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09 Marzo 2015 Eurosystem S.p.A. LEGO IL MATTONCINO CHE CONQUISTA IL MONDO CITROËN DESIGN E FUNZIONALITÀ: IL SEGRETO DELLA CASA FRANCESE EXPO 2015 LA CREATIVITÀ AL SERVIZIO DEL FUTURO ANNAMARIA TESTA CREATIVITÀ: LEVA DI SVILUPPO UMANO SERGIO NAVA FUGA DEI TALENTI E PERDITA DEL MADE IN ITALY TIZIANA FERRARI UNINDUSTRIA BOLOGNA PER LA CRESCITA DEL TERRITORIO IL VIAGGIO LONDON DESIGN FESTIVAL PERCORSI PARKOUR: SPORT E ARTE PER SUPERARE GLI OSTACOLI SPORT VANESSA FERRARI: UN’ATLETA SEMPRE PIÙ IN ALTO incontri con scenari stile libero CREATIVITÀ: LA CAPACITÀ CHE SALVERÀ IL MONDO INTUITO, TECNICA E STUDIO NELL’EVOLUZIONE DEL GENERE UMANO

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La creatività nasce con l’uomo. Grazie a questa straordinaria potenzialità della mente, l’uomo ha modificato il mondo creando strumenti utili alla sua sopravvivenza e alla sua evoluzione. Per lunghissimo tempo la capacità di creare è stata considerata un potere magico riservato solo a persone eccezionali. Solo una quarantina di anni fa ricercatori americani ed europei hanno iniziato ad interessarsi sistematicamente a questa capacità.

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n°09Marzo 2015

Eurosystem S.p.A.

LEGO IL MATTONCINO CHE CONQUISTA IL MONDO CITROËN DESIGN E FUNZIONALITÀ: IL SEGRETO DELLA CASA FRANCESE EXPO 2015 LA CREATIVITÀ AL SERVIZIO DEL FUTURO

ANNAMARIA TESTA CREATIVITÀ: LEVA DI SVILUPPO UMANO SERGIO NAVA FUGA DEI TALENTI E PERDITA DEL MADE IN ITALY TIZIANA FERRARI UNINDUSTRIA BOLOGNA PER LA CRESCITA DEL TERRITORIO

IL VIAGGIO LONDON DESIGN FESTIVAL PERCORSI PARKOUR: SPORT E ARTE PER SUPERARE GLI OSTACOLI SPORT VANESSA FERRARI: UN’ATLETA SEMPRE PIÙ IN ALTO

incontri con scenari stile libero

CREATIVITÀ: LA CAPACITÀCHE SALVERÀ IL MONDO INTUITO, TECNICA E STUDIO NELL’EVOLUZIONE DEL GENERE UMANO

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GIAN NELLO PICCOLI Eurosystem S.p.A.

editoriale

“Non tutte le prigioni hanno le sbarre: molte sono meno evidenti ed è difficile evadere perché non sappiamo di esserne prigionieri. Sono le prigioni dei nostri automatismi culturali che castrano l’immaginazione, fonte di creatività”.

Nella seconda metà del Novecento scriveva così il noto biologo e filosofo Henry Laborite e da questa citazione oggi ripartiamo per affrontare un tema splendido, ricco e allo stesso tempo complesso.

Creatività: in questo numero di Logyn parliamo di questa dote come scienza, arte, cultura e infine come capacità di fare business.

Perché in un mercato sempre più complesso sono i creativi che intercettano collegamenti impossibili e trovano soluzioni. Grazie ad un intuito personale, ma anche a tecnica e studio, i creativi riescono ad andare “oltre” le difficoltà e le regole scritte. Perché sono “visionari”, la loro dimensione ideale è il “domani”; e questa capacità salverà il nostro Paese.

In Italia sono più di 2 milioni i professionisti che operano

in tutti gli ambiti delle professioni creative - praticamente 1 italiano su 30. In molti casi operano come professionisti autonomi, ma rappresentano anche il cuore produttivo di 350.000 aziende. Non hanno un nome definito, possiedono un alto livello di formazione, conoscono altre lingue e hanno frequenti interscambi con l’estero; sono attivi in tutto il territorio nazionale e a volte sono ignorati da governo e istituzioni.

La convinzione mia, ma non solo, è che in Italia si debba tornare a riconoscere la creatività e a darle il giusto valore, per aiutare il Paese a ritrovare la sua posizione ideale nel contesto internazionale.

All’estero, infatti, cercano il made in Italy in tutti i campi come espressione massima della creatività. In Italia, invece, si tende a restare ancorati a vecchi schemi che rifuggono il cambiamento e l’innovazione.

Ma cosa possiamo e dobbiamo fare noi per cambiare questo trend? Questa è la domanda e la sfida!

Gian Nello Piccoli

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6ANNAMARIA TESTACREATIVITÀ: POTENTE LEVA DI SVILUPPO UMANO

E RADICE DELLA NOSTRA DIFFERENZA

incontri con

31SERGIO NAVA

FUGA DEI TALENTI;COSÌ SI RISCHIA DI PERDERE

L’INVENTIVA MADE IN ITALY

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scenari

LEGOIL MATTONCINO

CHE CONQUISTA IL MONDO

EXPOUNA GRANDE OCCASIONE,

ANCHE PER IL FUTURO

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82IL VIAGGIO

LONDON DESIGN FESTIVAL

stile libero

SOMMARIO

editoriale di Gian Nello Piccoli

incontri con ANNAMARIA TESTA Creatività: potente leva di sviluppo umanoDANIELE LAGO Essere geniali e imprenditori insiemeSERGIO NAVA Fuga dei talenti: così si rischia di perdere l’inventiva made in Italy

GIAN NELLO PICCOLI - MAURIZIO LENZI Eurosystem S.p.A. investe nel Centro ItaliaTIZIANA FERRARI

Unindustria Bologna: aggregazione e rappresentanza per la crescita del territorio

focusCreatività: la capacità che salverà il mondo

scenariSTEFANO MORIGGI

PENSARE CON LE MACCHINE!

LEGO: il mattoncino che conquista il mondo

Expo: l’occasione per il futuro

Citroën: design e funzionalità

Bizen: scrivere (bene) per il web

Trevisostampa: creatività su carta

Bao: il fumetto che vince la crisi

Mart: la coscienza dell’arte

L’email marketing secondo [email protected]

Come misurare i progetti in azienda?

EMC: infrastruttura iper- convergente e business @EUROSYSTEM.IT

L’azienda è mobile?

Tutela delle invenzioni

Il fisco, con immaginazione

Creatività e tutela del know-how

Colpi di frusta? Fine della storia!

storiesFonderie Pilenga: rendere la produzione più flessibile

spazio a yIntelligenza e collaborazione a servizio delle tue vacanze

stile libero CONOSCIAMOCI Lavorare con IT e ICTMEDICINA E LAVORO Nuove professioni e lavoratori autonomiIL VIAGGIO London Design FestivalSPORT V. Ferrari: un’atleta sempre più in alto, sempre più avanti!PERCORSI Parkour: sport e arte per superare gli ostacoliCUCINA L’acqua di mare & l’erba voglioUFFICIOVERDE Parete verdeFUMETTI La matita di Sue

VANESSA FERRARISPORTUN’ATLETA SEMPRE PIÙ IN ALTO,SEMPRE PIÙ AVANTI

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Annamaria Testa, nota comunicatrice e saggista, insegna alla Bocconi e ha contribuito alla storia della

creatività italiana. Chi non conosce “Morbido, nuovo? No, lavato con Perlana!”? È solo uno dei celebri

slogan nati dalla penna di Annamaria Testa ed entrati nel nostro linguaggio quotidiano. Nell’intervista

ci parla di creatività, un fenomeno complesso e imponente. “La creatività fa parte dell’uomo ma

non basta essere nati umani per sviluppare il pensiero creativo: la conoscenza e la cultura fanno la

differenza”, ci avvisa la professoressa Testa.

Intervista ad Annamaria Testa

CREATIVITÀ: POTENTE LEVA DI SVILUPPO UMANO E RADICE DELLA NOSTRA DIFFERENZA

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Professoressa Testa, cos’è innanzitutto la creatività?

Il tema della creatività è, sì, leggero – perché può essere piacevole, divertente e appassionante parlarne – ma a pensarci con attenzione è anche un tema impegnativo perché la creatività è ciò che fa muovere il mondo. Quando all’università provo a raccontare ai miei studenti di cosa si tratta, esordisco dicendo loro di guardarsi attorno e immaginare che l’umanità non abbia mai avuto idee innovative. Che cosa resterebbe di quanto ci circonda? Sparirebbe tutto: le lampadine, i video proiettori, gli abiti... sparirebbero i farmaci e i telefoni, il vetro e la plastica. E sparirebbero la musica, le opere d’arte, i romanzi. Soprattutto scomparirebbero il linguaggio e la scrittura, due grandi invenzioni del genere umano che ci hanno permesso

in primo luogo di capirci tra noi, e di trasmetterci anche concetti complessi e astratti, e poi di organizzarci in complesse strutture sociali e di conservare e trasmettere di generazione in generazione conoscenze e cultura. Quindi, la creatività non è un elemento accessorio e decorativo che ci diverte, ma è la radice della nostra differenza come esseri umani. È ciò che ci ha permesso di sviluppare una civiltà complessa – nel bene e nel male – a differenza di quanto è accaduto a specie animali, come ad esempio le grandi scimmie, con le quali condividiamo il 98% del DNA. Quando si parla di creatività si discute insomma di una risorsa straordinaria che si è sviluppata assieme al genere umano, facendolo diventare quello che è: nata assieme al linguaggio, che ci ha permesso di trasmettere il pensiero,

incontri con

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Annamaria Testa

Annamaria Testa si occupa di comunicazione e di creatività.È titolare della società Progetti Nuovi. È docente universitaria. Ha pubblicato saggi e racconti. Inizia a lavorare nel 1974 come copywriter mentre ancora frequenta l’Università Statale. Fonda una propria agenzia di pubblicità nel 1983. È direttore creativo e presidente della sede italiana del gruppo internazionale Bozell tra il 1990 e il 1996 e consulente tra il 1997 e il 2004. Nel 2005 fonda Progetti Nuovi. È giornalista pubblicista dal 1988. Collabora con diverse testate e con Rai e si occupa di comunicazione politica. Insegna presso l’Università La Sapienza di Roma (1994-95), l’Università degli Studi di Torino e l’Università degli Studi di Milano (2001-02), l’Università IULM (1998-2006). Dal 2007 insegna all’Università Bocconi di Milano. Tra il 2004 e il 2005 è coordinatrice e direttrice scientifica del sistema di iniziative sulla creatività organizzato da Regione Toscana. Tra il 2007 e il 2011 è membro del CdA di Illy spa. Tra il 2010 e il 2011 fa parte della Giuria dei letterati del Premio Campiello. Nel 2012 entra nella Hall of Fame dell’Art Directors Club Italiano, prima donna pubblicitaria negli oltre venticinque anni di vita del Club. Dal 2008 cura il sito non profit Nuovo e utile, dedicato a teorie e pratiche della creatività. Dal 2012 scrive ogni settimana per Internazionale. Nel 2013 Rai Storia le dedica una puntata insieme ad Emanuele Pirella. Dal 2013 è membro del CdA de La Permanente di Milano. È autrice di un libro di racconti, Leggere e amare (Feltrinelli, 1993), e di diversi saggi su creatività e comunicazione: La parola immaginata (Pratiche, 1988, edizione aggiornata nel 2000), Farsi capire (Rizzoli, 2000, edizione aggiornata nel 2009), La pubblicità (Il Mulino, 2003, edizione aggiornata nel 2007), Le vie del senso (Carocci, 2004), La creatività a più voci (Laterza, 2005), La trama lucente (Rizzoli, 2010) e Minuti scritti (Rizzoli, 2013).

la nostra creatività è cresciuta attraverso lo scambio culturale e l’organizzazione sociale. E oggi si rinnova e si consolida attraverso le esperienze di vita. Siamo di fronte a un gigantesco fenomeno e, se ci limitiamo a considerarlo superficialmente magari parlando solo di design o pubblicità, non riusciamo a percepirne l’importanza.

La creatività è intrinseca al DNA delle culture e delle civiltà?

Ho scritto testi e articoli approfondendo i paradigmi del pensiero creativo, perché nel nostro, come in altri Paesi, esiste una serie di fraintendimenti per quando riguarda la creatività. Per cercare di dare una risposta, per quanto possibile semplice e

riassuntiva, dico che esiste nel genere umano che ha prodotto una cultura e gli strumenti per trasmettere questa cultura – primi fra tutti, appunto, il linguaggio e la scrittura – la possibilità di sviluppare un pensiero creativo, cioè capace di immaginare soluzioni nuove e utili. Un essere umano è in sé più creativo di una scimmia, ma ciò non significa che la seconda non sia creativa. L’animale lo è nella ricerca di cibo, ma lo è in maniera più dispersiva e saltuaria. Eppure non basta essere nati umani per sviluppare il pensiero creativo: la conoscenza e la cultura fanno la differenza. Bisogna investire tempo ed energie per esercitarsi e capire quali siano i problemi da risolvere, altrimenti non si raggiunge nessun traguardo o si rischia di scoprire l’acqua calda. Herbert Simon, padre dell’intelligenza artificiale e premio Nobel, teorizza che ci vogliono non meno di 10 anni

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incontri con

di applicazione costante per riuscire a sviluppare un risultato nuovo. Quindi, la creatività è sicuramente una potenzialità del genere umano, ma è anche vero che per combinare qualcosa di creativo, e non a livello hobbistico, bisogna studiare ed esercitarsi. Dice a questo proposito Louis Pasteur che “la fortuna favorisce una mente preparata”: alcune idee brillanti hanno anche una componente casuale, ma chi non ha una preparazione di base forte e una forte struttura di conoscenze non sarà nemmeno in grado di accorgersi che il caso gli ha fatto un dono.

La scuola è fondamentale...

Naturalmente! Bisogna saper investire nei luoghi giusti: nella scuola, nei docenti: dall’arte alla scienza fino all’economia bisogna “seminare”, puntando sulla scuola e sui giovani.

Ci sono Paesi più sensibili?

Negli ultimi decenni in alcuni Paesi come gli Stati Uniti ci si è resi conto di quanto la creatività sia una risorsa determinante sotto il profilo dello sviluppo economico, e non solo. L’accendersi dell’attenzione americana nei riguardi della creatività risale alla fine degli anni ’50, quando in reazione al lancio russo dello Sputnik il governo americano decise di finanziare in modo massiccio sia le università, sia i centri per lo studio della creatività.

Cos’è lo studio della creatività?

Numerosi scienziati, psicologi e ricercatori si sono occupati a vario titolo della creatività, effettuando anche indagini sul campo e cercando di capire come e perché certi gruppi creativi funzionano meglio di altri. L’ha fatto, per esempio, Teresa Amabile della Harvard Business School. Altri studiosi, come Dean Keith Simonton, hanno studiato il fenomeno sotto il profilo quantitativo. Altri, come Mihaly Csikszentmihalyi, hanno cercato di approfondire in che modo si sviluppa il pensiero creativo, o come funziona il problem solving. C’è chi ha cercato di comprendere se la creatività è favorita in specifici ambiti o situazioni economiche e sociali. La creatività, come dicevo, è un fenomeno complesso e può essere esaminata da molti punti di vista differenti.

Creatività e innovazione...

La creatività è un’attitudine, una capacità psicologica e individuale che possiamo e dobbiamo sviluppare: è la facoltà di far succedere delle cose nella nostra testa. Per questo, la creatività riguarda in primo luogo le persone. L’innovazione è una conseguenza della creatività e non esiste senza di questa:

è un fenomeno economico, perché genera valore, e sociale, perché riguarda tutti coloro che entreranno in contatto con quell’innovazione. Di certo non si può immaginare che esista innovazione senza pensiero creativo.

Come si coltiva la creatività come attitudine?

La creatività nasce da “menti preparate”, quindi il primo elemento per il suo sviluppo è la formazione di base. Inoltre, la creatività nasce dall’unione di elementi esistenti, e che si conoscono già, uniti in combinazioni nuove e utili. Questo significa che, quanto più estese sono le conoscenze, tanto più è facile trovare elementi utili da combinare in modo nuovo. Per creare, infine, bisogna anche avere una motivazione: sapere, cioè, che le idee nuove verranno apprezzate e valorizzate, e magari retribuite! Serve, quindi, un ambiente sociale che riconosca il talento, richieda l’eccellenza e offra opportunità. Bisogna essere inseriti in un contesto sociale che offra gli strumenti e le risorse necessarie a studiare, progettare, provare. Nel nostro Paese si tende a non riconoscere adeguatamente il valore intellettuale, e questo rimane un problema da risolvere.

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La creatività nasce con l’uomo. Grazie a questa straordinaria potenzialità della mente, l’uomo ha

modificato il mondo creando strumenti utili alla sua sopravvivenza e alla sua evoluzione. Per lunghissimo

tempo la capacità di creare è stata considerata un potere magico riservato solo a persone eccezionali.

Solo una quarantina di anni fa ricercatori americani ed europei hanno iniziato ad interessarsi

sistematicamente a questa capacità.

Lo studio della creatività ha i suoi avi in Europa con Eraclito, Socrate, Leonardo, Cartesio, ma è negli Stati Uniti che prende una forma strutturata come metodo di ricerca di idee innovative per le aziende. Secondo un’indagine Eurisko - ancora del 2004 - la visione italiana sulla creatività è “contradditoria”: per un intervistato su due la creatività è importante negli ambiti della moda (60% di risposte positive), della cucina (43%) e dell’artigianato (37% di risposte positive); per poco più di uno su venti la creatività è importante per il settore economia (6% di risposte positive). Per la maggior parte dei giovani universitari intervistati la creatività si risolve nel rompere (ovvero trasgredire) le regole. Mentre le élite produttive (professionisti, imprenditori) dichiarano che creatività vuol dire talento e tenacia, conoscenza, competenza, sfida per ottenere risultati che hanno valore.

Alla domanda: “l’Italia è un Paese creativo?”, il 58%

degli intervistati dichiara che l’Italia è un Paese (molto o abbastanza) creativo: ci credono soprattutto gli over 64, mentre il picco negativo si registra per i giovani e gli adulti in prepensionamento. Gli ambiti italiani di creatività sono però circoscritti alla moda (60%), e alla cucina, (43%), in second’ordine ad arte, pubblicità e design. Poco o per niente creative appaiono le aree determinanti per lo sviluppo del Paese: politica (9%), insegnamento (9%), università (8%), stampa (8%), economia (6%), finanza (5%). Tra le regioni ritenute più creative spicca la Lombardia (49%), seguita a distanza dalla Toscana, mentre prima per difetto di creatività viene ritenuta la Calabria, seguita dalla Sicilia.

Fonti: http://www.pragmetica.it/res/default/euriskoqualitativanuovoeutile.pdf; http://nuovoeutile.it/gli-italiani-e-la-creativita-un-commento-alla-ricerca-eurisko-2/

Intuito, tecnica e studio nell’evoluzione del genere umano

CREATIVITÀ: LA CAPACITÀ CHE SALVERÀ IL MONDO

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1767

1822 - 1911

1887 - 1967

1854 - 1912

William Duff, pubblica An Essay on Original Genius, il primo trattato che prova a indagare le dinamiche della creatività.

Francis Galton, scienziato antropologo cugino di Darwin, per primo fa la distinzione tra nature e nurture, cioè tra eredità e ambiente, e segnala quanto l’educazione può nel bene e nel male influenzare l’esprimersi del talento.

Wolfgang Köhler, uno dei fondatori della Psicologia della Gestalt, conia il termine insight per definire l’illuminazione creativa e intuirne la natura istantanea e inattesa.

Henri Poincaré offre una delle migliori definizioni di creatività ovvero in Scienza e metodo, parla di trovare connessioni nuove, e utili, tra elementi distanti tra loro.

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Fonte: http://nuovoeutile.it/la-creativita-negletta-nel-pae-se-che-fu-il-piu-creativo-del-mondo-2/#more-8432.

1926

Anni ‘40

Anni ‘80 e ‘90

1916 - 1976

Edward Tolman: intuisce, verso la fine degli anni Quaranta, quanto flessibilità e finalizzazione siano importanti per raggiungere un obiettivo, e formula il concetto di mappa cognitiva.

Graham Walles concepisce un efficace modello in quattro fasi del pensiero creativo: preparazione, incubazione, insight e verifiche.

Gli americani Gardner e Sternberg divulgano un’idea di intelligenza come complesso di capacità e di attitudini differenti. Più avanti Mihaly Csikszentmihalyi mette a punto il concetto di flow, lo stato di flusso, la condizione psichica di chi è totalmente immerso in un compito creativo e lo padroneggia. È infine Teresa Amabile che analizza presso la Harvard Busines School le mille relazioni tra creatività dei singoli e creatività di gruppo, innovazione e impresa.

Mel Rhodes definisce, mettendo a sistema la mole di studi prodotti fino ad allora, i quattro fattori che concorrono al verificarsi di un fenomeno creativo: le qualità individuali, il processo mentale attivato, la messa a punto di un prodotto originale e valido socialmente, il contesto socioculturale. Person, Process, Product e Place sono le quatto P della creatività.

focus

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La diffusione di internet e i progressi delle tecnologie dell’informazione hanno modificato il sistema produttivo, contribuendo a ridefinire la strategia delle imprese, i prodotti e i servizi offerti. L’avvento del digitale ha plasmato non solo una “nuova” economia, ma ha determinato lo sviluppo di una “cultura” differente a cui noi tutti stiamo contribuendo.

È all’interno di questa cornice che nasce il progetto editoriale di Logyn: per approfondire il tema della “cultura” generata a più livelli dalle nuove tecnologie con gli interlocutori, istuzionali e privati, che operano in questo ambito.

Ogni numero affronta un tema specifico, caro ad aziende, enti e personaggi del panorama scientifico e culturale italiano ed europeo, e lo attraversa raccogliendo l’opinione e l’esperienza di ognuno.

A parlare sono gli esperti di settore, le associazioni, le università e i professori, gli imprenditori, le grandi aziende e le PMI, i territori: ad ognuno chiediamo di intervenire sull’argomento e di offrire una visione, e dall’insieme di queste visioni nasce Logyn, una piattaforma di confronto arricchita di contenuti sempre nuovi.

Accanto alle interviste, rubriche di carattere eterogeneo pensate per offrire al pubblico della rivista solo informazioni approfondite e di qualità.

E infine, ci siamo noi, come Eurosystem, con la nostra visione delle cose che ci auguriamo contribuisca a migliorare la lettura di tutti voi.

Nel numero 09 di Logyn parliamo di creatività e lo facciamo partendo dai colori. Il giallo, sinonimo di vivacità, liberazione dagli schemi e cambiamento, è la nostra scelta per parlare di una capacità che ha accompagnato e guidato l’evoluzione del genere umano.

Nata con il linguaggio, ci ha permesso di evolvere, trasmettere il nostro pensiero e organizzarci in strutture sociali complesse: un percorso che abbiamo deciso di rappresentare attraverso l’immagine della penna che, in varie epoche storiche (penna d’oca, penna stilografica, penna per touch screen), è stata simbolo dell’intuito, della tecnica e dello studio necessari alle menti creative per svilupparsi e produrre.

La copertina

I contenuti

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Dopo un accurato restauro e un adattamento funzionale la splendida dimora

settecentesca diventa Palazzo Giacomelli - Spazio Unindustria Treviso,

non solo la sede di rappresentanza delle imprese associate a Unindustria

Treviso, ma anche uno “spazio” dedicato alla cultura, all’arte e al territorio.

A disposizione di oltre 2.000 imprese associate e della comunità trevigiana,

Palazzo Giacomelli - Spazio Unindustria Treviso è il punto di incontro tra

industria, cultura e società. La vetrina di una comunità intraprendente,

aperta al mondo e solidale impegnata nella costruzione del proprio futuro.

UNO SPAZIO PER LE IMPRESE E PER LA COMUNITÀ TREVIGIANA

PIAZZA GARIBALDI, 13 TREVISO • PER INFO, PRENOTAZIONI E VISITE GUIDATE - SEGRETERIA: TEL. 0422.599401 OPPURE 0422.2941 • EMAIL. [email protected] • WWW.PALAZZOGIACOMELLI.IT

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A disposizione di oltre 2.000 imprese associate e della comunità trevigiana,

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PIAZZA GARIBALDI, 13 TREVISO • PER INFO, PRENOTAZIONI E VISITE GUIDATE - SEGRETERIA: TEL. 0422.599401 OPPURE 0422.2941 • EMAIL. [email protected] • WWW.PALAZZOGIACOMELLI.IT

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A disposizione di oltre 2.000 imprese associate e della comunità trevigiana,

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STEFANO MORIGGI

Qualche settimana fa, a margine di una conferenza tenuta in un istituto scolastico romano e dedicata alla filosofia della tecnologia, una professoressa mi ha reso partecipe di una sua reale preoccupazione. Il timore di quella docente di letteratura italiana e latina (con la passione per l’informatica) era che il costante incremento e l’incontrollata diffusione di device digitali sempre più performanti potesse inaridire la creatività, in particolare dei più giovani. In altre parole, senza cascare in ingenue ansie tecnofobiche, l’insegnante in questione temeva che l’esternalizzazione del sapere in protesi e supporti digitali se da un lato avrebbe aperto un nuovo orizzonte di opportunità concrete e pragmatiche (velocità nella comunicazione, inedite possibilità di condivisione, interazione di contenuti, ecc.); dall’altro, invece, avrebbe portato a una delega della creatività umana agli schemi operativi e preconfezionati resi disponibili dal fiorente mercato delle app.

L’osservazione è profonda almeno quanto grande è il rischio che prospetta. Nella questione, così come è stata posta, si tratta infatti di comprendere se il prezzo da pagare per esternalizzare e condividere contenuti e pratiche di lavoro (o di studio) sia

effettivamente l’introiezione di schemi e mappe concettuali prodotti a tavolino dall’industria informatica.

Una tesi analoga è stata di recente presa in esame da Howard Gardner, docente di Scienze cognitive e dell’educazione e di Psicologia alla Harvard University. Nel suo recente Generazione app. La testa e i giovani e il mondo digitale (Feltrinelli, 2014), lo scienziato statunitense - insieme alla sua collaboratrice Katie Davies - osserva appunto come “i giovani di quest’epoca non solo sono immersi nelle app, ma sono giunti a vedere il mondo come un insieme di app e le loro stesse vite come una serie ordinata di app - o forse, in molti casi, come un’unica app che funziona dalla culla alla tomba”. Gardner, nel suo libro, racconta addirittura di un giovane che al termine di una sua conferenza gli ha chiesto: “Perché nel futuro dovremmo avere bisogno della scuola? [...] In fondo la risposta a tutte le domande sono contenute in questo smartphone, o presto lo saranno”.Certo, alla luce di domande come queste pare più che plausibile il timore della docente romana. Non solo, sembrano tornare di scottante attualità anche le parole di Keith Haring sulla “estetica delle macchine”. Nel suo Diario (Mondadori, 2008) il celebre

PENSARE CON LE MACCHINE! LA CREATIVITÀ E I SUOI STRUMENTI

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Si occupa di teoria e modelli della razionalità, di fondamenti della probabilità, di pragmatismo americano con particolare attenzione al rapporto tra evoluzione culturale, semiotica e tecnologia. Già docente nelle università di Brescia, Parma, Milano e presso la European School of Molecular Medicine (SEMM), attualmente svolge attività di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e l’Università degli Studi di Bergamo. Esperto di comunicazione e didattica della scienza, è consulente scientifico Rai e su Rai 3 è uno dei volti della trasmissione “E se domani. Quando l’uomo immagina il futuro”. Tra le sue pubblicazioni si ricordano: “Le tre bocche di Cerbero. Il caso di Triora. Le streghe prima di Loudon e Salem” (Bompiani, 2004); (con E. Sindoni) “Perché esiste qualcosa anziché nulla? Vuoto, Nulla, Zero” (Itaca 2004); con P. Giaretta e G. Federspil ha curato “Filosofia della Medicina” (Raffaello Cortina, 2008). Più recentemente (con G. Nicoletti) ha pubblicato “Perché la tecnologia ci rende umani. La carne nelle sue riscritture sintetiche e digitali” (Sironi, 2009); (con A. Incorvaia) “School Rocks. La scuola spacca” (San Paolo, 2011); Connessi. Beati quelli che sapranno pensare con le macchine (San Paolo, 2014).

Stefano Moriggistorico e filosofo della scienza

artista scriveva nel merito: “i computer hanno un senso estetico? I modelli dell’estetica possono essere programmati e inseriti da un computer così da farlo ragionare e prendere decisioni sulla base di criteri estetici?” In queste righe Keith non intendeva tanto prefigurare il futuro dell’espressione artistica dominato e controllato dalle macchine. Piuttosto, cercava di sollevare una questione antropologica più sottile, sottesa al complesso rapporto che vincola strettamente tra loro i mondi dell’arte e quelli della tecnologia. “La nostra esistenza - annotava, infatti, qualche riga più sotto - l’individualità, la creatività e persino le nostre vite sono minacciate da questa estetica delle macchine”. Per dirla in breve, in gioco pare ci sia la nostra libertà stessa di pensare e di agire quando le macchine procedono sicure verso la conquista e l’occupazione della nostra creatività. Occorre dirla tutta. Se davvero la nostra creatività è in pericolo, la nostra libertà (di conseguenza) non se la passa benissimo...

Il tema è complesso e la posta in gioco importante. Ed è proprio in casi come questi che la via più breve per provare a venire a capo di un problema tanto articolato è quella di prenderla un po’ alla larga. Almeno quanto basta per riportare il problema alla sua origine. Se c’è una cosa che la filosofia ha in comune con la medicina (e con la scienza più in generale) è proprio questo: cercare di risalire dai sintomi evidenti alle cause probabili. Un esercizio facile da raccomandare, più difficile da mettere in pratica: sia perché (come anche nel caso in questione) le evidenze disponibili spesso suggeriscono terapie sintomatiche - ovvero rimedi che agiscono con efficacia apparente sugli “effetti preoccupanti” senza prendere in considerazione le cause effettive. Sia perché la ricerca delle cause implica una capacità di interrogare i fenomeni naturali e gli eventi sociali con analisi e pratiche concettuali poco diffuse e quasi mai intuitive - quelle appunto tipiche della ricerca.

Aggiungo, infine, che questo tipo di indagini - e questo è un altro aspetto per nulla secondario - non esclude l’eventualità di mettere in gioco convinzioni e credenze che, magari, si ritenevano attendibili e consolidate, costringendoci di conseguenza a ridisegnare il nostro sguardo su noi stessi e sul mondo che ci circonda. E di questo era ben consapevole il celebre poeta tedesco Friedrich Hölderlin quando, in versi divenuti ormai un classico della lirica tedesca, scriveva: “Wo aber Gefahr ist, wächst / Das Rettende auch”. Ossia, “Dove c’è il pericolo, cresce anche / Ciò che salva”. Ora non è detto che la comprensione di fatto o la soluzione di un problema - specie nella dimensione laica della ricerca - costituisca di per sé una “salvezza”; tuttavia, è certo che non si dà ricerca (e dunque ci si esclude dalla possibilità di comprendere) là dove non si mettono in pericolo anche i concetti (e i valori) ai quali, per una qualche ragione (o per un qualche sentimento), ci sentiamo più ancorati.

Nel merito dell’argomento in oggetto, avremmo diverse strade da poter intraprendere, posto che l’orizzonte da interrogare è l’origine (e dunque il destino) della creatività. Riflettendo, pertanto, sulla emblematica considerazione della docente di lettere da cui abbiamo preso le mosse, parrebbe infatti che la creatività sia qualcosa di qualitativamente altro rispetto agli strumenti della tecnica e della tecnologia. Certo, in alcuni casi - penso, per esempio, alla penna, al pennello, allo scalpello, ecc. - gli arnesi possono costituire un ausilio espressivo allo scopo di dare corpo e forma, appunto, a ciò che la nostra immaginazione

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ha partorito. Tuttavia, sembrerebbe scorretto riconoscere un ruolo determinante allo strumento (quale che sia) nella libera elaborazione di un’idea o di un’opera. Un’idea questa, tutto sommato, non lontana dal pensiero di un importante filosofo italiano come Benedetto Croce. Il quale, infatti, teorizzava che l’espressione artistica non consiste nell’aspetto pratico e strumentale di tale attività (come, per esempio, scolpire un blocco di marmo o dipingere una tela), ma coincide invece con l’atto intuitivo avulso da qualsiasi tecnicalità.È noto come il celebrato filosofo di Pescasseroli tenesse in scarsa considerazione l’impresa-tecnico scientifica e la sua dimensione laboratoriale. A suo modo di vedere le teorie scientifiche avevano una dignità pari alle “ricette da cucina”. E non fece eccezione quando, nel suo La natura come storia da noi scritta (1939), sostenne che la teoria dell’evoluzione naturale di Charles R.Darwin “non solo non vivifica l’intelletto, ma mortifica l’animo, il quale alla storia chiede la nobile visione delle lotte umane e nuovo alimento all’entusiasmo morale, e riceve invece l’immagine di fantastiche origini animalesche e meccaniche dell’umanità e con esse un senso di sconforto e di depressione”.Un’occasione persa quella di Croce. Perché andare a fondo di quelle “fantastiche origini animalesche e meccaniche” ha invece costituito per tutti coloro che hanno accettato di prendere sul serio la sfida della teoria darwiniana un orizzonte di ricerca che molto ha contribuito a ripensare lo stesso concetto di creatività, per lo meno all’interno delle complesse dinamiche che orchestrano il rapporto tra individuo e strumento.

A distanza di molti anni da quelle polemiche filosofiche, chi sa (almeno un po’) di scienza è infatti consapevole - come ha ricordato qualche tempo fa nel suo Come evolve la vita. Dalle molecole alla mente simbolica (Cortina, 2003) Christian de Duve, Premio Nobel per la Medicina nel 1974 - che “la produzione di utensili abbia avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’intelletto umano, grazie a un reciproco scambio evolutivo tra mano e cervello”. E dunque è proprio dentro l’articolazione di tale “scambio evolutivo” che va colta la genealogia della creatività - e di riflesso, per quanto a molti possa apparire contro-intuitivo - la storia stessa della nostra libertà (nell’ordine, fisica e intellettuale). Scrive ancora de Duve: “Una volta svincolate dall’uso in conseguenza dell’acquisizione della posizione eretta, le mani sono state usate sempre più per afferrare oggetti”. Prima di quel momento, le “cose” non erano ancora (per i nostri progenitori) “oggetti” e tanto meno “strumenti”. Il poter iniziare afferrare, maneggiare, utilizzare e dunque lavorare e poi ancora adattare ciò che l’ambiente offriva ha consentito loro di iniziare di fatto ad agire e dunque a pensare come non si era mai fatto.

Già perché in questo caso è l’azione che apre inediti orizzonti al pensiero. E potenziare o specializzare l’azione delle proprie estremità con strumenti sempre più perfezionati porta con sé, appunto, la possibilità di pensare di fare ciò che prima era letteralmente impensabile in quanto infattibile.

Sofisticare il raggio e la qualità delle azioni significa ridefinire l’orizzonte concettuale del soggetto che agisce. Pertanto, assumendo questo punto di vista, si può iniziare a comprendere come e perché la storia degli arnesi che raccontano l’evoluzione (culturale) della relazione cognitiva tra mano e cervello custodisca in sé quel “lungo ragionamento” dentro cui si sono sempre e di nuovo riscritti le leggi e gli orizzonti della nostra creatività (artistica e non solo). E per contrasto dovrebbe altresì emergere l’ingenuità di quanti, seppur mossi da buone intenzioni, si preoccupano di preservare le nostre potenzialità espressive e/o inventive dall’avanzata della tecnologia. Per tornare, quindi, ai timori della docente di lettere di Roma, occorre dunque prendere atto senza dubbio che le nuove tecnologie, aumentando la realtà che ci è data vivere quotidianamente e modificando i modi e i tempi delle nostre azioni e delle nostre relazioni, stanno progressivamente rimodellando il concetto e le pratiche della nostra creatività. Detto ciò, invece che deprimersi come faceva Croce, occorre iniziare a pensare.

Effettivamente, assistere a un cambiamento radicale da involontari protagonisti non è sempre un aiuto per capirlo al meglio. A volte è più facile guardare le cose a distanza, come fa lo storico. Ma, nel caso specifico, non abbiamo scelta. Ci è toccato vivere un’epoca di grandi transizioni e mutamenti. Per alcuni è una sfida avvincente per altri, invece può rappresentare la peggiore delle dannazioni. Di tutti, però, quanto meno di tutti gli adulti, dovrebbe essere la responsabilità di offrire una replica sensata alla domanda che il sopracitato studente ha rivolto al professor Gardner: “Perché nel futuro dovremmo avere bisogno della scuola? [...] In fondo la risposta a tutte le domande sono contenute in questo smartphone, o presto lo saranno”. Ma una replica plausibile sarà possibile solo indagando il valore aggiunto di nuove forme di creatività in evoluzione, ancora tutte da indagare e da comprendere. Dentro e fuori la scuola.

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Protezione dati

Le previsioni 2015 di Steven Luong, Endpoint and Applications Expert, CommVault.

Siamo appena entrati nel 2015. Il futuro è luminoso e c’è molto a cui guardare con fiducia, compreso il desiderio per una più elevata protezione degli endpoint, una maggiore enfasi sulle analisi e l’interesse a controllare la tempesta BYOA. Qui di seguito tre previsioni per il 2015:

1. Sofisticati breach di sicurezza mireranno sempre di più a laptop e dispositivi mobili come punti di attacco, favorendo l’esigenza di disporre di sicurezza e tecniche di data loss prevention avanzate.

Le tecnologie che offrono capacità di protezione, accesso e search e che, al tempo stesso, indirizzano le sfide legate a compliance, Discovery e Information Governance saranno fondamentali nel 2015. Queste funzionalità aumenteranno la produttività degli utenti offrendo un accesso senza eguali a contenuti protetti per cercare, sincronizzare e condividere senzwa compromettere la sicurezza. Nel 2015, sarà abbastanza comune che le aziende chiedano soluzioni che permettano di cancellare da remoto i dati nel caso in cui il dispositivo venga smarrito o rubato, per garantire che i dati sul device siano al sicuro indipendentemente dal dispositivo fisico.

2. Analisi e reporting saranno sempre più importanti. A mano a mano che le imprese cercano di ottenere valore dalle loro strategie di data management, analisi e reporting acquisiranno sempre più importanza. In tal senso, le persone diverranno più strategiche, dovendosi focalizzare su quali tipologie di dati archiviare dove, e per quanto tempo.

L’analisi svolgerà un ruolo chiave nel processo decisionale per comprendere diversi aspetti del ciclo di vita della gestione dei dati tra cui:

• Dark data: la crescita dei dati non strutturati haobbligato i responsabili IT a ripensare le loro strategie di data management. Questi “dark data” che costano in termini di archivio, protezione e gestione non sono sempre usati in modo efficace per coglierne il valore per il business. Avvalersi di tool di analisi per determinare quali dati critici potrebbero al momento

non essere utilizzati consentirà di ottimizzare il capacity management, migliorare la ricerca ed eliminare i file di storage personale.

• Archivio: Spostare i dati da storage primario asecondario ottimizza lo spazio, permettendo di conservare e trovare dati rilevanti – ma come decidere quali dati spostare, archiviare e cancellare? Le analisi possono essere utili per determinare quali dati tenere, dove e per quanto tempo.

3. Vi sarà una pressione costante sull’IT per calmierare la tempesta Bring Your Own Application. La vasta adozione di applicazioni consumer offre molti vantaggi agli utenti a livello personale. Questi ultimi spesso desiderano disporre della stessa facilità d’uso in termini di produttività anche sul lavoro e, di conseguenza, importano alcune di queste applicazioni (ad esempio Dropbox per la condivisione di file, Evernote per la produttività, ecc.). Le aziende devono trovare un modo per monitorare e gestire il crescente numero di app per controllare i costi, mitigare i rischi e garantire la privacy.

Gartner prevede che entro il 2017 oltre 268 miliardi di app mobili saranno scaricate a livello globale. A causa della proliferazione delle app sul posto di lavoro, adottare best practice e software appropriati nel 2015 per monitorarle e gestirle è un obbligo per la maggior parte delle aziende.

Per saperne di piùhttp://www.commvault.it/

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LEGO: IL MATTONCINO CHE CONQUISTA IL MONDO

Gli ultimi dati raccolti durante la Spielwarenmesse® 2015 riconfermano il trend positivo dei giochi

da costruzione LEGO, che sono tra i giochi preferiti non solo dai bambini ma anche dai genitori e

che rappresentano da sempre un’icona per ogni generazione, anche nell’era digitale. Creatività e

innovazione sono un binomio vincente anche per la nota azienda di giocattoli. A parlarci del mondo

LEGO è Roberto Corbellini, Consumer Marketing Manager di LEGO Italia.

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LEGO: IL MATTONCINO CHE CONQUISTA IL MONDO

scenariInnanzitutto parliamo di LEGO nel mondo: “La filosofia LEGO è intrinseca nel modo in cui LEGO opera, nei suoi prodotti, storie e comunicazione. È senza dubbio qualcosa che si respira nell’aria piuttosto che un proclamo o uno slogan e viene trasmessa a tutti i dipendenti attraverso un modello chiamato ‘LEGO Brand Framerwork’, che riassume il DNA LEGO in termini di mission (Inspire and develop the builders of tomorrow), vision (Inventing the future of play), promesse (a persone che lavorano per LEGO, ai nostri partner, al pianeta in cui operiamo e ai nostri piccoli consumatori), spirito (Only the best is good enough) e valori. Questo è lo stile LEGO, che spesso non è solo una guida di business ma anche una guida comportamentale. Quando questo sistema di valori è stato messo da parte LEGO ha attraversato momenti di difficoltà, dai quali si è ripresa ritornando fedele alla sua tradizione ed essenza”.

Non a caso da ricerche emerge che in media ogni abitante della Terra ne possiede 80 pezzi, che si tramandano di padre in figlio. “Un pensiero progettuale che da 80 anni si tramanda di generazione in generazione, al punto che il 27% dei bimbi che ora gioca con i LEGO li ha ereditati da mamma e papà, che a loro volta ne acquistano mediamente di più rispetto alle altre famiglie”.

Il gruppo di Billund oggi è il numero uno in Europa e tra i big mondiali nei giocattoli, con una crescita che non conosce crisi: la LEGO ancora nel 2012 produceva 19 miliardi di elementi, aumentando i propri ricavi del 25 per cento, quasi il triplo delle vendite del 2007.

Anche in Italia la LEGO è leader di vendite: il settore giocattoli in Italia resiste alla crisi come ha sottolineato Assogiocattoli. “Anche quest’anno la Fiera del Giocattolo di Norimberga si è confermata uno degli appuntamenti più importanti per incontrare clienti, partner e per confrontarsi con gli altri player del giocattolo a livello globale. Per tutta la durata della Fiera abbiamo avuto un costante grande afflusso di visitatori nell’area LEGO a testimonianza del momento positivo che stiamo vivendo: una conferma del grande interesse, curiosità per il mondo LEGO e fiducia per le performance che potrà portare nel corso dell’anno”.

LEGO è famosa soprattutto in termini di comunicazione, sia sul digitale ma anche attraverso eventi sul territorio... “L’esperienza di gioco attivo con i bambini è lo strumento di marketing più efficace che possiamo utilizzare poiché ci consente di far provare la vera esperienza di gioco LEGO. Ogni anno organizziamo molti eventi per i bambini e partecipiamo a diverse fiere del giocattolo e, in ottica di partnership, stiamo lavorando in modo sempre più sinergico con partner come Warner Bros e Disney, cercando di ottenere il massimo dalle competenze chiave di ciascun partner”.

La creatività in casa LEGO: “L’immaginazione è l’unico limite. È da sempre la filosofia della mitica LEGO! Ed è vero. Cinque parchi giochi a tema sparsi per il mondo, 10.000 dipendenti e milioni di pezzi prodotti ogni anno: sono numeri che parlano da soli testimonianza di come la casa sia riuscita a reiventarsi nel tempo e a crescere, innovando pur restando se stessi”.

La creatività come condivisione seria dei LEGO: Lego Serious Play. “A metà degli anni ’90 è stata creata Executive Discovery, un’azienda dedicata alla commercializzazione di Lego Serious Play (LSP): una linea mirata alle aziende, con l’intento iniziale di consentire ai manager di ‘descrivere, creare e sfidare la sua visione del business’. Per far ciò, il team Bart Victor e Johan Roos, insieme al designer LEGO Paul H. Howells, a Robert Rasmussen della LEGO Company, e al Professor Dave Owens (Business Strategy and Innovation), hanno lavorato per sviluppare dei set specifici, che supportino gli staff meetings, con attività ludico ricreative individuali e di gruppo, spesso orientate al team building”.

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LSP ha lo scopo di riunire attorno a un tavolo persone che lavorano nella stessa organizzazione, o di diverse organizzazioni ma che stanno per affrontare progetti comuni, per aiutarle a chiarire gli obiettivi strategici e creare un team che condivida identità e valori. Nei workshop LSP si innesca un processo collaborativo a prescindere dal ruolo e dalle competenze dei partecipanti: la condivisione delle conoscenze e degli obiettivi agisce come fattore motivazionale sui singoli e sul gruppo, mentre il modo in cui si attivano aree del cervello attraverso la manipolazione dei mattoncini fa emergere idee innovative. È un metodo che ha come valore aggiunto il fatto di poter creare soluzioni condivise, dal basso, attraverso un approccio collaborativo, innovativo, fantasioso e anche divertente.

L’approccio LSP parte dalla constatazione che l’esperienza di gioco LEGO è intrinsecamente legata alla creatività: da sempre i piccoli di numerosi Paesi del mondo hanno creato ambientazioni e universi con i famosi mattoncini di plastica, arrivando a immaginare e creare oggetti e scenari personalizzati, slegati dallo schema iniziale dei kit di partenza. Perché “è proprio il giocare con i mattoncini che stimola fisiologicamente il pensiero creativo, e a qualunque età e in qualsiasi ambito. Su questa constatazione è nato un approccio al brainstorming di gruppo (e non solo) basato sull’utilizzo di kit specifici di mattoncini, che prende il significativo nome di Lego Serious Play (LSP)”. In una sua recente intervista un facilitatore Lego Serious Play spiegava come esista una relazione fra mani e cervello e

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sfruttando queste connessioni neurali attraverso la costruzione materiale di un artefatto, che stimola simultaneamente mani e cervello, è possibile sollecitare il pensiero creativo.

Nella pratica, come funziona un workshop LSP? I partecipanti vengono guidati da un “facilitatore” in una serie di attività di costruzione e narrazione: si iniziano a costruire modelli individuali, definiti in base agli obiettivi del workshop, che saranno poi condivisi con i partecipanti. Attraverso vari esercizi si arriva alla costruzione di un modello condiviso, o di scenari complessi, che aiutano a riposizionare il ruolo di ciascuno o dell’organizzazione e a determinare le priorità e le aree strategicamente forti e quelle migliorabili. Attraverso gli esercizi e il gioco si prendono decisioni operative e si definiscono priorità. Tutti i partecipanti sono direttamente coinvolti nelle dinamiche di negoziazione e di definizione di strategie e idee.

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LEGO: LA STORIAL’invenzione dei mattoncini è dovuta a Ole Kirk Christiansen, un falegname di Billund. Col tempo la sua modesta impresa familiare crebbe fino a diventare uno dei maggiori produttori di giocattoli del mondo. LEGO Group, oggi, è una società a capitale privato con sede in Danimarca ma con filiali e succursali in tutto il mondo e i prodotti LEGO sono venduti in oltre 130 paesi. La società è ancora di proprietà della famiglia di Kirk Kristiansen, che la fondò nel 1932. LEGO Group si occupa dello sviluppo della creatività dei bambini tramite il gioco e l’apprendimento.

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Daniele Rosso è Ceo di AlessandroRosso Incentive, società appartenente ad AlessandroRosso

Group, primo rivenditore autorizzato di Expo Milano 2015. È lui a parlarci dell’evento internazionale

sull’alimentazione e nutrizione che, dal 1° maggio al 31 ottobre, vedrà l’Italia al centro dell’attenzione

mondiale.

La creatività a servizio del futuro

EXPO:UNA GRANDE OCCASIONE, ANCHE PER IL FUTURO

Cosa rappresenta (o potrebbe rappresentare) Expo per Milano e l’Italia?

L’Italia è un paese molto conosciuto ed ammirato da ogni pubblico, chi la sceglie alla ricerca della “Dolce Vita” con aperitivi e ristoranti unici, chi per le opere d’arte e per i musei a cielo aperto, chi per gli eventi e le manifestazioni che rendono unico un Paese che davvero ha un patrimonio immenso di ricchezza turistica ed artistica. Chi scegle l’Italia per un evento “corporate”

ne apprezza tutti questi lati, cerca uno spazio dove accogliere i propri ospiti, quindi una location unica, magari storica o all’interno di un monumento come la Galleria V. Emanuele II a Milano, in cui abbiamo appena inaugurato nuovi spazi eventi da 560 e 650 mq. Inoltre per un evento di fascia alta si cerca buon cibo abbinato ad un buon vino, magari italiano. Proprio al vino italiano abbiamo dedicato la prima enoteca in piazza Duomo 21 a Milano, la città di Expo 2015.

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L’evento è all’altezza della situazione per quanto riguarda la rappresentazione del made in Italy?

Siamo orgogliosi del nostro made in Italy declinato nella nostra cultura, arte, musica, cibo, buon vivere e buon bere e ne saremo all’altezza.

Secondo Lei è un evento per tutti o per pochi?

Per tutti, per tantissimi, da ogni lato del mondo.

Quali sono le opportunità da cogliere maggiormente da parte dell’Italia?

La possibilità di esibire ancora meglio il nostro made in Italy, il gusto e la ricerca del bello e fatto bene, del buono come gusto a tavola e dell’ospitalità che ci contraddistingue.

Quali sono gli errori da evitare?

Siamo un Paese pronto ad ospitare molte culture diverse, non dobbiamo dimenticarlo. Dovremmo veicolare anche le nostre comunicazioni con meno burocrazia e con un wi-fi disponibile in ogni città cosi che turisti e visitatori ne possano usufruire al meglio.

Un suggerimento a chi vuole vedere l’Expo e non sa come orientarsi...

Come ho annunciato prima come AlessandroRosso Group amiamo scegliere location straordinarie, uniche, inusuali per rendere speciale un evento o anche una semplice colazione di lavoro, in tutto il mondo. Per Milano, che ricordiamo sarà al centro di Expo tra 90 giorni, stiamo giocando le nostre carte migliori. Storia e location uniche, alto servizio in guanti bianchi: all’interno di Seven Stars Galleria (www.sevenstarsgalleria.com) abbiamo appena aperto la prima Penthouse in Galleria V. Emanuele II, uno spazio di 560 mq, con cucina privata, chef e maggiordomo privato, biliardo e due viste mozzafiato sulla Galleria stessa e su Piazza della Scala. A breve saranno aperte altre aree per un totale di altri 650 mq adibiti a ristorazione, aree museali ed espositive. Aree aperte a tutti. In piazza Duomo invece abbiamo appena creato una enoteca con oltre 1000 etichette di vini italiani, un omaggio alla nostra Italianità ed al prestigio di vivere in un paese cosi ricco in cui crediamo molto. A breve accanto ci sarà un nuovo hotel con 14 suites ed un ulteriore spazio eventi con una terrazza con vista Duomo, chi non vorrebbe fare un evento con una vista così mozzafiato?

Expo e creatività: quali le iniziative più creative e intraprendenti dell’evento?

Sicuramente Dinner in the Sky. È la piattaforma a 50 m di altezza dove cenare o gustarsi una presentazione con una vista mozzafiato che sarà disponibile per Expo. Dinner in the Sky è un prodotto unico al mondo come esperienza e come strumento di comunicazione. Aperitivi, pranzi, cene, meeting: qualsiasi cosa si possa immaginare intorno a un tavolo, si può fare “in the sky”, sospesi tra le nuvole a 50 metri dal suolo! La piattaforma - un tavolo con 22 posti a sedere - può essere utilizzata anche per realizzare eventi con il coinvolgimento di un gran numero di persone, allestendo un parterre di accoglienza per intrattenere chi attende di vivere questa esperienza indimenticabile. Invitiamo a provare Dinner In The Sky per organizzare eventi nelle piazze più famose, in prossimità di monumenti di città d’arte, o località al mare, montagna e lago; per assistere a manifestazioni sportive o culturali o nell’ambito di fiere e saloni internazionali.

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Alessandro Rosso Group nasce nel 2002 da un gruppo di professionisti con trent’anni di esperienza nel settore dell’incentivazione. Negli anni il Gruppo, grazie anche ad importanti acquisizioni di aziende specializzate in ambito nazionale ed internazionale, ha ampliato il suo core business ed oggi è leader di mercato con una gamma di prodotti e servizi diversificati: dai viaggi incentive ai team building, dalle convention ai progetti di comunicazione, dagli eventi ai congressi medico scientifici. Negli anni Alessandro Rosso Group ha saputo trasformare prodotti e servizi in soluzioni pensate per soddisfare le esigenze dei clienti e si propone oggi come Marketing Global Partner offrendo qualificati e specifici strumenti professionali, economici, strategici e organizzativi. Oggi conta 350 professionisti dislocati in 8 uffici nel mondo e 7 divisioni di prodotto.

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ALESSANDROROSSO GROUP

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EXPO MILANO 2015: NUTRIRE IL PIANETA, ENERGIA PER LA VITA E PER LA CREATIVITÀ

Per 6 mesi Milano accoglierà il confronto globale e interattivo sul tema, declinandolo attraverso numerosi appuntamenti organizzati sia all’interno sia all’esterno dello spazio espositivo. I Paesi partecipanti, oltre 140, presenteranno nei padiglioni allestiti soluzioni tecniche e condivideranno know how per vincere la sfida epocale di un mondo che vive forti contraddizioni. Expo sarà la piattaforma di un confronto di idee e soluzioni sul tema dell’alimentazione e soprattutto stimolerà la creatività di intellettuali, architetti e scienziati e promuoverà le innovazioni delle aziende.

Nel settembre del 2000, al Millennium Summit ONU, i leader mondiali hanno deciso di unire le forze per liberare gli uomini, le donne e i bambini dalla miseria. L’Esposizione Universale di Milano chiama a raccolta il know-how da tutto il mondo per contribuire concretamente a raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del Millennio indicati dalle Nazioni Unite, in scadenza proprio nel 2015: eliminare le condizioni di povertà e di fame

estreme; raggiungere il livello di educazione primaria a livello universale; promuovere l’uguaglianza di genere e conferire più potere alle donne; ridurre la mortalità infantile; promuovere la salute materna; combattere Hiv e Aids, malaria e altre malattie; garantire la sostenibilità ambientale; creare delle partnership globali per raggiungere lo sviluppo.

Costruito come una città, su un’area di circa un milione di metri quadri situata a nord-ovest di Milano, il sito espositivo si sviluppa su due assi ortogonali – il Cardo e il Decumano. Nei 4 punti cardinali verranno collocati i principali elementi iconici di Expo: la collina mediterranea, l’Open Air Theatre, la Lake Arena e l’Expo Centre, punti di riferimento che orienteranno i visitatori e ospiteranno i grandi eventi. Lungo il Cardo si distribuirà la partecipazione italiana con le eccellenze agroalimentari regionali. Sempre sul Cardo ci saranno i padiglioni della produzione vitivinicola italiana, promossi dal Ministero dell’Agricoltura, e quello dell’Unione Europea, per la prima volta presente a un’Esposizione Universale con un’area autonoma. Il Decumano ospiterà gli Spazi Espositivi dei Paesi. Inoltre, novità di Expo 2015 saranno i Cluster, ovvero aree espositive comuni di più Paesi. Una specie di “villaggi” dedicati alla presentazione e alla degustazione di prodotti senza tempo, come il riso, il caffè, le spezie, il cacao, frutta e legumi, cereali e tuberi. Altri invece

raggrupperanno i Paesi intorno a temi che caratterizzano specifici territori come il Bio-Mediterraneo, le isole e le zone aride. Altro punto di interesse saranno le Aree Tematiche, che costituiranno una sorta di fil rouge della manifestazione per rendere più comprensibili i confini entro i quali si muoverà l’approfondimento del tema: il Padiglione Zero, curato da Davide Rampello con l’architettura di Michele De Lucchi, è lo spazio introduttivo che funge da trampolino di lancio nei temi e nei linguaggi dell’Expo; il Future Food District, curato da Carlo Ratti in collaborazione con MIT di Boston; il Children Park, curato da Reggio Children, è un’area di gioco e di conoscenza interamente dedicata ai bambini e alle famiglie; il Parco della Biodiversità, grazie alla collaborazione dell’Università di Milano e di Slow Food di Carlin Petrini, riprodurrà la varietà della vita in un paesaggio multiforme molto suggestivo.

GLI OBIETTIVI DEL MILLENNIO

STRUTTURA DI EXPO

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Daniele Lago, classe ’72, ci racconta la sua personale esperienza e filosofia. Ultimo di

dieci figli, Daniele è entrato molto giovane nell’azienda di famiglia, dove si è occupato

inizialmente di progetto e immagine. Imprenditore e designer entusiasta e dai molteplici

interessi, è arrivato in breve tempo alla guida dell’azienda, di cui oggi è Amministratore

Delegato e Head of Design. Sotto la sua direzione, Lago si è trasformata in una realtà

industriale moderna ed evoluta, dove produzione, design e comunicazione si fondono

in un’unica strategia per il miglioramento della qualità dell’abitare quotidiano.

DANIELE LAGO: ESSERE GENIALIE IMPRENDITORI INSIEME

La creatività secondo l’imprenditore veneto, AD di Lago SpA

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incontri con

Cos’è per Lei la creatività? Un’arte, una scienza o puro istinto?

È una domanda molto impegnativa e si può rispondere in molti modi. La creatività è sicuramente legata ai tempi, agli umori e alle emozioni, ma anche ai bioritmi delle persone. Insomma un insieme di fattori molteplici che rendono ardua una vera definizione. Non a caso, non esiste un meccanismo scientificamente provato che ti permette di essere creativo sempre quando serve e sempre quando ti concentri; ma esistono delle fasi della vita, o anche dei momenti della giornata in cui si è maggiormente predisposti a ricevere gli input esterni e ad essere creativi. Da lì bisogna poi saper concretizzare idee ed intuizioni in progetti reali e concreti, che possono essere più o meno rilevanti per la società, ma che sicuramente sono strettamente connessi con il tuo “essere in quel momento”. Quindi, stiamo parlando di una tematica complessa e non delineata!

Quali sono le condizioni migliori per favorire il processo creativo?

Io credo che la creatività arrivi proprio dalle complessità e dagli ostacoli. Non è una dote figlia delle “pance piene”. Anzi, è una curiosità che ti porta ad esplorare soluzioni ardue per trovare risposte a problemi impellenti. Soluzioni che forse sono anche “infantili”, che rappresentano lo sguardo del “bambino” che è in noi e che ci permettono di guardare il mondo senza preconcetti sollevandoci anche l’animo. È, senz’altro, la capacità “innata” di far fare dei percorsi diversi ai pensieri e alle sinapsi che collegano le cellule del pensiero. Insomma, potremmo parlare per tanto tempo della creatività senza riuscire a esaurire appieno l’argomento.

A chi appartiene la creatività secondo Lei?

Sicuramente la creatività non è allocabile a delle discipline specifiche e non appartiene a delle figure professionali definite; anzi, va e può essere alimentata da chiunque. È anche vero che è collegata al talento personale e a certe condizioni di nascita, insomma conta il DNA. Si può allenare l’approccio a certe formulazioni del pensiero, ma il talento è innato. Infatti, accade spesso che certi studenti scelgono percorsi di studio legati alla creatività e solo alla fine si rendano conto che non hanno il talento adeguato, qualcosa che non può essere costruita attraverso il solo apprendimento ma che attraverso questo deve essere esercitata. L’esperienza di vita insegna, poi, metodi di approccio al problema che aiutano a gestire meglio la vena creativa. La creatività ha dunque bisogno di una sua organizzazione, altrimenti sono pensieri sparsi che possono perdersi nel nulla.

Lei come vive questo talento?

Io, da imprenditore, vivo la creatività come un’esperienza assolutamente naturale: una forza che mi dà energia e una dimensione che mi fa sentire più vivo. È un regalo, una dote! Io posso dire di avere avuto la fortuna di convogliare la creatività in un modello imprenditoriale che piace.

In Lago come cerca di stimolare lo sviluppo della creatività?

Io parlo, racconto e stimolo il confronto delle idee e il dialogo tra le persone che lavorano nell’azienda. A volte inserisco nel

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Daniele LagoAmministratore delegato di Lago SpA

brainstorming anche un elemento di contrasto per stimolare le soluzioni più inimmaginabili. Dò un’impronta particolare alle riunioni, rendendo la sfida “cerebrale”, un valore aggiunto e di stimolo. In Lago produciamo, alla fine, tante idee e non tutte vengono concretizzate. Ma va bene lo stesso!

Creatività nel design... ci sono regole?

La creatività è creatività: non esistono ambiti professionali preferenziali nell’approccio alla materia. Nel design ci sono delle competenze specifiche che entrano in gioco in un secondo momento quando la “scintilla” è scoccata e serve concretizzarla in concept e prodotti. Progettare un mobile di design, o una struttura architettonica, è solo il momento successivo! Certo è che l’esperienza serve proprio nell’atto di concretizzazione. Non sempre tutte le idee sono traducibili in prodotti e in prodotti di successo. E soprattutto c’è da sottolineare che bisogna ricordarsi sempre che “sei tu stesso il tuo primo cliente”: ovvero devi creare qualcosa che piaccia principalmente a te! E ti deve piacere di “pancia”. Fare il designer oggi, poi, significa soprattutto fare il sociologo, ovvero saper interpretare gli stimoli esterni e le tendenze e creare qualcosa che abbia impatto sul mondo.

Creatività e innovazione: come si influenzano e chi traina l’altra?

Direi che si nutrono a vicenda. Una è connessa con l’altra. La creatività è innovazione. Ovviamente più spingi la creatività in terreni innovativi e non conosciuti e più porti a casa rischi. Ma questo è inevitabile.

Un’icona simbolo della creatività italiana, secondo Lei...

Leonardo Da Vinci, anche se è scontato dirlo! Ma anche Carmelo Bene. Noi italiani abbiamo nel DNA una grande creatività. Abbiamo una capacità del tutto rara di collegare lo scibile per farlo diventare una creazione completa. Perché le creazioni devono avere anche significati.

Quali sono le sfide che le aziende come la Sua affrontano oggi per rompere gli schemi eppure “stare” bene sul mercato?

La sfida maggiore è senz’altro quella culturale. Soprattutto nel campo del Design sei vincente solo se hai la cultura adeguata, che in questo millennio significa soprattutto indipendenza e apertura. L’impresa, aprendosi al territorio, può contribuire con il proprio “sapere” ad accrescere la cifra culturale dello stesso, per questo Lago ha realizzato parecchi progetti per il territorio in condivisione con esso.

Anche il made in Italy in alcuni casi non traina più: si tratta di crisi economica generalizzata o crisi di personalità?

Il made in Italy in parte sta subendo gli effetti della crisi, ma sicuramente ha ancora in sè un potenziale molto alto, che però il sistema Italia non riesce a capitalizzare. Perché nell’ultimi anni abbiamo perso la “bussola” che segna la direzione!

Il futuro della creatività italiana?

La crisi è un grande pusher per i creativi, perché mette in discussione tutto. Quindi il futuro sarà interessante!

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Intervista al conduttore di “Giovani Talenti” di Radio 24

Sergio Nava, giornalista di Radio 24, è stato uno dei primi in assoluto a mettersi ad indagare sulla

fuga dei cervelli italiani. Infatti, nel 2009, quando di tali movimenti ancora quasi non si parlava, è

stato il primo a scrivere un libro intitolato “La fuga dei talenti” sul fenomeno dell’espatrio dei giovani

professionisti italiani. Da allora ha continuato a monitorare la situazione e a raccontarla, giorno per

giorno, sul suo blog (fugadeitalenti.wordpress.com) e nel programma “Giovani Talenti” in onda ogni

sabato su Radio 24.

Stiamo esportando all’estero la creatività italiana a causa del fenomeno della “fuga dei talenti”. Come è cambiata la situazione in questi anni?

Da un fenomeno molto grave in epoca pre crisi è diventato con la crisi un fenomeno molto più ampio numericamente e anche diverso. Prima eravamo di fronte ad un espatrio di personale

altamente qualificato, e quindi di persone molto istruite con

laurea e dottorato. Con gli anni la distinzione si è persa: a

tentare la sorte all’estero c’è una forbice più ampia, anche di

età e titolo di studio. Sono persone che tentano la fortuna. Si è

persa, quindi, la caratterizzazione dell’epoca pre crisi. Emigrano

anche gli over 40.

FUGA DEI TALENTI: COSÌ SI RISCHIA DI PERDERE L’INVENTIVA MADE IN ITALY

Incontri con

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MARZO 2015

Fuga e crisi: che rapporto esiste in questo periodo? La gente, oggigiorno, espatria solo per effetto della crisi?

I colpi portati da questa recessione in Italia hanno senz’altro messo in difficoltà il tessuto sociale. Ed è chiaro che se prima c’era una maggiore consapevolezza quando si andava all’estero, adesso a parer mio c’è la sensazione di voler tentare la sorte. Londra, ad esempio, nel bene e nel male, è diventata la capitale mondiale degli italiani che cercano un futuro all’estero. C’è chi va con preparazione linguistica e un’adeguata formazione e competenza e c’è chi, invece, ci va perché in precedenza ci è andato qualcuno che conosceva e quindi pensa di avere un aggancio e spera di poter fare qualcosa. Magari per queste persona la strada è molto più in salita.

Secondo te, si tratta di una nuova ondata di emigrazione come negli anni immediatamente successivi al secondo dopoguerra?

Non c’è uno specifico mainstream: la “fuga” interessa diverse componenti. C’è chi va con la famiglia e va con l’idea di mettere radici, c’è chi va solo per fare esperienza limitata nel tempo con la volontà di tornare nel breve periodo e, come ho già detto, c’è chi va tentando la sorte. C’è un po’ di tutto. Il vero problema è tornare indietro, poi.

I talenti che vogliono rientrare nel nostro Paese trovano delle difficoltà? E, poi, l’Italia è ancora appetibile?

La maggior parte delle persone che emigrano vorrebbero rientrare, perché questa è una caratteristica comune a molti. È vero che finché la situazione economica non si sblocca davvero è difficile tornare. Inoltre, non c’è tuttora la volontà di un cambiamento radicale di mentalità nel modo in cui valorizziamo un talento, sia come ricompensa economica sia come prospettiva di carriera e di crescita. Per questi motivi l’Italia sarà sempre meno attrattiva di altri Paesi. Ancora non si è capito che

per il futuro bisogno puntare su 3 elementi chiave: innovazione, internazionalizzazione e capitale umano. Bisogna aumentare la percentuale di aziende che hanno recepito epidermicamente queste tre priorità. In questo Paese i portatori d’interesse sono consapevoli di dover fare di tutto per mantenere in Italia le nostre eccellenze?

A parole tutti si dichiarano d’accordo nel volere e dovere trattenere questi talenti. Però poterlo fare implica una cosa che in pochi fanno, come perdere in parte dei privilegi. Perché i talenti non restano a giocare a tetris, ma vogliono assumere posizioni di comando e prendere le redini della situazione. Questo crea una grossa difficoltà ad una classe garantista, che non è emersa per motivi di talento, ma per altri che ben conosciamo. Loro hanno posizioni che sicuramente non vogliono perdere e quindi non si prodigano per lasciar spazio a vere eccellenze. Quindi, c’è una difficoltà che riguarda il trattamento economico, ma anche una che riguarda la mentalità imperante. Noi dobbiamo agire su entrambi i punti: qualcosa prima o poi dovrà muoversi.

Quali sono le principali differenze che trovano le persone che scelgono, oggi, di andare a lavorare fuori dall’Italia?

Prima di tutto, all’estero trovano lavoro e questa è la prima differenza. Poi trovano canali di selezione trasparenti mentre in Italia il processo è quasi sempre molto opaco. Inoltre, hanno la possibilità di sviluppare al meglio i loro percorsi professionali, incontrano una maggiore attenzione ai risultati raggiunti e una vera meritocrazia. Tutto questo significa carriere più veloci e, comunque, più soddisfacenti. L’Italia, invece, è un Paese bloccato, non solo dalla situazione economica ma anche dai modelli sociali. Gli ordini professionali, tanto per fare un esempio, sono tra i più forti fattori di freno ad ogni cambiamento. In Italia, in questo momento, manca la capacità

Sergio NavaGiornalista di Radio 24

Sergio Nava, classe ‘75, è giornalista di Radio 24 dalla nascita dell’emittente. Per Radio 24 ha coperto vertici internazionali e realizzato reportage in Europa e negli Stati Uniti. Ha vissuto e lavorato in diversi Paesi europei. Nel 2009 ha pubblicato “La Fuga dei Talenti”, il primo libro ad analizzare il fenomeno dell’espatrio dei giovani professionisti italiani.

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di introdurre il merito come criterio unico di entrata nel mondo del lavoro, ma questo a tutti i livelli: da quello imprenditoriale a quello, universitario ma anche politico. E manca la capacità di valorizzare, soprattutto i giovani, che rappresentano una risorsa di innovazione e creatività importante.

Alla luce di tutto questo, che cosa bisognerebbe fare in Italia per cambiare una situazione ormai insostenibile?

In realtà in Italia tutti dovrebbero, ormai, sapere che cosa servirebbe per migliorare la situazione. Ma bisogna agire rapidamente e bene, mettendo in campo alcune misure drastiche e chiare. Come ad esempio arrivare ad una diminuzione del cuneo fiscale che dovrebbe corrispondere un aumento degli stipendi perché è fondamentale puntare sulla gratificazione di coloro che producono di più e lavorano meglio. Come bisognerebbe fare una riforma del lavoro che preveda ammortizzatori sociali veri e un cambiamento nel tessuto industriale italiano: ovvero aiuti a chi innova. Dipende tutto da noi: sicuramente bisognerebbe fare delle riforme importanti e strutturali che aprano l’Italia al mondo e la rendano innovativa. Chi ha innovato, da noi, lo ha fatto per conto proprio, senza incentivi di nessuno tipo. Per quanto riguarda i modelli: anche attraverso un’economia più dinamica e vivace rendere l’Italia un Paese di attrazione di capitale umano qualificato sia italiano di rientro che estero. Bisogna fare in modo che qui vengano persone a mettere radici, a fare impresa e queste persone, poi, creeranno il cambiamento inevitabilmente. La vera questione è quella di far cambiare pelle alla classe dirigente italiana. Bisogna arrivare a superare, anche alle nuove generazioni, i modelli culturali sbagliati. L’importante è scegliere dove investire senza farsi più influenzare da fattori politici e logiche clientelari. Certo ci vuole coraggio ma questo tipo di scelte sono fondamentali. Ripeto, bisogna decidere chi aiutare e non sprecare risorse con chi è già fuori dal mercato.

Se questi talenti restassero, invece di tentare la fuga: cambierebbe qualcosa?

Ci sono delle realtà positive in Italia, come le start up. In questo caso vale la pena restare nel Paese. Sono realtà internazionali che hanno un ritmo e cultura diversi. Chi riesce ad entrare in questi mondi o a crearli facendo impresa, fa bene a restare e a investire. Chi invece non ha l’occasione o si scontra con porte chiuse in faccia, è giusto che vada altrove a coltivare il proprio talento. Ad ogni modo se si ha la possibilità di studiare o lavorare per un certo periodo all’estero ben venga, perché la cultura italiana a volte si presenta come troppo ‘provinciale’: non parlo della cultura alta che ancora oggi è un modello, ma di quella dei modelli medi. Quindi, non avere una visione internazionale spesso ci fa portare appresso una zavorra.

Quali sono i Paesi stranieri di maggiore attrazione?

Sicuramente oggigiorno Gran Bretagna, Germania e Svizzera. E in generale i Paesi del nord Europa. Sono interessanti anche la Francia - anche se presenta delle difficoltà - gli Stati Uniti d’America e l’Australia. La Cina ha vissuto un boom nell’ultimo decennio ma è un Paese che pone delle grandissime sfide.

La creatività italiana viene apprezzata maggiormente all’estero che in Italia?

Ahimè spesso sì, la creatività italiana viene apprezzata maggiormente fuori dal nostro Paese: soprattutto quella capacità di trovare soluzioni fuori dagli schemi, tipico della nostra cultura. In casa, è più difficile perché entrano in gioco due fattori: il primo che si è italiani tra italiani, e non si può spendere la carta dell’elemento “straniero”, e poi nel Paese negli ultimi anni c’è stata la tendenza a instaurare una certa cultura “conservatrice” che ha soffocato tutto ciò che è nuovo e diverso. Anche se è vero che con la crisi, a passi lenti, sono stati messi in discussione i modelli vecchi a favore di nuove “strade” più creative e innovative.

incontri con

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MARZO 2015

La casa francese Citroën, a partire dal 1910, investe in creatività e alta tecnologia; tutti ricorderanno

la 2CV (2 cavalli) firmata dal designer italiano Flaminio Bertoni: è stata la prima auto “customizzata”,

diventata poi un cult per la generazione anni ’60. A raccontarci tutti i nuovi progetti della casa

automobilistica francese Francesco Vismara, product manager Citroën Italia.

Il product manager italiano racconta la casa francese

CITROËN:DESIGN, FUNZIONALITÀ E FANTASIA

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Il mondo Citroën in una frase...

Sono passati quasi cento anni da quando nel 1919 André Citroën fondò la marca che ancora oggi porta il suo nome, dando vita ad un mondo di innovazione, fantasia e creatività; valori impressi dal fondatore che sono presenti nei prodotti di oggi come in quelli di allora.

Citroën si è sempre contraddistinta per la sua grande creatività: quali le scelte operate?

Il claim del nostro marchio è Créative Technologie. Due parole che costituiscono una promessa, quella di progettare e realizzare vetture caratterizzare da funzionalità, praticità e fantasia: un modo sempre nuovo di rispondere alle esigenze degli automobilisti di oggi e di domani. Come nascono i nuovi modelli?

Il centro stile della Marca, poco fuori Parigi, in sinergia con altre realtà come quella di Shangai, rappresenta la nostra fucina di idee e progetti. Le sfide del ventunesimo secolo richiedono risposte globali a richieste che arrivano da ogni continente: per questa ragione durante il processo di creazione di nuovi modelli, stile, classe e funzionalità prettamente europei vengono fusi e contaminati con un pizzico di gusto orientale.

Il design: quanto conta in un’auto e cosa può comunicare?

Dai tempi della mitica DS e della 2CV, Citroën ha sempre fatto del design funzionale la sua bandiera: nella DS, così come nella 2CV, nessun dettaglio estetico, per quanto originale, è in quella posizione per ragioni esclusivamente visive: tutto ha una precisa funzione, questo è il segreto del design Citroën. Con C4 Cactus questo concetto è stato ulteriormente sviluppato, dando vita ad una vettura capace di rinunciare a tutto ciò che non abbia una funzione ed una utilità precise, a vantaggio di ciò che conta veramente per i nostri clienti.

Negli ultimi anni ci sono stati grandi cambiamenti dello stile della casa: come è avvenuto il cambiamento? Quali sono gli elementi di continuità e quelli di rottura con il vecchio stile Citroën?

Lo stile di una marca si evolve con il passare del tempo.

scenari

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Citroën, come tutti gli innovatori, non rimpiange il passato ma lo interpreta reinventando se stessa. Ogni giorno. La continuità, come dicevamo, è tutta nella filosofia del design funzionale: cambiano i tempi e il design si evolve.

Come nasce un nuovo progetto Citroën?

La risposta è semplicissima: in Citroën si parte sempre da un foglio bianco. Il fondatore André Citroën chiedeva ai suoi progettisti idee nuove ogni giorno, il mood non è cambiato.

Come viene comunicato all’esterno? Quali le strategie e i canali su cui puntate maggiormente?

Il fondatore André Citroën riuscì a far scrivere il suo nome a lettere luminose sulla Tour Eiffel: usò 200.000 lampadine per farlo, comunicare è tutto e tutti i canali di comunicazione sono importanti. Certo, nel 1919 internet non c’era ancora, neppure la televisione. Nel 2015, come allora, Citroën cerca di essere

COSA DICE IL MERCATO DELLA CREATIVITÀ CITROËN? Intervista a Paolo Guerriero, titolare di AutoNord di Treviso.

Cosa cerca in più da un auto il cliente Citroën?

Tra vari brand il marchio Citroën è tra i più elevati come percentuale di fidelizzazione dei clienti. Con una particolare attenzione per l’ecologia e la riduzione di Co2, quell’attitudine alla “comodità” e ricerca degli spazi interni senza dimenticare le linee sempre all’avanguardia nei modelli questo e molto altro sono il mix che il cliente cerca e trova nell’auto Citroën.

Come è stato accolto dal pubblico il modello Cactus?

Molto bene, direi! Il commento icona da parte del pubblico per C4 Cactus è “FINALMENTE UN’AUTO DIVERSA”. Il pubblico rivede in Cactus l’innovazione, quel qualcosa di nuovo e originale nelle linee e nei dettagli che si differenzia e che porta una ventata di novità nel mondo dell’automotive.

Cosa pensa della creatività della Citroën?

“Créative Technologie” è il motto da diverso tempo del brand Citroën e rispecchia appieno la gamma intera che esprime ricerca della creatività di pari passo all’investimento per la tecnologia, per rendere sempre più confortevole e piacevole il tempo che gli automobilisti passano all’interno delle proprie auto, senza dimenticare che negli anni si sono sviluppati progetti per riduzione di consumi e inquinamento. In alcuni casi la creatività del brand è stata talmente forte e veloce che ha rischiato di non esser compresa all’inizio dal pubblico, ma con il passare del tempo la clientela si è addirittura allineata e ricerca continuamente in noi la “novità”, quella creatività che distingue il brand Citroën.

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scenari

ovunque, comunicando con simpatia e fantasia. I nostri spot sono divertenti (come l’ultima pubblicità con i cani che passa in radio e TV in questi giorni), mai arroganti o violenti. La superiorità della marca passa da una certa eleganza e il sorriso è la chiave per il benessere.

Ci parli della Cactus...

In un mondo in continua evoluzione, caratterizzato da crisi economica e da un’attenzione sempre crescente all’ambiente, C4 Cactus si propone come la vettura che risponde in modo concreto e positivo alle domande di oggi. Come? Proponendo un concept innovativo, sviluppato intorno alle reali esigenze del cliente offrendo contenuti di design, tecnologia e confort esclusivi. Un esempio su tutti gli Airbump®, esclusiva tecnologia Citroën in grado di abbinare design e funzionalità. Costituiti da un rivestimento in materiale plastico con capsule d’aria integrate, garantiscono protezione dai piccoli urti tipici della guida in città, contribuendo al contempo a caratterizzare e personalizzare lo stile dell’auto, grazie alle 4 tinte disponibili abbinabili a piacimento ai

9 colori carrozzeria. Tutto questo è stato sviluppato partendo da un corpo vettura estremamente leggero (inferiore ai 1.000kg per le versioni di ingresso gamma), che abbinato a motori di ultima generazione ci ha permesso di raggiungere consumi ed emissioni inquinanti da primato, limitando al contempo i costi di gestione dell’auto: un occhio all’ambiente ed uno al portafogli!

Come è stata accolta?

Con entusiasmo, raccogliendo fin dalla sua prima presentazione al Salone di Ginevra del 2014 numerosi consensi e generando una grande curiosità nel pubblico, che si è poi tradotta in oltre 5.000 ordini dal lancio commerciale (settembre 2014) ad oggi.

In quale direzione sta andando la casa francese?

Con una gamma di prodotti fortemente rinnovata, che vede nel design e nella tecnologia i suoi punti di forza, Citroën affronta il futuro con tutto quell’ottimismo e quella voglia di innovare e stupire che da sempre fanno parte del DNA della Marca.

Francesco VismaraProduct manager Citroën Italia

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Diceva Hannah Arendt che il mondo è pieno di storie, circostanze e azioni curiose che aspettano solo di

essere raccontate. E ci chiediamo noi oggi: nel mondo del lavoro, quante aziende raccontano davvero

bene i propri prodotti e servizi? Vediamo insieme la sfida quotidiana di agenzie e di aziende nel creare

dei buoni testi per fare innamorare gli utenti di un sito web.

SCRIVERE (BENE) PER IL WEB, TRA TECNICA E CREATIVITÀ

Web Writing e Paper Writing: analogie e differenze.

Chiarezza, impatto, precisione ed emozionalità sono obiettivi perseguibili sia sulla carta che nel web. Ma la differenza tra carta e rete non passa solo attraverso uno schermo: cambiano i tempi dedicati alla lettura, l’attenzione prestata al messaggio, il modo in cui l’occhio scorre tra le parole. Se quindi, nella carta, gli utenti occidentali leggono in modo ordinato e sequenziale da sinistra a destra, dall’alto in basso, nel web invece il lettore ha più fretta, scorre la pagina con un andamento a “F”, si sofferma su titoli e sottotitoli, sulle parole in grassetto, sugli elenchi puntati. Vietato dunque il copia–incolla di un testo scritto (libro, brochure, ecc.) nel web: impossibile non doverlo rielaborare.

Due punto zero: dal 1 to 1 al many to many.

In origine internet era statico, siti e pagine comunicavano in

maniera unidirezionale e le forme di contatto con chi stava dall’altra parte erano la posta elettronica, il form contatti, il telefono. Ciò che è successo negli ultimi 10 anni si può riassumere con un’unica parola: partecipazione. Il web 2.0 diventa partecipativo, il luogo dove gli utenti interagiscono, scrivono, chattano, scambiano opinioni, condividono idee e contenuti, rilasciano recensioni su prodotti e servizi, commentano fatti e idee, vivono tra i social media e la vita reale. Il World Wide Web è oggi un luogo in cui le aziende possono finalmente trovare un punto di contatto diretto con consumatori, con clienti nuovi, dove possono creare opportunità, far crescere nuovi business, avere visibilità nei mercati esteri. Il passaggio importante e rivoluzionario che hanno dovuto compiere le aziende nell’era del marketing 2.0 è stato passare dal presentare e pubblicizzare i propri prodotti, al saperli raccontare per ottenere partecipazione.

Bizen: rispettare le regole della rete senza trascurare la creatività

MAURO VEDOVATO [email protected]

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Web Content Strategy: dall’analisi delle keyword alla resa creativa.

Per ottenere risultati dalla comunicazione e dalla scrittura è necessario aver elaborato un buon piano strategico. Ecco dunque che web content strategy diventa una fase cruciale nella definizione della più ampia digital strategy, e richiede competenze trasversali. Pianificare e scrivere contenuti per il web presuppone uno sguardo alla creatività e un altro alla tecnica. Per emozionare, distinguersi dai competitor serve virtù creativa, serve dare più freschezza ai testi e al messaggio. Al tempo stesso, per sfidare la SERP di Google servono accortezze tecniche, di contenuti, di formattazione. In tanti leggono i testi web: clienti che già conoscono l’azienda, clienti potenziali, utenti che stanno navigando il sito per la prima volta e per caso, ma soprattutto i motori di ricerca. Da una parte ci sono persone in carne ed ossa, dall’altra gli spider dei motori di ricerca, sempre più raffinati e sensibili, programmati per indicizzare e anche per giudicare: la sfida è riuscire a piacere ad entrambi. Come procedere? Il metodo è tecnico e creativo allo stesso tempo. Si inizia con una buona analisi del business, della presenza su web dei competitor online e offline; in seguito, si analizzano le keyword di settore, quanto vengono cercate, quanto traffico possono generare. Ecco che solo a questo punto si sceglie il piano editoriale e si scrivono articoli, contenuti, pagine proprio sulle e con le keyword richieste, mentre un tecnico procede all’ottimizzazione SEO dei nuovi contenuti creati.

Dillo con parole... SEO.

Ma che cosa significa ottimizzare un sito per i motori di ricerca? Significa studiare e proporre una coerenza dei contenuti con le chiavi di ricerca di settore, scegliere e inserire i giusti meta tag nelle pagine, studiare la giusta frequenza della parola chiave e un numero minimo di caratteri per esprimere i propri concetti. E queste sono solo alcuni degli aspetti che costruiscono la reputazione di una pagina: il posizionamento organico e naturale è un traguardo che si raggiunge con professionalità, costanza e tempo. Se decidiamo di scrivere solo tenendo conto della pura tecnica SEO, è concreto il rischio di creare un testo “iperottimizzato”, finto e poco emozionale e di vedersi penalizzati dai motori di ricerca, i cui algoritmi sono sempre più sensibili nello scovare i trucchi di chi spinge troppo le ottimizzazioni, senza dare in cambio agli utenti dei testi di qualità. Se invece lasciamo andare la nostra migliore vena creativa, guardando solo alle emozioni e perdendo di vista l’aspetto tecnico, rischieremmo di non venir riconosciuti e premiati nelle ricerche.

Storytelling e Creatività.

Con il termine storytelling si intende l’arte di narrare,

di raccontare una storia. Il concetto di storytelling, che nasce nel campo della letteratura e della retorica antica, è applicabile anche all’ambito aziendale dando vita ad una disciplina che prende il nome di storytelling management, l’arte di promuovere i prodotti aziendali sulla base di un format narrativo. Lo storytelling, infatti, ha il grande pregio di coinvolgere l’interlocutore da un punto di vista emotivo ancora di più che sul piano strettamente razionale. Ogni concetto può essere reinterpretato in chiave narrativa, ogni prodotto o servizio ha qualcosa da raccontare: usiamo i 5 sensi, le metafore, raccontiamo persone ed oggetti.

Creatività e tecnica: un legame profondo.

Statene pur certi, dove creatività e tecnica si incontrano con armonia, i benefici sono a più livelli: per i visitatori del sito, soddisfatti di ciò che hanno letto; per l’azienda, che ha ottenuto visite in target e contatti interessanti; per la qualità del motore di ricerca, il cui algoritmo intende premiare siti meritevoli per fornire la migliore esperienza di navigazione ai suoi utilizzatori. Abbiamo parlato di “armonia” tra creatività e tecnica e lo abbiamo fatto di proposito: impossibile ottenere la combinazione perfetta perché entrambe vogliono sperimentare, prendere rischi, sbagliare e divertirsi. Provare per credere.

Mauro VedovatoCo-owner, general manager di Bizen Srl

scenari

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CREATIVITÀ SU CARTA: LA STAMPA FA LA DIFFERENZA!Trevisostampa Srl racconta come valorizzare la comunicazione su carta

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Distinguersi oggi è fondamentale. Ecco perché se la comunicazione è stampata in modo eccellente può

fare davvero la differenza. La passione e ricerca della qualità nella resa dei colori, effetti e nobilitazioni,

hanno guidato nel corso degli anni gli investimenti tecnologici di Trevisostampa. Oggi l’azienda ha una

produzione a ciclo completo e può vantare un parco macchine da stampa all’avanguardia per offrire

svariate soluzioni: ne parliamo con il direttore commerciale Elisabetta Pietrobon.

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scenariIn che modo un servizio di stampa può esaltare la qualità e la creatività di un progetto?

Con la scelta dei materiali, della tipologia di stampa e di rilegatura: esistono svariate tipologie di carte e confezioni e ognuna, con la sua storia e caratterizzazione, può raccontare un progetto grafico in modo diverso. Spesso il cliente non conosce la varietà di soluzioni disponibili; tocca a noi, come consulenti, cercare di comprendere il progetto che ci viene consegnato e suggerire soluzioni personalizzate che rappresentino un giusto compromesso tra le esigenze del cliente, la valorizzazione del prodotto e l’ottimizzazione dei costi.

Dal progetto digitale alla stampa: un processo creativo che continua...

Diciamo che il processo creativo non si esaurisce nel file che il cliente ci consegna ma continua nella scelta, che avviene assieme, di materiali e strumenti necessari a trasformare un progetto digitale in un prodotto concreto e tangibile. In questa fase di passaggio è molto importante offrire al cliente un’esperienza sensoriale che gli permetta di capire come, quella che era solo un’idea, può prendere forma e dimensione, compostezza e odore. Per questo motivo proponiamo mock-up con reali materiali e assistenza in tutta la fase di prestampa dove correzioni cromatiche e prove colore prendono vita.

Qual è la vostra peculiarità?

Il nostro lavoro mette insieme una tradizione di natura artigianale e allo stesso tempo un processo produttivo industriale, introdotto per rispondere al meglio alle esigenze del cliente. Oggi offriamo effetti di stampa con soluzioni di verniciatura acrilica e drip-off effetto lucido/opaco, utilizzando prodotti a base d’acqua in coerenza con la nostra politica ambientale. Siamo certificati FSC in grado quindi di contraddistinguere il prodotto finale del nostro cliente. Quello che cerchiamo di fare è unire un’arte ad un metodo per costruire un vestito su misura al cliente, ossia un progetto che valorizzi il prodotto sulla base di quello che deve raccontare. Pensate ad un company profile, ad esempio, che ha il compito di esprimere l’anima di un’azienda attraverso la carta, la rilegatura e altro…i dettagli in questo caso diventano fondamentali!

Ci racconti come avete valorizzato alcuni progetti?

Per la realizzazione del periodico Logyn, ad esempio, abbiamo scelto di contrappore al vigore cromatico del progetto grafico l’utilizzo di una carta usomano che crea una piacevole sensazione tattile. La carta usomano, con superficie naturale al tatto e perfettamente omogenea, è fatta da un impasto di pura

cellulosa che assicura una maggiore durata nel tempo della tinta e del grado di bianco. Un altro esempio prestigioso è il volume “Il Tempo del Leone” realizzato per Assicurazioni Generali, un cliente che abbiamo accompagnato nella scelta di carte appropriate per un progetto editoriale di altissimo livello, dove competenza in cromia ed impaginazione sono state fondamentali. Anche l’aspetto logistico era determinante in questo caso, in quanto il volume doveva essere spedito in diverse parti del mondo, non trascurando estetica e sicurezza d’imballo. Ammbiamo realizzato diversi prototipi sapendo quanto conta dimostrare al cliente valide e concrete soluzioni.Crediamo in questa sfida... il nostro impegno è questo!

Elisabetta PietrobonDirettore commerciale Trevisostampa Srl

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Quando nasce la casa editrice Bao?

Alla fine del 2009, fondata da Caterina Marietti e Michele Foschini, a Milano.

Con quale sogno?

Portare il fumetto ai lettori di narrativa in prosa. Una mission che ha riscosso un sempre maggiore successo, grazie anche all’alta qualità delle nostre edizioni cartacee.

Il fumetto in Italia: una cultura da scoprire?

Una cultura da far scoprire a più persone, perché in realtà è

radicata nell’immaginario collettivo almeno fin dal secondo dopoguerra.

La sfida del fumetto italiano: qual è la vostra esperienza?

Per noi la fumetteria è circa il trenta percento del fatturato, mentre in libreria facciamo quasi il sessanta, con un venduto, l’anno scorso, di volumi per due milioni di euro solo in quel canale. Il nostro rapporto con le librerie online si è sviluppato negli anni ed è ottimo, sono uno strumento sempre più utilizzato dai lettori anche di fumetti, dal quale è difficile prescindere.

Intervistiamo la casa editrice milanese Bao Publishing, fondata 6 anni fa ed oggi tra le più importanti del

panorama italiano. Del fumetto dicono che è “una cultura da far scoprire a più persone perché è radicata

nell’immaginario collettivo”. Tra le loro pubblicazioni, oltre a quelle di Zerocalcare, anche libri della portata

di Portugal di Cyril Pedrosa, Come prima di Alfred, Il NAO di Brown di Glyn Dillon, La grande Odalisca di

Vivès, Ruppert e Mulot, E la chiamano estate di Mariko e Jillian Tamaki, e tanti altri autori ancora.

BAO: la casa del fumetto che vince la crisi dell’editoriaIntervista a Andrea Petronio, responsabile del settore digitale

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Fumetto e made in Italy: quanto traducete dall’estero e quanto producete in Italia?

Il progetto del fumetto digitale ci è quasi piombato dal cielo. Amazon ci contattò per parlarci della possibilità di creare fumetti digitali con un sistema di lettura guidata differente dal semplice ePub. Ci istruirono e tra ottobre/novembre 2012 cominciammo a creare file .mobi (cominciando con il nostro titolo più forte all’epoca, La Profezia dell’Armadillo di Zerocalcare). Dopo un anno e più di sperimentazione con Amazon e di buoni risultati, siamo stati contattati verso fine 2013 anche da Google e KOBO per vendere i nostri fumetti nei loro store, stavolta in versione ePub. Pensare di ampliare l’offerta anche su iBooks era un processo naturale.

La tecnologia è in grado di rendere bene il fumetto?

Sì e no: la versione digitale, ePub nello specifico, ti dà la possibilità di vedere le immagini a un’ottima risoluzione e di poter ingrandire laddove il testo è piccolo o vi è un dettaglio che a una lettura a pagina intera potrebbe sfuggire. Nel formato Kindle, sempre parlando di aspetti positivi, si ha la possibilità di vivere il fumetto in maniera intuitiva: il susseguirsi dei pannelli di zoom ricorda quasi la successione dei fotogrammi cinematografici. Ammetto che, però, amo particolarmente le

edizioni cartacee. Secondo me la visione d’insieme di una pagina di fumetto è un colpo d’occhio che nel digitale un po’ si perde, soprattutto quando la controparte solida ha un formato più grande del tablet di turno, chi la pensa come me non si farà mai convincere da una risoluzione migliore o dalla lettura guidata. Di sicuro, i tablet sono più leggeri di fumetti da 500 e più pagine e questo è un ottimo punto a loro favore... Soprattutto in vista di traslochi o viaggi!

Il fumetto in tablet può essere interattivo? E per quale target di pubblico viene pensato maggiormente?

Nella mia conoscenza degli ePub, so che c’è la possibilità grazie all’ePub3 di creare file interattivi con suoni, filmati e rimandi a link. Sinceramente, non avendo mai provato, non saprei dire se con il fumetto si potrebbe ottenere un risultato soddisfacente sia per l’autore sia per il lettore.

Progetti futuri?

Per il futuro abbiamo intenzione di espandere la nostra offerta digitale a tutti gli store possibili. Proprio con quest’obiettivo abbiamo da poco firmato con Book Republic, portale che gestisce la vendita di ePub su store talvolta meno noti, ma forti di un ottimo bacino di utenza.

Andrea PetronioResponsabile settore digitale BAO

Andrea Petronio è nato a Milano nel 1985. Nel 2008, dopo due anni di Scuola del Fumetto di Milano, dove studia grafica editoriale, si iscrive all’Università Statale di Milano in Scienze Umanistiche per la Comunicazione, laureandosi nel 2011. Comincia a lavorare per BAO Publishing nel febbraio 2012 come editor e assistente grafico. Con l’avvento del digitale, si specializza nella conversione dei libri in file .mobi ed ePub.

scenari

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“La meraviglia è il seme da cui nasce la conoscenza”, così recita Francis Bacon. La frase viene

riportata fedelmente in una brochure del Mart (Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento

e Rovereto) ad indicare come “l’arte e i suoi linguaggi rappresentano un elemento indispensabile

per l’esperienza educativa in campo estetico, superano i limiti del quotidiano, generano stupore e

permettono di aprirsi al mondo in maniera piena e profonda”. Nicoletta Boschiero, curatrice del Mart, ci

parla della struttura.

MART: LA COSCIENZA DELL’ARTENel museo-ricerca la trasformazione della contemporaneità

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scenariChe cosa rappresenta il Mart?

Il progetto Mart nasce alla fine degli anni ‘80 per rispondere all’esigenza di dare vita a un polo museale funzionale che servisse a far conoscere l’arte moderna e contemporanea con un contenitore adeguato e simbolicamente preminente, ed inaugura nel dicembre del 2002. Il Mart non è un’istituzione rigida e schematicamente impostata, è il luogo dove si rendono “visibili” i processi di trasformazione della contemporaneità: dalla sua nascita ad oggi ha superato la concezione tradizionale di museo, avviando un processo pluridisciplinare della ricerca. Oltre a conservare il patrimonio storico-artistico, il museo valorizza e potenzia la collezione, ne incrementa lo studio attraverso l’attività espositiva ed editoriale ponendosi al centro dei processi di critica storica. In che cosa si distingue in particolare dagli altri musei dedicati all’Arte Moderna e Contemporanea?

Sicuramente nell’archivio del ‘900 che comprende fondi documentari che ruotano attorno alla figura di Depero e del suo archivio, a costituire il Centro Studi del Futurismo, oltre ad altri fondi interessantissimi dedicati agli architetti attivi tra le due guerre, artisti e figure di spicco nel dibattito culturale del ‘900. Il materiale archivistico è spesso oggetto espositivo della permanente e di mostre monografiche. Il dipartimento educazione con la sua offerta di servizi, è inoltre il fiore all’occhiello del Mart.

Com’è articolato il Mart?

Il Mart ha tre sedi. Oltre a quella principale progettata da Mario Botta, Rovereto ospita anche la Casa d’arte futurista Depero che,

riaperta dopo un lungo restauro nel 2009, ha mantenuto la sua fisionomia di piccolo gioiello nel cuore della città storica; mentre a Trento c’è la Galleria Civica, affidata al Mart nel 2012, rivolta in particolare all’ambito contemporaneo.

Come vengono selezionate le opere e gli autori da esporre?

L’attività espositiva, che prende spunto da idee del direttore o dei curatori, risponde a stimoli legati a ricorrenze, ricerche approfondite, figure di spicco nell’ambito del design e dell’architettura. In alcuni casi la cura è affidata a specialisti esterni coordinati dal direttore, oppure a curatori interni al Mart che evidenziano, attraverso l’esposizione di parte della collezione, i grandi processi culturali della nostra epoca. Uno dei punti di forza sono state le coproduzioni con altri musei italiani e stranieri. Nell’ultimo triennio abbiamo lavorato in particolare sulla collezione nel 2012 con la mostra “La magnifica ossessione”

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che presentava affiancati opere e documenti. Le esposizioni risultano essere uno dei volani più significativi per l’ampliamento dell’utenza. Nel 2013 l’esposizione “Altro ritratto” ha messo a confronto un artista come Antonello da Messina con ritratti contemporanei; in questo caso le due parti complementari della mostra sono state affidate rispettivamente a Ferdinando Bologna e a Jean-Luc Nancy. Attualmente la mostra dedicata alla I Guerra Mondiale in occasione del suo centenario è stata una scommessa che ha accostato studiosi della contemporaneità e storici. Il museo da sempre volge la sua attenzione ai grandi temi della modernità e alla sperimentazione.

Quali sono i progetti più rappresentativi del Mart?

Un occhio di riguardo è per il settore dell’architettura che è una delle caratteristiche inderogabili del Mart; nell’ultimo periodo mostre sono state dedicate a Alvaro Siza, Adalberto Libera. Il Mart custodisce un patrimonio archivistico e librario unico in Italia inerente le avanguardie verbo-visuali della seconda metà del Novecento, strettamente collegato con alcuni nuclei di opere d’arte conservate nelle collezioni del museo. Un progetto in corso d’opera è quello di creare un portale in rete che colleghi le

raccolte, le renda disponibili, e all’interno del quale si possano trovare informazioni sul materiale conservato dai due musei, opere, libri e riviste d’artista, documenti e lettere. Il primo obiettivo è indirizzato alla conoscenza e alla valorizzazione di tali raccolte, ancor più se inserite in un’ottica di rete che coinvolga anche altri centri di ricerca e conservazione. Il secondo obiettivo è documentare la nascita dei fenomeni artistici verbovisuali partendo dalle prime sperimentazioni che risalgono all’inizio degli anni Sessanta per poi testimoniarne gli sviluppi successivi. Mart e creatività: anche la struttura dell’edificio è particolare, ce la racconta?

Abitualmente il Mart è denominato “il museo senza facciata” perché il visitatore è accolto, quasi abbracciato, da una piazza che è luogo di incontro e scambio e che funziona da accesso non solo al museo, ma anche alla biblioteca civica, ad un auditorium e ad una caffetteria. Mancando il fronte architettonico e, in senso figurato, la facciata, nell’apparenza esteriore il Mart si presenta, seppur nella sontuosità architettonica, informale, a portata di mano, piacevolmente prossimo.

Il nostro Paese comprende appieno l’Arte Moderna e Contemporanea?

È necessario sapere come è cucinato un piatto, per apprezzarlo? Sapere come sono state effettuate le cuciture di un abito per indossarlo e compiacersene? Essere attratti dall’arte è paragonabile ad essere attratti dall’alta montagna o dal mare, dal cibo o dallo sport, credo sia necessario partire da un interesse di base. Se manca questo, mancherà l’interesse all’approfondimento, a capire di più, a conoscere. L’arte contemporanea talvolta è ostica, eppure può essere estremamente affascinante, perché contiene in sé un effetto sorpresa, un’identità poetica spiccata. Rimango del parere che spesso il segreto rimane nella presentazione: se tutto appare chiaro, realizzabile e facile, si è portati a domandarsi come mai nessuno ci abbia pensato prima.

Come si può avvicinare maggiormente il pubblico all’Arte Moderna e Contemporanea? Quali i progetti e le iniziative del Mart?

Oltre a visite guidate specifiche per il tipo di pubblico, in alcuni casi, come ad esempio recentemente in occasione del Giorno della memoria, dei “mediatori culturali” hanno intrattenuto il pubblico su un’opera di Christian Boltanski, ispirata alle persecuzioni del popolo ebraico nei campi nazisti. Nel caso di una mostra come “La guerra che verrà non è la prima”, che dura a lungo e che presenta un grande numero di opere, si

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affiancano continuamente eventi, workshop, incontri, concerti e pièces teatrali atte a catturare l’attenzione del pubblico. Il settore Comunicazione progetta e realizza molte attività rivolte a tutti i tipi di pubblico. Attraverso i social network (facebook, twitter, ma anche pinterest, tumblr, etc.) crea progetti ideati appositamente per queste piattaforme, per incontrare ed entrare in relazione con i giovani, che sono così stimolati a frequentare secondo altre modalità il mondo dell’arte, e non solo.

Secondo Lei l’Italia è un Paese creativo? Ci sono autori contemporanei italiani che stanno portando avanti idee e correnti nuove?

Penso proprio di sì. Anche se credo che la creatività come la moda sia destinata ad essere continuamente superata. Gli artisti che desidero nominare e che hanno recentemente lavorato al Mart con opere site specific sono Paco Cao e Paolo Ventura. Martí Guixé, designer di Barcellona, che ha progettato un “ripensamento” per la figura di Depero e la sua Casa d’arte futurista.

I progetti futuri del Mart?

In questo momento il Mart è in una fase di transizione dopo la fine del mandato di Cristiana Collu e in attesa del prossimo direttore: ci auguriamo tutti che abbia idee innovative e trascinanti.

IL MART: STORIA E STRUTTURA L’edificio che ospita il museo è stato progettato dall’architetto ticinese Mario Botta e dall’ingegnere roveretano Giulio Andreolli. Botta ed Andreolli si sono ispirati a modelli classici per le forme (in particolare per la grande cupola al Pantheon) e hanno dedicato una particolare attenzione alle soluzioni tecniche, in molti casi all’avanguardia: la cupola radiale è in acciaio e plexiglas, e presenta uno “spicchio” mancante, reso possibile da complesse soluzioni ingegneristiche. Nel caso del rivestimento murale, Botta ed Andreolli hanno scelto la pietra gialla di Vicenza, tradizionalmente usata da Andrea Palladio, applicandola con un sistema innovativo che rende possibile la sostituzione autonoma di ogni singola lastra.

scenari

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Perché l’email marketing?

Ha senso parlare di email marketing nel 2015? Tutto sommato si tratta di inviare delle email esattamente come 45 anni fa quando è stato fatto per la prima volta. La logica di funzionamento è rimasta pressoché invariata, ma negli ultimi anni ci sono stati sufficienti evoluzioni che stanno facendo vivere, proprio in questo momento, una seconda giovinezza alla cara e vecchia email; una su tutte: la personalizzazione della comunicazione, ovvero la possibilità di adattare la stessa al contesto, dove per contesto si intendono i device (computer, smartphone, tablet), le caratteristiche demografiche e le abitudini di navigazione dell’utente. Anche i dati storici di mercato dovrebbero favorire le riflessioni verso questo tema apparentemente vecchio: in particolare se si ha a che fare con un ecommerce, il canale dell’email marketing è quello che registra un ritorno

dell’investimento (ROI) maggiore; in grado, inoltre, di enfatizzare meglio il principio di customer lifetime value. L’email marketing si presta particolarmente bene anche per esplorare un tema, invece, attualissimo: far incontrare il mondo online con il mondo vero, quello offline. Unendo i puntini per i quali:

(a) quasi tutti possediamo uno smartphone in grado di connettersi ad internet, (b) tali smartphone sono sempre con noi, (c) il grosso delle email viene letto da mobile.

È chiaro che per il mondo retail, ad esempio, il connubio mobile ed email marketing rappresenta un’opportunità grandissima per veicolare utenti online verso i negozi fisici, magari utilizzando strumenti quali il coupon. E parlando di opportunità, probabilmente la più grande è rappresentata dal fatto che, molto spesso, l’azienda già possiede un elenco di indirizzi email raccolti nel tempo grazie a passate iniziative (promozioni, eventi).

L’utilizzo di una strategia di email marketing permette di ricavare dati precisi sulle performance

tecniche e creative di una campagna, consente di personalizzare la comunicazione sulla base di tali

dati e, secondo alcune statistiche, in settori specifici genera un ROI maggiore di altri. Ma di cosa

parliamo esattamemente quando utilizziamo l’espressione email marketing? E come approcciare

questo canale di comunicazione? Vediamolo assieme.

Perché la cara vecchia mail migliora i risultati marketing, secondo Moca

MARCO ZIERO [email protected]

EMAIL MARKETING: PASSATO O FUTURO DELLA COMUNICAZIONE?

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scenari

CONSIGLI PRATICI- Evitare di inviare tutto a tutti: lato azienda si tratta di una tentazione, lato utente si tratta di rumore e fastidio.- Non dire troppo in un’unica email: oggi esiste la possibilità di segmentare e targetizzare inviando cose interessanti alle persone che ne sono realmente interessate.- Rendere la mail “attuale” nel senso di tenere in considerazione il contesto, il momento (es. siamo sotto Natale, chiedete dove andrà a passare le vacanze il destinatario).- Le attività di email marketing richiedono tempo: da circa una settimana prima dell’invio ad almeno 7/10 giorni dopo la consegna del messaggio (non tutti leggono l’email nel momento stesso in cui la ricevono).- Considerare un link di approfondimento all’interno dell’email solo quando strettamente necessario per l’utente.- Se l’email riporta un link, assicurarsi che il sito web sia facilmente consultabile da “mobile”.

Quali e come muovere i primi passi?

Quando si decide di investire in attività di email marketing ci sono alcune cose che devono essere verificate e pensate precedentemente all’invio della prima comunicazione. Innanzitutto un aspetto legale: abbiamo raccolto il consenso all’utilizzo del dato quando, anni fa in fiera, si registravano le informazioni dei visitatori? Il sito web è completo di tutte le informazioni legali che devono sottendere a tale contratto tra azienda ed utente (perché, alla fine, di contratto si tratta)? Lo step successivo è quello di pensare al destinatario (il nostro potenziale cliente) ed incrociare i suoi bisogni/interessi con i contenuti che siamo in grado di produrre; detta in altre parole, siamo in grado di comunicare qualcosa che interessi davvero? Questo è un passaggio che, in teoria, è quasi banale ma che nella pratica si scontra con la realtà: non è facile ammettere, per l’azienda, che un contenuto strategico in realtà non incontra l’interesse del destinatario. Si passa poi allo strumento di email marketing; l’effetto più immediato del dotarsi di uno strumento ad hoc per l’invio di email (sacrificando così il buon vecchio Outlook e la pratica dell’invio a tutti mediante CCN) è quello di ricavare dei numeri che descrivono l’andamento della campagna. Non solo da un punto di vista tecnologico (l’email è stata correttamente recapitata?) ma anche di efficacia: si è in grado di capire quanti utenti hanno apprezzato (aperto, cliccato) l’email ed i suoi contenuti ed il comportamento di questi una volta atterrati sul sito web.

Integrazione con il CRM.

Se l’azienda dispone già di un CRM dove sono salvati dati di storico riferiti a cliente ed opportunità commerciali non ancora concretizzate, potrebbe essere strategico pensare di incrociare questa natura di dati con quelli delle attività di email marketing.Oltre a corredare l’email con porzioni di contenuto personalizzato (“Buongiorno, Marco” piuttosto che “Buongiorno” e basta) si possono anche intercettare le abitudini di navigazione e le preferenze espresse per arrivare a recapitare messaggi ritagliati su misura (non vi risulta “strano” che, una volta inserito un prodotto nella lista dei desideri di Amazon, da lì a pochi giorni vi arrivi via email un incentivo proprio per acquistare quello specifico prodotto?). E l’integrazione tra CRM e software per l’invio di email potrebbe essere bidirezionale: oltre a ripercorrere lo scenario descritto sopra, si potrebbe procedere anche nel senso opposto immaginando quindi che i dati di risposta alle email vengano riversati nel CRM. Questo consentirebbe, ad esempio, alla rete commerciale di preparare un incontro con quel dato prospect consapevoli che tale persona ha favorevolmente reagito al nostro invio di email aderendo, ad esempio, ad un webinar gratuito che descrive le funzionalità del nostro prodotto.

Marco ZieroSocio titolare e consulente digital di MOCA Interactive Srl

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Il consulente aziendale ed ex imprenditore bolognese Maurizio Lenzi, assieme al presidente di Eurosystem

S.p.A. Gian Nello Piccoli, racconta come aiuterà l’azienda veneta ad espandersi e ad investire nel Centro

Italia. “Si tratta di una sfida anche culturale. Una base a Bologna con la prospettiva di nuove e future

assunzioni è un valore aggiunto per Eurosystem S.p.A. e per tutto il territorio”, ci spiega Lenzi, che per

anni è stato titolare di un’impresa che operava in Information Technology.

Maurizio Lenzi vanta una pluriennale esperienza imprenditoriale nella creazione di nuove aziende industriali e commerciali, con particolare competenza nella fase di start up, e passaggio a nuove proprietà. Lenzi, infatti, ha fondato la sua prima impresa nel 1976, Elbomec Srl, venduta in seguito negli anni ’80 alla Bowthorpe English; quindi, dopo altre esperienze imprenditoriali, ha creato una nuova azienda, CimLab Srl, diventata poi Infolab e venduta ad un gruppo italiano qualche anno fa. È stato anche membro del direttivo di Unindustria Bologna; Presidente per due mandati del Terziario Innovativo di Unindustria Bologna, membro

Gian Nello PiccoliPresidente di Eurosystem S.p.A.

A gennaio 2015 l’apertura di una nuova filiale a Bologna

EUROSYSTEM S.P.A. INVESTE NEL CENTRO ITALIA

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nazionale di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, e negli anni ha maturato esperienza nei sistemi di reporting per società capogruppo nazionali e multinazionali, con forte competenza nella riorganizzazione e ristrutturazione sia del conto economico che dell’organizzazione operativa.

A partire da gennaio 2015 Maurizio Lenzi sigla con Eurosystem S.p.A. una collaborazione a tuttotondo, che lo vede attualmente impegnato a sviluppare la filiale di Bologna dell’azienda. Il suo impegno in questa joint venture sarà quello di creare un ponte tra due realtà geografiche, il Nord e il Centro Italia, per far sì che, da una parte, il territorio del Centro Italia possa beneficiare dell’investimento dell’azienda trevigiana e che, dall’altra, l’azienda trevigiana riesca appieno a farsi conoscere nella nuova area. Eurosystem S.p.A. si espande nel Centro Italia: Maurizio Lenzi ci spiega come e perché:

“Il tessuto imprenditoriale di questa parte d’Italia - l’area include le regioni Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria - è compatibile con l’ambito d’interesse e il piano strategico di Eurosystem S.p.A. Infatti, queste quattro regioni riuniscono un target d’imprese vicine al campo di offerta dell’azienda veneta. Il mio impegno, che nasce da una lunga amicizia e stima verso i titolari dell’impresa di Treviso, sarà quello di mettere a disposizione la mia rete di conoscenze e di relazioni territoriali affinché la filiale bolognese di Eurosystem possa sviluppare gli obiettivi che si è proposta”, spiega il consulente bolognese.

In sintonia con Gian Nello Piccoli, presidente di Eurosystem SpA, Maurizio Lenzi ci tiene a sottolineare:

“L’interesse aziendale è quello di un investimento sul territorio: la nuova filiale, pur partendo da una logica di presidio quasi esclusivamente commerciale e di supporto alla vendita, in brevissimo tempo svilupperà un nucleo centrale operativo per rispondere direttamente alle esigenze e richieste dei clienti con uno staff tecnico strutturato”.

Conferma, per l’appunto, Gian Nello Piccoli:

“L’intenzione è quella di arrivare a investire in loco, soprattutto in risorse umane che possano divenire punto di forza dell’azienda grazie alla cultura e al know how che portano con sé. Abbiamo grandi progetti da portare avanti a livello di ricerca e innovazione. Assieme a noi vogliamo far crescere il tessuto locale portando il nostro personale contributo in termini di esperienza nel campo dell’Information Technology e di valori imprenditoriali. Vogliamo intercettare quegli stakeholders che possano aiutarci a far squadra e creare nuovo lavoro e conoscenza”.

Alla domanda “come si presenta il tessuto produttivo del Centro Italia” Maurizio Lenzi risponde che:

“qui siamo di fronte ad una realtà importante che ha sofferto la crisi economica, senza esserne travolta: esistono alcune grandi imprese, che hanno internazionalizzato e vivono sul mercato estero (con una esportazione che va dall’80 al 90%), che fanno da locomotiva ad una miriade di piccole e medie imprese terziste, ‘vagoncini’ a loro volta forti che nutrono il tessuto produttivo territoriale. Queste aziende si connotano sul mercato globalizzato perché sono altamente specializzate. La vocazione produttiva in questa zona è perlopiù meccanica e meccatronica e questo è in parte dovuto alla caratterizzazione di alcune scuole tecniche presenti sul territorio che a suo tempo hanno generato degli imprenditori di prima generazione, i quali hanno saputo creare delle grandi aziende - le locomotive per l’appunto - capaci di trainare una serie di piccole e medie realtà”.

E aggiunge:

“Eurosystem S.p.A. può rivolgersi a tutto quel mondo di piccole e medie imprese che per struttura hanno bisogno di un prodotto tecnologico ‘su misura’, creato in base alle loro esigenze e dimensioni. Per fortuna nel Centro Italia ci sono PMI che stanno andando molto bene, ma ci sono anche altre che hanno un prodotto abbastanza maturo e che non riescono ad esportare a causa dei costi elevati di produzione e trasporto e perché sono basate su poca tecnologia. A loro bisogna andare incontro anche ‘culturamente’, aiutandole a fare il giusto investimento

incontri con

Maurizio LenziDirettore sviluppo territoriale di Eurosystem S.p.A.

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in innovazione. Per fortuna sul nostro territorio le associazioni, anche quella degli industriali, sono molto attive nel campo della formazione e riescono ad utilizzare adeguatamente i fondi della UE. Ecco che assieme alle business school vengono realizzati progetti di crescita della cultura imprenditoriale e manageriale”.

Gian Nello Piccoli spiega, invece, come l’azienda vuole presentarsi sul mercato nazionale:

“Sia in ambito applicativo che infrastrutturale, siamo già rappresentanti di grandi marchi internazionali di Information Technology. Ovviamente facciamo da mediatori tra questi grandi fornitori e i clienti finali e integriamo tra di loro anche prodotti di fornitori diversi per offrire la migliore prestazione ai nostri clienti. Una sintesi della migliore innovazione a disposizione, ma personalizzata e soprattutto comprovata dal nostro know how. Il nostro obiettivo è essere un punto di riferimento sempre maggiore nella mediazione tra fornitori multinazionali che vendono differenti linee di prodotto e aziende del territorio”.

E conclude raccontando che:

“Come azienda siamo nati 35 anni fa perché credevamo nella prospettiva di questa nuova cultura dell’informatica, che negli anni ’80 era un mondo inesplorato, difficile da conoscere e ancora più da tradurre e rendere alla portata di tutti. Ma ci siamo riusciti. Oggi il settore delle tecnologie dell’informazione è cambiato del tutto: ha fatto passi da gigante ed è entrato nella quotidianità delle persone. Oggi tutto è IT: con l’avvento dell’Internet of Thing e of Everythings molti ambiti operativi hanno avuto un nuovo sviluppo come la domotica, la robotica, l’industria automobilistica, i sistemi di sorveglianza, le smart city. Di conseguenza dati e informazioni dovranno essere sempre di più contenuti, resi sicuri e messi nelle condizioni di dialogare tra loro a partire da sistemi differenti. In questo contesto l’importanza del software crescerà sempre di più. Eurosystem S.p.A. andrà avanti nella strada delle ricerca per essere sempre all’avanguardia. Sempre più giovani saranno coinvolti con idee e ricerche progettuali”.

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Unindustria Bologna è la prima associazione imprenditoriale dell’Emilia Romagna e la sesta a livello

nazionale, rappresenta più di 2.000 imprese con oltre 100.000 addetti. L’85% delle imprese ha meno

di 50 addetti, il 75% delle associate è manifatturiero. A parlarci dell’Associazione è Tiziana Ferrari,

direttore generale dell’associazione degli industriali bolognesi dal 2011.

Intervista a Tiziana Ferrari, direttore generale Unindustria Bologna

incontri con

UNINDUSTRIA BOLOGNA: AGGREGAZIONE E RAPPRESENTANZA PER LA CRESCITA DEL TERRITORIO

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Quello di Unindustria è un ruolo importante in un periodo storico importante: è vero? Quali sono i progetti in atto e gli obiettivi futuri?

Il momento storico che sta attraversando il nostro Paese è molto particolare, perché la crisi economica ha trascinato con sé anche una implosione dei sistemi di rappresentanza: basta guardare quello che è accaduto nel mondo della politica. Noi abbiamo capito subito che a maggior ragione, in un contesto simile, le nostre imprese non andavano lasciate sole. Così abbiamo avviato un processo di rinnovamento per rendere la nostra Associazione sempre più vicina alle aziende, soprattutto in termini di qualità dei servizi ed efficienza. Questa scelta ha dato buoni frutti. Tuttavia, nella consapevolezza che il miglioramento va perseguito ogni giorno, abbiamo all’orizzonte altri progetti importanti, come l’aggregazione con le Associazioni di Modena e Ferrara, che aiuterà ad accrescere il peso specifico della rappresentanza delle nostre aziende e permetterà una razionalizzazione dei servizi.

In che cosa si sta caratterizzando il suo mandato?

Il processo di rinnovamento che abbiamo intrapreso esige scelte precise e assunzioni di responsabilità. Per me è fondamentale il dialogo serrato con gli associati e il sostegno concreto. Ogni impresa ha storie ed esigenze diverse, e come tale va seguita. Ma non ci siamo voluti fermare ai servizi, e abbiamo investito in una progettualità nuova, dando corpo a idee ambiziose come Farete, il meeting point trasversale aperto a chiunque voglia mettere in vetrina la propria realtà e fare network con gli altri imprenditori.

Come si presenta la situazione imprenditoriale bolognese? Quali sono le sue caratteristiche? È in sofferenza?

Il tessuto imprenditoriale bolognese si è trasformato profondamente in questi anni. Dopo sette anni di crisi possiamo affermare che, nonostante le grandi difficoltà, non ha perso terreno. Anzi, la sua forza attrattiva è addirittura cresciuta: ce lo testimoniano gli investimenti di gruppi multinazionali come Philip Morris International, Toyota e Danfoss, solo per citarne alcuni. Questo è stato possibile grazie alla capacità che hanno avuto le nostre imprese di reinventarsi e fare innovazione, potendo contare su una tradizione produttiva importante.

Creatività italiana e made in Italy: a che punto siamo? Quanto contano ancora questi valori sul mercato nazionale e internazionale?

Dopo la rapida ascesa di alcune economie, come quelle asiatiche, si era creduto che a dettare la logica dei mercati

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sarebbero stati unicamente i prezzi. In seguito, invece, si è capita sempre di più l’importanza che riveste la qualità nell’epoca della globalizzazione. Oggi siamo finalmente consapevoli della forza del brand “made in Italy”, che incarna ingegno, creatività, ma anche qualità.

Quali sarebbero le politiche necessarie per superare il difficile periodo storico?

Non sta a noi dettare le linee politiche del Paese o dell’Europa, ma indubbiamente per ridare carburante all’economia

sarebbero necessarie manovre espansive, e una riduzione drastica di regole e leggi che oggi pesano in termini di burocrazia come un fardello sulle spalle delle nostre aziende.

Uno dei problemi per le imprese oggi è l’accesso al credito: pensa che sia fattibile una maggiore collaborazione con la banca del territorio?

Tutte le banche, e non soltanto quelle del territorio, dovrebbero tornare a confrontarsi con più attenzione con le imprese locali, perché quella del rilancio dell’economia è una partita che va giocata insieme. Dall’Osservatorio banche realizzato da Unindustria Bologna emerge chiaramente che l’occasione di una collaborazione più sinergica tra i due mondi è stata persa, almeno fino ad oggi.

Quale sistema imprenditoriale caratterizza il vostro territorio? Come si presenta la situazione delle PMI?

Il nostro tessuto è ricchissimo di piccole e medie imprese, che il più delle volte non sono realtà a se stanti, ma fanno parte di un contesto più articolato, che prende la forma di filiere altamente specializzate e innovative. Queste spesso rappresentano un unicum non ripetibile né esportabile in altre parti del mondo, e indubbiamente sono uno dei principali punti di forza di questa grande area emiliana, che ben ha saputo combattere la crisi e ha guardato in epoche non sospette ai mercati esteri con grande attenzione.

incontri con

Tiziana FerrariDirettore generale Unindustria Bologna

Tiziana Ferrari è nata a Bologna il 9 ottobre 1973. Laureata con lode in Economia e Commercio. Inizia, nel 1996, il suo percorso professionale in Arthur Andersen come revisore dei conti, per poi collaborare principalmente con i servizi di transaction support dedicati alle acquisizioni e quotazioni. In questi anni alterna alla consulenza in impresa le presenze in aula nella business school di Chicago. In Ernst and Young dal 2002, come manager, dedica nuove energie alla consulenza per le imprese. Nel 2005 diventa mamma e, a fine anno, fa il suo ingresso nel mondo Confindustria nella territoriale di Bologna. Inizialmente responsabile della pianificazione, ha seguito nel 2006 per Confindustria Bologna i lavori della fusione con API, a fianco degli imprenditori direttamente coinvolti. Dal 2007 in Unindustria Bologna, ha ricoperto il ruolo di Responsabile di partecipazioni e organizzazione. A settembre 2011 è diventata Direttore Generale dell’Associazione. Il 24 luglio 2012 è stata eletta Consigliere alla Camera di Commercio di Bologna Il 9 aprile 2013 è stata nominata membro della Giunta della Camera di Commercio di Bologna. Il 23 aprile 2013 è stata nominata Consigliere di Carisbo.

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Eurosystem realizza il progetto ERP di Fonderie Pilenga

FONDERIE DI GHISA: COME RENDERE LA PRODUZIONE PIÙ FLESSIBILE

La sostituzione del sistema informativo è prima di tutto un cambiamento di natura culturale. Si rivedono

processi di produzione e amministrazione collaudati ma spesso inefficienti, si modificano procedure e

si introduce nelle aziende e tra gli utenti un nuovo strumento informatico. Di questo passaggio culturale

parliamo raccontando il progetto ERP realizzato in Fonderie Pilenga e approfondendo l’argomento con

Marco Muhlbauer, Responsabile pianificazione & CIO Analysis and planning management dell’azienda.

Fondata a Lallio (BG) nel 1959 dal sig. Baldassarre Pilenga e dalla moglie, Fonderie Pilenga Baldassarre & C. S.p.A. è una fonderia di ghisa che si caratterizza per la flessibilità e modernità della propria struttura e organizzazione. Al suo interno un team qualificato e focalizzato alla ricerca e allo sviluppo di nuove soluzioni tecniche composto da un organico di 150 persone che ogni giorno contribuiscono a fare di questa azienda una realtà specializzate e ben posizionata sul mercato:

tra gli ambiti di interesse di Fonderie Pilenga quello trattoristico, automotive, pompe per agricoltura, riduttori, valvole, fumisteria ed arredo urbano sia in Ghisa Lamellare che in Ghisa Sferoidale.

È per consolidare questa posizione e ottimizzare i flussi di lavoro che l’azienda introduce il gestionale ERP Freeway® Skyline, con il quale oggi gestisce tutta l’area amministrativa,

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produttiva, della logistica e manutenzione. Freeway® Skyline è una soluzione ERP pensata e sviluppata da Eurosystem S.p.A. con l’obiettivo di supportare e innovare il modo di lavorare delle fonderie di ghisa.

Tra le attività e i flussi più importanti supportati da Freeway® Skyline all’interno di Fonderie Pilenga ci sono la programmazione della produzione, l’acquisizione dati qualitativi dei processi produttivi da fonti esterne, e le analisi di assorbimento della ghisa.

In particolare, per quanto riguarda la programmazione della produzione, grazie al suo efficace motore di calcolo, Freeway® Skyline genera, a partire da ordini cliente, delle proposte di produzione che vengono visualizzate dal responsabile della pianificazione di Fonderie Pilenga e tengono conto di tutti i parametri produttivi caratteristici delle fonderie di ghisa: tipologia di lega, combinazione dei getti da produrre per placca, capacità produttiva della linea, stime su assorbimento ghisa per fascia oraria. La possibilità di valutare, modificare, riformulare il piano proposto consente un ampio margine di intervento al responsabile della programmazione che può sempre variare la proposta per migliorarla.

Freeway® Skyline consente di acquisire dati generati da fonti esterne, memorizzarli e archiviarli nel sistema affinché vengano automaticamente inseriti nei certificati di conformità. Tra le fonti esterne con cui il sistema si interfaccia per l’acquisizione dati ci sono: i quantometri per le informazioni sulla composizione chimica della ghisa, le sonde per la rilevazione delle temperature al forno e in linea, e i sistemi di radiografia per una più completa visione del prodotto finale.

La soluzione permette anche di stimare quotidianamente l’assorbimento di ghisa per fascia oraria durante la giornata lavorativa, in modo da fornire un’indicazione dell’andamento dei consumi e di conseguenza sul piano di ricarica dei forni. L’analisi previsionale viene poi aggiornata in tempo reale in funzione dell’andamento della produzione.

Fondamentale nel progetto realizzato in Fonderie Pilenga è stata la collaborazione positiva che da subito si è creata tra l’azienda e il suo consulente Eurosystem S.p.A. Di questo parliamo con Marco Muhlbauer, Responsabile pianificazione & CIO Analysis and planning management di Fonderie Pilenga.

Intervista a Marco Muhlbauer, Responsabile pianificazione & CIO Analysis and planning management di Fonderie Pilenga.

Perché l’azienda ha deciso di cambiare sistema gestionale? Quali erano le problematiche più sentite?

Le motivazioni sono da ricercare in due fondamentali elementi: il primo legato all’obsolescenza del vecchio sistema, il secondo legato alla volontà di avere un gestionale integrato, ovvero che non si fermasse alla sola e pura lettura del dato, bensì che riuscisse a gestire l’interazione tra dati provenienti da ambiti diversi e che quindi fosse pensato e implementato sulla base dei flussi e non sulla staticità, elemento predominante del settore primario a cui Fonderie Pilenga appartiene.

Su quali processi e aree aziendali è stato introdotto il nuovo software gestionale?

Le aree aziendali di competenza sono fondamentalmente quelle produttive: oltre la fusione, il software supporta anche la fase di stampo dei prodotti, la sabbiatura e una parte della finitura con tutti i processi correlati, ad esempio il controllo qualità, la gestione dei magazzini e le spedizioni.

Come si è svolto il progetto? Attraverso quali fasi?

Dopo un primo audit da parte dei collaboratori di Eurosystem

L’INTERAZIONE CLIENTE-CONSULENTE IN UN PROGETTO ERP

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con relative interviste ai referenti di Fonderie Pilenga, supportati e supervisionati dai responsabili di sistema, si è deciso di sviluppare il progetto in 3 fasi. La prima legata alla informatizzazione dei flussi di gestione amministrativa, la seconda e terza a quella dei flussi produttivi e logistici, infine un’ultima integrazione legata al reparto manutenzione. La divisioni in fasi proposta e condivisa è stata molto importante perché ha permesso di affrontare argomenti separati per natura ma collegati per flusso.

Il cambio del gestionale comporta spesso un cambio nel modo di lavorare: cosa serve affinché il cambiamento venga recepito e assorbito correttamente?

Serve il coinvolgimento delle parti e l’analisi minuziosa di ogni possibile aspetto; servono da parte del cliente un’apertura mentale verso le richieste del consulente che a prima vista possono risultare difficili e, da parte del fornitore, la capacità di modulare e adattare aspetti puramente algoritmici - quindi statici - a realtà non sempre asetticamente codificabili. In parole povere il singolo dato, senza l’esperienza e la conoscenza del settore, che servono ad una sua corretta interpretazione, non è sufficiente; esattamente come l’esperienza, se non supportata da dati estrapolati e aggiornati correttamente e architetture fluide.Credo inoltre che il continuo evolversi delle tecnologie porti le aziende ad una sorta di rivoluzione. Sono dell’avviso che, come l’avvento delle macchine ha sostituito buona parte della manodopera nella seconda metà dell’Ottocento e l’informatizzazione ha sostituito dagli anni ‘70 la vecchia modalità impiegatizia d’ufficio, così i nuovi sistemi gestionali sostituiranno sistemi più datati, manuali e slegati tra loro, come i famosi fogli excel che possono contenere imprecisioni e che ancora oggi, purtroppo, vengono utilizzati per fare valutazioni e, sulla base di queste, proporre scelte anche strategiche alle direzioni aziendali. Come ha recepito Fonderie Pilenga il progetto di revisione del sistema informativo?

Come in tutte le realtà con degli alti e bassi. Ogni cambiamento porta “timore” iniziale. Credo di poter dire con tranquillità che dopo un periodo di test per l’ambito produttivo, i vari utenti - dal responsabile all’operaio sulle linee - monitorando e avendo una visibilità quotidiana su quanto un sistema integrato poteva fare, ne hanno tratto vantaggi e soprattutto hanno interagito in modo proattivo. A mio avviso è stato fondamentale il coinvolgimento non solo dei responsabili ma, con un po’ di fatica, anche del singolo operaio, laddove ce n’era bisogno. Questo è il tipo di sensibilizzazione corretto: cliente e fornitore devono capire che i sistemi gestionali a diversi livelli sono poi utilizzati da molteplici utenze che, solo se coinvolte, possono comprendere le logiche

del progetto e far correttamente funzionare la soluzione.

Quali sono stati i vantaggi operativi apportati dal cambio gestionale?

I vantaggi oggettivi sono legati alla possibilità di visionare più dati a più livelli in modo aggiornato e di interagire con i medesimi al fine di simulare preventivamente azioni importanti, controllare a consuntivo i risultati e giorno dopo giorno ottimizzare sia il flusso per reparto che il flusso integrato per l’azienda.

Ad oggi quale direbbe essere il vantaggio principale apportato da questa evoluzione in Fonderie Pilenga?

Il mio parere personale è che sicuramente un sistema correttamente integrato rende liberi. Rende libero il responsabile di controllare in modo costruttivo le operazioni dei collaboratori, ma anche i collaboratori di verificare errori e anomalie in modo immediato; e infine, grazie agli strumenti di business intelligence integrati in Freeway® Skyline, rende libera la Direzione nelle scelte che, a volte e soprattutto in Italia, sono figlie di interazioni nondocumentate,dimostrabili e correttamente consuntivabili.

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@EUROSYSTEM.IT: DIALOGARE CON IT E ICTCome misurare i progetti della mia azienda?

scenari

Ma una soluzione a misura di utente esiste…A questo punto è strettamente necessario un supporto strutturale all’interno del sistema gestionale ERP, una struttura-contenitore di tutte le informazioni che ruotano attorno al progetto/commessa, al di là dei singoli documenti gestionali, quali ordini, ddt e fatture.All’interno del nostro ERP Freeway® Skyline esiste la possibilità di gestire una scheda anagrafica di progetto organizzata in attività e sotto attività che contengono riferimenti a persone, macchine, strutture ed in generale costi da sostenere. La scheda anagrafica del progetto può essere generata partendo da un template nuovo oppure recuperando l’esperienza precedente relativa ad un altro progetto. La commessa può essere strutturata per gruppi funzionali, seguendo la struttura fisica del prodotto che si vuole realizzare, o per singola attività. Freeway®Skyline permette di creare una struttura che potenzialmente può dettagliarsi all’infinito, fornendo una panoramica esaustiva di tutte le attività, i vincoli e le criticità del progetto.

È inoltre possibile avere uno o più budget commerciali e/o tecnici, oltre che abbinare al progetto tutti i documenti e file prodotti dall’azienda o da terzi, al fine di ottenere un database veramente completo ed efficace. Tutte le attività gestionali che le persone effettuano all’interno dell’ERP si muovono in funzione di recuperare le azioni ed i costi sostenuti in una contabilità di progetto. Ciascun responsabile, grazie ad un profilo personalizzato, può avere nella sua home page, a portata di click, tutte le informazioni senza doverle cercare poiché è il sistema che avvisa dello stato del progetto, dei possibili allarmi o ritardi, oltre che degli scostamenti tra quanto previsto e quanto consuntivato. L’ERP, insomma, monitora l’avanzamento fisico e temporale della commessa/progetto, consentendo al suo responsabile una prevenzione ed interventi tempestivi in caso di problemi o di sforamenti rispetto a quanto preventivato: tutto questo permette all’azienda di avere un controllo estremamente preciso su tempi e costi di produzione e di offrire così un servizio/prodotto migliore ai propri clienti.

Il problema dell’utente Il problema dell’utente è come gestire un progetto dove il cliente assume un ruolo centrale, in quanto definisce spesso delle personalizzazioni del prodotto - quindi un elevato livello di incertezza - anche in corso d’opera, che richiedono una progettazione ex novo. Inoltre è necessario definire un budget preciso dei costi oltre che monitorare le spese sostenute e da sostenere, pianificare le successive attività e verificare quelle terminate al fine di avere sempre un corretto stato di avanzamento dei lavori.

Il contesto dell’offertaÈ difficile definire le caratteristiche di un’azienda che lavora a progetto; infatti, il termine “progetto” o più semplicemente “commessa” è utilizzato con significati diversi. Ad esempio, può capitare che si chiami commessa un ordine cliente di dieci mila pezzi di minuteria metallica, oppure un ordine di produzione per un macchinario o un impianto o ancora gli arredamenti delle stanze di un hotel.Tuttavia, la commessa assume un significato importante soprattutto nelle aziende che vendono, comprano e/o producono beni o servizi su ordine cliente. In particolare la produzione su commessa si distingue dalla cosiddetta produzione di massa, soprattutto, per la sua non ripetitività e per l’elevata partecipazione del cliente alla definizione del prodotto. In Italia il mercato parla chiaro, si lavorerà sempre di più a commessa o a progetto e sempre meno per il magazzino.

STEFANO BIRAL [email protected]

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ALBERTO TRONCHIN [email protected]

Amazon, ebay™, Groupon®, solo per citarne alcuni, sono tra i più famosi siti di e-commerce oggi comunemente utilizzati per l’acquisto di ogni sorta di prodotto. Ciascuno con le proprie caratteristiche peculiari che ne hanno fatto il successo. Anche in Italia, sebbene con un trend inferiore a quello degli altri paesi, l’e-commerce sta registrando una costante crescita. In base a quanto emerso dal e-commerce NETCOMM Forum 2014 il fatturato per il 2014, ottenuto dalle vendite dei siti italiani, dovrebbe aver superato i 13 miliardi di euro. Tra i comparti in crescita rispetto al 2013, c’è anche il turismo (+11%).

L’e-commerce, in questo settore, riguarda certamente l’acquisto di biglietti aerei, ma in particolare la prenotazione e l’acquisto di vacanze, anche nel nostro paese.Rispetto ai classici siti di commercio elettronico, l’acquisto di pacchetti vacanze presenta delle specificità che richiedono soluzioni informatiche mirate, solo alcune delle quali traspaiono all’utente attraverso l’interfaccia del sito web. Come spesso accade nel settore ICT, dietro le quinte c’è molto di più ed è questo che dà valore alle soluzioni.

INTELLIGENZA E COLLABORAZIONE A SERVIZIO DELLE TUE VACANZE

Un campo di applicazione delle nuove tecnologie è certamente quello del cosiddetto commercio

elettronico sul Web. Oggi sono sempre più diffusi e pubblicizzati i siti che consentono di vedere,

scegliere e acquistare ogni sorta di bene di consumo. Tra questi, quelli specifici per l’acquisto di vacanze

sono sicuramente tra i più conosciuti e apprezzati. Ma come funziona un sito web di prenotazione

vacanze e quali tecnologie sono nascoste dietro le quinte?

La tecnologia che serve per andare in vacanza... con un click!

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spazio a y

Quando un qualunque internauta accede alla rete alla ricerca di un prodotto, la prima cosa che fa è affidare “i suoi desideri” ad un motore di ricerca dal quale si attende delle proposte. Questo avviene anche quando si sta cercando di prenotare la propria vacanza. Qui le chiavi di ricerca possono essere le più disparate, ma sicuramente tra le principali c’è la località di destinazione, le parole “offerte” o “last minutes” e il periodo di interesse.

È fondamentale quindi che il sito web sia correttamente integrato con i più diffusi motori di ricerca consentendo a loro di raccogliere quante più informazioni possibili per poi metterle a disposizione degli utenti.

Una volta che l’utente, grazie al link restituito dal motore di ricerca, è atterrato sul sito di e-commerce specifico, è necessario che gli vengano presentate le informazioni di maggior interesse che catturino la sua attenzione con la possibilità di verificare immediatamente la disponibilità per il periodo di vacanza desiderato. Infatti, a differenza di altri prodotti di

consumo che possono essere disponibili\non disponibili per l’acquisto, tipicamente le vacanze offrono per una determinata località dei periodi di disponibilità e prezzi differenti a seconda del periodo stagionale. È importante quindi che il sistema sappia guidare l’utente nell’individuazione del periodo di interesse e sappia eventualmente suggerire alternative interessanti.

Ma come determinare le alternative migliori a fronte di una prima scelta fatta dall’utente?

Un criterio potrebbe essere mantenere la stessa settimana scelta proponendo però una struttura o località vicine con gli stessi servizi richiesti. Qui però le variabili sono moltissime: la struttura, la località, il numero di posti letto, i servizi offerti, la distanza dalla spiaggia o dagli impianti di risalita, il prezzo, la presenza di eventuali offerte diverse ma vantaggiose. In questo caso il sito di e-commerce necessità di appoggiarsi ad un cosiddetto motore di booking, ovvero un sistema software che dietro le quinte, consenta di individuare e proporre le disponibilità di vacanze che più si avvicinano ai desideri dell’utente.

VISION & METHODOLOGY

COME INCENTIVARE LA PRENOTAZIONE ONLINE

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Molti siti dedicati al turismo e alle vacanze offrono una serie ampia di possibilità e come detto in precedenza i servizi offerti e le caratteristiche di ogni località sono molteplici. È utile pertanto che il sito offra al suo interno un’interfaccia di ricerca e selezione dei pacchetti vacanza specializzato, ovvero più preciso dei motori di ricerca del web, poiché i contenuti da ricercare sono omogenei e le chiavi di ricerca possono essere moltissime. La soluzione software implementata in questi casi, quindi, necessita di un motore di ricerca che dietro le quinte sappia guidare l’utente. L’interfaccia di ricerca giusta in questo contesto è la, cosiddetta, faceted search, che consenta di filtrare, rapidamente con pochi click, i pacchetti vacanze disponibili combinando contemporaneamente più caratteristiche cercate (fasce di prezzo, stagione\settimana, località, servizi disponibili inclusi e opzionali, posti letto e così via).

È tutto qui? No.

Le aziende turistiche che si affacciano sul web per posizionare i propri prodotti lo possono fare con un proprio portale di e-commerce, oppure affidandosi ad alcuni sistemi più famosi di booking on line (un po’ come Amazon, che non solo mette in vendita prodotti propri, ma offre la propria vetrina anche per venditori terzi che possono così sfruttare la popolarità della piattaforma Amazon).Un’azienda che ha investito su un proprio portale di e-commerce di promozione turistica, potrebbe essere svantaggiata rispetto ad altre che, pur non avendo un proprio sito, si sono affidate a popolari siti di booking on-line. Il problema da risolvere, quindi,

è consentire l’integrazione tra i vari portali, in modo tale che i sistemi di booking si scambino continuamente informazioni sulle disponibilità e sulle prenotazioni. In questo modo da qualunque portale si effettui la prenotazione, essa poi andrà a registrarsi correttamente proprio nel database dell’azienda turistica corrispondente. L’integrazione di questi sistemi di booking si può basare su dei protocolli e formati standard di interscambio.

Un’altra questione importante è il feedback dell’acquirente. Prima di confermare l’acquisto di un prodotto sul web si cercano e si valutano le opinioni lasciate da altri utenti sull’oggetto medesimo. Questa ormai è esperienza comune. Più le opinioni sono positive e magari documentate, più sicuri ci si sente nel fare l’acquisto. Le aziende che si presentano sul web hanno compreso l’importanza di questo aspetto e curano la descrizione dei prodotti, le modalità di pagamento e di consegna in modo chiaro e preciso evitando in ogni modo che l’utente lasci i, cosiddetti, feedback negativi che rimangono poi una traccia perpetua di insoddisfazione del cliente. Anche nel settore del turismo è importante consentire ai clienti di lasciare un feedback o un commento su un pacchetto vacanza acquistato, con la consapevolezza che tanti più saranno i feedback positivi, tanto più facile sarà che altri potenziali clienti si convincano di acquistare una vacanza rassicurati appunto dai commenti positivi di altri utenti. La domanda che ci poniamo è la seguente: è possibile sfruttare i commenti e i feedback degli utenti per migliorare ulteriormente le ricerche all’interno del sito?

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ARCHITECTURE & DESIGN

DIETRO LE QUINTE DI UN E-COMMERCE DEL TURISMONel capitolo precedente abbiamo esaminato una serie di problematiche e scenari che riguardano i siti di e-commerce, in particolare riguardanti il settore turistico. Di seguito analizzeranno i vari punti evidenziando quali possono essere le scelte tecnologiche che consentono oggi di risolvere tali problemi.

Integrazione con i motori di ricerca

Le attività che portano all’implementazione di tutto ciò che riguarda l’integrazione con i motori di ricerca prende il nome di Search Engine Optimization (in acronimo, SEO). Tali attività vanno dal perfezionamento della struttura del sito e degli URL di accesso ai contenuti (URL optimization, friendly URL), alla configurazione dell’accessibilità del sito da parte degli spider di cui si avvalgono i Search Engine (sitemap, robots), e non ultima la scelta accurata delle keyword che caratterizzano i contenuti del sito che aiutano i motori di ricerca nella classificazione dei contenuti.

Le attività di SEO fanno parte, più in generale, del cosiddetto Web Marketing, ovvero tutto ciò che riguarda la promozione di un sito web e l’analisi delle informazioni che si possono raccogliere costantemente durante il periodo in cui gli utenti accedono al portale o fanno ricerche nel web che li portano ad atterrare sul sito specifico sotto osservazione. L’analisi di questi dati (ad esempio, attraverso l’integrazione con i servizi di Google® Analytics) consente di capire quali sono i punti deboli del portale, le aree non raggiunte dagli utenti perché magari non facilmente accessibili oppure ancora la percentuale di raggiungimento di un determinato obiettivo (cosiddetto Goal) che corrisponde, ad esempio, al completamento della transazione di pagamento a conferma della prenotazione della vacanza.

Come suggerire alternative

Come detto in precedenza, ogni pacchetto vacanza è caratterizzato da un insieme articolato di caratteristiche (es. distanza dal mare, prezzo), ma non sempre tutti i prodotti, anche se appartenenti alla stessa categoria, presentano esattamente le stesse caratteristiche o gli stessi valori di queste caratteristiche.

Ad esempio, per gli appartamenti può essere previsto il posto auto, mentre per l’Hotel esiste il servizio in camera. Entrambi tuttavia sono situati in una località e si offrono con un prezzo di soggiorno.

Per ciascun prodotto scelto (ovvero una certa struttura ricettiva, per il periodo di soggiorno scelto) il sistema può essere in grado di proporre alternative simili con la classica funzione “Potrebbe interessarti anche”. La similitudine tra i pacchetti vacanza può essere facilmente calcolata se il sito web si appoggia su un Search Engine di tipo Enterprise che impieghi tecniche di Data Mining. Ancora più interessante è l’implementazione di algoritmi di classificazione supervisionata grazie alla quale, in base alle scelte dell’utente durante la navigazione del sito, non solo vengono proposte le vacanze “oggettivamente simili” tra loro, ma anche quelle “simili” alle preferenze espresse indirettamente dall’utente.

Faceted Search

Ovvero ricerca per facce. Si tratta di una caratteristica molto potente offerta dai motori di ricerca di tipo Enterprise (si veda l’articolo pubblicato nello Spazio Y di Logyn n.5). Molti siti di e-commerce propongono questa interfaccia di ricerca, caratterizzata solitamente da un elenco di “filtri” cliccabili disponibili sulla parte sinistra della finestra di ricerca, ma solo alcuni implementano una vera faceted search. Ciò che contraddistingue, infatti una vera faceted search è la dinamicità delle facce disponibili che deve dipendere dai risultati estratti. In questo modo, attraverso l’interazione dell’utente con i valori delle facce, non solo è possibile restringere i risultati già estratti, ma di fatto navigare ed esplorare tutti i documenti indicizzati che possiedano i valori delle facce scelti. Anche in un sito di ricerca vacanze questa tecnologia è molto utile in particolare se il numero di possibili disponibilità prenotabili è elevato.

Integrazione con sistemi di booking on line

Per realizzare un potente sito di e-commerce, in ambito turistico,

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non basta realizzare un classico sito web, magari basato su un Content Management System (CMS). È necessario, inoltre, affiancarlo ad una piattaforma di Booking che sappia “collaborare” con altre piattaforme dello stesso tipo presenti nella rete. Chain booking, Channel Manager, Global Distribution System (GDS), rappresentano concetti e tecnologie che devono essere chiamate in causa quando ci si appresta ad integrare il proprio sistema di booking con altre piattaforme dello stesso tipo.

Come detto in precedenza, il proliferare di agenzie turistiche, di operatori di viaggi e di siti di prenotazione vacanze, ha reso complicato, per un operatore alberghiero, il mantenere aggiornate disponibilità, prezzi e offerte delle proprie strutture su tutti i cosiddetti canali di vendita. Una piattaforma Channel Manager consente appunto di sincronizzare rapidamente più channel in modo tale che una qualunque prenotazione effettuata da un turista attraverso uno dei canali collegati al Channel Manager, venga replicata in pochi secondi anche sugli altri canali. È possibile inoltre, per l’operatore alberghiero, configurare la percentuale di prenotazioni da affidare a ciascun channel. La sincronizzazione delle informazioni tra i vari canali può avvenire in modalità One Way o XML 2 Way. La seconda modalità è quella più potente e sicura che garantisce lo scambio delle informazioni in entrambe le direzioni (nuove disponibilità pubblicate vs prenotazioni effettuate). Chi realizza pertanto un sito di e-commerce di questo tipo deve scegliere una delle piattaforme Channel Manager sul mercato (ad esempio, www.verticalbooking.com), registrarsi come channel e integrare i servizi di sincronizzazione implementando le relative interfacce previste dagli standard vigenti in questo ambito.

Ciò che si ottiene, in questo modo, è che il singolo operatore turistico o alberghiero è in grado di pubblicare le proprie disponibilità non solo sul proprio sito Web proprietario, ma di fatto sulla rete consentendo al turista di effettuare la prenotazione utilizzando uno dei tanti portali di booking esistenti. Più punti di accesso per prenotare, significa più visibilità e più probabilità di far incontrare tra loro domanda ed offerta.

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Annunciato il 17 febbraio 2015, VSPEX BLUE nasce da un obiettivo: semplificare la gestione del

computing, del networking, dell’archiviazione per le aziende. Un unico “pacchetto”, insomma, per

unificare e centralizzare risorse che fino ad ora potevano essere amministrate separatamente e

con più tecnologie. Massimo Marchetti e Alberto Moraschi di EMC, proprietaria della piattaforma, ci

spiegano come un’infrastruttura di questo tipo, iper-convergente, può evolvere in meglio il business

aziendale.

EMC Italia ci parla di EMC VSPEX BLUE

VSPEX BLUE: di che cosa stiamo parlando esattamente?

VSPEX BLUE è un sistema infrastrutturale iper-convergente e scalabile che è possibile acquistare come singolo prodotto integrato e amministrare mediante un’unica interfaccia per le attività di configurazione, gestione e manutenzione di tutti gli elementi hardware e software che lo compongono.

Come si compone la soluzione?

Il cuore di VSPEX BLUE è EVO: RAIL che permette di consolidare in un’unica appliance le risorse di calcolo, rete, storage e virtualizzazione attraverso una suite software VMware che comprende Virtual SAN (VSAN), vCenter Log Insight, vSphere Enterprise Plus, vCenter Server. VSPEX BLUE non è l’unica

scenari

PUÒ UN’INFRASTRUTTURA IPER-CONVERGENTE ACCELERARE IL BUSINESS?

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soluzione EVO:RAIL presente sul mercato ma ciò che lo differenzia dalle altre è legato al pacchetto software EMC fornito gratuitamente con l’appliance: VSPEX BLUE Manager; VSPEX BLUE Market; VMware vSphere Data Protection Advanced con Data Domain Integration; EMC RecoverPoint per macchine virtuali; EMC CloudArray; EMC Secure Remote Services (ESRS). L’intero prodotto è coperto dal medesimo supporto completo di livello enterprise 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 offerto da EMC a tutti i clienti.

Quali sono le caratteristiche principali del prodotto?

VSPEX BLUE è una soluzione totalmente integrata, installabile e configurabile attraverso un semplice wizard in meno di 15 minuti. VSPEX BLUE è disponibile in due configurazioni di appliance: un nodo standard con 128 GB di RAM e uno ad alte performance con 192 GB di RAM dotati di componenti SSD e HDD. La versione base del prodotto occupa 2U, è composta da 4 nodi e consente di scalare in verticale fino a 4 appliance. Quali sono le novità rispetto ad altre soluzioni iper convergenti presenti sul mercato?

EMC ha sviluppato VSPEX BLUE Manager, un prodotto che completa le funzionalità e il monitoraggio fornito da EVO:RAIL integrandolo con la componente hardware, con il supporto di servizi web, la gestione del catalogo software e gestendo gli aggiornamenti software automatizzati senza interruzioni. Inoltre, EMC ha sviluppato una sorta di “APP Store” chiamato VSPEX BLUE Market: il primo marketplace unificato del settore per scaricare e acquistare software a valore aggiunto disegnati appositamente per quest’appliance, da EMC o altri ISV, per soddisfare in maniera rapida e semplice le esigenze di business in continuo cambiamento. Infrastruttura iper-convergente: quali i vantaggi per le aziende?

La semplicità di implementazione e la convenienza economica sono le due principali proposte a valore dei prodotti iper-convergenti e VSPEX BLUE ne è l’esempio principale. Il prodotto consente di semplificare e automatizzare l’implementazione iniziale e, attraverso una gestione basata su policy, velocizza e aumenta l’affidabilità di operazioni come provisioning e manutenzione. L’architettura a scalabilità orizzontale offre un’espansione semplice, granulare e conveniente, mentre l’automazione integrata consente di bilanciare in maniera trasparente i carichi di lavoro con la progressiva aggiunta di risorse. Le risorse di calcolo, storage e rete vengono gestite come pool condivisi su tutti i nodi per supportare un’allocazione dinamica delle risorse necessarie agli attuali ambienti IT.

Per quali clienti ed esigenze la piattaforma è stata pensata?

La soluzione è stata pensata per diversi ambiti o necessità. Ad esempio, in ambito Hybrid/Private cloud, VSPEX BLUE è ideale per le aziende che vogliono consolidare i loro ambienti, sostituire la vecchia infrastruttura esistente e standardizzare l’ambienet IT con un’unica piattaforma semplice da gestire. Ma VSPEX BLUE è anche l’ambiente applicativo ideale, per chi ha l’esigenza di gestire molte business application: questo grazie ai software EMC e VMware che permettono un deployment veloce delle machine virtuali e all’ampia matrice di supporto applicativo di EVO:RAIL. La gestione dei server applicativi virtuali è semplificata grazie all’interfaccia utente e alla disponibilità assicurata dalle differenti componenti tecnologiche. Inoltre, pensando alle tematiche di Virtual Desktop, con l’implementazione di VMware Horizon sull’appliance, i dipartimenti IT potranno supportare le iniziative “BYOD” - bring your own device - dell’azienda. Anche dal punto di vista dell’installazione e della configurazione di VSPEX BLUE non vengono richieste competenze specifiche e specialistiche per cui l’appliace è ideale per gli uffici dove non sono presenti risorse IT dedicate. Infine, VSPEX BLUE permette agli sviluppatori applicativi di avere un’infrastruttura flessibile, scalabile ed efficiente per testare le nuove applicazioni e si presta ad essere la piattaforma ideale per i Managed Service Provider (MSP) che possono scalare linearmente in base all’espansione dei servizi offerti.

Come verrà distribuita?

EMC ha scelto Avnet per posizionare il VSPEX BLUE sul mercato. AVNET, grazie all’innovativo processo di integrazione e alle sue competenze al servizio del canale è in grado di adattare la soluzione alle specifiche esigenze del cliente accelerando in modo significativo il time to market del canale.

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@EUROSYSTEM.IT: DIALOGARE CON IT E ICTL’azienda è mobile? Meglio ancora se protetta!

scenari

ATTILIO CUCCATO [email protected]

Mobile: qualche dato Sono 37 milioni gli smartphone in Italia e in Europa siamo al 1° posto per il tempo di utilizzo. Se agli smartphone sommiamo i 7,5 milioni di tablet e gli altrettanti phablet (neologismo che identifica un ibrido tra smartphone e tablet), ci si rende conto della portata del fenomeno mobile in Italia.

Già lo scorso anno le connessioni mobili hanno superato la popolazione mondiale (gsmaintelligence.com e worldmeters.info/it) e, non solo la rete mobile è affollata da miliardi di oggetti e sensori, ma anche quella fissa. L’Internet of Things esprime molto bene questo mondo che Gartner stima nel 2015 (rete fissa e mobile) essere di 5 miliardi di oggetti connessi, che diventeranno 30 miliardi nel 2020.

L’Internet of Everything, termine coniato da Cisco e conosciuto con l’acronimo IoE, va oltre e si pone come sintesi la connessione di persone, processi, dati e naturalmente oggetti, affinché le informazioni si trasformino in azioni e a loro volta in nuove opportunità economiche per aziende e individui.

Il 2014 è stato anche l’anno della wearable technology, tecnologie indossabili come smart watch e smart glass che aumenteranno nel futuro e che potranno essere abbinati alla Realtà Aumentata in progetti per il mondo del lavoro o per le Smart City.

I rischi per le aziendeMa restiamo nelle aziende, dove la consumerizzazione dell’IT porterà sempre più con sé il Bring Your Own Device (BYOD) e il Bring Your Own Application (BYOA), modelli che incrementeranno

la produttività ma esporranno maggiormente le aziende agli attacchi informatici: prioritario da parte dei manager dell’IT gestirne la sicurezza e la privacy, tenendo conto dei costi e del supporto necessari.

Al BYOD e al BYOA aggiungerei il fenomeno parallelo dell’utilizzo in azienda di device “esclusivamente” personali (come vogliamo chiamarlo: Bring My Personal Device?) e dell’uso disinvolto che di questi viene fatto (attenzione! Il pc aziendale non è un carica batterie per il nostro smartphone e tanto meno possiamo fare tethering bypassando il firewall!), tenendo presente che mediamente solo il 2% di essi è protetto da antivirus e 41 (48.000 al minuto i download dei soli utenti Apple) è il numero medio di applicazioni installate per device, app il più delle volte scaricate senza alcuna cautela per la privacy.

Interessanti a questo proposito i risultati dell’indagine svolta da 26 autorità per la privacy di tutto il mondo prendendo in esame un campione di oltre 1.200 app nel periodo 12-18 maggio 2014. Tre quarti delle app chiedono consensi riguardanti dati di localizzazione, ID del dispositivo, accesso agli altri account, alle funzioni di video e alla rubrica. Nel 59% dei casi l’informativa privacy è di difficile reperibilità e solo per il 15% risulta essere veramente chiara.

Parliamo di Mobile Device ManagementUna lettera aperta è stata inviata ai 7 maggiori marketplace mondiali (Apple, Google, Samsung, Microsoft, Nokia, BlackBerry e Amazon) e li ha sollecitati ad assicurare precise garanzie a protezione dei dati degli utenti che usano le applicazioni mobili. Staremo a vedere. Nel frattempo, consapevolmente o inconsapevolmente, le app continueranno ad essere scaricate e i mobile ad essere poco protetti.

Ciò che ci sentiamo di consigliare è prima di tutto una maggiore informazione e formazione agli utenti e, laddove ce ne fossero le condizioni, l’implementazione di una soluzione di Mobile Device Management che possa gestire i device aziendali e personali. Parliamone.

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Il tema delle invenzioni nel rapporto di lavoro sta assumendo sempre più interesse. Il ricorso frequente alla ricerca di innovazione quale strumento per sviluppare la competitività aziendale impone alle parti del rapporto di lavoro di individuare la titolarità dei diritti riferiti alle eventuali invenzioni.

Tutela delle invenzioniLa legislazione lavorista in materia

RICCARDO GIROTTO [email protected]

scenari

L’invenzione è un originale concepimento di un oggetto, di un modello, di un sistema, d’interesse e utilità per la vita pratica. L’ideazione di cose nuove e originali. La materia è disciplinata dal D.Lgs 30/2005, così come modificato dal D.Lgs 131/2010, ossia il “Codice della proprietà industriale” (CPI). In particolar modo, l’articolo 64 del Decreto di cui sopra delinea la questione, stabilendo che il lavoratore che nell’adempimento di un contratto di lavoro abbia realizzato un’invenzione ha diritto, oltre al riconoscimento del titolo di autore dell’invenzione, al cosiddetto equo premio, qualora il datore di lavoro o i suoi aventi causa abbiano la possibilità di sfruttare economicamente l’invenzione con l’ottenimento del brevetto o con utilizzo dell’invenzione in regime di segretezza industriale. Il premio spetta sia nell’ipotesi in cui l’invenzione sia stata realizzata in azienda, in esecuzione di un contratto di lavoro che non comprende espressamente l’attività inventiva e per la quale non è stabilito alcun compenso, sia nell’ipotesi in cui l’invenzione sia stata realizzata occasionalmente, al di fuori degli obblighi contrattuali del lavoratore, ma rientra nel campo dell’attività del datore di lavoro. Non spetta alcun premio, invece, nell’ipotesi di invenzione cosiddetta di servizio cioè nel caso in cui l’invenzione sia stata realizzata nell’ambito di un contratto di un contratto di lavoro il cui oggetto consiste proprio nell’attività inventiva, per il quale

il lavoratore è retribuito. Specificando, posto in ogni caso il brevetto quale requisito principe, si possono suddividere le tipologie di innovazione a seconda del momento della loro manifestazione e della loro attinenza alle mansioni svolte dal lavoratore dipendente in azienda:

• Invenzioni di servizio art. 64 c.1 del CPI: rientrano nella regolare attività del lavoratore, cioè nell’insieme delle mansioni ad esso affidate.

• Invenzioni aziendali ed equo indennizzo art. 64 c.2 del CPI: non rientrano nelle mansioni contrattualmente previste dal lavoratore, ma assumono valore qualora si manifestino nel corso della regolare attività svolta presso il datore di lavoro. Ricadono in questa casistica anche i brevetti richiesti entro un anno dalla cessazione del rapporto di lavoro.

• Invenzioni occasionali art. 64 c.3 del CPI: sono le invenzioni del lavoratore in ambito extralavorativo ma ricompresse sempre “nel campo di attività” del datore di lavoro. Di fronte a tali invenzioni la nuova normativa rafforza il diritto del datore di lavoro, che vede trasformarsi il precedente diritto di prelazione in diritto di opzione.

Per valutare l’imponibilità fiscale delle somme corrisposte a titolo di sfruttamento del brevetto, dobbiamo riprendere i concetti sopra descritti, ricordando che

possono verificarsi situazioni qualificate, sotto il profilo fiscale, in modo differente.

• Invenzioni di servizio art. 64 c.1 del CPI: l’invenzione rientra in toto nell’obbligazione legata al rapporto sinallagmatico. Non risulta individuabile la parte di retribuzione dedicata all’invenzione, in quanto il compenso globale erogato dal datore di lavoro si relaziona all’insieme delle mansioni a questo affidate. Pertanto non si presenta il problema di imponibilità di somma alcuna.

• Invenzioni aziendali ed il tema dell’equo indennizzo art. 64 c.2 del CPI: in questa situazione viene erogato un equo premio o una retribuzione dedicata. La particolarità di dette somme, non esime le stesse dall’imponibilità sia fiscale che contributiva quali reddito da lavoro dipendente. Si verifica infatti la corresponsione di un importo straordinario in forza di una controprestazione straordinaria, legata sempre al rapporto di lavoro in essere.

• Invenzioni occasionali art. 64 c.3 del CPI: anche in tale situazione al momento dell’esercizio dell’opzione si verifica la corresponsione di una somma. Tale erogazione sembra potersi assimilare all’equo premio sopra descritto, con la relativa imponibilità prevista.

Sede: Portogruarotel. [email protected]

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MARZO 2015

CREATIVITÀ PASSIVA

Sull’Imposta Unica Comunale (IMU TASI TARI) sono già stati scritti fiumi di parole in merito al pasticcio creato con conseguente confusione per tutta la collettività; è quindi storia vecchia ma non dimenticata. Il recente decreto legislativo 21.11.2014 n. 175 cosiddetto “Decreto Semplificazioni” contiene disposizioni in materia di semplificazioni fiscali e dichiarazione dei redditi precompilata. Sulla base delle statistiche degli ultimi anni però, il 730 precompilato, almeno per quest’anno, dovrà esser quasi sempre integrato e/o modificato, pensiamo semplicemente alle detrazioni per spese sanitarie: quindi la semplificazione per ora è modesta e la dichiarazione precompilata sarà regolare soltanto per quanto riguarda il reddito trasmesso dal sostituto d’imposta e le quote di detrazioni (per ristrutturazioni, risparmio energetico, bonus mobili) in quanto già presenti nel precedente 730. Anzi tale semplificazione genera nel contribuente solo confusione mentale e sostanziale, nel senso che questi dovrà

affidarsi quasi sempre, al professionista (o CAF) per la verifica dei dati, per le modifiche e le integrazioni. Con la Legge di Stabilità è stato poi introdotto lo “Split payment” al fine di evitare l’omissione dei versamenti di IVA (incassata) da parte dei contribuenti. Con tale meccanismo vengono spaccati in due i pagamenti della Pubblica Amministrazione in quanto quest’ultima paga il fornitore solo per la parte imponibile, nel mentre l’IVA viene versata direttamente all’Erario dalla stessa P.A., creando un problema notevole ai contribuenti abitualmente a credito di IVA che si potranno trovare in crisi di liquidità.Il tutto è già operativo dall’1.1.2015 ma la norma è sub judice in quanto la Corte di Giustizia Europea dovrà esprimersi sulla liceità del provvedimento: in caso di diniego dovrà tornare tutto come prima con confusione totale per il ripristino dello status quo ante. Alla faccia del tanto sbandierato rapporto di collaborazione tra contribuente ed Agenzia delle Entrate (vedi nel sito dell’A.E. “Progetto pilota Regime di adempimento collaborativo”). L’IRAP nel 2014 ha avuto un anno travagliato con un “tira e molla” dovuto, prima alla

riduzione dell’aliquota ordinaria dal 3,9% al 3,5%, poi con la legge di Stabilità, all’abrogazione della norma agevolativa che ha ripristinato l’aliquota del 3,9%! A tal proposito viene in mente un vecchio professore che, quando interrogava un mio compagno di scuola, gli diceva “idee poche ma... confuse”: in questo caso invece le idee sono state troppe e sempre confuse!

Il fisco, con immaginazioneRaggiungere gli obiettivi del cliente attraverso percorsi di consulenza inediti

Noi commercialisti abbiamo spesso a che fare con due tipi di situazioni che possiamo definire creative: la prima è una “creatività passiva”, quella che subiamo sistematicamente dalle disposizioni previste dalle continue emanazioni di disposizioni fiscali come Decreti Milleproroghe, Leggi di Stabilità, Decreti Semplificazioni; la seconda è una creatività attiva (o positiva), quella necessaria ad ogni professionista per fornire al proprio cliente, sulla base di conoscenza ed esperienza, gli strumenti per raggiungere gli obiettivi aziendali.

ELENA GIOCO - RUGGERO PAOLO ORTICA [email protected]

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scenariCREATIVITÀ ATTIVA

Il ruolo del commercialista è quello di affiancare le aziende, accompagnandole nel perseguire gli obiettivi, obiettivi che normalmente sono condivisi. E siccome non c’è un’azienda uguale ad un’altra, non si può fare il “copia ed incolla”, ma bisogna creare il vestito su misura per ogni cliente, sia nel caso in cui il vestito sia richiesto dal cliente, sia nel caso in cui il vestito sia proposto dallo stesso professionista. E allora il commercialista dev’essere sempre aggiornatissimo, ma esser aggiornato non basta: per fare il vestito ci vuole anche un po’ di creatività, che non è, sia ben chiaro, la creatività del ragioniere della Parmalat, ma quel quid, diverso da persona a persona, necessario per trovare le soluzioni

tecniche adeguate per raggiungere l’obiettivo. E qui la creatività dev’esser ben supportata da notevoli conoscenze sia fiscali, che societarie, che giuridiche. Un esempio per tutti è rappresentato, nel caso delle operazioni straordinarie, dal Conferimento: questo trova spazio in più situazioni, anche in concorso con altri istituti giuridici, principalmente per il fatto che non comporta trasferimento di danaro. La cessione d’azienda, per la sua onerosità e rischio fiscale, in determinate situazioni può esser sostituita dal conferimento, fiscalmente individuato nell’art. 176 del TUIR. La cessione delle quote od azioni di controllo può esser convenientemente operata con il conferimento di partecipazioni/scambio di partecipazioni, previsto fiscalmente dall’art. 175 e 177

del TUIR. All’operazione straordinaria di scissione, in certe situazioni di corporate split, può esser preferito il conferimento di ramo d’azienda previsto dall’art. 176 del TUIR, con la possibilità di neutralità fiscale nel caso di continuità dei valori fiscalmente riconosciuti, ovvero con il pagamento di un’imposta sostitutiva ridotta, nel caso di emersione di maggiori valori. Altri casi in cui il professionista deve pensare alle situazioni più disparate possono riguardare campi del diritto o dell’organizzazione aziendale con l’utilizzo delle proprie conoscenze ed approfondimenti che possano incrociarsi od affiancarsi a quelle di altri professionisti addetti ai lavori nel campo aziendale, quali avvocati, notai, consulenti del lavoro ed altri specialisti. E qui potrei concludere ma no, non ho finito: per poter affrontare bene queste sfide, bisogna avere degli spazi di mente libera; ognuno se riesce, deve gestirsela nel migliore dei modi, con quello che gli piace fare al di fuori del campo della professione, che sia la lettura, la pittura, l’attività sportiva, i viaggi o altro: cosa c’è di più bello di godersi una bella vacanza in un bel mare celeste? Nulla. So di qualcuno che preferisce unire un’attività sportiva al contatto con la natura, facendo quello che chiedono sia il corpo che la mente. E così spesso la montagna d’inverno risulta il suo habitat naturale, dove con un paio di sci lascia le scie sulla neve immacolata nei silenzi assoluti dei pendii più lontani e nascosti.

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Nel contesto del programma Innovation Union e del piano di azione a sostegno della creatività e dell’innovazione, il 28 novembre 2013 la Commissione Europea ha adottato una proposta di direttiva in materia di tutela del know-how.

Creatività e tutela del know-howLa direttiva comunitaria sulla protezione del know-how riservato

LUCIA BRESSAN [email protected]

Il made in Italy deve tutto al Rinascimento italiano, allo sviluppo di una nuova cultura artistica e sociale, che sul piano culturale, estetico e architettonico ha messo in moto una competizione creativa senza pari nel mondo. A questo si aggiunga il continuo contatto con le culture dei popoli stranieri. Creatività che tuttavia spesso, per incapacità tutta italiana di fare sistema, non si traduce in forza imprenditoriale vincente o addirittura viene agilmente acquisita dai competitors proprio per la mancata adozione di opportune protezioni e tutele da parte del titolare dei relativi diritti. Se per superare il primo aspetto ci ha pensato il D.L. 10 febbraio 2009 n.5 che ha introdotto la disciplina della rete di imprese (V. articolo Reti di imprese - La normativa e il contratto di rete in Logyn n.2 Maggio 2013), con riferimento al secondo è intervenuto, a livello comunitario, il Parlamento Europeo e il Consiglio con una proposta di Direttiva comunitaria presentata il 28 novembre 2013 sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali) contro la loro acquisizione, utilizzo e divulgazione illeciti.

Gli obiettivi della direttiva

Nell’attività aziendale di ricerca e innovazione si sviluppano conoscenze

commerciali e tecnologiche strategicamente importanti anche economicamente che spesso non trovano tutela alla stregua dei diritti di proprietà intellettuale e industriale. Tali conoscenze sono importanti per l’innovazione e la competitività delle PMI, e la tutela della riservatezza delle stesse costituisce la base per far prosperare la proprietà intellettuale. Nel linguaggio giuridico le informazioni mantenute riservate allo scopo di preservare un vantaggio competitivo sono definite “segreto commerciale”, “informazioni segrete”, “informazioni commerciali riservate” o “know-how segreto” mentre nel linguaggio imprenditoriale si definiscono “know-how proprietario” o “tecnologia proprietaria”. Con la globalizzazione, l’esternazionalizzazione del lavoro (outsourcing) e il maggiore ricorso alla rete, è aumentato il rischio di appropriazione, utilizzo e divulgazione illecita di segreti commerciali che non trovano un quadro giuridico uniforme di tutela e disciplina nell’Unione Europea. Per far fronte a condotte abusive da una parte e ad una disciplina e tutela frammentaria, poco chiara in tutta l’Unione dall’altra, la Commissione Europea ha deciso per l’armonizzazione della legislazione in materia di segreti commerciali.

I dettagli della direttiva

Innanzitutto le informazioni devono avere un valore commerciale, rimanere riservate e segrete e mantenute tali dal “detentore del segreto” intendendosi per tale sia il proprietario originario che il legittimo concessionario delle stesse. Le “merci costituenti violazione”, vale a dire quelle progettate, fabbricate o commercializzate a seguito di una condotta illecita devono beneficiare in misura significativa del segreto commerciale in questione (art.2). A fronte dell’acquisizione, utilizzo o divulgazione illecita - perché priva del consenso - il detentore del segreto commerciale potrà chiedere procedure e misure provvisorie o cautelari quali ingiunzioni interlocutorie o sequestri cautelativi di merci costituenti violazione (art.5 e art.9). Inoltre sono previsti meccanismi che le autorità giudiziarie dovranno porre in essere al fine di garantire la riservatezza dei segreti commerciali rivelati nel corso del giudizio quali, a titolo esemplificativo, l’accesso limitato ai documenti prodotti, l’accesso limitato alle udienze e la limitazione alla relativa registrazione, la predisposizione di versioni non riservate dei documenti contenenti segreti commerciali e, infine, versioni non riservate delle decisioni giudiziarie (art.8). Dette misure devono garantire la

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riservatezza anche in seguito alla pronuncia e per tutto il tempo necessario a che le informazioni debbono garantire il segreto commerciale. I giudici potranno ordinare: (i) il divieto di utilizzazione oltreché di divulgazione del segreto commerciale; (ii) il divieto di produzione, commercializzazione, importazione o stoccaggio e/o uso di merci costituenti violazione; (iii)la distruzione o consegna al detentore originario del segreto commerciale e di tutte le informazioni relative al segreto commerciale acquisto, utilizzato o divulgato illecitamente (art.9).

Tali ordini possono gravare anche sui terzi non direttamente coinvolti nell’acquisizione. Infine il risarcimento del danno sarà necessariamente parametrato ai benefici e vantaggi ingiustamente realizzati ed al lucro cessante subito dalla parte lesa (art.13). Da ultimo, su richiesta dell’attore, potrà essere ordinata la pena accessoria della pubblicazione della decisione sui mezzi di comunicazione, che dovrà comunque garantire la riservatezza del segreto commerciale (art.14).

Conclusione

Oltre agli accordi TRIPS nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio, la proposta di direttiva introduce a livello comunitario una forma di tutela giuridica omogenea che attualmente differisce da uno stato membro all’altro. Se da un lato si auspica che la stessa sia presto adottata così da garantire un’applicazione uniforme delle tutele, nelle more della sua adozione le aziende italiane, le Università e gli Istituti di ricerca dovranno continuare a salvaguardare il proprio Know-how attraverso la redazione di particolareggiati accordi di riservatezza che, oltre a prevedere ogni aspetto, anche con l’ausilio di strumenti offerti dalla tecnologia, siano in grado di dimostrare innanzitutto la riservatezza e la protezione delle informazioni scambiate tali da qualificarsi “segreto aziendale”. Inoltre

perché tale tutela sia effettiva è necessario strategicamente vincolare tutte le figure coinvolte avendo altresì a mente il termine temporale di copertura della tutela. Sotto altro profilo, merita evidenziare come la pubblicazione a grande diffusione della decisione, anche in rete o sul sito web, possa rivelarsi estremamente grave per la vita privata e la reputazione aziendale di chi commette l’illecito.

scenari

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Colpi di frusta? Fine della storia! A ottobre 2014 la sentenza che pone fine ai contrasti sul risarcimento del danno

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 235, esclude che i criteri legali di liquidazione del danno biologico contrastino la Costituzione, come era stato presupposto da alcuni contestatori, e stabilisce che il risarcimento risultante dalle tabelle diventa un limite insuperabile del danno non patrimoniale comunque denominato.

ANDREA MANUEL

In data 16.10.2014 la Corte Costituzionale ha pronunciato la sentenza n. 235, particolarmente importante per quanto riguarda la misura del risarcimento del danno. La Corte Costituzionale pare abbia finalmente messo una pietra tombale su 15 anni di contrasti, dubbi, pretese e controversie, in tema di C.D. “micro permanenti” e cioè per i danni alla salute che abbiano causato invalidità permanente inferiore al 10%. Tanto per intenderci trattasi, per la maggior parte, dei C.D. “colpi di frusta” che, vengono quasi sempre riconosciuti quando si verificano degli incidenti stradali anche se di indubbia modestia come in particolare in caso di leggerissimi tamponamenti.

Tutto parte da una regola prevista dall’art. 139 del Codice delle Assicurazioni che aveva stabilito che chi si fa “poco” male a causa di un sinistro stradale causato da un veicolo soggetto all’obbligo di assicurazione ha diritto al risarcimento del danno biologico nella misura stabilita dalla legge, che il Giudice può aumentare solo del 20%, se speciali circostanze di fatto legate a singolo caso lo impongono. L’applicazione di questa norma porta,all’evidenza, a dei risarcimenti

modestissimi: le tabelle, infatti, prevedono una liquidazione estremamente limitata.Il contenuto di questa norma era stato oggetto di numerosissime contestazioni e, in particolare, era stato ritenuto confliggere con i precetti costituzionali o sovrazionali e, in particolare, con il principio di salvaguardia dei diritti fondamentali (art. 2 Costituzione) con quello della parità di trattamento (art. 3 Costituzione) e con il diritto di difesa (art. 24 Costituzione) e, addirittura, con il principio del giusto processo (art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo). Il ragionamento, di fondo,

di tutti i “contestatori” di questa norma è che, poichè il diritto alla salute è inviolabile, il risarcimento del danno derivante dalla lesione di esso deve poter essere liquidato tenendo conto di tutte le specificità del caso concreto, perchè altrimenti ristoro non sarebbe integrale e quel diritto fondamentale non potrebbe dirsi protetto.Ora, finalmente, la Consulta ha avuto la possibilità di decidere in merito della questione: l’ha fatto con una sentenza ineccepibile la quale, non solo - si spera - porrà fine alle fastidiose querimonie di chi è sempre pronto a scomodare

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scenarila dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo per un ginocchio sbucciato (!), ma detta anche qualche preziosa indicazione per mettere un po’ d’ordine in tema di risarcimento di danno non patrimoniale. Intervento tanto più necessario quanto più la “fantasia” dei danneggiati (e degli Avvocati) aveva sostenuto teorie che, prodenzialmente, si possono definire “bizzarre”!

La Corte Costituzionale ha escluso, nella maniera più assoluta, che l’art. 139 del Codice delle Assicurazioni contrasti con la Costituzione, con la Carta Europea dei Diritti dell’Uomo o con i Trattati Istitutivi dell’Unione Europea. Lo ha detto con toni perentori di chi non ammette repliche.

In particolare ha stabilito:

a. l’art. 139 cod. ass. non viola il principio di difesa per la semplice ragione che... non si occupa di esso;

b. l’art. 139 cod. ass. è una norma sul risarcimento del danno, non sull’esercizio delle azioni giudiziarie e non pone alcun limite alla probabilità di quest’ultima;

c. l’art. 139 cod. as. non viola il principio di eguaglianza: le vittime di sinistro stradale, lungi dall’essere

discriminate rispetto a chi patisca un danno alla persona per ragioni diverse dalla circolazione dei veicoli, hanno anzi un trattamento privilegiato. Solo esse, infatti, possono contare sulla sicura presenza di un debitore solvibile ed immancabile (l’Assicuratore); nè il principio di uguaglianza è violato perchè l’art. 139 cod. as. permette una “personalizzazione” del risarcimento del danno anche alle vittime di sinistri stradali;

d. l’art. 139 cod. as. non viola il principio di diritti della persona: non impedisce, infatti, il risarcimento di nessuna delle possibili conseguenze non patrimoniali dei danni alla persona, invalidità permanente, invalidità temporanea, personalizzazione del risarcimento nell’ambito della quale rientra anche la sofferenza morale;

e. l’art. 139 cod. as. non esclude il risarcimento della sofferenza morale: il Giudice potrà tener conto della personalizzazione;

f. l’art. 139 non viola alcun precetto costituzionale comunitario perché fissa un termine del 20% alla possibilità di “personalizzazione”

del risarcimento. Il principio che integra il risarcimento non ha rilievo costituzionale e non è proibito al legislatore ordinario di fissare un tetto alla responsabilità dei danni quando, come nella fattispecie, tale limite contemperi non irragionevolmente l’interesse del singolo danneggiato con superiori interessi generali (nella specie quello ad un contenuto livello di premi assicurativi). Le conseguenze non sono da poco.

Infatti, in seguito ad un intervento della Consulta in materia di micro permanenti, il valore tabellare e l’eventuale sua maggiorazione fino al 20% copre ogni potenziale pregiudizio: non vi è spazio alcuno per richieste “fuori busta” comunque denominate. Sul punto vi era stata una proliferazione di qualificazione del danno: morale, esistenziale, relazionale, individuale ecc.La personalizzazione può avvenire solo in seguito ad una rigorosa prova ed il Giudice dovrà valutarla volta per volta.Quindi per quanto riguarda danni veramente modesti (il colpo di frusta ne è l’aspetto più emblematico) vi potranno essere dei risarcimenti estremamente modesti e il danneggiato non avrà nessuna possibilità di richiedere “personalizzazioni” del danno che incidano in misura superiore al 20%.Non si può, peraltro, che apprezzare questa sentenza che pone fine a richieste assolutamente bizzarre fondate su motivazioni del tutto inesistenti.

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In un periodo storico italiano particolare in cui il dato della disoccupazione giovanile rimane ancora

molto alto, al 41,2% secondo i dati Istat 2015, Eurosystem S.p.A. cresce, innova e assume. Entrano,

infatti, nella compagine dell’azienda nuove figure giovani e formate che contribuiranno a raggiungere

obiettivi commerciali di crescita, che i titolari si sono posti con il piano strategico realizzato assieme alla

Pricewaterhouse Coopers, a partire dalla recente fusione e acquisizione nel Centro Italia.

Nuove assunzioni per crescere in competitività e idee

LAVORARE CON IT E ICTEurosystem S.p.A. investe nei giovani

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Matteo, come è stato il tuo percorso professionale prima dell’arrivo in Eurosystem?

A parte qualche breve esperienza ho sempre lavorato nel mondo ICT. Nel mio primo lavoro mi sono occupato di consulenza per soluzioni di sales force automation: configuravo il prodotto, gestivo la formazione del personale e l’eventuale supporto. Successivamente ho iniziato un percorso di avvicinamento al mondo della vendita, prima come pre-sales e poi come account.

Perché hai scelto di entrare in Eurosystem?

Conoscevo Eurosystem da molto tempo: è una realtà storica ben presente nel territorio. Ho scelto di entrare in questa azienda perché mi è stata data un’opportunità di formazione, non finalizzata unicamente e nel breve termine al solo risultato.La vendita di progetti complessi come i sistemi ERP è molto difficile; il commerciale non ha solo il compito di sviluppare delle relazioni con cui generare business ma deve anche conoscere molto bene i processi che si svolgono nelle aziende e soprattutto deve saper individuare i principali punti di insoddisfazione dei propri clienti. Per fare questo è necessaria molta formazione, affiancamento sul campo ed esperienza. Tutte risorse che Eurosystem offre, perché non è la classica realtà commerciale che ti dice “prendi la borsa e vai”.

Alessandro, che opportunità vedi in quest’azienda per un giovane come te?

Le opportunità per un giovane in questa azienda sono sicuramente tante, la più importante è quella di relazionarsi ogni giorno con persone che fanno questo lavoro da tanti anni e dai quali credo di

aver imparato già molto, soprattutto su come porsi e rapportarsi con personalità di rilievo imprenditoriale e manageriale nelle aziende. Il mio sogno professionale, al momento, è infatti quello di riuscire ad imparare ogni giorno cose nuove per far crescere la mia cultura e la mia professionalità, e arrivare un giorno magari a essere in grado di insegnare a chi sarà più inesperto di me.

Secondo te, come è cambiata la professione del commerciale? Pensando alle opportunità create dal digitale, esiste una nuova maniera di contattare i clienti e coltivare le relazioni commerciali?

Sicuramente è cambiata. Prima le relazioni personali come fonte di contatto commerciale avevano molta più rilevanza e tante informazioni utili arrivavano attraverso il passaparola. Con la nascita di internet, ogni richiesta di informazione può essere soddisfatta in parte, o del tutto, cercando in rete. Per questo anche i nostri potenziali clienti oggi sono molto più informati su cosa offre il mercato rispetto al passato e a quando erano costretti necessariamente ad un incontro commerciale per conoscere il prodotto. Esiste certo anche una nuova maniera di contattare i clienti e creare nuove relazioni, anche se penso che per cultura e abitudine, non tutte le figure managariali siano ancora pronte a questa rivoluzione in termini di comunicazione.

Alessandro, tu hai una laurea in Lettere e un percorso formativo apparentemente differente dal lavoro che svolgi oggi: come sei arrivato qui?

Durante gli studi universitari (e ancora oggi), mi sono sempre concentrato sull’attività giornalistica e di ufficio stampa, collaborando con alcune riviste on-line e tramite importanti esperienze professionali, focalizzandomi molto, attraverso corsi e approfondimenti, sul mondo del web marketing e dei social media. A distanza di qualche mese dopo la laurea, ho ottenuto

Alessandro Previtali,27 anni.

Matteo Vendrame,29 anni.

Alessandro Ortis,26 anni.

conosciamociSTILE LIBERO

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l’incarico come Sales & Marketing Assistant presso un’azienda informatica di Udine, dove sono rimasto per più di due anni. L’entrata in Eurosystem è arrivata quasi per caso, a metà 2014, a seguito di un percorso di selezione. Eurosystem, decidendo di puntare su una squadra di commerciali “junior”, anziché esperti e con un portafoglio clienti già in mano, mi ha dato l’opportunità di intraprendere un percorso di crescita professionale nel settore dell’IT, facendomi fare quel salto di qualità che stavo cercando.

Come è stato il tuo ingresso in Eurosystem?

Dopo aver sfogliato per la prima volta la documentazione di Freeway® Skyline, ho avuto la stessa positiva impressione che ritrovo durante gli incontri con le aziende: una realtà che non punta solo sul contenuto, ma che vuole sostenere, attraverso la diffusione della conoscenza, le PMI del territorio nei nuovi processi di crescita ed innovazione. I contenuti sono molti, vari, non sempre semplici, e soprattutto importanti: tuttavia, facendoli propri, si riesce anche a trasmetterli all’esterno.

Andrea, come è stato il tuo ingresso in una PMI cha realizza progetti di innovazione tecnologica? È stato difficile recepire i contenuti da veicolare?

L’ingresso lo definirei abbastanza semplice, avendo lavorato già nel settore e avendo negli anni appreso un metodo di lavoro preciso non ho incontrato grosse difficoltà iniziali. I contenuti sono stati chiari con una buona formazione iniziale messa a disposizione dall’azienda, anche se il vero passo lo si fa solo sul campo durante i vari appuntamenti presso i clienti.

Secondo te è cambiata la figura del funzionario commerciale?

Svolgo questa professione da 4 anni e nel tempo sono nate e cresciute nuove opportunità per cercare contatti di potenziali clienti grazie ai social network, agli sviluppi del digital marketing; eppure per le trattative credo sia ancora valido il primo buon approccio del commerciale. La presenza fisica delle persone conta ancora molto per trasmettere la fiducia e l’affidabilità che ricerca un cliente, almeno nel nostro settore.

Andrea, raccontaci di te invece?

Come sono arrivato qui? Beh, sicuramente i miei studi in ambito informatico e la passione che ho sin da ragazzino per l’IT hanno costituito una solida base per introdurmi in questo mercato del lavoro. A questo si sono aggiunte, da quando sono in Eurosystem, una formazione continua e approfondita, commerciale e di

Da sinistra Andrea Bruno, Alessandro Ortis, Giuseppe Mussi e Andrea Varaschin, commerciali per le soluzioni applicative di Eurosystem S.p.A.

Andrea Bruno,28 anni.

Andrea Varaschin,27 anni.

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prodotto, che l’azienda ha preparato per me e che ha contribuito a formare un pezzettino della mia professionalità.

Quali sono le opportunità per un giovane in quest’azienda?

Una struttura consolidata da 35 anni di esperienza, l’organizzazione, e la preparazione di tutti i dipendenti Eurosystem danno a noi commerciali l’opportunità di lavorare in un ambiente ottimale per dare il meglio ed esprimere appieno le nostre capacità commerciali.

Stefano, sei entrato da pochissimo a far parte del team e affiancherai Maurizio Lenzi nella direzione della nuova filiale di Bologna e nella gestione del portafoglio clienti in Emilia Romagna e Marche. Qual è il tuo percorso professionale e cosa ti ha portato in Eurosystem?

Il mio percorso verso la professione commerciale è stato graduale e con un inizio diverso dal solito, a carattere tecnico: sono laureato in Ingegneria delle Telecomunicazioni e il mio primo impiego è stato come risorsa tecnica all’interno di un’azienda di telefonia. Dopo quella esperienza ho avuto l’occasione di gestire un progetto di “anti digital divide” per la regione Abruzzo e poi ho rivestito il ruolo di project manager all’interno di un partner Cisco. È così che ho man mano accresciuto le competenze tecniche con un

bagaglio di relazioni e conoscenze che mi hanno permesso di approdare prima in Infolab e dopo in un grande gruppo industriale di ICT che fornisce soluzioni software e progetti infrastrutturali per banche e istituzioni finanziarie, pubblica amministrazione e industrie; una realtà che mi ha permesso di crescere molto in termini di portafoglio contatti e capacità di relazionarsi con clienti di fascia alta. Oggi sono in Eurosystem perché ho accettato una sfida, la possibilità di costruire un nuovo mercato per l’azienda, quello del Centro Italia, partendo da una solida base, ossia da una realtà strutturata e con progetti di crescita molto validi.

Giuseppe, Marino: a voi che siete professionalità senior chiediamo quanto conta ed è utile lo scambio generazionale. Cosa pensate di poter imparare dalle nuove risorse inserite? Cosa invece volete trasmettere?

G. Mussi: Viviamo un’epoca di continue trasformazioni sul piano economico e sociale che non accennano a rallentare bensì ad accelerare. Il settore ICT inoltre è ancor più soggetto a repentine novità tecnologiche che rivoluzionano aspetti sia sul business che sulla vita quotidiana. In questo contesto, dal punto di vista lavorativo le reciproche contaminazioni possono essere la chiave vincente per un modello di “proposition” sempre più attento ad anticipare le modalità richieste dal mercato e dalla clientela. Dai nuovi colleghi più giovani ci aspettiamo di poter meglio comprendere come si modificano gli usi e costumi derivanti dalla nuova “cultura digitale” al fine di innovare con significato i processi core (organizzativi, di comunicazione, di vendita,...).

M. Cavagna: E direi che confidiamo di poter instillare una visione “pull” di agreement dove valori quali dedizione e sacrificio possano corrispondere con il piacere di fare e la soddisfazione professionale.

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Stefano D’Incà,38 anni.

conosciamoci

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Da sinistra Matteo Vendrame, Alessandro Previtali, Stefano D’Incà e Marino Cavagna, commerciali per le soluzioni applicative di Eurosystem S.p.A.

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Non è questo tuttavia lo scenario del quale si devono occupare gli operatori della prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro da diversi anni a questa parte, soprattutto in Italia. Il tessuto imprenditoriale è costituito, infatti solo in parte da grandi aziende, e per la maggioranza da realtà produttive medio piccole, di natura artigianale, nelle quali le mansioni svolte dai lavoratori richiedono la conoscenza di più procedure lavorative, quando non anche una certa capacità di autonomia decisionale o “creatività”. Queste aziende spesso, per necessità legate al processo produttivo, hanno bisogno di manodopera flessibile anche per brevi periodi e quindi ricorrono a prestatori d’opera, che vengono ingaggiati non come

soggetti subordinati dipendenti ma come lavoratori autonomi a partita IVA o a prestazione occasionale.

Un’altra considerazione da fare è che normalmente si pensa al lavoro come “posto di lavoro” fisico, più o meno condiviso con altri colleghi. La rivoluzione tecnologica, che sta vivendo il mercato, ha portato invece a considerare forme di lavoro in cui il prestatore d’opera è da solo, in ambienti e con strutture e strumenti che sono molto diversi da quelli abitualmente considerati dalla medicina del lavoro tradizionale.

È pur vero che il progresso tecnologico dovrebbe comportare anche una riduzione dei rischi lavorativi, che non sempre ne è l’immediata conseguenza. D’altro canto, invece, potrebbero nascere altri rischi ad oggi ancora sconosciuti o in fase di studio come, ad esempio, quelli legati ai prodotti nanotecnologici e agenti chimici, lo stress, le patologie muscolo scheletriche da postura o sovraccarico da uso di computer fissi o portatili, smartphone o altri PDA. Pensiamo che esiste il cosiddetto “pollice da Blackberry”, estendibile naturalmente a tutti gli altri smartphone, oppure la miopia da impegno visivo protratto e ravvicinato.E oltre ai rischi legati allo svolgimento del proprio lavoro, un altro

Quando parliamo di medicina del lavoro il primo pensiero va alle grandi fabbriche dove gli operai durante il

loro turno di lavoro, generico o specializzato, manuale o di concetto, svolgono sempre le stesse operazioni,

in catena di montaggio o meno, con un orario fisso, giornaliero o a turni, ma sempre lo stesso tutti i giorni.

Nuove professioni e lavoratori autonomi

Luciano SalvadoriMedico del lavoro

L’importanza della prevenzione e della sicurezza

LUCIANO SALVADORI

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fattore di rischio, forse con dimensioni maggiori, è quello correlato proprio all’autonomia del lavoratore. Per il fatto di non lavorare da subordinato in una struttura fissa, dove più facilmente sono applicabili procedure standardizzate di prevenzione, il lavoratore autonomo rinuncia anche, volente o nolente, ad un controllo periodico e sistematico della propria salute mediante dei protocolli validati di sorveglianza sanitaria preventiva.

Pensiamo infatti a come spesso i lavoratori autonomi siano impiegati nei settori più a rischio: nei luoghi confinati o inquinati oppure con esposizione ad amianto o con uso di attrezzature speciali pericolose, nei cantieri temporanei e mobili in edilizia ma anche nel settore dello spettacolo, nei teatri, nei set cinematografici o negli allestimenti di fiere e mostre. Un altro settore, forse non pericoloso in senso stretto ma che può essere fonte di qualche problema di salute, è quello degli office e mobile workers, dei telesellers, dei call centers o simili, che utilizzano tablet, smartphone o Pc e che lavorano non all’interno dell’azienda ma prevalentemente, o esclusivamente, all’esterno e nei luoghi più disparati.

La definizione di lavoratore autonomo in campo civilistico deriva dall’art. 2222 del Codice Civile, mentre per quanto attiene alla prevenzione e alla sicurezza sul lavoro la definizione la troviamo all’art. 89 del Dlgs 81/08 detto anche Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro: “è la persona fisica la cui attività professionale contribuisce alla realizzazione dell’opera senza vincolo di subordinazione”.

Il Testo Unico ha innovato significativamente il ruolo del lavoratore autonomo perché, a differenza delle normative precedenti, ora è sottoposto ad alcuni precisi obblighi generali e speciali. Gli obblighi generali derivano dall’’art. 21 comma I del decreto legislativo, stabilendo che il lavoratore autonomo (o i componenti dell’impresa familiare) deve: • utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro in conformità

alle disposizioni di cui al titolo III del TU; • munirsi di dispositivi di protezione individuale ed utilizzarli

conformemente alle disposizioni succitate; • dotarsi di apposita tessera di riconoscimento che deve

contenere anche l’indicazione del committente.

Lo stesso articolo 21 prevede anche, con oneri a proprio carico, la facoltà, ma non l’obbligo, di effettuare le visite mediche di idoneità sanitaria e di partecipare a corsi di formazione specifica, tranne che le stesse non siano espressamente previste da disposizioni speciali, nel qual caso diventano obbligatorie. È il caso di lavori effettuati in ambienti confinati o sospetti di inquinamento (silos,

caldaie, pozzetti fognari, etc,) per i quali il lavoratore autonomo deve essere specificamente formato e sottoposto a sorveglianza sanitaria (ex DPR 177/2011), così come per l’utilizzo di particolari attrezzature di lavoro (gru, piattaforme mobili elevabili, trattori agricoli o forestali, ecc.) per cui il lavoratore autonomo deve possedere una specifica formazione che il legislatore qualifica come vera e propria abilitazione.

Diverso infine è il caso in cui i lavoratori autonomi e le imprese familiari effettuino lavori in cantieri temporanei o mobili per cui sono obbligati ad esibire al committente o al responsabile dei lavori gli attestati inerenti la propria formazione e la relativa idoneità sanitaria previsti dall’allegato XVII del Testo Unico. Pertanto un committente, o un’impresa affidataria in caso di subappalto, è tenuto a verificare il possesso della documentazione di cui all’allegato XVII da parte del lavoratore autonomo ma non anche ad esigere l’esibizione degli attestati inerenti la propria formazione e l’idoneità sanitaria.

Di conseguenza, con un dualismo tipicamente italiano, appare legittimo sia l’affidamento di lavori al lavoratore autonomo in possesso di tale documentazione sia al lavoratore autonomo privo dei predetti requisiti. Ne consegue che i committenti e i coordinatori in fase di esecuzione, nell’ambito del loro potere-dovere di verificare l’idoneità tecnico professionale dei soggetti con contratto in essere di appalto o sub appalto, possono interdire l’accesso al cantiere ai lavoratori autonomi o imprese familiari che non abbiano prodotto la documentazione prevista.

Sarà quindi la legge di mercato a far si che un appaltatore si faccia carico della propria formazione specifica (corso di primo soccorso e prevenzione incendi, oltre ad eventuali corsi per l’utilizzo di attrezzature speciali) o si procuri l’idoneità alla mansione con la visita medica e si doti quindi della documentazione prevista, se ha interesse a lavorare per quel committente. Legge di mercato o buon senso, dal punto di vista di chi si occupa della salute e della sicurezza dei lavoratori certo è che formazione e idoneità sono oggi più che un dovere, un atto di civiltà e di rispetto verso la propria professionalità.

medicina e lavoroSTILE LIBERO

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Il design alla conquista dei quartieri di Londra

LONDON DESIGN FESTIVAL

Una settimana di programmazione, oltre 350mila visitatori e circa 300 eventi già pianificati. Il London

Design Festival in autunno conquista i maggiori quartieri di Londra, ma non solo. A settembre, infatti,

la capitale inglese si trasforma in una delle più grandi fiere di Design grazie alla partecipazione e ai

contributi di persone e artisti di tutto il mondo. Eventi e installazioni realizzati in punti iconici della

città: tutto per parlare e far parlare della più grande creatività internazionale. Ci parlano del Festival gli

organizzatori.

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il viaggioSTILE LIBERO

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Quando è nato il London Design Festival?

La prima edizione del London Design Festival si è svolta nel 2003.

Chi ha avuto l’idea e chi è che, oggigiorno, organizza il festival?

Il London Design Festival è stato ideato da Sir John Sorrell e Ben Evans. Partendo dall’attività di design esistente a Londra, l’obiettivo principale fu di realizzare un evento annuale che promuovesse la creatività della città, attraverso la genialità dei migliori pensatori, professionisti, produttori e professori del Paese come omaggio irrinunciabile al design.

Qual è l’obiettivo e la mission del festival?

Il London Design Festival è un evento annuo, che si tiene per celebrare e promuovere Londra come capitale del design del mondo, e come porta di accesso per la comunità creativa internazionale .

A quale pubblico si rivolge?

Il pubblico del Festival è numericamente rilevante: una stima diretta si aggira intorno a oltre 350.000 persone, provenienti da oltre 75 paesi, con un pubblico più ampio di oltre 1 milione di persone che nel 2014 sono venute a contatto con i principali incarichi pubblici. Il target rappresenta un ampio spettro di visitatori: più della metà sono persone non professionalmente occupate nel settore del design come ad esempio studenti, turisti e pubblico generico.

Quali nomi noti vi hanno preso parte?

Tra i sostenitori del London Design Festival 2014 ci sono stati BMW Group, Officine Panerai, Airbnb, Perrier Jouet, AHEC, ME by Melia. Partners ben noti che hanno ospitato gli eventi tra gli altri anche marchi come Tom Doxon, Skandium,

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Moleskine, Molteni & C, Made.com, Harrods, Fritz Hansen, Flos, The Conran Shop, Bocci, B & B Italia.

Può raccontarci un momento particolarmente importante nella storia del festival?

Il Festival ha sempre più successo di anno in anno. Lo scorso anno (2014) è stato particolarmente notevole per i progetti che hanno preso parte al programma. Abbiamo celebrato il nostro 10° anniversario. Il London Design Festival 2012 ha celebrato la creatività della capitale con un programma di 304 progetti realizzati da 295 partners. Disseminando i progetti per tutta la città, il Festival ha attratto oltre 350.000 visitatori dal Regno Unito e da altri 60 Paesi. I 5 poli chiave sono stati: 100% Design, Decorex, Designjunction, Super Brands London & Tent London che hanno attratto 1026 espositori. Per il terzo anno consecutivo, il Victoria & Albert Museum è stato il cuore del Festival, offrendo 79 conferenze ed esposizioni, alcune di esse in aree del museo segrete e raramente visitate. Molti sono venuti per scalare la stretta e tortuosa scalinata che porta alla cupola del Museo per visitare il prisma di Keiichi Matsuda, commissionato da Veuve Clicquot, o per scoprire l’alquanto eterea Mimicry Chairs, l’installazione con sedie dello Studio giapponese Nendo, progettate in risposta alle spettacolari gallerie del Museo. Inoltre, i visitatori sono stati invitati a sedere sulle panchine del giardino create da dieci rinomati designer appositamente per il decimo anniversario del Festival.

Quali opportunità offre il Festival ai designers?

Il Festival offre l’opportunità ai designers di creare il proprio evento, di presentarlo ed anche di realizzare workshop o showcase. Inoltre, di partecipare a uno dei nostri Destination event: si tratta di un certo numero di grandi eventi che si svolgono in tutta la città dove gli espositori - sia quelli nuovi che quelli affermati - provenienti dal Regno Unito e da tutto il mondo hanno l’opportunità di esporre i loro progetti. Sono fondamentali per i designer e i produttori che vogliono raggiungere nuovi mercati, inoltre offrono l’opportunità di eccellenti piattaforme di lancio per nuovi ed emergenti designer e produttori per presentare i loro prodotti e le proprie innovazioni.

il viaggio

LONDON FESTIVAL DESIGN 2015L’edizione 2015 del London Festival Design si terrà dal 19 settembre al 27 settembre 2015.

Per saperne di più visita http://www.londondesignfestival.com/

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Lei è la regina italiana della ginnastica artistica che

ci ha fatto sognare in questi anni e ha rappresentato

superbamente i colori nazionali in giro per il mondo.

Ora sogna le Olimpiadi di Rio del prossimo anno. In

futuro? “Vorrei fare qualcosa di diverso, ma adesso

penso solo ad allenarmi!”, ci racconta sulle pagine

di Logyn.

Intervista alla ginnasta italiana

VANESSA FERRARI:Un’atleta sempre più in alto, sempre più avanti!

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Tra tante discipline sportive, la ginnastica artistica... Perché? Cosa ti ha avvicinata a questo sport?

Semplicemente una ginnasta che si esibiva sulla trave mentre guardavo la televisione. Avevo sei anni e chiesi a mia mamma di portarmi in una palestra dove si praticava la ginnastica artistica.

A che età hai cominciato a gareggiare?Verso gli otto anni. In una gara dove c’erano un sacco di altre bambine. Vinsi ma non mi ricordo cosa c’era come premio. Forse solo una medaglietta.

I sacrifici che hai dovuto accettare per arrivare ai traguardi raggiunti?

Talmente tanti che non me li ricordo neppure. Finché ero bambina non mi pesava niente. Anzi sarei stata in palestra anche di notte. Poi, crescendo, quando capisci che oltre alla palestra ci sono anche altre cose, si fa più difficile. Ma non rinnego niente. I miei sacrifici sono stati ampiamente ripagati e con gli interessi.

Com’è la tua routine giornaliera?Adesso è abbastanza semplice. Mi alleno quasi sempre la mattina, quindi sveglia attorno alle 8, faccio colazione e poi vado in palestra che è vicina a dove abito ora. Verso le 13 stacco e solo una o due volte la settimana torno ad allenarmi un paio d’ore per mettere a posto qualcosa dei miei esercizi, oppure semplicemente per una sgranchita alle gambe. Pomeriggio e sera sono libera di leggere, uscire a far shopping o a bere qualcosa con i miei fratelli o qualche mia amica.

La ginnastica artistica e l’età: uno dei grandi dibattiti. Secondo te a che età sarebbe giusto iniziare a gareggiare e quando smettere?

Così come è strutturata oggi la nostra disciplina non ci sono alternative. Si deve incominciare presto, verso i sei, massimo sette-otto anni e poi continuare finché il tuo fisico e soprattutto le tue motivazioni te lo permettono. Io volevo smettere dopo la delusione dei giochi olimpici del 2008 di Pechino ed invece sono ancora qui per cercare di preparare le olimpiadi di Rio del Janeiro, dopo aver preso parte a quelle di Londra (2012). C’è un’età per cominciare, ma non ce n’ è una precisa per smettere.

La tecnologia è d’aiuto negli allenamenti?

Certo. Potermi allenare con gli attrezzi migliori che esistano è importante. Per esempio rivedere sull’ipad un movimento che ho appena eseguito e cercare di migliorarlo è altrettanto

importante. Per non parlare della tecnologia che riguarda l’aspetto fisioterapeutico. Alla mia età senza Tecar o macchine simili non potrei più continuare.

Segui una dieta particolare?

No. Devo stare semplicemente attenta a quello che mangio. So che se una sera sgarro, il giorno dopo devo recuperare. Ormai sono abbastanza matura per sapere quello di cui posso o non posso cibarmi. Da ragazzina era molto più dura e fra i sacrifici di cui si parlava prima c’è sicuramente da aggiungere quello legato all’alimentazione. Sono sempre stata golosa e non poter mangiare quello che volevo, mi ha sempre pesato.

La ginnastica artistica in Italia... Una buona scuola?

Beh lo dicono i risultati. Una volta non ci qualificavamo quasi mai per le olimpiadi, adesso siamo una delle cinque-sei squadre migliori del mondo. Io ho la fortuna di allenarmi con il mio

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coach, Enrico Casella, nell’Accademia Internazionale di Brescia, fiore all’occhiello delle strutture italiane ed europee e scuola di grandissimo livello.

Un momento della tua carriera che ricordi con particolare affetto? Hai mai avuto ripensamenti?

Quando vinsi il titolo di campionessa del mondo in Danimarca nel 2006 mi ricordo che non capivo niente. Tutti che si complimentavano, mi baciavano, mi prendevano in braccio. Quello è stato certamente un momento che non dimenticherò mai. Ma forse quello che ricordo con maggior affetto è il titolo europeo che ho vinto l’anno scorso a Sofia nella specialità del corpo libero. Otto anni dopo la vittoria del titolo mondiale, dopo tutte le vicissitudini che avevo passato, ero di nuovo lì sul gradino più alto con una medaglia d’oro al collo. Bellissimo.

Come ti senti davanti ad un pubblico numeroso e ad una giuria?

Gareggiare nelle grandi competizioni internazionali è eccitante per un’atleta. La giuria non mi fa più nessun effetto. Quando alzo la mano per iniziare il mio esercizio sono io contro me stessa. La giuria è un aspetto estraneo che sarà benevole se faccio bene e mi bastonerà se sbaglio. Ma il bene o il male lo decido io.

Hai un rituale pre-gara?

Una volta ne avevo. Quando ero ragazzina per esempio, prima di iniziare un esercizio, guardavo sempre nella direzione dove era seduto in tribuna il mio papà. Adesso no. Non più.

Cosa consiglieresti alle tante giovani che si avvicinano a questo sport?

Che praticare la ginnastica artistica è per tutti. Praticarla ad alto livello è per pochi. Dico anche che tutti gli sport richiedono molti sacrifici. La ginnastica artistica forse un po’ di più. Di rincorrere i propri sogni, i propri obiettivi e non quelli di mamma o papà. Quello che ti dà la ginnastica artistica io penso, ma sono di parte, che nessun altro sport lo possa regalare.

Progetti futuri?

Mi credete se vi dico che non lo so? Punto ad arrivare a disputare le Olimpiadi di Rio del prossimo anno, poi presumo mi fermerò e cercherò di fare qualcos’altro. Non credo di rimanere in questo ambiente, vorrei fare qualcosa di diverso, ma adesso penso solo ad allenarmi.

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Vanessa Ferrari (Orzinuovi, 10 novembre 1990) è la prima ginnasta italiana a conquistare una medaglia d’oro ai Campionati mondiali di ginnastica artistica, nel 2006. Per questa storica vittoria ha ottenuto il Collare d’Oro del CONI, e nel 2007, a 17 anni, è stata nominata Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Soprannominata «la farfalla di Orzinuovi», ma anche «la Cannibale», è stata la prima ginnasta in Italia ad eseguire lo Tsukahara avvitato “Silivas”, un doppio salto indietro con doppio avvitamento. Ha partecipato alle Olimpiadi di Pechino (2008) e Londra (2012) e a numerose edizioni dei campionati mondiali ed europei di ginnastica, di cui le prime partecipazioni, a partire dal 2004, da juniores; in totale ha collezionato 5 medaglie mondiali e 10 medaglie europee. Nel 2005 ai Giochi del Mediterraneo ha vinto la medaglia d’oro in tutte le specialità di ginnastica artistica, tranne un argento alle parallele asimmetriche; con la partecipazione e le vittorie ottenute nell’edizione del 2013 è diventata l’atleta italiana più vincente nella storia di questa competizione, in quanto detentrice di otto medaglie d’oro. A livello nazionale detiene 21 titoli ai Campionati Assoluti, di cui il primo vinto nel 2004, e 8 scudetti vinti con la squadra Brixia Brescia nel Campionato di Serie A1.

Fotografie di Folco Donati © tutti i diritti riservati

Vanessa Ferrari

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percorsiSTILE LIBERO

Stefano Pulicni ci racconta la storia della disciplina

PARKOUR: SPORT E ARTE PER SUPERARE GLI OSTACOLI

Il Parkour (PK) è una nuova tendenza metropolitana che consiste nel muoversi con velocità per la città o

in mezzo alla natura, superando ogni ostacolo con agilità e destrezza. Panchine, muretti, siepi, ringhiere

e pareti non sembrano spaventare i “Traceurs” come si fanno chiamare i “creatori di percorsi”. Ci

introduce a questa disciplina sportiva Stefano Pulcini, presidente dell’Associazione Italiana parkour.it.

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Il Parkour è sicuramente uno sport acrobatico, perché la capriola per superare il muretto, la piroetta sulla parete di una casa, l’arrampicata, balzi arditi e movimenti armonici riuniti in una corsa fluida e infine il salto da un tetto all’altro richiedono prestazioni sportive non indifferenti.

Ma di cosa si tratta esattamente? “Il Parkour è l’arte dello spostamento. Una disciplina che nasce in Francia nella metà degli anni ‘80. Il suo nome deriva dalla parola parcour (percorso). È il punto d’incontro tra l’equilibrio fisico e mentale, superare ostacoli fisici in maniera fluida e diretta per superare ostacoli mentali ed entrare in contatto coi propri limiti per cercare di superarli con consapevolezza, tenacia e appunto... disciplina”, ci spiega Stefano Pulcini.

Il fenomeno del Parkour in Italia: ”si sviluppa nel 2005 quasi per gioco creiamo il sito parkour.it dopo essere rimasto affascinato da video su YouTube degli Yamakasi (pionieri francesi della

disciplina). All’epoca non c’era facebook e quindi è stata ancora più sorprendente la viralizzazione e la diffusione. Con l’associazione organizziamo il primo raduno italiano il 24 giugno 2005 a Roma ospitando Sebastien Foucan (007 casino royal - Jump - Madonna). Dopo il fenomeno di moda il parkour è diventato un vero e proprio movimento. Attualmente in collaborazione con l’Add Roma organizziamo diversi corsi in tutta Roma. (www.parkour.it)”

Il parkour è un nuovo “street-sport” i cui praticanti simulano costantemente situazioni di fuga, riprendendo movimenti dalle arti marziali e proprie della breakdance. Sport o arte? “Le due componenti si sovrappongono. Nel Parkour non ci sono ‘gare’, quindi non è considerabile uno sport in senso di competizione. Ovviamente l’allenamento è una componente fondamentale per raggiungere una preparazione fisica necessaria alla pratica in sicurezza della disciplina. La componente ‘artistica’ si sviluppa nell’essenza della personalizzazione del tracciato. Da poco

Fotografie di parkour.it e ADD Roma - © tutti i diritti riservati

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percorsi

Dopo la sua affermazione in Francia all’inizio degli anni ‘90, Il Parkour ora conta adepti negli Stati Uniti, in Inghilterra, Finlandia, Brasile, Canada, Svezia e Russia e anche in Italia. Per quanto riguarda l’Italia, va segnalato che l’associazione tra coloro che praticano il Parkour ha stretto una collaborazione con la FIABA (il Fondo Italiano impegnato nell’abbattimento delle barriere architettoniche) dimostrando una grande sensibilità e senso di responsabilità. L’origine di questa pratica va fatta risalire agli insegnamenti di Georges Hébert, il quale fu uno dei primi sostenitori del metodo di allenamento naturale che serviva inizialmente per addestrare le truppe militari. Egli sosteneva la tesi secondo cui l’allenamento ottimale era rappresentato dalla riproduzione di movimenti naturali utilizzandoli in ogni situazione che l’ambiente può richiedere. Un altro personaggio importante per il Parkour fu David Belle il cui padre, pompiere, era stato addestrato con il metodo di Hébert.Belle divenne uno dei riferimenti per gli adepti di questa attività grazie ai numerosi successi e trofei vinti nei “parcours du combattent”. Fu lui a dare vita al Parkour come oggi lo conosciamo, donandogli una dimensione meno ludica e più vicina ad una filosofia di vita. Insieme a David Belle, hanno contribuito alla diffusione della disciplina altri personaggi tra i quali la “crew” degli Yamakasi, fondatori della “Art du deplacement” e Sebastien Foucan, ambasciatore del “FreeRunning”.

stanno nascendo traceur (tracciatori) ‘puri’, fino a qualche tempo fa ognuno portava nel Parkour il suo background che ne caratterizzava la pratica a seconda della provenienza: dalla break dance, al kung fu... Ognuno ha portato un po’ del suo stile artistic”.

Come ci si prepara fisicamente? Serve attenzione e grande preparazione atletica? “Si. Serve una grande base di allenamento aerobico ed anaerobico. I nostri corsi sono riconosciuti a livello internazionale e preparano i ragazzi alla pratica consapevole e in sicurezza sviluppando le tecniche singole per poi applicarle alla dinamica di percorso”.

Ma il parkour non è solo uno sport ma anche uno stile di vita... “Beh... Diciamo che viverlo come stile di vita porta giovamenti sicuramente... Oggi siamo portati a non voler vedere i problemi della vita, il Parkour invece dice:’davanti ad ogni ostacolo dovrò impegnarmi a vederlo come un nuovo appoggio per

andare avanti’. Il Parkour è soprattutto grande creatività... ‘Un accostamento meraviglioso. Io sono un creativo per professione (mi occupo di comunicazione ed eventi) e devo dirti che come i bicipiti e i dorsali, la creatività è un muscolo. Il Parkour aiuta ad allenarlo e lo sviluppa, col parkour non cambia il Mondo ma cambia il modo in cui lo vivi!”

Stefano, quali i progetti futuri di parkour.it? “Continuare l’opera di divulgazione didattica e diffondere i giusti valori del Parkour ai giovani. Poi parallelamente gestiamo la rappresentativa composta da alcuni tra i traceur più bravi italiani: il Trick’n Group. Con il Trick’n Group abbiamo realizzato oltre 100 eventi compresi la cerimonia di apertura dei Mondiali di Rugby in Francia, il lancio della 500 Fiat e il reveal Mondiale della Ferrari e della Ducati”.

Esiste un sito apposito? “Certo, il nostro sito www.parkour.it e la nostra pagina facebook”.

STORIA DEL PARKOUR

Fotografie di parkour.it e ADD Roma - © tutti i diritti riservati

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di Luisa Giacomini cuoca per passioneluisagiacomini.com

C’erano una volta gli gnocchi e le patate vitelotte!C’erano una volta... i classici gnocchi di patate a pasta bianca farinosa, ancora meglio se fatti cone le patate a buccia rossa, possibilmente patate vecchie per una migliore resa. Quasi sempre la realizzazione degli gnocchi con altre patate sembrava impossibile viste le deludenti degustazioni prodotte da qualità non adatte allo scopo. I condimenti classici: al pomodoro, con svariate tipologie di ragout, ai funghi, agli aromi dell’orto, sughi di pesce o il delicato burro e salvia.

Oggi ci sono le patate vitelotte che, non solo permettono di impastare ottimi gnocchi ma soprattutto gratificano la vista perché si presentano insolitamente e naturalmente colorate di viola/blu.

Nonostante la ristorazione proponga da tempo ricette di cucina creativa a base di patate vitelotte, la maggioranza del pubblico ancora non conosce questo prodotto originario del Perù, buono e duttile come le più comuni patate di nostra conoscenza.

Sono ancora difficile da reperire, si trovano nei negozi di frutta e verdura specializzati nelle primizie, i migliori supermercati e la distribuzione per la ristorazione. Il colore malva o bluette risulta più o meno intenso a seconda delle qualità delle patate vitelotte.

Ecco una ricetta semplice, buonissima e molto facile da realizzare anche con una presentazione da cucina creativa, un successo assicurato!

L’acqua di mare& l’erba voglioLa cucina a modo mio: cucina trendy, facile o un po’ elaborata, ma alla portata di tutti e di tutte le situazioni.

Gnocchi viola e concassé di zucca violina al profumo di mandarino e zenzero

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• Lavare le patate e porle in una pentola con acqua fredda salata, lessarle per circa 30/45 minuti, verificare la cottura con una forchetta, se penetra al centro sono cotte. Mettere sul fuoco una pentola di acqua salata per la cottura degli gnocchi.

• Scolare e pelare le patate, passarle al passaverdure fine ancora calde a formare una fontana su un piano di lavoro. Inserire gli albumi (non i tuorli che tendono ad ingiallire il bel colore viola o blu delle patate) mettere il Parmigiano, un pizzico di sale e la farina poca alla volta, metterne solo quanto basta a legare l’impasto soffice ma corposo, prima di aggiungere ancora farina ricavare dall’impasto una pallina e cuocerlo nella pentola come prova, se risulta tenero, sodo e non gommoso o duro significa che l’impasto e pronto per essere trasformato in gnocchi.

• A mani pulite, spolverare di farina il tavolo, dividere l’impasto in più metà e lavorarne uno alla volta a formare dei lunghi cilindri grossi e regolari come pollici di donna.

• Tagliare i cilindri in tronchetti poco più di due cm (due dita) e passarli su di una grattugia o su dei rebbi di una forchetta. I più pratici possono lavorarli a quenelle e con un formato di dimensione maggiore di quelli sopra descritti e porli su un piano infarinato in fila indiana.

• Se non acquistato, preparare un burro chiarificato. Il burro chiarificato ha il suo punto di fumo a 252°C: il processo di chiarificazione avviene quando del burro viene messo a fondere dolcemente, tramite bagnomaria oppure a fiamma molto bassa

con un pentolino dal fondo spesso. Il burro oltre a formare della schiuma separa la parte grassa dalla parte liquida caseinica, detta latticello. Facile da farsi, basta in questo caso schiumare dolcemente, poi inclinando il pentolino, prelevare poco alla volta la parte grassa in superficie e porla in un altro tegamino. Verso la fine si noterà un liquido biancastro: il latticello depositato sul fondo del pentolino, gettarlo. Questo tende a bruciare tra i 120/160°C quindi eliminandolo otterremo un burro chiarificato, ottima base per innumerevoli salse (salsa bernese, olandese ecc.) perché sopporta un più alto grado di cottura, utile per estrarre gli aromi senza il rischio di bruciarne le qualità organolettiche.

• Profumare delicatamente in una padella capace poco olio evo con l’aglio, gettarlo e inserire nel pentolino le foglie di timo tritate ed il burro chiarificato, far aromatizzare a fuoco dolce, versare il concassé di zucca violina, aggiungere tre fettine di zenzero spremute con l’apposito attrezzo da cucina per spremere l’aglio, aggiustare di sale e pepe, aggiungere la buccia di mandarino, amalgamare il tutto e verificare il rapporto di equilibrio del sapore dolce piccante, se necessario aggiungere ancora due fettine spremute di zenzero al dolce della zucca e poca acqua.

• Coprire con un coperchio e cuocere max 2 /3 minuti il concassè al dente.

• Lessare gli gnocchi nell’acqua a bollore, quando cominciano a galleggiare scolarli con il ragno* e porli nella padella a fuoco vivace per dare una veloce e delicata spadellata, spegnere e porzionare.

• In un piatto piano mettere la porzione di gnocchi e curarne la presentazione decorativa con il concassè di zucca al burro chiarificato, profumato al mandarino e zenzero. Decorare con violette o fiori eduli e qualche rametto di timo. Per gli gnocchi a quenelle, scolarne e adagiarne tre sul piatto, condire e decorare con creatività come sopra descritto.

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Ingredienti x 4/5 persone:

esecuzione

*Scorza di mandarino: eliminare con un coltellino la parte bianca interna, sbollentare in acqua per 5/6 minuti. Scolare, asciugare e tritare finemente.

*Ragno: mestolo forato con filo di metallo o sintetico, si presenta come una tela di ragno.

Vino in abbinamentoBreganze Pinot Grigio - Monreale Ansonica Soave Superiore - Franciacorta Satin

cucinaSTILE LIBERO

• 1 kg di patate vitelotte• 400 g di pura polpa a cubettini di zucca violina

(concassé minuto)• 150 g circa di farina 00, segue la regola del qb.• 2 albumi (da uova piccole o 1 da un uovo grande)• 80 g di burro chiarificato in scatole di latta nei

supermercati • 2 cucchiai di Parmigiano grattugiato• 15 g di zenzero fresco sbucciato a fettine• 5/6 rametti di timo e alcuni ramoscelli per decoro.

Tritarne le foglie • 1 spicchio d’aglio piccolo schiacciato• 1 cucchiaio di scorza di mandarino *tritata

finemente.• Sale qb.• Pepe nero qb. al mulinello• Olio evo qb.• Violette qb. (piccoli pansè o fiorellini eduli a colori

di contrasto con gli gnocchi)

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Parete verdeUn vero giardino in ufficio

CARLA SBICEGO [email protected]

Si tratta di veri e propri giardini verticali, realizzati con le piante da interni che più piacciono e che contribuiscono a rendere migliore l’aria che si respira. In questo numero di Logyn parliamo della “parete verde”, un modo creativo e salutare allo stesso tempo di arredare l’ambiente in cui trascorriamo buona parte del nostro tempo, l’ufficio!

Questa volta voglio esporre un’idea che covo da moltissimo tempo, ma che finora non era realizzabile per mancanza dello spazio adeguato. Solo che di recente, in azienda, ci siamo ampliati acquisendo una nuova porzione di fabbricato, adiacente a quello attuale, da destinarsi tra l’altro a sala riunioni. Così si rende realizzabile un sogno: arredare tutta una parete con le piante.

La mia idea di parete verde è una composizione verticale di piante da interni che, oltre ad arredare, rimuove in modo naturale le tossine e le sostanze inquinanti dall’aria che respiriamo. Ho già trattato di quanto sia salutare l’utilizzo di piante negli uffici, e sappiamo che particolari essenze sono più benefiche di altre. E la cosa più interessante di questo modo di disporre le piante è che posso scegliere specie che diversamente avrei scartato, per problemi di illuminazione o di umidità. Con questo sistema si spazia dalle felci (la difficile capelvenere) alle orchidee, magari disponendo nella parte più illuminata delle succulente, tipo kalanchoe o schlumbergera (natalina).

Proviamo allora a capire come si fa e come funziona una parete verde. Bisogna innanzitutto isolare la parete scelta perché le piante con la loro umidità possono rovinare il muro. Poi va creata la struttura con gli adeguati supporti, che sono muniti di “tasche” per il terriccio, disposti in modo che l’aria possa circolarvi attraverso così da garantire il filtraggio dell’aria (pulendola da agenti inquinanti) e anche la salute delle piante e delle radici. Per la circolazione dell’aria può essere necessario ricorrere ad un sistema di ventilazione.

Per quanto riguarda l’illuminazione: innanzitutto si valuta su quanta luce naturale si può contare, e poi si predispongono delle lampade apposite, eventualmente corredate di un timer. Le lampade disposte in modo accurato daranno anche risalto alla nostra parete.

Il tutto dovrà essere corredato di un impianto di irrigazione, che servirà anche per concimare le piante. Lo stesso dovrà assecondare le esigenze delle stesse, perciò le piante andranno disposte assecondando le loro esigenze in fatto di luce e di umidità.

Non credo che il fai da te sia proponibile, considerato che sto parlando di una parete di notevoli dimensioni meglio rivolgersi a esperti del settore per evitare un gran pastrocchio.

L’offerta in internet è vasta; data la complessità dell’opera è consigliabile rivolgersi ad un’azienda seria ed esperta che proponga un sopraluogo iniziale, per verificare gli spazi, l’esposizione, i gusti del cliente in fatto di piante (qualcuno promette sopraluogo e preventivo gratuito); progettazione personalizzata, con stima di massima dei costi; installazione; e manutenzione per far durare la composizione nel tempo.

Spero di riuscire, in futuro, a pubblicare le foto dell’opera realizzata.

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MARZO 2015

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ufficioverdeSTILE LIBERO

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Veeam raggiunge risultati record nel 2014 con ricavi pari a $389 Milioni ed una crescita annua del 40%

Milano, 4 febbraio 2015 - Veeam® Software, innovativo fornitore di soluzioni per l’alta disponibilità dei Data Center Moderni (Availability for the Modern Data Center™), ha rilasciato oggi i risultati conseguiti nell’anno fiscale 2014, realizzando ricavi per $389 Milioni, con una crescita del 40% rispetto allo scorso anno fiscale. Inoltre, il quarto trimestre del 2014 rappresenta il 28° trimestre consecutivo in cui i ricavi di Veeam hanno registrato una crescita sequenziale a doppia cifra percentuale.

La release del nuovo Veeam Availability Suite v8 ha notevolmente contribuito a raggiungere questi risultati record con la creazione di una nuova categoria di soluzioni IT: Availability for the Modern Data Center™. L’Availability Suite v8 di Veeam introduce più di 200 nuove funzioni e aggiornamenti, tra cui Veeam Cloud Connect, l’integrazione con NetApp e importanti miglioramenti nella replica dei dati e nel disaster reecovery. Veeam supporta le organizzazioni a diventare Always-On Business™, garantendo tempi di rispristino e point objectives (RTPO™) inferiori a 15 minuti per tutte le applicazioni e i dati, attraverso un modello radicalmente nuovo di soluzione che offre ripristino ad alta velocità, l’eliminazione della possibilità della perdita dei dati, protezione certa, ottimizzazione dei dati e completa visibilità.

“Al giorno d’oggi le attività di business sono in funzione 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana e momenti di pausa non sono mai ammessi. I leader del mercato sono alla ricerca di partner in ambito tecnologico che li aiutino ad essere Always-On Business; il successo di Veeam nel 2014 dimostra chiaramente che offriamo soluzioni innovative di disponibilità di dati (availability) che vincono le sfide reali del business”, dichiara Ratmir Timashev, CEO di Veeam.

“La nostra release di Veeam Availability Suite v8 ha avuto persino più successo di quanto ci aspettassimo, con più di un terzo dei nostri clienti che hanno completato l’upgrade nei primi 60 giorni. È la prova della forte domanda di soluzioni per la disponibilità del data center. Con quasi otto milioni di

macchine virtuali in tutto il mondo la cui disponibilità di dati è garantita da Veeam, stiamo trasformando il moderno data center unendo la virtualizzazione, il cloud e le tecnologie di storage; la nostra crescita continua mostra il successo della nostra visione e della nostra capacità di realizzazione. Il 2014 è stato un anno fantastico, e siamo convinti che il nostro successo continuerà e che raggiungeremo il nostro obiettivo di $1 miliardo di fatturato annuo entro il 2018.”

Ulteriori high-light del 2014:

• Superato $1 Miliardo di ricavi consolidati nella storia dell’azienda: Da quando l’azienda ha lanciato sul mercato il suo primo prodotto nel 2007, Veeam ha generato più di $1 miliardo di fatturato;

• Ricavi significativi da nuove licenze: $288 milioni, che rappresentano una crescita del 33% rispetto allo scorso anno fiscale;

• Ricavi elevati derivati dai rinnovi: $101 milioni, che rappresentano una crescita del 66% rispetto allo scorso anno fiscale;

• 44,000 nuovi clienti: Veeam ha ora più di 135,000 clienti a livello mondiale, aggiungendo una media di 4,000 nuovi clienti ogni mese;

• Forte crescita nel Cloud: Il Veeam Cloud Provider (VCP) Program ha registrato una crescita dei ricavi derivati dal noleggio e abbonamento del 106% rispetto allo scorso anno. Veeam ha ora quasi 6,800 service e cloud provider nel proprio Veeam Cloud Provider (VCP) program a livello mondiale, di cui 2,500 nuovi nel 2014;

• Raddoppiate le nuove licenze Microsoft Hyper-V: crescita del 105% rispetto all’anno scorso;

• Aumento fino a 29,000 di ProPartners a livello mondiale

VeeamON 2015: The World’s Premier Data Center Availability Event, avrà luogo tra il 26 e il 29 Ottobre 2015 presso l’Aria Resort e Casino a Las Vegas, NV. Per il secondo anno consecutivo, Veeam riunirà esperti leader del settore, clienti e partner che avranno modo di apprendere come rendere veramente possibile l’Always-On Business. Le registrazioni sono aperte.

informazione pubblicitaria

Per ulteriori informazioni visitate il nostro sito:http://www.veeam.com/it/

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La matita di Suefumetti

STILE LIBERO

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N. 09 - Marzo 2015pubblicazione bimestrale

Registrazione Tribunale di Treviso n. 201 del 09/11/2012

ROC n. 22990/2012

direttore responsabileLeonardo Canal

responsabile organizzativaGiovanna Bellifemine

hanno collaboratoGian Nello Piccoli, Stefano Moriggi, Stefano Biral, Attilio Cuccato, Alberto Tronchin, Sara Cappellazzo, Riccardo Girotto, Elena Gioco,

Ruggero Paolo Ortica, Lucia Bressan, Andrea Manuel, Luciano Salvadori, Carla Sbicego, Luisa Giacomini, Sue Maurizio.

realizzazione graficaFranco Brunello

segreteria e sede operativaVia Newton 21, 31020 Villorba (TV), telefono 0422.628711, fax [email protected]

editoreEurosystem S.p.A.,

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