Lazialità Maggio 2013

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...di Padre in Figlio Tariffa R.O.C. - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma MAGGIO 2013 • ANNO XXVIII • N° 367 • € 4,90 IL POSTER DI 15 ANNI DI COREOGRAFIE LAZIO La

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...di Padre in FiglioTariffa R.O.C. - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Roma

...di Padre in FiglioMAGGIO 2013 • ANNO XXVIII • N° 367 • € 4,90

IL POSTER DI 15 ANNI DI COREOGRAFIE

LAZIOLAZIOLa

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Lorik Cana è nato a Ðakovica, città del Kosovo, il 27 luglio 1983. A causa della guerra, da giovanissimo fu co-stretto a fuggire con la sua famiglia in Svizzera. Il Guerriero, questo il suo soprannome, cominciò la sua avven-tura, dando i primi calci al pallone in una squadretta messa in piedi da suo padre, Agim, quando si erano stabiliti a Losanna.

I PRIMI PASSIAll’età di sedici anni fu invitato per so-stenere un provino con l’Arsenal, ma non riuscì a parteciparvi per problemi burocratici relativi al visto. Approdò così nelle giovanili del Paris Saint-Germain. Il giovane centrocampista albanese riuscì ad esordire in prima squadra il 19 aprile 2003. Il PSG quel giorno era di scena a Nantes, e Cana giocò da titolare tutta la gara. Furono poi tre le presenze il Ligue1 al termine della stagione. Il 2003 fu un anno davve-ro importante per lui. Pur avendo la possibilità di giocare con la Nazionale svizzera o francese, essendo in pos-sesso di entrambi i passaporti, decise di vestire la maglia dell’Albania. Riuscì a esordire con la Nazionale albanese l’11 giugno 2003, all’età di 19 anni. All’intervallo della gara contro la Sviz-zera, valevole per le qualificazioni a

Lazialità, in questo numero, dedica un focus a uno dei calciatori in rosa che più sta stupendo in questa stagione. Dopo un primo anno passato spesso in panchina e un avvio di stagione sempre ai margini del campo, Lorik Cana si è preso con le unghie e con i denti il posto da titolare. È un ragazzo abituato a lottare, sin da quando era piccolo. Non molla mai, proprio come canta la Curva Nord.

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di Bruno Boccolini - Foto: Inside Foto

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Il Guerrierobiancoceleste

LORIK CANA FOCUS

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Lovati, Colombo, Lo Buono, Carradori, Pinardi, Pozzan (poi rilevato da Napoleoni), Bizzarri, Ta-gnin, Tozzi, Burini e Prini. In fondo è giusto co-minciare da qui, dalla formazione che il 7 giugno del ’58 iniziò – dominando il Palermo all’Olimpi-co – il girone di qualificazione della Coppa Italia. Una avventura romanzata, nel solco delle storie coinvolgenti vissute dalla Lazio nei suoi 113 anni di vita. Sei partite disputate tra giugno e luglio, poi le vacanze e la fase finale della competizione piazzata a settembre. Dunque con rose rinnova-te, giocatori ceduti o acquistati. L’ultima edizione della Coppa Italia era stata giocata nel ’43. Poi le bombe, i crateri e le lace-razioni della guerra, giustamente, avevano fatto evaporare qualsiasi velleità agonistica. Il ritorno della Coppa Italia – con una formula rivoluzio-naria – venne deliberata nella primavera del ’58, complice l’eliminazione subita dalla Nazionale nel girone di qualificazione dei Mondiali di Stoc-colma. La Serie A, all’inizio di quella stagione, era stata anticipata, come, ovviamente, risul-tava anticipato, rispetto al passato, l’epilogo del torneo. Nessuno poteva immaginare che la Nazionale fosse eliminata dall’Irlanda del Nord,

neppure parten-do per i Mondiali di Svezia. Così i vertici del calcio italiano – anche per far dimenticare agli sportivi quella scia-gurata eliminazione – decisero di ripristinare la Coppa Italia, asse-gnando una coccarda tricolore come elemento distintivo per chi avesse trionfato. Ecco, insomma, un altro vanto della Lazio: fu la prima squadra italiana ad appuntar-si sul petto la coccarda bianca, rossa e verde, fino ad allora mai indossata da nessuno. Otto gironi da quattro squadre, partite di andata e ri-torno: le vincenti di quei raggruppamenti si sa-rebbero poi sfidate dopo l’estate, a settembre, per contendersi il trofeo. La Lazio aveva chiuso col cuore in gola la sta-gione 1957-58: salvezza ottenuta sul filo di lana, grazie a un quattro a zero contro il Vero-na, all’Olimpico. Stagione altamente negativa:

società indebitata, una altalena di alle-natori in panchina (Ciric, poi il tan-dem Canestri-Monza), poche

prospettive, dirigenti in sub-buglio. Insomma, la squadra che, tra il ‘55 e il ‘57, era giunta al mozzo delle grandi, timbran-do per due volte di fila il terzo posto, era ormai un flebile ricordo. Non ci voleva un indovino per intuire che le stagioni a venire sarebbero state complicate. Come, puntualmente (e purtroppo) accadde.Per questo l’onda lunga di quell’estate, coinci-sa con la vittoria del primo trofeo della storia, apparve come una sorta di magia. Ad aprile del ’58, un mese prima della fine del campionato, la Lazio aveva riabbracciato Fulvio Bernardini, affidandogli la panchina per la nuova stagio-

Estate del ’58, la Lazio cede Selmonsson alla Roma. Polemiche feroci, tifoseria in subbuglio. Ma la squadra inizia il girone di Coppa, qualificandosi imbattuta per i quarti di finale. Humberto Tozzi,il trascinatore. Lovati, la saracinesca. Bizzarri e Burini, ecco altri gol. La sagacia dell’allenatore

Bernardini. Da settembre si fa sul serio: la prima coccarda tricolore affascina. Eliminato il Marzotto, ecco la Juve in semifinale. Si accendono le fiaccole per una notte da re: Tozzi e Fumagalli

stendono Boniperti e Charles. Ecco la finalissima, contro la favorita Fiorentina. Viola sorpresi dall’ardore della Lazio. Segna Prini, è l’apoteosi. Ancora le fiaccole, ancora luci sull’Olimpico. Bob, capitano di quell’avventura, alza al cielo il primo trofeo della storia biancoceleste. Ricordi in bianco

e nero, foto struggenti, ricostruzioni e aneddoti: una storia da leggere tutta d’un fiato…

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www.novegennaiomillenovecento.it

è la primaCOPPA ITALIA

è la prima è la prima è la prima è la prima è la prima è la prima è la prima è la prima è la prima è la prima è la primaFiaccole all’Olimpico,

IL RICORDO di Giorgio Bicocchi

Il capitano Lovati e l’allenatore Bernardini, con l’immancabile sigaretta in mano, mettono in posa il primo trofeo della storia della Lazio

La prima pagina de “Il Corriere dello Sport” del 25 settembre ‘58, il giorno dopo la finalissima

La storica formazione della Lazio del ‘58. Da sinistra, in piedi: Lovati, Janich, Fumagalli, il Presidente Siliato, Tagnin, l’allenatore Bernardini. Accosciati Tozzi, Lo Buono, Bizzarri, Pozzan e Prini. Nella foto mancano altri due protagonisti: Carradori - che venne espulso - e l’infortunato Pinardi

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ne. E proprio Bernardini schierò, all’inizio di giugno, la formazione che debuttò nel girone di qualificazione di Coppa Italia. Un raggrup-pamento contraddistinto da criteri geografici: quattro squadre appartenenti al Centro-Sud. Ecco sfornato allora quel girone, composto da Lazio, Roma, Napoli e Palermo. Il calendario assegnò alla Lazio le prime due gare in casa, contro rosanero e azzurri. Cinque gol al Paler-mo, al debutto, con doppiette di Tozzi e Burini e altra marcatura di Napoleoni. Otto giorni dopo arriva il Napoli di Amadei. In campo c’è Pesa-ola, l’arbitro è un giovanissimo e predestinato Concetto Lo Bello. Altra doppietta di Tozzi, bis-sata poi dalla prodezza di Tagnin. Due partite, due vittorie. Ma questa è la Lazio che, fino allo scorso mese, ha rischiato di retrocedere, si chiedono i quotidiani? Arriva il derby e la Lazio non si ferma: vince tre a due al termine della solita partita nervosa. Cinquantamila spetta-tori all’Olimpico, Da Costa buca come sempre Bob Lovati ma Tozzi sale in cattedra, segnando altri due gol. La Roma pareggia ma Bizzarri, alla fine, sigla il gol-partita. Si va a Palermo e la Lazio gioca una gara di carattere, rimontan-do due volte, con Tozzi e Burini.Quattro partite, sette punti, imbattuta, l’acces-so ai quarti vicino. Tre i giocatori che maggior-mente incidono in quel cammino spettacolare: Tozzi, Burini e Bizzarri. Due volte capocanno-niere del campionato paulista, Humberto Tozzi venne ingaggiato a peso d’oro dal Presidente Tessarolo. Un centravanti-crack: avesse vissu-to da atleta e al pari col suo bagaglio tecnico sarebbe diventato un campione assoluto. In-vece alternò, in carriera, gare straordinarie ad amnesie imbarazzanti. Il suo impatto, in quella

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Coppa Italia, fu devastan-te: 10 reti in 9 partite. Sem-plicemente immarcabile.Finì in miseria, morendo a soli 46 anni, nel 1980, a Rio de Janeiro. Se Ghiggia ave-va dissipato tutti i suoi ave-ri, trovando però la dignità di lavorare in un garage per sopravvivere, Tozzi morì sen-za un soldo, malato gravemente. Renzo Burini, classe ’27, arrivò alla Lazio dal Milan. Uno di quegli ingaggi imprevisti, salutati dalla piazza con scetticismo. I rossoneri lo cacciarono qua-si con ignominia dopo un infortunio al piede. Non lo ritenevano più in grado di essere deci-sivo. Invece Burini, a Roma, ritrovò se stesso, finendo per giocare quasi 150 partite in bianco-celeste, vincendo la Coppa Italia del ’58 a tren-tuno anni. Claudio Bizzarri, teramano, classe ’33, era un’ala atipica. Non veloce, guizzante ma compatta fisicamente. Quasi una mezz’ala aggiunta, un centrocampista di copertura. Con un tiro preciso e niente male.Bene, con una difesa registrata e un attacco che segnava a mitraglia, la Lazio, il 6 luglio del ’58, scese al San Paolo per acciuffare, con un turno di anticipo, la qualificazione ai quarti di Coppa Italia. Obiettivo raggiunto, quattro a zero, tre gol segnati addirittura nei primi 45’. Una doppietta di Burini, poi Pozzan e Bizzarri.

Al ritorno, sul pullman, con la qualificazione in tasca, in pochi pensavano al der-by con la Roma che avreb-be chiuso il girone.Fu invece nelle ore ante-cedenti alla stracittadina di Coppa (peraltro ormai ininfluente) che la Lazio visse alcune delle gior-nate più scivolose della sua storia. Complici i

debiti ormai improcrastinabili e una si-tuazione economica complessiva preoccupan-te, il presidente Siliato cedette Selmonsson alla Roma per 135 milioni di lire. Uno smac-co per tutti, soprattutto per i più piccoli che avevano eletto “raggio di luna” loro beniami-no, già ritratto da molti giornali, in vista della stagione imminente, con l’ennesima maglia della Lazio addosso. Fu una notte tempesto-sa: camionette della Celere schierate sotto la sede di via Frattina, il presidente Siliato quasi scortato. E l’indomani sera era in programma il derby proprio contro la Roma. Tribuna Mon-te Mario, di parte laziale, in ebollizione: decine le monetine, a mo’ di scherno, lanciate verso Siliato. Selmonsson, intanto, si godeva in pa-tria il suo ingaggio da romanista: un milione al mese, come vivere, allora, da veri nababbi. Fu derby strano, quello del luglio del ’58, au-tografato da Tozzi e Da Costa. Lazio nei quarti, sorprendentemente: a settembre la corsa alla prima coccarda tricolore sarebbe ripresa. Ecco

il sorteggio, fortunato: Lazio contro Marzotto, la squadra di Valdagno che militava in Serie B: un piccolo miracolo agonistico. Colori biancaz-zurri anche per i rivali ma la Lazio non con-cesse sconti. Fumagalli e Tozzi regalarono la qualificazione alla semifinale. Domenica 14 settembre ’58: riecco Concetto Lo Bello come direttore di gara. Juve super favorita, ci sono Boniperti, Sivori e Charles. Non sono però spauracchi: la Lazio di Ber-nardini gioca col cuore in mano. Nella ripresa segnano Tozzi e Fumagalli, come col Marzotto. È notte e l’Olimpico accende migliaia di fiac-cole per festeggiare l’evento, Lazio in finale di Coppa Italia. Dieci giorni dopo, l’epilogo: Lazio contro Fiorentina. Anche qui pronostico ribal-tato. Viola sorpresi, irretiti, sconfitti. È un gol di testa di Maurilio Prini a regalare alla Lazio il primo trofeo della storia. Carradori espul-so, Pinardi infortunato. Mischie furiose nella ripresa, con Lovati che svettava di pugno o in presa alta: un gigante. Si giocò alle quattro di pomeriggio, con una temperatura elevata. Al tramonto, dopo la premiazione - con il Com-missario Straordinario della Federcalcio, Zauli, che consegnò a Siliato il trofeo - altra fiaccola-ta maestosa, bissata da una grande festa per le strade di Roma.Bob e Bernardini alzarono la prima, storica e romantica Coppa Italia. Passeranno qua-rant’anni prima che Sandro Nesta ripeta quel gesto, primo trofeo dell’era Cragnotti. Poi al-tre tre volte: con Sven, Mancio e Delio Rossi in panchina.

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L’eleganza nel palleggio di Franco Janich

www.novegennaiomillenovecento.it IL RICORDO

Il fotogramma del gol vincente di Maurilio Prini nella finalissima

contro la Fiorentina

La Coppa Italia del ‘58 con il nome, inciso, della Lazio

Bernardini e il massaggiatore Fortunati soccorrono l’infortunato Pinardi

Cinque finali di Coppa Italia vinte, una perduta: insomma, i cultori della scaramanzia possono esultare perché non arriveremo a fine maggio - all’atto conclusivo di una en-nesima coccarda tricolore - col “pedigree” immacolato. Una prima volta, seppur ne-fasta, c’è già stata, vissuta quarantadue anni fa, contro la Fiorentina che, in finale, sul proprio campo, si prese una solenne rivincita sulla Lazio che aveva battuto i viola tre anni prima, colorando di biancoceleste la prima Coppa Italia.Nel cammino verso la finale di Firenze – in quella stagione – la Lazio aveva provato a ribaltare il senso di una annata disgraziata, coincisa con la prima, tragica retrocessione in Serie B. Appena diciotto punti messi assieme in campionato, solo cinque vittorie, addirittura undici stop subiti a domicilio, in un Olimpico progressivamente sempre più vuoto e deluso. Tre cambi tecnici in panchina (Bernardini, poi un mese con Flamini prima di Carver, direttore tecnico fino alla fine), una squadra mal costruita, una società alle prese con emorragie finanziarie. Per questo, in fondo, fu sorprendente il cam-mino della Lazio in Coppa Italia. Iniziato a metà marzo, negli ottavi di finale, contro il Como all’Olimpico. Quattro gol, segnarono due volte Rozzoni e poi Morrone e Carra-dori. I quarti ci condussero a San Siro, ospiti dell’Inter. Nerazzurri in crisi in campio-nato ma pur sempre dotati di grandissimi campioni. Bene, Morrone sorprese Herrera dopo quattro minuti, la Lazio poi eresse un fortino invalicabile, battendo e i nerazzurri a domicilio. Semifinale conquistata, alla faccia dei pronostici. 10 maggio del ’61, Lazio-Torino. Tempi regolamentari chiusi sull’uno a uno. Segnò Carradori ma non bastò. Dal dischetto fummo più precisi dei granata: finì sei a cinque dopo i rigori. La finalissima della Coppa Italia ’61 avrebbe così messo nuovamente di fronte Fiorentina e Lazio. L’11 giugno la Lazio scese in campo con questa formazione: Cei, Molino, Eufemi, Carradori,

Janich, Carosi, Mariani, Franzini, Rozzoni, Prini e Mattei. I viola vinsero due a zero: partita senza storia. L’unica finale di Coppa perduta.

GIUGNO ’61: LA FINALE PERSA A FIRENZE

Il brasiliano Humberto Tozzi:

realizzò 10 gol in 9 partite di

Coppa, contribuendo al trionfo

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Continuano le grandi esclusive targate Lazialità. Dopo Rocchi, Scaloni e Zoff è il turno di uno dei più forti centrocampisti italiani che la Lazio abbia avuto negli ultimi anni: Stefano Fiore. Dalle opinioni sulla Lazio attuale ai ricordi del suo periodo in biancoceleste, coronato dalla vittoria della Coppa Italia 2003/2004 da assoluto protagonista. Ma non solo... Insomma, uno Stefano Fiore a tutto tondo.

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di Vincenzo Oliva - Foto: Inside Foto

“La mia cessione al Valenciasalvò la Lazio”

ESCLUSIVA

Ciao Stefano, per me è un vero pia-cere ritrovarti dopo un po’ di tempo... Innanzitutto come stai?Tutto bene grazie. Da un paio d’an-ni ho smesso di giocare a pallone e sono impegnato in questo nuovo ruolo come Direttore Sportivo del Cosenza. Dopo il fallimento della società, il Sin-daco mi ha chiesto di dare una mano alla squadra della mia città, ed io non mi sono certo tirato indietro.

Cosa pensi della stagione disputata sin qui dalla Lazio?Mi sembra di poter dire che la stagione sia stata positiva. Certo, questa è una valutazione fatta da esterno... Non so che tipo di obiettivi si fosse prefissata la società ad inizio anno, ma, almeno per la prima parte del torneo, la Lazio ha rappresentato una delle più belle realtà del calcio italiano. Purtroppo poi ha pagato i tanti infortuni e i cali fisici dei suoi uomini migliori.

Credi che la società, visto l’evidente calo subìto nel 2013, abbia qualcosa da rimproverarsi?

Credo sia un dato di fatto che, da tre anni a questa parte, si ripeta sempre questa circostanza... La squadra è tra le primissime a gennaio, salvo poi ral-lentare nella seconda parte dell’anna-ta calcistica. Non sono certo io a dover giudicare queste situazioni, ma credo che la Lazio di quest’anno non potesse competere né per lo Scudetto, né per la

Champions League. È veramente tanto il divario da Juventus, Milan e Napo-li... Se invece era nelle intenzioni della società competervi, è indubbio che ci siano stati degli errori di valutazione.

Che opinione ti sei fatto circa la vi-cenda dei fuori rosa?Esprimo un concetto generale, non specifico. Secondo me, dal momento che hai un calciatore sotto contratto, è assurdo non utilizzarlo. Non ne trae vantaggio nessuno... Né la società che è costretta a non utilizzarlo, né il gio-catore stesso che è costretto ad alle-narsi a parte.

Forse Petkovic avrebbe dovuto bat-tere i pugni...Ma sai, l’allenatore è un dipendente, e come tale è difficile che vada contro la propria società. In Italia purtroppo la sua figura non è ancora così impor-tante come lo è in Inghilterra, dove, oltre al ruolo di campo, svolge un ruo-lo da vero e proprio manager.

Che giudizio dai al tecnico biancoce-leste?Più che positivo. Mi è piaciuto da su-bito, si è posto bene, con intelligenza, equilibrio e pacatezza. Non era facile adattarsi immediatamente alle pres-sioni dell’ambiente romano e ai tat-ticismi del calcio italiano, ma lui ci è riuscito molto bene.

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ANNO SQUADRA PRESENZE RETI1992/1994 Cosenza 10 11994/1995 Parma 8 11995/1996 Padova 24 11996/1997 Chievo 38 21997/1999 Parma 64 41999/2001 Udinese 67 182001/2004 LAZIO 95 172004/2005 Valencia 20 22005/2006 Fiorentina 38 62006/2007 Torino 19 12007 Livorno 16 22007/2008 Mantova 24 32009/2011 Cosenza 44 9

LA CARRIERA

STEFANOFIORE

17 Marzo 2003: Stefano Fiore viene festeggiato da Giannichedda e Liverani dopo il gol del vantaggio

nell’andata della finale di Coppa Italia contro la Juventus

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Diego Galdino, professione barista. Sulla carta, almeno. Ma non di fatto. Diego racconta storie, di quelle che quasi non si leggono più, che tanto fanno appassionare da non vedere l’ora di leggere la pagina successiva. L’amore per la lettura da bambino, la passione per la scrittura trasformata in un secondo lavoro da grande: la vita di Diego si divide tra il bar che gestisce con il padre e l’attività di scrittore che, dopo tanti sacrifici, l’ha fatto approdare all’interno di un’importante casa editrice. Nonostante tutto, però, “Mister non ci posso credere” ha una passione che va oltre ogni cosa: la Lazio, squadra che gli fa vivere emozioni irripetibili e indescrivibili. L’abbiamo incontrato, parlato della sua ultima fatica letteraria e dedicato uno spazio opportuno anche alla sua passione calcistica.

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di Valentina Clemente - Foto: Mirta Lispi

Lo scrittore-barista Diego Galdino si racconta a Lazialità

INTERVISTA

“Il primo caffè del mattino” è una storia ro-mantica, di quelle che quasi non si raccon-tano più. Perché hai scelto di intitolarla pro-prio così? E soprattutto, perché hai deciso di buttarti in questo filone?La mia ultima fatica? È un’autentica comme-dia romantica! Per fare un paragone cinema-tografico, è una storia molto simile a “Harry ti presento Sally” e “Notting Hill”. È un racconto che si snoda nel Rione Trastevere, il prota-gonista è un barista (bello, 30 anni…in poche parole: non sono io!), che vive in un “microco-smo alla amatriciana”, dove i clienti entrano a far parte della sua famiglia. Crea un auten-tico connubio di sentimenti con le persone che frequentano il bar. Questa “bolla” viene incrinata e sconvolta da una ragazza che vie-ne da Parigi, capitata lì per un motivo preciso che nessuno conosce (forse nemmeno lei) – la donna si ritrova in questa centrifuga alla “volemose bene”, nonostante sia un’eremita dei sentimenti visto che rifugge ogni contatto umano per varie problematiche che ha avu-to durante l’infanzia. Non vuole conoscere nessuno. Addirittura nella sua casa di Parigi ha soltanto un cucchiaio, una forchetta, un bicchiere, una sedia proprio perché non vuo-le interagire con altre persone. Poi, però, si trova in un contesto dove il contatto umano è proprio alla base della vita quotidiana. Viene, però, inconsciamente catapultata in questo ambito così diverso rispetto a quello a cui è abituata, in un rione come Trastevere dove tutti si prendono in giro…insomma: un vero trauma! Il barista rimane folgorato da questa bellissima ragazza che, però, non beve caffè. Lei beve solo thé nero alle rose, che porta in un thermos da viaggio. Il giovane, quindi, deve

provare a conquistarla, sapendo che non par-la italiano e che, soprattutto, non beve caffè. Prova a creare le situazioni quando lei passa al bar ma è difficile anche a causa delle prese in giro dei clienti. Poi un giorno, però…lascia-mo un po’ di pathos ai lettori ora! Con questo libro ho voluto fare un omaggio alla mia cit-tà, ai suoi abitanti, all’amore, all’amicizia. Ho portato questo bar a Trastevere: i clienti che descrivo sono persone reali, che passano qui. Il titolo che ho scelto è dovuto anche al la-voro che svolgo abitualmente. Il primo caffè del mattino è sacrale, un rito: il barista ten-de sempre a bere il primo caffè, che dà inizio alla giornata e sempre con la stessa bevanda fa iniziare la giornata a tanti altri avventori. Ognuno lo prende alla sua maniera, ciascuno ha il suo gusto: compito del barista, a volte difficile, è proprio ricordare i dettagli dei pro-prio clienti.

Tre aggettivi che descrivono la tua ultima opera. È una bella domanda, aiuto! Romantica, dol-ce e perseverante. Una commedia romantica sulla carta che si snoda tra le vie di Roma. Il protagonista si fa “aiutare” proprio dalla sua città per conquistare questa ragazza, quasi burbera ma che, alla fine…

“Il primo caffè del mattino” è un romanzo che per te segna il passaggio nei “grandi” della scrittura. La prima reazione quando ti hanno detto: la Sperling&Kupfer pubbli-cherà il libro.Quando ha chiamato il mio agente letterario, la prima cosa che mi ha chiesto è stata: stai seduto? Dopo averla ascoltata attentamen-

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Diego Galdino da bambino con il papà e Franco Nanni

“PREMIO STREGA O SCUDETTO DELLA LAZIO?

NESSUN DUBBIO: SCELGO IL SECONDO!”

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“Parto da Roma con il cuore spezza-to in due, metà colmo di felicità, metà di rammarico. Ho trascorso cinque giorni indimenticabili, toccando con mano quanto affetto, quanta passione circondano ancora, a quasi 40 anni di distanza, la figura di mio padre. Ero arrivato venerdì scorso per essere accanto a Franco Recanatesi nella

presentazione della biografia di papà alla quale io e tutta la famiglia ab-biamo collaborato. Ma poi sono stato letteralmente inghiottito da un tifo e da una città che il nome di Chinaglia custodiscono nel cuore. L’ho capito andando all’Olimpico a ve-dere Lazio-Catania (e sono contento di avere ancora una volta portato for-

tuna alla mia squadra), partecipando a trasmissioni tv e radiofoniche, al Campidoglio dove sono stato onorato di una medaglia-ricordo di Roma Ca-pitale dedicata agli ospiti di riguardo. L’ho capito dalla folla e dalle commos-se parole di Pino Wilson alla messa in memoria di mio padre e di Bob Lovati. L’ho capito, infine, dalla cena con i ra-

GEORGE CHINAGLIA JR

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gazzi del ‘74 per i quali Giorgio China-glia è tuttora uno di loro, un amico, un compagno di gioco. Dopo tutte queste manifestazioni d’affetto, mi sento, se possibile, ancor più laziale, legato in-dissolubilmente ai colori della squa-dra di mio padre. Vicino ai tifosi che mi hanno fermato chiedendomi di posare con loro con la sciarpa bian-coazzurra al collo. Vicino alla società che mi ha fatto trascorrere una ma-gnifica giornata al centro di Formel-lo. Vicino ai giocatori di Petkovic. Mi sono emozionato quando Miro Klose è uscito dal campo d’allenamento per venirmi a salutare dicendomi che Chi-naglia è per la Lazio una leggenda. Il mio grande rammarico è di non poter assistere al derby per impegni di lavo-

ro a Boston, ma sarò all’Olimpico con tutto il mio cuore”.

Questa è una parte del saluto com-mosso che George Chinaglia Jr, figlio del grande Long John, ha fatto ai tifosi della Lazio prima di tornare a Boston, attraverso le pagine de “Il Corriere dello Sport”. Tornato a Roma esat-tamente un anno dopo la scomparsa del papà, George Jr ha preso parte a numerose iniziative con lo scopo di preservare nel tempo il ricordo e il nome del mitico numero 9 biancoce-leste. Accompagnato dalla giornalista e, per l’occasione, interprete Valentina Clemente, George Jr ha vissuto una settimana indimenticabile. Riviviamo-la insieme.

IO SONO GIORGIO CHINAGLIAIl primo in ordine cronologico di una lunga serie di appuntamenti è stato la presentazione del libro di Franco Re-canatesi, “Io sono Giorgio Chinaglia”. Giusto il tempo di posare i bagagli in hotel e poi via di corsa all’incontro con l’autore della biografia, Franco Reca-natesi, ed Enrico Montesano, ospite d’eccezione. “Ringrazio Franco per aver scritto questo libro – ha detto-Giorgio Jr -. Mio padre è probabilmen-te il più grande giocatore nella storia della Lazio, è quello che ha dato più di tutti a questa squadra. La cosa bella di mio padre è che è riuscito a instau-rare un rapporto unico con i compagni e con i tifosi. Mi manca tantissimo, fa-remo il possibile per mantenere viva

Esattamente un anno dopo la scomparsa del padre, George Chinaglia Jr è tornato a Roma per partecipare a numerose iniziative ed eventi in ricordo del mitico numero 9 biancoceleste. Lazialità vi racconta tutti gli eventi organizzati in memoria di Long John: dalla biografia, “Io sono Giorgio Chinaglia”, alla partita Lazio-Catania vissuta sugli spalti dell’Olimpico, dalla chiacchierata con il nostro direttore, Guido De Angelis, ai momenti passati a RadioSei e negli studi di Teleroma 56 con “Lazialità in tv”, passando per la messa nella chiesa del “Cristo Re”, fino ad arrivare alla partita di calciotto giocata contro Giancarlo Oddi.

“L’amore dei laziali mi ha dato la forza per andare avanti”

di Valerio Alessandro Cassetta

GEORGE CHINAGLIAJUNIOR:

Ottobre 2005: Giorgio Chinaglia negli studi di Teleroma 56, ospite del nostro Guido De Angelis in “Lazialità in TV”

Aprile 2013: George Chinaglia Jr come il padre quasi otto anni prima, a Lazialità in TV

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SPECIALE DERBY

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Lo scorso 8 aprile si è giocato il derby di ritorno tra Roma e Lazio. Per l’occasione, la Curva Nord ha mostrato una meravigliosa e imponente scenografia, da molti considerata la più bella di sempre. Un’immagine emozionante che riassume in maniera perfetta la vera essenza della lazialità. In campo il match è finito 1-1.

Sugli spalti non c’è mai stata partita…

di Stefano Morelli - Foto: Gianni Barberi

la squadra dei padri,la fede immortal!

Dal 1900...

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DI PADRE IN FIGLIODoveva essere un derby normale, seb-bene la storia maestra di vita insegni che ogni stracittadina è diversa dalle altre. Per molti, comunque, la sfida di ritorno tra Roma e Lazio non è stato che l’antipasto della storica finale di Coppa Italia. Si arriva così al confron-to, data e ora della gara: 8 aprile 2013 alle 20.45. Le due Curve sono all’inter-no dell’Olimpico già due ore prima del fischio d’inizio. Cori di scherno, stri-scioni goliardici e un po’ di sano sfottò

tipicamente romanesco caratterizza-no il solito, vibrante pre-partita. Poi, proprio mentre risuona l’inno della squadra giallorossa, la Nord srotola il suo telo. È il tripudio. Compare un padre, accovacciato. Ha una sciarpa biancoceleste al collo ed è raffigurato mentre allaccia gli scarpini da calcio al figlioletto. La prima reazione dei presenti è lo stupore. Tutti, anche i “cugini”, non possono fare a meno di rimanere a bocca aperta. Dieci minuti di spettacolo puro. Sotto la gigantesca

scenografia è esposto uno striscio-ne: “Dal 1900…la squadra dei padri, la fede immortal!”. La Lazio scende in campo, durante il primo tempo at-taccherà da sinistra verso destra, da Curva Nord verso Curva Maestrelli. Ma ancor prima che l’arbitro dia il via alle ostilità, i ragazzi di Petkovic sono già in vantaggio. Anzi, hanno già vinto.

LA PREPARAZIONEFacciamo un passo indietro. Mai come questa volta gli ultras laziali hanno

Fasi della preparazione della coreografia. I ragazzi della Nord all’opera in un gigantesco garage

La scenografia immortalata dai piedi della Curva... ...continua

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