Pubblicità:per togliersi dai guai non basta più unarivoluzione, ma occorre una
ri(e)voluzione della specie!di Francesco Cataldo Verrina a pagina 2
UNA PAUSAdi Maurizio Rompani a pagina 4
Il passo più lungodella gamba?di Andrea Polo a pagina 6
VOLGARITA’:
LA NUOVA BUSSOLA DEL GIURI’
di Federico Unnia a pagina 3
“Finzioni“ un teamdi giovanidediti ai libridi Matteo Bianconi a pagina 7
L’informationTechnology versola ripresaa pagina 11
I marchi lowcost nella s da tra i colossi dellatelefonia mobilea pagina 12
La ne annunciata del giornalestampatodi Oscar Bartoli a pagina 15
Pubblicità:per togliersi dai guai non basta piùuna rivoluzione, ma occorre unari(e)voluzione della specie!
Lo scrivo con immenso rammarico e non poco
turbamento, ma ho come l’impressione che la pubblicità
somigli sempre più ad una vecchia creatura cadente ed
appesantita, curva ed incapace di rialzarsi. Fuori da ogni
metafora, i dati dipingono una situazione decisamente
insostenibile.
Chi aveva supposto, o quanto meno desiderato che il
2010 fosse stato l’ultimo “anno horribilis” di una lunga
serie, ha visto sfumare anche questa speranza. I Latini
dicevano “spes ultima dea”: chissà che non possa
accadere qualcosa di inatteso e rimettere tutto a posto?
Purtroppo, a giudicare dall’aria che tira, ci vorrebbe un
vero e proprio miracolo. Il 2011 è cominciato male e
forse nirà peggio. Gli investimenti pubblicitari verso
tutti i mezzi tradizionali sono in calo, in particolare la
carta stampata è quasi alla canna del gas. Solo la Rete
mantiene un trend attivo, ma non risolve nulla, anzi
acuisce le disfunzioni di un sistema allo sbando.
Sono tanti i segnali che denunciano la necessità di
una profonda rivisitazione dei modelli di business
nora utilizzati e del modo di fare comunicazione a cui
eravamo tutti abituati.
Intanto la pubblicità non funziona più come una volta,
almeno nel meccanismo. Già da tempo siamo entrati
nell’era del dialogo, ovvero della comunicazione a due
vie, ossia quella che abbiamo più volte de nito “era dei
mercati dialoganti”. In massima parte la comunicazione
commerciale continua a presentarsi al pubblico come
un “monologo”, talvolta un soliloquio ne a se stesso
e surclassato dall’eccesso di fragore mediatico che lo
avvolge.
Il crollo di ef cacia sul piano della “brand awareness” è
certamente da imputare ad alcune cause note da tempo.
In primis il grande affollamento di messaggi, la perpetua
proliferazione di media e piattaforme già obsolete prima
di poter essere sperimentate e tarate sul business - e
il web in questo ha non poche responsabilità - ma in
particolare la progressiva refrattarietà dei consumatori
che vedono nella pubblicità vecchia stampo un
“venditore” a tutti i costi. I neo-consumatori sovente
non trovano un vero e attento ascolto delle loro reali
necessità sia sul piano emotivo che razionale ed etico.
La pubblicità è glia legittima del sistema industriale
di massa e della “customer satisfaction”, visione da
ritenersi superata e restrittiva. Il focus continua ad
essere incentrato su “customer” e derivati, senza
considerare gli aspetti molto più ampi in cui un essere
umano si realizza, i quali non sono solo emotivi, ma
anche razionali ed etici. Tali aspetti sono misurabili sia in
riferimento alle esigenze che alle soddisfazioni ricevute.
Quasi mai i dati raccolti e gli imput provenienti dal
mercato combaciano con le esigenze delle imprese.
Ecco quindi un altro ostacolo: talvolta la scarsa qualità
delle ricerche incide profondamente sull’ef cacia della
comunicazione. I responsabili di istituti di ricerca, per
evidenti motivi di business, sanno che non sempre
sia possibile dire tutta la verità per non “offendere il
committente”, privilegiando quindi l’ottenimento del
lavoro di ricerca e del business ad esso collegato, in
barba alla norma etica e deontologica che prevede il
rispetto della verità.
Da qui, un’ulteriore perdita di ef cacia e grado
di penetrazione della pubblicità, da mettere in
relazione all’impossibilità di poter rispondere alle
esigenze dell’essere umano-cliente, che desidera
sentirsi “ascoltato” in tutte le sue istanze, esprimibili
in item de nibili. A tutto ciò si aggiunga l’invasività
e l’ossessionante ripetitività tesa a compensare
l’assordante rumore di fondo prodotto dal
sensazionalismo scellerato dei media.
Un ennesimo elemento di non funzionalità della
leva pubblicitaria nasce dalla discrepanza sempre
più evidente fra creatività tendente alla pura “brand
awareness” e la necessità di messaggi che si facciano
ricordare nei contenuti e che siano, oltremodo, ritenuti
utili dai fruitori. Non ultimo per importanza – come
già accennato - il fenomeno della frammentazione dei
messaggi, degli strumenti e dei mezzi di comunicazione.
Sovente i vari operatori pubblicitari cercano di indirizzare
il consumatore verso o questo o quel mezzo solo in base
alle proprie conoscenze, capacità tecniche ed inclinazioni
creative, senza che prima venga effettuata la ricerca e la
concreta attuazione di una strategia unitaria. Per capirci,
uno studio gra co tenderà a condurre il committente e
quindi a raggiungere il consumatore attraverso supporti
cartacei et similia, magari tralasciando tutto il resto.
>>>
di Francesco Cataldo Verrina
2
Anno 6 - martedì 26 aprile 2011
La comunicazione di plastica
<<<
Non è detto che tutto ciò possa traghettarci sull’altra
sponda rispetto alla crisi, ma urge una ri(e)voluzione
della specie “homo-pubblicitario” ed un cambio di
paradigma, se non altro di modulo espressivo.
Sarebbe opportuno “traslocare” armi e bagagli su un
differente territorio della comunicazione, prendendo in
considerazione tutti gli aspetti progettuali, nanziari,
tecnico-produttivi, organizzativi, interni ed esterni
all’impresa, no ad una profonda rivisitazione delle
funzioni e delle motivazioni dei diversi “stakeholder”,
nonché dei metodi di marketing e di advertising.
In prima istanza sarebbe opportuno non lasciarsi
attrarre dai facili entusiasmi prodotti dalla Rete, ma
concentrarsi sulle reali possibilità di business, migrando
dal concetto di “customer satisfaction” a quello di
“human satisfaction”: la pubblicità dovrà entrare
(e restare) in un ambito, in cui la centralità sia il
consumatore in quanto essere umano.
Gli obiettivi di attenzionalità e di notorietà andrebbero
considerati non più come dei ni ultimi da raggiungere e
da misurare quali cause di effetti sul consumo di prodotti
e servizi, bensì quali mezzi che possano permettere di
arrivare con immediatezza nell’area della “ragione”.
E’ in questa area che si determinano, su basi appunto
razionali e non soltanto emozionali, i comportamenti
di acquisto a medio-lungo termine, mentre nell’area
dell’emozione si sviluppano solo atteggiamenti
momentanei legati all’impulso emozionale che, se non
sostenuto anche dagli elementi razionali, non produce
la fedeltà del cliente. Inoltre non andrebbe tralasciata
“l’area etica”. In questa area, da valutare in sinergia
con le componenti emotive e razionali, si rivelano
elementi umani de nibili in item, quali le necessità
di conoscere la composizione dei prodotti per motivi
salutistici, la compatibilità delle materie prime con il
rispetto dell’ambiente, il rispetto del lavoro minorile o
la considerazione per azioni di portata sociale da parte
della marca e dell’impresa.
Risulta evidente come per raggiungere le tre aree
che determinano la psiche e l’esperienza di un
“consumatore”, quindi di un essere umano nella sua
completezza, non sia possibile af darsi esclusivamente
a metodiche pubblicitarie di vecchio conio, talvolta
scollegate e frammentarie, ma ad un metodo più
completo e comprensivo che consideri in modo unitario,
a partire dalla creatività dei messaggi, le tre aree da
raggiungere in modo consequenziale. Ecco la ri(e)
voluzione, un’impresa di certo non facile!
3
Anno 6 - martedì 26 aprile 2011
La comunicazione di plastica
UNA PAUSA
L’etica non può essere insegnata. L’argomentazione
di Socrate si basava sulla maieutica, rivolta
all’interpretazione della natura umana: il losofo può
solo aiutare gli allievi a partorirla da soli. A prima vista
può sembrare una affermazione molto semplice, quasi
ingenua, eppure racchiude in sé molta più saggezza
di tante pagine che ci vengono quotidianamente
sottoposte come spunto per i nostri pensieri più
profondi. D’altronde l’ingenuità e la semplicità nel
linguaggio sono sempre stati sinonimo di grandezza:
pensiamo a gure come Socrate, San Francesco D’Assisi,
Gandhi. Sono le loro parole, il loro agire che ci fa
ri ettere, che ci fa guardare dentro, almeno quando ne
troviamo il coraggio.
Ri essione. Ormai ci siamo quasi dimenticati che sui
nostri atti, sul nostro agire, sui nostri atteggiamenti e
comportamenti, noi possiamo ri ettere, noi dobbiamo
ri ettere. Certo è anche colpa di questa vita frenetica in
cui ci troviamo, inconsapevolmente o, con più sincerità,
volontariamente immersi. L’atto della ri essione è quello
che può interrompere lo svolgimento di altri atti, che
può produrre una presa di distanza da ciò che stiamo
facendo, allo scopo di comprendere meglio una certa
situazione e di trarre indicazioni per i comportamenti
futuri. E’ forse questo che ci fa paura?
Eppure ri ettere viene considerato oggi un qualcosa
di più, di non necessario, una perdita di tempo che
ci allontana da questo mondo a cui molti di noi si
considerano indispensabili. Abbiamo dimenticato
che la ri essione è di per sé un atto, anzi è l’atto
per eccellenza che ci distingue quali esseri umani.
Soprattutto se si tratta di una ri essione sull’agire,
che risulta essa stessa un agire. Il problema del
senso dell’agire, quello relativo alla domanda sul
perché io faccio o debbo fare qualcosa, emerge nel
momento in cui viene meno la risposta religiosa o
laica, implicitamente condivisa, che a tale questione
viene data. Questo forse è il vero motivo per cui non
ci sentiamo più spinti alla ri essione. Perché questo
signi ca prendere atto della propria, della nostra
responsabilità. Nessuno può sottrarsi a quella che si
chiama comunemente responsabilità, nel senso di
rispondere di ciò che facciamo e decidiamo, perché ogni
atto ci appartiene.
Ed ecco allora che troviamo rifugio nel proliferare delle
norme. Bistrattate, odiate ma, in verità, vera isola felice
del nostro non assumerci oneri, della nostra non voglia
di porci domande scomode. Nulla ci piace più del poter
dire “sono costretto a fare così “, il grande alibi della
nostra non presa di coscienza, del nostro non chiederci
nulla.
Perché gli interrogativi rinviano esclusivamente alla
responsabilità personale. Le norme, in questo campo,
funzionano da paracadute: possono rallentare la caduta
e possono dirigere l’atterraggio, ma il saper come
cadere riguarda solo ognuno di noi.
Bisogna tornare a ri ettere. Anzi bisogna ricreare le
occasioni perché si possa tornare a ri ettere. Senza
paura di dire “ho sbagliato”, senza paura di piangere per
le nostre scelte, senza paura di star male, soprattutto
senza paura di tornare nalmente ad essere uomini.
4
Anno 6 - martedì 26 aprile 2011
Istinto e impressioni
di Maurizio Rompani
Anno 6 - martedì 26 aprile 2011
VOLGARITA’:LA NUOVA BUSSOLA DEL GIURI’
Per alcun e fattispecie di messaggi pubblicitari, ritenuti
non conformi alle norme del codice che tutelano i
valori della persona e la sua sensibilità, non si deve far
riferimento al consumatore cui il prodotto si indirizza,
bensì al cittadino, che non deve in alcun caso essere
urtato da immagini che contengano rappresentazioni
volgari. Il Giurì detta la linea sull’interpretazione
autodisciplinare corretta dell’art. 9 Cap in materia
di volgarità e tutela della persona, sia essa uomo o
donna. E lo fa in occasione della pronuncia con la quale
blocca l’annuncio stampa diffuso da Coty Italia per il
profumo da uomo Marc Jacobs Bang, nel quale era
raf gurata l’immagine di un uomo nudo, sdraiato su
un tappeto argentato, unto di una sostanza oleoasa,
con il pube interamente coperto da un’immagine di
una grande confezione rettangolare del profumo Bang.
Messaggio ritenuto non conforme all’art. 9 Cap per la
collocazione del prodotto sul pube, per la postura del
modello e per le dimensioni volutamente ampli cate
della confezione del prodotto pubblicizzato. Ma per
valutare se una pubblicità con igga con detta norma
non occorre far riferimento al consumatore medio bensì
all’opinione dei cittadini, intesi qui come cives che
può anche essere costituito da una sola minoranza
di essi. L’evoluzione interpretativa della norma ha
portato a ritenere che i soggetti tutelati da espressioni
o rappresentazioni pubblicitarie ritenute volgari non
siano più i consumatori, destinatari di un messaggio,
bensì in senso allargato i cittadini di una società, che
in quanto tali possono rimanere offesi o colpiti da
rappresentazioni a loro dire volgari. Norma, quella
dell’art. 9, così’ come quella sancita nell’art. 10 (rispetto
dignità della persona e sue convinzioni), che tende a
vietare la rivolta dei cives contro la pubblicità. Rivolta,
quest’ultima, che può essere altrettanto pericolosa per
la credibilità stessa della pubblicità di quanto lo sia
quella mossa dai consumatori di un prodotto. Metro di
giudizio in questa valutazione è costituito dall’opinione
anche solo di una minoranza che ritiene pregiudicata la
propria sensibilità. Interpretazione, questa, che assume
rilievo anche in una visione costituzionale del sistema
di valori tutelato dall’Autodisciplina pubblicitaria e che
ai sensi del principio di uguaglianza dei cittadini (art. 2
Cost. Italiana) non può tollerare una tutela da messaggi
pubblicitari offensivi per una sola maggioranza dei cives.
Come dire che anche nel sistema di autocontrollo della
pubblicità, tutte le idee hanno pari sensibilità e debbono
poter accedere comunque ai massimi livelli di tutela.
di Federico Unnia
5
Vizi pubblicitari
Il Giurì fa chiarezza sul modo con il quale devono essere
strutturati i messaggi pubblicitari nel settore delle tlc e
delle tariffe sempre più complesse e articolate. E’ quanto
avvenuto nella recente decisione con la quale ha accolto
il ricorso di Vodafone ed ha dichiarato non conforme
all’art. 2 Cap il messaggio contenente la raf gurazione
dell’I-Phone4, Con tutto compreso l’iPhone4 è tuo a 10
Euro al mese. Secondo il Giurì, solitamente i messaggi
stampa si avvalgono di una gra ca diversa in ragione
dei contenuti e delle informazioni che si intende dare
al consumatore. In particolare, non è corretto che in
questi messaggi nella parte che si riferisce al servizio
offerto si esalti il massimo di quello che il consumatore
può ottenere mentre riferendosi alla tariffa che questi
deve pagare ci si riferisca sempre a quella minima.
Nell caso speci co Tim aveva poi diffuso una seconda
versione del messaggio, che il Giurì ha classi cato
come un ravvedimento operoso che tuttavia conferma
come la nalità sia spesso quella di agganciare il
consumatore con un messaggio ardito, a forte impatto,
non corrispondente al vero, per poi ripiegare su
formule e contenuti più accettabili. Nel merito, per il
Giurì l’utilizzo dell’espressione Tutto compreso, declinata
poi con strisce informative che correggono il senso e
la portata dell’offerta pubblicitaria non è corretto. Ciò
anche in considerazione del fatto che l’indicazione di
un prezzo e un’aggiunta in più, genera disorientamento
sul consumatore, che non è più in grado di identi care
l’importo esatto del servizio che dovrà sostenere per
accedere a quanto pubblicizzato. Inoltre, l’utilizzo di In
più mette il messaggio in contrasto con la parte iniziale
del messaggio stesso in cui l’offerta era presentata
come Tutto compreso. Fatto questo che, sebbene il
consumatore sia abituato ad offerte che cambiano
repentinamente, smentisce logicamente l’idea di tutto
compreso, qui inteso nel senso che quanto offerto, nel
suo insieme, ha un costo unico, tutto compreso. Da
qui lo stop dei messaggi, in quanto l’head-line lascia
intendere che la somma di Euro 7,50/10 sia il costo
totale dell’offerta ed in quanto le note del testo di
accompagnamento erano insuf cienti a chiarire il costo
effettivo delle diverse offerte pubblicizzate.
IL GIURI’ DICE NO A TUTTOCOMPRESO DI TIM
Il passo più lungo della gamba?
Anche i migliori sbagliano, soprattutto se ben sanno
di essere i migliori. Succede anche a quelli bravi,
soprattutto se ben sanno di essere bravi e in questa
coscienza si gongolano. L’ultimo personaggio televisivo
ad essere caduto in questa trappola è Paolo Bonolis,
nito vittima della sua stessa passione per un
programma che ha creato e vissuto in maniera molto
viscerale n dalle prime puntate.
Il mettere in palinsesto il senso della vita è stato spesso
oggetto di trattativa anche per i suoi contratti, ma
quest’anno si è cercato di trasformare radicalmente
la sua natura facendolo diventare da programma
sussurrato, quasi intimistico della seconda serata, un
programma da prime time, con un eccesso di grida e
lustrini che poco si addicono alla natura stessa della
trasmissione.
La prova più evidente di questo fatto è che non esistono
delle sostanziali differenze numeriche negli ascolti de il
senso della vita fra la messa in onda in prima serata e
quella che era la messa in onda in seconda serata.
Va anche detto che, forse proprio per strizzare l’occhio
alla nuova collocazione, viene dato più spazio (e
soprattutto vengono trattate per prime, le storie di
personaggi famosi che, però, continuano a raccontare
le stesse cose dette altre mille volte in altri mille
contenitori.
Per fare un esempio concreto, chi non aveva già sentito
almeno altre due volte Christian de Sica raccontare
la scena del padre Vittorio che, pure giunto alla ne
della sua vita, dedica un apprezzamento colorito
al fondoschiena dell’infermiera che lo assisteva in
ospedale? Ecco, con quella raccontata in una delle
scorse puntate de il senso della vita fanno tre.
Ultimo, ma non meno importante, anche il fatto che,
alla ne della era Paolo Bonolis continui a riproporre lo
stesso schemino logoro che lo vede contrapposto a Luca
Laurenti. Non importa che il marchio dietro alle loro
spalle sia Chi ha incastrato Peter Pan?, Ciao Darwin o,
appunto, il senso della vita.
Alla ne anche i telespettatori più affezionati si stufano.
E farli affezionare nuovamente è molto più dif cile.
di Andrea Polo
6
Anno 6 - martedì 26 aprile 2011
Tele Osservazioni
Hanno rinnovato il concetto di rivista sul web, sono il
sito più seguito nella categoria “letteratura” secondo la
classi ca italiana di Wikio, sono niti anche su “Wired”.
Non sto parlando di maghi del computer o guru del
social media marketing, ma di “Finzioni”, un team di
giovani appassionati dediti ai libri in qualsiasi salsa,
capitanati da Jacopo Cirillo e Carlo Zuffa, under 30 che
hanno riportato con ironia e intelligenza il gusto della
letteratura, partendo da Internet.
Non è un caso che sia venuto in contatto con loro
per la prima volta attraverso Twitter, piattaforma di
microblogging che ogni giorno in Italia accorcia le
distanze e aumenta le utenze. Da un pro lo alla lettura,
al dialogo, no ad arrivare a un confronto diretto e una
sana dose di ironia che è il segreto per vivere bene una
lunga e sana vita. Internet, social network e letteratura:
la rivista “Finzioni” è un piccolo grande progetto frutto
di giovani menti italiane che hanno puntato, rischiato
e – passando al gerundio – vincendo una s da che a
raccontarla servirebbe un libro. E loro, ci tengono a dire,
rimangono lettori. “Crediamo che la lettura sia un atto
creativo e, semplicemente, la trascriviamo”. E allora ecco
un’intervista a una colonna portante, Jacopo Donati,
caporedattore della sezione libri per “Finzioni”.
Ah, un consiglio spassionato: nita l’intervista, andate
su www. nzionimagazine.it, non ve ne pentirete.
1) Descriviti in 140 caratteri.
Studente di loso a, studioso di tutto il resto. Lettore,
scrittore, giardiniere: ho troppo tempo libero da riempire
con troppi interessi.
2) E in termini “ nzioni ani”?
Esperto di tutto, maestro di niente.
3) Com’è iniziata l’avventura chiamata Finzioni?
Finzioni è nato a Faenza, in un bar che ora non esiste
più, a ne 2008. Jacopo Cirillo e Carlo Zuffa alternavano
gli scotch alle birre, e il risultato è il Finzioni che avete
oggi sotto gli occhi: leggero da un lato, graf ante
dall’altro.
Per quanto mi riguarda, invece, tutto è iniziato i primi
giorni del 2009 su aNobii. Una ragazza – Viviana,
anch’essa nella redazione attuale – voleva creare una
rivista letteraria e aveva aperto un gruppo; Jacopo
Cirillo partecipò alla discussione e poco tempo dopo
ricevemmo l’invito a far parte di Finzioni.
4) Finzioni è il primo sito segnalato da Wikio per la
Letteratura: segreto del successo?
Non ci riempiamo la bocca di paroloni e la nostra
leggerezza viene giustamente intesa come chiarezza,
non come super cialità. In questo modo siamo riusciti a
raggiungere lettori che – per formazione – sono sempre
stati abituati a parlare di letteratura in maniera pesante.
Non c’è molta differenza tra il lettore che sceglie
Sartre in biblioteca e quello che compra Wilbur Smith
nell’edicola del lungomare: entrambi amano leggere,
entrambi pensano che il tempo dedicato alla lettura sia
tempo ben speso.
Pochi sanno che quando ci si lamenta che in Italia
leggono in pochi, si parla di lettori deboli, non di
quelli forti. L’Italia ha una percentuale di lettori forti
paragonabile a quella di paesi come Germania o
Inghilterra, ma tra i lettori deboli (quelli che leggono
una manciata di libri all’anno) le cose cambiano
radicalmente. Fino a quando la Scuola obbligherà i
ragazzi a sorbirsi I promessi sposi o altri – importanti
– mattoni, in Italia la lettura sarà vista come un lavoro
e non come un piacere. Ed è proprio per questo che
Finzioni ha successo: la lettura è tornata a essere un
piacere.
5) Come opera la redazione?
La redazione di Finzioni è composta al vertice da Jacopo
Cirillo e Carlo Zuffa; sotto di loro c’è un caporedattore
per ogni sezione del sito (Libri, Extra e News) che
coordina il resto della redazione. Ogni progetto interno
a Finzioni (come Indie per cui, per esempio), ha un suo
responsabile che si occupa di tutto.
Le comunicazioni avvengono direttamente via mail o,
se è necessario contattare la redazione al completo,
attraverso un gruppo su Google Groups. Usiamo Google
Docs per i progetti che riguardano più redattori e
Google Calendar per organizzare la pubblicazione delle
rubriche. I contrattempi capitano sempre, ma se siamo
abbastanza organizzati riusciamo a risolvere tutto in
breve tempo.
>>>
Hanno rinnovato il concetto di rivista sul web, sono il
sito più seguito nella categoria “letteratura” secondo la
classi ca italiana di Wikio, sono niti anche su “Wired”.
Non sto parlando di maghi del computer o guru del
rivista letteraria e aveva aperto un gruppo; Jacopo
Cirillo partecipò alla discussione e poco tempo dopo
ricevemmo l’invito a far parte di Finzioni.
4) Finzioni è il primo sito segnalato da Wikio per la
Letteratura: segreto del successo?
Non ci riempiamo la bocca di paroloni e la nostra
capitanati da Jacopo Cirillo e Carlo Zuffa, under 30 che
hanno riportato con ironia e intelligenza il gusto della
non come super cialità. In questo modo siamo riusciti a
raggiungere lettori che – per formazione – sono sempre
stati abituati a parlare di letteratura in maniera pesante.
Non c’è molta differenza tra il lettore che sceglie
Sartre in biblioteca e quello che compra Wilbur Smith
nell’edicola del lungomare: entrambi amano leggere,
entrambi pensano che il tempo dedicato alla lettura sia
Pochi sanno che quando ci si lamenta che in Italia
leggono in pochi, si parla di lettori deboli, non di
entrambi pensano che il tempo dedicato alla lettura sia
tempo ben speso.
Pochi sanno che quando ci si lamenta che in Italia
leggono in pochi, si parla di lettori deboli, non di
quelli forti. L’Italia ha una percentuale di lettori forti
Non è un caso che sia venuto in contatto con loro
per la prima volta attraverso Twitter, piattaforma di
distanze e aumenta le utenze. Da un pro lo alla lettura,
leggono in pochi, si parla di lettori deboli, non di
quelli forti. L’Italia ha una percentuale di lettori forti
paragonabile a quella di paesi come Germania o
Inghilterra, ma tra i lettori deboli (quelli che leggono
una manciata di libri all’anno) le cose cambiano
radicalmente. Fino a quando la Scuola obbligherà iradicalmente. Fino a quando la Scuola obbligherà i
ragazzi a sorbirsi I promessi sposi o altri – importanti
– mattoni, in Italia la lettura sarà vista come un lavoro
e non come un piacere. Ed è proprio per questo che
Finzioni ha successo: la lettura è tornata a essere un
La redazione di Finzioni è composta al vertice da Jacopo
Cirillo e Carlo Zuffa; sotto di loro c’è un caporedattore
per ogni sezione del sito (Libri, Extra e News) che
coordina il resto della redazione. Ogni progetto interno
a Finzioni (come Indie per cui, per esempio), ha un suo
responsabile che si occupa di tutto.
Le comunicazioni avvengono direttamente via mail o,
se è necessario contattare la redazione al completo,
attraverso un gruppo su Google Groups. Usiamo Google
Docs per i progetti che riguardano più redattori e
Google Calendar per organizzare la pubblicazione delle
rubriche. I contrattempi capitano sempre, ma se siamo
Finzioni è nato a Faenza, in un bar che ora non esiste
più, a ne 2008. Jacopo Cirillo e Carlo Zuffa alternavano
gli scotch alle birre, e il risultato è il Finzioni che avete
oggi sotto gli occhi: leggero da un lato, graf ante
abbastanza organizzati riusciamo a risolvere tutto in
breve tempo.
>>>>>>
“Finzioni“ un team di giovanidediti ai libri
di Matteo Bianconi(Copywriter & Social Media Strategist@ Pragmatika)
7
Anno 6 - martedì 26 aprile 2011
Let’s Social
<<<
6) Finzioni è un normale “posto di lavoro”?
È come dovrebbe essere un normale posto di lavoro.
Ogni redattore è parte di un progetto in cui crede e
parla di cose che ama. All’interno di Finzioni c’è un
brainstorming continuo a cui ogni redattore prende
parte e dà il suo contributo, e molti progetti sono
proprio nati così, da un’idea abbozzata prima da
qualcuno e poi ri nita dagli altri. Quasi ogni rubrica è
pensata dalla persona che la curerà di volta in volta: ciò
porta tutti i redattori a lavorare con passione e costanza.
7) L’editoria digitale è un fatto social(e)?
Credo lo sia la lettura, ma lasciando riposare in pace
il povero Durkheim e guardando solo al “social”, è
fantastico osservare cosa sta accadendo in questi anni ai
lettori. aNobii e Goodreads hanno utenti che non sanno
neppure qual è il colore dominante di Facebook, ma sui
social network specializzati sono in brodo di giuggiole:
partecipano attivamente, creano gruppi che spesso
escono dal virtuale e si appropriano del reale. Grazie a
internet e grazie ai social networks la lettura è diventata
qualcosa di meno introverso e, per molti, qualcosa di
ancora più piacevole.
8) La visione del web da parte della redazione?
Parlare di piazza virtuale è banale perché il web è
diventato molto di più, basti pensare che in Finlandia
l’accesso a Internet è stato dichiarato un diritto umano.
E poi, da un punto di vista più pratico, il web dà la
possibilità a tantissime persone di reinventarsi e di
creare qualcosa di concreto.
9) Saluti speciali? :)
Due: al mio libraio e al mio oculista, entrambi ricchi da
quando mi conoscono.
parla di cose che ama. All’interno di Finzioni c’è un
brainstorming continuo a cui ogni redattore prende
parte e dà il suo contributo, e molti progetti sono
proprio nati così, da un’idea abbozzata prima da
qualcuno e poi ri nita dagli altri. Quasi ogni rubrica è
pensata dalla persona che la curerà di volta in volta: ciò
partecipano attivamente, creano gruppi che spesso
escono dal virtuale e si appropriano del reale. Grazie a
internet e grazie ai social networks la lettura è diventata
qualcosa di meno introverso e, per molti, qualcosa di
ancora più piacevole.
8) La visione del web da parte della redazione?
Credo lo sia la lettura, ma lasciando riposare in pace
diventato molto di più, basti pensare che in Finlandia
l’accesso a Internet è stato dichiarato un diritto umano.
E poi, da un punto di vista più pratico, il web dà la
possibilità a tantissime persone di reinventarsi e di
creare qualcosa di concreto.
Due: al mio libraio e al mio oculista, entrambi ricchi da
9) Saluti speciali? :)
Due: al mio libraio e al mio oculista, entrambi ricchi da
quando mi conoscono.fantastico osservare cosa sta accadendo in questi anni ai
“Finzioni“ un team di giovanidediti ai libri
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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011
Let’s Social
Anno 6 - martedì 26 aprile 2011
NO AL PIENO DI VITALITA’E’ INGANNEVOLE
Uno dei cardini del sistema di autodisciplina pubblicitaria
è sancito nell’art. 6 cap. La norma, a quanto pare
sfuggita ai più che fanno pubblicità nel settore dei
prodotti dietetici ed integratori alimentari, stabilisce un
principio generale, di buon senso. Se fai un’affermazione
in un messaggio pubblicitario, devi essere subito nella
condizione di dimostrare che dice il vero. Altrimenti,
anche una mezza verità, non basta e scatta la
presunzione di ingannevolezza.
Bene, questa regola pare spesso dimenticata o
volutamente tralasciata da chi promuove pubblicità che
promettono facili dimagrimenti. Un caso recentissimo
è quello che ha visto il Presidente del Comitato di
Controllo, in iggere lo stop emettendo una ingiunzione
di desistenza contro il messaggio “Il pieno di
vitalità”, relativo al prodotto Ginsana, in quanto l’ha
– giustamente – ritenuto manifestamente contrario
agli artt. 2 – Comunicazione commerciale ingannevole
– e 23 bis – Integratori alimentari e prodotti dietetici
– del Codice di Autodisciplina della Comunicazione
Commerciale. L’inserzionista non ha assolto l’onere della
prova previsto dall’art. 6 del Codice, dal momento che
la richiesta del Comitato di Controllo volta a veri care
l’asserita ef cacia dei prodotti pubblicizzati, nonché il
vanto “frutto della ricerca svizzera più avanzata”, non ha
trovato adeguato riscontro.
L’inserzionista si era limitato a produrre un Medico-
Marketing Package e un articolo che esamina l’effetto
del Ginseng G115 (in due versioni, ma chiaramente
riferite allo stesso studio sperimentale) i quali non
fornivano alcun sostegno alle affermazioni del
messaggio.
In particolare, l’articolo, che faceva riferimento ad
uno studio condotto su 43 sportivi di élite (e quindi
un campione tutto differente da quella cui si rivolge il
messaggio pubblicitario), rilevava che non era possibile
trarre conclusioni de nitive dai dati raccolti, anche per
problemi metodologici connessi al disegno sperimentale
adottato. Non è stato inoltre presentato alcun dato,
nella letteratura scienti ca disponibile nelle banche
dati di consultazione più comune, che supportasse in
qualche modo la vantata ef cacia sulla “resistenza sica”
e sui “tempi di recupero”. Allo stesso modo, non è stato
fornito alcun serio riferimento alla presunta ef cacia
nella lista ministeriale italiana degli integratori botanici
utilizzabili, che de nisce anche le indicazioni riconosciute
dal Ministero per il loro uso.
Tutto ciò è emerso nel corso dell’istruttoria condotta dal
Comitato di controllo e che ha portato all’ingiunzione di
desistenza, ed ha portato il Comitato ad affermare che il
messaggio era in contrasto con l’art. 23 bis del Codice;
norma che stabilisce chiaramente che “la comunicazione
commerciale relativa agli integratori alimentari ... non
deve vantare proprietà non conformi alle particolari
caratteristiche dei prodotti, ovvero proprietà che non
siano realmente possedute dai prodotti stessi”.
La comunicazione inoltre enfatizzava in diversi punti
il fondamento scienti co dei risultati promessi, con
affermazioni quali: “clinically proven”; “studi clinici
internazionali”, che avrebbero dovuto dimostrare
l’ef cacia dell’estratto di Ginseng G115, unico
ingrediente dei prodotti “Ginsana”; nonché il fatto
che gli stessi sono “frutto della ricerca svizzera più
avanzata”. Tali affermazioni risultano tuttavia, come
evidenziato, prive di adeguato riscontro scienti co.
In ne, l’espressione “sono venduti solo in farmacia” –
limitatamente all’utilizzo dell’avverbio “solo” – ancorché
rispondente al vero, non può essere correttamente
impiegata nel caso di prodotti la cui vendita in farmacia
è dovuta ad una libera scelta imprenditoriale e non
invece ad un obbligo di legge. Il mancato assolvimento
dell’onere probatorio crea una lacuna che si ri ette
negativamente sulla valutazione di liceità del messaggio
in ordine alle affermazioni in esso contenute e determina
necessariamente una presunzione di ingannevolezza
delle stesse.
Una decisione saggia, o quanto meno, dovuta e non
nuova per il Comitato. Quel che lascia francamente
perplessi è però il comportamento dei mezzi i quali,
è bene dirlo, di questi tempi, pur di aver pubblicità,
non guardano in faccia nessuno. Ogni messaggio va
bene, pazienza che dica il falso, non sia supportato
da dati certi, e nisca magari per ledere proprio quei
consumatori che sono lettori delle testate stesse.
di Federico Unnia
9
Vizi pubblicitari
L’information Technology versola ripresa
Non è realistico parlare di uscita dal tunnel, né di tempo
sereno per il mercato dell’Information Technology
italiana. Ma il barometro dell’Assintel Report, che esce
oggi con le sue Anticipazioni sul primo trimestre, volge
al variabile.
Questa è una discreta notizia, perché il settore sta
vivendo la coda di una crisi lunga e intensa: il 2010
complessivamente ha chiuso in forte perdita (-7,6%),
mentre la primavera 2011 dipinge all’orizzonte segnali di
varia natura, legati sia ad una generale e positiva ripresa
di PIL e investimenti, sia ad uno scenario internazionale
turbolento e dagli effetti macro-economici imprevedibili.
Il trend sembra comunque tracciato, ed è un passaggio
progressivo dal brutto al bel tempo.
Il primo trimestre di quest’anno segna una crescita del
+13,2% rispetto al medesimo periodo del 2010, che a
sua volta, in piena crisi, crollava del -25,8% rispetto ai
primi tre mesi del 2009.
Il segnale è positivo, sebbene il confronto diretto con
l’ultimo trimestre 2010 sia negativo (-8%), inquadrato
nella stagionalità tipica del mercato, che presenta picchi
di spesa a ne anno dovuti agli avanzi di budget delle
imprese e alla crescita della domanda consumer nel
periodo natalizio. Il mercato del trimestre è trainato dal
Software (+19,2%) e dai Servizi IT (+14,4%, in netto
miglioramento), in coda l’Hardware (+6,9%).
“L’elemento più signi cativo di questi mesi è l’inversione
di tendenza generale del mercato. Ma se leggiamo i
fenomeni nel dettaglio, ci preoccupa il ritardo della
ripresa italiana rispetto agli altri Paesi, sintomo di quelle
carenze di politiche sistemiche di sviluppo fondate
sull’Innovazione che lamentiamo ormai da alcuni anni”
commenta Giorgio Rapari, Presidente di Assintel.
I grandi spender, Banche e Industria, che da soli
coprono oltre il 40% della spesa IT in Italia, hanno
ripreso ad investire. E le Grandi Imprese, grazie ad una
gestione oculata dei budget e della spesa ricorrente,
prevedono un 8% di spesa dedicata a nuovi progetti
IT: “questo è il vero segnale positivo, la rondine che
fa primavera, perché ci dice che nalmente si torna a
parlare di Innovazione nel senso strategico del termine”,
commenta Alfredo Gatti, managing partner di Nextvalue,
che ha realizzato la ricerca.
In complesso si prevede che dal terzo trimestre la spesa
IT riprenderà progressivamente consistenza (+1,3%)
no ad arrivare al +5,4% del quarto trimestre: l’anno
dovrebbe così chiudersi quasi in pareggio (+7,4%)
rispetto alle perdite del 2010. Restano all’orizzonte le
incertezze macro economiche legate a quanto accaduto
in Giappone e nel Maghreb, che però non impattano
direttamente sul nostro mercato IT e quindi non
dovrebbero avere particolare rilevanza.
A livello geogra co, sarà il Nord Ovest del Paese a
trainare la spesa tecnologica (+7,8% a livello annuo)
con investimenti pari al 34% del totale Italia, mentre
il Centro crescerà più di tutti in termini di velocità di
ripresa degli investimenti (+9,7%). La ripresa sarà
più lenta nel Nord Est (+6,5%) e soprattutto nel Sud
(+6,3%), penalizzato anche da un “canale” dell’Offerta
IT meno strutturato.
Il settore sta lentamente tornando ai volumi di due
anni fa, ma il contesto è profondamente cambiato:
come accade dopo ogni trauma, le tracce lasciate da
questo biennio nero hanno inciso solchi permanenti
sulla “personalità” stessa del mercato, che ne risulta
cambiata.
Queste Anticipazioni, che preludono la presentazione
dell’Assintel Report annuale di ottobre, vogliono
essere un punto di riferimento per l’individuazione e
l’interpretazione strategica di questi nuovi tratti, al di là
dei numeri che in sé sono sterili. Si dipinge così quella
che ormai è la nuova normalità del mercato IT, in cui la
pressione competitiva è massima e Domanda e Offerta
interagiscono come non mai sulle reti dell’informazione
condivisa, che diviene asset strategico produttore di
valore. Social Media, Cloud e Mobile Computing sono le
parole d’ordine: processi che determinano lo sviluppo
tecnologico e, contemporaneamente, tecnologie che
facilitano i processi. E la variabile “velocità” diviene il
vero delta competitivo.
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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011
I marchi low cost nella s da tra i colossi della telefonia mobile
7Pixel ha realizzato una nuova ricerca relativa al mercato
dei cellulari attraverso il suo Osservatorio che illustra
gli interessi di consumo online in base alle ricerche
di prodotto effettuate dagli utenti sui siti del network
(Shoppydoo.it e Trovaprezzi.it). Ogni mese i due siti per
la comparazione prezzi e lo shopping online raccolgono
oltre 5,5 milioni di visite. La rilevazione si riferisce al
periodo gennaio-dicembre 2010 ed è stata effettuata su
un campione di oltre 7 milioni di ricerche.
Dall’analisi emerge una situazione in cui circa il 70%
delle preferenze del mercato si concentra, ogni mese,
su due sole case produttrici: Nokia e Samsung. Da sole
totalizzano in media circa sette ricerche su dieci. Nokia
resta in cima alle preferenze degli italiani per tutto il
2010 con una media del 38,66% nettamente superiore
alle altre. Competitor principale la coreana Samsung con
una media annuale del 27,83%.
Nokia
Le ricerche relative al marchio Nokia diminuiscono
nel corso dell’anno dal 42,39% di gennaio al 36,94%
di dicembre. Il trend di contrazione della quota
Nokia rispetto al mercato delle vendite online si può
osservare ancora meglio allargando la visuale: a
gennaio 2008 la quota di Nokia era del 61,55%, a
gennaio 2009 era il 56,24%, a gennaio 2010 il 42,39%
no all’assestamento su una quota del 37% circa
nel periodo giugno – dicembre 2010. Tutto questo
nonostante la buona affermazione di diversi singoli
modelli che hanno saputo interpretare i desideri di un
mercato in rapida evoluzione: il Nokia 5800 Xpress
Music è il primo cellulare più venduto da gennaio
2009 a marzo 2010 (con l’unica eccezione di dicembre
2009 in cui è secondo) e resiste comunque in top ten
no a dicembre 2010. Il successo, per diversi motivi
clamoroso del Nokia 5800 indica anche quale sia una
desiderabile combinazione di caratteristiche per il
mercato: smartphone, touchscreen, fotocamera, GPS
e prezzo medio il più possibile aggressivo; esso è
costantemente sceso dai 351,84 euro di gennaio 2009 ai
173,16 di dicembre 2010. Ciò che ha penalizzato Nokia
in questi due anni non è stata l’incapacità di vincere la
battaglia sul singolo modello, in questo caso stravinta
dal 5800 rispetto a qualunque altro competitor, bensì
la capacità di vincere la battaglia tra “ecosistemi” per
smartphone. Per ora Nokia con Symbian ha dovuto
cedere il passo a Apple iOS e Google Android. Sia Apple
sia Google hanno saputo creare e offrire a utenti e a
sviluppatori un habitat per smartphone in tutto più
completo e performante rispetto a quello di Nokia, in
particolare nel campo dello sviluppo delle applicazioni.
L’11 febbraio 2011 Nokia e Microsoft hanno annunciato
una partnership per affrontare insieme l’attuale duopolio
Apple-Google nel settore, destinato a diventare decisivo,
degli smartphone. Voci insistenti prevedono un’uscita
abbastanza ravvicinata per i nuovi cellulari basati su
Windows Mobile 7 e nonostante le molte incognite
la s da congiunta di Microsoft e Nokia ai competitor
potrebbe sconvolgere gli attuali equilibri.
Samsung
Samsung è seconda con una media annuale del 28,73%
ma non pare avvantaggiarsi direttamente del declino
Nokia: la quota di mercato Samsung (con qualche
variazione episodica e abbastanza limitata) è attestata
su questi livelli già dall’agosto 2008. Il vantaggio
competitivo di Samsung si manifesta nel presidio di
tutta la catena del valore della liera produttiva, dalla
componentistica (della quale è fornitrice anche di diretti
concorrenti tra i quali Nokia stessa) all’assemblaggio.
I modelli Samsung escono a getto continuo e
aggrediscono il mercato in ogni suo segmento: un mix
di qualità percepita e prezzo aggressivo fanno sì che
mediamente ci siano quattro modelli Samsung in top ten
con un minimo di due in aprile ed un massimo di sei in
luglio e agosto.
LG e HTC
LG è terza da gennaio a settembre (5,72% media del
periodo). La forza di questo marchio è sottostimata dal
fatto di non aver presentato lungo tutto l’arco del 2010
un prodotto di punta che identi casse con precisione
la loso a mobile di questo produttore coreano, come
avvenne al contrario nel 2009 con il KP500 Cookie che
rimase nella top ten dei modelli più popolari da febbraio
a ottobre. Da ottobre in poi è HTC con il suo Android
ad avere il terzo posto virtuale con il 6,73% delle
ricerche ed è protagonista di una dinamica di mercato
interessante, anche per il confronto con l’iPhone di
Apple e il Blackberry di Rim. HTC compariva tra le
prime dieci marche a giugno del 2009, nel periodo che
seguiva il lancio dello smartphone HTC Magic, il primo
full touchscreen con sistema operativo Android. Era
ultima della top ten e rincorreva i due colossi. In tutto
il 2010 HTC (trainata anche dal successo del Desire
che debutta al quinto posto in top ten in maggio e vi
rimane per quattro mesi) ha superato sia Rim sia Apple
mantenendo la supremazia sulle due concorrenti.
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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011
I marchi low cost nella s da tra i colossi della telefonia mobile
Anycool e CECT
Al quarto posto da gennaio a marzo c’è Anycool, linea
indipendente di cellulari low cost con possibilità di dual
sim, progettati e costruiti dalla cinese KDI. Anycool inizia
il 2010 con il 5,25% di ricerche, più di Apple (3,14%)
e di Motorola (2,09%). A marzo raggiunge il 6,40% di
preferenze e a maggio è addirittura al terzo posto tra le
marche più cercate. Il suo andamento è in discesa poi
nei mesi successivi no a toccare il 2,38% a dicembre,
ma resta comunque tra le prime dieci marche.
Un’altra dinamica interessante a proposito di marchi
low cost è quella che riguarda la cinese CECT. In tutto il
periodo è presente nella “top ten”. A gennaio 2010 CECT
è sesta con il 3,74% di ricerche (Apple è settima con il
3,14%) e si mantiene stabile tra la sesta e la settima
posizione no a giugno. Da luglio in poi è presente nella
parte più bassa della classi ca e a dicembre ne esce, ma
mantiene una media del periodo di 2,83%.
Anycool e CECT hanno scelto di competere con i
colossi del settore offrendo alternative dal design
accattivante (nel caso di CECT praticamente un “clone”
dell’iPhone) differenziandosi su funzioni di nicchia come
appunto il dual sim. Il prezzo di questi telefonini non
ha concorrenti. Il prodotto di punta di CECT (I9 3G)
ad esempio costa mediamente 80 euro. Sui 100 euro,
invece, il prezzo medio delle proposte di Anycool.
NGM
Caso particolare è NGM, azienda con sede in Toscana
che modi ca e distribuisce cellulari costruiti all’estero,
in particolare in Cina. NGM propone dispositivi dual sim
rispondenti alle normative europee, tutti i suoi modelli
sono coperti da garanzia italiana e si appoggia ad una
rete di centri di assistenza convenzionati; questo mix
di servizi offerti, grazie anche al design accattivante e
ricercato di alcuni modelli, ha fornito un buon riscontro
quantitativo nelle vendite online. NGM esordisce nella
top ten dei brand in agosto 2010, al nono posto con
il 2,30% della quota di mercato, e scala la classi ca
mese dopo mese no al quinto posto di novembre
e dicembre (peraltro i mesi più performanti per gli
acquisti online) quando raggiunge il 4,45% della quota
di mercato. Il motore di questo successo natalizio è un
modello, il Vanity, che da solo ha rappresentato oltre
la metà delle ricerche complessive su modelli NGM nei
mesi in cui è stato presente in listino. Progettato per un
target femminile (ad esempio presenta uno specchietto
nella parte posteriore della scocca) e impreziosito da
cristalli Swarovski, il Vanity risulta il quarto modello più
popolare di novembre (2,66%) e il quinto di dicembre
(2,25%), unico cellulare non touchscreen tra i primi 15
in graduatoria.
Apple e Rim
La casa di Cupertino si attesta su una media di 3,19%
nel periodo considerato con una posizione altalenante,
tra il quinto e il settimo posto. Il risultato è da
considerare in ogni caso decisamente buono se si pensa
che Apple è presente con una sola linea di prodotto
con modelli che si competono solo nel segmento degli
smartphone di fascia alta. A giugno è stato presentato
l’iPhone 4, evoluzione del precedente modello. Ad
agosto si nota un incremento della quota di ricerche
(4,37%) e l’iPhone 3G scompare dalla classi ca dei
modelli più popolari.
Performance non proprio brillante per Rim e il suo
Blackberry (1,69% da gennaio a maggio), che a giugno
esce dalla top ten per ricomparire a novembre e
dicembre con il 2,20% circa di ricerche.
Motorola e Sony
Motorola e Sony Ericsson registrano un andamento
stabile. La prima a gennaio totalizzava il 2,09% delle
ricerche; nel mese di novembre esce dalla classi ca
per riemergere a dicembre con l’ 1,89%. Sony Ericsson
oscilla tra la settima e la nona posizione e mantiene
un andamento piuttosto costante in tutto il periodo di
riferimento (2,30%), unico picco a giugno in cui tocca il
3,04%.
I modelli
Per quanto riguarda i singoli modelli venduti online,
in generale, si assiste allo stesso fenomeno di
concentrazione delle preferenze già osservato nel caso
delle marche. I cinque modelli più popolari di ogni mese
totalizzano circa il 18% del mercato. Esemplare a questo
proposito è il caso di Nokia che presenta sul canale di
vendita online una gamma di circa 140 modelli. Nella
classi ca della top ten prodotti infatti almeno cinque
sono Nokia. La casa nlandese mantiene sempre il
primato attraverso l’ampiezza e la continua innovazione
della gamma di prodotto con una politica di prezzo che
rende accessibili i suoi modelli a un ampio target. Nello
speci co, il prezzo medio dei cellulari Nokia tra gennaio
e dicembre oscilla tra un minimo di 115 euro e un
massimo di 167 euro.
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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011
I marchi low cost nella s da tra i colossi della telefonia mobile
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Come già illustrato in precedenza da gennaio a marzo
e poi da giugno ad agosto il primato è del Nokia 5800
Xpress Music che no ad ottobre non scende mai sotto
il terzo posto e mantiene una media in tutto l’anno del
3,99%. Il prezzo oscilla tra i 170 e i 190 euro. Ottime
anche le performance del modello Nokia 5230 (3,31%)
con un posizionamento di prezzo simile. Mentre tra i
cellulari Nokia caratterizzati da una fascia prezzo più alta
(250-350 euro) troviamo in maniera meno costante in
classi ca l’N97, N97 mini e l’E72.
Samsung al pari di Nokia è sempre presente in classi ca
con almeno quattro modelli: S5230 Star, S8000Jet e D
C661 Duos e i8919 Omnia HD con un posizionamento
di prezzo molto più elevato rispetto agli altri tre. Oltre i
300 euro contro i 150 di media degli altri. A luglio entra
in classi ca il Samsung i9000 Galaxy che ruba la scena
agli altri. Il Galaxy, smartphone di fascia alta, costa circa
450 euro. A dicembre è secondo con il 3,80% delle
preferenze della categoria. Samsung dunque non s da
solo Nokia nella categoria cellulari, ma anche Apple ed
il suo iPhone. Per ora la battaglia con Apple è vinta. Ma
Nokia resiste prima tra le marche di cellulari.
Con l’uscita dell’iPhone 4 a giugno, la “mela” si risveglia
un po’ a partire da agosto (1,47%), ma l’effetto dura
poco e a ottobre non rientra più tra i primi quindici
modelli. Prezzo medio dei tre mesi: 680 euro.
In quasi tutto il periodo sono presenti inoltre i marchi
low cost precedentemente descritti CECT e Anycool con
i modelli CECT I9 3G e Anycool T3038. Il modello cinese
(esteticamente molto simile ad iPhone) tocca il prezzo
medio di 59 euro a novembre. Anycool più alto si ferma
a 92euro a luglio.
Quindi, da una parte cresce l’interesse per il mercato
dei cellulari low cost, dall’altra il mercato dei cellulari
continua a esercitare il suo fascino sui consumatori
indipendentemente dalla situazione economica del
momento e pare restare un’isola felice nei consumi degli
italiani.
I modelli touchscreen
Un’altra considerazione importante è relativa alla
tecnologia. Tra i primi dieci modelli più popolari di
ogni singolo mese almeno otto sono touch screen.
Questo dato indica come ormai questa caratteristica,
in tutte le sue declinazioni e varianti, sia diventata
quasi irrinunciabile perché un modello abbia successo,
complice anche una leggera ma costante diminuzione
del prezzo medio di offerta al pubblico che ri ette
l’esordio sul mercato di modelli a costi relativamente
contenuti. Per veri care la inarrestabile crescita del
touchscreen è suf ciente allargare un po’ il punto di
vista. In gennaio 2009 tra i dieci modelli di cellulare più
cercati solo 2 erano touchscreen, non a caso i primi due
della graduatoria di gradimento: il Nokia 5800 Xpress
Music ed il Samsung SGH i900 Omnia. A gennaio 2009
il touchscreen rappresentava una quota di mercato
complessiva dell’8,45% che già a dicembre 2009 era
più che sestuplicata assestandosi sul 54,47%. Dopo un
ulteriore anno, a dicembre 2010, tra i primi dieci modelli
più popolari nove sono touchscreen (e ben 14 tra i primi
15) con una quota complessiva di ricerche di cellulari
con questa tecnologia che sale al 69,75% sul totale.
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Anno 6 - martedì 26 aprile 2011
Anno 6 - martedì 26 aprile 2011
La ne annunciata del giornale stampato
Dove sta andando l’informazione in America
Suona il telefono.
“Qui è il Washington Post. Sono Erika. Vorremmo sapere
perché ha disdetto il suo abbonamento con il nostro
quotidiano, please.”
Comincio ad andare fuori giri: “Questa è la quinta
telefonata che ricevo oggi dal vostro giornale. Non
ne posso più. Anche questo è uno dei motivi per cui
confermo che non voglio più sottoscrivere alla vostra
testata.”
Purtroppo per me e per le migliaia di cittadini americani
che si trovano nelle stesse condizioni di spirito, questi
episodi telefonici si ripetono ogni giorno, protagonisti
quelli che lavorano nei call centers delle diverse testate.
E siccome ognuno ha da risolvere i propri problemi
professionali, non è che alle poverette malpagate che
devono chiamare con voce stanca quelli che hanno
cancellato le subscription uno possa dedicare la s lza
delle ragioni per cui si è arrivati alla decisione di fare a
meno del quotidiano.
Ma le voglio esporre qui al Lettore anche se so bene che
incontrerò molte critiche e pareri negativi. Questa è la
forza della democrazia.
Chi scrive non appartiene alla generazione X o Y come
vengono identi cati i giovani che si affacciano al mondo
dell’informazione professionale. Sono un anziano
professionista che dovrebbe essere incollato al giornale
stampato su carta che preferisce.
Le mie fonti le trovo invece sul PC, sullo smart phone
oppure sul mio netbook (un piccolo computer che
sostituisce alla grande il reclamizzato IPad ad un prezzo
di acquisto che è pari alla metà).
Il mestiere di blogger mi tiene incollato al computer per
molte ore al giorno. Mi sono reso conto che da un po’ di
tempo a questa parte le copie di giornali e periodici non
letti si ammassano sui miei tavoli.
La ragione di questo spreco non solo di moneta da parte
mia, ma anche da un punto di vista ecologico, consiste
principalmente nel fatto che le notizie pubblicate su
carta sono vecchie rispetto all’aggiornamento che posso
ottenere dalle pagine online delle stesse testate, dai
blog più noti, sia pure di diversa tendenza politica,
(Drudge Report, Uf ngton Post), dai social networks tipo
Facebook, You Tube e Twitter, per citare i più noti.
Dice: “Per forza, se stai sempre al computer è chiaro
che non hai tempo per leggerti il giornale.”
Capisco e comprendo i molti amici, soprattutto italiani,
che mi dicono che per loro la lettura del quotidiano è un
rito, da recitare con un caffè a portata di mano e, per
chi ha il vizio, una sigaretta, stando in poltrona.
Per anni ho sottoscritto l’abbonamento al Post, al
New York Times e al Wall Street Journal. Si tratta di
quotidiani che hanno fatto la storia di questa nazione-
continente.
Ma con tutto il rispetto per le glorie passate devo
confessare che la lettura del Washington Post, (tanto
per fare un esempio concreto), mi ha spesso infastidito.
Molte pagine costituite da un piccolo articolo relegato
in alto a sinistra ed il resto dello spazio interamente
occupato da una inserzione pubblicitaria. E nonostante i
tanti ritocchi nella gra ca di questo giornale non è che la
situazione sia di molto cambiata in meglio.
Qualcuno dice che questo dipende dal fatto che il
più importante quotidiano della Capitale degli Stati
Uniti deve rispondere ad una clientela composita e
contrapposta.
Da una parte la classe politica e parapolitica che vive
le sue giornate di lavoro all’interno della Belt Way ,
la tangenziale che circonda la Greater Washington,
quell’area che comprende Washington DC (District of
Columbia) e alcune contee della North Virginia e del
Maryland.
E poi il gran pubblico degli African-Americans che
costituiscono quasi il 70% della popolazione della
città e che hanno interessi distanti da quelli della
intellighenzia politica, lobbistica, impegnata nel Fondo
Monetario piuttosto che nella Banca Mondiale e nel
Banco InterAmericano de Desarrollo. Per non parlare
delle ambasciate che ogni giorno devono fare il rapporto
ai propri dante causa e spesso si limitano a ricopiare gli
articoli del Post.
Un giornale bicefalo con notevoli cali di stile da una
sezione all’altra. Fenomeno questo tipico di tanti altri
newspapers americani e italiani.
Ma, a differenza delle testate americane, i giornali
italiani devono coprire ‘tutto’: politica, costume, sport,
spettacoli, cultura e gossip, i pettegolezzi. I quotidiani
italiani sono ‘tuttologi’ e da un punto di vista gra co
migliori rispetto a quelli statunitensi.
I pettegolezzi, le notizie rosa o dark, la cronaca nera
ampli cata, nella realtà anglosassone, sono materia da
tabloid, i giornali della sera che negli ultimi tempi sono
riusciti ad assicurarsi in America degli scoop eccezionali,
nonostante il termine ‘tabloid’ sia diventato nel tempo
sinonimo di notizie inventate a tavolino.
continua
di Oscar Bartoli
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