Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo...

16
la Ludla 1 “Poca favilla gran fiamma seconda” Dante, Par. I, 34 la Ludla (la Favilla) Periodico dell’Associazione “Istituto Friedrich Schürr” per la valorizzazione del patrimonio dialettale romagnolo Autorizzazione del Tribunale di Ravenna n. 1168 del 18.9.2001 Questo numero è stato realizzato con l’apporto del Comune di Ravenna Società Editrice «Il Ponte Vecchio» Anno XVII • Giugno 2013 • n. 6 SOMMARIO La Rumâgna e i su vacabuléri - X - Il Lessichetto ravennate Scheda di Bas-ciân Gli interventi della Schürr nella scuola primaria - Metodologie e programmi di Rosalba Benedetti, Sauro Mambelli e Loretta Olivucci Attività scuola - musei etnografici di Vanda Budini Il romagnolo, lingua madre o lin- gua straniera? di Silvia Togni Artruvês Testo e acquarello di Sergio Celetti I bengàla (Setèmbri dé ’44) di Rino Salvi Illustrazione di Giuliano Giuliani La tessitrice di Veronica Focaccia Errani Parole in controluce: vdé Rubrica di Addis Sante Meleti Stal puisì agli à vent... Garavél I scriv a la Ludla Germana Borgini - T’an capès di Paolo Borghi p. 3 p. 4 p. 5 p. 6 p. 7 p. 8 p. 10 p. 11 p. 12 p. 14 p. 15 p. 16 Nel 2012 la Schürr ha collaborato alla produzione del nuovo cd di Quin- zân, Venì, venì e mi amore, pubblicato da Galletti-Boston di Faenza. La pro- posta di partecipazione al progetto è venuta dallo stesso Quinzân, che intendeva con questo disco sia continuare il proprio percorso musicale legato al dialetto romagnolo, sia riproporre dei “classici”, tradizionali o d’autore, in nuova veste musicale, con la collaborazione di un nutrito gruppo di ospiti. L’album infatti è realizzato dallo stesso Quinzân, e dai suoi musicisti, con la partecipazione dei Musicanti di San Crispino, dei Radìs, del piccolo coro di Giovan Trabiccola nonché di Luisa Cottifogli e Serena Bandoli. Il lavoro sui testi è curato dallo stesso Quinzân, men- tre gli arrangiamenti e la cura artistica si devono a Mirko Monduzzi. Continua a pag. 2 Il nuovo cd di Quinzân Venì venì e mi amore di Cristina Ghirardini Giugno 2013

Transcript of Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo...

Page 1: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla 1

“Poca favilla gran fiamma seconda”Dante, Par. I, 34

la Ludla(la Favilla)

Periodico dell’Associazione “Istituto Friedrich Schürr”per la valorizzazione del patrimonio dialettale romagnolo

Autorizzazione del Tribunale di Ravenna n. 1168 del 18.9.2001

Questo numero è stato realizzato con l’apporto del Comune di Ravenna

Società Editrice «Il Ponte Vecchio» Anno XVII • Giugno 2013 • n. 6

SOMMARIO

La Rumâgna e i su vacabuléri - X -Il Lessichetto ravennateScheda di Bas-ciân

Gli interventi della Schürr nellascuola primaria - Metodologie eprogrammidi Rosalba Benedetti, Sauro Mambellie Loretta Olivucci

Attività scuola - musei etnograficidi Vanda Budini

Il romagnolo, lingua madre o lin-gua straniera?di Silvia Togni

ArtruvêsTesto e acquarello di Sergio Celetti

I bengàla (Setèmbri dé ’44)di Rino SalviIllustrazione di Giuliano Giuliani

La tessitricedi Veronica Focaccia Errani

Parole in controluce: vdéRubrica di Addis Sante Meleti

Stal puisì agli à vent...

Garavél

I scriv a la Ludla

Germana Borgini - T’an capèsdi Paolo Borghi

p. 3

p. 4

p. 5

p. 6

p. 7

p. 8

p. 10

p. 11

p. 12

p. 14

p. 15

p. 16

Nel 2012 la Schürr ha collaborato alla produzione del nuovo cd di Quin-zân, Venì, venì e mi amore, pubblicato da Galletti-Boston di Faenza. La pro-posta di partecipazione al progetto è venuta dallo stesso Quinzân, cheintendeva con questo disco sia continuare il proprio percorso musicalelegato al dialetto romagnolo, sia riproporre dei “classici”, tradizionali od’autore, in nuova veste musicale, con la collaborazione di un nutritogruppo di ospiti. L’album infatti è realizzato dallo stesso Quinzân, e daisuoi musicisti, con la partecipazione dei Musicanti di San Crispino, deiRadìs, del piccolo coro di Giovan Trabiccola nonché di Luisa Cottifoglie Serena Bandoli. Il lavoro sui testi è curato dallo stesso Quinzân, men-tre gli arrangiamenti e la cura artistica si devono a Mirko Monduzzi.

Continua a pag. 2

Il nuovo cd di QuinzânVenì venì e mi amore

di Cristina Ghirardini

Giugno 2013

Page 2: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla2 Giugno 2013

Segue dalla primaSi comincia in tono decisamente ludi-co, con una filastrocca a catena, affida-ta alla voce di Quinzân e dei piccoliospiti del Coro di Giovan Trabiccola,in un delicato gioco tra le voci, il pia-noforte e il glockenspiel. Questo èuno dei tre brani in italiano presentinel cd, al quale si aggiungono Il grillo ela formica, e, di tutt’altro tenore, Quin-zân e Piripaja. La storia del matrimo-nio sfortunato tra grillo e la formica,uno dei classici dei repertori infantili,che già Costantino Nigra includevanei Canti popolari del Piemonte del1888, insieme alle vicende altrettantotragicomiche del pidocchio e dellapulce (che da noi sono conosciutenella famosa versione della fiaba acatena), è qui festosamente narratacon la partecipazione dei musicanti diSan Crispino. La notizia del poverogrillo che è caduto e si è rotto e il cer-vello circola velocemente tra mari emonti e dà origine a varie dicerie: saràvero o non sarà vero? Sarà ora in para-diso, purgatorio o all’inferno? La lingua italiana, si diceva, viene infi-ne usata per una narrazione di registrototalmente diverso: un racconto diguerra, i cui protagonisti, Romeod’Quinzân e Mingò d’Piripaja,entrambi della generazione del 1899,si incontrano sul Monte Grappa nel1917, dove Mingò troverà la morte intrincea. Si tratta di un remake diCamouflage di Stan Ridgway, uscitonell’album The Big Heat del 1986, ispi-rato alla guerra del Vietnam, cheQuinzân rielabora e ambienta in unaltro terribile massacro, quello dellaprima guerra mondiale.Tutte le altre canzoni del cd, come sidiceva, sono in dialetto romagnolo. Siva da canti tradizionali, a ballabili, aremake di altri successi, come JackieWilson Said di Van Morrison, dove ilritornello “I am in haven when yousmile” diventa “A so in Paradis s t’amfé un suris!”, e Per un basin (1971) diEnzo Jannacci che diventa Par un basì.Tratto da Proverbi, pregiudizi, canti,novelle e fiabe popolari in Romagna diGiuseppe Gaspare Bagli, è il testo diVenì, venì e mi amore, la serie di strofe,su un’aria tradizionale, che dà il titoloall’album e che Quinzân canta alter-nandosi a Luisa Cottifogli. È questo a

mio parere uno dei brani più riuscitidel cd (e pertanto giustamente dà iltitolo all’album), complici le essenzialima raffinate ornamentazioni melodi-che di Luisa Cottifogli, le divagazionistrumentali tra una strofa cantata el’altra e l’incedere ritmico del basso edelle percussioni.Intendono riproporre repertori tradi-zionali con linguaggi contemporanei ilcontrasto tra Martino e Marianna, L’èun murador e la ninna nanna che, haricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenzalo scorso 25 ottobre al Teatro dei Filo-drammatici, è stata rielaborata da unaregistrazione di Giuseppe Bellosi. Chiscrive riconosce, pur pregevolmentecamuffata, una delle ninne nanne diPaolina Tasselli, già pubblicata nell’ar-cinoto disco Albatros Romagna vol. 1.Personalmente, avendo nelle orecchiela straordinaria voce di Paolina Tassel-li, quasi mi dispiace che in questaoccasione non si sia lavorato su unaesecuzione esclusivamente vocale,avendo a disposizione Luisa Cottifo-gli, ma ogni disco è fatto per forniresuggestioni e suscitarne altre, sullabase delle esperienze acustiche di chisuona e di chi ascolta.Giocato su una dimensione ritmica èil contrasto tra Martino e Marianna,attestato in Romagna e in altre zonedell’Italia centro-settentrionale siacome gioco infantile, sia come formadi teatro da stalla. L’è un muradur è laserie di commenti insofferenti sulmuratore, contadino, falegname,canapino, calzolaio che la madre dellaprotagonista vorrebbe darle comemarito. Ma lei, imperterrita, sceglieràun bel giovanotto. È ancora la parteci-pazione dei Musicanti di San Crispi-no a rendere intransigente ma altempo stesso giocosa questa serie dirifiuti e ad assicurarci che la ragazzaalla fine sceglierà chi vuole lei, anchese il suo giovanotto ha poca voglia dilavorare, è un imbroglione, special-mente con le donne, e ovviamentenon piace alla madre.Con questo album si può anche balla-re, sulle note un celebre valzer lentosulle quali lo stesso Pietro Bandini hacomposto In prëst, che ci ricorda chenulla è nostro, ma tutto ci è stato datoin prestito, come ripetono spesso

anche le storielle ebraiche di MoniOvadia. Deriva da una canzone di ElyNeri e L. Matteucci E’ marafon, dedica-to al gioco a carte, in cui l’aria, che èquella utilizzata da tanti cantastorie delpassato, con il sostegno ritmico dellabatteria e qualche controcanto di fisar-monica e chitarre, è intercalata daritornelli strumentali delle trombe.La lenta e malinconica Cumatcemta èuna prova d’autore a cui Pietro Bandi-ni si cimenta insieme a Mirko Mon-duzzi, che, come il valzer lento, con-sente una parentesi riflessiva dall’esu-beranza della maggior parte dei branidell’album, abbandonandosi a unmondo onirico, in compagnia di unadonna misteriosa, di cui non cono-sciamo il nome, né da dove venga, nédove sia diretta. Si sogna tuttaviaanche in Zavaj, anch’esso a tempo divalzer, la vera narrazione di un sogno,il sogno di volare e di guardare tuttodall’alto, e poi dare vita, chiamandolia volteggiare in aria, anche a rondinimorte, alberi, spaventapasseri, chia-mando le mucche che mai escono dalrecinto, con i loro vitelli e il formag-gio, e infine, naturalmente, la donnadesiderata, sulla musica di fisarmoni-ca, flauto, chitarre e mandolino, per-cussioni. Salvo poi destarsi improvvi-samente, svegliati dalla moglie.L’album volge al termine con una poe-sia di Nino Pedretti, La not, metaforadella vita che si spegne, prima recitatada Serena Bandoli, poi cantata dallostesso Quinzân, con un cullanteaccompagnamento strumentale e voca-le e chiude con un omaggio all’altrametà della vita di Pietro Bandini, con-tadino biologico e vignaiolo, oltre chemusicista, che lo stesso Quinzân cele-bra insieme alle esuberanti sonoritàdei Radìs, prima di concludere, accom-pagnato solo dal canto dei grilli, con lastornella delle lucciole nei campi.Nel parlare della propria musicaQuinzân dice di guardare “sia al passa-to che al presente e, possibilmente,anche al futuro”: possiamo dire che èvero, ci sono diversi aspetti del passatoin questo disco, diversi richiami e cita-zioni, e una visione del futuro, di unfuturo forse facilmente prevedibile,ma che proprio per questo rende lemusiche di questo cd vicine e famiglia-ri, e proprio per questo, popolari.

Page 3: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla 3Giugno 2013

Sotto il nome di Lessichetto ravennateè noto un piccolo dizionario in dia-letto ravennate (sono in tutto 194lemmi) contenuto in un codicemagliabechiano della BibliotecaNazionale di Firenze, che contienefra le altre cose anche la Batistonata,un testo di carattere burlesco,anch’esso in ravennate, di tale Lodo-vico Gabbusio, risalente alla metà delSeicento.Si tratta in assoluto del primo dizio-nario del dialetto romagnolo o, peressere più esatti, del dialetto ravenna-te. Anche se l’Ercolani lo cita spessonel suo vocabolario, soprattutto neiconfronti e richiami etimologici, sitratta di un testo sconosciuto allamaggior parte di chi si interessa delnostro dialetto.Il nome di “lessichetto ravennate” sideve ad Aldo Aruch che lo pubblicòcirca un secolo fa nell’Archivio glottolo-gico italiano intitolando il suo artico-lo: Un lessichetto ravennate del secoloXVII. Il titolo esatto, però, con ilquale questo dizionaretto comparenel codice è Proverbij ravegnani tradottiin buona lingua toscana, dove con pro-verbij sarà da intendersi ‘espressionicaratteristiche, modi di dire’, inquanto nessuna delle 194 voci si avvi-cina a quello che noi oggi intendia-mo comunemente con il termine‘proverbio’. Il titolo si giustifica con ilfatto che solo un terzo dei lemmi ècostituito da una semplice parola; irimanenti sono contestualizzati in unespressione che ne chiarisce il lorouso e significato.Un’edizione più recente e filologica-mente emendata del Lessichetto sideve a Sergio Pasquali che – unita-mente alla Batistonata del Gabbusio –lo ha pubblicato nel 1976 nel volumemiscellaneo Testi e interpretazioni del-l’editore Ricciardi con il titolo corret-to di Proverbij ravegnani.Tuttavia, per evitare equivoci, credia-mo che, nell’uso pratico, sia forsemeglio conservare la denominazionedata dall’Aruch, anche se filologica-mente scorretta.La datazione del Lessichetto è fissataconcordemente dai due studiosi allafine del Seicento. Quanto all’autore,l’Aruch non si pronuncia, afferman-do solamente che il codice della

Biblioteca Centrale di Firenze fu «giàappartenente al Magliabechi, a cuiforse pervenne per mezzo dell’abatePietro Canneti, il fondatore dellaClassense e suo corrispondente». Il Pasquali sulla base di indizi, inveroabbastanza labili, ipotizza un autoresenese forse da ricercarsi nel persona-le al seguito di Carlo Giacomo Bichi,nobile senese, che negli ultimi decen-ni del XVII secolo fu a più riprese aRavenna con la carica di vicelegato diRomagna.Veniamo ora a qualche esempio perillustrare la struttura del Lessichetto.Abbiamo già detto che i due terzi deilemmi sono costituiti da espressionicaratteristiche che sono in genere

elencate secondo l’ordine alfabeticodel termine principale. Questo termi-ne a volte è ripetuto all’inizio, ma nonsempre: il che rende l’ordine alfabeti-co spesso approssimativo, come sipuò notare negli esempi seguenti.Al biatricol. Al m’ha fatt dar al biatricol‘M’ha fatto dare al diavolo, alla fortu-na etc’.Abuganel. Ho sercà al miè ragaz abuga-nel ‘Ho cercato il mio putto pertutto’.Cocla. A ‘t darò una cocla ‘Ti darò unabastonata’.Codol. U ‘n m’ha trat un codol ‘M’hatirato un pezzo di mattone’.Gattuzele. U ‘m fa il gattuzel ‘Mi fa sol-letico’.L’è un iuron ‘È un ignorante’.Langurnia ‘Cocomero’.Va malabiend ‘Va mendicando’.Palugar ‘Cominciare a pigliare ilsonno’.Sgobola ‘Una pina senza pignioli, opinottoli’.Mò tambùie! ‘È un ammirazione rave-gnana’.Zadamò ti siè venù ‘Sei arrivato cosìpresto’.

Nota tecnica

• Aruch Aldo. Un lessichetto raven-nate del secolo XVII. In «Archivioglottologico italiano», vol. XVIII,Torino, Chiantore, 1914-1918-1922.Pp. 534 – 542. Ne esiste anche unestratto pubblicato dallo stesso edito-re nel 1920.•Pasquali Sergio. La Batistonata diLodovico Gabbusio e i Proverbij rave-gnani. Estratto da «Testi e interpreta-zioni», Milano-Napoli, 1976. Pp. 196.

La Rumâgna e i su vacabuléri

X

Il Lessichetto ravennate

Scheda di Bas-ciân

Una pagina dell’edizione Aruch del Lessi-chetto ravennate. Il testo completo è consul-tabile in formato PDF alla pagina Al vóð delnostro sito www.argaza.it

Page 4: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla4 Giugno 2013

Fin dal suo sorgere nel lontano1996, la nostra Associazione si posel’obiettivo di collaborare con le scuo-le mettendo i nostri esperti a disposi-zione di insegnanti e di alunni desi-derosi di fare attività collegate conl’uso del dialetto.L’allora presidente Ermanno Pasiniche era stato per lungo tempo diret-tore didattico prese contatto condiverse realtà scolastiche con cui sidiede l’avvio ad importanti esperien-ze che continuarono negli anni aseguire.Nel contempo furono organizzatidalla Schürr corsi di formazione, peruna migliore conoscenza della nostralingua dialettale, rivolti ad insegnan-ti e genitori e così, via via, con l’an-dare degli anni si è formato in senoalla nostra Associazione un gruppodi lavoro per gli interventi nelle scuo-le che ha operato ininterrottamentefino ai nostri giorni.Nel frattempo si è consolidata unametodologia di lavoro che cerchere-mo di tracciare a larghe linee.Nella società multietnica di oggi, cosìcome è doveroso accogliere le altreculture, riteniamo altrettanto giustoil non dimenticarci della nostra:sotto questo aspetto il recupero deldialetto nella scuola ha una valenzastorica. Riteniamo che esso possa,anzi debba essere proposto noncome un qualcosa a sé stante, unamateria in più (i n’à za tanti!), ma conmetodo interdisciplinare, come ter-mine di confronto e di completa-mento: l’insegnamento del folklore(sapere del popolo) può essere inseri-to nell’ambito di qualsiasi area didat-tica, sia essa linguistica, musicale,antropologica, perfino religiosa;numerose infatti sono le preghierenel nostro patrimonio dialettale. Naturalmente nulla viene insegnatoaffidandosi al caso, bensì anche lapiù piccola filastrocca trova spazio inuna programmazione concordatacon l’insegnante o gli insegnantidella classe, sia che si operi per argo-menti, per obiettivi o si organizzi unlaboratorio. Quale esempio di unveloce esemplificativo excursus meto-dologico nella scuola dell’obbligo, sipuò iniziare da semplici giochi moto-ri; proporre formule magiche recitate

per catturare animaletti, piccole fila-strocche dotate di un ritmo cantile-nante così consono all’orecchio deipiù piccoli e contemporaneamentepregnanti di simbologia e di valenzeapotropaiche, per passare ad intri-ganti indovinelli, la cui soluzionerichiede acutezza di ingegno, capaci-tà di operare confronti, similitudini,analogie e differenze (logica!), e con-tinuare con “dirindine” e “acchiap-parelli”, che potremmo definire,usando un termine attuale, demen-ziali, ma che costituiscono un trion-fo di musicalità e fantasia, senza lequali il mondo sarebbe veramentetriste. Sarebbe ancora più triste se non cifosse la poesia, mezzo espressivo fon-damentale che mette in relazione lepersone con dei modi individuali dirappresentare la realtà e che escedalla comunicazione ordinaria. Essaha un linguaggio suo proprio, diver-so da quello usuale e sorprendente-mente bello che colpisce e commuo-ve il bambino. La poesia è ritmata, èun po’ come una melodia indipen-dentemente dalla rima. Di solito siscelgono poesie di riconosciutafama, sia classiche che moderne (A.Spallicci, L. Ercolani, T. Guerra, R.Baldini…). Si integra il lavoro con ilracconto di avvincenti fiabe, al fôl.Inoltre si possono avviare gli alunnialla stesura di zirudelle, ricche diumorismo e ironia, che caratterizza-no tanta parte del nostro folklore.

Si possono insegnare le famose“cante” corali romagnole, apprezzateanche all’estero per la loro avvincen-te sonorità. A questo proposito, daundici anni realizziamo un progettocomune con i Canterini Romagnolidi Ravenna, gruppo corale “Pratella-Martuzzi”: noi della Schürr spieghia-mo il significato del testo, eviden-ziandone la valenza storico geografi-ca, e facciamo familiarizzare gli alun-ni con il dialetto, poniamo in risaltola personalità degli autori più rappre-sentativi e ne inquadriamo storica-mente l’opera; il maestro della coraleinsegna a cantare, iniziando gli alun-ni ad un uso corretto delle cordevocali. Le corali romagnole degliadulti cantano a sei voci, coi ragazzisi può cantare a due voci senza parti-colare difficoltà. Per non portare solo parole e suonispesso si portano anche “oggettimisteriosi”, che si fanno sbucarefuori da una valigetta, come MaryPoppins (dicono i bambini): una cuf-fietta per neonati, un cestino di car-tone per la merenda da portareall’asilo, un fuso, un quaderno dallalucida copertina nera, cannucce epennini, astucci di pezza. Non sem-pre è facile scoprire l’identità di que-ste piccole cose, che però sono digrande aiuto per fare un tuffo con-creto nel passato. Normalmente i ragazzi sono interes-sati a tutto ciò. Ci sono ancora deiromagnoli autentici, che passano

Gli interventi della Schürr

nella scuola primaria

Metodologie e programmi

di Rosalba Benedetti, Sauro Mambelli e Loretta Olivucci

Page 5: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla 5Giugno 2013

molto tempo coi nonni, e con loro lasintonia è immediata, perché hannotante cose da raccontare, ma anchetutti gli altri sono ansiosi di accostar-si ad un linguaggio diverso e ci stupi-scono gli extracomunitari, talora ipiù desiderosi di apprendere e i piùcoraggiosi negli interventi; la loropredisposizione per le lingue, accre-sciuta sicuramente dal bisogno diintegrarsi, li porta ad avere una pro-nuncia romagnola perfetta! E poi èinteressante recuperare la melodia ele parole di una ninna-nanna inpugliese o in siciliano, da accompa-gnare alle nostre: ci sembra un esem-pio di intercultura!Non vogliamo dimenticare la praticadei balli tradizionali di gruppo (tre-sconi, manfrine, lavanderine…), ilcui apprendimento ha una fortevalenza musicale, motoria ed affetti-

va, avvicina i bambini a una cultura,ad un modo di vivere che non è quel-lo di oggi; fa rivivere un passato cosìdiverso dal modo di vivere attuale,ma che fa parte di noi, del nostroessere più intimo; è un po’ come ildialetto che mette in contatto il pre-sente con il passato, “è lo strumentoche consente a determinate culture etradizioni di sopravvivere”* poichéavvia a corretti rapporti con l’altrosesso, diverte e coinvolge moltissimoanche quelli che all’inizio si mostra-no più refrattari, anche perchè ilmovimento è un mezzo espressivoche è loro congeniale ed è una dellecose che più interessano ai bambini. I balli sono di grande effetto sceno-grafico e la fanno da padroni nellefeste di fine anno che si svolgono inalcune delle scuole in cui operiamo,inseriti o meno in recite di più

ampio respiro.Facile dedurre che il “dialetto” nellascuola è una continua palestra dicreatività, per gli alunni e per gliinsegnanti, perché si parla sì una lin-gua antica, peraltro incredibilmenteespressiva, ma i ragazzi, sempre diver-si e sempre più bombardati da stimo-li multipli, non sempre educativi,richiedono metodologie aggiornateper proporla. Il recupero del dialettonella scuola, come si evince dagliargomenti sopra trattati, possiedeuna forte valenza pedagogica e il sor-riso che si legge negli occhi dei ragaz-zi ed il loro affetto sono una iniezio-ne di speranza ed invitano a conti-nuare su questa strada.

* Libero Ercolani, Nuovo VocabolarioRomagnolo-Italiano Italiano-Romagnolo,ed. Girasole.

L’Associazione Friedrich Schürr,oltre ad inviare operatori didatticipresso le scuole che ne faccianorichiesta, ha contribuito, fin dallesue origini e per oltre un decennio,all’organizzazione dei laboratorietnografici presso la sede del Museodel Territorio di S.Pietro in Campia-no, con la presenza fissa di un pro-prio tecnico volontario che coordi-nava tali attività. Questo perchè, come affermavaGianfranco Camerani (che ha guida-to la Schürr per anni), l’opportunitàdi ricerca e di recupero linguisticopotessero avvalersi anche di contestie di oggetti di riferimento. Sappiamobene che oggetti e contesti dellanostra cultura tradizionale sono oggireperibili a volte solo a casa deinonni o dei bisnonni dei nostriragazzi (e ciò ci offre l’opportunitàpedagogica di riallacciare il filo dellacontinuità di conoscenza e di affettofra le generazioni) o in spazi progetta-ti denominati Musei Etnografici. Per questo la nostra Associazione harecentemente iniziato ad organizzareal suo interno un gruppo di volonta-

ri disposti ad operare nei musei, perquanto attiene lo studio dei materia-li etnografici, gli interventi di suppor-to per le visite guidate, per i laborato-ri didattici, per gli inventari, le dida-scalie bilingui. Tale gruppo si propo-ne di rendersi disponibile anche perle richieste di laboratori didatticiextra scolastici, che sempre più fre-quentemente vengono organizzati inoccasione di sagre ed eventi folclori-stici. Nell’anno in corso il gruppo si è giàattivato a Savarna, presso il MuseoSegurini, a Bastia in occasione della“Festa paesana”, con il supporto dinostri operatori e di esperti locali,senza dimenticare l’apporto tecnico-

progettuale profuso da anni in occa-sione della “Spanucêda”, quando nelmese di settembre le foglie scroc-chianti si trasformano in antichebamboline ed i bimbi “cavalcano” e’frol per la sgranatura. La nostra Associazione ha inoltrecontribuito con testi, consulenzascientifica e coordinamento alla rea-lizzazione del volume Alle origini era lascuola rurale, pubblicato dal gruppodenominato Genitori in mostra diS.Pietro in Campiano, in occasionedel centenario della fondazione diquella che oggi è una Scuola-Museo.Ha patrocinato anche lo studio Lacaveja cantarena, da me elaborato conil supporto tecnico dell’Associazione.

Attività

scuola - musei etnografici

di Vanda Budini

Page 6: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla6 Giugno 2013

Sono nata in una casa dove l’unicalingua in uso era il dialetto romagno-lo, quando ancora la televisione nonera comune come oggi e internet nonesisteva. Ho imparato la grammaticaitaliana a scuola, come poi avrei fattocon tutte le lingue nuove che miapprestavo a studiare. Ad oggi parlo escrivo correntemente quattro linguestraniere, sono in grado di leggerne ecapirne altre quattro e ho fatto dellamia padronanza linguistica una vera epropria professione. Ma se l’italiano è la mia lingua madre,il romagnolo allora che fine ha fatto?Tecnicamente altro non è che un dia-letto, visto che secondo le leggi dellalinguistica parlare italiano e romagno-lo è un semplice caso di diglossia enon di bilinguismo; eppure a me par-lare di dialetto sembra riduttivo. Sap-piamo tutti che i dialetti italiani fuoridalla Toscana sono lingue a sé stanti enon versioni diverse dell’italiano stan-dard (come accade in Francia con i“patois”), e spesso non mutualmenteintelligibili. Un norvegese capiscebenissimo uno svedese che parla nellapropria lingua, mentre noi ravennatiabbiamo seri problemi col vicino cese-nate che abita ad appena 30 km dacasa nostra. Per questo l’importanzadei dialetti non è da sottovalutare.Parlarne uno è comunque una linguain più da gestire per il nostro cervello,in grado di metterci già in condizionedi dover fare i conti con sistemi fono-logici, morfologici e sintattici diffe-renti, quindi rende la mente più dut-tile di fronte alle stranezze di altre lin-gue straniere e al loro apprendimen-to. Oltre a questa considerazione pura-mente pratica, nella salvaguardia delnostro dialetto possiamo intravedereun intento storico-culturale. Se da unlato nel nostro dialetto si trovanosonorità nasali tipiche del francese odel portoghese e la maggior parte deitermini che lo compongono proven-gono dal latino tardo medievale, èaltrettanto vero che in esso troviamoreminescenze dei popoli che si sonoavvicendati nella nostra terra. Insom-ma, è come se, parlando romagnolo,noi facessimo una sorta di excursusstorico nella nostra terra. Nei dialetti cisalpini, quindi a Nord

degli Appennini, i celtismi sonoampiamente presenti (la Romagna delresto è l’estremo bastione sud-orienta-le della Romània occidentale o cisal-pina), ma non solo quelli… L’espres-sione che più si rimprovera ad unromagnolo è senza dubbio l’uso delverbo avere come ausiliare di ‘rimane-re+complemento oggetto’ (a jò rmastdi pandor). È innegabile: anche se cer-chiamo di cancellarla dalla nostramente, in un momento di debolezza,quando meno ce lo aspettiamo, se neesce fuori… ma avete mai notato chenon è altro che il calco del francesej’ai gardé des tomates laddove il verbofrancese garder richiede l’ausiliareavere? Ecco, non un errore quindi, maun ‘rimasuglio’ delle antiche linguegalliche, da cui deriva addiritturaanche il nome della nostra rivista LaLudla.

La parola che designa il folletto fran-cese, il Lutin, è la stessa che forma laradice dell’antico nome di Parigi,Lutetia, e lo stesso Cesare attesta chein Gallia si venerava Juppiter o MarsLoucetium, il luminoso. Dal Caucasoalla Scandinavia la radice luk- o luq- fariferimento alla luce, alla fiamma e alcolore giallo (in lat. lutum), da cuianche il termine dialettale ludla, cioèscintilla, favilla.E sempre dalla Francia, ci arriva untermine molto particolare del nostrodialetto: ciabòt ‘confusione’. Derivadal francese jabotage, jaboterie, cioècicaleccio (in còrso ciaba significa‘ciarla’); inoltre in patois franceseoccitano chabrot è un ‘miscuglio divino e brodo’. Tante volte mi sono sentita rivolgerela stessa domanda: ma come fai aricordare tutte quelle parole, non ticonfondi? No, perché per impararebene una lingua straniera è indispen-sabile avere un’ottima padronanzadella propria lingua madre, e io sonofortunata perché ne ho due perciò,dove non aiuta l’italiano, aiuta sen-z’altro il romagnolo. Come faccio aricordare come si dice ‘tempesta’ inrusso? Semplice burià [буря], come la ‘bura’,il forte vento tipico dell’alto Adriati-co: la bura tri dè la dura, da cui anchela parola dialettale italianizzata ‘bus-sana’. Come faccio a ricordare come si dice‘bere’ in tedesco? Semplice il nostrotrinchê deriva dal ted. trinken. Allo stes-so modo l’espressione inglese she’s pre-gnant ricorda molto da vicino il l’è pre-

Il romagnolo, lingua madre

o lingua straniera?

di Silvia Togni

Il Lutin, il folletto francese

Page 7: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla 7Giugno 2013

gna per indicare che una donna èincinta. Restando Oltremanica, hospesso fatto notare ai miei studentil’analogia tra romagnolo e inglese perindicare i gradi di parentela affini:sister in law / brother in law (‘cognata/cognato’) = surëla ciapa / fradël ciap,così come mother in law / father in law(‘suocera / suocero’) = mâma ciapa /bab ciap laddove il ciap indica ‘presoper legge e non per legame di sangue’.Ma un ambito ancora più curioso èquello legato alla frutta e alla verdura,elementi fondamentali dell’economiaromagnola. Come faccio a ricordarecome si traduce ‘nocciola’ in spagno-lo? È innegabile che il termine avella-

na ricordi molto da vicino il nostroavulana, dal latino medievale avelana;per non parlare dell’arveja, nome col-lettivo che indica i ‘piselli’ sia inRomagna che in America Latina!Come faccio a sapere che portokali[πορτοκάλι] in greco, come portokal[портокал] in bulgaro, significano‘arancia’? Perché mia nonna le arancele ha sempre chiamate al portugali! Eda ultimo una piccola curiosità: aituristi spiego sempre che perfino ilfamoso naturalista latino Plinio ilVecchio (23-79 d.C.) elogiò la polpatenerissima e il sapore degli asparagicoltivati nel litorale ravennate: nellelingue straniere da me conosciute il

termine che designa questa piantacomincia sempre con vocale: (lat.)asparagus, (spagn.) espárrago, (fr.) aspèr-ge, (ingl.) asparagus... ma come faccio aricordarmi che quella vocale va toltain tedesco Spargel e in russo sparzha[спаржа]? Beh, ancora una volta lemie radici romagnole corrono inaiuto: la mnëstra cun i sperz, altro nonè che la ‘pasta agli asparagi’. Insomma, indagare nell’idioma roma-gnolo è un po’ come scavare in un sitoarcheologico: c’è tutto, ma è nascostosottoterra; basta soltanto scavare nelpunto giusto e fare attenzione: quan-do meno ce lo aspettiamo, riservasempre piacevoli e utili sorprese.

T’ci te… t’ci la Chiara… a t’arcnos nenca dop a tân-t’enn, nenca int e’ mëþ a sta cunfuðion e a l’armor adste Luna Park.Chiara, la dona ch’a jò sugnê par ‘na vita.Bëla, t’ civta la piò bëla dla scôla e t’ pasivta altera cmè‘na regina int e’ meþ a nó, ch’a sema tot in adurazion:e’ ðguêrd fulminant, al gâmbi longhi e ðnëli, e’ pët êltch’e’ punteva spavêld contra a la camiðeta. T’an pu gnenca imaþinê quânt ch’a fos inamurê ad tee ades t’ci què davanti a me che t’am gvêrd un pô persamèntar ch’a t’ dmând se t’am arcnos.T’an pu arcnòsum parchè a sera on di tent, un pô bru-tin, a purteva j ucél e a seva nenca bugnarloð.Quanti vôlti la nöta pinsend a te, a e’ tu fiðich a spigne-va sulitêri e’ mi diðideri… Zert che adës e’ tu bël fiðichl’è sol un arcôrd!Mo ‘sa m’impôrta se e’ pët u n ponta piò la camiðeta moe’ gverda bas, se e’ þir ad vita l’è un pô abundânt e dalðmajadur al sponta qua e là, l’impurtânt l’è ch’a t’ òartruvêda finalment, quest l’è quel ch’e’ conta, solquest…E’ cmenza a calê la sera, a lasen e’ Luna Park e, abrazé,anden in þir pri viul senza meta, cmè du inamuré.A sent e’ tu prufom, i tu cavell ch’i m careza la faza, a sol’òman piò cuntent de’ mond.A un zert pont t’at afìrum, me a êlz j oc e a vegh l’inse-gna d’un albergh… Te t’am gvêrd malizioða e a intren…E l’è l’amor, longh, intens, ‘na roba fura de mond, ch’an scurdarò mai… E dop a pens che t’ci brêva e t’an si gnenca chêra par-chè t’am dmend sol zent euro… To’, a t in dagh zent event!

Artruvês Testo e acquarello di Sergio Celetti

Page 8: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla8 Giugno 2013

L’è ’na zóbia nuvléda oz, e’ grigio l’àport vi i culéur mé grèp dé Póz; Schur-ghéda, Vróc e San Maròin i s’è maséspèssa al nóvli basi e pini ’d pióva; alazò vers maròina, própi té cantàun,l’è tótt nir e u n prumèt gnént adbón.L’à fat du gózli ænca pròima, mò u n’àfat gnént, l’à snò lass dla gran umiditàch la t’òintra ta gl’òsi e té zarvèl, u n sdicióid a fæ ’na bèl’àcva e a liberæ e’zil, e pær ch l’aspèta cvalcónsa.L’è un setèmbri stræn, indicióis, u n scapéss mai s’èll ch l’à tla testa. Dri nòta, u s sint la chèca* runzæ, lava, la vén, la s vòid e la s mésa, e pærun muscàun mi vóidri dla finèstra.Ecco, adèss la n gn’è piò, la è ’ndae vi.U s’é fat un svóit, un zétt da fæ pavéu-ra. I gazótt i n tóira gnénca e’ fiæ.«Stanòta i vèn» e dóis e’ mi ba intæntch’u s magna un casàun ’d pida siradécc; la mi ma la n dóis gnént, la àmagnè snò dò cuciarædi ’d minèstra,a vègh ch la sta in pansìr parchè tóttal vólti ch a ælz j’ócc e a la gværd li lasbàsa i su té piàt.A magném in préssia pu, tra léun eschéur a scapém ad fùra per andæ adurmói té nòst rifugio. Un béus sca-væd tla grèpa, sòta la stradìna dla sta-ziàun. In tré, tótt mucéd sàura unacvérta e du cusòin. E’ mi ba é céud labòca dé rifugio sa du sach pin ’dsabiàun e é dvénta sóbti nòta. I zcòrpóch i mi stasòira, gvàsi gnént e pu izcòr pianìn e, at che susór, a m’indur-mént.U m svégia ad bòta e’ mógg runcæddi bumbardìr. A faz dò dóida ’d fiséu-

ra t un sach per avdòi ’d fùra, la lucebiænca di bengàla la arléus e la gvær-da dimpartót, a m la sint madòss ch lam féssa pu, pianìn pianìn la s smórta.L’aròiva alàura e’ fés-ci dal bòmbi e labòta sèca ch la m fa ciùd j’ócc, u mvén la cærna plòina, ò vòja ad piénz eam bótt tal brazi dla mi ma ch la mstrènz senza di gnènt. Pu e’ rumàur dj’aparécc é rózla vi dalòng sla mórta esla pavéura, e’ fiæ cæld dal bòmbi ésmètt ad latræ, l’artàurna e’ schéurgupléd t’un silénzi ch’u t fa ’rnàss.«Stasòira j’à finói ’d lavuræ, dai Rinoch’andèm a durmói té nòst lèt.»A m zóir ad zfiænch, pu a m mèt ’dpanzèta, a m zóir ancàura vers e’meur, mò a n dórmi, j’ócc i s’impéssdla luce di bengàla, a gl’urèci li rin-tràuna dé ròmb d j’aparèc, a j’ò labòca sèca, ò bsògn ’d bòi, a m’ælz, avagh tla cusòina, a tóir sò da la caplè-ta ’na mèza mèscla d’acva a m la béghpiæn, a m cælmi, artàurni a lèt.«Dórma póri macaràun ch l’è zà pastótt» l’a m dois pianìn la mi ma slamæna lizìra sàura i cavél e, ninéd da isurnécc de mi ba, senza incórzmni, apas ad là.La à ziràt ænca sté véndri la chèca,insisténta cmè sla avéss un pansìr féss,sò e zò mé grèp dé Póz e pu ma Tròib,a Scurghéda, a San Zan e ancàurasàura e’ Póz a zirché i nóid dal mitrà-gli maséd dròinta la bósca ’d Sapégna,a zirché i canéun chi spæra da isabièun ad Tròib e da e’ camsænt adSan Zan, la s’abasa gvàsi rasént a tèra,pu la va sò t’un sbrès per scavidé laràbia di tugnìn.

I bengàla

(Setèmbri dé ’44)

di Rino Salviillustrazione di Giuliano Giuliani

Quando alcune settimane faabbiamo ricevuto la notizia della

scomparsa di Rino Salvi siamorimasti sinceramente addolorati per

la perdita non di un semplice socio,ma di un amico e collaboratore.

Su la Ludla abbiamo pubblicatomolti suoi racconti che egli ci

mandava via mail presentandosicon la sua innata modestia, ma con

la soddisfazione di collaborareall’attività della redazione. Di lui ricordiamo i preziosi

suggerimenti, la disponibilità ognivolta che veniva contattato

telefonicamente e le idee innovativerivolte alla valorizzazione del

dialetto. E quando propose di creare un mini

corso di lettura interpretativa deldialetto, subito organizzammo un

pomeriggio aperto a tutti: fu unesperimento veramente illuminante e

piacevole per coloro cheparteciparono, tanto che, a pressanterichiesta dei presenti e di quanti non

riuscirono a partecipare a quelprimo incontro, organizzammo un

secondo appuntamento che ebbealtrettanto successo.

Rino sollecitò i corsisti ad usare letecniche di registrazione che il

computer offre per potersi riascoltaree li invitò a non esitare a

contattarlo per sottoporgli i dubbi ele registrazioni stesse.

A tutti lasciò un’immagine dipersona creativa e capace di

trasmettere la teatralità e il sensonella lettura sia di prosa sia di

poesia, qualità indispensabili permeglio comprendere e gustare i testi

sia in lingua sia in dialetto.Lo salutiamo qui pubblicando uno

dei suoi racconti.

Page 9: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla 9Giugno 2013

«U s tòca andæ té rifugio ænca stasòi-ra, at che grand però, sa tót ch’a gl’ilt,l’è mèj» é dóis e’ mi ba. Arvém ch l’è zà schéur. E’ rifugiogrand l’è ’na galerì ’d madéun, strètae longa, ch la travérsa la ferovì da uncæv a cl’ælt. Ma tèra ’na piscòla, sa dòdòida d’acva intròbda, la ristagna slatèra batéuda. L’è omìd e u s sgvéla;dagl’asi imbruchædi li ciéud al dòbòchi.Pin zèp ad zénta. I piò i sta zétt, céusti su pansìr, cvalcadéun é ciacra da fétper masæ la pavéura, a n’ò mai vést imi cumpàgn acsè bun e zètt, tóttdatonda mal su ma.Sàura ’na cvérta, la Tina, e’ maróid ei su du fiùl, i sta datònda m’una supì-ra pina ’d lasagni ch li fóma, zali, pini’d séugh, ch a gl’udàura ’d faurma gra-tæda.

«T’a n vu un pó Rino?» la m fa li. A nfaz tèmp ad arvì bòca che la vàusa dlami ma la ’m blòca.«No grazie Tina, mò avèm pénamagnæ.» E intænt ch la m tóira dri li,a la sint sibilé tra i dint: «Cla pacàuna,la n putòiva magnæsli ma cæsa su?»Al nóv, al dis, mezanòta, agl’éutmiparoli l’i s smorta, cvalcadéun e fafinta ad durmói, ch a gl’ilt i sta zétt ej’aspèta.T un’aura e scòpia e’ finimond, l’ècmè ès t un tempuræl, e’ zil u s spàcaad lémp sla luce ch la balòina tótt dasèch, la tèra la tréma sòta al bòti ch lirintràuna ta gl’urèci e li t fa saltæ dala pavéura. Tra cla tampèsta ’d bòmbi,ad fes-ci e ’d bòti ch l’a n finéss mai, asint i rógg di burdél, a vègh zénta bia-stmé, prigæ, piénz. Dop i bumbardire cmóinza i canéun d’j’Inglóis chi

spæra, da d là dla Marècia, càuntra e’grèp dé Póz, e da d cva u j’arspond itugnìn. Néun, té mez ad ch l’inférni,a n putém fè gnént snò spitæ e speræch la finéssa, mò la ’n finéss tæntprèst, snò tal cvàtri e’ mòstri, strachad téun, ad rógg, ad fugh, ad mórtapiæn, piæn u s’indurménta e néun, saléu, a ciudém j’ócc per no vdòi, perno sintói piò gnent.Pu, tla cælma dla matòina dop, té’rturnæ cæsa, a vdém che gran béustla stradina... própi du ch l’éra e’ nòstrifugio.«S-cia, ’d chéul!» e fa e’ mi ba tra i dinte u s mètt a fis-cé.

* Letteralmente ‘gazza’. Per metafora: il‘ricognitore’ degli alleati che in altri luoghidi Romagna era noto con il nomignolo di‘Pippo’.

Page 10: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla10 Giugno 2013

La tessitura, così come l’attività chequasi sempre la precede, la filatura(vd. Ludla nr. 2/2013), risale a tempiremoti. Il primo strumento utilizzatofu il telaio a sbarra unica, nel quale ifili dell’ordito erano appesi solo nellaparte alta e lasciati liberi, con pesiattaccati in fondo; i fili che costituiva-no la trama venivano fatti passaremanualmente sopra e sotto quelli del-l’ordito. Questa procedura, oltre adessere lenta, dava un filato rado edisomogeneo.Venne poi costruito il telaio rettango-lare, portante due sbarre poste unasopra ed una sotto, che tenevano intensione i fili dell’ordito; questo per-mise di ottenere un prodotto piùcompatto, ma non agevolò la rapiditàdell’esecuzione.Un progresso, da questo punto divista, avvenne solo in seguito all’uti-lizzo del liccio (lèz), un sottile disposi-tivo inserito nell’ordito e manovratoper mezzo di pedali (chéicul), in modoche alzasse una volta i fili pari ed unavolta i dispari; la tessitrice, poi, inse-riva rapidamente nel varco creatosi laspoletta, uno strumento a forma dinavicella attorno a cui era avvolto ilfilo della trama: in questo modo, essoveniva inserito con un movimentounico. Dopo un certo numero di pas-saggi con la spoletta, il tessuto forma-tosi veniva compattato battendovi ilpettine. Ai margini laterali, i fili dellatrama si chiudevano su quelli dell’or-

dito formando il vivagno (dbègn).Al posto delle sbarre fisse dei primirudimentali telai, in quelli piùmoderni e meccanici vi erano cilindrirotanti (sòbi) che permettevano diavvolgere la parte già tessuta sul cilin-dro inferiore, posto sul davanti, e diavvolgere su quello superiore, posizio-nato posteriormente, il filo ancora datessere.La tessitura meccanica, pur velociz-zando in modo consistente il lavoro ecreando un manufatto più compattoe resistente, era estremamente com-plessa, e necessitava di più personenelle operazioni di manovra deisubbi e di altri parti del telaio.

Nomenclatura

Chéicul: (chélcul: Mattioli, Masotti) :s. m. pl. ‘pedali’, ‘regoli’ sui quali iltessitore tiene i piedi e, ora abbassan-do l’uno, ora alzando l’altro, mano-vra il liccio (vd. s. v. lèz).

Deverb. dal lat. calcare, v. tr. ‘premeresu una superficie, specialmente con ipiedi’, der. da calx, calcis ‘tallone’,‘calcagno’ (GDLI e DELI s. v. calcare,REW 1491).Dbègn (dbàgn / vivàgn : Mattioli) : s.m. ‘vivagno’, ‘cimosa’, estremità deilati della tela, che congiunge i fili del-l’ordito con quelli della trama.Dal lat. med. vivagnum (XIV sec.,GLE) der. da vivus (REW 9420), inquanto indica l’ ‘orlo vivo’, cioè il‘margine prossimo al vivo della stof-fa’ (GDLI, DELI); nella voce dialetta-le è presente un passaggio dalla labio-dentale sonora (v) a occlusiva labialesonora (b), con dissimilazione delnesso: *bb- › db-.Lèz (léz: Mattioli, Quondamatteo): s.m. ‘liccio’, dispositivo inserito neltelaio e composto da pezzi di spagoritorti, che permettono di alzare eabbassare in modo alternato i fili del-l’ordito, così da farvi scorrere la spola.Dal lat. liciu(m) (XIII sec., GLE; XIVsec., DEI, DELI e GDLI s. v. liccio),voce tecnica panromanza, di origineoscura, ma di ampia continuazionepopolare (REW 5020).Sòbi (sóbi: Mattioli): s. m. ‘subbio’,cilindro orizzontale che costituisceparte del telaio; sul subbio anterioreera avvolto il tessuto composto, mentresu quello posteriore i fili dell’orditura.Dal lat. tardo [in]subulum ‘pernio deltelaio’, deverb. da insubulare (GDLI,DELI).Urdì (ordì: Mattioli; urdìd: Quonda-matteo): s. m. ‘ordito’, insieme di fililongitudinali posti sul telaio, tra iquali viene inserita la trama. Dal lat. orditu(m), part. pass. - convalore sostantivale - del verbo ordiri,accostato a ordo, -inis ‘disposizione’, diorigine incerta. (GDLI, DELI).

La tessitrice

di Veronica Focaccia Errani

Una tessitrice all’opera al telaio. Immagine tratta da G. Dragoni, Lavur ‘d Rumagna, Bologna, 1980.

Page 11: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla 11Giugno 2013

vdé (anche avdé) e guardè: in ital.vedere e guardare. I due verbi non sem-pre sono intercambiabili. A parteforse l’imperativo tronco e secco: vè!1

che vuol mettere sull’avviso, in vdé èsolitamente assente l’intenzione, il fine,proprio di guardè. Si ‘vede’ spesso percaso senza ‘osservare’:2 non si colgonoi particolari di ciò che ci passa davan-ti agli occhi, e che col senno di poivorremmo aver osservato.3 Persino l’e-spressione ve’ mó te, ‘vedi un po’tu…’, sembra affidarsi alla discrezionedi chi riceve un ordine che è tale soloin apparenza, poiché non si fa granconto sulla disponibilità altrui di met-tere in atto quello che vorremmo.4

D’altra parte, allo sguardo altrui neinostri confronti a volte reagiamoinfastiditi con l’espressione: ’s’ hé t’da guardè… Siamo a disagio, perchésappiamo che chi t’ guèrda trop, och’ u t’ vo trop ben o trop mèl. L’in-tenzione è ancor più netta, anzi è dimestiere per certi derivati, come guèr-gia, guargiòt, guergiabòsc, guergia-caza, e il più recente guerdaspali,mentre e’ guardòn è solo un curiosooltre misura, senza scarziòn ‘di-screzione’. Vi è poi la guargióla. L’in-sistere sull’intenzione rinvia alle cir-

costanze che hanno causato la diffu-sione dell’antico verbo germanico*wardan e derivati: nei tempi gramidelle invasioni barbariche convenivatener gli occhi ben aperti e stare dicontinuo in guardia, parchè u ’ngn’era mai un pas dla piéna (mai unpasso in piano).5 Il verbo germanicofece dimenticare il lat. spécere, cheperò sopravvive in un lungo stuolo diderivati: l’è cme un þóven mort prest,con un brenc ad basterd lasé a qua inþir.6 ‘Guardare’ in una forma italianaarcaica perdé la r, divenendo ‘guatare’,da cui viene l’ital. ‘agguato’, che il dial.non usa: ricorre piuttosto a trapla‘trappola’ d’origine longobarda, datrapa ‘cappio’.7

Note

1. Ve’ vuol richiamare l’attenzione: Bèda,vè’ ch’ u ’n schèpa i vidèl. Oppure: Ve’che dann che t’he fat. Vi sono poi altrimodi di dire: Va’ te a vdè chi ch’ l’è stè…;quando si sa già che non si troverà nes-suno. E per scene raccapriccianti o disgu-stose: u ’n è un bel avdè…; oppure, inattesa di cose belle, no vdé l’ora ad…: A’n avdeva l’ora ad dvintè grand e acsé ime ènn pió bon i m’ è pasé vi[a] tot int’na bòta. 2. Il lat. servare continua in ‘osservare’,‘conservare’, ‘preservare’, ‘riservare’, ecc.,con corrispondenti e derivati anche indial.), nonché nell’ital. ‘serbare’ e ‘riser-bo’, risérb. In ‘osservare’ servare assume ilprefisso causativo ob (ob+servare). Infatti,usarvè significa ‘guardar bene’, ‘salva-guardare’, ‘vigilare’, ecc. Il lat. servare inital. si traduce ‘salvare’, anch’esso di ori-gine latina, ma d’etimo diverso; una voltain effetti, ‘salvati’ servati, erano i prigio-nieri di guerra: lasciati in vita, ma trasfor-mati in servi. Erano perciò ‘da guardare avista’ e ‘da non perdere d’occhio’: sonomodi di dire ancora presenti, anche indial. Da servus viene poi il verbo lat. edital. servire, sarvì, e derivati. E padroni evigilanti ii faseva tot agli uservaziòn ch’ ivleva, quando non andavano oltre. Ilsinonimo s-cév ‘schiavo’ è però una con-notazione geografica medievale: molti diloro erano d’origine slava. ‘Schiavovostro’ come forma di cortesia, s’è muta-to in ‘ciao’!3. Scriveva Tertulliano, un cristiano del IIsec.: patent oculi, non vident (gli occhi siaprono, ma non vedono). Si riferiva a chi

era ‘cieco’ di fronte ai modi in cui Dio simanifesta. Tuttavia capita di non vedereneppure le cose di questo mondo pur congli occhi aperti, specie se si tratta di coseminute in mezzo ad altre di maggior inte-resse, o appiattite sullo sfondo (da cuipiatè per ‘nascondere’, o piatès). Gli psi-cologi la chiamano ‘cecità selettiva’. Machi ha ben osservato può dire con Teren-zio, Adelphoe 1329: hisce oculis egomet vidi(a i ho vest propri me, con sti oc’ chequé!).4. Corrispondente a vè mò ‘vedi adesso’,troviamo in Petronio, Satyr. LI, vide modo! 5. Da ‘stare in guardia’, si passa ‘a far laguardia’; in seguito, il nome astrattoscivola addosso a chi fa la guardia: così unnome femminile finisce per indica un’at-tività di solito maschile, come succedecon ‘spia’, ‘vedetta’, ‘sentinella’, ‘scolta’,ecc.6. Spécere si trasforma già in lat. nell’inten-sivo spectare ‘guardare con particolareattenzione; ed infine ‘toccare a…’ e, grazieal prefisso, in ex+spectare (da cui [a]spitè‘aspettare’, cioè guèrda s’u ’riva, oppures’ u parés). Ci sono poi re+spectare rispetè,sub+spectare suspitè, ecc.; nonché i nomiastratti aspét, rispét, sospèt, [di]spét,pruspét, cuspèt (quent che pu tu tn’andaré a e’ cuspèt de’ to Signór… alorala sarà gnara…, diceva sempre mia nonnache aveva di Dio padre un’idea da Vec-chio Testamento). Ma da spécere derivanopure: speculum (spéc spècchio); spectacu-lum (spetàcol ‘spettacolo’, poi al plur. ininglese = occhiali!); spectrum (spétr spet-tro); ispeziòn e affini. E poi, species, da cuispeci ‘specie’ sostantivo e avverbio, specél‘speciale’, spezii ‘spezie’ e spizier‘speziale’, antenato del farmacista;nonché i neologismi specialesta, specéfic,speculè, speculaziòn: on ch’u spècula l’èon che int i sold ui guèrda ben e u tira aramasèn. Ma la pagina si esaurisce primadell’elenco.7. Tra i ripescaggi dal latino, oltre che‘insidia’ (dove c’è chi aspetta [expectat]‘seduto’ in un luogo idoneo ad un aggua-to) abbiamo pure machinaziòn. Machinaper ‘trappola’ è d’uso antico: Plauto,Capt. 531: quid màchiner? (che cosa potreicongegnare?); Bacch. 232: àliquam machi-nàbor màchinam (congegnerò qualche con-gegno), cioè qualche trappola. Si noti l’al-litterazione. Infine nelle Nozze di Figaro diMozart si canta: ‘Tutte le ‘macchine’rovescerò’, ovvero ‘sfuggirò alle trappole’.

Rubrica curatada Addis Sante Meleti

da Civitella

Page 12: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla12 Giugno 2013

XXI Premio di poesia dialettale “Giustiniano Villa”San Clemente

Insen

di Marino Monti - ForlìPrimo classificato

Cvand che al stasónagl’arâfa l’istêa s’incaminé pr una strê nova.Cla lus la j ha parol dolzich’al s’infila int e’ cor.Una pês d’un dmanzà pinsè.In cal seri

indò che tot u s’svuita,cvand ch’e’ perd vigor la vitae u s’aramasa e’ bser dal nuvalsora la ca,una lus incrispêda la bat ai vidar,coma gózal d’acva ch’al sgvelaint la faza.I dè sré int e’ cöri ferma la vos dj arcurd.Tot du inséna la finestracuntent dla fadiga fataguardê la lonaspicés int l’èra.

Insieme Quando le stagioni / rapiscono l’estate / ci si avvia versonuovi orizzonti. /Quella luce ha parole dolci / che penetrano nelcuore, / una quiete di un domani già pensato. / In quelle sere / in cuisi svuota tutto, / quando perde vigore la vita / e si accumula il pesodelle nuvole / sulla casa, / una luce increspata batte ai vetri, / comegocce di acqua che scivolano / sul volto. / I giorni chiusi nel cuore /fermano la voce dei ricordi. / Tutti e due insieme /alla finestra /con-tenti della fatica fatta / guardare la luna / specchiarsi nell’aia.

Tr’al poighi

di Lorenzo Scarponi - Bellaria-Igea MarinaSecondo classificato

Qvèl che feva spech, at ch’la cusòinal’era cla gran rolapina at stlunc, at zoch.E’ fugh; al lèngvi dal flambial chicheva sò al lozli fina mè tètpar fé scapè un’ amna da e’ purgatori.La zèndra caèldaduvò ch’ai masimi tra, al mòiliingupledi tla caèrta zala.E’ silenzi di burdelsòta la capa, senza arfiadè;‘na fola la i’avòiva rubè: al sgresi e i cen.

Stal puiðì agli à vent...

Page 13: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla 13Giugno 2013

Qvèla ch’la m’ha alvaèa la vègh ancòuras ‘na maèna verta sla masèlaè didin sòura i zaplipersa chi sà duvò, e dri ma chi sà chè....a sint ancòura è’ caèld...d’la su faldaèda

Tra le pieghe Quello che si notava, in quella cucina / era quelgran camino / pieno di legna, pezzi piccoli e grandi. / Il fuoco; le lin-gue delle fiamme / spingevano su le scintille fino al tetto / per far usci-re un’anima dal Purgatorio. / La cenere calda / dove ci nascondeva-mo in mezzo, le mele / avvolte nella carta gialla. / Il silenzio dei bam-bini / sotto alla cappa, quasi senza respirare; / una favola gli avevarubato: le risate e le smorfie. / Quella che mi ha allevato / la vedoancora / con una mano aperta sulla guancia / il mignolo sulle labbra/ persa chissà dove, e dietro a chissà cosa. / ...sento ancora il calore /...del suo grembo

L'inciostre

di Gilberto Corbelli - RiminiTerzo classificato

Ho per al meni na Divina Cumedia,vecia, inzalida, pulvrosa,e um capita da lez la storia famosa,ad Pevul e Franzesca: una tragedia.

A zir na pagina e arvenz sturdid,se’ cor che t e’ pet e’ galopa in freta,t e’ veda un fujet e na viuleta,seca e s-ciazeda, i su culur smalvid.

La screta l’è sbiavìda, tota arvineda,l’inciostre azor l’ha pers guasi e’ culor,che, a fadiga, us lez la parola: “amor”,firmeda s’una “T”, guasi scanzleda.

Arveg cla terza magistrela,cla prima scola mesta,

na bela nuvità, però malvesta,tropa muderna, tent da cunteste-la!

Per ciud-la i ha fat e’ brot e e’ bel,sla Cesa in testa per la cuntestazioun,tott j ann esami per la parifìcazioun,che bazilè a cavai de’ buratel!

L’insest e’ mi pensier cuciudper arcurdè chi, a cred se’ baticor,t e’ libre l’aveva masè che fior.E’ culor dl’inciostre u m’è stè d’aiut!

Dla “T” ho isè svelè e’ mister.Sna lea la scriveva sl’inciostre azor,cum’ è i su occ cun dreinta e’ mer!

L'inchiostro Ho per le mani una Divina Commedia, / vecchia,ingiallita, polverosa, / e mi capita di leggere la storia famosa / diPaolo e Francesca: una tragedia. // Giro una pagina e rimango stor-dito, /col cuore che nel petto galoppa in fretta, /nel vedere un fogliet-to e una violetta, / secca e schiacciata, i suoi colori sbiaditi. // Lascritta è sbiadita, tutta rovinata, / l’inchiostro azzurro ha persoquasi il colore, / che, a fatica, si legge la parola “amore”, / firmatacon una “T”, quasi cancellata. // Rivedo quella terza magistrale, /quella prima scuola mista, / una bella novità, però malvista, / trop-po moderna, tanto da contestarla. // Per chiuderla hanno fatto ilbrutto e il bello, / con la Chiesa in testa per la contestazione, / tuttigli anni esami per la parificazione, / quale soffrire a cavallo dell’an-guilla! // Insiste il mio pensiero cocciuto / per ricordare chi, credocol batticuore, / nel libro aveva nascosto quel fiore. // Il colore del-l’inchiostro m’è stato d’aiuto! // Della “T” ho così svelato il miste-ro. / Solo lei scriveva con l’inchiostro azzurro, / come i suoi occhi condentro il mare!

Rimpènt

di Gianni Fucci - SantarcangeloPoesia segnalata

L’instêda la pàsalizìra cmè una piómma;ti bdól éulta i rivêl de fiómmu i è ancòura una memòria d’eliad gazutìn da nêide l'àqua la rimpiànzal nóvvli biénchich’al purtévva e’ frèsch;e’ piscadòurcucléd se grèpp de fiómml’aspèta un témpche magara u n vén piò.

Rimpianti L’estate passa / leggera come una piuma; / nei pioppilungo il fiume / c’è ancora una memoria d’ali / di uccellini di nido /e l’acqua rimpiange / le nuvole bianche / che portavano il fresco; / ilpescatore / accoccolato sul greto del fiume / aspetta un tempo / chemagari non viene più.

Page 14: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla14 Giugno 2013

Allora è proprio vero che le mezze stagioni non ci sonopiù: quest’anno siamo passati dall’inverno all’estate conun salto di 10 gradi in più, da una settimana all’altra, ametà di questo mese di giugno. “Ah, una volta sì che c’erano le mezze stagioni!” si lamen-ta la gente. In realtà in Romagna, almeno di nome, lemezze stagioni non sono mai esistite. Il nostro mondo contadino divideva praticamente l’annoin due stagioni: quella calda e quella fredda. In dialettoinfatti esistono l’istê e l’invèran, mentre il termine premavi-ra (o premavera) è poco usato e auton (o avton) non lo è pernulla e si trova solo nei dizionari come traduzione dall’ita-liano. I passaggi intermedi dal freddo della staðon cativa al caldodella staðon bona venivano indicati con riferimenti a festeparticolari. Per cui la primavera era spesso indicata conl’espressione par Pasqua ‘al tempo della Pasqua’ e l’autun-no con pr i Sent ‘al tempo di Ognissanti’, prendendo comepunto di riferimento due fra le solennità più grandi delcalendario liturgico che cadevano nelle “mezze stagioni”.E questo in armonia con altre designazioni temporalicome par Nadêl, par l’ann nôv, a Carnuvêl e soprattutto parl’arcôlt, il raccolto del grano che era il punto focale dell’an-nata agricola.

E’ pêrt dla muntagna

Una muntagna la scuséva tota e la daséva fura di’ grendmogg e di’ grend gnécch. La zènt lè dintoran, che i aveva zàvest stal cumegi int e’ pasé, i n la tuléva int e’ seri e i dgéva:“L’è e’ sòlit. E srà un etar surgatéi”. Mo a la surpresa d’ tott,da e’ smanezz dla muntagna u n dasè fura un bèl gnit,gnèca la coda d’ un sorgh. Alora i andè a dmandé la spiega-ziou a un strolgh ch’l’abitéva da cal pert e lô ui arspundè:“I mi bagiè, a nu n sivia adé ch’l’era passé un gatt?”.

E’ filosuf a e’ mer

Un filosuf, insdé in riva a e’ mer, l’era sprufundé int i supinsir. E acsè, rasunend sora al piô grandi varité, e’ cave-va l’acva cun un sicett, coma se e’ zughess, e pu u la svar-séva int un bus dla sabia. U s’ n’adasè che ogni volta l’ac-va la spariva e e’ concludè che s’ l’avess cuntinué e’ suzugh l’arebb sughé e’ mer. Spavinté, e’ zurètt ch’ u navrebb mai cunfidé a inciou una scverta acsè terebila chel’avrebb putù lassé in séca toti al nev de’ mond.

La luméga curiosa

Una luméga la viveva cuntènta int un bèl zardei.. Un dè,dop una longa spasigéda, l’arivè a una muraia. U i ciapèalora la curiosité d cnosar cosa ch’ u i foss da cletra perte, cun gran sforz, la riuscè a rampiches e andé zò int e’ zar-dei d’achènt. Mo cosa a n’ fô la su maraveia a avdé ch’l’era un zardei uguel, cumpagn a quel ch’la cnunseva zà.

Dið granël ad pòrbia i fa un piþgòtdið piþgòt i fa un pogndið pogn i fa una þemnadið þemn al fa una spôrtladið spôrtal al fa un sachdið sèch i fa una medadið med agl' iè un sbròmbal...

E incora di diÝ in diÝ

Cun dið cichinen u s fa un piþgòtcun dið piþgot u s fa un pogncun dið pogn u s fa una þemnacun dið þemna u s fa una sportlacun dið spôrtal u s fa un sachcun dið sec u s fa un carcun dið cher u s fa una caruvanacun dið caruvan u s fa un trenoe cun dið treno u s fa un sbròmbal.

Al doni bëli

Al doni bëli agli è bëli d’impartot, e da toti al staðon.Ma cvând ch’e’ ven l’istê e al doni al-s chêva i strëz d’adöse u i avânza pôch cvël da ciutê al vergogni, al fa góla nenchal broti.

Al mëþi staÝon

di Carla Fabbri

Garavél

Di diÝ in diÝ

Un pensierino

di Antonio Sbrighi (Tunaci)

Tre favole

di Augusto Ancarani

Page 15: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla 15Giugno 2013

Al lêvd di sent

Nella piccola selezione apparsa sulnumero de la Ludla dello scorso apri-le, i modi di dire raccolti nell’ultimafatica pubblicata da Mario Maiolani(La Romagna nei modi di dire dimentica-ti) mi sono apparsi ben tradotti e bencommentati dall’autore. Con unapiccola eccezione, che non ne smi-nuisce affatto la validità, eppure mistimola un modesto commento.Mi riferisco al dodicesimo, riprodot-to al centro della pagina 7: T’an signânc int al lëv di sént - Non sei nem-meno nelle “leve” dei Santi. Fonte distupore è proprio quel termine virgo-lettato, sintomo evidente di una for-zatura di traduzione cui nemmeno lostesso autore-traduttore crede fino infondo. Infatti, il commento chiudecon una chiave interpretativa pienadi dubbi: «il termine “leve” potrebbederivare dagli elenchi della leva mili-tare». Potrebbe… ma non può.Innanzitutto, un rapido commentosulla correttezza ortografica del termi-ne dialettale. Prendendo per buonoche si tratti di variante dialettale for-livese, come i dati biografici delMaiolani lasciano supporre, e verifi-cate le scelte grafiche adottate dallostesso (documentate da suldê e garna-dël, che compaiono in altri modi didire anch’essi riprodotti), apparedubbia la correttezza etimologicadella grafia lëv, in quanto, come cor-rispettivo di “leve”, ci si deve aspetta-re lév.Ma l’enigma è di facile soluzione, dal

momento che il detto, diffuso intutta l’area romagnola, suona dallemie parti come T’an si gnanch int allêvd di sent – Non sei nemmeno nellelaudi dei Santi. Ed è risaputo che le“laudi” dei Santi sono quelle intermi-nabili litanie, che enumerano tutti iSanti del Paradiso per ottenere inter-cessione presso l’Altissimo e, di con-seguenza, contengono tutti, ma pro-prio tutti, i nominativi possibili. Noncomparire nemmeno in quelle signi-fica proprio non essere nessuno. Con buona pace della leva militare,denominazione che, probabilmente,neanche esisteva ai tempi in cui hafatto la sua comparsa il modo di dire.

Ferdinando Pelliciardi

� � �

Ristampare il “Dizionario Roma-gnolo” di Gianni Quondamatteo?

Mi dissero: “C'è una telefonata perte da parte di un certo Gianni”.“Pronto, sono Gianni Quondamat-teo, sei Edmo Vandi?”Iniziò così la mia collaborazione conGianni Quondamatteo, il nondimenticato letterato riminese, per lastesura del “Dizionario Romagnolo(ragionato)”. Mi disse: “Ti ho sentitoparlare dialetto riccionese nelle tra-smissioni di Telerimini e vorreiincontrarti per un progetto che ho inanimo da tempo. Abito a Rimini masono stato anche sindaco di Riccioneper cui mi sento rimi-riccionese”.L'appuntamento fu nella sua villetta

in via Andrea Doria nella zona-maredi Rimini. Mi sentii onorato per que-sto incontro e osservai con grandeattenzione lo scatolone pieno dischede, tutte in scrupoloso ordinealfabetico, corrispondenti a parole,frasi, proverbi, etimi, toponimi, suldialetto a cavallo fra Rimini e locali-tà limitrofe. Accettai con entusiasmodi mettermi al suo “sevizio” per ricer-che e consultazioni. Facemmo visitacosì a vecchi preti, contadini, pesca-tori, artigiani, mestieranti di ognigenere, testimoni diretti di vicende etradizioni del passato.Ne scaturì una documentazione pre-cisa e argomentata riportata conappassionata pignoleria nei due volu-mi stampati nell'anno 1982 da “LaPieve” di Verucchio. Per il lancioorganizzai una serie di trasmissionisu Telerimini coinvolgendo gli spet-tatori con quesiti, domande e tradu-zioni del dialetto, tramite telefonatein diretta e omaggi di libri ai vincito-ri. Il risultato fu una notevole diffu-sione di questa importante pubblica-zione.

I due volumi, a quanto mi risulta,oggi sono esauriti ma sentendo tan-tissime richieste forse sarebbe il casodi procedere ad una ristampa checonsentirebbe di rimediare alla man-canza di un elemento essenziale perla conoscenza delle origini e dellastoria del vernacolo romagnolo riferi-to a Rimini e circondario (e nonsolo!).

Edmo Vandi

Page 16: Ludla Giugno 13 Sito:Layout Ludla · 2019-10-24 · un muradore la ninna nanna che, ha ricordato lo stesso Quinzan nel con-certo di presentazione del cd a Faenza lo scorso 25 ottobre

la Ludla16 Giugno 2013

«la Ludla», periodico dell’Associazione Istituto Friedrich Schürr, distribuito gratuitamente ai sociPubblicato dalla Società Editrice «Il Ponte Vecchio» • Stampa: «il Papiro», Cesena

Direttore responsabile: Pietro Barberini • Direttore editoriale: Gilberto CasadioRedazione: Paolo Borghi, Gianfranco Camerani, Veronica Focaccia Errani, Giuliano Giuliani, Omero Mazzesi, Addis Sante Meleti

Segretaria di redazione: Carla Fabbri

La responsabilità delle affermazioni contenute negli articoli firmati va ascritta ai singoli collaboratori

Indirizzi: Associazione Istituto Friedrich Schürr e Redazione de «la Ludla», Via Cella, 488 •48125 Santo Stefano (RA)Telefono e fax: 0544. 562066 •E-mail: [email protected] • Sito internet: www.argaza.it

Conto corrente postale: 11895299 intestato all’Associazione “Istituto Friedrich Schürr”Poste Italiane s.p.a. Spedizione in abbonamento postale. D. L. 353/2003 convertito in legge il 27-02-2004 Legge n. 46 art. 1, comma 2 D C B - Ravenna

Non dovrebbe destare eccessiva sorpresa che struttura,tematiche e toni della poesia coniugata al femminile, ilpiù delle volte si discostino in forma significativa e tan-gibile da quelli espressi dall’uomo e d’altra parte, puressendo complementari l’uno all’altro, il divario fra isessi è esplicito e sarebbe alquanto stupefacente che cosìnon fosse.In più di una occasione, proprio la pagina sedici dellaLudla ha offerto il destro per rimarcare e documentarequanto sopra ed infatti non è questa la prima volta (nésarà certo l'ultima) che ci si occupa in ambito poeticodella donna e della condizione femminile, traendo incen-tivo dalle opere di quel variegato ed emblematico pano-rama di autrici dialettali attualmente attive in Romagna.

Né poteva essere altrimenti (e forse si sarebbe potutofare addirittura qualcosa di più) visto che negli ultimianni tali voci poetiche sono state in grado di acquisirecon autorevolezza e attendibilità un ruolo sempre più inascesa nel contesto della lirica dialettale romagnola.Germana Borgini, una di queste voci, già nell’agosto del2009 ci aveva chiamato, con E’ spèc, alla benevola accet-tazione della nostra immagine, svelata in modo impie-toso dalla sua superficie riflettente, ed analoga, indul-gente tolleranza lascia trasparire da questa brevissimapoesie (quasi un Haiku) nella quale sarebbe intrinseca-mente sbagliato, oltre che ingiusto, ascrivere il versofinale a una sorta di atavica soggezione della donna, suc-cuba anche quando avrebbero cessato di sussistere leragioni che la spronano a riconoscersi (ironicamente)depositaria di specifiche manchevolezze.All’opposto, proprio in quelle parole, è altrettanto age-vole leggere una ormai rassegnata, ma non per questomeno tenera e premurosa assoluzione, nei confronti diqualcuno che è venuto a mancare e con cui tanto si èpur sempre condiviso in vita di avversità e disinganno,ma anche di reciproco appagamento e conforto.

Paolo Borghi

Germana Borgini

T’an capès

T’an capès

Per an e an:- Sta zeta t’an capès! -Ades che leu un gn’è piò,la se doi da par li.

Non capisci Per anni e anni: / - Sta zitta non capisci! - / Adesso che lui non c’è più, / se lo dice da sola.