Lazialità Giugno - Luglio 2012

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Anteprima Lazialità del mese di Giugno - Luglio 2012

Transcript of Lazialità Giugno - Luglio 2012

gennaio 2012, quando viene sollevato dall’incarico. La squadra retrocede lo stesso, mettendo in luce le poche responsabilità del tecnico sui risultati di certo non esaltanti. Nel Maggio di quest’anno torna in Svizzera al Sion, penultimo in classifica a causa di una penalizzazione di 36 punti per illeciti commessi in Europa Leauge. La salvezza insperata viene con-quistata grazie ai play out dove i suoi uomini in un doppio confronto hanno la meglio dell’Arau (vitto-ria per 3 a 0 all’andata e sconfitta indolore per 1 a 0 al ritorno). Il resto è storia recente, anzi recentissi-ma. Un contratto di 600mila euro l’anno lo legherà alla Lazio per le prossime due stagioni. “Allenare in Serie A sarebbe un sogno, mi piacerebbe proporre

il mio modo di fare calcio. In Italia c’è una cultura difensivista, vorrei portare delle innovazioni con il mio gioco offensivo” ha dichiarato appena sapu-to dell’interesse da parte della società capitolina. Quel gioco offensivo tanto richiesto dai tifosi laziali, spesso critici nei confronti di Reja per un atteggia-mento troppo attendista. Il suo modulo preferito è il 3-4-3 con esterni che spingono ed attaccanti lasciati liberi nella fase offensiva di scatenare tutto il loro potenziale. Petkovic ha già studiato quella che sarà la sua nuova squadra, conosce a perfezione i giocatori e non vede l’ora di allenare Hernanes, del quale è un profondo estimatore. Al Sion, non ha voluto stravolgere l’assetto tattico continuando con il 4-2-3-1 dell’allenatore a cui è subentrato; a Roma sarà molto più facile vedergli adottare mo-duli maggiormente propositivi come ad esempio il 4-3-3 o il 3-4-1-2. “Vlado è un genio” sono state le parole di Lulic, appena saputo dell’interessamento di Lotito verso il suo ex allenatore ai tempi dello Young Boys. Senad è entusiasta di ritrovare il suo maestro, grazie al quale è esploso ed ha comincia-to a mettersi in mostra. Vladmir Petkovic: un tipo silenzioso, ma che sa parlare chiaro; un sergente che sa farsi rispettare dai propri calciatori. Capelli brizzolati alla Mourinho e mascellone alla Capel-lo se lo si vuole descrivere fisicamente; “190 cm di personalità e carattere” assicurano coloro che hanno avuto modo di lavorarci insieme. “Il Dotto-re” è pronto... l’occasione più importante della sua vita non è che all’inizio.

Prima conferenza stampa per Vladimir Petkovic, il nuovo allenatore della Lazio, che dopo aver posato con Olympia e una sciarpa biancoceleste, ha preso parola nella sala stampa al Centro Sportivo di For-mello per rispondere alle domande dei giornalisti presenti, accorsi numerosissimi per le prime paro-le dell’ex mister del Sion, tanto da esaurire i posti a sedere. A presentarlo il ds Igli Tare. “Buonasera, sono contento di fare questa presentazione dopo la vittoria di ieri della Primavera, che ci dà un pò di allegria. Ringrazio tutti voi per essere qui in sala per la presentazione del nuovo tecnico. Un allenatore che sicuramente per molti di voi è una novità. Ho sentito con interesse i commenti su di lui e sul suo staff. E’ stata una scelta coraggiosa basata sui fatti che abbiamo seguito nel tempo. Lo conosco da più di due anni, ho avuto modo di vederlo quando seguivo Lulic ed ho potuto apprezzare il gioco che propone. Ne sono rimasto colpito. Il lavoro svolto da Reja è stato molto importante. Oggi però ab-biamo voluto portare alla Lazio un simbolo di lavo-ro, umiltà, un uomo con le idee ben chiare. Spero che possa proseguire il lavoro fatto negli ultimi due anni e portare la Lazio davvero in alto nel calcio italiano ed europeo”. Parla Petkovic: “Buonasera a tutti, penso che per me sia molto importante essere arrivato a questo punto della carriera. Ho fatto un salto di qualità e voglio dimostrare il mio valore. Sono davvero onorato di allenare la Lazio, una squadra con 112 anni di storia. Negli ultimi

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Vladimir Petkovic il nuovo mister della LazioLa Lazio finalmente ha il suo nuovo allenatore: Vladimir Petkovic. Il tecnico che ha lanciato Lulic è pronto ad incendiare i cuori dei tifosi biancocelesti con il suo gioco offensivo e proteso verso la spettacolarità. Conosciamolo

meglio attraverso la sua storia e le sue prime parole da laziale

LA CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE

di Carlo Roscito

Nome: Vladimir. Cognome: Petkovic. È questo l’identikit del nuovo allenatore della Lazio. Dopo l’addio di Reja, in casa biancoceleste è scattato il toto-allenatore. Un’eredità pesante quella lasciata dal tecnico goriziano, il quale è riuscito a riportare la squadra in Europa League per due anni consecu-tivi, dopo averla salvata dall’incubo della retroces-sione subentrando a Ballardini. Tantissimi i nomi dei papabili sostituti: Zola o Dunga? Di Matteo o Ze-man? Mazzarri o Van Gaal? Niente da fare, stampa e addetti ai lavori completamente spiazzati... il mister X è Petkovic. L’allenatore bosniaco ha superato la concorrenza di candidature più o meno illustri ed ora è pronto a mostrare il suo valore anche nella capitale. Ma chi è davvero Vladmir Petkovic? Andia-molo a scoprire e a conoscere meglio, analizzando la sua storia ed il suo modo di intendere il calcio. “Il Dottore” (questo il suo soprannome) nasce a Sarajevo il 15 Agosto del 1963. Da centrocampista, vince nella stagione 1984/85 il campionato jugosla-vo con la maglia del Sarajevo, prima di trasferirsi in Svizzera dove, a partire dal 1987, vestì le maglie

di Chur 97, Sion, Martigny, Bellinzona, Locarno e Buochs. Terminata la carriera da calciatore, riceve la cittadinanza svizzera trovando inizialmente un ingaggio nel doppio ruolo di giocatore-allenatore del Bellinzona e poi come tecnico del Malcanto-ne Agno dove, nel 2003, centra la promozione in Challenge League. La stagione seguente siede sulla panchina dell’AC Lugano conquistando l’ottavo posto nella serie cadetta elvetica. Nel 2005 tor-na al Bellinzona, con il quale riesce, dopo un nono posto nel primo anno, a raggiungere nel 2006/07 la seconda posizione in classifica, approdando ai play-off per la promozione in Super League, poi persi contro l’Arau. Nel 2008 stessa storia, ma con finale diverso: lo spareggio contro il San Gallo è un suc-cesso e Petkovic può festeggiare l’ascesa al massi-mo campionato svizzero. La società, però, non lo riconferma e lui trova incarico alla sesta giornata di campionato allo Young Boys, dove sostituisce l’esonerato Andermatt rimanendoci fino al 2011, quando raggiunge i preliminari di Champions Le-ague, venendo eliminato dal Tottenham. Terminata l’avventura, Vlado tenta l’esperienza in Turchia sulla panchina del Samsunspor, squadra che guida fino al

MERCATO

LA CARRIERA DA ALLENATORE DI PETKOVICSTAGIONE

2004/20052005/20062006/20072007/20082008/20092009/20102010/20112011/2012

TOTALE

CLUB

LUGANOBELLINZONABELLINZONABELLINZONAYOUNG BOYSYOUNG BOYSYOUNG BOYSSAMSUNSPOR

PARTITE

3423344041424822

284

% DI VITTORIE

4148626066694614

53

Buongiorno Presidente. 9 Gennaio 1900 e 9 Gennaio 1940, la Lazio era già scritta nel suo destino. Come si è avvicinato alla squadra biancoceleste?L’amore mi venne trasmesso da mio fratello Giovanni, il quale mi dette l’idea di diventare presidente della Lazio e che durante i primi anni della mia presidenza si occupava della gestione calcistica, io mi occupavo solo della gestione economica del club. Possiamo dire che la pri-ma campagna acquisti fu fatta da lui, in prima persona. Conduceva in prima persona anche la squadra, e partecipava agli allenamenti, la mia era solo una partecipazione di supporto economico finanziaria e non tecnica.

Quale era il suo calciatore preferito da ragazzo?Ero già appassionato di calcio come lo erano tutti i bambini di Roma, io poi sono nato a Porta Me-tronia, un quartiere dove si giocava molto a calcio. Da ragazzi avevamo dei campi di riferimento come il campo Almas, la Rondinella, o anche Caracalla per quanto riguarda l’atletica leggera. Il mio quindi era un quartiere molto “sportivo”, dove i giovani si dedicavano continuamente al calcio, a quell’epoca poi era un’emozione andare allo stadio, a vedere la Lazio, la squadra di riferimento di tutta la famiglia. Dei giocatori di quel periodo io ero rimasto molto colpito dai fratelli Sentimenti, che in quel momento facevano la leggenda nel calcio italiano.

La sua prima trattativa calcistica fu quella che portò Gascoigne alla Lazio, quando ancora non ne era presidente…Gascoigne fu una scelta molto importante da parte di Calleri, perché anche lui voleva dare un risvolto competitivo alla squadra, però evidentemente gli mancava la possibilità, e quindi cercò attraverso la banca di riferimento del momento, che all’epoca era la Banca di Roma, di trovare dei partner per poter portare avanti quello che era il progetto calcistico. Gli venne fatto il mio nome e io partecipai prima con un 10%, poi successivamente Calleri decise di

desistere dal progetto calcistico così io e mio fratel-lo decidemmo di prendere in mano la conduzione tecnico-sportiva della Lazio. Fu un’avventura molto importante, perché in definitiva introducemmo del-le grosse novità in quegli anni dove assolutamente il mondo dell’azienda, della progettualità in ambito calcistico non esisteva. Quindi entrammo con pieno impegno, cioè facendo una grossa campagna acqui-sti perché volevamo rimodellare completa-mente quella che era la struttura calcistica della società, e come sempre quando si fanno que-ste ristrutturazioni, ci sono acquisti azzeccati e acquisti meno azzeccati, però nel complesso la squadra cambiò volto, senza dubbio da parte di tutti. Da parte anche di Zoff, che fu in un certo senso la continuazione progetto tattico, perché non volem-mo all’epoca assolutamente cambiare impostazione calcistica alla squadra. E di qui incominciammo ad avere delle grosse soddisfazioni sul piano calcistico, la squadra ricominciò a giocare la coppa UEFA dopo molti anni, era l’inizio di una grande avventura.

L’inizio della sua presidenza fu un sogno per noi tifosi. Vedevamo arrivare gioca-tori ambiti anche dai grandi club: Beppe Signori, i 3 della Cremonese Marcolin, Bonomi e Favalli, poi ancora Winter e Fuser. Lei si rendeva conto in quei mo-menti di quanto i tifosi della Lazio grazie a lei avevano iniziato a sognare nel vero e proprio senso della parola? E quanto tutto quello fosse importante per noi?La cosa importante fu che introducemmo una progettualità, un modo diverso di gestire le so-cietà calcistiche, e questo fin dall’inizio, perché venivamo dal mondo dell’impresa e quindi vole-vamo introdurre determinati concetti anche nel mondo del calcio, e questo portò essenzialmen-te degli ottimi risultati. Ricordo in particolare l’acquisto di Signori in quanto non progettato, non programmato e non discusso con i dirigen-ti, fu proprio una cosa fatta d’istinto. Signori fu acquistato praticamente in una partita di calcio, perché non partii da Roma per prendere un gio-catore, io andai solamente ad assistere alla parti-ta tra Foggia e Lazio, che tra l’altro fu una disfatta

perché perdemmo 2 al e i giornalisti mi pre-sero in giro, dicevano che una Ferrari, la La-zio, era stata battuta da una 500, il Foggia. Quel giorno ci fu un campo molto scivoloso e i gio-

catori della Lazio cadevano continuamente, tan-to che io tra primo e secondo tempo intervenni anche negli spogliatoi, chiedendo se i tacchetti che indossavano erano giusti, proprio io che in tutta la mia gestione non sono mai andato negli spogliatoi durante l’intervallo: in quei momenti i giocatori devono riconquistare un certo domi-nio di se stessi, sono stanchi, cercano un po’ di tranquillità.

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Sergio Cragnotti:"Grazie Ferguson"

dopo Bobo Vieri ed Angelo Peruzzi, abbiamo l’onore di poter intervistare il presidente più vincente della storia biancoceleste, Sergio Cragnotti, che dopo molti anni torna a rilasciare un’intervista. Il presidente dello

Scudetto, di due Coppe Italia, di altrettante Supercoppe italiane, della Coppa delle Coppe, della

Supercoppa Europea di Montecarlo con il Manchester, ha accettato di incontrare la nostra redazione.

di Marcello Oglialoro e Davide Paoletti

Dopo tanta attesa eccoci qui, sono in questa stanza e lo aspetto, aspetto colui che ha realizzato i miei sogni da bambino, facendomi andare in giro per l’Europa a petto in fuori, colui al quale ho inneggiato, che ha volte non ho capito, ma che per sempre sarà il mio presidente. Cammino avanti e indietro per la stanza, uno studio bellissimo opportunamente predi-sposto per l’occasione. Parlo del più e del meno provando a nascondere così l’emozione, quando ad un trat-to, suona la porta ed è Lui... Entra nella stanza quasi timidamente, ma intorno a lui, tutti, mostrano enorme rispetto ed io lo guardo con ammi-razione, da lontano senza osare avvi-cinarmi. A lui mi lega un sentimento puro, come quello del soldato da-vanti al grande condottiero. Si siede davanti a me, sorseggiando un caffè e a questo punto, improvvisamente, in me sparisce tutta l’emozione, e re-sta solo la curiosità, l’enorme curio-sità del sapere, sapere più possibile dell’uomo che mi ha regalato così tante emozioni calcistiche...

Rimpianti? Sì ne ho, sono

tre in particolare. Nel 1998 avevamo 10 punti

di vantaggio sull’Arsenal, a non molto dalla

fine, siamo riusciti a perdere il campionato. Fu

qualcosa d’incredibile. Nel 1999 abbiamo per-

so la Supercoppa Europea contro la Lazio che

in quel momento era la migliore squadra al

mondo ed è forse questo il ricordo più amaro.

Poi, non aver allenato giocatori come Di Canio

e Gascoigne. Di Canio, giocando per il Man-

chester United avrebbe potuto vincere

il pallone d’oro. Altri grandi crucci non ne ricordo.

““““

L’amore mi vennetrasmesso da mio fratello Giovanni, il quale mi dette

l’idea di diventarePresidente della Lazio

Giovanni Cragnotti, fratello di Sergio, colui che lo convinse ad acquistare la Lazio

INTERVISTE

Arriva la chiamata di Sergio Cragnotti. Quali sono state le sue prime reazioni e che rapporto ha avuto con lui?Il passaggio alla Lazio lo posso definire sofferto, a tratti anche un po’ traumatico (sorride, n.d.r.). Sarei potuto arrivare alla Lazio l’anno precedente, stagione in cui mi ero abituato all’idea di lasciare una realtà alla quale ero molto legato. Credevo molto nel progetto e nelle idee di Cragnotti. Lo consideravo una persona capace, ambiziosa e in grado di costruire una squadra vincente. Chi in quegli anni arrivava alla Lazio aveva l’impressione di essere giunto in un grande club, di respiro inter-nazionale. Noi calciatori siamo stati bene con lui. Lo dimostrano i giocatori che sono venuti e il fatto che nessuno se ne voleva andare.

Lei è entrato nei cuori della gente laziale per quel rigore parato a Giannini nel der-by di ritorno del ‘94. Ricorda un intervento decisivo e una partita in particolare?Per mia natura non sono mai stato ossessionato dagli episodi. Quello che resta è la continuità, la mia filosofia era quella di essere il più affidabile possibile, perciò mi piace ricordare il fatto che la gente aves-se fiducia in me, al di là delle parate miracolose. Se devo citare un episodio in particolare che ricordo, credo che il momento più alto della mia carriera alla Lazio, oltre allo Scudetto, sia stata la partita di Supercoppa Europea con il Manchester United. Ricordando un episodio in particolare, l’intervento che feci sull’1-0 a nostro favore. Mi ha fatto sentire protagonista della vittoria finale.

Cosa è mancato a quella Lazio per dominare anche in Champions League?Secondo me l’esperienza. Siamo arrivati ad un punto cruciale di quella stagione in cui eravamo in piena lotta per il campiona-to. Venivamo comunque da una finale di Coppa Uefa e da una vittoria nella Coppa delle Coppe. La Champions di allo-ra era un’altra cosa...

Che ruolo aveva all’interno dello spogliatoio?Bisognerebbe chiederlo agli al-tri (sorride, n.d.r.). Io mi sento uno che ha dato il suo appor-to anche nello spogliatoio.

Da poco è scomparso Giorgio Chinaglia. C’era tra i suoi compagni qualcuno che si avvicinava alla sua figura?Di lui si ricordano cose molto particolari... ma come trascinatore ce ne sono stati tanti, in ogni anno uno diverso. Il primo che mi viene in mente è Diego Simeone, un combattente, anche se poi nello spogliatoio non è che si facesse sentire più di tanto. Quella era una Lazio di tanti campioni, una cosa molto diversa dall’epoca del primo scudetto.

Un giudizio sulla Lazio attuale invece, punti di forza e debolezze...Non credo sia una squadra da terzo posto in assoluto, soprattutto se tutte le squadre fanno il campionato per il quale sono state costruite. Un campionato strano nel quale solo due hanno fatto il loro. Io punterei su una squadra più giovane, più di prospettiva perché il problema della Lazio di quest’anno è stato proprio questo. Nel momento cruciale sono mancati giocatori importanti pro-prio perché sono calciatori un pochino usurati. Forse servirebbe qualcosina in più dal punto di vista della qualità... i campionati si vincono contro le squadre piccole che si chiudono.

Esordisce nel ‘92 in Nazionale. Cosa ricor-da di quell’esperienza ed eventualmente cosa non ha funzionato?Ero un portiere che aveva dei limiti, credo. Se ci riferiamo agli errori con la Svizzera, probabilmen-te, non avevo ancora l’esperienza internazionale necessaria per affrontare sereno una situazione, una responsabilità che comunque era di livello massimo. Tra l’altro non avevo mai giocato con

componenti della rosa della Na-zionale prima di allora, al

di là di Lentini. Azzar-dando un paragone cre-do che sia la stessa si-tuazione che ha vissuto Marchetti nei mondiali

in Sudafrica.

A tal proposito, un giudizio su Marchetti?Secondo me non gli manca niente. Il salto di qua-lità lo ha già fatto, è sicuramente uno dei portieri più forti al momento. Se poi dovessi dire se è più giusto che vada lui o Viviano in Nazionale, dipende anche dalle scelte dell’attuale C.T. della Nazionale stessa. Il “problema” per noi italiani forse, è che abbiamo Buffon, che mette al riparo da qualsiasi obbligo di scelte esclusivamente tecniche, perciò Prandelli sceglierà portieri che possano garantire un ruolo da secondo affidabile che comunque non creino “turbolenze” all’interno dello spogliatoio.

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di Giorgio Eramo e Edoardo CaianielloFoto di Mirta Lispi

Buongiorno Luca, è un grande piacere per noi intervistarla. Cominciamo dai suoi esor-di. Quali vantaggi ha tratto nel crescere cal-cisticamente in una realtà come quella di Jesi, piuttosto che in una grande città?Crescere in provincia dà vantaggi e svantaggi. Il vantag-gio più grande è che puoi vivere la tua gioventù da ra-gazzo normale e non come giocatore in divenire. Sicu-ramente poi è più facile emergere in un piccolo centro, dove è più complicato che ti mettano gli occhi addosso rispetto a chi vive in una grande città. C’è però meno concorrenza e si ha più tempo per maturare.

Inizia con la Jesina, poi Brescia ed in segui-to Torino. Che ricordi ha di quest’ultima esperienza?Esperienza straordinaria. Mi sono trovato cata-pultato in una realtà più grande di me, inaspettata. Giocavo in serie B, mi sono ritrovato a fare il se-condo portiere in una squadra di Serie A e sono uscito dal Torino che ero uno dei due portieri della Nazionale. Oltre a questo, il Torino poi ti lascia tan-to perché è un modo di vivere, non semplicemen-te una società di calcio. Ho vissuto il Torino che si allenava al “Filadelfia”; negli spogliatoi si viveva un passato che era ancora vivo e che si poteva tocca-re con mano; nell’androne degli spogliatoi c’erano i resti dell’aereo del grande Torino

Luca Marchegiani:Quella rivalita con Peruzzi

Alla Lazio per dieci anni, dal 1993 al 2003, Luca Marchegiani, è stato il portiere dei grandi successi

biancocelesti dell’era Cragnotti. Oggi, l’attuale commentatore ed opinionista Sky, si racconta a tutto

tondo, ricordando i momenti più belli della sua carriera ed esprimendo dei giudizi sul calcio moderno.

Grande uomo prima che portiere, ancora oggi il “Conte” è nei cuori dei tifosi laziali.

Credevo molto nelprogetto di Cragnotti: una

persona capace, ambiziosa e in grado di costruire una

squadra vincente

INTERVISTE

Luca Marchegiani insieme a Marco Ballotta

Marchegiani sfoglia la nostra rivista

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dell’azienda, con cui svilupperemo nei prossimi anni importanti progetti che andranno al di là della semplice sponsorizzazione tecnica”. Identi-ca soddisfazione ha espresso Gianluca Pavanello, Amministratore Delegato della Macron: “Dopo il rinnovo con il Napoli, questo accordo con la Lazio è una conferma dell’apprezzamento nei nostri confronti da parte dei grandi club del no-stro campionato. Inutile sottolineare la straordi-naria importanza di una piazza come Roma per tutto il movimento. Siamo sicuri che da questa partnership con la Lazio nasceranno nei prossimi cinque anni fantastici progetti rivolti alla squadra e soprattutto ai suoi tifosi”. A questo proposito la Macron e la Lazio hanno già definito il lancio di una Linea Fan per il tempo libero, disponibile presso i Lazio Style 1900 e nei punti vendita Ma-cron già dal mese di agosto. “La grande passione ed il grande entusiasmo dei tifosi della Lazio” ha concluso Gianluca Pavanello “saranno per noi un grande stimolo per creare idee ed iniziative sem-pre all’altezza della tradizione biancoceleste”.

Oggi la Macron è lo Sponsor Tecnico di impor-tanti club in tutta Europa. Per quanto riguarda il calcio, l’azienda veste: Napoli e Bologna in Italia; Real Betis Balompié (dalla stagione 2012-13) e Mallorca in Spagna; Monaco, Le Mans e Lorient in Francia; Aston Villa (dalla stagione 2012-13), West Ham, Leeds, Millwall, Charlton Athletic e Sheffield in Inghilterra; Braga e Portimonense in Portogallo; AZ Alkmaar, Den Bosch e Willem II in Olanda. Nel Basket, invece, veste: Virtus Bologna, Be-

netton Treviso, Bancatercas Teramo, Scandone Avellino, Sutor Montegranaro, Pallacanestro Varese in Italia; Alicante in Spagna; Orleans Loiret in Francia. Per ciò che concerne la pallavolo è sponsor tecnico di: Modena, Sisley, Tonno Callipo, Robur Tiboni Urbino femminile e M.Roma. Nel Rugby produce le divise per: Rovigo in Italia; Edinburgh in Sco-zia e Featherstone Rovers in Inghilterra. Nel

Baseball è sponsor ufficiale con la F.I.B.S. delle Nazionali di Baseball e Softball, Fortitudo B.C.

1953 in Italia, T&A a San Marino; Real Federación

Española de Béisbol y Sófbol RFBS in Spagna e Corendon Kinheim in Olanda. Infine, per quel che riguarda la Pallamano fornisce la Nazionale Portoghese e il pallone ufficiale di Lega.

Direttamente dal sito della azienda bolognese riportiamo le tappe fondamentali della Macron, dalla nascita fino all’accordo con la Lazio: “Una storia costruita sul campo. 1971: nasce Macron, l’azienda italiana che produce il “teamwear”, l’ab-bigliamento tecnico-sportivo. L’azienda con base a Bologna diventa subito il punto di riferimento per la realizzazione delle divise di grandi marchi italiani e internazionali. Una svolta memorabile. Il 1997 segna la svolta: Macron inizia a sviluppare il proprio marchio, svolgendo direttamente tutte le attività inerenti l’ideazione, il design, la proto-tipia e la distribuzione di abbigliamento tecnico per calcio, basket, volley e baseball. Si accendono i riflettori. Nel 2001 inizia l’avventura di Macron nel calcio professionistico. È questo infatti l’anno del primo contratto con un club professionistico di primo livello, il Bologna FC 1909.

Da quel giorno il marchio Macron ha comin-ciato ad essere sempre più visibile sulle maglie delle migliori e più blasonate squadre del mon-do. Le importanti partnership siglate hanno creato i presupposti per un sempre più attento sviluppo tecnico dei prodotti sia in termini di design che di materiali. Un palcoscenico sem-pre più ampio. Dal 2005 Macron apre i pro-pri orizzonti e si diffonde in tutto il mondo: dall’Italia all’Europa il passo è storico, per poi arrivare negli Stati Uniti, in Canada e anche in Medio Oriente. I prodotti Macron compaiono sempre più addosso ad atleti professionisti e dilettanti. Costanza e determinazione: valori da sempre vincenti nello sport sono anche alla base del successo di Macron che si accredita nel mercato internazionale per un servizio curato nei minimi dettagli e per la qualità dei suoi prodotti, sempre in linea con le esigenze dei suoi numerosi clienti. La crescita costan-te dell’azienda si riflette anche sugli spazi: nel 2007 Macron inaugura la nuova sede ed offre una ancora più vasta gamma di prodotti che include anche rugby, pallamano e calcio a 5”.

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MACRON Il nuovo Sponsor Tecnico

La Lazio e la Macron hanno annunciato la firma di un accordo quinquennale per la sponsorizzazione tecnica del club capitolino. Una svolta storica per la Lazio che lascia la Puma dopo ben 14 anni. C’è

grande attesa per le nuove maglie che saranno presentate in estate e, per la prima volta, avranno un’etichetta personalizzata con una frase ad effetto. Lazialità ha realizzato un dossier sull’azienda bolognese, già sponsor in Italia di Napoli e Bolognavogliamo farci portavoce dell’intero

popolo laziale, voglioso di apprendere sconosciute o nascoste veritàdi Valerio Alessandro Cassetta

Terminato dopo ben quattordici anni il legame sportivo con la Puma, la Lazio ha ufficializzato lo scorso 4 maggio il matrimonio con la Macron, azienda bolognese fondata nel 1971 e legata al mondo dello sport a partire dal 1997. Dopo mesi di contatti con importanti multinazionali, la La-zio ha finalmente trovato l’accordo per il nuovo sponsor tecnico che disegnerà l’abbigliamento dei biancocelesti nella prossima stagione. Ad inizio feb-braio era arrivata la rottura tra la società capitoli-na e la Puma, storico marchio compagno di tante vittorie nell’era Cragnotti. Da allora la dirigenza biancoceleste ha dato il via alla ricerca di un nuovo sponsor tecnico: si è parlato di case di abbigliamen-to cinesi, come la Li-Ning e la X-Tep, passando per marchi di fama mondiale come la Nike e l’Adidas, fino ad arrivare a sponsor italiani come la Legea e la Macron. Tuttavia, è stata quest’ultima a spuntarla. L’accordo, firmato la sera di giovedì 3 maggio, ha una durata di cinque anni e sarebbe stato raggiun-to dopo circa sei ore di contrattazione. Non sono state fornite ancora cifre ufficiali, tuttavia, secondo alcune indiscrezioni, nelle casse della società bian-coceleste dovrebbero entrare circa 15 milioni di euro, più o meno 3 all’anno. Se così fosse, l’accordo sarebbe simile a quelli che erano stati sanciti con

la Puma. Solo la certificazione del bilancio chiarirà bene i termini dell’operazione. Comunque, di cer-to c’è una cosa: il contratto stipulato tra Lazio e Macron prevede una quota fissa ed una variabile, la seconda sarà quantificata rispetto alla vendita del materiale tecnico e dai risultati sportivi che saran-no ottenuti dai biancocelesti.

Le nuove maglie saranno presentate durante la stagione estiva, presumibilmente durante il ritiro di Auronzo di Cadore. Non si sa ancora quale sarà il design delle casacche, ma sicuramente ci sarà una novità: le maglie, per la prima volta, avranno un’eti-chetta personalizzata, riporteranno una frase ad effetto per rimarcare che il club biancoceleste è il primo della Capitale. Per quanto riguar-da la produzione, il tempo a disposizione stringe, ma la Macron ha dato garanzie alla Lazio: si inizierà a realizzare le ma-glie e i pantaloncini per l’allenamento, in modo che la squadra possa indos-sarli nella prima parte del ritiro estivo. La Macron, inoltre, prevede un vestia-rio anche per il tempo libero, la “Linea Fun”, i cui capi saranno disponibili nei negozi ufficiali della Lazio e nei punti vendita dell’azienda bolognese a partire da agosto.

Il raggiungimento dell’accordo ha portato soddisfa-zione da entrambe le parti. Riportiamo di seguito la parte del comunicato stampa diramato dalla S.S. Lazio lo scorso 4 maggio con le parole del Presi-dente Lotito e dell’amministratore delegato della Macron, Pavoncello: “La decisione di legarci per un periodo così lungo alla Macron - ha dichiara-to il Presidente della Lazio - testimonia la fiducia che abbiamo riposto nei programmi e nella serietà

DOSSIER

MACRON

SODDISFAZIONE

LA MACRON E LO SPORT

LA STORIA DELLA MACRON

DESIGN

Anche la Bennetton Treviso, squadra di punta del Baket italiano, veste Macron

BOLOGNA NAPOLI SISLEY MODENA SPORTING BRAGA WEST HAM

di Barbara Malgrande

Come inizia la tua carriera di calciatore?A dieci anni entrai a far parte di una squadra di Brac-ciano, venni notato da Dioniso Arce, un ex calciato-re della Lazio degli anni ‘50, che, avendo dei contatti con dei dirigenti della Lazio, mi portò a fare il provi-no ai campi dell’Urbetevere. Sono poi rimasto per tre anni nel settore giovanile della Lazio.

Quanto è importante il settore giovanile? E quali sono, se ci sono, i passaggi da se-guire affinché un ragazzo possa arrivare in prima squadra?Ogni ragazzo coltiva questo sogno, questa pas-sione di giocare a calcio, è sicuramente lo sport più praticato dai giovani. Oggi, i bambini a sei anni possono già iscriversi nelle scuole calcio, ci sono categorie chiamate “Piccoli amici”, dove imparano a socializzare e a divertirsi fra loro, che per me è la cosa più importante. Poi piano piano, se hai le qualità e la fortuna di essere notato, puoi emer-gere, ma ritengo che sia prematuro tra i dieci e i quattordici anni parlare già di “calciatore che può fare strada”, come invece, spesso sento dire dai ge-nitori o dai tecnici stessi. Sì, il talento si vede subito, ma ci sono ragazzi che maturano calcisticamente, facendo esperienza. I primi che ritengo debbano aiutare i ragazzi, sono proprio i genitori, non de-vono addossargli la responsabilità o l’obiettivo di arrivare per forza. I genitori devono essere sereni e obiettivi nei giudizi e lasciare che il proprio figlio cresca e si diverta nel giocare a pallone. Sarà poi la società stessa, se il ragazzo ha talento a fare la sua parte, attraverso istruttori qualificati, e a seguirlo sia nella crescita personale sia in quella scolastica. Sono importanti tutti gli aspetti, da quello tecnico del gioco a quello psicologico e umano visto che parliamo di bambini.

Tu sei stato calciatore e ora sei allenatore, che differenze ci sono?La vita da calciatore è uno spettacolo! È molto più divertente, più leggera, pensi a fare gli alle-namenti, a uscire la sera, poi se stai nelle grandi città, è ovvio che sia così, è quello che comunque farebbe un ragazzo comune.

C’era una cosa che ci diceva sempre Dino Zoff, che ho avuto la fortuna di avere come allenatore: “Giocate fino a che potete, che quando smette-rete, sarà tutta un’altra vita!”. Finché giochi a pal-lone, sei più individualista, pensi solo a te stesso, da allenatore non può essere così. Hai la respon-sabilità di un gruppo. Sei quasi come un mana-ger che deve tirar fuori tutte le risorse umane dai giocatori, per portare dei risultati e mandare avanti un’azienda. Da allenatore, oltre ad avere una maturità diversa, hai anche meno tempo, devi pensare a ragionare con i ragazzi, ognuno con il proprio carattere e personalità, può capitare di avere delle vedute diverse e quindi parlarne. Quando ho smesso di giocare avevo trentacinque anni e finii la mia carriera a Malta (dove mi sono divertito molto!) e mai avrei pensato di allenare! Adesso però mi piace molto.

Come inizia la tua carriera di allenatore?Ho iniziato nel 2000 ad allenare i bambini, poi mi è cominciato a piacere il contatto che si creava e già nel 2001 allenai in eccellenza, ragazzi sempre dilettanti, ma più grandi. Vedevo che comunque sia il mio essere schietto e onesto, sia il punto di vista tecnico piacevano e portavano risultati, così ho continuato su questa strada. Sono passato dall’eccellenza alla C2 con l’Imolese, poi al Sas-suolo, che salvai dalla retrocessione. Nel 2004 mi contattarono dalla Lazio chiedendomi se volevo dare una mano come secondo a Mimmo Caso, era l’inizio dell’era Lotito, che ho avuto modo di conoscere molto bene. Non è stata un’esperien-za eccezionale, devo esser sincero. Ho lasciato un posto da titolare in serie C, per andare a fare il secondo e stonava un po’, perché, in effetti, sono ruoli ben distinti. Ci sono casi di collaboratori che da secondi son passati titolari, ma è raro.

Era la Lazio, il massimo per me, non ci ho pensato più di tanto e scelsi con il cuore. Mi piaceva l’idea di tornare dopo nove anni in quell’ambiente, in più stavo vicino alla mia famiglia. La mia stagione s’interruppe a Natale, quando esonerarono Caso e venne Papadopulo.

Ci hai riprovato poi con Angelo Gregucci?Beh, con Angelo è stato diverso, per me è come un fratello, una persona straordinaria. Per lui era la prima esperienza in serie A con il Lecce e mi chiese di dargli una mano. Il rapporto è sta-to diverso, siamo coetanei e poi abbiamo avuto sempre molto feeling. Purtroppo però le cose non andarono bene, fu esonerato dopo cinque giornate. Venivamo dopo Zeman, che fece un bel campionato e prendere una squadra dopo mister Zeman non è facile, lui è un maestro, un professo-re del calcio. Inoltre c’era in quel periodo un forte attrito tra i dirigenti e i tifosi, loro volevano che Zeman rimanesse, ma lui aveva avuto delle dia-tribe con quasi tutta la squadra e andò via. Non è stato facile per Angelo entrare nel cuore della gente, soprattutto perché i risultati non arrivava-no. Mi è dispiaciuto molto.

Hai nominato mister Zeman, cosa pensi di lui dal punto di vista tecnico?A me piace molto, lui è preparatore e allenatore, legato alle sue metodologie di gioco, nonostante negli ultimi venti anni siano cambiate parecchio. Si basa molto sul fondo, sulla corsa, lavora sul carico naturale, sulla propria forza fisica. Ligio al 4-3-3, è stato tra i primi a insegnare i tempi di gioco, e penso uno tra i più bravi nel farlo. Ha con lui nel Pescara, Roberto Ferola, ottimo preparatore atletico, che ho avuto anche io nei quattro anni di Zoff e di Materazzi nella Lazio.

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Cristiano Bergodi:I derby, le emozioni piu grandi

Mister Cristiano Bergodi, attuale allenatore del Modena, per noi, semplicemente Cristiano, laziale vero quello che correva per primo sotto la Nord quando

riuscivamo anche solo a pareggiare un derby! Vivendo a Modena, torna dalla famiglia a Bracciano (suo paese di

nascita), solo nei week end ed è comunque riuscito a dedicarci un po’ del suo tempo, per questo lo ringrazio pubblicamente! Ci incontriamo al “Gran Caffè Sabazio” bar gestito dai due suoi fratelli. Il contesto è quello classico della domenica mattina, tra le campane che suonano, persone sedute al bar che commentano le

notizie sportive dei quotidiani e altre che passeggiando salutano Cristiano con affetto e orgoglio!

INTERVISTE

Celebre contrasto da Derby tra Cristiano Bergodi e Rudy Voeller

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