periodico del 26 aprile 2011

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Pubblicità: per togliersi dai guai non basta più una rivoluzione, ma occorre una ri(e)voluzione della specie! di Francesco Cataldo Verrina a pagina 2 UNA PAUSA di Maurizio Rompani a pagina 4 Il passo più lungo della gamba? di Andrea Polo a pagina 6 VOLGARITA’: LA NUOVA BUSSOLA DEL GIURI’ di Federico Unnia a pagina 3 “Finzioni“ un team di giovani dediti ai libri di Matteo Bianconi a pagina 7 L’information Technology verso la ripresa a pagina 11 I marchi low cost nella sda tra i colossi della telefonia mobile a pagina 12 La ne annunciata del giornale stampato di Oscar Bartoli a pagina 15

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periodico di comunicazione

Transcript of periodico del 26 aprile 2011

Pubblicità:per togliersi dai guai non basta più unarivoluzione, ma occorre una

ri(e)voluzione della specie!di Francesco Cataldo Verrina a pagina 2

UNA PAUSAdi Maurizio Rompani a pagina 4

Il passo più lungodella gamba?di Andrea Polo a pagina 6

VOLGARITA’:

LA NUOVA BUSSOLA DEL GIURI’

di Federico Unnia a pagina 3

“Finzioni“ un teamdi giovanidediti ai libridi Matteo Bianconi a pagina 7

L’informationTechnology versola ripresaa pagina 11

I marchi lowcost nella s da tra i colossi dellatelefonia mobilea pagina 12

La ne annunciata del giornalestampatodi Oscar Bartoli a pagina 15

Pubblicità:per togliersi dai guai non basta piùuna rivoluzione, ma occorre unari(e)voluzione della specie!

Lo scrivo con immenso rammarico e non poco

turbamento, ma ho come l’impressione che la pubblicità

somigli sempre più ad una vecchia creatura cadente ed

appesantita, curva ed incapace di rialzarsi. Fuori da ogni

metafora, i dati dipingono una situazione decisamente

insostenibile.

Chi aveva supposto, o quanto meno desiderato che il

2010 fosse stato l’ultimo “anno horribilis” di una lunga

serie, ha visto sfumare anche questa speranza. I Latini

dicevano “spes ultima dea”: chissà che non possa

accadere qualcosa di inatteso e rimettere tutto a posto?

Purtroppo, a giudicare dall’aria che tira, ci vorrebbe un

vero e proprio miracolo. Il 2011 è cominciato male e

forse nirà peggio. Gli investimenti pubblicitari verso

tutti i mezzi tradizionali sono in calo, in particolare la

carta stampata è quasi alla canna del gas. Solo la Rete

mantiene un trend attivo, ma non risolve nulla, anzi

acuisce le disfunzioni di un sistema allo sbando.

Sono tanti i segnali che denunciano la necessità di

una profonda rivisitazione dei modelli di business

nora utilizzati e del modo di fare comunicazione a cui

eravamo tutti abituati.

Intanto la pubblicità non funziona più come una volta,

almeno nel meccanismo. Già da tempo siamo entrati

nell’era del dialogo, ovvero della comunicazione a due

vie, ossia quella che abbiamo più volte de nito “era dei

mercati dialoganti”. In massima parte la comunicazione

commerciale continua a presentarsi al pubblico come

un “monologo”, talvolta un soliloquio ne a se stesso

e surclassato dall’eccesso di fragore mediatico che lo

avvolge.

Il crollo di ef cacia sul piano della “brand awareness” è

certamente da imputare ad alcune cause note da tempo.

In primis il grande affollamento di messaggi, la perpetua

proliferazione di media e piattaforme già obsolete prima

di poter essere sperimentate e tarate sul business - e

il web in questo ha non poche responsabilità - ma in

particolare la progressiva refrattarietà dei consumatori

che vedono nella pubblicità vecchia stampo un

“venditore” a tutti i costi. I neo-consumatori sovente

non trovano un vero e attento ascolto delle loro reali

necessità sia sul piano emotivo che razionale ed etico.

La pubblicità è glia legittima del sistema industriale

di massa e della “customer satisfaction”, visione da

ritenersi superata e restrittiva. Il focus continua ad

essere incentrato su “customer” e derivati, senza

considerare gli aspetti molto più ampi in cui un essere

umano si realizza, i quali non sono solo emotivi, ma

anche razionali ed etici. Tali aspetti sono misurabili sia in

riferimento alle esigenze che alle soddisfazioni ricevute.

Quasi mai i dati raccolti e gli imput provenienti dal

mercato combaciano con le esigenze delle imprese.

Ecco quindi un altro ostacolo: talvolta la scarsa qualità

delle ricerche incide profondamente sull’ef cacia della

comunicazione. I responsabili di istituti di ricerca, per

evidenti motivi di business, sanno che non sempre

sia possibile dire tutta la verità per non “offendere il

committente”, privilegiando quindi l’ottenimento del

lavoro di ricerca e del business ad esso collegato, in

barba alla norma etica e deontologica che prevede il

rispetto della verità.

Da qui, un’ulteriore perdita di ef cacia e grado

di penetrazione della pubblicità, da mettere in

relazione all’impossibilità di poter rispondere alle

esigenze dell’essere umano-cliente, che desidera

sentirsi “ascoltato” in tutte le sue istanze, esprimibili

in item de nibili. A tutto ciò si aggiunga l’invasività

e l’ossessionante ripetitività tesa a compensare

l’assordante rumore di fondo prodotto dal

sensazionalismo scellerato dei media.

Un ennesimo elemento di non funzionalità della

leva pubblicitaria nasce dalla discrepanza sempre

più evidente fra creatività tendente alla pura “brand

awareness” e la necessità di messaggi che si facciano

ricordare nei contenuti e che siano, oltremodo, ritenuti

utili dai fruitori. Non ultimo per importanza – come

già accennato - il fenomeno della frammentazione dei

messaggi, degli strumenti e dei mezzi di comunicazione.

Sovente i vari operatori pubblicitari cercano di indirizzare

il consumatore verso o questo o quel mezzo solo in base

alle proprie conoscenze, capacità tecniche ed inclinazioni

creative, senza che prima venga effettuata la ricerca e la

concreta attuazione di una strategia unitaria. Per capirci,

uno studio gra co tenderà a condurre il committente e

quindi a raggiungere il consumatore attraverso supporti

cartacei et similia, magari tralasciando tutto il resto.

>>>

di Francesco Cataldo Verrina

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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011

La comunicazione di plastica

<<<

Non è detto che tutto ciò possa traghettarci sull’altra

sponda rispetto alla crisi, ma urge una ri(e)voluzione

della specie “homo-pubblicitario” ed un cambio di

paradigma, se non altro di modulo espressivo.

Sarebbe opportuno “traslocare” armi e bagagli su un

differente territorio della comunicazione, prendendo in

considerazione tutti gli aspetti progettuali, nanziari,

tecnico-produttivi, organizzativi, interni ed esterni

all’impresa, no ad una profonda rivisitazione delle

funzioni e delle motivazioni dei diversi “stakeholder”,

nonché dei metodi di marketing e di advertising.

In prima istanza sarebbe opportuno non lasciarsi

attrarre dai facili entusiasmi prodotti dalla Rete, ma

concentrarsi sulle reali possibilità di business, migrando

dal concetto di “customer satisfaction” a quello di

“human satisfaction”: la pubblicità dovrà entrare

(e restare) in un ambito, in cui la centralità sia il

consumatore in quanto essere umano.

Gli obiettivi di attenzionalità e di notorietà andrebbero

considerati non più come dei ni ultimi da raggiungere e

da misurare quali cause di effetti sul consumo di prodotti

e servizi, bensì quali mezzi che possano permettere di

arrivare con immediatezza nell’area della “ragione”.

E’ in questa area che si determinano, su basi appunto

razionali e non soltanto emozionali, i comportamenti

di acquisto a medio-lungo termine, mentre nell’area

dell’emozione si sviluppano solo atteggiamenti

momentanei legati all’impulso emozionale che, se non

sostenuto anche dagli elementi razionali, non produce

la fedeltà del cliente. Inoltre non andrebbe tralasciata

“l’area etica”. In questa area, da valutare in sinergia

con le componenti emotive e razionali, si rivelano

elementi umani de nibili in item, quali le necessità

di conoscere la composizione dei prodotti per motivi

salutistici, la compatibilità delle materie prime con il

rispetto dell’ambiente, il rispetto del lavoro minorile o

la considerazione per azioni di portata sociale da parte

della marca e dell’impresa.

Risulta evidente come per raggiungere le tre aree

che determinano la psiche e l’esperienza di un

“consumatore”, quindi di un essere umano nella sua

completezza, non sia possibile af darsi esclusivamente

a metodiche pubblicitarie di vecchio conio, talvolta

scollegate e frammentarie, ma ad un metodo più

completo e comprensivo che consideri in modo unitario,

a partire dalla creatività dei messaggi, le tre aree da

raggiungere in modo consequenziale. Ecco la ri(e)

voluzione, un’impresa di certo non facile!

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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011

La comunicazione di plastica

UNA PAUSA

L’etica non può essere insegnata. L’argomentazione

di Socrate si basava sulla maieutica, rivolta

all’interpretazione della natura umana: il losofo può

solo aiutare gli allievi a partorirla da soli. A prima vista

può sembrare una affermazione molto semplice, quasi

ingenua, eppure racchiude in sé molta più saggezza

di tante pagine che ci vengono quotidianamente

sottoposte come spunto per i nostri pensieri più

profondi. D’altronde l’ingenuità e la semplicità nel

linguaggio sono sempre stati sinonimo di grandezza:

pensiamo a gure come Socrate, San Francesco D’Assisi,

Gandhi. Sono le loro parole, il loro agire che ci fa

ri ettere, che ci fa guardare dentro, almeno quando ne

troviamo il coraggio.

Ri essione. Ormai ci siamo quasi dimenticati che sui

nostri atti, sul nostro agire, sui nostri atteggiamenti e

comportamenti, noi possiamo ri ettere, noi dobbiamo

ri ettere. Certo è anche colpa di questa vita frenetica in

cui ci troviamo, inconsapevolmente o, con più sincerità,

volontariamente immersi. L’atto della ri essione è quello

che può interrompere lo svolgimento di altri atti, che

può produrre una presa di distanza da ciò che stiamo

facendo, allo scopo di comprendere meglio una certa

situazione e di trarre indicazioni per i comportamenti

futuri. E’ forse questo che ci fa paura?

Eppure ri ettere viene considerato oggi un qualcosa

di più, di non necessario, una perdita di tempo che

ci allontana da questo mondo a cui molti di noi si

considerano indispensabili. Abbiamo dimenticato

che la ri essione è di per sé un atto, anzi è l’atto

per eccellenza che ci distingue quali esseri umani.

Soprattutto se si tratta di una ri essione sull’agire,

che risulta essa stessa un agire. Il problema del

senso dell’agire, quello relativo alla domanda sul

perché io faccio o debbo fare qualcosa, emerge nel

momento in cui viene meno la risposta religiosa o

laica, implicitamente condivisa, che a tale questione

viene data. Questo forse è il vero motivo per cui non

ci sentiamo più spinti alla ri essione. Perché questo

signi ca prendere atto della propria, della nostra

responsabilità. Nessuno può sottrarsi a quella che si

chiama comunemente responsabilità, nel senso di

rispondere di ciò che facciamo e decidiamo, perché ogni

atto ci appartiene.

Ed ecco allora che troviamo rifugio nel proliferare delle

norme. Bistrattate, odiate ma, in verità, vera isola felice

del nostro non assumerci oneri, della nostra non voglia

di porci domande scomode. Nulla ci piace più del poter

dire “sono costretto a fare così “, il grande alibi della

nostra non presa di coscienza, del nostro non chiederci

nulla.

Perché gli interrogativi rinviano esclusivamente alla

responsabilità personale. Le norme, in questo campo,

funzionano da paracadute: possono rallentare la caduta

e possono dirigere l’atterraggio, ma il saper come

cadere riguarda solo ognuno di noi.

Bisogna tornare a ri ettere. Anzi bisogna ricreare le

occasioni perché si possa tornare a ri ettere. Senza

paura di dire “ho sbagliato”, senza paura di piangere per

le nostre scelte, senza paura di star male, soprattutto

senza paura di tornare nalmente ad essere uomini.

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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011

Istinto e impressioni

di Maurizio Rompani

Anno 6 - martedì 26 aprile 2011

VOLGARITA’:LA NUOVA BUSSOLA DEL GIURI’

Per alcun e fattispecie di messaggi pubblicitari, ritenuti

non conformi alle norme del codice che tutelano i

valori della persona e la sua sensibilità, non si deve far

riferimento al consumatore cui il prodotto si indirizza,

bensì al cittadino, che non deve in alcun caso essere

urtato da immagini che contengano rappresentazioni

volgari. Il Giurì detta la linea sull’interpretazione

autodisciplinare corretta dell’art. 9 Cap in materia

di volgarità e tutela della persona, sia essa uomo o

donna. E lo fa in occasione della pronuncia con la quale

blocca l’annuncio stampa diffuso da Coty Italia per il

profumo da uomo Marc Jacobs Bang, nel quale era

raf gurata l’immagine di un uomo nudo, sdraiato su

un tappeto argentato, unto di una sostanza oleoasa,

con il pube interamente coperto da un’immagine di

una grande confezione rettangolare del profumo Bang.

Messaggio ritenuto non conforme all’art. 9 Cap per la

collocazione del prodotto sul pube, per la postura del

modello e per le dimensioni volutamente ampli cate

della confezione del prodotto pubblicizzato. Ma per

valutare se una pubblicità con igga con detta norma

non occorre far riferimento al consumatore medio bensì

all’opinione dei cittadini, intesi qui come cives che

può anche essere costituito da una sola minoranza

di essi. L’evoluzione interpretativa della norma ha

portato a ritenere che i soggetti tutelati da espressioni

o rappresentazioni pubblicitarie ritenute volgari non

siano più i consumatori, destinatari di un messaggio,

bensì in senso allargato i cittadini di una società, che

in quanto tali possono rimanere offesi o colpiti da

rappresentazioni a loro dire volgari. Norma, quella

dell’art. 9, così’ come quella sancita nell’art. 10 (rispetto

dignità della persona e sue convinzioni), che tende a

vietare la rivolta dei cives contro la pubblicità. Rivolta,

quest’ultima, che può essere altrettanto pericolosa per

la credibilità stessa della pubblicità di quanto lo sia

quella mossa dai consumatori di un prodotto. Metro di

giudizio in questa valutazione è costituito dall’opinione

anche solo di una minoranza che ritiene pregiudicata la

propria sensibilità. Interpretazione, questa, che assume

rilievo anche in una visione costituzionale del sistema

di valori tutelato dall’Autodisciplina pubblicitaria e che

ai sensi del principio di uguaglianza dei cittadini (art. 2

Cost. Italiana) non può tollerare una tutela da messaggi

pubblicitari offensivi per una sola maggioranza dei cives.

Come dire che anche nel sistema di autocontrollo della

pubblicità, tutte le idee hanno pari sensibilità e debbono

poter accedere comunque ai massimi livelli di tutela.

di Federico Unnia

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Vizi pubblicitari

Il Giurì fa chiarezza sul modo con il quale devono essere

strutturati i messaggi pubblicitari nel settore delle tlc e

delle tariffe sempre più complesse e articolate. E’ quanto

avvenuto nella recente decisione con la quale ha accolto

il ricorso di Vodafone ed ha dichiarato non conforme

all’art. 2 Cap il messaggio contenente la raf gurazione

dell’I-Phone4, Con tutto compreso l’iPhone4 è tuo a 10

Euro al mese. Secondo il Giurì, solitamente i messaggi

stampa si avvalgono di una gra ca diversa in ragione

dei contenuti e delle informazioni che si intende dare

al consumatore. In particolare, non è corretto che in

questi messaggi nella parte che si riferisce al servizio

offerto si esalti il massimo di quello che il consumatore

può ottenere mentre riferendosi alla tariffa che questi

deve pagare ci si riferisca sempre a quella minima.

Nell caso speci co Tim aveva poi diffuso una seconda

versione del messaggio, che il Giurì ha classi cato

come un ravvedimento operoso che tuttavia conferma

come la nalità sia spesso quella di agganciare il

consumatore con un messaggio ardito, a forte impatto,

non corrispondente al vero, per poi ripiegare su

formule e contenuti più accettabili. Nel merito, per il

Giurì l’utilizzo dell’espressione Tutto compreso, declinata

poi con strisce informative che correggono il senso e

la portata dell’offerta pubblicitaria non è corretto. Ciò

anche in considerazione del fatto che l’indicazione di

un prezzo e un’aggiunta in più, genera disorientamento

sul consumatore, che non è più in grado di identi care

l’importo esatto del servizio che dovrà sostenere per

accedere a quanto pubblicizzato. Inoltre, l’utilizzo di In

più mette il messaggio in contrasto con la parte iniziale

del messaggio stesso in cui l’offerta era presentata

come Tutto compreso. Fatto questo che, sebbene il

consumatore sia abituato ad offerte che cambiano

repentinamente, smentisce logicamente l’idea di tutto

compreso, qui inteso nel senso che quanto offerto, nel

suo insieme, ha un costo unico, tutto compreso. Da

qui lo stop dei messaggi, in quanto l’head-line lascia

intendere che la somma di Euro 7,50/10 sia il costo

totale dell’offerta ed in quanto le note del testo di

accompagnamento erano insuf cienti a chiarire il costo

effettivo delle diverse offerte pubblicizzate.

IL GIURI’ DICE NO A TUTTOCOMPRESO DI TIM

Il passo più lungo della gamba?

Anche i migliori sbagliano, soprattutto se ben sanno

di essere i migliori. Succede anche a quelli bravi,

soprattutto se ben sanno di essere bravi e in questa

coscienza si gongolano. L’ultimo personaggio televisivo

ad essere caduto in questa trappola è Paolo Bonolis,

nito vittima della sua stessa passione per un

programma che ha creato e vissuto in maniera molto

viscerale n dalle prime puntate.

Il mettere in palinsesto il senso della vita è stato spesso

oggetto di trattativa anche per i suoi contratti, ma

quest’anno si è cercato di trasformare radicalmente

la sua natura facendolo diventare da programma

sussurrato, quasi intimistico della seconda serata, un

programma da prime time, con un eccesso di grida e

lustrini che poco si addicono alla natura stessa della

trasmissione.

La prova più evidente di questo fatto è che non esistono

delle sostanziali differenze numeriche negli ascolti de il

senso della vita fra la messa in onda in prima serata e

quella che era la messa in onda in seconda serata.

Va anche detto che, forse proprio per strizzare l’occhio

alla nuova collocazione, viene dato più spazio (e

soprattutto vengono trattate per prime, le storie di

personaggi famosi che, però, continuano a raccontare

le stesse cose dette altre mille volte in altri mille

contenitori.

Per fare un esempio concreto, chi non aveva già sentito

almeno altre due volte Christian de Sica raccontare

la scena del padre Vittorio che, pure giunto alla ne

della sua vita, dedica un apprezzamento colorito

al fondoschiena dell’infermiera che lo assisteva in

ospedale? Ecco, con quella raccontata in una delle

scorse puntate de il senso della vita fanno tre.

Ultimo, ma non meno importante, anche il fatto che,

alla ne della era Paolo Bonolis continui a riproporre lo

stesso schemino logoro che lo vede contrapposto a Luca

Laurenti. Non importa che il marchio dietro alle loro

spalle sia Chi ha incastrato Peter Pan?, Ciao Darwin o,

appunto, il senso della vita.

Alla ne anche i telespettatori più affezionati si stufano.

E farli affezionare nuovamente è molto più dif cile.

di Andrea Polo

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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011

Tele Osservazioni

Hanno rinnovato il concetto di rivista sul web, sono il

sito più seguito nella categoria “letteratura” secondo la

classi ca italiana di Wikio, sono niti anche su “Wired”.

Non sto parlando di maghi del computer o guru del

social media marketing, ma di “Finzioni”, un team di

giovani appassionati dediti ai libri in qualsiasi salsa,

capitanati da Jacopo Cirillo e Carlo Zuffa, under 30 che

hanno riportato con ironia e intelligenza il gusto della

letteratura, partendo da Internet.

Non è un caso che sia venuto in contatto con loro

per la prima volta attraverso Twitter, piattaforma di

microblogging che ogni giorno in Italia accorcia le

distanze e aumenta le utenze. Da un pro lo alla lettura,

al dialogo, no ad arrivare a un confronto diretto e una

sana dose di ironia che è il segreto per vivere bene una

lunga e sana vita. Internet, social network e letteratura:

la rivista “Finzioni” è un piccolo grande progetto frutto

di giovani menti italiane che hanno puntato, rischiato

e – passando al gerundio – vincendo una s da che a

raccontarla servirebbe un libro. E loro, ci tengono a dire,

rimangono lettori. “Crediamo che la lettura sia un atto

creativo e, semplicemente, la trascriviamo”. E allora ecco

un’intervista a una colonna portante, Jacopo Donati,

caporedattore della sezione libri per “Finzioni”.

Ah, un consiglio spassionato: nita l’intervista, andate

su www. nzionimagazine.it, non ve ne pentirete.

1) Descriviti in 140 caratteri.

Studente di loso a, studioso di tutto il resto. Lettore,

scrittore, giardiniere: ho troppo tempo libero da riempire

con troppi interessi.

2) E in termini “ nzioni ani”?

Esperto di tutto, maestro di niente.

3) Com’è iniziata l’avventura chiamata Finzioni?

Finzioni è nato a Faenza, in un bar che ora non esiste

più, a ne 2008. Jacopo Cirillo e Carlo Zuffa alternavano

gli scotch alle birre, e il risultato è il Finzioni che avete

oggi sotto gli occhi: leggero da un lato, graf ante

dall’altro.

Per quanto mi riguarda, invece, tutto è iniziato i primi

giorni del 2009 su aNobii. Una ragazza – Viviana,

anch’essa nella redazione attuale – voleva creare una

rivista letteraria e aveva aperto un gruppo; Jacopo

Cirillo partecipò alla discussione e poco tempo dopo

ricevemmo l’invito a far parte di Finzioni.

4) Finzioni è il primo sito segnalato da Wikio per la

Letteratura: segreto del successo?

Non ci riempiamo la bocca di paroloni e la nostra

leggerezza viene giustamente intesa come chiarezza,

non come super cialità. In questo modo siamo riusciti a

raggiungere lettori che – per formazione – sono sempre

stati abituati a parlare di letteratura in maniera pesante.

Non c’è molta differenza tra il lettore che sceglie

Sartre in biblioteca e quello che compra Wilbur Smith

nell’edicola del lungomare: entrambi amano leggere,

entrambi pensano che il tempo dedicato alla lettura sia

tempo ben speso.

Pochi sanno che quando ci si lamenta che in Italia

leggono in pochi, si parla di lettori deboli, non di

quelli forti. L’Italia ha una percentuale di lettori forti

paragonabile a quella di paesi come Germania o

Inghilterra, ma tra i lettori deboli (quelli che leggono

una manciata di libri all’anno) le cose cambiano

radicalmente. Fino a quando la Scuola obbligherà i

ragazzi a sorbirsi I promessi sposi o altri – importanti

– mattoni, in Italia la lettura sarà vista come un lavoro

e non come un piacere. Ed è proprio per questo che

Finzioni ha successo: la lettura è tornata a essere un

piacere.

5) Come opera la redazione?

La redazione di Finzioni è composta al vertice da Jacopo

Cirillo e Carlo Zuffa; sotto di loro c’è un caporedattore

per ogni sezione del sito (Libri, Extra e News) che

coordina il resto della redazione. Ogni progetto interno

a Finzioni (come Indie per cui, per esempio), ha un suo

responsabile che si occupa di tutto.

Le comunicazioni avvengono direttamente via mail o,

se è necessario contattare la redazione al completo,

attraverso un gruppo su Google Groups. Usiamo Google

Docs per i progetti che riguardano più redattori e

Google Calendar per organizzare la pubblicazione delle

rubriche. I contrattempi capitano sempre, ma se siamo

abbastanza organizzati riusciamo a risolvere tutto in

breve tempo.

>>>

Hanno rinnovato il concetto di rivista sul web, sono il

sito più seguito nella categoria “letteratura” secondo la

classi ca italiana di Wikio, sono niti anche su “Wired”.

Non sto parlando di maghi del computer o guru del

rivista letteraria e aveva aperto un gruppo; Jacopo

Cirillo partecipò alla discussione e poco tempo dopo

ricevemmo l’invito a far parte di Finzioni.

4) Finzioni è il primo sito segnalato da Wikio per la

Letteratura: segreto del successo?

Non ci riempiamo la bocca di paroloni e la nostra

capitanati da Jacopo Cirillo e Carlo Zuffa, under 30 che

hanno riportato con ironia e intelligenza il gusto della

non come super cialità. In questo modo siamo riusciti a

raggiungere lettori che – per formazione – sono sempre

stati abituati a parlare di letteratura in maniera pesante.

Non c’è molta differenza tra il lettore che sceglie

Sartre in biblioteca e quello che compra Wilbur Smith

nell’edicola del lungomare: entrambi amano leggere,

entrambi pensano che il tempo dedicato alla lettura sia

Pochi sanno che quando ci si lamenta che in Italia

leggono in pochi, si parla di lettori deboli, non di

entrambi pensano che il tempo dedicato alla lettura sia

tempo ben speso.

Pochi sanno che quando ci si lamenta che in Italia

leggono in pochi, si parla di lettori deboli, non di

quelli forti. L’Italia ha una percentuale di lettori forti

Non è un caso che sia venuto in contatto con loro

per la prima volta attraverso Twitter, piattaforma di

distanze e aumenta le utenze. Da un pro lo alla lettura,

leggono in pochi, si parla di lettori deboli, non di

quelli forti. L’Italia ha una percentuale di lettori forti

paragonabile a quella di paesi come Germania o

Inghilterra, ma tra i lettori deboli (quelli che leggono

una manciata di libri all’anno) le cose cambiano

radicalmente. Fino a quando la Scuola obbligherà iradicalmente. Fino a quando la Scuola obbligherà i

ragazzi a sorbirsi I promessi sposi o altri – importanti

– mattoni, in Italia la lettura sarà vista come un lavoro

e non come un piacere. Ed è proprio per questo che

Finzioni ha successo: la lettura è tornata a essere un

La redazione di Finzioni è composta al vertice da Jacopo

Cirillo e Carlo Zuffa; sotto di loro c’è un caporedattore

per ogni sezione del sito (Libri, Extra e News) che

coordina il resto della redazione. Ogni progetto interno

a Finzioni (come Indie per cui, per esempio), ha un suo

responsabile che si occupa di tutto.

Le comunicazioni avvengono direttamente via mail o,

se è necessario contattare la redazione al completo,

attraverso un gruppo su Google Groups. Usiamo Google

Docs per i progetti che riguardano più redattori e

Google Calendar per organizzare la pubblicazione delle

rubriche. I contrattempi capitano sempre, ma se siamo

Finzioni è nato a Faenza, in un bar che ora non esiste

più, a ne 2008. Jacopo Cirillo e Carlo Zuffa alternavano

gli scotch alle birre, e il risultato è il Finzioni che avete

oggi sotto gli occhi: leggero da un lato, graf ante

abbastanza organizzati riusciamo a risolvere tutto in

breve tempo.

>>>>>>

“Finzioni“ un team di giovanidediti ai libri

di Matteo Bianconi(Copywriter & Social Media Strategist@ Pragmatika)

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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011

Let’s Social

<<<

6) Finzioni è un normale “posto di lavoro”?

È come dovrebbe essere un normale posto di lavoro.

Ogni redattore è parte di un progetto in cui crede e

parla di cose che ama. All’interno di Finzioni c’è un

brainstorming continuo a cui ogni redattore prende

parte e dà il suo contributo, e molti progetti sono

proprio nati così, da un’idea abbozzata prima da

qualcuno e poi ri nita dagli altri. Quasi ogni rubrica è

pensata dalla persona che la curerà di volta in volta: ciò

porta tutti i redattori a lavorare con passione e costanza.

7) L’editoria digitale è un fatto social(e)?

Credo lo sia la lettura, ma lasciando riposare in pace

il povero Durkheim e guardando solo al “social”, è

fantastico osservare cosa sta accadendo in questi anni ai

lettori. aNobii e Goodreads hanno utenti che non sanno

neppure qual è il colore dominante di Facebook, ma sui

social network specializzati sono in brodo di giuggiole:

partecipano attivamente, creano gruppi che spesso

escono dal virtuale e si appropriano del reale. Grazie a

internet e grazie ai social networks la lettura è diventata

qualcosa di meno introverso e, per molti, qualcosa di

ancora più piacevole.

8) La visione del web da parte della redazione?

Parlare di piazza virtuale è banale perché il web è

diventato molto di più, basti pensare che in Finlandia

l’accesso a Internet è stato dichiarato un diritto umano.

E poi, da un punto di vista più pratico, il web dà la

possibilità a tantissime persone di reinventarsi e di

creare qualcosa di concreto.

9) Saluti speciali? :)

Due: al mio libraio e al mio oculista, entrambi ricchi da

quando mi conoscono.

parla di cose che ama. All’interno di Finzioni c’è un

brainstorming continuo a cui ogni redattore prende

parte e dà il suo contributo, e molti progetti sono

proprio nati così, da un’idea abbozzata prima da

qualcuno e poi ri nita dagli altri. Quasi ogni rubrica è

pensata dalla persona che la curerà di volta in volta: ciò

partecipano attivamente, creano gruppi che spesso

escono dal virtuale e si appropriano del reale. Grazie a

internet e grazie ai social networks la lettura è diventata

qualcosa di meno introverso e, per molti, qualcosa di

ancora più piacevole.

8) La visione del web da parte della redazione?

Credo lo sia la lettura, ma lasciando riposare in pace

diventato molto di più, basti pensare che in Finlandia

l’accesso a Internet è stato dichiarato un diritto umano.

E poi, da un punto di vista più pratico, il web dà la

possibilità a tantissime persone di reinventarsi e di

creare qualcosa di concreto.

Due: al mio libraio e al mio oculista, entrambi ricchi da

9) Saluti speciali? :)

Due: al mio libraio e al mio oculista, entrambi ricchi da

quando mi conoscono.fantastico osservare cosa sta accadendo in questi anni ai

“Finzioni“ un team di giovanidediti ai libri

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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011

Let’s Social

Anno 6 - martedì 26 aprile 2011

NO AL PIENO DI VITALITA’E’ INGANNEVOLE

Uno dei cardini del sistema di autodisciplina pubblicitaria

è sancito nell’art. 6 cap. La norma, a quanto pare

sfuggita ai più che fanno pubblicità nel settore dei

prodotti dietetici ed integratori alimentari, stabilisce un

principio generale, di buon senso. Se fai un’affermazione

in un messaggio pubblicitario, devi essere subito nella

condizione di dimostrare che dice il vero. Altrimenti,

anche una mezza verità, non basta e scatta la

presunzione di ingannevolezza.

Bene, questa regola pare spesso dimenticata o

volutamente tralasciata da chi promuove pubblicità che

promettono facili dimagrimenti. Un caso recentissimo

è quello che ha visto il Presidente del Comitato di

Controllo, in iggere lo stop emettendo una ingiunzione

di desistenza contro il messaggio “Il pieno di

vitalità”, relativo al prodotto Ginsana, in quanto l’ha

– giustamente – ritenuto manifestamente contrario

agli artt. 2 – Comunicazione commerciale ingannevole

– e 23 bis – Integratori alimentari e prodotti dietetici

– del Codice di Autodisciplina della Comunicazione

Commerciale. L’inserzionista non ha assolto l’onere della

prova previsto dall’art. 6 del Codice, dal momento che

la richiesta del Comitato di Controllo volta a veri care

l’asserita ef cacia dei prodotti pubblicizzati, nonché il

vanto “frutto della ricerca svizzera più avanzata”, non ha

trovato adeguato riscontro.

L’inserzionista si era limitato a produrre un Medico-

Marketing Package e un articolo che esamina l’effetto

del Ginseng G115 (in due versioni, ma chiaramente

riferite allo stesso studio sperimentale) i quali non

fornivano alcun sostegno alle affermazioni del

messaggio.

In particolare, l’articolo, che faceva riferimento ad

uno studio condotto su 43 sportivi di élite (e quindi

un campione tutto differente da quella cui si rivolge il

messaggio pubblicitario), rilevava che non era possibile

trarre conclusioni de nitive dai dati raccolti, anche per

problemi metodologici connessi al disegno sperimentale

adottato. Non è stato inoltre presentato alcun dato,

nella letteratura scienti ca disponibile nelle banche

dati di consultazione più comune, che supportasse in

qualche modo la vantata ef cacia sulla “resistenza sica”

e sui “tempi di recupero”. Allo stesso modo, non è stato

fornito alcun serio riferimento alla presunta ef cacia

nella lista ministeriale italiana degli integratori botanici

utilizzabili, che de nisce anche le indicazioni riconosciute

dal Ministero per il loro uso.

Tutto ciò è emerso nel corso dell’istruttoria condotta dal

Comitato di controllo e che ha portato all’ingiunzione di

desistenza, ed ha portato il Comitato ad affermare che il

messaggio era in contrasto con l’art. 23 bis del Codice;

norma che stabilisce chiaramente che “la comunicazione

commerciale relativa agli integratori alimentari ... non

deve vantare proprietà non conformi alle particolari

caratteristiche dei prodotti, ovvero proprietà che non

siano realmente possedute dai prodotti stessi”.

La comunicazione inoltre enfatizzava in diversi punti

il fondamento scienti co dei risultati promessi, con

affermazioni quali: “clinically proven”; “studi clinici

internazionali”, che avrebbero dovuto dimostrare

l’ef cacia dell’estratto di Ginseng G115, unico

ingrediente dei prodotti “Ginsana”; nonché il fatto

che gli stessi sono “frutto della ricerca svizzera più

avanzata”. Tali affermazioni risultano tuttavia, come

evidenziato, prive di adeguato riscontro scienti co.

In ne, l’espressione “sono venduti solo in farmacia” –

limitatamente all’utilizzo dell’avverbio “solo” – ancorché

rispondente al vero, non può essere correttamente

impiegata nel caso di prodotti la cui vendita in farmacia

è dovuta ad una libera scelta imprenditoriale e non

invece ad un obbligo di legge. Il mancato assolvimento

dell’onere probatorio crea una lacuna che si ri ette

negativamente sulla valutazione di liceità del messaggio

in ordine alle affermazioni in esso contenute e determina

necessariamente una presunzione di ingannevolezza

delle stesse.

Una decisione saggia, o quanto meno, dovuta e non

nuova per il Comitato. Quel che lascia francamente

perplessi è però il comportamento dei mezzi i quali,

è bene dirlo, di questi tempi, pur di aver pubblicità,

non guardano in faccia nessuno. Ogni messaggio va

bene, pazienza che dica il falso, non sia supportato

da dati certi, e nisca magari per ledere proprio quei

consumatori che sono lettori delle testate stesse.

di Federico Unnia

9

Vizi pubblicitari

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L’information Technology versola ripresa

Non è realistico parlare di uscita dal tunnel, né di tempo

sereno per il mercato dell’Information Technology

italiana. Ma il barometro dell’Assintel Report, che esce

oggi con le sue Anticipazioni sul primo trimestre, volge

al variabile.

Questa è una discreta notizia, perché il settore sta

vivendo la coda di una crisi lunga e intensa: il 2010

complessivamente ha chiuso in forte perdita (-7,6%),

mentre la primavera 2011 dipinge all’orizzonte segnali di

varia natura, legati sia ad una generale e positiva ripresa

di PIL e investimenti, sia ad uno scenario internazionale

turbolento e dagli effetti macro-economici imprevedibili.

Il trend sembra comunque tracciato, ed è un passaggio

progressivo dal brutto al bel tempo.

Il primo trimestre di quest’anno segna una crescita del

+13,2% rispetto al medesimo periodo del 2010, che a

sua volta, in piena crisi, crollava del -25,8% rispetto ai

primi tre mesi del 2009.

Il segnale è positivo, sebbene il confronto diretto con

l’ultimo trimestre 2010 sia negativo (-8%), inquadrato

nella stagionalità tipica del mercato, che presenta picchi

di spesa a ne anno dovuti agli avanzi di budget delle

imprese e alla crescita della domanda consumer nel

periodo natalizio. Il mercato del trimestre è trainato dal

Software (+19,2%) e dai Servizi IT (+14,4%, in netto

miglioramento), in coda l’Hardware (+6,9%).

“L’elemento più signi cativo di questi mesi è l’inversione

di tendenza generale del mercato. Ma se leggiamo i

fenomeni nel dettaglio, ci preoccupa il ritardo della

ripresa italiana rispetto agli altri Paesi, sintomo di quelle

carenze di politiche sistemiche di sviluppo fondate

sull’Innovazione che lamentiamo ormai da alcuni anni”

commenta Giorgio Rapari, Presidente di Assintel.

I grandi spender, Banche e Industria, che da soli

coprono oltre il 40% della spesa IT in Italia, hanno

ripreso ad investire. E le Grandi Imprese, grazie ad una

gestione oculata dei budget e della spesa ricorrente,

prevedono un 8% di spesa dedicata a nuovi progetti

IT: “questo è il vero segnale positivo, la rondine che

fa primavera, perché ci dice che nalmente si torna a

parlare di Innovazione nel senso strategico del termine”,

commenta Alfredo Gatti, managing partner di Nextvalue,

che ha realizzato la ricerca.

In complesso si prevede che dal terzo trimestre la spesa

IT riprenderà progressivamente consistenza (+1,3%)

no ad arrivare al +5,4% del quarto trimestre: l’anno

dovrebbe così chiudersi quasi in pareggio (+7,4%)

rispetto alle perdite del 2010. Restano all’orizzonte le

incertezze macro economiche legate a quanto accaduto

in Giappone e nel Maghreb, che però non impattano

direttamente sul nostro mercato IT e quindi non

dovrebbero avere particolare rilevanza.

A livello geogra co, sarà il Nord Ovest del Paese a

trainare la spesa tecnologica (+7,8% a livello annuo)

con investimenti pari al 34% del totale Italia, mentre

il Centro crescerà più di tutti in termini di velocità di

ripresa degli investimenti (+9,7%). La ripresa sarà

più lenta nel Nord Est (+6,5%) e soprattutto nel Sud

(+6,3%), penalizzato anche da un “canale” dell’Offerta

IT meno strutturato.

Il settore sta lentamente tornando ai volumi di due

anni fa, ma il contesto è profondamente cambiato:

come accade dopo ogni trauma, le tracce lasciate da

questo biennio nero hanno inciso solchi permanenti

sulla “personalità” stessa del mercato, che ne risulta

cambiata.

Queste Anticipazioni, che preludono la presentazione

dell’Assintel Report annuale di ottobre, vogliono

essere un punto di riferimento per l’individuazione e

l’interpretazione strategica di questi nuovi tratti, al di là

dei numeri che in sé sono sterili. Si dipinge così quella

che ormai è la nuova normalità del mercato IT, in cui la

pressione competitiva è massima e Domanda e Offerta

interagiscono come non mai sulle reti dell’informazione

condivisa, che diviene asset strategico produttore di

valore. Social Media, Cloud e Mobile Computing sono le

parole d’ordine: processi che determinano lo sviluppo

tecnologico e, contemporaneamente, tecnologie che

facilitano i processi. E la variabile “velocità” diviene il

vero delta competitivo.

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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011

I marchi low cost nella s da tra i colossi della telefonia mobile

7Pixel ha realizzato una nuova ricerca relativa al mercato

dei cellulari attraverso il suo Osservatorio che illustra

gli interessi di consumo online in base alle ricerche

di prodotto effettuate dagli utenti sui siti del network

(Shoppydoo.it e Trovaprezzi.it). Ogni mese i due siti per

la comparazione prezzi e lo shopping online raccolgono

oltre 5,5 milioni di visite. La rilevazione si riferisce al

periodo gennaio-dicembre 2010 ed è stata effettuata su

un campione di oltre 7 milioni di ricerche.

Dall’analisi emerge una situazione in cui circa il 70%

delle preferenze del mercato si concentra, ogni mese,

su due sole case produttrici: Nokia e Samsung. Da sole

totalizzano in media circa sette ricerche su dieci. Nokia

resta in cima alle preferenze degli italiani per tutto il

2010 con una media del 38,66% nettamente superiore

alle altre. Competitor principale la coreana Samsung con

una media annuale del 27,83%.

Nokia

Le ricerche relative al marchio Nokia diminuiscono

nel corso dell’anno dal 42,39% di gennaio al 36,94%

di dicembre. Il trend di contrazione della quota

Nokia rispetto al mercato delle vendite online si può

osservare ancora meglio allargando la visuale: a

gennaio 2008 la quota di Nokia era del 61,55%, a

gennaio 2009 era il 56,24%, a gennaio 2010 il 42,39%

no all’assestamento su una quota del 37% circa

nel periodo giugno – dicembre 2010. Tutto questo

nonostante la buona affermazione di diversi singoli

modelli che hanno saputo interpretare i desideri di un

mercato in rapida evoluzione: il Nokia 5800 Xpress

Music è il primo cellulare più venduto da gennaio

2009 a marzo 2010 (con l’unica eccezione di dicembre

2009 in cui è secondo) e resiste comunque in top ten

no a dicembre 2010. Il successo, per diversi motivi

clamoroso del Nokia 5800 indica anche quale sia una

desiderabile combinazione di caratteristiche per il

mercato: smartphone, touchscreen, fotocamera, GPS

e prezzo medio il più possibile aggressivo; esso è

costantemente sceso dai 351,84 euro di gennaio 2009 ai

173,16 di dicembre 2010. Ciò che ha penalizzato Nokia

in questi due anni non è stata l’incapacità di vincere la

battaglia sul singolo modello, in questo caso stravinta

dal 5800 rispetto a qualunque altro competitor, bensì

la capacità di vincere la battaglia tra “ecosistemi” per

smartphone. Per ora Nokia con Symbian ha dovuto

cedere il passo a Apple iOS e Google Android. Sia Apple

sia Google hanno saputo creare e offrire a utenti e a

sviluppatori un habitat per smartphone in tutto più

completo e performante rispetto a quello di Nokia, in

particolare nel campo dello sviluppo delle applicazioni.

L’11 febbraio 2011 Nokia e Microsoft hanno annunciato

una partnership per affrontare insieme l’attuale duopolio

Apple-Google nel settore, destinato a diventare decisivo,

degli smartphone. Voci insistenti prevedono un’uscita

abbastanza ravvicinata per i nuovi cellulari basati su

Windows Mobile 7 e nonostante le molte incognite

la s da congiunta di Microsoft e Nokia ai competitor

potrebbe sconvolgere gli attuali equilibri.

Samsung

Samsung è seconda con una media annuale del 28,73%

ma non pare avvantaggiarsi direttamente del declino

Nokia: la quota di mercato Samsung (con qualche

variazione episodica e abbastanza limitata) è attestata

su questi livelli già dall’agosto 2008. Il vantaggio

competitivo di Samsung si manifesta nel presidio di

tutta la catena del valore della liera produttiva, dalla

componentistica (della quale è fornitrice anche di diretti

concorrenti tra i quali Nokia stessa) all’assemblaggio.

I modelli Samsung escono a getto continuo e

aggrediscono il mercato in ogni suo segmento: un mix

di qualità percepita e prezzo aggressivo fanno sì che

mediamente ci siano quattro modelli Samsung in top ten

con un minimo di due in aprile ed un massimo di sei in

luglio e agosto.

LG e HTC

LG è terza da gennaio a settembre (5,72% media del

periodo). La forza di questo marchio è sottostimata dal

fatto di non aver presentato lungo tutto l’arco del 2010

un prodotto di punta che identi casse con precisione

la loso a mobile di questo produttore coreano, come

avvenne al contrario nel 2009 con il KP500 Cookie che

rimase nella top ten dei modelli più popolari da febbraio

a ottobre. Da ottobre in poi è HTC con il suo Android

ad avere il terzo posto virtuale con il 6,73% delle

ricerche ed è protagonista di una dinamica di mercato

interessante, anche per il confronto con l’iPhone di

Apple e il Blackberry di Rim. HTC compariva tra le

prime dieci marche a giugno del 2009, nel periodo che

seguiva il lancio dello smartphone HTC Magic, il primo

full touchscreen con sistema operativo Android. Era

ultima della top ten e rincorreva i due colossi. In tutto

il 2010 HTC (trainata anche dal successo del Desire

che debutta al quinto posto in top ten in maggio e vi

rimane per quattro mesi) ha superato sia Rim sia Apple

mantenendo la supremazia sulle due concorrenti.

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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011

I marchi low cost nella s da tra i colossi della telefonia mobile

Anycool e CECT

Al quarto posto da gennaio a marzo c’è Anycool, linea

indipendente di cellulari low cost con possibilità di dual

sim, progettati e costruiti dalla cinese KDI. Anycool inizia

il 2010 con il 5,25% di ricerche, più di Apple (3,14%)

e di Motorola (2,09%). A marzo raggiunge il 6,40% di

preferenze e a maggio è addirittura al terzo posto tra le

marche più cercate. Il suo andamento è in discesa poi

nei mesi successivi no a toccare il 2,38% a dicembre,

ma resta comunque tra le prime dieci marche.

Un’altra dinamica interessante a proposito di marchi

low cost è quella che riguarda la cinese CECT. In tutto il

periodo è presente nella “top ten”. A gennaio 2010 CECT

è sesta con il 3,74% di ricerche (Apple è settima con il

3,14%) e si mantiene stabile tra la sesta e la settima

posizione no a giugno. Da luglio in poi è presente nella

parte più bassa della classi ca e a dicembre ne esce, ma

mantiene una media del periodo di 2,83%.

Anycool e CECT hanno scelto di competere con i

colossi del settore offrendo alternative dal design

accattivante (nel caso di CECT praticamente un “clone”

dell’iPhone) differenziandosi su funzioni di nicchia come

appunto il dual sim. Il prezzo di questi telefonini non

ha concorrenti. Il prodotto di punta di CECT (I9 3G)

ad esempio costa mediamente 80 euro. Sui 100 euro,

invece, il prezzo medio delle proposte di Anycool.

NGM

Caso particolare è NGM, azienda con sede in Toscana

che modi ca e distribuisce cellulari costruiti all’estero,

in particolare in Cina. NGM propone dispositivi dual sim

rispondenti alle normative europee, tutti i suoi modelli

sono coperti da garanzia italiana e si appoggia ad una

rete di centri di assistenza convenzionati; questo mix

di servizi offerti, grazie anche al design accattivante e

ricercato di alcuni modelli, ha fornito un buon riscontro

quantitativo nelle vendite online. NGM esordisce nella

top ten dei brand in agosto 2010, al nono posto con

il 2,30% della quota di mercato, e scala la classi ca

mese dopo mese no al quinto posto di novembre

e dicembre (peraltro i mesi più performanti per gli

acquisti online) quando raggiunge il 4,45% della quota

di mercato. Il motore di questo successo natalizio è un

modello, il Vanity, che da solo ha rappresentato oltre

la metà delle ricerche complessive su modelli NGM nei

mesi in cui è stato presente in listino. Progettato per un

target femminile (ad esempio presenta uno specchietto

nella parte posteriore della scocca) e impreziosito da

cristalli Swarovski, il Vanity risulta il quarto modello più

popolare di novembre (2,66%) e il quinto di dicembre

(2,25%), unico cellulare non touchscreen tra i primi 15

in graduatoria.

Apple e Rim

La casa di Cupertino si attesta su una media di 3,19%

nel periodo considerato con una posizione altalenante,

tra il quinto e il settimo posto. Il risultato è da

considerare in ogni caso decisamente buono se si pensa

che Apple è presente con una sola linea di prodotto

con modelli che si competono solo nel segmento degli

smartphone di fascia alta. A giugno è stato presentato

l’iPhone 4, evoluzione del precedente modello. Ad

agosto si nota un incremento della quota di ricerche

(4,37%) e l’iPhone 3G scompare dalla classi ca dei

modelli più popolari.

Performance non proprio brillante per Rim e il suo

Blackberry (1,69% da gennaio a maggio), che a giugno

esce dalla top ten per ricomparire a novembre e

dicembre con il 2,20% circa di ricerche.

Motorola e Sony

Motorola e Sony Ericsson registrano un andamento

stabile. La prima a gennaio totalizzava il 2,09% delle

ricerche; nel mese di novembre esce dalla classi ca

per riemergere a dicembre con l’ 1,89%. Sony Ericsson

oscilla tra la settima e la nona posizione e mantiene

un andamento piuttosto costante in tutto il periodo di

riferimento (2,30%), unico picco a giugno in cui tocca il

3,04%.

I modelli

Per quanto riguarda i singoli modelli venduti online,

in generale, si assiste allo stesso fenomeno di

concentrazione delle preferenze già osservato nel caso

delle marche. I cinque modelli più popolari di ogni mese

totalizzano circa il 18% del mercato. Esemplare a questo

proposito è il caso di Nokia che presenta sul canale di

vendita online una gamma di circa 140 modelli. Nella

classi ca della top ten prodotti infatti almeno cinque

sono Nokia. La casa nlandese mantiene sempre il

primato attraverso l’ampiezza e la continua innovazione

della gamma di prodotto con una politica di prezzo che

rende accessibili i suoi modelli a un ampio target. Nello

speci co, il prezzo medio dei cellulari Nokia tra gennaio

e dicembre oscilla tra un minimo di 115 euro e un

massimo di 167 euro.

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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011

I marchi low cost nella s da tra i colossi della telefonia mobile

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Come già illustrato in precedenza da gennaio a marzo

e poi da giugno ad agosto il primato è del Nokia 5800

Xpress Music che no ad ottobre non scende mai sotto

il terzo posto e mantiene una media in tutto l’anno del

3,99%. Il prezzo oscilla tra i 170 e i 190 euro. Ottime

anche le performance del modello Nokia 5230 (3,31%)

con un posizionamento di prezzo simile. Mentre tra i

cellulari Nokia caratterizzati da una fascia prezzo più alta

(250-350 euro) troviamo in maniera meno costante in

classi ca l’N97, N97 mini e l’E72.

Samsung al pari di Nokia è sempre presente in classi ca

con almeno quattro modelli: S5230 Star, S8000Jet e D

C661 Duos e i8919 Omnia HD con un posizionamento

di prezzo molto più elevato rispetto agli altri tre. Oltre i

300 euro contro i 150 di media degli altri. A luglio entra

in classi ca il Samsung i9000 Galaxy che ruba la scena

agli altri. Il Galaxy, smartphone di fascia alta, costa circa

450 euro. A dicembre è secondo con il 3,80% delle

preferenze della categoria. Samsung dunque non s da

solo Nokia nella categoria cellulari, ma anche Apple ed

il suo iPhone. Per ora la battaglia con Apple è vinta. Ma

Nokia resiste prima tra le marche di cellulari.

Con l’uscita dell’iPhone 4 a giugno, la “mela” si risveglia

un po’ a partire da agosto (1,47%), ma l’effetto dura

poco e a ottobre non rientra più tra i primi quindici

modelli. Prezzo medio dei tre mesi: 680 euro.

In quasi tutto il periodo sono presenti inoltre i marchi

low cost precedentemente descritti CECT e Anycool con

i modelli CECT I9 3G e Anycool T3038. Il modello cinese

(esteticamente molto simile ad iPhone) tocca il prezzo

medio di 59 euro a novembre. Anycool più alto si ferma

a 92euro a luglio.

Quindi, da una parte cresce l’interesse per il mercato

dei cellulari low cost, dall’altra il mercato dei cellulari

continua a esercitare il suo fascino sui consumatori

indipendentemente dalla situazione economica del

momento e pare restare un’isola felice nei consumi degli

italiani.

I modelli touchscreen

Un’altra considerazione importante è relativa alla

tecnologia. Tra i primi dieci modelli più popolari di

ogni singolo mese almeno otto sono touch screen.

Questo dato indica come ormai questa caratteristica,

in tutte le sue declinazioni e varianti, sia diventata

quasi irrinunciabile perché un modello abbia successo,

complice anche una leggera ma costante diminuzione

del prezzo medio di offerta al pubblico che ri ette

l’esordio sul mercato di modelli a costi relativamente

contenuti. Per veri care la inarrestabile crescita del

touchscreen è suf ciente allargare un po’ il punto di

vista. In gennaio 2009 tra i dieci modelli di cellulare più

cercati solo 2 erano touchscreen, non a caso i primi due

della graduatoria di gradimento: il Nokia 5800 Xpress

Music ed il Samsung SGH i900 Omnia. A gennaio 2009

il touchscreen rappresentava una quota di mercato

complessiva dell’8,45% che già a dicembre 2009 era

più che sestuplicata assestandosi sul 54,47%. Dopo un

ulteriore anno, a dicembre 2010, tra i primi dieci modelli

più popolari nove sono touchscreen (e ben 14 tra i primi

15) con una quota complessiva di ricerche di cellulari

con questa tecnologia che sale al 69,75% sul totale.

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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011

Anno 6 - martedì 26 aprile 2011

La ne annunciata del giornale stampato

Dove sta andando l’informazione in America

Suona il telefono.

“Qui è il Washington Post. Sono Erika. Vorremmo sapere

perché ha disdetto il suo abbonamento con il nostro

quotidiano, please.”

Comincio ad andare fuori giri: “Questa è la quinta

telefonata che ricevo oggi dal vostro giornale. Non

ne posso più. Anche questo è uno dei motivi per cui

confermo che non voglio più sottoscrivere alla vostra

testata.”

Purtroppo per me e per le migliaia di cittadini americani

che si trovano nelle stesse condizioni di spirito, questi

episodi telefonici si ripetono ogni giorno, protagonisti

quelli che lavorano nei call centers delle diverse testate.

E siccome ognuno ha da risolvere i propri problemi

professionali, non è che alle poverette malpagate che

devono chiamare con voce stanca quelli che hanno

cancellato le subscription uno possa dedicare la s lza

delle ragioni per cui si è arrivati alla decisione di fare a

meno del quotidiano.

Ma le voglio esporre qui al Lettore anche se so bene che

incontrerò molte critiche e pareri negativi. Questa è la

forza della democrazia.

Chi scrive non appartiene alla generazione X o Y come

vengono identi cati i giovani che si affacciano al mondo

dell’informazione professionale. Sono un anziano

professionista che dovrebbe essere incollato al giornale

stampato su carta che preferisce.

Le mie fonti le trovo invece sul PC, sullo smart phone

oppure sul mio netbook (un piccolo computer che

sostituisce alla grande il reclamizzato IPad ad un prezzo

di acquisto che è pari alla metà).

Il mestiere di blogger mi tiene incollato al computer per

molte ore al giorno. Mi sono reso conto che da un po’ di

tempo a questa parte le copie di giornali e periodici non

letti si ammassano sui miei tavoli.

La ragione di questo spreco non solo di moneta da parte

mia, ma anche da un punto di vista ecologico, consiste

principalmente nel fatto che le notizie pubblicate su

carta sono vecchie rispetto all’aggiornamento che posso

ottenere dalle pagine online delle stesse testate, dai

blog più noti, sia pure di diversa tendenza politica,

(Drudge Report, Uf ngton Post), dai social networks tipo

Facebook, You Tube e Twitter, per citare i più noti.

Dice: “Per forza, se stai sempre al computer è chiaro

che non hai tempo per leggerti il giornale.”

Capisco e comprendo i molti amici, soprattutto italiani,

che mi dicono che per loro la lettura del quotidiano è un

rito, da recitare con un caffè a portata di mano e, per

chi ha il vizio, una sigaretta, stando in poltrona.

Per anni ho sottoscritto l’abbonamento al Post, al

New York Times e al Wall Street Journal. Si tratta di

quotidiani che hanno fatto la storia di questa nazione-

continente.

Ma con tutto il rispetto per le glorie passate devo

confessare che la lettura del Washington Post, (tanto

per fare un esempio concreto), mi ha spesso infastidito.

Molte pagine costituite da un piccolo articolo relegato

in alto a sinistra ed il resto dello spazio interamente

occupato da una inserzione pubblicitaria. E nonostante i

tanti ritocchi nella gra ca di questo giornale non è che la

situazione sia di molto cambiata in meglio.

Qualcuno dice che questo dipende dal fatto che il

più importante quotidiano della Capitale degli Stati

Uniti deve rispondere ad una clientela composita e

contrapposta.

Da una parte la classe politica e parapolitica che vive

le sue giornate di lavoro all’interno della Belt Way ,

la tangenziale che circonda la Greater Washington,

quell’area che comprende Washington DC (District of

Columbia) e alcune contee della North Virginia e del

Maryland.

E poi il gran pubblico degli African-Americans che

costituiscono quasi il 70% della popolazione della

città e che hanno interessi distanti da quelli della

intellighenzia politica, lobbistica, impegnata nel Fondo

Monetario piuttosto che nella Banca Mondiale e nel

Banco InterAmericano de Desarrollo. Per non parlare

delle ambasciate che ogni giorno devono fare il rapporto

ai propri dante causa e spesso si limitano a ricopiare gli

articoli del Post.

Un giornale bicefalo con notevoli cali di stile da una

sezione all’altra. Fenomeno questo tipico di tanti altri

newspapers americani e italiani.

Ma, a differenza delle testate americane, i giornali

italiani devono coprire ‘tutto’: politica, costume, sport,

spettacoli, cultura e gossip, i pettegolezzi. I quotidiani

italiani sono ‘tuttologi’ e da un punto di vista gra co

migliori rispetto a quelli statunitensi.

I pettegolezzi, le notizie rosa o dark, la cronaca nera

ampli cata, nella realtà anglosassone, sono materia da

tabloid, i giornali della sera che negli ultimi tempi sono

riusciti ad assicurarsi in America degli scoop eccezionali,

nonostante il termine ‘tabloid’ sia diventato nel tempo

sinonimo di notizie inventate a tavolino.

continua

di Oscar Bartoli

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