ORGANIZZAZIONE AZIENDALE - armandourbano.it aziendale_10... · Il caso IBM Credit ... come nel caso...
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Organizzarsi per processi
Il caso IBM Credit
IBM Credit è la società finanziaria del gruppo IBM
Che si occupa del finanziamento ai clienti per
l’acquisto dei suoi prodotti hardware e software
Fino alla metà degli anni ’80
Il processo di evasione di una richiesta di
finanziamento era strutturato in maniera indistinta
Eccezion fatta per casi particolari legati all’affidabilità
del cliente o all’importo da erogare.
Organizzarsi per processi
Il caso IBM Credit
Il procedimento
Si avvaleva solo in minima parte di procedure
informatizzate
Richiedeva in media 6 giorni
Dal momento in cui il venditore telefonava alla IBM
Credit
Al momento in cui si informava il venditore sulla
decisione di erogare o meno il finanziamento
Organizzarsi per processi
Il caso IBM Credit
Il processo
Richiesta veniva annotata su un foglio di carta
Inoltrata all’ufficio finanziamenti vero e proprio
Informazioni digitalizzate
Verificata la solvibilità del cliente
Tale informazione, annotata su un apposito modulo
Era trasmessa al dipartimento affari
Potere di apportare eventuali modifiche alle condizioni
standard di credito precedentemente stabilite
Organizzarsi per processi
Il caso IBM Credit
Il processo
L’operazione successiva, ovvero la definizione del prezzo
(tasso) del finanziamento
Persona con incarico specifico
A questo punto le informazioni prodotte nelle varie fasi
Erano raccolte e inviate, mediante una lettera, al venditore dal
quale era partita la richiesta
Ma
Il giro di carte connesso all’evasione della pratica in alcuni
casi
“Bloccava” le attività del personale addetto alle vendite
Era spesso causa di mancate vendite.
Organizzarsi per processi
Il caso IBM Credit
Un’indagine interna aveva rivelato che
L’evasione di una richiesta tipo
priva cioè di complicazioni particolari legate alla
solvibilità del cliente
Si traduceva semplicemente nella ricerca di alcuni
dati e il completamento di formulari standard
L’operazione richiedeva in media un tempo non
superiore a due ore (contro i 6 giorni!)
Il caso IBM Credit: cosa si fa?
Cosa si fa
Ripensamento e ridisegno del processo
Eliminazione attività a non valore aggiunto per il
cliente (interno ed esterno)
Cosa significa lavorare per processi
Intervenire alla fonte del fabbisogno di integrazione
Potenziare la struttura organizzativa
Organizzarsi per processi
Per recuperare efficienza, IBM Credit ha provveduto al
ripensamento dell’intero processo operativo,
eliminando tutte le attività che non generano utilità per
il cliente sia interno (venditore) sia esterno (acquirente
di un prodotto IBM). Ciò per rispondere meglio in
termini di efficienza, qualità e servizio e flessibilità.
La teoria organizzativa suggerisce di definire regole e
programmi, per organizzare i flussi informativi tra le
unità coinvolte e gestire il fabbisogno di coordi-
namento. Tale soluzione è efficace (eseguito con
professionalità), ma poco efficiente (in termini di
tempo). Ecco perché si adotta la logica per processi.
Le aziende, pur essendo strutturate per funzioni
verticali, funzionano per processi orizzontali. Il
processo è un insieme di attività che, con input
diversi, produce output di valore per il cliente.
L’efficienza deriva dall’efficienza delle singole
attività, ma soprattutto dal loro coordinamento.
È quindi determinante identificare l’output delle
attività e il cliente per il quale si lavora.
Appare chiara la distinzione tra funzione e processo:
la funzione è composta da attività della stessa
natura, il processo è formato da attività anche di
natura diversa, ma finalizzate al raggiungimento
dello stesso risultato.
La logica per processi concepisce l’organizzazione
in senso orizzontale.
Come passare ai processi
La logica per processi non implica il ripensamento
dei criteri di specializzazione, ma il superamento
della rigida separazione delle attività, intese come
affinità tecniche attraverso:
l’adozione di una logica di cliente interno
(l’ufficio a valle ha esigenze e aspettative che
vanno soddisfatte);
l’individuazione di indicatori di interfaccia
(indicatori di prestazione);
il potenziamento dei flussi informativi
automatizzati (ICT) che diventano parti attive
del cambiamento.
Disegnare i processi
Il presupposto di identificazione dei
processi è l’analisi e la ricostruzione degli
stessi (process mapping) per definire:
modalità di svolgimento delle attività e
interdipendenze;
attribuzione delle responsabilità;
i confini del processo, per stabilire gli
interlocutori a monte a valle e le loro
esigenze, disponibilità e aspettative;
i feedback per il controllo;
L’identificazione dei processi non è
immediata.
Essi si individuano considerando:
l’impatto sulle prestazioni dell’impresa
(diretto se influenza il vantaggio
competitivo o indiretto se agisce sulle
competenze interne),
la possibilità di descrivere, analizzare e
comprendere il processo (strutturabilità
del processo)
Si distinguono:
processi core – costituiti dalle attività
principali dell’impresa (hanno un legame
diretto con i clienti esterni, esempio: la
produzione, la logistica, il commerciale);
processi support – supportano i processi
chiave e hanno clienti interni;
processi business network – coinvolgono
clienti e fornitori;
processi management – attraverso i quali
si pianificano, gestiscono e controllano le
risorse.
Attraverso la mappatura di un processo si cerca di
capire il suo stato attuale e di conseguenza quali
sono i tipi di cambiamento da introdurre, per
migliorare e accrescere la soddisfazione del cliente.
Il cambiamento può essere di due tipi:
cambiamento incrementale (Business Process
Improvement, BPI) – individua i punti di debolezza e
realizza interventi mirati, a correggere le inefficienze,
attuati gradualmente nel tempo; la struttura
organizzativa rimane sostanzialmente la stessa;
cambiamento radicale (Business Process Re-
engineering, BPR) – comporta il passaggio ad una
nuova configurazione organizzativa con il “totale
ripensamento e radicale riprogettazione dei processi
di business”; la responsabilità e l’autorità devono
essere ridistribuite secondo la logica orizzontale,
unendo compiti decisionali e operativi.
Fasi della riprogettazione dei processi
L’intervento di riprogettazione dei processi prevede
Step tra loro complementari:
Definizione del valore delle attività svolte (value)
Identificazione del flusso di valore (value stream)
Scorrimento senza interruzioni del valore (flow)
Assegnazione al cliente del ruolo di “tirare” il
flusso di valore (pull)
Orientamento alla perfezione (perfection)
Outsourcing
Consiste nell’esternalizzare una o più
attività precedentemente realizzate
all’interno dei confini organizzativi.
Perché si fa outsourcing
La pressione competitiva. La crescente
complessità delle attività svolte e l’evoluzione
sempre più rapida dell’ambiente di riferimento sono
le ragioni più rilevanti. Si configura come
un’opportunità dettata da ragioni di convenienza
economica e come risposta alle pressioni
competitive. Proprio queste ultime impongono alle
aziende processi innovativi (che sono processi
rischiosi); l’esternalizzazione consente di
condividere il rischio o anche di trasferirlo.
Recuperare flessibilità ed efficienza. Facendo leva
su risorse non disponibili internamente. Ricorrere
all’outsourcing non è sinonimo di transazioni di
mercato, consiste piuttosto in una forma ibrida tra
mercato e gerarchia, che occupa una posizione
“mobile”, ora più vicina al primo, ora più vicina alla
seconda.
Il caso Barilla-Number 1 costituisce un esempio di
abbattimento dei costi di movimentazione dei
prodotti stimato intorno al 30-40% rispetto alla
gestione diretta.
Accedere a risorse critiche. Quando l’attività è a
maggiore valore aggiunto (come nel caso
movimentazione bagagli di Malpensa), si adottano
forme di coordinamento assistite da meccanismi
gerarchici. Determinante è la possibilità di
accedere a risorse specifiche, a capacità
organizzative e a livelli di eccellenza, non reperibili
o non convenienti da perseguire internamente.
Spin off. E’ un caso particolare di outsourcing e
nasce dal “distacco” di una parte degli impianti e
del personale con la costituzione di un’impresa ex-
novo.
Outsourcing e confini organizzativi
L’outsourcing impone opportuni cambiamenti
nella struttura per controllare e coordinare i
servizi esternalizzati ed evitare il rischio di
perdita di controllo.
Obiettivi delle strategie di outsourcing:
Riduzione dei costi
Ampliamento delle risorse e delle capacità
organizzative
Opportunità di migliorare le performance
economico-finanziarie
Miglioramento della gestione delle risorse
umane
L’outsourcing può privare l’impresa della
possibilità di riprendere a svolgere tale servizio
all’interno; ma ci sono altri rischi:
rapporti potenzialmente conflittuali – rischio dato
dalla difficoltà di stipulare contratti esaustivi, che
può portare a comportamenti opportunistici;
costi di fornitura elevati – il fornitore non sempre
riesce a cogliere le economie di scala che sono
alla base del suo vantaggio competitivo;
elevate barriere all’uscita – legate all’entità degli
investimenti idiosincratici effettuati dalle parti. Negli ultimi anni si è assistito all’esternalizzazione di funzioni
core (destrutturazione funzionale), come nel caso Swatch-
Creative Lab.
Le alleanze
Si tratta di fenomeni complessi,
attraverso i quali due o più aziende,
decidono di collaborare mettendo
insieme risorse e persone per
raggiungere un fine comune.
Alleanze orizzontali, verticali e trasversali
È un fenomeno in forte crescita: oltre il 27%
dal 1987; si ricava che oltre il 20% delle
entrate generate dalle maggiori imprese
statunitensi ed europee deriva da alleanze.
Ma non tutte le alleanze si concludono con
successo (oltre il 50% si rivela un
fallimento).
Le alleanze orizzontali sono accordi tra imprese
che occupano la stessa posizione nella filiera
produttiva; sono quindi concorrenti (attuali o
potenziali). Rappresentano un modo per
conservare o accrescere le proprie capacità
competitive (esempio: le tre grandi alleanze
internazionali del trasporto aereo Star Alliance,
Oneworld, Sky Team).
Le alleanze verticali sono accordi tra
imprese che occupano posizioni diverse
nella filiera produttiva; accordi con fornitori di
materie prime, componenti e semilavorati
(accordi a monte), con le imprese che si
occupano della distribuzione dei prodotti
(accordi a valle). Esempio: Fiat Auto e TNT
Logistics.
Le alleanze trasversali sono accordi tra
imprese operanti in settori diversi le cui
attività non sono riconducibili alla medesima
filiera produttiva. (Fujitsu e Siemens nella
produzione di notebook; Sony ed Ericson
nella produzione di telefoni cellulari).
Modalità per fare le alleanze
In alcuni casi, alla base della relazione c’è
una forte relazione sociale tra le aziende
partner;
i vincoli al rispetto degli obblighi del
rapporto si fondano anche su legami
fiduciari.
Questo tipo di alleanza presenta un elevato
grado di instabilità, ma è particolarmente
adatta in situazioni ambigue e di forte
interdipendenza, di medio-lungo periodo.
All’estremo opposto, l’alleanza può prevedere un
flusso di capitali per la creazione di una nuova
organizzazione indipendente (cooperative equity).
Molte sono le situazioni intermedie; un esempio è
dato dal caso Piaggio-Aprilia (unite da una joint
procurement per l’acquisto congiunto di materiali).
Joint venture: è un accordo in forza della quale
due o più imprese cooperano alla realizzazione di
un bene o un servizio e si distinguono in:
Joint venture operativa: le stesse aziende
beneficiano del risultato finale della cooperazione.
Joint venture strumentale: risultato offerto a un
soggetto terzo.
Perché si stringono alleanze
I fattori che spingono alla collaborazione
vanno ricercati nella necessità di risolvere i
problemi organizzativi riconducibili ai
cambiamenti endogeni ed esogeni
dell’organizzazione. La turbolenza dei
mercati (che riduce la possibilità di fare
previsioni attendibili), il ciclo di vita del
prodotto (sempre più corto), la
globalizzazione (abbinata alla necessità di
mantenere un radicamento locale).
Forme contrattuali a supporto delle alleanze:
Franchising: forma di accordo commerciale tra
una impresa concedente e una o più imprese
concessionarie.
Licensing: accordo che prevede l’autorizzazione
ad utilizzare un brevetto.
Cartello: intesa tra più imprese dello stesso
settore per dominare il mercato.
Consorzio: organizzazione per lo svolgimento di
determinate attività.
Associazione temporanea d’impresa: joint
venture contrattuale e strumentale tra più imprese
per lo svolgimento di una definita attività e solo
per il periodo necessario al suo compimento.
Progettare e gestire le alleanze
È importante definire il ruolo dei partner,
identificando ed evitando i punti critici:
limitare la propensione alla replica organizzativa
non clonata da quella dei parent, ma
caratterizzata da:
identità (propria e separata da quella dei
parent)
autonomia (risorse sufficienti, autonomia
strategica e operativa)
ridondanza (disporre di risorse eccedenti il
fabbisogno operativo, da destinare ai processi
di apprendimento);
individuare i meccanismi di coordinamento
la forma di governo delle transazioni è il
mercato-b; in presenza di interdipendenze
generiche, non sono necessari meccanismi
di coordinamento complessi; al contrario,
se l’alleanza si basa sul know-how
innovativo, si devono affiancare
meccanismi quali il mutuo adattamento.
Dallo scambio alla condivisione: le
forme a rete (distretti industriali e reti)
Il network tra imprese sono una forma ibrida di
organizzazione nel continuum mercato-
gerarchia.
Si tratta di imprese di piccola o media
dimensione che adottano la forma semplice o
quella funzionale, che attivano processi di
collaborazione con altre imprese, mantenendo
la propria autonomia gestionale e strategica, ma
condividendo risorse e competenze
complementari.
Questa soluzione fa leva sul social capital e
sulla fiducia che si genera in certi contesti
territoriali, e presenta le seguenti caratteristiche:
strutture e processi che permettono la
massima flessibilità;
un centro decisionale “vicino” al luogo in cui si
manifesta il problema;
processi alternativi e complementari alla
gerarchia;
possibilità di combinare conoscenze,
informazioni e attività;
utilizzo delle risorse per una pluralità di scopi
diversi.
Nelle reti prevalgono le relazioni di condivisione,
che assumono la forma di convenzioni, articolate
su due livelli.
Nei distretti emerge il ruolo dell’impresa focale che
all’interno del network di relazioni e dalla
possibilità di azione che la posizione le assegna:
può vantare il maggior numero di relazioni;
è un nodo di passaggio focale per ogni altra
impresa;
può raggiungere tutti i nodi in modo semplice e
veloce.
presidia le attività che generano
contemporaneamente il maggior valore aggiunto.
Le altre unità organizzative costituiscono
l’ambiente transazionale (clienti, fornitori,
concorrenti con i quali esistono legami
collaborativi).
La rete non ha confini stabili e chiaramente
definiti; questi dipendono, infatti, dalla capacità
dell’impresa focale di accedere alle risorse
necessarie. Viene definita una forma
“morbida”, capace di sfruttare a fini economici
le relazioni sociali tra gli attori che operano
nelle imprese.
Tra le forme a rete si possono osservare il
Decentramento Produttivo cioè un agente
centrale che controlla le fasi critiche e
regola il ciclo produttivo, il Distretto
Industriale nelle quali gli imprenditori-
lavoratori si coordinano in modo orizzontale
Perché si diffondono le forme a rete
L’incertezza ambientale e la dipendenza
dalle risorse costituisce la prima
motivazione che spinge le imprese ad
entrare in relazione con altre, che
detengono risorse complementari.
Quindi, la dimensione (specie quella
virtuale, cui la singola impresa ha accesso),
che permette di accedere ad economie di
scala. Infine la riduzione dei costi di
transazione.
Organizzare l’innovazione
L’incertezza ambientale e la dipendenza
dalle risorse costituisce la prima
motivazione che spinge le imprese ad
entrare in relazione con altre, che
detengono risorse complementari.
Quindi, la dimensione (specie quella
virtuale, cui la singola impresa ha accesso),
che permette di accedere ad economie di
scala. Infine la riduzione dei costi di
transazione.
Forme adhocratiche e struttura a matrice
La forma gerarchico-funzionale pone
l’enfasi sull’efficienza e sullo sviluppo di
competenze specialistiche ma entra in crisi
di fronte a situazioni di complessità, quando
il tasso di cambiamento è molto elevato e le
direzioni non sono note.
La forma divisionale si concentra sull’output,
gestisce meglio il coordinamento, ma non
incoraggia l’innovazione.
Caratteristiche delle forme adhocratiche
Forma adhocratica, fondata su unità dotate di
competenze specialistiche diverse e ampia
autonomia operativa e decisionale.
Si adotta una plurima dimensione. Manca il
principio di unità di comando e di direzione: gli
organi di secondo livello dipendono
contemporaneamente e in modo stabile da più di
un responsabile. Caratteristica principale è la
capacità di “evoluzione” e adattamento; il
cambiamento può essere così veloce da rendere
inutile l’adattamento dell’organigramma.
L’organizzazione delle attività per gruppi di
lavoro è la condizione normale per il buon
funzionamento delle adhocrazie.
L’autonomia decisionale dei gruppi è
essenziale per due motivi:
l’elevata specializzazione permette di
risolvere i problemi senza ricorrere alla
gerarchia manageriale (potere diffuso),
l’attività operativa e direzionale sono
confuse e il potere spetta a chi ha le
competenze per decidere.
La mancanza di una visione globale e la ridotta
formalizzazione, rischiano di generare
ambiguità e tensioni di ruolo (con aumento
della conflittualità all’interno dei gruppi).
La linea manageriale intermedia si occupa
perciò dei collegamenti e delle negoziazioni,
gestendo varianze e conflitti, per condurli verso
le finalità produttive.
Il successo di un’adhocrazia, deriva dall’unione
degli sforzi di tutti i componenti; le
interdipendenze all’interno del gruppo di lavoro
e tra i diversi gruppi sono reciproche.
Notevole importanza assume la progettazione di
sistemi operativi sofisticati e complessi (sistemi
informativi).
Anche le adhocrazie non sono esenti da
problemi:
ansia legata al rispetto dei tempi di progetto;
incertezza nella definizione del ruolo del capo;
scarsa definizione delle mansioni;
casualità nello sviluppo delle proprie
competenze a causa della natura del progetto;
costi di comunicazione per coordinare i
componenti del gruppo.
L’innovazione aperta
L'idea centrale di questo concetto è che, in
un mondo come quello attuale dove la
conoscenza viene largamente diffusa e
distribuita, le aziende non possono pensare
di basarsi solo sui propri centri ricerca
interni, ma dovrebbero invece comprare o
concedere in licenza le innovazioni (per
esempio con i brevetti) attraverso scambi
con le altre aziende.
Inoltre, le invenzioni sviluppate
internamente ma non utilizzate nel proprio
business dovrebbero essere date all'esterno
(attraverso contratti di licenza, joint
ventures, spin-offs).
Al contrario, il modello closed innovation si
riferisce ad un processo che limita l'utilizzo
della conoscenza interna entro le mura
dell'azienda e non favorisce l'utilizzo della
conoscenza esterna.
Prima della seconda guerra mondiale, il
modello closed innovation era il
paradigma utilizzato nella maggior parte
delle aziende. Le aziende maggiormente
innovative mantenevano un elevato livello
di segretezza sulle loro scoperte e non
cercavano di reperire e/o assimilare
informazioni esterne ai loro laboratori di
ricerca e sviluppo.
Negli ultimi anni però vi è stato un
significativo sviluppo della tecnologia e della
società che ha facilitato moltissimo la
diffusione delle informazioni (in particolare i
sistemi di comunicazione ed internet). Al
giorno d'oggi le informazioni possono essere
trasferite in modo talmente facile che sembra
impossibile bloccarle. In questo contesto il
modello Open Innovation suggerisce che,
piuttosto che bloccare questi flussi di
informazioni, le aziende possono invece
utilizzarli a loro vantaggio.
In quest'ottica, diventa strategico per le aziende
capire quali informazioni esterne portare al
proprio interno e quali informazioni interne
cedere all'esterno.
Nonostante la somiglianza del nome, Open
Innovation ha poco in comune con l'Open
Source, che enfatizza invece lo scambio e non
la vendita o la concessione in licenza delle
innovazioni.
Conclusioni Le forme organizzative tradizionali non sono da
considerare “superate”.
La globalizzazione dei mercati e l’aumento della
competizione, lo sviluppo delle tecnologie della
comunicazione ecc. creano nuove pressioni
organizzative.
Particolare attenzione è rivolta alla flessibilità.
Le forme organizzative che supportano i
processi di innovazione, la flessibilità e le
situazioni di emergenza, tolgono enfasi
all’organizzazione in favore di forme effimere.