JABADABADOO - gennaio 2011

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Mensile gratuito di attualità, informazione e curiosità - Anno VII - Gennaio 2011 n.1 - N 54

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Jabadabadoo è un periodico della città di Vittorio Veneto che si occupa di cultura giovanile e di iniziative, azioni, ed eventi che la riguardano.

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Mensile gratuito di attualità, informazione e curiosità - Anno VII - Gennaio 2011 n.1 - N 54

Fondi L. 266/91- CSV TrevisoRealizzato con il contributo di:

A gennaio si è ancora in tempo per parlare di buoni propositi con convinzione, sperando davvero di vederli avverare, senza per questo perdere di credibilità agli occhi di quelli che già all’Epifania non ci pensano più. Dunque: noi di Jabadabadoo vorremmo che il 2011 parlasse ancora di giovani. Ma non nei modi e nei termini in cui sono stati definiti recentemente, come oggetto di dibattito o di strumentalizzazione da questa o quell’altra parte. Pretendiamo che parlare di giovani non sia solo fonte di preoccupazione, di frasi fatte e luoghi comuni o di promesse puntualmente non mantenute come i buoni propositi di cui sopra. Dal canto nostro ci impegneremo da queste pagine ad allargare lo spazio dedicato a loro (che poi siamo anche noi) continuando a intervistarli, facendoli parlare ancora e ancora; dai temi più sentiti come l’istruzione ai quelli più leggeri, riguardanti mode e divertimenti, ovviamente della zona. Non dimentichiamoci infatti che Jaba, pur tenendo un occhio aperto sul mondo, si concentra e prova a riflettere soprattutto sul locale, tentando di far conoscere le potenzialità giovanili qui attive e presenti. Fortunatamente, dato che dalla realtà di Vittorio Veneto ci sono buoni segnali in questa direzione, forse i buoni propositi non servono.

Silvia Albrizio

A (BUON) proposito

La famiglia e il matrimo-nio sono due importan-ti istituzioni sociali che sono profondamente mu-tate nel corso della storia.Prima dell’industrializza-zione, le famiglie si for-mavano principalmente in due diversi modi. Il primo, tipico dei paesi nord-occidentali, si ba-sava su tre regole: prima delle nozze molti giova-ni passavano degli anni fuori casa, sia gli uomini che le donne si sposava-no tardi (26 e 23 anni), gli sposi mettevano su casa e famiglia da soli. Il secondo, tipico dei pae-si asiatici e dell’Europa meridionale, si basava su altre regole: gli uomini si sposavano presto e la nuova coppia andava a far parte della famiglia del padre. In Italia tro-viamo entrambi i siste-mi ma nella nostra realtà territoriale, il Veneto, era diffusa la residenza par-

trilocale (con la famiglia del padre), che riusciva a soddisfare i bisogni che la società agricola dell’epo-ca richiedeva. La famiglia moderna si diffonde in Europa con l’industrializzazione e il cambiamento si perce-pisce dapprima tra i ceti meno abbienti. Dall’es-sere famiglia patriarcale, caratterizzata da una ri-gida separazione dei ruoli fra i suoi membri sulla base del sesso e dell’età e da relazioni di autorità, all’essere famiglia coniu-gale intima, la cui struttu-ra presenta un sistema di ruoli più flessibili non più legati al sesso o all’età.Mentre questo modello prosegue il suo affermar-si nei paesi asiatici, dalla metà degli anni Sessanta ha iniziato a perdere im-portanza in quelli occi-dentali. Diminuiscono i matrimoni e si alza l’età in cui si abbandona il

nido materno. Aumenta-no inoltre le convivenze more uxorio (senza ma-trimonio) e, più in gene-rale, le famiglie di fatto. Per quanto riguarda i di-vorzi l’Italia è in contro-tendenza rispetto agli altri paesi, perché qui i legami famigliari si rompono più di frequente nei ceti alti. È interessante infine nota-re come il tasso di divorzi dipenda dalla religione e dall’emancipazione fem-minile: maggiore è l’os-servanza religiosa e meno frequenti sono i divorzi, maggiore è il grado di emancipazione femmi-nile e più frequenti sono i casi di divorzio. Con i divorzi aumentano anche le famiglie ricostituite più fragili e più complesse.Nell’articolo che segue abbiamo stilato il reso-conto di un’intervista ai giovani della nostra città.

L’Europa in famiglia Dai Malavoglia a Modern Family, ecco come si è trasformata la famiglia negli ultimi secoli.

DI NICOLÒ DAL BO

La vita non è un film, ci inse-gnano. Tuttavia guardando l’ultima fatica di Woody Allen (Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni), tra famiglie che si in-crociano, incontrano, scon-trano, è sufficiente pensare a questo piccolo consiglio per catalogare queste situazioni in uno spazio lontanissimo dalla nostra realtà. Eppure, basta andare una mattinata a un incontro per studenti, fare qualche domanda qua e là, per scoprire che tra noi e la Gran Bretagna raccontata da Allen non c’è una gran differenza. Su un campione di dieci ragazzi intervistati, tre vivono in famiglie con geni-tori separati. E fin qui, niente di speciale, al giorno d’oggi il divorzio è quasi un’abitudine.

Certo, molti di loro pensano sia una situazione difficile, che la famiglia non sia felice e ci siano troppe mancanze, ma chi l’ha provato sulla sua pelle non ne soffre molto. Addirittura Giulia, 15 anni, no-nostante viva in una famiglia tradizionale, definisce la fa-miglia allargata “una forma di normalità”. Opinioni simili si riscontrano anche parlando dell’argomento più dibattuto nell’ambito della famiglia: gli omosessuali. Del tutto scevri da opinioni filo-clericali, i ra-gazzi sono aperti alle coppie dello stesso sesso. “Ma non devono poter adottare” è l’i-dea diffusa. Josara e Luisa, 16 anni, spiegano perché: senza le figure di sesso opposto, al bambino mancano delle basi

solide, e soprattutto la socie-tà non è pronta ad accettare questo tipo di famiglia. Solo Daphne si dissocia, per lei possono adottare senza al-cun problema. Alla richiesta di citare una famiglia “inu-suale” da loro conosciuta, ci arrivano esempi simili: tre su cinque sono giovani coppie (anche minorenni) che, dopo aver avuto un figlio, convivo-no -per scelta o, in un caso, per costrizione-. Gli altri due casi sono alquanto curiosi: Gianmarco ci racconta di un ragazzo diciottenne la cui madre separata convive con una donna. Daphne, invece, conosce due cugini di pri-mo grado sposati e con figli. Racconti da far invidia anche ai migliori registi.

Storie di inusuale quotidianità

A CURA DI LUCKY DALENA E NICOLÒ DAL BO

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Esiste una categoria di volontariato che si occupa del nucleo primario della società: la fa-miglia. Ce ne parla Adriano Bordignon, coordinatore provinciale del Laboratorio Politiche familiari e membro del direttivo dell’associazione Famiglie 2000. Che cosa fa un’associazione che si occupa di famiglia?La nostra associazione segue principalmente due linee di azione. La prima, politica, mira a far riconoscere la famiglia come soggetto sociale: chi ha dei figli dovrebbe poter avere delle agevolazioni fiscali, ad esempio per il consumo dell’elettricità; chi accudisce un anziano o ha un bambino piccolo, usando molti pannolini, dovrebbe poter spendere meno per i rifiuti. Partecipiamo inoltre all’elaborazione dei piani di zona. La seconda linea d’azione vuole iden-tificare la famiglia come costitutiva di capitale sociale. Al suo interno si misura la ricchezza relazionale di un paese: se funziona crea capitale sociale, in caso contrario la società si di-sgrega. Per fare ciò organizziamo corsi sulla genitorialità, su come gestire il rapporto con i media, cerchiamo di ripristinare le relazioni tra le famiglie e organizziamo vacanze ad hoc.Che cosa si intende oggi per famiglia?Famiglia è per noi un luogo in cui si incrociano generi e generazioni, in cui si fanno le prime relazioni, in cui una persona adulta trova la piena realizzazione di sé. La nostra associazione si rivolge a categorie diverse di famiglia, come ad esempio quelle monogenitoriali. Rispetto a molte associazioni di volontariato non siete nati intorno ad una difficoltà condivisa da più persone.Per partecipare a questo tipo di associazioni è necessario un grandissimo senso civico. Ci si riunisce perché si ritiene necessario ripristinare una società basata sulle relazioni. Le faccio un esempio: nel mio quartiere è capitato che una persona anziana fosse deceduta da dieci gior-ni prima che qualcuno se ne accorgesse. Una volta questo sarebbe stato impossibile perché ognuno si occupava dei problemi dell’altro.Quali le prossime tappe importanti?Ad oggi siamo impegnati, insieme a quattordici associazioni, per i preparativi del 15 maggio, giornata ONU per la famiglia. Per un mese organizzeremo, in quindici comuni della Provincia di Treviso, spettacoli, cineforum, rappresentazioni teatrali, focus group e meeting sul tema della famiglia.

DI ANDREA CONDOTTA

Volontariato e famiglia

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Cinzia ha 19 anni appena compiuti e bellissimi occhi azzurri. Filippo, il suo ragazzo, ha i capelli biondi e di anni ne ha 24. Una coppia qualsiasi, direte voi. E invece no. Con loro c’è Aurora. Ha i ca-pelli (anche se ancora pochi) del papà e gli occhi di mamma. È arrivata in un giorno di aprile a cambiare le loro vite. Lei era ancora alle superiori quando ha scoperto che una piccola vita sta-va crescendo in lei già da cinque mesi. “Hai pensato al tuo futuro oppure hai preso una scelta dettata dall’istinto?” chiedo a Cinzia. Al di là della legge, se-condo la quale al quinto mese è troppo tardi per un aborto, non ha mai preso in considerazione l’ipotesi perché, “è un essere vivente, non ne avevo il di-ritto”. Forse non aveva scelta, questo è certo ma, basta sentire la sua voce, è davvero felice. Parliamo al telefono,

ma sono sicura che stia sorridendo mentre mi racconta che “i nonni se la litigano, perché la vorrebbero sempre con loro”. Per accontentare tutti, han-no deciso di alternarsi, vivendo per un periodo a casa di mamma e poi un po’ a casa di Filippo. “Non è stato facile, all’inizio” confessa, “mamma l’ha pre-sa subito bene ma papà ha dato un po’ di matto”. Alla fine ha capito anche lui, l’amore di un papà perdona tutto. E so-prattutto l’amore di nonno: basta guar-dare la piccola Aurora per innamorar-sene. È successo anche a Cinzia, che chiude la telefonata raccontandomi di quanto sia stato doloroso il parto, ag-giungendo però che il sentire la mano di Filippo stringere la sua e il corpicino di Aurora salutare il mondo ha cancel-lato ogni sofferenza.

DI LUCKY DALENA

Il bello di essere mamma. A diciotto anni.

Le fiabe, il teatro, il cinema e la letteratura ci hanno riempito di esempi per definire la famiglia allargata. Da una parte c’è la storia di Cenerentola, che demonizza questa re-altà con le figure della perfida matrigna e delle odiose sorellastre che la perseguitano, dall’altro lato Salvatores che la racconta come un idillio in Happy Family (2010). L’avere una famiglia allargata, essere in tanti, non significa che la vita delle persone sia peggiore o migliore, ma certamente di-versa. Prendiamo per esempio il pranzo di Natale: non è mai semplice da organizzare, tanto meno se il nuovo marito di tua madre è un uomo con tre figli avuti dal precedente matrimonio, e tuo padre ha scelto come compagna di vita una donna che ha dato alla luce due splendidi gemelli.Più si è, meglio è: semplice da dire, però presuppone un grande impegno. In questo caso, almeno.La lista degli invitati è decisamente lunga, a cui si aggiungono i parenti lontani ed even-tuali amici. Ma l’atmosfera è però delle migliori. Anche se l’euforia del gran giorno non impedisce i soliti dissapori, ognuno s’impegna al massimo per la riuscita della giornata, proprio come nella più tradizio-nale delle famiglie. Le donne di casa sono alle prese con la cucina, mentre gli uomini discutono su quale vino sia più adatto per il brindisi. Bambini e bambine corrono at-torno al tavolo della sala da pranzo sotto gli occhi vigili delle nonne. Con l’inizio del pranzo l’atmosfera non muta: un gran vociare echeggia nella sala. C’è chi ride, chi chiacchiera e, soprattutto, chi discute. Se ti guardi intorno pensi quan-to è bello essere in tanti e così diversi e, nello stesso tempo, ti rincuora il fatto che tra poco finirà!

Natale in famiglia…allargata.

DI VIOLA DELLA PIETÀ

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Perché mio fratello maggiore è sempre così sbruffone con me?Tuo fratello maggiore ha bisogno di farti ve-dere che lui è più gran-de e lo dimostra con un atteggiamento forse arrogante e non sempre rispettoso nei tuoi con-fronti. Può anche darsi che sia un po’ geloso. Credo che parlarne con lui sia la cosa migliore per affrontare il pro-blema.Perché devo sempre io andare a prendere l’acqua o il vino? Per-ché devo sempre io pulire la doccia?Tante volte non ci accorgiamo che anche le altre persone di casa fanno tante cose. Noi teniamo conto di quelle che ci vengo-no chieste, per questo sembrano sempre di più. Ma è anche possibile che le richieste vengano fatte al figlio più disponibile e che protesta di meno, ma questo deve es-sere vissuto come un riconoscimento del-la nostra bontà e capacità. Aiutare i propri familiari e amici è sempre positivo e deve renderci orgogliosi.

Perché il mio papà non mi porta nella sua nuova casa e non mi fa conoscere la sua nuova compagna?I genitori, quando si separano, mettono in atto dei comportamenti che tante volte ferisco-no i figli. Il loro timo-re di far conoscere il proprio figlio al nuovo partner è legato spesso alla paura che questi non lo accetti, oppure il contrario. La strada più produttiva, a mio avviso, è il dialogo. O una lettera scritta col cuore.

Perché mio fratello minore mi segue ovunque?Tuo fratello minore ti segue perché ha biso-gno di un modello da imitare, vuole vedere che cosa fai e dove vai, magari vorrebbe fare le cose che fai tu. Non arrabbiarti con lui perché vorrebbe essere grande come te!Perché i miei genitori litigano sempre su ciò che è giusto o non è giusto per me?I tuoi genitori litigano semplicemente per-ché hanno idee diverse su ciò che è giusto per te. Tu che cosa vorresti fare?

Problemi in famiglia?A CURA DELLA DOTT.SSA PATRIZIA FURLAN

QUALI SONO I PROBLEMI PIÙ COMUNI SENTITI DAI FIGLI DI FAMIGLIE ALLARGATE? ABBIA-MO DATO CARTA BIANCA AI RAGAZZINI DI ETÀ COMPRESA TRA GLI 11 E I 15 ANNI PROTAGO-NISTI IN PRIMA PERSONA DI TALI SITUAZIONI. I LORO DUBBI E DOMANDE (IN FORMA ANON-IMA) LE ABBIAMO POI RIVOLTE ALLA DOTTORESSA PATRIZIA FURLAN, ESPERTA IN MATERIA.

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Che tipo di famiglia è la tua: tradizionale o allargata?

Quali valori pensi che una famiglia allargata possa trasmettere a un giovane che ci vive all’interno?

Qual è la tua idea a proposito delle  famiglie omosessuali?

Sei a favore per concedere loro l’adozione di un bambino?

Ho una famiglia tradizionale in Spagna.

Secondo me la famiglia allargata rappre-senta il nuovo prototipo di  famiglia, e risp-ecchia la società attuale in tutto e per tutto.

Conosco molte famiglie omosessuali, in Spagna.

Sono più che  favorevole all’adozione da parte loro: molto spesso hanno più valori delle famiglie eterosessuali.

Ho una famiglia tradizionale.

La famiglia allargata ormai rappresenta la maggioranza dei casi: gli adulti devono  es-sere capaci di far comprendere ai  giovani  che è un fenomeno normale, capace  di ar-ricchire chi lo vive.

Sono favorevole alle famiglie omosessuali.

L’argomento relativo all’adozione è un po’ più complesso: non sono comunque sfa-vorevole, anzi spesso nelle famiglie omo-sessuali esistono e sopravvivono valori che le  famiglie etero non hanno più.

Che tipo di famiglia è la tua?Qualche domandina agli insegnanti

Professore Juan Camarena (Docente di Lingua Spagnola presso Scuola Secondaria I grado  “U.Cosmo”)

Angela Colmellere (Sindaco di Miane e Insegnante)

Da chi è composta la nuova Associa-zione Il Dante? Da persone che credono sia impor-tante investire nel futuro dei ragazzi. Quali sono le difficoltà principali nel gestire una scuola privata attraverso un’associazione? Reperire risorse economiche suf-ficienti a sostenere la scuola. Quali sono le novità rispetto alla ge-stione precedente? Il nuovo indirizzo Logistica e le col-laborazioni con l’università di Trento e con le aziende, tra cui Leica Geosy-stems e Global Base partner di Google.

Come vengono scelti gli insegnanti? Devono condividere il progetto educati-vo e l’ispirazione cristiana della scuola, e soprattutto essere preparati e motivati. Quanto costa iscriversi ai nuovi per-corsi scolastici de “Il Dante”? La primaria circa 100 euro al mese, la secondaria di I grado circa 180 e la secondaria di II grado media-mente 270 euro al mese. Tutte con 200 euro di iscrizione annuale. Perché un ragazzo dovrebbe scegliere il vostro istituto paritario? Per sentire di far parte di un gruppo che sarà vivo dentro di sé per sempre.

Il nuovo Dante e il suo futuro.

Il Dante ritorna. Dopo le difficoltà degli ultimi mesi l’Associazione Il Dante, presieduta da Sonia Covi, ha preso in mano le redini dell’Istituto allo scopo di rinnovare e trasfor-mare il volto di una scuola storica di Vittorio Veneto.

Così parla la stessa presidente: “L’associazione ha sede in via N. Tommaseo a Serravalle di Vittorio Veneto (www.ildan-te.com) e nasce per volere di alcuni genitori, insegnanti ed ex-allievi del Collegio Vescovile Dante Alighieri, come rispo-sta positiva alla decisione della Diocesi di Vittorio Veneto di chiudere il Collegio Dante il 31 luglio 2011. È costituita da laici che, avendo a cuore l’educazione e la formazione, si impegnano personalmente offrendo le proprie competenze con passione ed entusiasmo. La mission dell’associazione è quella di rilanciare la scuola Dante, quale centro educativo e formativo per il territorio, offrendo non solo studenti preparati per il mondo del lavoro e persone di “spessore” per la socie-tà, ma anche servizi innovativi per le aziende che collaborano ai progetti dell’associazione.”

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Alcol: quanti metri

sopra il cielo?DI LUCKY DALENA, CHIARA PERIN, NICOLÒ DAL BO

IL 4 DICEMBRE SI È SVOLTA LA GIORNATA DI SENSIBILIZZAZIONE AL VICTORIA SPORT & CITY RIVOLTA AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE SUPERIORI PRIMARIE E SECONDARIE DAL TITOLO “ALCOL: QUANTI METRI SOPRA IL CIELO?”. QUESTO EVENTO È STATO LA CONCLUSIONE DI UN PERCORSO DELL’ULSS 7 VOLTO A SENSIBILIZZARE ADOLESCENTI E GIOVANI SUL TEMA DELL’ABUSO DI ALCOL E DELLE CONSEGUENZE SULLA SALUTE, IL BENESSERE PERSONALE E SOCIO-RELAZIONALE.

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L’iniziativa è collegata al progetto Sibilla, nato nel 2009 e promosso dal Ministero delle Politiche Sociali in collaborazione con ULSS 7 e Università di Padova, teso a individuare la diffusione delle dipendenze analizzando i luoghi aggregativi giovanili.Al termine delle rilevazioni, i dati sono stati usati per l’organizzazione di un inter-vento sperimentale di prevenzione all’abuso dell’alcol: il progetto Prosit.L’elemento che ha reso il progetto innovativo è stato l’utilizzo del metodo della Peer Education, in base al quale un piccolo gruppo di “pari”, ovvero i ragazzi dell’Istituto Professionale Alberghiero “Berltrame” di Vittorio Veneto e della Scuola Enologica “Cerletti” di Conegliano, ha operato attivamente, dopo un periodo di formazione con esperti, per educare e influenzare i propri coetanei, in questo caso i ragazzi delle medie di Vittorio Veneto, sui pericoli dell’abuso di alcolici.Hanno collaborato al progetto Ser.D, Comuni dell’Area ULSS 7, Acat, Alcolisti Anonimi, Associazione Comunità Giovanile, Cooperativa Thauma, Società Spazio Verde-Blu, Cooperativa Servitium, Piccola Comunità, Ceis di Belluno. In particola-re, hanno portato grande supporto al progetto l’Assessore Antonella Caldart, la prof.ssa Bottecchia collaborando nella formazione dei ragazzi, Suor Beatrice, prof. Di Martino e Don Fabio come referenti delle scuole medie. Infine, è doveroso ricordare la Responsabile Unità Cura e Riabilitazione del Ser.D Annunziata Licci, venuta a mancare qualche mese fa, senza la quale la realizzazione del progetto non sarebbe stata possibile.

Due parole con la Prof.ssa Bottecchia e la Prof.ssa Miotto dell’IPSSAR Beltrame (Alberghiero) in merito al progetto “Peer Education” Il nostro Progetto nasce nell’A.S 2001-2002 ed era rivolto  alle Classi III del  corso Sala-Bar col nome “Prosit con Gusto e Giudizio”, in collaborazione con l’ULSS 7 ,e ha visto coinvolti non solo insegnanti e studenti, ma anche psicologi, medici e  sommelier. In pratica si è trattato di formare dei ragazzi visti non solo come possibili fruitori di alcolici, ma soprattutto come futuri gestori di locali e quindi persone che un giorno,  l’alcol, lo serviranno a terzi. Ciò  ha implicato anche alcune visite in birrerie e cantine. Dopo due anni, il lavoro ha dato i suoi primi frutti: una “Carta Menu” presentata anche a questa manifestazione, e la formazione di studenti-educatori non solo per l’Istituto Alberghiero ma anche per le  altre scuole del comprensorio. Anche la prof.ssa Miotto di Sala-bar , pensa che il progetto sia stato vincente. I ragazzi possono vedere concretamente i risultati dei propri studi nel quotidiano: si ricalcano infatti non solo gli aspetti tecnici e clinici relativi all’uso e abuso di alcol, ma anche quelli giuridici, con preziose informazioni utili a tutti , non solo a chi l’alcol lo servirà  da dietro un bancone.

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Spiegate a parole vostre cos’è il progetto di Peer Education.Mattia Peer education vuol dire “educazione tra pari”: è un progetto partito per noi in terza superiore, due anni fa. È continuato l’anno scorso con un’attività alle scuole medie, in cui attraverso giochi e discus-sioni informavamo i ragazzi sulle tematiche legate all’alco-ol e al suo abuso.Che tipo di giochi facevate?Marta Uno era legato al ri-schio, altri erano giochi a quiz in cui per le risposte sbagliate si perdevano punti dalla paten-te. Poi alternavamo presenta-zioni in power point, cercando di sperimaentare linguaggi per noi nuovi.Voi come vi siete preparati?Marta Abbiamo seguito un corso di nove incontri pomeri-

diani, fuori dalle ore di lezione, con Fabio Campeol, un esperto in questo campo.Perchè avete scelto di essere dei peer educator?Mattia Mi ha incuriosito il progetto.Ha avuto dei riscontri anche su voi stessi? Il vostro rappor-to col bere è cambiato?Mattia Per me si, ho imparato cose che non conoscevo pro-prio, anche grazie a medici e psicologi.Marta: Diciamo che ora quan-do beviamo, sappiamo cosa beviamo.Voi quando avete cominciato a bere?Medie, per assaggiare.Com’è parlare a ragazzi di poco più piccoli di voi dei rischi legati al bere? Vi crea imbarazzo?Marta No, addirittura questo progetto dovrebbe essere portato avanti tra ragazzi del-la stessa età. Comunque i dati dicono che si comincia a bere sempre prima, quindi iniziare a parlarne già alle medie può essere utile.

Mattia Con i ragazzi non c’è stato nessun problema, anche a loro è piaciuto incontrarci per parlare di queste cose.Che effetto vi fa venire al Vic-toria a parlare di alcolismo? Molti ragazzi ci si ubriacano il sabato sera.A noi fa piacere, non vogliamo imporre divieti, ma informare.Ma voi frequentate il Garage?No! Noi il sabato sera lavoria-mo.Tra i vostri amici c’è chi abusa di alcool?Sì.E secondo voi perchè?Marta Per raccontarlo il gior-no dopo a scuola, per sentirsi fighi.E voi cosa gli dite?Mattia È difficile: alle volte non sono interessati, altre volte ca-piscono quello che dici, ma poi il sabato sera sono di nuovo ubriachi. E quindi?Cerchiamo di spiegarci in altri modi, ma l’importante è non imporre divieti: è la cosa peg-giore. La porta aperta per farli andare a bere.

MATTIA E MARTA STUDIANO ALL’ISTITUTO ALBERGHIERO BELTRAME E SONO ALL’UTLIMO ANNO. DALLA TERZA SUPERIORE SONO STATI COINVOLTI IN UN PROGETTO DI PREVENZIONE DELL’ABUSO DELL’ALCOOL CHIAMATO PROSIT, CHE HA POI PORTATO A QUELLO DI PEER EDUCATION. IL 4 DICEMBRE ERANO AL VICTORIA PER PRESENTARNE I RISULTATI.

Quando la scuola ti insegna a bere.

DI PAOLO CASAGRANDE

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Manifestazioni, riforma, studenti, Gelmini, ricercatori, università… parole che circa un mese fa sono rimbalzate prepotentemente fra le pagine dei giornali e nei servizi in televisione. Era da un po’ che non si vedeva tanto fermento nel mondo accademico e, se probabilmente i motivi della protesta e i contenuti del disegno di legge sono rimasti poco chiari alla maggior parte dell’opinione pubblica, non sono certo passati inosservati i protagonisti della protesta. Una reazione così forte testimonia quanto meno un disagio che i più giovani esprimo-no nei confronti di chi, dall’alto, ha il compito di dettare le regole del gioco e non solo nell’ambito dell’Istruzione, cui fa capo il ministro Gelmini. Al centro del dibattito è stata in particolare la figura del ricercatore il quale, in aggiunta alle difficoltà che già notoriamente incontra in Italia nello svolgere la propria attività, vedeva drasticamente modificata dalla riforma in questione la propria carriera lavorativa e di conseguenza il proprio futuro.

Ma cosa significa essere ricercatore? Difficile saperlo se non si parla con qualcu-no che lo fa. Enea in questo senso può dirci qualcosa in più. Chi è? Un ricercatore, appunto. Enea Poletti, 28 anni, di Lamon (BL), si è diplomato all’ITIS informatico e poi si è iscritto a Ingegneria Biomedica presso l’Università degli studi di Padova dove, terminata la triennale, ha proseguito gli studi con la laurea specialistica in Bio-ingegneria e il dottorato di ricerca in Ingegneria dell’Informazione. Ora lavora presso il medesimo ateneo come assegnista di ricerca (o post-doc) che significa contratto a progetto di 2 anni per 1235 euro netti al mese.

Cosa lo spinge a fare ricerca? “Ma ovviamente l’Amore per la Scienza” risponde “o forse il fatto che sono molto nerd?”. Una professione così particolare non può che suscitare molte altre curiosità che diventano dunque un buon motivo per un’intervista, perché ci racconti come funzionano università e ricerca viste da dentro. Buona lettura!

Università e ricerca: le impressioni di chi le vive

DI CLAUDIA BACCICHET

Iscritto al numero 14 del Registro Stampa del Tribunale di Treviso il 14.05.2005 Periodico Patrocinato dall’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Vittorio Veneto Direttore responsabile: Fulvio Fioretti Editore: Karpesika Redazione: via della Chiesa, 6 - 31029 Vittorio Veneto TV Redazione operativa: via Battisti, 8 - 31029 Vittorio Veneto TV Collaboratori: Silvia Albrizio, Claudia Baccichet, Paolo Casagrande, Andrea Condotta, Federico Campo dall’Orto, Eugenia Dal Bo, Nicolò Dal Bo, Anna Lucky Dalena, Francesca Della Giustina, Piero Della Giustina, Alberto Ferri, Giosì Garro, Manuel Gentile, Margherita Leo, Andrea Maroelli, Chiara Perin, Staff Criciuma. Progetto grafico: Alberto Ceschin.

[email protected] - www.jabadabadoo.it

Fare ricerca è come te l’eri immaginato?No. Da bambino immagina-vo provette, marchingegni, lavagne piene di formule, camice bianco. Si tratta in-vece di pc e tavole rotonde: parte del lavoro consiste nel continuare ad essere aggior-nato in tempo reale sullo sta-to dell’arte della tecnologia di cui ti occupi (e in questi tempi le cose evolvono ve-locemente), l’altra parte consiste nel discutere con i collaboratori su come fare a rendere meno obsoleto lo stato dell’arte. E poi c’e la didattica, la gara alla pubbli-cazione degli articoli, la pre-sentazione dei risultati alle conferenze.Come modifica la tua car-riera da ricercatore la nuo-va legge appena approva-ta?Più che modificarla la impe-disce. Evito i numeri e i det-tagli burocratici. Il ricercato-

re diventa figura precaria, e quindi ricattabile: non ci sarà più alcuna forma di dissenso nei confronti dei piani supe-riori. La legge 133 inoltre blocca gli ingressi al tempo indeterminato fino a fine le-gislatura, ma anche dopo gli atenei saranno inibiti dalle strettezze della legge. Il si-stema forse si riaprirà tra 7-8anni e andrà bene a chi ini-zierà il dottorato tra qualche anno. È una vera macelleria sociale, si butta via una gene-razione intera di ricercatori: chi è precario adesso e ha tra i 26 e i 36 anni non ha alcunapossibilità nell’Università. Alcuni emigreranno, la mag-gior parte cercherà di fare al-tro, spero non invano.Senti di essere limitato da motivi che esulano dalla tua preparazione?Un mio caro amico e collega dagli U.S. un giorno mi con-fidò di aver finalmente com-preso quale fosse la qualità più importante per un bravo ricercatore: non si trattava dell’intelligenza, né dell’e-sperienza o della fortuna, ma dell’autostima. Sconsolato mi elencò una serie di idee che aveva visto pubblicate da altri qualche mese dopo aver-le avute lui:  al momento  le aveva scartate perché non le aveva ritenute abbastanza buone, anche se in effetti lo erano. Ecco, io ho il proble-ma opposto.     Università/ricerca e risorse economiche: troppi tagli o troppi sprechi?La verità sta nel mezzo. Ma

per fare una riforma univer-sitaria sensata, se a quello ci stiamo riferendo, ai tagli orizzontali dovrebbero sosti-tuirsi dei tagli mirati, rivolti agli atenei “peccaminosi”. Io poi preferirei la riforma utopistica, quella che, invece di tagliare, premia gli atenei virtuosi.        Si parla sempre di fuga di cervelli: perché invece re-stare in Italia?Fazio e Saviano in “Vieni via con me” hanno ben illustra-to le possibili motivazioni. Credo che le ragioni siano personali e che non si possa trarre una qualche regola. Io finora sono rimasto. Di an-dare a lavorare all’estero per restarci mi farebbe paura il fatto di diventare uno stra-niero (italiano per di più). Andare a lavorare all’estero per tornare... beh, allora resto direttamente.  Consiglieresti ai ragazzi più giovani di intraprendere un percorso simile al tuo?Si tratta di un lavoro molto stimolante perché composto da diversi lavori: si fa allo stesso tempo  l’insegnante, il giornalista, lo  “smanet-tone”,  il venditore. Quando (se) si riesce poi a trovare qualcosa   di nuovo, beh, è una bella soddisfazione e ci metti il tuo nome sopra, che non è male. Se poi  quella cosa funziona o addirittura torna utile a qualcuno, non vi dico.  Consigliato particolar-mente a chi ambisce a restare povero.     

Enea Poletti, 28 anni, ricercatore

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A quattro mesi dall’inizio della scuola targata Gelmi-ni, siamo andati a sentire i ragazzi del liceo classico e scientifico Flaminio, per vedere qual è la situazione anche a Vittorio Veneto. Ab-biamo raccolto le esperienze di Matilde e Lorenzo, iscritti alla quarta ginnasio del liceo classico.Si nota subito che i cambia-menti sostanziali riguardano le ore di lezione e il numero di insegnanti impiegati. Da una parte il numero massimo di studenti per classe sale a 31, con l’effetto di produrre meno classi più numerose, dall’altra il numero di ore settimanali per il biennio di classico e scientifico scende da 30 circa a 27. Quindi tre giorni su cinque si finisce a mezzogiorno. La girandola delle materie. Se allo scientifico è partito l’indirizzo sperimentale che non prevede l’insegnamento del latino, al classico, dopo anni, non si insegna più sto-ria dell’arte al biennio. Arri-vano però due ore di scienze e anche un’ora aggiuntiva di matematica, in cambio di una in meno di italiano (da 5 si passa a 4 settimanali). A completare il quadro c’è una nuova materia: la geostoria. Ossia l’unione delle ore di geografia e storia (quattro

in tutto) in un pacchetto da tre, con voto unico e molti dubbi tra inseganti e studenti su come si faccia a fare la media tra i voti di due mate-rie sempre state differenti. E Matilde e Lorenzo che dico-no? “Avendo scelto un liceo classico, avremmo preferito delle materie più di indirizzo, come storia dell’arte. D’al-tronde questi cambiamenti non erano del tutto chiari quando ci siamo iscritti a marzo”.Niente gite, siamo in prote-sta.Un’altra novità riguarda i viaggi d’istruzione: per l’an-no scolastico 2010/2011 si è deciso lo stop alle gite. La scelta è stata presa dai pro-fessori nei consigli di classe per protestare contro i tagli e la mancata copertura stipen-diale delle ore di trasferta. I liceali hanno appreso la no-tizia senza grande clamore, infatti Matilde e Lorenzo ammettono: “I nostri genitori non protestano e qui tutti sia-mo dispiaciuti, ma nessuno sta facendo niente per cam-biare la situazione”. Il presi-de però aggiunge: “L’indotto delle gite è notevole, coin-volge trasporti, alberghi e ristoranti. Sembrerebbe che qualcosa si stia muovendo a livello nazionale, ma per ora sono solo voci.”

La scuola che cambia. Bilancio possibile?

DI PAOLO CASAGRANDE

La parola al preside Pietro Panzarino.A quanto ammontano i tagli per il vostro istituto?I tagli non riguardano i singoli istituti, sono a livello nazionale e vanno a colpire soprattutto il personale che lavora nella scuola (A.T.A. e docente). Da agosto 2008 al 2013 sono previsti 8 milioni di tagli per la scuola.Qual è la sua opinione sugli effetti della riforma a quattro mesi dalla sua attuazione?Non si possono dare grandi giudizi. Allo scientifico è partito l’indirizzo di scienze applicate che non prevede il latino, ma i licei sono i meno coinvolti nella riforma.Però si toglie storia dell’arte al ginnasio: sia qui che in molti licei da anni era insegnamento quinquennale, non è un passo indietro?Sì, ma resta il fatto che nei licei non ci sono stati grandi cambiamenti.Questo cambio di materie: più scienze, meno materie umanistiche, accorparne altre... a che logica risponde?A quella del tagliare il numero di insegnanti, non c’è un progetto culturale dietro.Quindi che prospettive vede per la scuola italiana?Se si taglia su cultura e istruzione nella società globale non ci saranno grandi passi in avanti.Lei come preside è in contatto con altri presidi per protestare?Tutti stanno spingendo perchè alla scuola sia dato più spazio, ma questo è un momento di grande incertezza, vedremo cosa succederà.19

Il mondo dell’arte è più uomo o più donna? Speriamo sia femmina! In realtà gli artisti più riconosciuti sono uomini, essere donna nel mondo dell’arte non è facile, sembra banale ma è così. Personalmente credo che l’arte sia per tutti coloro che hanno il coraggio e il talento per affrontare questo percorso emotivo. Artiste donne che apprezzi? Mi torna alla mente una mostra vista a Trieste, l’artista Gian-na Buran mi ha intrigato e convinta per la qualità dell’intuizione. Un opera di altri a cui sei affezionata? Le tele, tutte, dell’artista Morago: adoro i suoi rossi e la materialità irrequieta delle pennellate. Una tua opera a cui sei legata? Sicuramente le prime realizzate all’Accademia. Poi ci sono le ultime opere dove la figura della donna mi permette di fare un forte lavoro di introspezione. Fai anche un altro lavoro nella vita? Mi occupo di restauro, lavoro nei cantieri da più di dieci anni, ma quando trovo il tempo torno alle mie tele e alle mie ricerche. Cosa ti piace del tuo lavoro? Soddisfazioni recenti? Il mio lavoro mi ha fatto conoscere l’arte sotto l’aspetto più tecnico, fatto di studio e precisione. Poi ci sono i rapporti umani, si creano legami di stima e inte-ressi d’arte. La soddisfazione è data dal riconoscimento e dalla responsabilità. Hai partecipato a collettive con artisti locali. Cosa pensi di loro? Le collettive spesso non sono facili, nel mio caso mi consi-dero fortunata: sono state tutte esperienze di grande complicità e stima. Il vittoriese è ricco di veri talenti, auguro loro di uscire dal territorio. Un saluto ai nostri lettori. Le persone che riescono in questo mondo sono quelle che vanno alla ricerca delle condizioni che desiderano, e se non le trovano le creano. Buon viaggio a tutti.

JABADABAD’ARTE: RISAMORI

Marisa Morini, in arte RISAMORI, è nata a Winterthur (CH) nel 1972 e oggi vive e lavora a Vittorio Veneto. Ha compiuto studi artistici, diploman-dosi all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Nel 1999 ha frequentato un cor-so di restauro,e tuttora lavora in quest’ambito. Numerose le collettive con artisti del territorio, a partire dal 1997 sono seguite personali e collabora-zioni con associazioni d’arte.