposto dalla Lega che prevedeva una tassa sui

permessi di soggiorno (dagli 80 ai 200 €), legalizzava le ronde non armate di citta-dini, istituiva un registro dei senzatetto ed infine offriva la possibilità ai medici di denunciare i clandestini che si servissero delle strutture sanitarie pubbliche.

Quest’ultima disposizione sopprimeva il comma 5 dell’articolo 35 del decreto legislativo del 25 luglio 1998, n. 286, ossia «L’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano».

Tale decreto poneva quindi delle gravi problematiche: innanzitutto era possibile che una persona in pericolo di vita non andasse a farsi curare per paura di essere denunciata. Altro problema etico riguarda-va i medici che sentissero stridere la nuova disposizione con i dettami del loro Codice Deontologico, che recita “giuro di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica”.

Potrebbe sembrare inumano “costrin-gere” individui a non sottoporsi a delle

cure necessarie per paura di una denuncia, ma altrettanto rischioso è allontanare dal controllo sanitario persone che potreb-bero aver contratto malattie nel paese d’origine ed, infine, palpabile è pure il rischio d’incentivare una medicina alter-nativa ed illegale.

Al tempo dell’uscita del ddl, a parte lo sdegno temporaneo suscitato, gli scontri verbali in aula scemarono con un vicende-vole uso del termine “razzista” tra maggio-ranza e opposizione utilizzandolo chi nei riguardi degli stranieri, chi nei confronti dei connazionali italiani.

2013: Al via la riforma del provvedimento

Agli inizi del 2013 sembra che, pur in termini ristretti, questo provvedimento sia in via di ridimensionamento. È recente la notizia che sia stata revisionata una

norma che mira almeno a tutelare i più piccoli. Fino ad ora i minori stranieri non in possesso di un permesso di soggiorno venivano portati in consultori, in ambu-latori per adulti oppure in altri istituti che offrivano servizi diversi: ciò comportava l’inevitabile continuo cambio di medico e la diretta conseguenza di limitare così la possibilità di avere una storia sanitaria organica del piccolo paziente. Tutto ciò senza tener conto che il servizio offerto a livello qualitativo, non essendo mirato all’infanzia, peccava di qualità.

Non era previsto un disegno organico che prevedesse l’assistenza a livello nazio-nale dei minori clandestini: ogni regione gestiva da se la situazione in base all’im-postazione politica locale.

Le nuove disposizioni a tutela dei bambini

Con il recente accordo derivante dalla conferenza Stato-Regioni si sono raccolti in un unico strumento le disposizioni nor-mative nazionali e regionali, rendendo così più efficace l’organizzazione del sistema sanitario rivolto agli stranieri.

Nella pratica saranno investiti 30 milioni a favore della salute dei giovani immigrati non in regola: dovranno essere obbligato-riamente iscritti al servizio sanitario nazio-nale rispettando così i dettami dell’articolo 32 della Costituzione.

Altra modifica: sarà prolungato il perio-do di permanenza sul suolo italiano per puerpera e nascituro finché il neonato non abbia compiuto un anno. Fino ad ora la legge prevedeva la loro espulsione al compimento del sesto mese d’età.

Il diritto al pediatra è così garantito anche ai bambini clandestini.

Il testo integrale dell’accordo è reperi-bile sul sito del Cinformi.

Monica Miori

Convegno a Trento per ricordare i 40 anni di obiezione di coscienza / servizio civile

40° anniversario della legge Marcora

In occasione del 40° anniversario della legge sull’obiezione di coscienza e ser-vizio civile al Palazzo della Regione di

Trento si è svolto la conferenza dal titolo “LA NOSTRA PATRIA È LA GENTE DA SER-VIRE - Obiezione di coscienza e servizio civile; i valori di ieri, le motivazioni di oggi, le speranze di domani”.

Hanno partecipato alla prima parte del convegno Vincenzo Calì (Fondazio-ne Museo Storico Trento), Michele Dossi (Docente Liceo Da Vinci, già obiettore di coscienza) e Claudia Seppi (Volontaria in servizio civile tra il 2008 e il 2009).

Il convegno è stato aperto da Vin-cenzo Calì che ha avuto il compito di inserire la nascita dell’obiezione di coscienza in ambito storico. Egli ambienta la nascita dell’obiezione di coscienza in un clima di contestazione contro il servizio militare obbligatorio che porta nel 1972 alla legge cosiddetta Legge Marcora che in sostanza lega-lizza l’obiezione di coscienza basata sulla salvaguardia dello Stato con una durata di 8 mesi in più rispetto al ser-vizio militare obbligatorio. Secondo Calì il cardine dell’obiezione di coscienza è il libro “L’obbedienza non è più una virtù” del 1965 di Don Milani che prese posizio-ne in favore dell’obiezione di coscienza, infatti, il massimo apice di quest’ultima si è avuto tra il 1965 e il 1967.

A questo punto dopo un piccolo ac-cenno storico si è avuto un confronto tra l’esperienza di Michele Dossi (obiettore di coscienza trent’anni fa e attuale docente del Liceo Leonardo Da Vinci) e Claudia Seppi (Volontaria in servizio civile tra il 2008 e il 2009). Per questo confronto si è deciso di seguire una “linea storica” e quindi ha preso la parola Michele Dossi.

Obiezione di coscienza e servizio civile: due mondi diversi

Dossi ha subito esordito dicendo che lui si sente ancora obiettore di coscienza e che, quindi, l’etichetta “ex obiettore di coscienza” non gli appartiene. Secondo Dossi è stata molto importante la legge Marcora e non si inserisce nel periodo

“eroico” che a suo parere è prima dell’at-tuazione della legge qui citata. Dossi afferma che c’è molta differenza tra l’o-biezione di coscienza e l’attuale servizio civile perché sono inserite in due realtà molto differenti. L’obiezione di coscienza era inserita in una realtà in cui era ancora presente il servizio militare obbligatorio e l’obbiettivo dell’obiezione di coscienza era la salvaguardia dello Stato senza en-trare in un organo basato sull’uso delle armi, come può essere l’esercito, mentre il servizio civile è inserito in una realtà in cui il servizio militare non è più obbligatorio e in più quest’ultimo è una libera scelta del giovane e si è spostato su un ambito

più umanitario. Secondo Dossi il servizio civile è una disponibilità di accorgersi di chi sta dietro e aspettarlo. Un segno di discontinuità individuato da Dossi, oltre al libro di Don Milani già citato, è “Guerre giuste e ingiuste” di Michael Walzer titolo, secondo Dossi, un po’ provocatorio dato che non esistono guerre giuste e ingiuste.

Servizio civile: una scelta volontariaClaudia Seppi ha incominciato il suo

discorso chiarendo che, a suo parere, il servizio civile non è un sinonimo di volontariato semmai si può parlare di scelta volontaria fatta dal giovane.

Dopo aver precisato questa cosa Sep-pi ha detto che si sente ancora in servizio civile perché sente ancora in sè gli stessi valori che l’avevano spinta a fare doman-da per il servizio civile. Secondo Seppi il servizio civile è la solidarietà individuale messa a disposizione della comunità intesa come mondo, infatti, ormai è riduttivo parlare di patria riferendosi all’Italia dato che il comportamento di ogni popolo ha una ricaduta su tutti gli altri popoli anche se in maniera lieve.Anche secondo Seppi l’obiezione di co-

scienza è diversa dal servizio civile ma solo sul lato della motivazione perché tutte e due perseguono un obiettivo comune cioè quello di fare qualcosa nell’ambito del sociale.

Seppi chiude il suo intervento facendo una distinzione tra servizio civile obbliga-torio e quello gratuito. Quello obbligatorio non dà la scelta al giovane di decidere cosa fare e ha ricadute sulla società men-tre quello gratuito non rende giustizia al giovane.

Seppi chiude invitando le istituzioni a mantenere il servizio civile.

Maurizio Franchi

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SOCIETÀ

La società deve tutelare i diritti delle persone ma sembra che gli sforzi fatti non siano sufficienti

Le nuove tecnologie aumentano l’emarginazione sociale?

Il 10 dicembre 2012 su www.superabili.it è apparso un articolo di denuncia nei confronti delle nuove tecnologie sem-

pre più “non adatte” alle persone cieche o ipovedenti. In occasione della “Giornata del cieco” del 13 dicembre, la festività di Santa Lucia protettrice della vista, l’Unione italiana ciechi e ipovedenti (Uici) ha lanciato una campagna dal titolo “I ciechi e gli ipo-vedenti subiscono una nuova esclusione sociale”.

Secondo l’Uici, infatti, le nuo-ve tecnologie, considerate dai ciechi e dagli ipovedenti come potenziale strumento di maggiore autonomia ed indipendenza, in molti casi si sono rivelate, al contrario, un mezzo che ha portato ancor più all’esclusione sociale con la loro quasi totale indifferenza alle necessità e alle peculiarità dei mino-rati di vista.

La stessa Uici fa notare che lo Stato ha promulga-to leggi che tutelano que-ste fasce di popolazione ma è inadempiente per quel che riguarda la loro attuazione con conse-guenze sociali molto gravi su di una fascia debole della popolazione.

Vari esempi di discriminazione

L’articolo riporta molti esempi concreti che fan-no pensare e mettono in evidenza come i cosiddetti “normali”, pur con molte buone intenzioni, spesso non prendono sul serio le esigenze di chi è meno fortunato e invece di costruire una realtà sociale aperta e alla portata di tutti costruisce anche involonta-riamente delle barriere insormontabili basa-te sul progresso e lo sviluppo tecnologico.

Il primo esempio di discriminazione por-tato nell’articolo è la legge Stanca (legge n.4/2004) che, secondo l’Uici, non ha fino ad oggi portato agli obiettivi prefissati. Infatti, rimangono inaccessibili la maggior parte dei siti internet pubblici o di interesse pubblico escludendo così l’accesso a molti servizi proprio coloro che ne hanno più bisogno.

Altro esempio riportato è l’istituzione del registro elettronico degli insegnanti, infatti,

su questo versante l’ente preposto non ha tenuto conto dell’esistenza di professori e genitori ciechi o ipovedenti, mostrando ancora una volta l’insensibilità dello Stato. Non solo, l’uso sempre più frequente di libri elettronici che risultano praticamente inaccessibile per le persone con “deficit” visivo dimostra che lo Stato non tiene nella giusta considerazione le necessità di tutti i suoi cittadini.

Un altro problema è l’audio-descrizione dei programmi televisivi che, nonostante il contratto di servizio Stato-Rai, sono assolutamente carenti sia qualitativamente che quantita-tivamente.

Un altro punto portato alla luce nell’articolo è l’autonomia

negata alle persone con “deficit” visivo nell’uso della maggior parte dei bancomat e postamat causato dall’impossibi-lità della sintesi vocale. Un’altra questione che in-cide sulla vita quotidiana sono gli strumenti “elimi-na code”, solo visivi negli uffici pubblici e privati i quali non permettono ai ciechi e agli ipovedenti di usufruire al meglio del servizio.

Tutto questo determina un grave danno ad un diritto inalienabile per ogni individuo cioè l’in-

dipendenza personale.L’ultimo punto affrontato nell’articolo è la

mancanza sul mercato di accorgimenti tec-nici di facile realizzazione per le abitazioni private dei ciechi e degli ipovedenti, infatti, secondo l’Uici, non esistono dispositivi tecnologici che permettono l’utilizzo di elet-trodomestici a persone con “deficit” visivi.

Gli esempi esposti in questo articolo sono eclatanti ma rappresentano solo una piccola parte dei problemi che i ciechi e gli ipovedenti si trovano ad affrontare, in più rispetto alle loro “quotidiane” difficoltà, con l’introduzione delle nuove tecnologie che attualmente trascurano le “diversità”.

Ulteriori informazioni sono disponibili qui: www.uiciechi.it/radio/radio.asp.

Maurizio Franchi

Diceva Socrate: «Il saggio è colui che sa di non sapere». Eppure, se pochi sono gli uomini sag-

gi, tutti amano la saggezza, quindi sono anche in minima parte filosofi. Mi ritrovo qui nuovamente per la se-conda volta, cari lettori filosofanti, per invitarvi ad un tuffo nella filoso-fia, l’amore-per-la-saggezza. Siete pronti? Partenza... via! Quella che vi sto per raccontare è una vicenda che mi è capitata tra capo e collo qualche tempo fa. Bazzicavo tra le parti della stazione FS di Mestre. Era domenica sera. Mi ero rifugiata in uno spazio interno, che disponeva di (non proprio comodissime) pol-troncine, genere sala d’attesa. Più o meno sola, do un’occhiata, per una rapida sbirciata generale. Ciò che vedo mi colpisce e mi... annienta. Attorno a me circa una mezza dozzina di persone un poco strane: una vecchietta rugosa con un pacco enorme di vecchi giornali ai suoi piedi mi punta addosso lo sguardo con i suoi grandi ed acquosi occhi verdazzurri; un anziano signore fissa un punto davanti a sé senza vederlo; una signora bionda vestita, in pieno inverno, con una semplice maglietta con le maniche corte, mangiucchia una brioche, attorniata da borse di

plastica e pile di giornali sui quali adagia i piedi; un uomo torvo ed im-paurito alla mia destra lancia un ge-mito ogni tanto; un giovane cinese (lui sì, sembra normale) traffica con il cellulare e... una coppia entra dalla porta girevole. Li guardo. Lei con la mano infilata sotto il braccio di lui,

claudicante. Lui arruffato e stanco, occhi vacui. Si siedono cautamente sulle poltroncine di fronte a me. Lei estrae una bottiglia di vino e fa per aprirla. Non ci riesce. Si guarda intorno. Il giovane cinese alla sua destra si alza e spontaneamente le apre la bottiglia. Una profusione di grazie e sprofonda il silenzio. Tutti gli occhi sono puntati sull’uomo che beve dalla bottiglia. Si sento-no i respiri delle persone andare a tempo con il battito del loro cuore. Senza volerlo, lo f isso anch’io, indugiando sulla camicia sporca, gli occhi rossi, le guance scarne, le mani callose, le gambe malferme. Ed ecco: i suoi occhi mi incatenano. Spietati. Trattengo il respiro e non riesco a distogliere lo sguardo: sono prigioniera. L’uomo abbassa la bottiglia, alza un braccio e mi

punta contro un dito, sussurrando, nel silenzio: «La normalità ci divide». Resto basita. Non mi muovo. Lui allora si alza e con un ampio gesto della mano traccia un sottile filo che fende l’aria, sussurrando ancora: «Il filo della normalità ci divide». Io an-

nuisco, sconvolta. Lui mi si avvicina, e con lui la donna, e mi parla ancora: «La vita è un pronto-soccorso. La gente ha paura di me perché dico la Verità». Mi viene da piangere. La donna al suo fianco, con la voce impastata: «Nessuno di noi qui ha una casa - e si guarda attorno - e lui è matto» fa, con un sorrisino. Lui annaspa e quasi urlando mi scaglia in faccia: «I soldi e il potere non servono a nulla». «Sono d’accordo», gli rispondo. Si placa e si risiede. Io sto ferma al mio posto in stato catatonico. La signora bionda si alza ed improvvisamente apre una borsa di plastica. Distratta, cerco di capire perché. Dalla borsa escono panini enormi, che lei distribuisce a tutti i presenti tranne me. Infine, mi si avvicina e mi chiede: «Vuoi? Hai fame?». «No, grazie», le rispondo. Lei fa spallucce e si rimette a sedere. Tutti mangiano, per nulla sorpresi. Allora mi alzo e le vado accanto: «Lavori per un’associazione? Sei una specie di angelo custode?», le chiedo. Lei mi sorride e risponde, in un ita-liano stentato: «No. Ogni domenica, però, porto da mangiare per loro» e con un gesto abbraccia tutta la saletta. «Ma compri tu tutte queste cose?» insisto. «No. La Provvidenza». In quel preciso istante annunciano il

mio treno e, dopo un saluto generale un po’ frettoloso, devo scappare. Volo per le scale e acciuffo il treno appena in tempo. Una volta seduta, ho il respiro corto e il cervello con-fuso. Mi vengono in mente le parole di Merleau-Ponty: «Il Filosofo è l’uomo che si risveglia e che parla». Davanti agli occhi ho l’immagine dell’uomo “matto” che mi ha parlato della “nor-malità”. Ma cos’è la normalità? Mi ha parlato di Verità. Cos’è la Verità? Sono io la “normale” o è lui ad esserlo? Chi è il matto tra noi? Non sono riuscita a mettermi “nei suoi mocassini”, come recita un proverbio pellerossa. A immedesimarmi in lui. Eppure, rivedendo la sua immagine con gli occhi della mente, lo comprendo benissimo: un uomo, allegoria del Filosofo, che guardandosi attorno, vede un mondo che lo rifiuta e non lo capisce. Un uomo che mi instilla il dubbio: normale è bello? Normale è vero? O Verità e normalità fanno a pugni? Non so. E so di non sapere. L’animo mio - crocianamente - è rimasto sospeso e l’immagine di sé medesimo, proiettata nel futuro, balena sconvolta come quella ri-flessa nello specchio d’un acqua in tempesta.

Sara Caon

Sito Uici

le culture incontrate sulla rotta. Un progetto ambizioso, fin dalle premesse, avvalorato da un’ attraversata a vela. Lo scopo della Ong è quella di far cooperare insieme giovani artisti e scienziati creativi, con popolazioni locali che nei pochi luoghi della costa Brasiliana ancora vivono in simbiosi con la natura. I creativi coinvolti nel progetto fungeranno da catalizzatori, inne-schi, ma il motore e la forza del cambiamento saranno le stesse popolazioni e le loro culture tradizionali, perché in fin dei conti sono proprio loro a rapportarsi col territorio da millenni. Svi-luppare insieme tecnologie autonome e legate al territorio, si traduce in una conservazione e valorizzazione del bagaglio di esperienze che si tramanda da secoli.

Una rilettura delle tradizioni locali e dell’ap-proccio uomo natura in un’ottica di interdi-pendenza dagli interessi economici verso uno svi-luppo sostenibile e legato al territorio, partecipato e creativo. Una cittadella artistico-scientifica inizial-mente itinerante, mossa da uno spirito nomade che mira ad assimilare più sti-moli possibili, spostandosi da un luogo all’altro sulla costa influenzando e fa-cendosi influenzare. Inizial-mente questo sarà possibile proprio grazie proprio al “ Criloa”, imbarcazione a vela con cui stiamo compiendo l’attraversata, che sarà anche strumento comu-nicativo e operativo per entrare in contatto e in piacevole confidenza con la gente costiera.

Dall’embrione “Criloa” nasceranno però nuo-ve soluzioni, in maniera dinamica, raccogliendo spunti dagli attori di volta in volta coinvolti: artisti, artigiani del pensiero, scienziati creativi e chi voglia dare una mano. Questi saranno ospitati per semestri in un turn over continuo e vivranno a stretto contatto con la realtà locale, provando a proporre e ideare insieme nuovi stili di vita rispettosi dell’ambiente e della tradizione legata alla terra e al mare.

L’insaziabile fame del Leone narrata all’inizio, ritorna dirompente, sotto forma di ingordigia petrolifera, di miopi interessi economici che puntano a trasformare le coste e l’entroterra del Brasile come in tante altre parti del mondo, in un orgia di inquinamento, spiagge monocorde affollate di turisti mai sazi di ciò che la natura può offrire.

L’ Organizzazione ELO vuole rompere qualche anello di questa lunga catena fatta di interessi e spregiudicata ignoranza. Tenterà di dialogare con la gente del posto, costruendo insieme a loro un futuro migliore, che non si venda agli interessi commerciali, ma che trovi ragion d’es-sere nella simbiosi tra uomo, natura e cultura.

Il Brasile in questo momento storico sta infatti compiendo balzi in avanti all’insegna del pro-gresso. Grandi raffinerie petrolifere, porti com-merciali, quartieri residenziali e resort turistici crescono con estrema semplicità in prossimità di baie naturalisticamente inestimabili, come pure inestimabili sono le culture che lì si erano insediate nel tempo e che avevano trovato nel mare, nella terra e nei suoi frutti il loro vivere.

La situazione oggi nei luoghi in cui si darà vita a questo progetto è cambiata molto velo-cemente. Chi, fino a pochi anni fa, utilizzava il legname delle foreste che degradavano natu-ralmente verso il mare, lo faceva in ragione di esigenze limitate e reali, come la costruzione di piccole canoe per la pesca, legna per ardere o per costruire modeste abitazioni. Con l’avvento però di influenti lobby interessate al legname, accompagnate dall’opportunità di stabilire in

quelle zone anche porti commerciali nonché stabilimenti turistici, le tradizioni sono state calpestate, in nome del progresso cieco che promette benessere a tutti. E tutti, come nella storia di cui sopra, sacrificano un po’se stessi di terra, un po’ di mare. I piccoli villaggi di pescatori non possono più usare il legname,

che, insieme alla terra, diviene di proprietà del governo e, di fatto, delle multinazionali che con esso hanno a che fare. Il pescatore si adatta, si improvvisa, cerca insomma un modo per sopravvivere e visto che non può più pescare perché la zona viene adibita a parco nazionale o a resort turistico, inizia ad attrezzarsi per ospi-tare i turisti. Costruendo baracche con materiali di fortuna, come lamiere, amianto o plexiglas, realizza wc pubblici temporanei in spiagge un tempo incantevoli.

Questi sono solo alcuni spunti che provano a descrivere un viaggio appena cominciato. Le cose da dire, da mostrare sarebbero molte, ma i fugaci momenti che riesco a dedicare a questo articolo mi fanno notare quanto sia esagerata-mente scandito il tempo sulla terra. Vi saluto allora amici, la vastità del mare, ci attende, ci circonda e inconsapevole ci unisce nella nostra attraversata.

Lorenzo Pupi

➽ segue dalla prima pagina

L’angolo del filosofo

Normalità. Verità?

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pro.di.gio. progetto di giornale | www.prodigio.it | [email protected] | febbraio 2013 - n. 1

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DISAGIO PASSATEMPO

A vent’anni dall’inizio dell’immigrazione, un’occasione per tirare le fila

“Dall’Albania al Trentino: immigrazione 1991-2011” di Leonora Zefi e Matilda Sula

Un’analisi puntuale che lascia poco spazio all’interpretazio-ne: dati alla mano il saggio di

Leonora Zefi mira a ridimensionare e diradare gli ancora persistenti pregiudizi sulla comunità albanese in Trentino.

L’indagine ripercorre la storia del loro esodo, iniziato in massa agli albori degli anni Novanta, e il fatto che alcuni di loro trovarono rifugio tra le valli locali, alla ricerca di opportunità, integrandosi non senza sforzi.

In questo libro sono approfon-dite le motivazioni che hanno costretto un popolo alla fuga, le cause che hanno generato il sospetto nella comunità d’acco-glienza, le fasi migratorie che si sono succedute sul territorio, i protagonisti del viaggio e l’inte-grazione durante quest’ultimo ventennio.

Dai dati sono avvalorati da statistiche aggiornate e da re-latori competenti che trattano le tematiche dell’identità, della cultura migratoria e confrontano le memorie dei popoli coinvolti.

Tra i risultati emerge che la comu-nità albanese è quella che meglio s’è integrata in Trentino, a distanza di un ventennio dalla prima migrazione di massa. Non solo, questa prima prova di accoglienza è stata quella decisiva che diede il giusto incentivo per lo sviluppo del volontariato trentino.

Altra caratteristica saliente, rispet-to alle altre comunità di stranieri, è la matrice maschile dell’emigrato albanese: erano (e sono) per lo più uomini a lasciare il paese, avviando il ricongiungimento familiare una vol-ta trovata una propria sistemazione

nel nuovo territorio.(Il confronto con, ad esempio,

molte signore dell’Est diventa spon-taneo: queste raggiungono l’Italia impiegandosi come assistenti dome-stiche per mandare soldi ai famigliari

rimasti nel paese d’origine).Cosa risalta da questo atteggia-

mento? La volontà di non ritornare in patria e quindi la scelta di ricostruirsi una vita, integrandosi, nel nuovo paese.

Sono poi trattati anche aspetti economici ed imprenditoriali a cui partecipano attivamente anche gli esponenti della comunità albanese affittando o comperando case ed aprendo attività commerciali.

Altro risultato è l’ambizione di se-colarizzare i figli a favore del lavoro

qualificato superando la mentalità come immigrato manodopera spe-cializzata.

Una fuga dalla governo assoluto: la migrazione

Cosa diede il via all’esodo di massa dall’Albania? La causa principale fu l’instaurazione di una dittatura di stampo comunista che pose le sue radici dalla fine della seconda guerra mondiale, impoverendo gradualmente l’aspetto culturale, linguistico ed economico dello Stato albanese.

Dal 1977 il paese ruppe i rap-porti con gli altri stati, chiuden-dosi nell’isolazionismo, e questo gesto diede il via ad una forte crisi economica. Dal 1989 partirono le prime ribellioni e nel dicembre dell’anno successivo il governo dovette permettere la creazione di partiti indipendenti, determi-nando la fine del monopolio del partito comunista.

L’emigrazione albanese iniziò con la caduta del regime comu-nista e con il diritto per le persone di espatriare liberamente.

Dall’inizio di marzo 1991 gli esodi si fecero massicci e l’immi-grazione clandestina dall’Albania è stata ininterrotta. Dieci anni più tardi prima la comunità marocchina, poi quella albanese si contendevano il primato numerico in Italia, sorpassati poi dai rumeni.

Alla fine del 2010 gli albanesi re-golarmente registrati in Italia erano quasi mezzo milione.

Disumanità ed accoglienzaI migranti partivano alla volta

dell’Italia aspettandosi di trovare condizioni di libertà, opulenza, cibo e lavoro in abbondanza e, soprattut-

to, facili opportunità per intrapren-dere una nuova vita.

Ben presto le illusioni si scontra-rono con la realtà: emblematico e simbolico fu l’arrivo della nave Vlora, che attraccò l’8 agosto 1991 nel por-to di Bari. Il capitano fu costretto a dirottare il mercantile verso le coste italiane e, con le 20.000 persone a bordo, la nave è ancor oggi associata all’episodio del più grande approdo di clandestini in Italia.

I profughi, appena sbarcati, fu-rono rinchiusi nello stadio di Bari e le immagini del lancio di cibo dagli elicotteri, e della tensione della poli-zia, fecero il giro del mondo: evidenti furono le difficoltà che sorsero nel gestire così tante persone.

Per quanto riguarda il territorio trentino, la Provincia si impegnò attivamente per sostenere l’acco-glienza dei profughi ma trovò la popolazione locale impreparata. Gli arrivi più consistenti furono quelli dell’inizio anni Novanta e del 1997: ai primi albanesi mancava un aggancio iniziale in loco che potesse fare da tramite con la comunità, mentre i secondi furono avvantaggiati perché potevano contare su un sostrato già preparato.

Durante l’indagine non viene sot-tovalutato il ruolo dei mass media che spesso rinvigorirono le paure dei trentini alimentando i pregiudizi già esistenti.

Così per i profughi divenne ancor più difficoltoso trovare lavoro ed opportunità d’inserimento.

Per agevolare l’integrazione venne istituto il “Piano Alternativo”: un ac-cordo tra Provincia e commissariato del governo che prevedeva una sistemazione per le famiglie, ma

non tutti comuni accettarono di accogliere profughi nei loro confini.

Nonostante ciò, dai dati emerge il carattere comunitario della società trentina che, guidata da un dettaglia-to piano in materia di convivenza ed inserimento, ha saputo sviluppare il senso dell’appartenenza evitando pericolose ghettizzazioni.

Ad oggi...Cos’è cambiato in questi vent’an-

ni? Che gli albanesi, oltre a mostrare una volontà d’integrazione, hanno cambiato le priorità: se inizialmente le urgenze vertevano sul lato eco-nomico ora sono più motivazioni famigliari a spingere per lavorare sull’accettazione sociale.

Altra nota che si ricava dalla ricer-ca riguarda l’educazione impartita ai giovani: nella maggior parte dei nuclei famigliari i genitori incorag-giano l’uso di entrambe le lingue e culture al fine d’avvantaggiare i figli nell’integrazione di entrambi i contesti, nonché spingono per un’i-struzione più approfondita per dare la possibilità ai figli di uscire dalla categoria lavorativa dell’“operaio specializzato”.

L’indagine ha lasciato anche degli spunti su cui lavorare: s’è notato che le donne sono la categoria meno soddisfatta dell’ambito lavorativo e meno integrata.

In ogni caso quest’analisi ha voluto raccogliere e districare una materia complessa come quella dell’integra-zione di un popolo in Trentino, pro-ponendosi non come risultato finale d’una vicenda, ma come strumento per avvicinare anche i “non addetti ai lavori” a questa problematica per migliorare l’integrazione del futuro.

Monica Miori

La copertina

“Io mi taglio”, “Sono stata violentata da bambina”, “Paranoie. Solo paranoie”

Forum di Prodigio. Il nostro vaso di Pandora si scoperchia.

Talvolta chi redige un articolo viene inconsciamente coin-volto in un meccanismo di au-

toreferenzialità: il suo punto di vista è traslato su un binario soggettivo e si trova a portare avanti un discorso ampiamente influenzato dal suo ruolo e dal contesto in cui opera.

Ebbene, questo è uno di quegli articoli.

Non può passare inosservato, come credono i suoi fruitori, l’or-ganismo che in questi anni si è ali-mentato, crescendo in sordina, tra le pagine web di Prodigio: il forum www.prodigio.it/forum.asp.

Nato come valvola di sfogo, come spazio alla portata di tutti perché tutti potessero usufruirne, a distanza di anni il forum della nostra asso-ciazione si è imposto accogliendo e facendo interagire persone ed esperienze.

Per far capire ai non addetti ai lavori di cosa si sta parlando si po-trebbe specificare che si tratta di una “piattaforma comunicativa online sul disagio sociale”: in realtà tale defini-zione svela pochissimo del marasma di emozioni, relazioni e traumi che il contenitore “forum” racchiude.

C’è chi ha subito violenze sessuali durante l’infanzia, c’è chi le violenze se le sta procurando autonoma-mente per alleviare il dolore nell’età adulta, altri ancora cercano consigli perché non sanno come trattare una persona cara che, ad un occhio esterno, sembra rasentare la pazzia.

Non sono solo richieste d’aiuto o appelli, ma si tratta di una vera piazza in cui la gente, con tutta la pacatezza possibile, si confronta

quotidianamente: la forza del forum risiede nella grande partecipazione e trasparenza degli utenti che nar-rano senza filtri le loro vicende e si scambiano pareri sulle possibili solu-zioni, o sulle cause, che hanno dato vita a particolari comportamenti e situazioni.

Le tematiche sono le più dispara-te: un grande afflusso di commenti rimane incentrato nella sezione dedicata all’autolesionismo e alla sindrome di borderline. Le varie esperienze, raccontate da gente di tutta Italia, per quanto cambino i nomi dei soggetti coinvolti, lasciano spesso emergere dinamiche comuni.

Non è un forum per chi crede nelle favole

Non è un forum adatto a tutti.Chi crede nelle fiabe è bene che

lo eviti perché con un candore scon-volgente riesce a raccontare storie che lasciano brividi e lo stomaco contorto. Alcune vicende, che siano sulla pedofilia, sull’uso di eroina, sui tagli per non sentire il dolore... sono qui narrate in prima persona e non rimangono un unicum.

L’auditorio che s’è creato non è un pubblico estraneo, un pubblico da sensibilizzare, ma sono colleghi, compagni di sventure che, per vicende traverse, sono giunti al me-desimo punto e alle stesse, barbare o apparentemente incomprensibili, esperienze.

I consigli sono mirati e sporadici sono gli interventi di “esterni” che entrano per giudicare: chi solitamen-te risponde è perché si riconosce nelle vicende descritte.

Per qualcuno che si sente incom-

preso questo è il terreno giusto per capire che non è trascurato né solo.

Non è esattamente il pa-ese dei balocchi: discussio-ni che iniziano con “sono stata violentata da bam-bina”, “autolesionismo”, “metodi per lasciare un borderline”, “chiedo aiuto, sono malato e ho voglia di far male agli altri”...non premettono sicuramente la serenità come filo con-duttore.

Ma non è solo pedofilia e sindrome di borderline: si trova anche l’appello lanciato da una ragazza in cerca di consigli perché i genitori sono restii riguar-do al suo fidanzamento con un ragazzo in sedia a rotelle. Ultimamente questa discussione “Amare un disabile... amore diver-so” sta avendo una nuova cassa di risonanza.

Anche il caso di una ragazza ano-ressica che inserisce dei pesetti nel reggiseno per non far scoprire alla madre del calo di peso rientra nella varietà di disagi raccolti nel forum.

Ed ancora trapela il candore di un ragazzo che vede i suoi atti di autolesionismo non come un pre-gio, ma neppure come un difetto, solamente come attività che porta avanti perché gli procura piacere farlo, nonostante ammetta di non trovare cause “concrete” poiché nell’ambito privato tutto procede per il meglio. Una soluzione troppo

semplice perché venga accettata dalla morale comune.

Parallelamente ci sono altri per-sonaggi che non se la vivono con altrettanta serenità e sperano di trovar al più presto una soluzione.

Tutti s’improvvisano psicologi di tutti. Perché questo, forse, cer-cano: non l’aiuto di un individuo solitamente etichettato come “pro-fessionista” che tende una pietosa mano dall’Olimpo della conoscenza psichiatrica (e che spesso si rivela fondamentale!): sembra che i net-surfers considerino più apprezzabile e meno invasivo l’intervento di altre persone che già ci sono passate.

La prima impressione che si ha approcciandosi al forum è che si abbia a che fare con gente consapevo-le ed intelligente.

Le citazioni a testi spe-cialistici non mancano e neppure approfondite analisi psico-comporta-mentali che si regalano l’un altro: la terminologia utilizzata è specialistica e r ivela in controluce la voglia di trovare sia accettazione sociale sia riscontri scientifici ai loro disturbi.

Anche l’atteggiamento adottato dagli utenti non sfocia nella disperazio-ne, ma mantiene un tono moderato che per i non esperti potrebbe appa-rire incongruo con l’ar-gomento trattato. Come non usare un linguaggio

duro, aspro parlando di persone che hanno fatto del male.

Oppure ancora ci si può chiedere leggendo le conversazione cos’è che spinge a non denunciare il proprio stupratore ma, anzi, a giustificarlo anche a costo di arrangiare ragiona-menti cavillosi?

Le domande che sorgono non hanno risposte univoche. Tra le poche considerazioni certe che pos-sono venir avanzate è come il forum sia diventato un’ancora di solidarietà per persone dai trascorsi più dispa-rati, che si cercano e si confrontano sicure di poter esser comprese.

Monica Miori

Page 11: Pro.di.gio. n°I febbraio 2013

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DISAGIO PASSATEMPO

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La psicologia del colore

Che significato hanno i colori e come vengono utilizzati?

Dopo aver spiegato il significato e l’origine del colore, che come detto si genera nell’occhio dell’os-

servatore ed è a tutti gli effetti creato dal nostro cervello, è il caso ora di soffermarsi sul fatto che è possibile, quindi, definire il colore come un’impressione sensoriale in quanto ciascun individuo lo “percepisce” in modo differente.

Tutto questo non è spiegabile sola-mente col fatto che non esistono mai due occhi e due cervelli uguali tra loro perché l’interpretazione del colore varia non solo da individuo ad individuo, ma perfino la stessa persona lo può percepire differentemente in momenti diversi ed in base allo stato d’animo del momento. Lo stesso colore può pertanto generare sensazioni differenti. Lo studio di questo fenomeno prende il nome di “psicologia del colore”.

Ogni colore ha un significato psico-logico specifico ma anche personale e variabile e fino ad ora non classificabile scientificamente.

È operativamente consolidato dividere le gradazioni cromatiche in tre macro aree e cioè i colori caldi (rosso, arancio e giallo), quelli freddi (verde, blu e viola) e neutri (nero, grigio e bianco).

Di seguito riporto alcuni esempi di significati assegnati ai vari colori sulla base, soprattutto, di consuetudini e di operatività grafiche ricordando però che non ci sono studi scientifici specifici che li avvalorino.

Significato psicologico e uso dei colori caldi:

• il rosso, più caldo e dinamico, de-nota qualcosa di attivo, stimolante, passionale, emozionante e potente. Se utilizzato in piccole dosi nella sua forma più pura attira l’attenzione su elementi critici e segnala un pericolo. Questo colore è stato scelto come principale da Youtube e Google +:

• l’arancione, non così travolgente e forte come il rosso, è equilibrato, vi-brante e pieno di energia pur essendo accogliente e invitante. Di solito si utilizza per dare un’impressione ac-cogliente e invitante. Questo colore è stato utilizzato come principale da Amazon;

• il giallo, colore caldo più luminoso e il più energizzante, è simbolo di felicità,

calore, stimolo ed espansività quindi si usa per far trasparire l’allegria e la felicità scelto da IMDb (sito internet che permette di scaricare i film);

Significato psicologico e uso delle gradazioni fredde:

• il verde, colore freddo secondario, è simbolo di calma, equilibrio e rigene-rabilità e rappresenta la stabilità;

• il blu trasmette affidabilità, fiducia, sicurezza ma anche calma e spiri-tualità. Il blu scuro è molto usato per progetti aziendali e commerciali mentre quello chiaro per i siti web sociali che rappresentano la calma e la cordialità infatti è stato usato nelle sue sfumature come colore cardine del social network Twitter e da Skype;

• il viola simboleggia la nobiltà, l’ab-bondanza e la dignità, ma può anche rappresentare la creatività e la fantasia. Le tonalità più scure del viola sono associate alla ricchezza e al lusso mentre le tonalità più chiare del viola alla primavera e al romanti-cismo. Questo colore declinato nelle sue varie sfumature è stato scelto come colore principale di Facebook con una piccola aggiunta di azzurro, Yahoo, Wordpress e Linkedin.

Significato psicologico neutri:• il nero rappresenta il potere, l’elegan-

za e la modernità ma anche il mistero;• il grigio simboleggia la neutralità e la

calma. Una mancanza di vivacità può essere associata al design conservati-vo. Questo colore è stato scelto come principale dall’enciclopedia online Wikipedia;

• Il bianco rappresenta la chiarezza,

la pulizia, la speranza e l’apertura ma anche la sterilità e la semplicità. Questo colore è stato scelto da Bing.

Mettetevi alla prova: che sensazioni vi trasmettono queste immagini?

Quale figura da le seguenti emozioni?

Inserite i numeri delle figure nelle caselle a fianco della parola

� Felicità � Passione � Purezza

�Mistero � Calma � Equilibrio

Dopo queste due prime puntate che mi hanno permesso di introdurre il colore la prossima puntata verterà su una delle dif-ficoltà o “diversità” collegate alla visione del colore; inizieremo con il daltonismo.

Maurizio Franchi

“5 premi Oscar 2012 per un film d’altri tempi...”

The Artist

Miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, migliori costumi e miglior colonna sonora: tante statuette ma, soprattutto, di grande “peso”. Prodotta

nel 2011 in Francia, l’opera in questione sfida i canoni delle produzioni moderne portando una ventata di “novità” in un panorama fatto di 3D ed effetti speciali. Certo, la “novità” è... il muto. Pellicola girata in bianco e nero con protagonisti privi di voce e dialoghi proiettati su schermate statiche come nella tradizione del cinema degli anni Venti. Di grande rilevanza, invece, la colonna sonora, una volta eseguita dal vivo per accompagnare la riproduzione del film e, in questa occa-sione, realizzata perfettamente per andare a braccetto con l’enfatizzata espressività e gestualità degli attori. Le vicende si svolgono a Hollywood: nel 1927, George Valentin (occulto tributo?) è uno degli interpreti di maggior successo del cinema muto di genere romantico e avventuroso. All’uscita di una sua proiezione, acclamato e assediato da una folla di fotografi e ammiratrici, viene immortalato insieme ad una giovane riu-scita quasi per caso ad avvicinare il suo idolo. La foto viene poi pubblicata sulla prestigiosa rivista Variety e, poco tempo dopo, i due si ritroveranno sul set di un nuovo film, Valentin come protagonista e la ragazza, Peppy Miller, alle prese con

le prime esperienze come comparsa. Tra di loro si crea subito una forte attrazione, ma nulla di compromettente. Dal 1929, con l’avvento del so-noro e del parlato nel cinema, le loro carriere cominciano a seguire strade diverse: George è riluttante all’introduzione di questa nuova peculiarità mentre, per la giovane, rap-presenta il trampolino verso il successo. Valentin decide quin-di di andare contro corrente e proseguire con le sue convin-zioni, abbandona la sua casa di produzione e finanzia ed interpreta un nuovo film muto

che, però, risulta essere un colossale fallimento e lo incanala verso il viale del tramonto. Caduto nel dimenticatoio come attore, lasciato dalla moglie e rovinato finanziariamente tanto da essere costretto a mettere all’asta i suoi averi, vive in un fatiscente appartamento quando, un giorno, decide di bru-ciare le pellicole da lui interpretate (tranne quella nella quale incontrò la giovane Peppy Miller). Riesce miracolosamente a scampare all’incendio da egli stesso provocato grazie al tempestivo intervento dell’inseparabile cane che, quale suo “miglior amico”, riesce ad attirare l’attenzione di un poliziotto verso la casa in fiamme. Ma la giovane non lo ha dimenticato e, una volta appresa la notizia dell’accaduto, lo ospita in casa sua affinché egli possa rimettersi. Tuttavia, frenato dall’orgo-glio, torna nella sua abitazione e tenta il suicidio, ma la donna riesce e fermarlo prima che commetta l’irreparabile. Ella insiste per farlo tornare al lavoro e convince il suo ex produttore ad ingaggiarlo nuovamente, grazie all’estro artistico di Valentin che reinventa le sue performance senza rinunciare al suo credo per il “mutismo”. Grandioso tributo al cinema di inizio Novecento del regista francese Michel Hazanavicius che ci mostra come la tecnologia avanzi di gran carriera ma, tutto sommato, il desiderio di divertimento ed intrattenimento del pubblico possa essere soddisfatto con semplicità e senza l’ausilio di dialoghi cervellotici. Un tuffo nel passato che ha il sapore del nuovo. Da vedere, anche per i più diffidenti.

Matteo Tabarelli

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