La placenta - Katawebdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1980...La placenta a termine...

5
La placenta umana è vista dal lato fetale in questa fotografia realizzata da Lennart Nilsson. Il cordone ombelicale è attaccato al centro; una re- te di vasi sanguigni si irradia in direzioni diverse. La membrana amnio- tica avvolge completamente i vasi del cordone (in basso a destra). 33 La placenta Questo importante organo agisce da intermediario tra due individui differenti: il feto e la madre. A parto avvenuto, può rappresentare un ottimo materiale da esperimenti per un'ampia gamma di ricerche di Peter Beaconsfield, George Birdwood e Rebecca Beaconsfield Lo sviluppo di un feto nell'utero della madre è legato dal punto di vista anatomico, genetico e metabolico a quello della placenta: il singolare orga- no provvisorio annidato contro la parete dell'utero materno. Si pensa spesso che la placenta sia poco più che una struttura per l'inserzione del cordone ombelicale che, come la manica d'aria di un palomba- ro,trasporta ossigeno al feto in crescita nel liquido amniotico che riempie l'utero gravido. L'importanza della funzione del cordone ombelicale è stata compresa da molto tempo tanto è vero che i nostri antenati consideravano questa formazio- ne un simbolo di guarigione e persino la vita stessa. Con le vene paradossalmente rosse, che si avvolgono a spirale nella so- stanza fondamentale bianca, il cordone ombelicale si ritrovava simbolizzato nel- l'insegna dei barbieri, i discendenti dei barbieri-chirurghi medioevali. Il serpente avvolto a spirale attorno al bastone della vita di Esculapio ha probabilmente una origine analoga. Tuttavia, scarsa atten- zione, simbolica o meno, è stata dedicata alla placenta, senza la quale il cordone ombelicale non avrebbe nulla da rifornire e il feto non potrebbe crescere. Il cordone ombelicale fornisce al feto ben più del solo ossigeno e la placenta ha ben altre funzioni oltre a quella di fornire un ancoraggio per il cordone. Abbondantemente irrorata dai vasi san- guigni fetali da un lato e dal sangue materno dall'altro, la placenta separa anatomicamente i sistemi circolatori del feto e della madre, in modo che tutti gli scambi di materiale, sotto qualsiasi for- ma, devono aver luogo attraverso questa interfaccia. Durante la sua breve vita la placenta dunque provvede da sola a tut- te le necessità del feto ed è l'unica via di eliminazione di tutti i rifiuti fetali. Allo scopo di nutrire e proteggere il feto fino a quando non sia pronto per una esistenza indipendente, il tessuto placen- tare si comporta come un innesto trapian- tato nell'utero della madre: viene accetta- to, cresce, invade e metabolizza. La pla- centa è un organo del tutto particolare in quanto si differenzia e si sviluppa dal tes- suto embrionale per raggiungere la matu- rità (o anche degenerare nella senescen- za) in un periodo di tempo di sole setti- mane o mesi, a seconda della specie. Inol- tre, la placenta può continuare a prospe- rare nell'utero, dopo che il feto è morto o è stato rimosso, e può essere impiantata in altri tessuti materni per nutrire un feto a volte fino a portarlo a termine, senza la protezione dell'utero. C'è ancora molto da imparare sul fun- zionamento della placenta, ma in anni recenti è diventato chiaro che piuttosto che fungere da filtro passivo, la placenta svolge una funzione sia attiva che seletti- va nel trasporto di sostanze essenziali allo sviluppo del feto. Possedendo una distin- ta identità metabolica, la placenta è in grado di modificare molecole di origine materna, fetale ed esterna. È un microco- smo biologico, un sistema organico mul- tiplo, che esegue una serie straordinaria- mente completa di prestazioni alimentari, polmonari, renali, epatiche ed endocrine a vantaggio e con la collaborazione del feto durante le diverse fasi del suo svilup- po intrauterino. Inoltre la placenta è an- che in grado di regolare molte delle fun- zioni dell'organismo materno, sintetiz- zando una gamma completa di ormoni di controllo: messaggeri chimici non distin- guibili da quelli fabbricati dall'ipofisi. In tutte queste situazioni la placenta deve dare priorità ai propri bisogni come requisito fondamentale per soddisfare quelli del feto, e tuttavia, a differenza dei parassiti che nuociono in modo imprevi- dente ai propri ospiti, la placenta esegue la sua vasta gamma di attività metaboli- che senza mettere in pericolo la salute della madre. Sia la struttura che le funzio- ni della placenta sono imposte da una par- te dalla necessità complementare di pro- muovere la crescita e dall'altra di mante- nere un equilibrio tra il sistema fetale e quello materno. Nella complessa gamma di attività fisiologiche che vengono svolte per venire incontro a tali necessità, diversi processi sono di particolare interesse scientifico. Essi includono il controllo del- la differenziazione e della divisione cellu- lare nel corso della crescita e della inva- sione di tipo tumorale del tessuto uterino materno da parte della placenta; il siste- ma ormonale per mezzo del quale la pla- centa presiede a innumerevoli aspetti del- la gravidanza (una continua trasmissione di messaggi chimici che culmina nell'ini- zio del parto); i processi immunologici che proteggono la placenta e il feto dal rigetto e fanno però in modo che il neona- to sia equipaggiato di anticorpi protettivi e la maturazione della placenta stessa. Nel corso di questo articolo, discute- remo ciascuno di questi aspetti della fun- zione placentare. Inoltre mostreremo alcuni dei modi per i quali la gamma sin- golarmente vasta delle attività di questo organo sembra renderlo un modello par- ticolarmente adatto per lo studio di ar- gomenti tanto diversi tra loro come il co- dice genetico, la crescita normale, il can- cro, il trapianto di organi, gli effetti dei farmaci e perfino l'invecchiamento. Per cominciare, tuttavia, prenderemo in esa- me il modo in cui la placenta e il feto si sviluppano. Lo stadio iniziale Di rado si tiene conto che la placenta e il feto si sviluppano dalla stessa singola cellula: l'uovo fecondato. Per questo mo- tivo la placenta, il cordone ombelicale e il sangue che in essi scorre sono di origine fetale, o più precisamente embrionale. Ciò significa che l'uovo fecondato deve essere programmato geneticamente per provvedere ai suoi stessi bisogni, presenti e futuri. In verità, fino a quando l'uovo non termina il suo viaggio dalla estremità superiore della salpinge materna, dove viene di solito fecondato, all'utero e si impianta nella parete uterina, riceve una assistenza sorprendentemente limitata da parte della madre. In che modo allora la placenta sviluppa la struttura e la funzio- ne che la caratterizzano? Parlando in termini generali, essa lo fa in virtù delle medesime istruzioni genetiche che pre- siedono allo sviluppo del feto. Subito dopo che lo spermatozoo è pe- netrato nell'uovo, i due gameti si fondono per formare lo zigote monocellulare che 32

Transcript of La placenta - Katawebdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1980...La placenta a termine...

Page 1: La placenta - Katawebdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1980...La placenta a termine è una struttura a forma di disco che misura circa 20 centimetri in senso trasversale

La placenta umana è vista dal lato fetale in questa fotografia realizzatada Lennart Nilsson. Il cordone ombelicale è attaccato al centro; una re-

te di vasi sanguigni si irradia in direzioni diverse. La membrana amnio-tica avvolge completamente i vasi del cordone (in basso a destra).

33

La placentaQuesto importante organo agisce da intermediario tra due individuidifferenti: il feto e la madre. A parto avvenuto, può rappresentareun ottimo materiale da esperimenti per un'ampia gamma di ricerche

di Peter Beaconsfield, George Birdwood e Rebecca Beaconsfield

Lo

sviluppo di un feto nell'utero dellamadre è legato dal punto di vistaanatomico, genetico e metabolico

a quello della placenta: il singolare orga-no provvisorio annidato contro la paretedell'utero materno. Si pensa spesso che laplacenta sia poco più che una strutturaper l'inserzione del cordone ombelicaleche, come la manica d'aria di un palomba-ro,trasporta ossigeno al feto in crescita nelliquido amniotico che riempie l'uterogravido. L'importanza della funzione delcordone ombelicale è stata compresa damolto tempo tanto è vero che i nostriantenati consideravano questa formazio-ne un simbolo di guarigione e persino lavita stessa. Con le vene paradossalmenterosse, che si avvolgono a spirale nella so-stanza fondamentale bianca, il cordoneombelicale si ritrovava simbolizzato nel-l'insegna dei barbieri, i discendenti deibarbieri-chirurghi medioevali. Il serpenteavvolto a spirale attorno al bastone dellavita di Esculapio ha probabilmente unaorigine analoga. Tuttavia, scarsa atten-zione, simbolica o meno, è stata dedicataalla placenta, senza la quale il cordoneombelicale non avrebbe nulla da riforniree il feto non potrebbe crescere.

Il cordone ombelicale fornisce al fetoben più del solo ossigeno e la placentaha ben altre funzioni oltre a quella difornire un ancoraggio per il cordone.Abbondantemente irrorata dai vasi san-guigni fetali da un lato e dal sanguematerno dall'altro, la placenta separaanatomicamente i sistemi circolatori delfeto e della madre, in modo che tutti gliscambi di materiale, sotto qualsiasi for-ma, devono aver luogo attraverso questainterfaccia. Durante la sua breve vita laplacenta dunque provvede da sola a tut-te le necessità del feto ed è l'unica via dieliminazione di tutti i rifiuti fetali.

Allo scopo di nutrire e proteggere ilfeto fino a quando non sia pronto per unaesistenza indipendente, il tessuto placen-tare si comporta come un innesto trapian-tato nell'utero della madre: viene accetta-to, cresce, invade e metabolizza. La pla-centa è un organo del tutto particolare inquanto si differenzia e si sviluppa dal tes-

suto embrionale per raggiungere la matu-rità (o anche degenerare nella senescen-za) in un periodo di tempo di sole setti-mane o mesi, a seconda della specie. Inol-tre, la placenta può continuare a prospe-rare nell'utero, dopo che il feto è morto oè stato rimosso, e può essere impiantata inaltri tessuti materni per nutrire un feto avolte fino a portarlo a termine, senza laprotezione dell'utero.

C'è ancora molto da imparare sul fun-zionamento della placenta, ma in annirecenti è diventato chiaro che piuttostoche fungere da filtro passivo, la placentasvolge una funzione sia attiva che seletti-va nel trasporto di sostanze essenziali allosviluppo del feto. Possedendo una distin-ta identità metabolica, la placenta è ingrado di modificare molecole di originematerna, fetale ed esterna. È un microco-smo biologico, un sistema organico mul-tiplo, che esegue una serie straordinaria-mente completa di prestazioni alimentari,polmonari, renali, epatiche ed endocrinea vantaggio e con la collaborazione delfeto durante le diverse fasi del suo svilup-po intrauterino. Inoltre la placenta è an-che in grado di regolare molte delle fun-zioni dell'organismo materno, sintetiz-zando una gamma completa di ormoni dicontrollo: messaggeri chimici non distin-guibili da quelli fabbricati dall'ipofisi.

In tutte queste situazioni la placentadeve dare priorità ai propri bisogni comerequisito fondamentale per soddisfarequelli del feto, e tuttavia, a differenza deiparassiti che nuociono in modo imprevi-dente ai propri ospiti, la placenta eseguela sua vasta gamma di attività metaboli-che senza mettere in pericolo la salutedella madre. Sia la struttura che le funzio-ni della placenta sono imposte da una par-te dalla necessità complementare di pro-muovere la crescita e dall'altra di mante-nere un equilibrio tra il sistema fetale equello materno. Nella complessa gammadi attività fisiologiche che vengono svolteper venire incontro a tali necessità, diversiprocessi sono di particolare interessescientifico. Essi includono il controllo del-la differenziazione e della divisione cellu-lare nel corso della crescita e della inva-

sione di tipo tumorale del tessuto uterinomaterno da parte della placenta; il siste-ma ormonale per mezzo del quale la pla-centa presiede a innumerevoli aspetti del-la gravidanza (una continua trasmissionedi messaggi chimici che culmina nell'ini-zio del parto); i processi immunologiciche proteggono la placenta e il feto dalrigetto e fanno però in modo che il neona-to sia equipaggiato di anticorpi protettivie la maturazione della placenta stessa.

Nel corso di questo articolo, discute-remo ciascuno di questi aspetti della fun-zione placentare. Inoltre mostreremoalcuni dei modi per i quali la gamma sin-golarmente vasta delle attività di questoorgano sembra renderlo un modello par-ticolarmente adatto per lo studio di ar-gomenti tanto diversi tra loro come il co-dice genetico, la crescita normale, il can-cro, il trapianto di organi, gli effetti deifarmaci e perfino l'invecchiamento. Percominciare, tuttavia, prenderemo in esa-me il modo in cui la placenta e il feto sisviluppano.

Lo stadio iniziale

Di rado si tiene conto che la placenta eil feto si sviluppano dalla stessa singolacellula: l'uovo fecondato. Per questo mo-tivo la placenta, il cordone ombelicale e ilsangue che in essi scorre sono di originefetale, o più precisamente embrionale.Ciò significa che l'uovo fecondato deveessere programmato geneticamente perprovvedere ai suoi stessi bisogni, presentie futuri. In verità, fino a quando l'uovonon termina il suo viaggio dalla estremitàsuperiore della salpinge materna, doveviene di solito fecondato, all'utero e siimpianta nella parete uterina, riceve unaassistenza sorprendentemente limitata daparte della madre. In che modo allora laplacenta sviluppa la struttura e la funzio-ne che la caratterizzano? Parlando intermini generali, essa lo fa in virtù dellemedesime istruzioni genetiche che pre-siedono allo sviluppo del feto.

Subito dopo che lo spermatozoo è pe-netrato nell'uovo, i due gameti si fondonoper formare lo zigote monocellulare che

32

Page 2: La placenta - Katawebdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1980...La placenta a termine è una struttura a forma di disco che misura circa 20 centimetri in senso trasversale

SINCIZIOTROFOBLASTO MICROVILLI

aUTERO

BLASTOCISTI IN FASEDI IMPIANTO

TROFOBLASTO

RIVESTIMENTO UTERINO

ePEDUNCOLO

SENO VENOSO

SACCO VITELLINO

VASI SANGUIGNI OMBELICALI

C

RIFORNIMENTODI SANGUE MATERNO

CITOTROFOBLASTO

-UTERO

,

-

_

)7

.-3.,÷.5•,51/

7777'

CORDONEOMBELICALE

0,4o

o

AMNIOS

contiene l'informazione genetica di en-trambi i genitori. Entro alcune ore lo zigo-te, obbedendo alle istruzioni in esso con-tenute, comincia a dividersi: la singolacellula si divide in due cellule, queste di-ventano quattro e così via. L'uovo fecon-dato comincia a crescere, ma a questopunto la madre non è ancora gravida, valea dire che non è stata adottata alcunaparticolare misura da parte materna pernutrire l'uovo. Per essere in grado di divi-dersi, l'uovo fecondato ha bisogno solo diessere in un ambiente progestazionale.

Il progesterone, uno dei due principaliormoni sessuali della donna, agisce anchetrasformando l'endometrio, cioè il rive-stimento dell'utero, in una superficie spu-gnosa e vascolarizzata, adatta a nutrirel'uovo fecondato. Così, la fase di aumen-tata produzione di progesterone, che se-gue l'ovuluzione in ciascun ciclo mestrua-le, non solo facilita la divisione cellularedell'embrione, durante il suo trasferimen-to lungo la salpinge materna, ma serveanche per preparare l'utero al suo impian-to. Come è stato ampiamente osservato,

queste condizioni possono essere ripro-dotte senza molta difficoltà in laboratorioper ottenere «bambini in provetta» o, piùprecisamente, embrioni in provetta chepossono sopravvivere in coltura per alcu-ni giorni, prima di dover essere introdottiin un utero opportunamente preparato.

Dato quindi un ambiente adatto, le cel-lule embrionali si dividono esclusivamen-te come risultato della fecondazione e del-la formazione dello zigote. In nessun altroorganismo, animale o vegetale, nessun'al-tra cellula, oltre a quelle cancerogene, si

divide spontaneamente in questo modosenza lo stimolo della richiesta di:sostitu-zione o di rigenerazione di un tessuto.L'impulso alla divisione proviene dallareplicazione del DNA dello zigote, che èimmediatamente seguita dalla sintesi diRNA. Gli enzimi richiesti per questa pri-ma sintesi di acido nucleico devono esserepresenti nell'uovo prima della feconda-zione, ma una volta che la divisione cellu-lare è cominciata, e sicuramente a partiredallo stadio di due cellule, tutti i meccani-smi necessari al metabolismo cellulare e

alla replicazione sono in pratica già pre-senti nello zigote.

In modo analogo, le proteine sintetiz-zate nelle primissime ore che seguono lafecondazione, dipendono dall'RNA ma-terno presente nell'oocita (il precursoredell'uovo), ma con la formazione dell'R-NA proprio dell'embrione in questa faseprecoce, comincia subito la sintesi dellevere proteine embrionali. In realtà, con leprimissime divisioni cellulari aumentarapidamente la sintesi di tutti i tipi diRNA embrionale e quando comincia la

differenziazione delle cellule embrionali,la sintesi proteica accelera enormemente.Al più tardi allo stadio di otto cellule sonopresenti nell'embrione più di mille pro-teine. In seguito, a ciascuna successivadivisione cellulare, aumenta solo la quan-tità e non il tipo di proteine. Tutto ciò sirealizza nell'uovo fecondato, riparatocome fosse circondato da un guscio, con lamadre biologicamente inconsapevole chefornisce una assistenza appena superiorea quella richiesta per la semplice incuba-zione di un uovo.

Lo sviluppo della placenta umana è rappresentato nella sequenza didisegni di queste due pagine. La sequenza inizia con l'impianto dellablastocisti nella parete dell'utero (a). Quando la parte della blastocistiche contiene la massa cellulare interna prende il primo contatto conl'endometrio, cioè il rivestimento dell'utero, il trofoblasto (lo stratocellulare che si svilupperà nella placenta) comincia a formare le piccole

proiezioni digitiformi dette microvilli, che si estendono nel rivestimen-to endometriale (b). Con il procedere dell'invasione, il trofoblasto sidifferenzia in due strati, il sinciziotrofoblasto, esterno, che conducel'avanzata nell'endometrio, e il citotrofoblasto, che forma un comples-so sistema di proiezioni che alla fine si spingono attraverso il sinciziotro-foblasto sulle dilatazioni venose che si trovano lungo il percorso delle

cellule invasive; molto prima la blastocisti sprofonda completamentenel tessuto endometriale (c). Durante la fase invasiva, il trofoblasto e ilfeto in via di sviluppo continuano a essere collegati per mezzo delpeduncolo, una struttura che in una fase successiva dello sviluppodiventerà il cordone ombelicale (d). Verso la quinta settimana di gravi-danza le_proiezioni ramificate del citotrofoblasto sono attraversate dai

vasi sanguigni fetali che hanno origine dalle arterie del cordone ombeli-cale (e). 11 citotrofoblasto si diffonde lateralmente nel corso di questoperiodo e alla fine si congiunge con le altre membrane embrionarieformando l'involucro più esterno, detto corion; la differenziazione fina-le del trofoblasto a formare la placenta dà origine alle membrane deci-due interne che racchiudono il liquido amniotico in cui cresce il feto (f) .

34

35

Page 3: La placenta - Katawebdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1980...La placenta a termine è una struttura a forma di disco che misura circa 20 centimetri in senso trasversale

La placenta a termine è una struttura a forma di disco che misura circa20 centimetri in senso trasversale e che,alcentro, ha uno spessore di trecentimetri. lì lato materno è diviso in numerosi lobi; il lato fetale è

vascolarizzato ma liscio. La placenta media alla nascita pesa circa 500grammi, ovvero approssimativamente un sesto del peso del neonatoche ha nutrito. A pagina 39 è disegnata una sezione di questo tessuto.

CORDONE OMBELICALE

La blastocisti

Il gruppo di cellule embrionali in divi-sione raggiunge l'utero circa quattrogiorni dopo la fecondazione e subito doposubisce dei cambiamenti che culmineran-no nella creazione della blastocisti: la sfe-ra di cellule pressoché cava, che darà ori-gine all'embrione. Le singole cellule delgruppo sono diventate meno chiaramenteindividuabili e meno simili nell'aspetto ecominciano a essere distinguibili struttureinterne ed esterne diverse. Con il progre-dire della scissione, tra le cellule adiacentidel rivestimento esterno si formano le-gami membranosi, che creano un rivesti-mento protettivo di singole cellule chericorda un pallone da calcio. Questo stra-to può essere considerato come il primostadio dello sviluppo del trofoblasto, cioèdello strato di cellule che alla fine si diffe-renzia negli elementi strutturali principalidella placenta. A cinque giorni dalla fe-condazione, quando la blastocisti umanaè formata da circa 120 cellule, a unaestremità della cavità piena di liquidoformata dal trofoblasto può essere distin-to un ammasso di cellule. Noto come mas-sa cellulare interna, questo gruppo di cel-lule si svilupperà tiel feto.

A questo punto l'embrione in via disviluppo galleggia ancora liberamente,privo di placenta e di formazioni materneper la sua nutrizione o per la stimolazioneormonale della divisione cellulare. Unavolta che la blastocisti è al sicuro nell'ute-ro, si verificano i fenomeni che portano alsuo impianto nella parete uterina. Questoobiettivo è in massima parte quasi certa-mente raggiunto sei o sette giorni dopo lafecondazione, mediante la sintesi diestrogeno, il secondo tipo principale diormone sessuale femminile. La produ-zione di questo ormone non solo facilital'impianto della blastocisti inducendocambiamenti nella permeabilità locale delrivestimento endometriale della pareteuterina, ma stimola anche il rilascio dal-l'endometrio di un messaggero chimicosotto forma di una prostaglandina cheapparentemente serve a porre in stato diallarme il sistema endocrino della madre.

Sono le cellule del trofoblasto che svol-gono queste funzioni, e danno inizio allagravidanza assicurando che specifici adat-tamenti ormonali per la nutrizione del-l'embrione vengano effettuati dall'ipofisidella madre e dal suo corpo luteo, la tem-poranea struttura secretrice di ormoniche si sviluppa tutte le volte che l'uovo,giunto a maturazione, si distacca dall'o-vaio. Il corpo luteo produce le grandiquantità di progesterone richieste nel cor-so di un normale ciclo mestruale per pre-parare l'endometrio ad accogliere l'uovofecondato; quando si verifica una gravi-danza, il corpo luteo anziché regredirecome avviene alla fine del ciclo mestrualeviene stimolato a continuare la produzio-ne dell'ormone, così che l'endometriocontinuerà a mantenere un ambienteadatto per la blastocisti.

L'impianto della blastocisti, o preem-brione, nella parete dell'utero, è un pro-cesso di notevole importanza, nel corso

del quale il trofoblasto si mette in intimaassociazione con l'endometrio materno.Sebbene l'impianto costituisca un proces-so continuo, esso viene di solito descrittosecondo una successione di tre fasi: appo-sizione, adesione e invasione. Nella fasedi apposizione della blastocisti umana, lamassa cellulare interna si appoggia sem-plicemente contro l'endometrio. Le cellu-le del trofoblasto formano allora sullapropria superficie esterna piccole proie-zioni digitiformi, dette microvilli, chepenetrano dentro le corrispondenti mi-crostrutture dell'endometrio, lasciandointervalli non più ampi di 25 nanometri.In questo modo si stabilisce una strettavicinanza tra il trofoblasto e il rivestimen-to endometriale dell'utero, successiva-mente gli spazi tra i due tipi di strutture siriducono ulteriormente e i microvilli sullasuperficie del trofoblasto cominciano aritirarsi. Con il proseguire del processo diinvasione, la blastocisti si seppelliscecompletamente nel tessuto endometriale.

L'impianto

Nelle prime fasi dell'invasione il trofo-blasto comincia a differenziarsi in due stra-ti di cellule: il sinciziotrofoblasto, esterno,e il citotrofoblasto, interno. Il sinciziotro-foblasto, avanzando nell'endometrio sivacuolizza, creando un sistema di piccolecavità in cui può scorrere il sangue mater-no proveniente dalle arterie uterine. Ladegenerazione delle cellule dell'endome-trio cui consegue l'apertura di questi vasisanguigni è, a quanto sembra, facilitatadalla produzione di sostanze che distrug-gono le cellule, come le proteasi del trofo-blasto che avanza. A questo punto trofo-blasto e feto in via di sviluppo sono collega-ti da una struttura detta peduncolo, chediventerà il cordone ombelicale.

Mentre il sinciziotrofoblasto si affondanell'endometrio, il citotrofoblasto inter-no prolifera, formando un complicato si-stema di proiezioni che si spinge attraver-so il sinciziotrofoblasto nelle raccolte disangue materno di cui si è detto. Questeproiezioni, chiamate villi primari, alla finesi ramificano e vengono vascolarizzate daivasi sanguigni fetali che hanno originedalle arterie del cordone ombelicale. Inquesto modo una vasta superficie (estesapressappoco come la metà di un campo datennis) diviene disponibile per gli inter-scambi tra il feto e la madre. Inoltre, du-rante lo stesso periodo, le cellule del cito-trofoblasto si diffondono lateralmente ealla fine si uniscono a formare il corion:un guscio che racchiude completamentetutte le strutture che hanno origine dal-l'uovo fecondato.

Il tessuto dell'embrione umano giungea diretto contatto con il sangue maternoquando le cellule del trofoblasto invado-no di fatto le arteriole spirali che decorro-no nella parte uterina (nello sviluppo del-la placenta di mammiferi più primitiviintervengono altre strutture). È per que-sto motivo che la placenta umana vienedefinita emocoriale. La proliferazionedelle cellule del citotrofoblasto interno èaccompagnata da una rapida espansione

dell'area dell'impianto trofoblastico. Al-l'ottava settimana di gravidanza, la pla-centa in via di sviluppo ha quasi arrestatola sua crescita tranne che all'apice dei vil-li, che servono ancora per ancorare l'or-gano alla parete uterina.

Con la blastocisti impiantata nella pa-rete uterina, la placenta viene di fatto aformarsi per mezzo di due processi: ladifferenziazione finale del trofoblasto euna risposta del rivestimento uterino chedà origine alle membrane dette decidue.Le membrane decidue racchiudono il li-quido amniotico in cui crescerà il feto. Inuna data specie, più invasivo è il trofobla-sto, maggiore è la risposta di impianto cheesso sollecita. Il trofoblasto umano, che èil più invasivo che si conosca, sollecita,infatti, la risposta uterina deciduale piùintensa: perciò tra madre e feto viene astabilirsi il legame più stretto possibile.

Una volta che l'impianto è stato realiz-zato, le cellule della blastocisti da cui sisviluppano l'embrione, il feto e poi la pla-centa possono essere definite parassitedella madre. Non più indipendenti, essepossono esistere solo prendendo ciò di cuihanno bisogno in termini di ossigeno, so-stanze nutritive, liquidi, sali, ormoni ecosì via, dalla fonte materna e scaricandoprodotti di rifiuto tossici o semplicementesuperflui nel metabolismo materno. Èinteressante notare che nell'invasionedell'endometrio da parte del trofoblasto,esso penetra ben in profondità e poi siarresta, forse come risultato dei limitiimposti dal tessuto ospite piuttosto chedal trofoblasto stesso. Per esempio, il tro-foblasto di maiale penetra di poco nel-l'endometrio, ma è di gran lunga più inva-sivo quando viene impiantato in un sitoectopico, o non uterino, quale un uretere,che, presumibilmente, non possiede lacapacità dell'endometrio di opporsi a unainvasione profonda. Nel macaco le celluleendometriali che rivestono l'utero proli-ferano, creando una placca sotto il sitodell'impianto che può servire a limitarel'invasione. Nel babbuino e in altri prima-ti, uomo compreso, non compare nessunaplacca, eppure la limitazione dell'inva-sione trofoblastica è universale (trannenei rari casi di malignità placentare, in cuitutti i relativi controlli saltano). Perfinol'invasivo trofoblasto umano non penetraoltre il primo strato muscolare che si trovasotto l'endometrio. Va aggiunto che l'in-tero processo di impianto, da cui dipendein modo esclusivo lo sviluppo della pla-centa, deve essere ancora studiato a fon-do in tutti i primati, uomo compreso.

Al termine della gravidanza, una pla-centa media è una struttura a forma didisco che pesa circa 500 grammi e che haun diametro di circa venti centimetri.Spessa fino a tre centimetri nel centro,essa è molto più sottile ai bordi, doveconfina con il corion. Le proiezioni deivilli, che si estendono entro gli spazi sinu-soidali oltre la faccia materna della pla-centa, dividono la superficie in lobi carno-si ramificati. La faccia fetale, d'altra par-te, è altamente vascolarizzata, ma liscia:membrane di rivestimento coprono learterie e le vene fetali, che si riuniscono

3736

Page 4: La placenta - Katawebdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1980...La placenta a termine è una struttura a forma di disco che misura circa 20 centimetri in senso trasversale

CIRCOLAZIONE MATERNA

CIRCOLAZIONE FETALE

MICROVILLI

Questa sezione trasversale di tessuto placentare eseguita in prossimità del cordone ombelicalerivela la struttura dei tessuti che penetrano fra loro consentendo lo scambio di sangue tra madre efeto. Negli esseri umani le cellule dei microvilli fetali invadono di fatto i vasi sanguigni dellaparete dell'utero; per questo motivo la placenta umana può essere definita come emocoriale.

nel cordone ombelicale in sede più omeno centrale. Le placente umane varia-no per dimensioni, forma e peso, ma, allanascita, il rapporto tra peso della placentae peso del neonato che ha nutrito, è dicirca uno a sei.

Meccanismi di controllo

Perché anche i tessuti dell'embrionepiù invasivi non riescono a provocare nel-la madre reazioni infiammatorie o il riget-to immunitario? L'embrione in via di svi-luppo, dal punto di vista immunologico èun estraneo; tuttavia, come ha ancheampiamente dimostrato l'esperienza de-gli innesti e dei trapianti chirurgici, quan-do tessuti estranei si incontrano, è norma-le che si verifichi una reazione di rigetto.In una certa misura è lo strato protettivodi tessuto trofoblastico dal quale la pla-centa principalmente si sviluppa che im-pedisce il rigetto della massa cellulare in-terna, ma più in generale sembra che lareazione materna contro l'embrione siaprevenuta dal delicato equilibrio tra laprotezione trofoblastica e altri meccani-smi di controllo.

Questo è soltanto un aspetto del sofisti-cato sistema di controlli che regola la cre-scita di un embrione normale e la suainvasione del tessuto materno. Altri mec-canismi del sistema circoscrivono lo svol-gimento e la durata della divisione cellu-lare, e impediscono la metastasi; essi sor-vegliano inoltre sia la differenziazionedelle cellule primitive nei diversi tipi ne-cessari alla formazione della placenta edel feto, sia la collocazione e il modella-mento di queste cellule altamente diffe-renziate in modo che esse si sviluppino inorgani e tessuti formati e situati corretta-mente. Ovviamente tutti questi processidipendono in gran parte dai precisi mec-canismi interni di controllo che governa-no la divisione cellulare negli stessi tessutiin via di sviluppo.

Peraltro, le dettagliate istruzioni gene-tiche che sono racchiuse nel DNA di cia-scuna cellula dell'individuo e danno luogoallo sviluppo normale dell'embrione,devono essere attivate selettivamente dal-l'inserimento e dal disinserimento deigeni appositi nei tempi e nei siti corretti. Ilprogramma può essere influenzato da fat-tori esterni alle singole cellule, tra cui lacostituzione chimica e la temperatura del-l'ambiente cellulare, le interazioni localidei tessuti limitrofi e l'azione degli ormo-ni e degli altri mediatori che presiedonoalla differenziazione dei tessuti e stimola-no, inibiscono o modificano la crescita. Lacomplessità è immensa, e tuttavia non vipuò essere dubbio che il sistema, provatoe riprovato nel corso dell'evoluzione, siaefficace.

Molte delle funzioni metaboliche con-trollate dalla placenta sono praticamenteidentiche a quelle controllate da altri or-gani. In questo articolo ci occuperemosoprattutto di quelle attività metabolicheche sottendono le speciali funzioni dellaplacenta, tra le quali la più straordinaria èla regolazione dello sviluppo in brevetempo. Abbiamo citato i controlli genetici

coinvolti nel processo, ma una simile cre-scita richiede anche mattoni da costruzio-ne, quelli che possono essere descritti ingenerale come proteine strutturali, e l'e-nergia per metterli al loro posto. Nellaplacenta queste richieste sono molte voltepiù grandi di quanto non lo siano in qua-lunque altro organo, perché la placentanon deve solo crescere ma deve ancheservire come terreno da costruzione eimpianto produttore di energia per unfeto che in breve tempo diverrà diversevolte più grande di essa.

Il metabolismo proteico della placentaè in gran parte governato dalle esigenzedella crescita. Nessun altro organo realiz-za la sintesi di un gruppo di proteine cosìdiverse per una gamma di scopi così vasta.La grande quantità di proteine strutturaliche saranno incorporate nei tessuti fetalie placentari in via di proliferazione deveessere ricavata da fonti materne, alcunesotto forma di molecole proteiche com-plete, e altre già scisse negli amminoacidicostituenti, sia come unità singole che sot-to forma di brevi catene. Poco del mate-riale grezzo del massiccio flusso prove-niente dalla madre, tuttavia, si trova nelleesatte (e diverse) forme richieste dai dif-ferenti stadi dello sviluppo placentare e diquello fetale. Quindi, oltre alla prefabbri-cazione di proteine specifiche da partedella placenta, per i suoi propri scopi, essadeve scegliere tra i rifornimenti disponibi-li, raggiungendo in qualità e quantità ladisponibilità di materiale necessaria allenormali richieste del feto. Inoltre, l'accu-rata sintesi di proteine a funzione ormo-nale e di enzimi, il cui ruolo nella media-zione del controllo genetico della crescitae nella regolazione dei processi metaboli-ci dipende interamente dalla loro struttu-ra molecolare, è anche più impegnativa.

Dieci settimane dopo la fecondazione,quando la placenta pesa solo cinquantagrammi, la sua produzione totale di pro-teine è calcolata attorno a 1,5 grammi algiorno. A termine, la produzione è salita acirca 7,5 grammi al giorno. Nessun altroorgano, fegato compreso, che pure lavoraa pieno ritmo, sintetizza proteine a unritmo simile e nessun altro organo possie-de un tasso metabolico così alto. La pla-centa utilizza circa un terzo di tutto l'ossi-geno e il glucosio che le vengono fornitidalla circolazione materna per le proprienecessità metaboliche; la frazione esattadipende dalle dimensioni e dalle attivitàrispettivamente del feto e della placentain quel particolare stadio di gestazione.

Là sintesi ormonale

La produzione di ormoni destinati aregolare le attività gravidiche è una dellefunzioni più interessanti della placenta.Certamente, per qualcuno che si occupaper la prima volta della placenta, può co-stituire una sorpresa che sia la placenta asopportare questa responsabilità e non lamadre o il feto. Il fatto è che dai primissi-mi giorni di gravidanza le cellule del tro-foblasto e la loro discendenza placentareproducono una grande varietà di ormoni.Il primo a essere prodotto in quantità

apprezzabili è la gonadotropina corioni-ca. Nelle fasi iniziali della differenziazio-ne del trofoblasto questo ormone ne rive-ste la superficie cellulare esterna, dove siritiene che agisca come strato protettivoin senso immunologico, prevenendo ilrigetto della blastocisti e quindi facilitan-do l'impianto. Come abbiamo già sottoli-neato, la sintesi degli ormoni estrogenidella donna comincia nella blastocisti chegalleggia liberamente, dove agisconoanch'essi per facilitare l'impianto. Il fattoche le cellule della piccola, primitiva bla-stocisti siano già attrezzate per realizzarecomplesse manipolazioni degli ormonisteroidei è una misura dell'importanza diquesti ormoni in questo stadio precoce.

Sembra che la gonadotropina corionicaumana (HCG) eserciti una qualche in-fluenza di controllo sugli ormoni placen-tari e preplacentari, dal momento chequesto ormone stimola la sintesi di estro-geno nella placenta. La piccola quantitàdi HCG che raggiunge il feto può anchesvolgere un ruolo nell'inizio della sintesidegli ormoni steroidei da parte delleghiandole surrenali e (nel caso del ma-schio) dei testicoli in via di sviluppo. Inol-tre, la placenta sembra esercitare un con-trollo a retroazione sulla sua stessa pro-duzione di HCG per mezzo di un ormonesimile agli ormoni di rilascio secreti dall'i-pofisi per regolare l'attivita delle altreghiandole endocrine.

Con il procedere della gravidanza, nel-la placenta vengono sintetizzate grandiquantità di progesterone, soprattutto apartire dal colesterolo materno. Oltre asostenere la gravidanza questo ormoneserve da materia prima per la produzionedi estrogeni (soprattutto estrone, estra-diolo ed estriolo), che a loro volta agisco-no su molti organi e tessuti sia della madreche del feto. I processi influenzati da que-sti ormoni comprendono la sintesi protei-ca e il metabolismo del colesterolo, il fun-zionamento di organi specifici come l'ute-ro e la mammella della madre e la regola-zione di numerosissimi aspetti dello svi-luppo fetale. Forse la caratteristica piùaffascinante degli ormoni steroidei dellaplacenta è però il modo in cui feto e pla-centa collaborano e che è stato analizzatoda Dorothy B. Villee della Harvard Me-dical School.

La placenta umana non possiede glienzimi necessari a convertire la grandequantità di progesterone da essa prodottain altri ormoni altrettanto essenziali. LaVillee ha scoperto che la sintesi di questiormoni a partire dal progesterone è rea-lizzata nelle cellule della «zona fetale»:gruppi di cellule transitorie trovati nelleghiandole surrenali in via di sviluppo delfeto, che non posseggono gli enzimi ne-cessari alla fabbricazione di progestero-ne, ma che posseggono quelli necessarialla sua trasformazione. In questo modo itessuti del feto e della placenta si comple-tano a vicenda. In realtà, alcuni degliestrogeni «fetali» ritornano addiritturaalla placenta per una ulteriore manipola-zione. Quando le ghiandole endocrine delfeto sono sufficientemente mature percominciare a sostituire la placenta nella

produzione degli ormoni steroidei, le cel-lule della «zona fetale» gradatamentediminuiscono, e alla fine scompaiono deltutto, quando non ce n'è più bisogno. Nel-le diverse specie che sono state prese inesame le funzioni particolari delle celluledella zona fetale e della placenta differi-scono, ma in ogni caso sono state scopertefunzioni complementari piuttosto chesovrapposte. Presumibilmente questa col-laborazione sofisticata anche se transito-ria è organizzata nel tempo da preciseistruzioni genetiche ed è regolata da or-moni di rilascio ugualmente efficaci.

A giudicare dalla grande varietà di que-sti ormoni proteici a funzione regolatoriasintetizzati nella placenta, tra cui due (lagonadotropina corionica e il lattogenoplacentare) che si trovano solo durante lagravidanza, il controllo esercitato dallaplacenta nel corso della gravidanza puòessere paragonato a quello mantenutodall'ipofisi durante la vita. Per mezzo diquesti ormoni la placenta non solo sosti-tuisce l'ipofisi del feto fino a che quest'or-gano non è pronto a funzionare per pro-prio conto, ma regola in gran parte anchel'intero equilibrio endocrino della gravi-danza. In realtà, gli ormoni proteici agi-scono su altri ormoni, soprattutto sugliormoni steroidei per regolare pratica-mente tutte queste attività.

La protezione immunologica

Tra i processi fisiologici della gravidan-za che richiedono una coordinazione par-ticolarmente precisa vi sono quelli impe-gnati nella protezione dell'embrione dalrigetto immunitario da parte del tessutomaterno. Uno dei numerosi meccanismiche sembrano svolgere un ruolo in questocompito è la soppressione non specificadei linfociti, le cellule che di norma me-diano il rigetto di un trapianto. In labora-torio, almeno, l'attività dei linfociti puòessere soppressa da molteplici sostanzeprodotte nel corso di una gravidanzanormale, tra cui gli ormoni proteici corio-nici, gonadotropina, lattogeno placentaree prolattina, l'ormone steroideo cortiso-ne, il progesterone e gli estrogeni, e nu-merose altre proteine e glicoproteine.

Come abbiamo osservato, l'embrionepuò essere anche fisicamente protettodalle grandi cellule decidue, strettamenteaddensate, che lo racchiudono subitodopo l'impianto della blastocisti. Questabarriera protettiva interrompe il drenag-gio del tessuto materno da parte dei linfo-citi. Inoltre i vasi sanguigni materni noninvadono il trofoblasto, né la placenta ecosì viene bloccata una seconda via checonduce tipicamente al rigetto del tra-pianto. Nelle prime fasi dello sviluppo deltrofoblasto, un'ulteriore protezione è of-ferta dall'assenza dell'espressione degliantigeni: le sostanze che stimolano laproduzione di anticorpi specifici contro diessi e danno origine al rigetto del trapian-to. In altre parole sebbene il tessuto em -brionale sia estraneo, riesce a nasconderequesto fatto, almeno per un po'.

Peraltro, c'è la prova che gli antigenicorrispondenti a diversi tessuti siano pre-

senti nel tessuto trofoblastico. W. D. Bil-lington della Medical School dell'Univer-sità di Bristol ha messo in rilievo che glianticorpi prodotti deliberatamente perattaccare questi antigeni possono avereun grande valore clinico per esempio nel-l'indurre l'aborto o nell'immunoterapiadei tumori placentari, come il coriocarci-noma. È possibile che nel corso della gra-vidanza questi anticorpi siano formati neitessuti materni ma che. come altri mecca-nismi di rigetto, essi siano poi tenuti sottocontrollo da una delicata interazione diforze protettive. Come afferma Billing-ton : «Le sole proprietà immunologichedel trofoblasto e i diversi processi materniimmunoregolatori sembrano agire insie-me... per evitare le reazioni anticipate dirigetto che risulterebbero dalla incompa-tibilità tra madre e feto». Egli ritiene che idiversi elementi di questo complessoequilibrio immunologico siano sorti inepoche differenti nel corso della evolu-zione. Guy Voisin e i suoi colleghi delcentro di immunopatologia dell'Istitutonazionale di sanità e ricerca medica diParigi hanno portato avanti l'argomento,suggerendo che «i tumori possono essereconsiderati come tessuti patologici chehanno "capito" e utilizzato alcuni deitrucchi della placenta» per impedire illoro rigetto da parte dei tessuti ospiti.

Un'altra funzione immunitaria altamen-

te specifica della placenta è quella di rifor-nire il feto, al termine della gravidanza,con anticorpi materni del tipo noto comeimmunoglobuline. Questi anticorpi rias-sumono l'esperienza e la resistenza dellamadre nei confronti di diverse infezioni eforniscono il neonato di un bagaglio di an-ticorpi fino a che il suo stesso sistema im-munitario può cominciare a funzionare. Lemolecole degli anticorpi sono di gran lungatroppo grandi per diffondere attraverso laplacenta e perderebbero la loro attività sevenissero scisse, per cui devono essere tra-sportate da sistemi attivi di trasporto, dasistemi cioè che richiedono energia. Questisistemi sono altamente selettivi e traspor-tano alcune molecole anticorpali di mag-giori dimensioni a spese di quelle di minoridimensioni, presumibilmente in accordocon i bisogni del feto.

Una caratteristica particolarmentesorprendente del trasporto attivo deglianticorpi è che gli anticorpi attraversanoil tessuto che protegge normalmentel'embrione dall'attacco immunitario escinde le molecole proteiche grandi comeanticorpi. A. D. Wild della Università diSouthampton ha osservato che i sistemi ditrasporto altamente specializzati, chesono di fatto indipendenti dal tessuto at-traverso il quale trasportano sostanze,possono essere sfruttati come mezzo ingrado di indirizzare «a bersaglio» farmaci

38 39

Page 5: La placenta - Katawebdownload.kataweb.it/mediaweb/pdf/espresso/scienze/1980...La placenta a termine è una struttura a forma di disco che misura circa 20 centimetri in senso trasversale

in grado di curare particolari organi e tes-suti. Con lo stesso elemento differenzialesarebbe possibile bloccare quei sisteminella placenta. Sarebbe desiderabile, peresempio, impedire che gli anticorpi ma-terni Rh raggiungano il feto e attacchino iglobuli rossi.

L'invecchiamento della placenta

Da molto tempo gli ostetrici sono con-sapevoli di quelli che sembrano esserecambiamenti dovuti all'invecchiamentoin alcune placente umane verso il terminedella gravidanza. In realtà, alla fine dellagravidanza, lo sviluppo di depositi di cal-cio e di infarti fibrotici, aree di tessutomorto che derivano dall'indurimento edalla occlusione delle arterie della placen-ta, rendono alcune placente dure e con-tratte, in apparenza vecchie. Queste mo-dificazioni possono veramente essere at-tribuite all'invecchiamento? Per dirla inaltri termini, la placenta è geneticamenteprogrammata per compiere il suo lavoroin nove mesi e poco più?

A queste domande è notevolmente dif-ficile rispondere. Un ostetrico che osservauna placenta in apparenza invecchiatainsieme a un neonato sottodimensionatopuò ritenere che la placenta fosse inade-guata per sostenere il proprio feto, che

! quindi ha sofferto di «insufficienza pla-centare». Peraltro, è possibile che il pro-gramma genetico che governa la crescitadel feto e della placenta abbia decisosemplicemente che entrambi dovesseroessere più piccoli del solito. Dopo tutto,un feto che è destinato a diventare unneonato piccolo, ha bisogno solo di unaplacenta piccola. Più in generale, anche sequalcuno potesse riconoscere con un'oc-chiata gli effetti dell'invecchiamento, finoa oggi né le caratteristiche specifiche diquesto fenomeno, né le sue cause sonostate pienamente identificate. Quindi nonesistono criteri sicuri per valutare le mo-dificazioni della placenta che ricordanol'invecchiamento. Certamente, i depositicalcificati che sembrano essere una provacosì incontrovertibile dell'invecchiamen-to si trovano spesso alla nascita nella pla-centa di neonati che non hanno sofferto,in modo evidente, di nessuna insufficien-za placentare, e ci sono anche prove persuggerire che la formazione di tali deposi-ti è di fatto reversibile.

Inoltre, è ben lungi dall'essere sicuroche tali modificazioni intacchino la fun-zione placentare. Willi Hijmans dell'Isti-tuto di gerontologia sperimentale di Rij-swijk, in Olanda, ha suggerito che la pla-centa matura, ma non invecchia. Se que-sto è vero e la placenta è certamente unorgano che matura e rimane poi in condi-zioni ottimali fino a che alla fine smette difunzionare, essa fornirebbe un modelloideale per l'indagine gerontologica. Pe-raltro, è interessante osservare che con ilcrescere della placenta aumenta la suasintesi di fosfolipidi; effetti analoghi sonostati osservati nelle arteriole di uominianziani e di donne anziane che hanno as-sunto la pillola anticoncezionale per unlungo periodo di tempo.

Ci sono molti campi in cui la placentaumana potrebbe servire come insostitui-bile substrato sperimentale, dotata com'èdel particolare vantaggio di essere uma-na. Le applicazioni più ovvie della pla-centa riguardano il campo della ricercaostetrica, soprattutto sulle anomalie con-genite. Per esempio, per quelle malattieereditarie che sono caratterizzate da si-sterni enzimatici difettosi, la placentarappresenta ciò che noi chiamiamo la piùgrande biopsia umana. Inoltre, parlandoin termini generali, il feto è esposto aglistessi farmaci, agli stessi additivi alimen-tari e agli stessi inquinanti ambientali acui è esposta la madre gravida. Duranteil primo trimestre questo fattore può es-sere di significato determinante perché itessuti del feto e della placenta devonoancora differenziarsi e quindi (come latragedia del talidomide ha mostrato fintroppo chiaramente) sono altamente su-scettibili di danno. Con i nostri colleghidell'Università di Londra stiamo attual-mente studiando il modo in cui la placen-ta modifica la struttura chimica dei far-maci (e quindi la loro azione) nella spe-ranza, un giorno, di poter osservare di-rettamente gli effetti dei farmaci sul tes-suto umano.

A causa della capacità di rapida divi-sione cellulare della placenta, essa costi-tuisce un sistema particolarmente adattonella valutazione della tossicità delle so-stenze e nello studio dei farmaci che inibi-scono la divisione cellulare (per il tratta-mento del cancro). Certamente, è chiaroche la placenta è potenzialmente unostrumento importante per valutare i com-posti chimici in generale. Inoltre, la pla-centa in via di sviluppo è un modello ec-cellente per lo studio della divisione cellu-lare normale e anormale, perché nella suarapida crescita, nella sua invasività e nelsuo mosaico di attività metaboliche essanon si differenzia apprezzabilmente da untumore maligno. L'unica differenza so-stanziale tra i due è che la placenta ponelimiti alla propria crescita.

Potrebbe dimostrarsi una sfortuna chel'apparente semplicità del batterio Esche-richia coli abbia sedotto i ricercatori fino afarlo diventare l'organismo fondamentaledella ricerca genetica. Se le cellule dellaplacenta fossero state utilizzate per lostesso scopo, le difficoltà iniziali sarebbe-ro state più grandi, ma oggi il modellouniversale sarebbe umano. Tutti i mecca-nismi e gli stimoli riguardanti la moltipli-cazione cellulare possono essere studiatisulla placenta con cellule della placenta,sia in vivo, sia in vitro, sia in coltura ditessuti. Inoltre, le cellule della placentavengono sostituite attraverso la divisionecellulare, per cui la placenta può essereutilizzata per la ricerca dei segnali di avviosia della divisione normale sia di quelliche preannunciano modificazioni mali-gne. Infine, la placenta può essere ancheutilizzata per indagare sulla regolazionedell'espressione dei geni e sul modo dioperare dei geni repressori. Questo indi-zio di ricerca potrebbe portare alla ri-compensa più grande: il chiarimento delcodice genetico del cancro.

manuali scientificiserie diretta da Mauro Boscarol

1 L'ANALISI MATEMATICAbreve corso informaledi E. Gagliardo161 pagine, 45 illustrazioni, L. 7.500

2 L'HARDWARE DEI COMPUTERintroduzione al progetto logicodi M. Cripps176 pagine, 78 illustrazioni, L. 7.500

3 MUSICACON IL CALCOLATOREle regole matematiche della composizionedi R. Zaripov170 pagine, 51 illustrazioni, L. 7.500

4 LE SCIENZECON IL CALCOLATORETASCABILEesempi di applicazioni pratichedi D.R. Green e J. Lewis398 pagine, 92 illustrazioni, L. 9.800

5 MATEMATICACON IL CALCOLATORETASCABILEuna collezione di 35 programmi per HP-33E e HP-25di P. Henrici233 pagine, L. 15.500

6 GLI ESPERIMENTI FACILI:FISICA GENERALEun complemento al libro di testodi V. Zanetti260 pagine, 94 illustrazioni, L. 9.500

franco muzzio & c. editoreVia Bonporti, 36 - 35100 PadovaTel. 049/661147-661873

Desidero ricevere il catalogoe ordinare i seguenti librida inviarmi in contrassegno:

1E 2E 3E 4E 52 6E1

nome

cognome

indirizzo

SO

DL J40