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1 ITINERARI NEL CELESTE IMPERO: LA FORTUNA ESPOSITIVA DELL’ARTE E DELL’ARCHEOLOGIA CINESE IN ITALIA (M. Ludovica Rosati) Negli ultimi anni si è assistito in Italia ad un fiorire di percorsi espositivi dedicati alle arti della Cina arcaica (dal Neolitico al III secolo a.C.) e imperiale (dal 221 a.C. al 1911). In particolare, le epoche più antiche, ossia anteriori alla dinastia Ming (1368-1644), sono state oggetto di ben quattro rassegne dalla fine del 2005 ad oggi: a Treviso, presso la Casa dei Carraresi, dove per prima ha aperto La Via della Seta e la civiltà Cinese. La nascita del Celeste Impero, seguita poi da Genghis Khan e il Tesoro dei Mongoli; al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, sede di Tang. Arte e cultura in Cina prima dell’Anno Mille ed infine a Roma, che ha ospitato nelle Scuderie del Quirinale la mostra Cina. Nascita di un Impero 1 . Tali eventi, affini non solo nel tema dell’arte e dell’archeologia cinese, ma anche per la parziale sovrapponibilità dell’arco cronologico prescelto – dal III millennio a.C. al X secolo d.C. e dal X al XIV secolo nei due percorsi veneti, la sola dinastia Tang (618-907 d.C.) a Napoli e dalle origini storiche fino agli Han Occidentali (I secolo a.C.) a Roma –, sono stati accomunati inoltre dallo sforzo degli organizzatori di promuovere ciascun appuntamento come il più importante allestimento fino ad allora mai avvenuto in Italia, in virtù del numero dei reperti e della qualità dei manufatti presentati. Che si tratti o meno di affermazioni veridiche, l’occasione offerta dai più recenti appuntamenti è certamente propizia per affrontare il tema delle esposizioni di arte cinese in Italia, tracciando un quadro delle mostre tenutesi nel nostro Paese nel corso del Novecento, così da contestualizzare gli ultimi allestimenti nel panorama nazionale. Sebbene in Italia viva una tradizione radicata di studi sinologici di vecchia data 2 e non manchino raccolte, nazionali e private, dedicate all’Asia 3 , il settore delle arti cinesi, in particolar modo per le epoche più arcaiche, non sembra aver mai goduto di una fortuna espositiva pari a quella raggiunta nel biennio passato. Ben diversa è la situazione estera: a Londra, per esempio, dove una certa e consolidata familiarità con rassegne di arti asiatiche e la presenza di un ricco patrimonio museale portano quasi come naturale conseguenza all’organizzazione di esposizioni aperte a breve distanza l’una dall’altra, in ultimo sull’epoca Ming 4 e sul primo imperatore Qin 5 . Allo stesso modo, laddove esistano specifici luoghi deputati alla raccolta delle testimonianze estremo orientali, come il Musée Guimet di Parigi, è

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ITINERARI NEL CELESTE IMPERO: LA FORTUNA ESPOSITIVA

DELL’ARTE E DELL’ARCHEOLOGIA CINESE IN ITALIA

(M. Ludovica Rosati)

Negli ultimi anni si è assistito in Italia ad un fiorire di percorsi espositivi dedicati alle

arti della Cina arcaica (dal Neolitico al III secolo a.C.) e imperiale (dal 221 a.C. al 1911). In

particolare, le epoche più antiche, ossia anteriori alla dinastia Ming (1368-1644), sono state

oggetto di ben quattro rassegne dalla fine del 2005 ad oggi: a Treviso, presso la Casa dei

Carraresi, dove per prima ha aperto La Via della Seta e la civiltà Cinese. La nascita del

Celeste Impero, seguita poi da Genghis Khan e il Tesoro dei Mongoli; al Museo Archeologico

Nazionale di Napoli, sede di Tang. Arte e cultura in Cina prima dell’Anno Mille ed infine a

Roma, che ha ospitato nelle Scuderie del Quirinale la mostra Cina. Nascita di un Impero1.

Tali eventi, affini non solo nel tema dell’arte e dell’archeologia cinese, ma anche per la

parziale sovrapponibilità dell’arco cronologico prescelto – dal III millennio a.C. al X secolo

d.C. e dal X al XIV secolo nei due percorsi veneti, la sola dinastia Tang (618-907 d.C.) a

Napoli e dalle origini storiche fino agli Han Occidentali (I secolo a.C.) a Roma –, sono stati

accomunati inoltre dallo sforzo degli organizzatori di promuovere ciascun appuntamento

come il più importante allestimento fino ad allora mai avvenuto in Italia, in virtù del numero

dei reperti e della qualità dei manufatti presentati.

Che si tratti o meno di affermazioni veridiche, l’occasione offerta dai più recenti

appuntamenti è certamente propizia per affrontare il tema delle esposizioni di arte cinese in

Italia, tracciando un quadro delle mostre tenutesi nel nostro Paese nel corso del Novecento,

così da contestualizzare gli ultimi allestimenti nel panorama nazionale.

Sebbene in Italia viva una tradizione radicata di studi sinologici di vecchia data2 e non

manchino raccolte, nazionali e private, dedicate all’Asia3, il settore delle arti cinesi, in

particolar modo per le epoche più arcaiche, non sembra aver mai goduto di una fortuna

espositiva pari a quella raggiunta nel biennio passato. Ben diversa è la situazione estera: a

Londra, per esempio, dove una certa e consolidata familiarità con rassegne di arti asiatiche e

la presenza di un ricco patrimonio museale portano quasi come naturale conseguenza

all’organizzazione di esposizioni aperte a breve distanza l’una dall’altra, in ultimo sull’epoca

Ming4 e sul primo imperatore Qin5. Allo stesso modo, laddove esistano specifici luoghi

deputati alla raccolta delle testimonianze estremo orientali, come il Musée Guimet di Parigi, è

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sotteso alla stessa politica culturale dell’istituzione il periodico allestimento di percorsi

tematici, incentrati tanto sulla valorizzazione dei manufatti posseduti quanto su un confronto

con prestiti esterni6.

I casi di Londra e Parigi rappresentano, tuttavia, un modello di approccio all’arte cinese

che non trova una corrispondenza nella tradizione italiana, essendo derivato da condizioni

storiche assai differenti da quelle del nostro Paese. In primo luogo è mancata all’Italia quella

consuetudine con il mondo asiatico, frutto del passato coloniale e della vocazione

imperialista, e quella esperienza diretta dell’Estremo Oriente, che hanno portato nel corso del

XIX secolo ad un precoce interesse nei confronti delle sue arti, tanto da parte dei collezionisti

privati che delle istituzioni statali7. Inoltre non esiste nel nostro territorio nulla di paragonabile

al British Museum, ossia una raccolta pubblica che già nel nucleo originario delle sue

collezioni possedesse alcuni manufatti cinesi ed extraeuropei e nel corso degli anni abbia

progressivamente accentuato la sua propensione alla documentazione di tutte le civiltà, tanto

da un punto di vista storico-artistico che etnologico8.

Le mostre di Treviso, Napoli e Roma si sono presentate dunque come un fatto nuovo per

l’Italia, in primo luogo perché, susseguendosi quasi senza soluzione di continuità, hanno

avuto il merito di portare all’attenzione di un pubblico più vasto la storia artistica e culturale

di un paese che oggi si affaccia più che mai alla ribalta nella scena mondiale.

Fermo restando il plauso con cui iniziative di tal genere, finalizzate ad incentivare l’interesse

nei confronti delle civiltà extraeuropee, possono e devono essere accolte, vale tuttavia la pena

di chiedersi se la novità del fenomeno ‘mostre cinesi’ in Italia corrisponda nella sua essenza

più intima anche ad una innovazione dal punto di vista metodologico e più prettamente

scientifico. Tale domanda si pone quando, cercando di individuare l’origine dell’improvvisa e

concentrata fioritura di rassegne estremo orientali, non ci si trova in presenza né di un unico

allestimento itinerante, né di un organico progetto policentrico, frutto della collaborazione tra

una pluralità di soggetti coinvolti e articolato in diverse tappe correlate. Ciò che sembra

emergere è anzi una volontà, derivata, duole dirlo, da una malcelata logica concorrenziale, di

passare sotto silenzio quanto contemporaneamente è stato presentato nelle altre città e, nel

caso di Treviso e di Roma, di trascurare anche le mostre dei decenni precedenti, come se lo

scopo primario, anziché quello di organizzare un evento di solido spessore culturale, fosse

piuttosto di affrettarsi nel dimostrare una partecipazione all’attuale, e così in voga, apertura

verso la Cina.

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Non si vuole tuttavia limitarsi a gridare allo scandalo per le scelte di marketing, che in questa,

come in altre circostanze, hanno contribuito al concepimento dei tre percorsi, quanto piuttosto

operare idealmente quel confronto tra le esposizioni presenti e passate, che gli ultimi

organizzatori paiono aver tralasciato, al fine di evidenziare i limiti, ma anche gli innegabili

pregi degli appuntamenti appena conclusi.

Se è pur vero che da almeno un decennio in Italia sono mancate mostre dedicate alla

Cina paragonabili a quelle del biennio 2005-2007, sarebbe tuttavia fuorviante ritenere tale

ambito del tutto inesplorato ed inedito per il pubblico italiano, dal momento che a più riprese

e in diversi contesti, dal secondo dopoguerra ad oggi, vi sono stati per il Celeste Impero

momenti di grande attenzione, che si sono concretizzati in alcuni importanti percorsi di arti ed

archeologia asiatiche.

Risulta piuttosto significativo evidenziare come la fortuna espositiva dell’Estremo Oriente

abbia vissuto vicende alterne, affini a quanto già avvenuto nella storia del collezionismo e

della moda, dove il gusto per le arti e la cultura della Cina si è manifestato con forme e con

intensità diverse a partire dal XV secolo, alternando a picchi di grande diffusione, come nel

primo Settecento, periodi di parziale o totale dimenticanza. Similmente nel Novecento, alla

temporanea fioritura di eventi, ciascuno meritevole di aver destato l’interesse sul tema cinese,

non sembra essere seguita una programmazione culturale continuativa, mossa da una comune

volontà di approfondimento, cosicché ogni nuova mostra si è trovata ad assumere, per

convenienza ma anche per la mancanza di una progettualità condivisa, un ruolo per così dire

pionieristico.

A questa considerazione va poi aggiunto il fatto che parlare di arte cinese arcaica ed

imperiale, o, per usare una periodizzazione occidentale di comodo, ‘antica’ e ‘medievale’,

implica principalmente riferirsi a reperti archeologici e, dunque, confrontarsi con una

disciplina ancora relativamente giovane, non solo per la diffusione dei suoi esiti all’estero, ma

anche e soprattutto per la sua applicazione scientifica nella Repubblica Popolare. Al di là delle

grandi missioni europee in Asia Centrale e nel Turkestan cinese agli inizi del Novecento di

Sir Marc Aurel Stein o di Paul Pelliot9, le prime campagne sistematiche di ricerca nelle

necropoli imperiali e nei siti religiosi sono state condotte solo dalla metà del secolo scorso,

secondo un impegno crescente di studiosi cinesi ed équipes internazionali, che ha portato e

porta a continui ritrovamenti di notevole importanza, capaci di rivoluzionare nel volgere di

pochi anni le conoscenze già acquisite e di segnare veri spartiacque nella storia artistica,

istituzionale e culturale della Cina.

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Basti pensare alla celebre scoperta nel 1974 dei primi esemplari dell’esercito di terracotta a

Xi’an, prova tangibile e sensazionale dell’esistenza storica del primo imperatore Qin, Shi

Huangdi (m. 210 a.C.), figura fino ad allora relegata alla mitologia e alla letteratura, per

rendersi conto di quanto, tra i fattori che determinano il variare della sensibilità espositiva nei

confronti di particolari periodi o tipologie di manufatti, vi sia anche il carattere ancora in fieri

della storia dell’arte cinese come disciplina moderna.

Ripercorrere le vicende delle mostre di soggetto estremo orientale comporta dunque la

necessità di valutare non solo la situazione degli studi in Occidente, delle ondate, più o meno

passeggere, di interesse per una lontana civiltà asiatica e delle loro cause scatenanti, ma anche

l’obbligo di tener ben presente il mutevole panorama delle ricerche archeologiche cinesi.

Le prime esposizioni italiane di arte cinese e la mostra di Venezia del 1954

Volendo individuare i precedenti italiani degli allestimenti di Treviso, Napoli e Roma

vanno ricercati quegli eventi che abbiano anticipato le caratteristiche comuni alle esposizioni

del 2005-2007, ossia la scelta di presentare una visione della cultura estremo orientale

anteriore al XV secolo in tutte le sue diverse espressioni figurative e manifatturiere,

tralasciando così le rassegne dedicate ad una singola arte ed escludendo i percorsi incentrati

solo sulle ultime dinastie Ming (1368-1644) e Ching (1644-1911).

Prima della metà del Novecento non è possibile segnalare in Italia nessuna mostra che

risponda a tali requisiti. Nei decenni anteriori agli anni Cinquanta, infatti, sono state

organizzate solo alcune rassegne ancora parzialmente improntate ad uno spirito ottocentesco

da Esposizioni Universali, in cui l’Estremo Oriente era presente come un’indistinta

mescolanza di epoche e stili e provenienze, in virtù di un generico esprit d’exotisme10. Si

pensi, nei primi anni Trenta, alla Mostra di Pittura Cinese Antica e Moderna presso il Palazzo

Reale di Milano11, dove, nonostante il richiamo del titolo, più della metà delle opere esposte

erano di artisti nati nell’ultimo quarto del XIX secolo, seguite poi da un cospicuo numero di

pitture Ching, qualche esemplare tardo Ming e pochissimi manufatti anteriori al Quattrocento.

Nel breve saggio introduttivo al catalogo dell’allora Soprintendente e curatore

dell’esposizione Antonio Morassi, Cenni sulla pittura cinese antica, emergeva quella tipica

posizione occidentale di inizio Novecento nei confronti dell’arte cinese: si era avviata la

conoscenza e la comprensione della pittura, attraverso la fondamentale mediazione

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giapponese12, ma l’iniziale apprezzamento era rivolto ai soli rotoli Tang e Song (VII-XII sec.)

e si affidava completamente alla tesi di un assoluto conservatorismo artistico del Celeste

Impero, tale da non poter né distinguere gli originali dalle copie, né valutare in una

prospettiva critica e storica le diverse epoche artistiche.

A questa carenza, che perpetuava da un diverso punto di vista la difficoltà di relazionarsi

e di instaurare un dialogo proficuo tra Europa ed Estremo Oriente propria dei secoli

precedenti, si cercò di ovviare anche negli anni successivi, quando nuovi studi ed esposizioni

si impegnarono nella rivalutazione dei pittori Ming, ad esempio nella Mostra di Pitture Cinesi

Ming e Ching, curata a Roma dall’ IsMEO nel 195013. Sebbene questa ultima esuli dalla

nostra trattazione, in quanto focalizzata sulle sole tecniche grafiche di un periodo posteriore,

l’allestimento della capitale documenta l’inizio di un rinnovato spirito scientifico nei

confronti dell’antica Cina, che si manifesterà appieno con il percorso del 1954 Arte Cinese,

ospitato presso il Palazzo Ducale di Venezia14.

Arte Cinese rientrava nel programma di manifestazioni organizzate in occasione del

settimo centenario della nascita di Marco Polo ed aveva come fine dichiarato quello di

documentare le vicende artistiche della Cina non solo ai tempi dell’illustre viaggiatore, ma

anche nei secoli precedenti e posteriori.

Consapevoli del fatto che la mostra veneta fosse la prima in Italia ad affrontare con

sguardo nuovo il tema dell’Estremo Oriente, gli organizzatori esprimevano la volontà di

contribuire al progresso degli studi e di aggiornarsi nei confronti di quanto parallelamente si

era fatto in Europa. Attesta chiaramente le linee programmatiche dell’esposizione e merita di

essere riportata un’affermazione del Commissario Generale Jean Pierre Dubosc, che nella

prefazione al catalogo scriveva:

Se, fino a un’epoca recente, la Cina ci nascondeva parte del suo volto dietro a un paravento, ciò era dovuto alla

mancanza di un vero desiderio da parte nostra di vedere nella sua arte qualcosa di più di quanto era

semplicemente e immediatamente piacevole e conforme ai canoni di valutazione occidentali15.

Si tratta di principi metodologici forti, che trovano conferma nella quantità e nella

qualità degli studiosi, italiani e stranieri, coinvolti nel progetto sotto la direzione di Giuseppe

Tucci, uno dei maggiori orientalisti del nostro Paese, all’epoca presidente dell’IsMEO. Tra i

collaboratori alla rassegna compaiono nomi che riportano ai diversi ambiti della sinologia e

alle più prestigiose collezioni europee e statunitensi di arte asiatica, come quello di Osvald

Sirén, autore negli anni Trenta delle monumentali Histoire des arts anciens de la Chine e

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Histoire de la peinture chinoise16, di Mario Bussagli, professore di Storia dell’arte dell’India e

dell’Asia Centrale e di Storia dell’arte dell’Estremo Oriente all’Università degli Studi di

Roma, di Alberto Giuganino, esperto di pittura cinese o di Luciano Petech, storico

dell’economia e del commercio medievale specializzato nei rapporti tra Europa ed Asia. Per

la prima volta, dunque, l’Italia si confrontava con un impegno di vasto respiro, facendo

arrivare a Venezia, luogo storicamente proiettato verso l’Oriente, quasi un migliaio di

manufatti, prestati da numerosi musei stranieri, tranne che, significativamente, dalla Cina

stessa. Tale esclusione non deve sorprendere, dal momento che l’assenza di oggetti

provenienti direttamente dalle raccolte cinesi era strettamente legata alla situazione politica

internazionale e ai rapporti delle potenze occidentali con la neonata Repubblica Popolare,

costituitasi nel 1949. Erano infatti gli anni della Guerra Fredda e il 1954, data dell’esposizione

veneziana, coincise con la promulgazione della prima costituzione del nuovo stato cinese, una

realtà istituzionale sostenuta dall’Unione Sovietica, ma non riconosciuta dagli Stati Uniti

d’America e, dunque, dall’Italia, precludendo così la possibilità di instaurare scambi culturali

di ampio respiro17.

Nell’allestire un percorso dedicato all’intera storia artistica del Celeste Impero in tutte le

sue espressioni, i curatori italiani presero esplicitamente a modello le prime rassegne

complete della civiltà estremo orientale: quella di Berlino del 192918 e la titanica Esposizione

Universale di Londra, organizzata dalla Royal Academy of Art in collaborazione con il

governo cinese nel 1935-193619, dove, con oltre tremila opere disposte in 16 sezioni, si

ripercorreva l’arte della Cina dal Neolitico fino al XVIII secolo, dedicando anche un’apposita

sala ai reperti recuperati durante le missioni archeologiche di Sir Marc Aurel Stein e Piotr

Kozlov20.

La presentazione per classi di manufatti, caratterizzanti le diverse fasi storiche, viene

riproposta nella mostra del 1954, che spazia dai più antichi bronzi cerimoniali neolitici e dalle

giade arcaiche alla statuaria buddhista, passando per l’oreficeria, le lacche, i tessuti, le

ceramiche e in generale le arti applicate, con esempi significativi della pittura dagli Han ai

Ming e senza tralasciare quelle opere che, per il loro luogo di conservazione originario o per

le contaminazioni stilistiche, recavano testimonianza degli scambi con l’Occidente. A

Venezia tuttavia si perseguiva anche l’obiettivo di progredire nella ricerca scientifica,

operando deliberate esclusioni per le tipologie meglio note, le giade o le porcellane

settecentesche, al fine di dare maggior risalto all’epoca di Marco Polo (dinastie Song e Yuan),

che veniva inquadrata entro il panorama più vasto della cultura cinese, con le sue evoluzioni

precedenti e sviluppi successivi.

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Della solida impostazione critica della mostra di Venezia rimane prova anche nel

catalogo, concepito come sostegno alla comprensione del percorso per il pubblico e, al

contempo, come strumento di lavoro e approfondimento per gli specialisti. Accanto alle

schede, sintetiche ma puntuali, delle opere esposte, vi è per le sezioni tipologiche più

importanti (bronzi, giade, ceramiche e pittura) una nota storica sull’uso, la simbologia e

l’evoluzione delle forme e dei motivi decorativi, nonché una bibliografia di riferimento

generale e sui singoli pezzi. Nei due saggi introduttivi vengono inoltre presentati,

rispettivamente, i nodi centrali del pensiero estetico, filosofico e religioso cinese,

evidenziandone lo stretto legame con le arti figurative, e il panorama degli studi e delle

rassegne di arte cinese in Occidente21.

Gli anni Ottanta e il progetto pluriennale Arte e Civiltà Cinese al Palazzo Ducale di

Venezia

Nonostante l’evidente limite della mancanza di reperti provenienti dalla Cina, dovuto

alle condizioni storiche e politiche degli anni Cinquanta, l’esposizione veneziana ha segnato

dunque una tappa fondamentale per le conoscenze in Italia dell’Estremo Oriente, proponendo

un modello aggiornato di allestimento e offrendo delle solide basi per la ricerca successiva.

I risultati conseguiti da una così brillante premessa, tuttavia, non sembrano aver

condotto ad esiti altrettanto validi nei decenni seguenti, dal momento che per quasi un

trentennio nel nostro Paese mancheranno eventi riservati alle antiche arti del Celeste Impero.

Lo stesso IsMEO, uno dei promotori più attivi di Arte Cinese, continuerà nel suo progetto

culturale di avvicinamento del grande pubblico alle civiltà extra-europee, focalizzando però il

suo lavoro sul Medio Oriente e sull’Asia Centrale con le grandi mostre dedicate alla civiltà

iranica (1956), del Gandhara (1958) e dell’Afghanistan (1961), mentre un nuovo interesse per

la Cina moderna porterà all’allestimento di numerose rassegne incentrate sulla pittura e sulla

grafica contemporanee in diversi centri italiani (Pittura cinese moderna, Roma, 1958; Cento

anni di pittura cinese (1850-1950), Firenze, 1959; Pittori Cinesi Contemporanei, Roma,

1960; Mostra del Manifesto Cinese, Varese, 1979)22.

È solo con l’aprirsi degli anni Ottanta che in Italia l’attenzione per l’antica Cina ha

ripreso vigore, traendo linfa vitale dalle già ricordate campagne archeologiche, dalla nuova

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cooperazione internazionale nella ricerca e dalle mutate condizioni politiche del paese23. Di

nuovo sarà Venezia, in virtù della sua tradizione storica, il luogo deputato al confronto con

l’Asia attraverso un’organica serie di appuntamenti espositivi che copriranno l’intero

decennio. [Appendice I]

In una mostra del 1981 dedicata all’esplorazione dei rapporti tra la città lagunare e

l’Oriente ai tempi di Marco Polo24, il Celeste Impero si affacciava timidamente agli occhi del

pubblico italiano, presentandosi, al pari del mondo islamico, come uno dei protagonisti di un

dialogo, il cui attore principale era ancora l’Occidente e la sua spinta propulsiva verso Est,

esemplificata nella persona del viaggiatore medievale. Tale prospettiva eurocentrica veniva

tuttavia abbandonata a partire dal 1983, quando al Palazzo Ducale apriva Settemila anni di

Cina a Venezia. Arte e Archeologia Cinese dal Neolitico alla Dinastia degli Han25.

Mantenendo l’ideale riferimento a Marco Polo e ribadendo il legame passato e

presente26 della città lagunare con il mondo asiatico, si inaugurava un progetto pluriennale

con curatori d’eccellenza (il Museo della Storia Cinese di Pechino nella persona di Kwang-

Chih Chang, il Seminario di Lingua e Letteratura Cinese dell’Università degli Studi di

Venezia e l’IsMEO), al fine di presentare ai visitatori italiani l’intera evoluzione dell’arte e

della cultura estremo orientale in tre distinti percorsi espositivi a cadenza triennale. Dalla

sinergia dei maggiori sinologi italiani, giunti da Napoli, Roma e Venezia, e dei conservatori

cinesi nasceva così il primo appuntamento, in cui venivano presentati un centinaio di reperti,

risalenti al periodo compreso tra l’VIII millennio a.C. e il I secolo d.C., tutti rigorosamente

provenienti dai musei e dai siti della Repubblica Popolare.

Non deve trarre in inganno il numero più circoscritto delle opere in mostra rispetto ai

percorsi precedenti, dal momento che in tale selezione rientravano molte delle più recenti

scoperte archeologiche, fino a quel momento mai approdate in Occidente. Per la prima volta

in Italia, nella sezione dedicata alla dinastia Qin (221- 206 a.C.) si potevano ammirare quattro

componenti del monumentale esercito di terracotta di Xi’an, che ha colpito l’immaginario

mondiale al punto di essere definito più volte la più grande scoperta archeologica del nostro

secolo, un rinvenimento che continua a sorprendere per le oltre 10.000 statue che dal 1974 ad

oggi sono emerse dalle fosse del mausoleo imperiale di Lintong, Shaanxi. Similmente, nelle

sale consacrate agli Han Occidentali (206 a.C.-24 d.C.) venivano esposti i primi esemplari

ritrovati nel 1968 delle vesti-sudario in giada, che, come l’armata di Shi Huangdi,

abbandonavano infine il mondo delle tradizioni mitiche e delle fonti letterarie per assumere

come reperti storici il ruolo di testimoni materiali della complessità simbolica, rituale e

filosofica della Cina arcaica.

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Il percorso di Venezia si snodava con un andamento cronologico in sezioni suddivise

secondo le dinastie storiche27, dando risalto non solo all’eccezionalità dei singoli pezzi in

mostra, ma anche al contesto socio-culturale dei manufatti. Se infatti la rassegna era frutto

delle più recenti campagne di scavo, lo stesso impianto ideativo dell’allestimento dichiarava

la sua matrice archeologica, dal momento che, accanto alle questioni stilistico-formali e alla

fruizione estetica dei bronzi, delle ceramiche e dei corredi funebri, si voleva incentivare la

comprensione delle tecniche di realizzazione, informare sui siti di provenienza e sulle indagini

in corso, perseguendo il fine di «dotare il visitatore [...] di una chiave di lettura a più livelli,

così da equipaggiarlo all’interpretazione delle informazioni socioeconomiche sovraimpresse

alle opere d’arte»28.

L’approfondimento offerto dai saggi del catalogo è nuovamente incentrato su una

presentazione politica, istituzionale e culturale in senso lato delle epoche trattate, con

interventi di storia dell’Impero, archeologia e antropologia delle strutture sociali,

dell’agricoltura e della scrittura, tra i quali spicca il bel testo conclusivo di Gian Carlo Calza

Origini religiose dell’arte nella Cina arcaica, dove si analizza il legame tra potere, religione e

arte e le sue manifestazioni, non solo nei contenuti e a livello simbolico, ma anche

nell’evoluzione stilistica e delle tecniche artistiche.

Nel 1986 si apre la seconda fase del progetto Arte e Civiltà Cinese con la mostra Cina a

Venezia. Dalla Dinastia Han a Marco Polo29, che si riannoda alla rassegna precedente,

iniziando con gli Han Orientali (25- 220 d.C.) e giungendo fino alle soglie del XIV secolo,

quando la dinastia Song venne travolta dalla conquista mongola (1279). La fruttuosa

collaborazione tra le istituzioni italiane e gli accademici cinesi continua nell’ideazione del

nuovo allestimento, che esplicitamente si propone di far passare il pubblico dall’ammirazione

alla comprensione critica nella valutazione degli oltre 150 manufatti, giunti a Venezia da

Pechino e dai musei delle province e regioni autonome.

Ancora una volta dunque i curatori si posero come obiettivo quello di utilizzare i reperti

esposti per ricostruire non solo gli sviluppi artistici, ma anche e soprattutto la civiltà

dell’Impero, permettendo al visitatore di trarre dai manufatti informazioni sugli usi, i costumi

e lo spirito della corte. Nel percorso, inoltre, si poneva l’accento anche su quei monumenti

perduti per l’azione umana (la statuaria buddhista) e del tempo (le architetture lignee), nonché

su quelle opere, come i rotoli dipinti anteriori al XIV secolo, che una giusta politica

conservativa del governo cinese non permette di esportare a causa della loro fragilità.

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Ciò che il pubblico italiano poteva vedere nelle sale proveniva principalmente dalle inedite

indagini nei grandi complessi funerari delle dinastie regnanti: ricchi corredi di oggetti bronzei,

modellini architettonici e statuette (Ming Qi) in terracotta invetriata, ceramica sancai e

porcellana, che vanno annoverati tra gli esiti più alti e originali della produzione artistica

cinese dell’epoca per il loro potere evocativo e la capacità di testimoniare, in particolare con

la dinastia Tang (607-907 d.C.), la vita mondana e le aspirazioni spirituali di una civiltà.

Merito di Cina a Venezia era anche quello di affrontare negli approfondimenti

collaterali all’esposizione argomenti come i dipinti murali delle strutture ipogee, che

completavano il panorama delle arti estremo orientali, pur non essendo, per ovvie ragioni,

presenti in mostra. Inoltre, come nella rassegna del 1983, il catalogo rappresentava un valido

strumento di studio della storia politica, letteraria, filosofica e religiosa del paese, grazie ai

saggi corredati da un’aggiornata bibliografia.

Gli allestimenti veneziani del progetto Arte e Civiltà Cinese possono essere definiti

come il percorso più completo ed organico sull’arte e sulla civiltà del Celeste Impero mai

organizzato in Italia30. Guardando a posteriori i risultati del lavoro svolto, è possibile

affermare che nella serie di eventi siano stati coniugati positivamente la presentazione e

l’avvicinamento al grande pubblico di una cultura lontana, la cui comprensione storica era

fino a quel momento per lo più nebulosa, con gli intenti di elaborazione scientifica della

materia. La stessa successione cronologica delle sale e il taglio archeologico risultavano

infatti funzionali all’inquadramento di specifici problemi, quali le origini della civiltà cinese e

la formazione dell’Impero nella prima rassegna, o, nella seconda, la disgregazione feudale, la

ricostituzione di un potere centrale o gli apporti esterni del Buddhismo e delle popolazioni

dell’Asia nella nascita di una rinnovata cultura unitaria.

Le esposizioni degli anni Ottanta e Novanta

Gli anni Ottanta e Novanta sono stati in Europa e negli Stati Uniti un periodo fertile per

le mostre di arte cinese, sia in virtù delle già citate collaborazioni scientifiche internazionali,

sia per la nuova apertura politica verso Occidente della Cina, che non si risparmia nel prestare

opere importanti delle sue collezioni per allestimenti itineranti nei maggiori musei mondiali.

Tre esempi americani possono chiarire in quale direzione si sia orientata la pratica

espositiva: The Quest for Eternity. Chinese Ceramic Sculptures from The People’s Republic

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of China31, allestita nel 1987 presso il County Museum of Art di Los Angeles, affrontava il

tema della plastica funeraria con reperti scultorei dall’epoca Qin alla dinastia Ming.

L’indagine sulla ricostruzione delle antiche capitali imperiali, delle quali oggi restano solo le

necropoli regali in corso di esplorazione, era invece il fulcro nel 1998 di Eternal China.

Splendors from The First Dynasties32 al Dayton Art Institute. Infine nel 1999 apriva alla

National Gallery of Art di Washington The Golden Age of Chinese Archaeology: Celebrated

Discoveries from The People’s Republic of China33 che, riproponendo un percorso già

affrontato una prima volta nel 197434, mirava a presentare con una selezione di opere anteriori

all’anno Mille gli esiti della ricerca archeologica nel Novecento.

Fatta eccezione per le rassegne veneziane, l’Italia in questo periodo è toccata solo

marginalmente dai grandi prestiti internazionali, sebbene, sotto la spinta propulsiva di Arte e

Civiltà Cinese, l’interesse per l’Estremo Oriente non si sia del tutto sopito e abbia continuato

a generare alcuni appuntamenti di minor dimensione e risonanza35.

Vanno segnalati in particolar modo due percorsi espositivi che, pur non spiccando per la

spettacolarità delle opere presentate o per l’affluenza di pubblico, sono da ricordare per

l’originale taglio metodologico con cui hanno affrontato l’argomento dell’arte cinese,

contribuendo, forse più di altri grandi allestimenti, al progresso della ricerca.

Nella primavera del 1985 viene organizzata al Museo Nazionale d’Arte Orientale di

Roma Arte Cinese in collezioni italiane di fine secolo, dove l’arte asiatica è affrontata dal

punto di vista della storia del collezionismo italiano otto-novecentesco36.

Al fine di documentare la peculiarità di interessi di alcuni personaggi italiani dell’ultimo

trentennio dell’Ottocento, nel percorso espositivo erano presentati vasi rituali e specchi

bronzei della collezione genovese di Edoardo Chiossone, porcellane appartenute a Placido di

Sangro, Duca di Martina, conservate oggi presso l’omonimo museo napoletano della

ceramica, costumi della raccolta veneziana di Enrico di Borbone, Conte di Bardi, e manufatti

etnografici Ming e Qing, acquistati dal padre saveriano Odoardo Manini e attualmente

custoditi al Museo d’Arte Cinese di Parma. Tali collezionisti, cogliendo gli stimoli

dell’ambiente parigino di fine secolo, si dedicarono allo studio del Celeste Impero e delle sue

arti con uno sguardo nuovo rispetto al passato e si impegnarono in una più puntuale

ricostruzione storica dei modelli primitivi di quelle forme che, pur essendo in voga nei

decenni precedenti, continuavano ad essere recepite dagli amatori e dal pubblico in modo del

tutto indistinto e acritico.

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L’intento dei curatori non era solo quello di indagare la formazione di quattro raccolte

nostrane, ma anche di evidenziare la particolarità di un momento storico che rappresenta per

l’Italia una significativa fase di transizione tra due distinti modi di intendere ed apprezzare le

produzioni artistiche del Celeste Impero. Il collezionismo italiano di fine Ottocento infatti

sancisce il definitivo superamento del fenomeno della Cineseria settecentesco, in cui non è

ancora possibile parlare di un vero e proprio gusto per l’arte cinese, dal momento che gli

estimatori dell’Oriente preferivano rivolgersi più agli oggetti contemporanei, creati

appositamente per l’esportazione, che ai manufatti storicamente contestualizzabili. Tuttavia,

proprio la curiosità per la ricostruzione dei prototipi e per la creazione di sequenze stilistiche,

definibili sulla base dell’epoca di produzione, distinguono le raccolte ottocentesche da quelle

che si andranno a formare nei primi decenni del XX secolo, quando:

[...] attraverso il varco del modernismo e del purovisibilismo [...] entrano in scena categorie dell’arte cinese fino

a poco prima ignorate, come la pittura, la scultura, la porcellana pre-Ming, forme artistiche cioè caratterizzate da

rigorosa essenzialità in linea con il gusto moderno37.

Un allestimento dunque in cui sono protagoniste le opere asiatiche, ma dove il motivo

conduttore è la Cina vista dall’Occidente negli anni a ridosso delle pionieristiche missioni

archeologiche inglesi, tedesche e francesi nell’Estremo Oriente e alle conseguenti prime

grandi rassegne di arte cinese in Europa; un momento peculiare della storia del collezionismo,

che può considerarsi a ragion veduta una sorta di ideale premessa allo studio del fenomeno

espositivo in Italia.

Un diverso modo nel rapportarsi all’antica civiltà del Celeste Impero è all’origine anche

de La Seta e la sua Via, mostra tenutasi a Roma nel 199438. Come testimonia il titolo, la

rassegna è incentrata su uno specifico ambito della produzione cinese, forse il più evocativo

ed emblematico di ciò che l’Estremo Oriente ha rappresentato nell’immaginario occidentale.

La storia del tessuto antico viene qui affrontata per la prima volta in una dimensione che non

è solo quella di esposizione di arti applicate altamente specializzata, ma che è intesa come

occasione per trattare il rapporto tra Asia ed Europa dall’Antichità al Medioevo. Attraverso

una cospicua selezione di sete e altri oggetti provenienti dagli Stati Uniti, dalla Cina e dai

musei europei, si dipana il filo rosso di una tecnica e di una produzione che da est muovono

verso ovest e che con la loro diffusione esercitano influenze nelle più svariate tipologie

artistiche.

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Si è trattato quindi di un appuntamento che ha avuto il duplice merito di impostare una

riflessione scientifica sul tema degli antichi manufatti serici e di avvicinare al pubblico le

opere orientali, da intendersi non solo come curiosità esotica, ma come qualcosa di

profondamente legato agli esiti delle arti europee e in queste sotterraneamente visibile. Ad

oltre dieci anni di distanza dalla pubblicazione, il catalogo de La Seta e la sua Via resta uno

dei testi di studio in italiano più significativi per coloro che vogliano approfondire le

tematiche dei tessuti estremo orientali e degli scambi culturali, artistici e materiali tra la Cina

e l’Occidente.

Il biennio 2005-2007: le mostre di arte cinese a Treviso, Napoli e Roma

Dopo aver ripercorso le vicende espositive degli ultimi sessant’anni, giungiamo infine

alle mostre del 2005-2007 di Treviso, Napoli e Roma. Per la coincidenza della materia trattata

e dei tempi di apertura vale la pena affrontare parallelamente i percorsi più recenti; tuttavia,

da un paragone più serrato emergerà anche quanto la somiglianza degli eventi sia solo

apparente, giacché le modalità di approccio e di presentazione dell’arte cinese antica sono

state diverse nelle tre occasioni.

Una primo elemento di distinzione è individuabile laddove si considerino le motivazioni

e l’occasione che hanno portato all’ideazione del momento espositivo.

Quello che si potrebbe definire ‘un anno nel Celeste Impero’ prende avvio nell’autunno del

2005 a Treviso, quando la Casa dei Carraresi abbandona le tematiche impressioniste e post-

impressioniste affrontate nelle precedenti stagioni, ed inaugura nella nuova sede trevigiana un

programma espositivo in quattro appuntamenti biennali, volti a ripercorrere l’intera storia

della civiltà cinese. Apre così ad ottobre La Nascita del Celeste Impero, prima tappa de La

Via della Seta e la Civiltà Cinese, in cui sono presentate opere dalle epoche più arcaiche fino

alla dinastia Tang.

Di fronte ad un progetto così ambizioso – sebbene non del tutto originale, pensando a

quanto già fatto a Venezia negli anni Ottanta – viene spontaneo chiedersi quale sia il legame

che unisca Treviso e la Casa dei Carraresi all’antica Cina. Non lascia pienamente convinti la

risposta data nel catalogo dal curatore, il giornalista Adriano Màdaro, quando, individuando

nel passato economico dell’area trevigiana una vocazione alla sericoltura e alla filatura,

afferma che «Treviso e il suo territorio potrebbero con tante buone ragioni candidarsi a

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capolinea ovest della Via della Seta»39. Sembra piuttosto che questo ultimo riferimento,

utilizzato per introdurre il tema dell’arte cinese antica, semplicemente sottenda l’interesse

tutto contemporaneo dei promotori (Fondazione Cassamarca, Accademia Cinese di Cultura

Internazionale, Fondazione Italia-Cina) per il mondo estremo orientale, cosicché è più

legittimo ritrovare la motivazione prima del programma di rassegne nell’idea, espressa dallo

stesso Màdaro, che sia necessario conoscere la storia passata della Cina per comprendere (e

fronteggiare) il suo ruolo attuale nel panorama internazionale.

Siamo dunque in presenza di un allestimento che trae la sua ragion d’essere da

un’esigenza innegabile e da un’occasione strettamente contingente, nella quale, tuttavia, pare

mancare nei confronti dell’arte cinese quell’interesse scientifico che aveva caratterizzato gli

appuntamenti espositivi più significativi dei decenni precedenti. Tale carenza sembrerebbe

confermata dal fatto che nel progetto non appare nessuna delle figure coinvolte in passato

nell’organizzazione delle rassegne estremo orientali e, anzi, di queste ultime non viene fatta

parola, come se il percorso di Treviso fosse l’appuntamento più importante, se non l’unico,

mai avvenuto in Italia.

Diversa è la situazione a Napoli e Roma, dove le mostre seguono più fedelmente il solco

della tradizione espositiva nostrana. Tra i curatori di Tang. Arte e Cultura in Cina prima

dell’Anno Mille e di Cina. Nascita di un Impero, appaiono infatti quelle stesse istituzioni e

personaggi che, a suo tempo, erano stati coinvolti nel progetto veneziano Arte e Civiltà

Cinese: l’Orientale nell’ideazione del percorso partenopeo, mentre a Roma lavorano studiosi

del Dipartimento di Studi Orientali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e del Museo

Nazionale d’Arte Orientale Giuseppe Tucci di Roma, con la collaborazione in entrambi i casi

di referenti cinesi già noti (il Museo Nazionale della Storia di Pechino).

Ritrovare, nei due comitati scientifici, nomi incontrati nella realizzazione delle mostre degli

anni Ottanta è senz’altro una garanzia di qualità per i nuovi allestimenti. Tuttavia non ci si

può che chiedere perché si sia preferito creare, a così breve distanza, due eventi del tutto

distinti ed autoreferenziali, piuttosto che continuare in un proficuo rapporto di cooperazione

per l’ideazione di un progetto pluriennale e, eventualmente, policentrico.

Una possibile risposta si trova andando a ricercare l’occasione di ideazione delle

rassegne. A Napoli Tang nasce come presentazione pubblica dei risultati delle campagne

archeologiche svolte dall’équipe dell’Orientale nel sito di Fengxiansi, in particolare nel

monastero buddhista di Longmen, dal 199740. Si tratta dunque di una vera e propria mostra di

studio, la prima in Italia in cui si espone il frutto di un’indagine svolta nel territorio cinese

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principalmente dai nostri sinologi, e nella quale la materia trattata copre un arco cronologico

molto più ristretto rispetto agli eventi precedenti: le vicende di una sola dinastia, affrontate

secondo un taglio strettamente monografico, fino a quel momento sconosciuto alle esposizioni

di arte estremo orientale.

All’origine di Cina. Nascita di un Impero non vi è una motivazione scientifica

altrettanto forte, dal momento che l’evento era strettamente legato alla nuova politica del

governo italiano, volta ad incentivare i rapporti diplomatici ed economici con la Repubblica

Popolare Cinese. Si tratta quindi di una mostra che occupa una posizione intermedia tra quella

di Treviso, organizzata per ragioni più vicine al marketing che alla cultura, e l’appuntamento

napoletano, nato per esigenze prettamente di ricerca. A monte dell’evento vi erano infatti il

viaggio a Pechino e a Shangai dell’allora Capo di Stato Carlo Azeglio Ciampi (dicembre

2004), lo scambio culturale seguito all’allestimento di una rassegna di arte antica romana

nella capitale cinese e la proclamazione dell’anno italiano nella Repubblica Popolare (2006).

Proprio nei discorsi tenuti dal Presidente italiano in occasione della sua visita ufficiale in

Oriente la tematica della reciproca conoscenza culturale e storica era, al pari delle relazioni

internazionali e dello sviluppo economico, uno dei nodi centrali per costruire una proficua

collaborazione e, significativamente, l’esposizione Cina. Nascita di un Impero era

menzionata, insieme alla partecipazione di restauratori italiani nel progetto di recupero della

Città Proibita, come una delle tappe fondamentali dell’auspicato percorso di avvicinamento

tra le due nazioni41.

Un diverso modo di intendere e di presentare la civiltà dell’Estremo Oriente è evidente

anche osservando le scelte espositive attuate nei tre centri italiani. Mutano in primo luogo i

limiti cronologici prescelti, sebbene tanto alla Casa dei Carraresi che alle Scuderie del

Quirinale si voglia presentare l’origine storica del Celeste Impero; e non è scarto temporale da

poco, dal momento che a Treviso si giunge fino al termine, nel X secolo, della dinastia Tang,

indagata separatamente a Napoli, mentre a Roma si toccano solo gli albori dell’era cristiana

con gli Han Occidentali.

Il confronto più immediato sorge dunque tra il percorso veneto e quello romano, così

affini nella presentazione da recare quasi lo stesso titolo. In entrambe i casi non può che

venire alla mente la mostra del 1983 Settemila anni di Cina a Venezia. Arte e Archeologia

Cinese dal Neolitico alla Dinastia degli Han, modello di riferimento più o meno taciuto dagli

odierni organizzatori.

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Cosa è cambiato, allora, a distanza di un ventennio nel panorama degli studi e delle

rassegne, se nel giro di pochi mesi è sorta l’esigenza di affrontare in due sedi distinte una

tematica così particolare quale l’arte cinese arcaica? Certo, negli ultimi anni i progressi delle

ricerche archeologiche in Cina sono stati notevoli, così da permettere l’esposizione nelle due

città di moltissimi manufatti recuperati in date recenti e quasi coeve alle mostre stesse,

sebbene, parallelamente, ad una osservazione più attenta non sarebbero sfuggite opere già

esposte in Italia negli allestimenti anteriori.

A Roma si può forse rilevare una tendenza a restringere maggiormente il campo

d’indagine rispetto a Treviso, dove ancora non si sente la necessità di distinguere un percorso

sugli Han o sui Qin da uno dedicato al cosiddetto Medioevo Cinese (III-VI secolo d.C.) o

all’epoca Tang, per quanto l’operazione svolta con Cina. Nascita di un Impero ricalchi

precisamente quanto già attuato a Venezia nel 1983. La stessa scelta di presentare in sezioni

cronologiche gli sviluppi della civiltà cinese, esponendo diverse tipologie artistiche

caratterizzanti le varie epoche, più con un’ansia di completezza panoramica che per una

precisa impostazione critica, non aggiunge nulla di nuovo alla tradizione delle rassegne

italiane e sembra quasi ridurre gli eventi contemporanei ad una semplice occasione per

ammirare opere di gran pregio, provenienti dai musei cinesi, senza contribuire

all’avanzamento degli studi.

Nonostante quanto promesso nelle campagne promozionali della Casa dei Carraresi e

delle Scuderie del Quirinale, non vi è quindi nessuna novità rispetto ai risultati conseguiti

precedentemente. Vi è certo una maggiore disponibilità di reperti stranieri, un’abbondanza di

materiale che permette nei due percorsi di esporre, ad esempio, componenti diversi e in parte

inediti dell’esercito di terracotta di Xi’an o due differenti vesti-sudario in giada, e, tuttavia, le

mostre di Treviso e Roma sembrano tradire una comune difficoltà nell’individuare il modo

più valido per rapportarsi all’arte cinese e per guidare il pubblico ad una comprensione più

approfondita.

Alla Casa dei Carraresi, i curatori avevano puntato sul cospicuo numero di opere per

creare un percorso forse eccessivamente lungo e non pienamente coerente, con salti

cronologici improvvisi e non supportati da adeguate introduzioni, cosicché il visitatore si

ritrovava stordito in una sorta di bazar dell’antica Cina, dove agli originali si alternavano

copie moderne, non sufficientemente segnalate come tali, e dove le più svariate tecniche

artistiche si susseguivano, senza essere accompagnate dai necessari strumenti di orientamento.

Nella mostra romana, invece, attraverso l’allestimento quasi teatrale di Luca Ronconi, si

perseguiva un diverso intento di spettacolarizzazione dei manufatti, indubbiamente

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suggestivo, ma non per questo di più semplice lettura. Se, infatti, grazie alla loro particolare

collocazione, le opere si rivelavano letteralmente al pubblico, emergendo dal buio in isole di

luce e scorci prospettici, all’impatto emotivo iniziale non seguiva poi la possibilità di

effettuare una più approfondita interpretazione critica, mancando spesso quegli supporti

testuali indispensabili per calare i capolavori isolati in un più organico contesto storico.

Il caso delle sculture dell’esercito di Xi’an, presenti tanto a Treviso che a Roma, può

essere emblematico della difficoltà di portare gli spettatori ad una effettiva comprensione di

quanto ammirato. Siamo in presenza di una delle opere più celebri e più note dell’antica

civiltà cinese, sulla quale era puntata la maggior attenzione dei curatori e degli stessi visitatori

delle rassegne; tuttavia, nell’esporre tali manufatti sorge l’inevitabile problema della loro

decontestualizzazione da quell’ambiente di origine, che tanto contribuisce a crearne il mito.

Se infatti una fruizione piena del senso dell’esercito si può avere solo nella visione diretta

dell’irriproducibile sito delle fosse di accompagnamento al mausoleo imperiale, ciò

nonostante vi sono altre informazioni che devono e avrebbero potuto essere fornite in

occasione delle mostre e non solo a chi avesse avuto l’accortezza di leggere a priori gli studi

specialistici e i saggi dei cataloghi42. L’obbligato isolamento dei pezzi negli allestimenti

italiani, dettato dalla necessità di selezionare singoli esemplari da una vastissima classe

tipologica, non avrebbe dovuto suggerire un carattere di unicum alle sculture di Shi Huangdi,

che, tanto per la loro tecnica di realizzazione quanto per il loro significato intrinseco,

incarnano invece l’idea stessa della serialità. Le raffigurazioni che, per la loro accuratezza

fisionomica e veridicità, spingono quasi ad un parallelo con la coeva plastica mediterranea,

sono infatti composizioni modulari assemblate in quello che può definirsi uno dei primi

procedimenti industriali a vasta scala applicato al mondo delle arti. La presenza di marchi di

firma sui singoli pezzi deve quindi indurre, più che alla ricerca di specifiche personalità

ideatrici, come avverrebbe in Occidente, alla riflessione sulla concezione della scultura nel

pensiero cinese, il quale vede nelle realizzazioni plastiche solo una forma di artigianato,

seppur eccelso, riservando unicamente alla pittura-calligrafia il ruolo di Arte in senso stretto43.

Se dunque passare dall’ammirazione alla comprensione implica fornire al visitatore gli

strumenti critici necessari per accostarsi alle opere da una prospettiva non solo di godimento

estetico, ma di più approfondita conoscenza, allora, nelle sezioni dedicate ai suddetti reperti,

avrebbero meritato un posto, se non lunghe e complesse introduzioni ai problemi individuati,

almeno delle riproduzioni fotografiche del complesso ipogeo nella sua interezza.

Abbiamo finora trascurato il terzo appuntamento del biennio espositivo 2005-2007, dal

momento che, rispetto agli allestimenti contemporanei e precedenti, Tang. Arte e Cultura in

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Cina prima dell’Anno Mille rappresenta indubbiamente un caso a sé, in virtù del suo

innovativo taglio monografico. È infatti la prima volta in Italia che il mondo estremo orientale

non è più trattato come un campo del tutto inesplorato, da presentare in una panoramica la più

vasta possibile ad un pubblico mediamente ignaro; con questa mostra, invece, l’arte e

l’archeologia cinesi assumono dignità scientifica pari a quella di altri settori meglio noti,

meritandosi dunque un percorso non divulgativo, ma volto all’approfondimento di specifiche

tematiche. Ciò non significa assolutamente che a Napoli abbia avuto luogo una rassegna

dedicata solo agli ‘addetti ai lavori’: anzi, la selezione più circoscritta di manufatti e la

successione delle sezioni, dedicate all’esplorazione dei palazzi imperiali, dell’arte funeraria,

del Buddhismo, dei rapporti con l’Occidente e della calligrafia, ciascuna con una chiara e

precisa introduzione, rendevano il percorso fruibile a più livelli e garantivano un effettivo

arricchimento delle conoscenze sul mondo Tang anche al visitatore più sprovveduto. Ciò che

premeva dunque non era stupire, affidandosi solo al numero e all’eccelsa qualità dei singoli

manufatti in mostra, quanto piuttosto offrire una ricostruzione il più completa possibile di una

civiltà, affiancando ai reperti piante, plastici e riproduzioni delle opere non trasportabili (gli

affreschi ipogei delle sepolture di corte).

La cura nella presentazione delle sculture fittili e in pietra, dei tessuti e delle oreficerie,

delle pitture e dei vasi, trovava conferma anche nelle forme di allestimento e nelle modalità di

accostamento degli originali con le copie didattiche. Si pensi solo alla prima opera esposta: un

portale scolpito di una sepoltura monumentale, una architettura da attraversare per entrare nel

percorso della mostra, focalizzando subito la centralità della vita nell’oltretomba nel Celeste

Impero. Ancora, si consideri la disposizione di una serie di statuette, rappresentanti le 12

divinità dello Zodiaco, lungo la linea sul pavimento di quella meridiana, che dà il nome alla

sala del Museo Archeologico dove si svolgeva la rassegna. Infine, per quanto riguarda la

presenza di riproduzioni, vale la pena ricordare quei calchi ad inchiostro su carta delle steli

calligrafiche, applicazione moderna di una tecnica di copia sviluppatasi proprio con la dinastia

Tang, quando un rinnovato interesse per l’epigrafia e la scrittura in generale aveva portato alla

costituzione di repertori documentari delle antiche lastre incise.

Se la validità di una mostra non può misurarsi esclusivamente con il metro

dell’opportunità politica o sul numero e la preziosità degli oggetti esposti, fondandosi in

primo luogo sulla solidità e funzionalità del percorso, allora, un altro elemento da tenere in

considerazione nel nostro confronto deve essere ciò che rimane della rassegna una volta che

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essa si è conclusa: questo aspetto assume un particolare rilievo nell’ambito italiano, dove non

sono molte le pubblicazioni di argomento cinese.

Anche i cataloghi dei tre eventi presi in esame confermano le profonde differenze che

intercorrono tra La Nascita del Celeste Impero, Tang e Cina. Nascita di un Impero ed

attestano quei diversi modi di esporre e presentare l’arte cinese, già individuati nell’ideazione

del progetto e nell’allestimento.

Il carattere ambizioso del programma di Treviso La Via della Seta e la Civiltà Cinese

ritorna nel volume di accompagnamento al primo appuntamento: si tratta infatti di un catalogo

trilingue (italiano, inglese e cinese) edito in una doppia versione, corredata o meno da due

testi aggiuntivi di approfondimento. Tuttavia, nella sua articolazione interna il catalogo non si

rivela all’altezza delle dimensioni fisiche, dal momento che alla già citata introduzione del

curatore segue un saggio più divulgativo che scientifico, in cui si ripercorrono la storia cinese

e le principali vicende culturali ed artistiche dell’Impero, commentando le tavole ricostruttive

del disegnatore Liu Yonghua che si snodavano lungo il percorso della mostra.

Si rivela invece un prezioso strumento di studio il catalogo di Tang. Arte e Cultura in

Cina prima dell’Anno Mille, tanto per la complessità e completezza dei saggi introduttivi

quanto nella presentazione delle singole sezioni della mostra e nelle schede, il tutto corredato

da una ricca ed aggiornata bibliografia italiana e straniera. Sebbene la rassegna si fosse basata

su un materiale di provenienza archeologica, nell’intenzione dei curatori doveva prevalere

nell’allestimento un taglio storico-artistico, incentrato su questioni stilistiche, iconografiche e

cronologiche. Così, anche nel catalogo, accanto ai testi illustrativi dell’attività di ricerca

svolta in Cina dall’Orientale44 o dedicati alla contestualizzazione storica, religiosa e culturale

dell’epoca trattata45, ve ne sono altri che indagano i diversi settori delle arti fiorite con la

dinastia Tang, siano essi rappresentati o meno dai manufatti esposti a Napoli46.

Infine anche il catalogo di Cina. Nascita di un Impero risulta una lettura interessante,

sebbene sia più incentrato sulle tematiche storiche ed istituzionali47 relative all’antico mondo

estremo orientale, che su questioni strettamente artistiche48. In questo caso, come già era

avvenuto a Venezia nel progetto Arte e Civiltà Cinese, la ricostruzione archeologica si presta

ad una ricerca sulle strutture politiche ed ideologiche del nascente impero, come nel saggio di

Roberto Ciarla49, dove viene studiata la cultura dello Stato di Qin attraverso gli scavi

effettuati negli insediamenti e nei monumenti funebri, in particolare nel mausoleo di Xi’an, o

in quello di Tiziana Lippiello50, che indaga sulla concezione della morte e sulle pratiche

funebri, analizzando le tipologie degli oggetti appartenenti ai corredi mortuari.

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Prospettive future

Con la chiusura della rassegna romana è terminato per il pubblico italiano il lungo anno

espositivo dedicato all’esplorazione dell’antica Cina. Tuttavia, e per la prima volta nel nostro

Paese, il sipario calato sul Celeste Impero al principio del 2007 ha rappresentato solo

un’interruzione temporanea, un momento per riflettere sui recenti appuntamenti, aspettando

l’apertura di mostre future e già preannunciate. Nel corso della stesura di queste pagine, si è

intanto inaugurato a Treviso il secondo appuntamento del progetto pluriennale alla Casa dei

Carraresi, intitolato Genghis Khan e il Tesoro dei Mongoli, cosicché sorge spontaneo

chiedersi se la nuova rassegna sarà la sola occasione o la prima di molte per ammirare nuovi

capolavori giunti dall’Estremo Oriente. È assai probabile infatti che la risposta di altre

istituzioni non si farà attendere e che il fenomeno delle mostre d’arte cinese in Italia non si

esaurisca, sebbene più che interrogarsi sul quando e dove si organizzeranno nuovi percorsi,

preme sapere maggiormente come questi saranno concepiti.

L’arte della Cina, oggi più che mai, suscita un forte richiamo di pubblico e ben si presta

a diventare evento strumentalizzabile per fini diversi da quelli della ricerca e

dell’arricchimento delle conoscenze. Ciò nonostante, la capacità di superare una logica di

utilità commerciale e politica, ideando veri percorsi di studio e di avvicinamento ad una delle

più complesse alterità culturali dell’Occidente, resta auspicabile e possibile, come hanno già

dimostrato il progetto veneziano Arte e Civiltà Cinese negli anni Ottanta e la più recente

Tang. Arte e Cultura in Cina prima dell’Anno Mille. È a queste mostre che bisogna guardare

per individuare le più valide modalità di presentazione del mondo estremo orientale anche ad

un visitatore non necessariamente specializzato nell’argomento e, allo stesso tempo, per

sfatare il mito di comodo che sia sufficiente ottenere prestiti prestigiosi di opere cinesi per

allestire una rassegna significativa e memorabile.

Se da una parte non si può negare l’utilità dei percorsi finalizzati ad un’illustrazione

omnicomprensiva della lontana civiltà asiatica, perché per decenni la chiusura e gli

avvenimenti politici della Repubblica Popolare rendevano difficoltosa la possibilità di un

incontro, e per l’Occidente ogni esposizione rappresentava davvero un’occasione per

immergersi indistintamente nella diversa cultura e per assimilare in modo onnivoro ogni sua

espressione artistica, oggi, mutate le condizioni storiche e progredita la ricerca, è necessario

creare le condizioni per sviluppare uno sguardo nuovo nei confronti dell’antica Cina.

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Ben vengano dunque le future esposizioni dedicate al Celeste Impero, ma che abbiano

un taglio espositivo rigoroso, che affrontino non più come terreno vergine il settore delle arti e

dell’archeologia cinese e che facciano tesoro della tradizione precedente per creare qualcosa

di veramente innovativo ed utile. Ora che il ponte è stato gettato e che l’immagine della

nazione asiatica non è più associata alle sole porcellane Ming o all’esercito di Xi’an,

essendosi rivelato tutto un più variegato universo artistico, è giunto il momento di trattare

scientificamente la questione cinese, con esposizioni finalizzate ad indagare singole dinastie e

precise problematiche storico-artistiche, affinché il processo di avvicinamento intrapreso

possa condurre ad una più solida conoscenza.

Del resto, non storcerebbe il naso un qualsiasi europeo, sapendo che in un altro continente si

organizzano mostre che affrontano in un unico percorso la storia artistica dell’Italia dagli

Etruschi fino al Gotico Internazionale? Non taccerebbe inevitabilmente di superficialità un

tale evento, constatando inoltre che non si tratta di una rassegna introduttiva a cui ne

seguiranno numerose altre dedicate a periodi e problemi specifici, ma che, ogniqualvolta

vengano ideati progetti di materia affine, si continui a riproporre una generalissima

panoramica, senza operare distinzione alcuna?

Certo, paragonare la storia della civiltà occidentale con quella estremo orientale,

ricercando comuni linee evolutive, è un compito difficile, se non addirittura impossibile, per

la specificità che sul lungo corso caratterizza entrambe e le differenzia così profondamente.

Quanto affermato prima, quindi, non è che una provocazione da parte di chi, nonostante tutto,

continuerà nella frequentazione delle prossime mostre italiane di arte cinese, augurandosi

infine di essere guidato dallo stesso percorso espositivo in quell’agognato passaggio dalla

stupita ammirazione alla comprensione51.

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Appendice

L’allestimento delle mostre veneziane degli anni Ottanta

Le fotografie delle mostre di Venezia compaiono per gentile concessione della Direzione dei Musei Civici Veneziani.

1. Il giorno dell'inaugurazione della mostra Settemila anni di Cina a Venezia

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2. Settemila anni di Cina: bronzi rituali delle dinastie arcaiche

3. Settemila anni di Cina: corredi funebri, Periodo delle Primavere e degli Autunni

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4. Settemila anni di Cina: esemplari dell’esercito di terracotta, dinastia Qin

5. Settemila anni di Cina: armatura di giada, dinastia degli Han Occidentali

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6. Cina a Venezia: esemplari di statuette ming qi, dinastia degli Han Orientali

7. Cina a Venezia: esemplari di statuette ming qi, dinastia Tang

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8. Cina a Venezia: statuaria buddhista

1 La Via della Seta e la Civiltà Cinese. La Nascita del Celeste Impero, catalogo della mostra (Treviso, Casa dei Carraresi 22 ottobre 2005-30 aprile 2006) a cura di A. Màdaro, Treviso, Edizioni Sigillum 2005; Genghis Khan e il Tesoro dei Mongoli, catalogo della mostra (Treviso, Casa dei Carraresi 20 ottobre 2007-4 maggio 2008) a cura di A. Màdaro, Treviso, Edizioni Sigillum 2007; Tang. Arte e Cultura in Cina prima dell’Anno Mille, catalogo della mostra (Napoli, Museo Archeologico Nazionale 16 dicembre 2005-22 aprile 2006) a cura di L. Caterina, G. Verardi, Napoli, Electa 2005; Cina. Nascita di un Impero, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale 22 settembre 2006-28 gennaio 2007) a cura di L. Lanciotti, M. Scarpari, Milano, Skira 2006. 2 Per una panoramica degli studi sinologici in Italia si vedano G. BERTUCCIOLI, Gli studi sinologici in Italia dal 1600 al 1950, «Mondo Cinese», LXXXI, marzo 1993, pp. 9-22;G. BERTUCCIOLI, F. MASINI, Italia e Cina, Roma Bari, Laterza 1996, pp. 172-176; nonché i numerosi studi di Lionello Lanciotti cfr. L. LANCIOTTI, Italian Contributions to the Chinese Studies in the last 20 Years, «Tohogaku», I, 1986, pp. 181-183; ID., Venezia e il sorgere degli studi sinologici, in S.PEROSA et al., Venezia e le lingue e letterature straniere, Roma, Bulzoni 1991, pp. 51-54; ID., Gli studi sinologici in Italia dal 1950 al 1992, «Mondo Cinese», LXXXV, gennaio-aprile 1995, pp. 17-26, <http://www.tuttocina.it/Mondo_cinese/085/085_lanc.htm> (03/08/2008); ID., Italian Sinology from 1945 to the Present in Europe studies China, London, Han-shan Tang 1995, pp. 79-87; ID., Un secolo di studi italiani sulla Cina, in F. D’A RELLI, La Cina e L’Italia, Roma, AISC-IsIAO 2007, pp. VII-VIII. 3 Tra le istituzioni italiane più importanti dedicate all’area asiatica si possono citare l’Università degli Studi L’Orientale di Napoli, nata dal settecentesco Collegio dei Cinesi, l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente di Roma (IsMEO) creato nel 1933 e trasformato nel 1995 in IsIAO (Istituto Italiano per l’Africa e per l’Oriente), o la vocazione orientalistica dell’Università degli Studi di Venezia. Raccolte italiane di arte cinese si trovano presso il Museo Edoardo Chiossone a Genova, il Museo di ceramiche Duca di Martina di Napoli, il Museo di Arte Orientale Giuseppe Tucci a Roma e il Museo di Arte Orientale di Venezia.

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4 China: The Three Emperors, 1662-1795, catalogo della mostra (Londra, The Royal Academy 12 novembre 2005-17 aprile 2006) a cura di E. S. Rawski, J. Rawson, London, The Royal Academy of Arts 2005. 5 The First Emperor. China’s terracotte army, catalogo della mostra (Londra, The British Museum 13 settembre 2007-6 aprile 2008) a cura di J. Portal, London, The British Museum Press 2007. 6 Tra le mostre parigine degli ultimi anni si possono ricordare Chine des Origines. Hommage a Lionel Jacob, catalogo della mostra (Parigi, Musée Guimet 5 dicembre 1994-6 marzo 1995) a cura di J. P. Desroches, M. C. Rey, Paris, Réunion des Musées Nationaux 1994 e De l’Inde au Japon, 10 ans d’acquisitions au Musée Guimet, catalogo della mostra (Parigi, Musée Guimet 13 giugno-13 dicembre 2007) a cura di J. F. Jarrige, Paris, Réunion des Musées Nationaux 2007, entrambe allestite con opere già conservate presso il Musée des Arts Asiatiques Guimet. Sono invece frutto di una collaborazione con le istituzioni cinesi le esposizioni Trésors du Musée National de Taipei. Mémoire d’empire, catalogo della mostra (Parigi, Galeries Nationales du Gran Palais 20 ottobre 1998-25 gennaio 1999) a cura di J. P. Desroches, J. Giès, Paris, Réunion des Musées Nationaux 1998 e Montagnes Célestes. Trésors des musées de Chine, catalogo della mostra (Parigi, Galeries Nationales du Gran Palais 30 marzo-28 giugno 2004) a cura di J. Giès, Paris, Réunion des Musées Nationaux 2004. 7 Si pensi alla collezione di oggetti asiatici di Émile Guimet (1836-1918), ceduta nel 1885 allo Stato francese e nucleo originario del Musée des Arts Asiatiques, in cui, dopo l’apertura nel 1889, confluiranno altre raccolte private, i reperti delle spedizioni archeologiche francesi in Cina e in Asia Centrale, le opere del Museo dell’Indocina del Trocaderò e quelle del Dipartimento di Arti Asiatiche del Musée du Louvre. 8 Costituitosi come istituzione nazionale nel 1753 per volontà e dalle collezioni di Sir Hans Sloane (1660-1753), il British Museum nasceva principalmente come museo di storia naturale, ma, in virtù di un approccio universalista alla conoscenza di stampo illuminista, ospitava anche opere dell’ingegno umano: una biblioteca, una raccolta numismatica, una di grafica ed una etnografica di manufatti indiani e africani, oggetti di arte islamica, alcune antichità classiche, una quadreria e una selezione di reperti testimoni della storia britannica, nonché una collezione di opere orientali, provenienti dal Giappone, dalla Persia, dalla Turchia e dalla Cina. Per il nucleo originario delle collezioni del British Museum, cfr. D. M. WILSON, The British Museum. A History, London, The British Museum Press 2002, pp. 14-18. 9 Sir Marc Aurel Stein (1862-1943), archeologo e geografo di origine ungherese, compie nel 1900 una prima missione in Asia Centrale. Gli oggetti rinvenuti di origine cinese, indiana e di ascendenza ellenistica vengono inviati al British Museum di Londra, che finanzierà le campagne successive nel Turkestan cinese (1906), nello Xinjiang e nel Gansu (1913-1916 e 1927-1928) e in Cina (1930). Di grande rilevanza per la storia dell’arte estremo orientale è la spedizione del 1906, durante la quale Stein rinviene, presso la Grotta dei Mille Buddha a Dunhuang, un immenso patrimonio di manoscritti, pitture su seta, tessuti e stendardi buddhisti di fattura cinese, conservati nella cosiddetta Biblioteca, murata al principio dell’XI secolo. Paul Pelliot (1878-1945), sinologo e archeologo francese, guida una campagna di scavi in Asia Centrale dal 1906 al 1909, nel corso della quale prosegue, indipendentemente da Sir Aurel Stein, le ricerche presso le grotte di Dunhuang, selezionando oltre cinquantamila manoscritti e frammenti di testi cinesi, che vengono portati in Francia insieme ad altri manufatti. Tali reperti sono attualmente conservati al Musée Guimet e alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Per la storia delle missioni archeologiche di Primo Novecento si veda P. HOPKIRK, Diavoli stranieri sulla Via della Seta, Milano, Adelphi 2006, con relativa bibliografia. 10 A partire dall’Esposizione Universale di Londra del 1851 sono presenti padiglioni dedicati all’Estremo Oriente, in cui l’immagine e la fortuna dell’Asia sono legate in particolar modo all’artigianato e ai manufatti artistici della Cina e, dopo la forzata apertura dei suoi porti all’Occidente nel corso degli anni Cinquanta, del Giappone. Tuttavia, al favore del pubblico europeo nei confronti dei prodotti delle due nazioni si accompagna anche un’incapacità di distinguere l’esatta provenienza delle opere. Ad esempio, nella raccolta di modelli creata da Samuel Bing per fornire stimoli di rinnovamento alle arti europee e pubblicata sulla rivista Le Japon Artistique, si mescolavano soluzioni tratte tanto dal mondo cinese che da quello giapponese. Cfr. S. BING, Documents d’art et d’industrie réunis par S. Bing, «Le Japon Artistique», I, n. 1, maggio 1888. Per la fortuna dell’Estremo Oriente alle Esposizioni Universali di fine Ottocento, cfr. L. AIMONE, C. OLMO, Le Esposizioni Universali (1851-1900), Torino, Umberto Allemandi 1990, pp. 164-173 e relativa bibliografia. 11 Mostra di Pittura Cinese Antica e Moderna, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale dicembre 1933-gennaio 1934) a cura di A. Morassi, J. Péon, Milano, La Bodoniana 1933. 12 La stessa terminologia con cui vengono chiamati i formati orizzontale e verticale (makemono e kakemono) della pittura cinese è presa in prestito dalla lingua giapponese. Ciò dimostra quanto l’esperienza della grafica nipponica per gli artisti europei del secondo Ottocento e il coevo fenomeno del giapponismo nel gusto e negli orientamenti collezionistici abbiano fornito gli strumenti per rivalutare anche i rotoli dipinti della Cina. Se infatti la diversa applicazione dei principi prospettici, tonali e chiaroscurali nell’estetica dell’Estremo Oriente, era stata considerata indice di inferiorità nei decenni precedenti – celebre in questo senso il giudizio negativo sulla pittura cinese di padre Giuseppe Castiglione nel Settento –, la nuova attenzione per le stampe giapponesi portò come

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conseguenza indiretta ad apprezzare la sottile operazione intellettuale che soggiace all’arte del disegno nel Celeste Impero, dove le forme visive non sono espressione della Natura ma dell’Io dell’artista-filosofo. Per una sintetica presentazione dei principi estetici dell’arte cinese si veda il saggio introduttivo di Alberto Giuganino nel catalogo della mostra Arte Cinese cfr. nota 15. Sulle difficoltà del mondo occidentale di comprendere il pensiero artistico della Cina O. SIRÉN, Come vediamo l’arte cinese, «L’Arte», XXXIV, n.s., luglio 1931, pp. 295-311. 13 Mostra di Pitture Cinesi Ming e Ching, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Brancaccio 6 aprile-30 aprile 1950) a cura dell’Istituto Italiano per il Medio e l’Estremo Oriente, Roma, IsMEO 1950. 14 Arte Cinese, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Ducale, 1954) a cura di G. Tucci, A. Giuganino, J. P. Dubosc, Venezia, Alfieri Editore 1954. 15 J. P. DUBOSC, Prefazione, in Arte Cinese cit., p. 6. 16 O. SIRÉN, Histoire des arts anciens de la Chine, Paris, Van Oest 1929-1934, 4 vol.; ID., Histoire de la peinture chinoise, Paris, Les Éditions d’art et d’histoire 1934-1935, 2 vol. 17 Sebbene dalla fine degli anni Cinquanta l’alleanza tra la Cina e l’Unione Sovietica vada allentandosi, ancora nel decennio successivo la Repubblica Popolare, agitata internamente dalla Rivoluzione Culturale, visse una condizione di relativo isolamento politico. Solo con l’aprirsi degli anni Settanta, a seguito della rimozione nel 1971 del veto statunitense per l’ammissione della Cina comunista all’assemblea delle Nazioni Unite, sancita l’anno successivo, si avviò con le potenze occidentali una nuova stagione di dialogo, culminante nel 1979 con il viaggio di Deng Xiaoping negli Stati Uniti d’America, un’importante occasione diplomatica, in cui vennero anche stipulati accordi complementari di natura scientifica, tecnologica, culturale e commerciale. Per i rapporti tra la Cina e l’Occidente nel secondo dopoguerra cfr. M.C. BERGERE, La Repubblica Popolare Cinese (1949-1989), Bologna, Il Mulino 1994, pp. 325-371; G. SAMARINI , La Cina del Novecento. Dalla fine dell’Impero a oggi, Torino, Einaudi 1994, p. 193 e sg., pp. 355-361. 18 Chinesische Kunst, catalogo della mostra (Berlino, Preussische Akademie Der Kunst 1929) a cura di O. Kummel, Berlin, s.e., 1929. 19 Catalogue of the International Exhibition of Chinese Art (Londra, The Royal Academy, 28 novembre 1935-7 marzo 1936), London, Clowes and Sons 1935. 20 Tra il 1908 e il 1909 e tra il 1926 e il 1929 l’archeologo russo Piotr Kozlov (1863-1935) guida due missioni di scavo nel sito dell’antica città di Khara Khoto, capitale dello stato dei Tangut, popolazione nomade stanziatasi ai confini nord occidentali dell’Impero Cinese e fondatrice della dinastia sinesizzata degli Xi-Xia (982-1227). 21 A. GIUGANINO, Introduzione e J. P. DUBOSC, Prefazione, in Arte Cinese cit. 22 Pittura cinese moderna. Opere raccolte dall’unione degli artisti cinesi nei musei della Repubblica Popolare Cinese, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Brancaccio dicembre 1958) a cura del Comitato per la diffusione degli studi sinologici in Italia presso l’Istituto italiano per il Medio e l’Estremo Oriente, Roma, Colombo 1958; Cento anni di pittura cinese (1850-1950), catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi 15 giugno-28 giugno 1959) a cura di C. Chen-To, Roma, SEN 1959; Pittori cinesi contemporanei, catalogo della mostra (Roma, s.e. 1960) a cura di G. Carandente, Roma, Editalia 1960; Mostra del Manifesto cinese, catalogo della mostra (Varese, Biblioteca Civica 27 gennaio-10 febbraio 1979) a cura dell’Associazione Italia-Cina, Varese, La Tipografica 1979. 23 Cfr. nota 17. Tra i segnali di apertura della Cina verso l’Italia merita di essere segnalato l’invito a recarsi nella Repubblica Popolare Cinese in qualità di esperto di restauro, rivolto nei primi anni Ottanta dal Ministero della Cultura a Cesare Brandi. L’esperienza cinese del fondatore dell’ICR è dettagliatamente ricordata dallo stesso nel suo diario di viaggio, cfr. C. BRANDI, Diario cinese, Roma, Editori Riuniti 2002. 24 Marco Polo: Venezia e l’Oriente, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Ducale 1981) a cura di A. Zorzi, Milano, Electa 1981. 25 Settemila anni di Cina a Venezia: Arte e Archeologia Cinese dal Neolitico alla Dinastia degli Han, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Ducale, 4 giugno 1983-31 gennaio 1984) a cura del Museo della Storia Cinese di Pechino, Seminario di Lingua e Letteratura Cinese dell’Università degli Studi di Venezia, Istituto Italiano per il Medio e l’Estremo Oriente, K. Chang, R. Ciarla, M. Scarpari et al., Milano, Silvana Editoriale 1983. 26 Proprio negli anni Ottanta si avviava il gemellaggio tra Venezia e la città cinese di Suzhou. 27 1. Periodo Neolitico, 2. Dinastia Xia, 3. Dinastia Shang, 4. Dinastia degli Zhou Occidentali, 5. Periodo delle Primavere e degli Autunni, 6. Periodo degli Stati Combattenti, 7. Dinastia Qin, 8. Dinastia degli Han Occidentali. 28 M. TOSI, L’origine dello stato nella Cina Settentrionale come problema archeologico, in Settemila anni di Cina cit., p. 66. 29 Cina a Venezia. Dalla Dinastia Han a Marco Polo, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Ducale, 30 agosto 1986-febbraio 1987) a cura del Museo della Storia Cinese di Pechino, Seminario di Lingua e Letteratura Cinese dell’Università degli Studi di Venezia, Istituto Italiano per il Medio e l’Estremo Oriente, A. Forte, L. Lanciotti, L. Petech et al., Milano, Silvana Editoriale 1986.

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30 Nella ideazione del progetto pluriennale era prevista anche la realizzazione di un terzo appuntamento, poi non realizzato, dedicato al periodo compreso tra l’epoca della dominazione mongola e la caduta dell’Impero. 31 The Quest for Eternity. Chinese Ceramic Sculptures from The People’s Republic of China, catalogo della mostra (Los Angeles, The Country Museum of Art 15 ottobre 1987-3 gennaio 1988) a cura di S. Caroselli, San Francisco, Chronicle Books 1987. La tipologia dei Ming Qi, le statuette funebri che accompagnavano il defunto, è stata oggetto anche di una mostra a Parigi, dove erano esposti reperti di epoca Han e Tang, cfr. Chine, des chevaux et des hommes. Donation Jacques Polain, catalogo della mostra (Parigi, Musée Guimet 19 ottobre 1995-15 gennaio 1996) a cura di J. P. Desroches, M. C. Rey, Paris, Réunion des Musées Nationaux 1995. 32 Eternal China. Splendors from The First Dynasties, catalogo della mostra (Dayton, The Dayton Art Institute 7 marzo-7 giugno 1998) a cura di L. Jian, Dayton Ohio, The Dayton Art Institute 1998. 33 The Golden Age of Chinese Archaeology: Celebrated Discoveries from The People’s Republic of China, catalogo della mostra (Washington DC, The National Gallery of Art 19 settembre 1999-2 gennaio 2000) a cura di Y. Xiaoneng, Washington DC, The National Gallery of Art 1999. 34 The Exhibition of Archaeological Finds of the People’s Republic of China, catalogo della mostra (Washington DC, The National Gallery of Art 13 December 1974-30 March 1975) Washington DC, National Gallery of Art 1974. 35 Bronzi dell’antica Cina dal XVIII al III secolo a.C., catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale 17 giugno-18 settembre 1988), Milano, Electa 1988. Nel 2002 la collezione di arte cinese della Fondazione Giovanni Agnelli sarà esposta a Torino nelle sale di Palazzo Madama in occasione della rassegna Cina Antica: capolavori d’arte dal Neolitico alla Dinastia Tang, catalogo della mostra (Torino, Palazzo Madama 15 maggio-29 settembre 2002) a cura di A. Wetzel, Torino, Fondazione Cassa di Risparmio di Torino 2002. 36 Arte Cinese in collezioni italiane di fine secolo, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale d’Arte Orientale 7 marzo-5 maggio 1985) a cura di S. Pinto, Roma, Museo Nazionale d’Arte Orientale 1985. 37 S. PINTO, Alle origini di un gusto per l’arte cinese, in Arte Cinese in collezioni italiane cit., p. 8. Il richiamo alle teorie critiche di primo Novecento trova la sua ragion d’essere per l’Italia principalmente nella raccolta di Riccardo Gualino che, a seguito dell’incontro con Lionello Venturi nel 1918, modificò l’impianto tradizionale delle sue collezioni, aprendosi tanto alle arti contemporanee che a quelle dell’antico Oriente. L’interesse per settori inediti era infatti mosso da una volontà di ricercare l’autonoma legittimità estetica delle diverse forme espressive e di apprezzare, secondo le parole dello stesso Venturi nella presentazione la collezione Gualino: «Le possibilità realizzate nelle epoche maggiori dell’arte per ogni singola materia [...] le sensazioni artistiche sporadiche, e tipiche a un tempo, di un gusto che tende all’universalità, rifugge dalla preferenza arbitraria per scrutare in ogni più diverso prodotto l’impronta unica dell’arte, e si abbandona da un lato al piacere d’una rievocazione di vita e dall’altro alla riflessione sui valori ideali» cfr. L. VENTURI, La collezione Gualino, vol I., Torino-Roma, Casa Editrice D’Arte Bestetti e Tumminelli 1926, Introduzione. 38 La Seta e la sua Via, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 23 gennaio-10 aprile 1994) a cura di M. T. Lucidi, Roma, Edizioni De Luca 1994. 39 A. MÀDARO, Coincidenze e motivazioni di un progetto, in La Nascita del Celeste Impero cit., p. 13 40 All’attività di scavo (1997-2003) partecipano in collaborazione con l’istituto napoletano, l’ex IsMEO, l’Accademia delle Grotte di Longmen e la Soprintendenza Archeologica di Luoyang. 41 Si veda in particolare il discorso tenuto dal Presidente italiano nel suo incontro con gli italianisti cinesi e con gli studenti universitari di lingua italiana (Pechino, 6 dicembre 2004), cfr. <http://www. quirinale.it/ex_presidenti/Ciampi/visite.asp> (20/11/2007). 42 I problemi inerenti alla realizzazione materiale e al significato dell’esercito di terracotta sono per altro affrontati solo nel catalogo dell’esposizione romana, cfr. S. RASTELLI, Dalla terra e dal fuoco: tecniche di produzione della ceramica, in Cina, cit., pp. 59-66, mentre mancano riferimenti specifici in quello di Treviso. 43 Per un approfondimento sul tema della riproducibilità industriale, applicata alle arti nel mondo cinese, cfr. L. LEDDEROSE, Ten Thousand Things. Module and Mass Production in Chinese Art, Princeton, Princeton University Press 2000. 44 G. GUOQIANG, La gloria ritrovata della Dinastia Tang. I principali ritrovamenti archeologici degli ultimi vent’anni, in Tang cit., pp. 44-52; G. VERARDI, Lo scavo del Fengxiansi a Longmen, in Tang cit., pp. 86-91; M. GUGLIELMINOTTI TRIVEL, L’area di Longmen, in Tang cit., pp. 92-95. 45 A. FORTE, Cenni storici e relazioni estere, religioni straniere, scienze, in Tang cit., pp. 25-37; S. VITA, Buddhismo e cultura ufficiale sotto i Tang: la Corte, i funzionari e gli uomini di lettere, in Tang cit., pp. 38-43. 46 E. FORTE, L’architettura, in Tang cit., 53-60; L. E. MENGONI, Le tombe imperiali di epoca Tang, in Tang cit., pp. 61-65; S. QINYAN , I dipinti murali di epoca Tang. Un’introduzione, in Tang cit., pp. 66-70; L. CATERINA, Ceramica Tang: colore e cosmopolitismo, in Tang cit., pp.71-76; C. VISCONTI, L’oro e l’argento alla corte dei Tang, in Tang cit., pp.77-81; A. TESTA, Gli specchi di bronzo e La scultura buddhista di epoca Tang, in Tang cit., pp. 82-85; P. DE LAURENTIS, La calligrafia, in Tang cit., pp. 102-105. 47 L. LANCIOTTI, La Cina e i barbari, in Cina cit., pp. 21-26; M. SABATTINI , Le origini dell’Impero cinese, in Cina cit., pp. 27-32; M. SCARPARI, Qin Shi Huangdi, primo augusto imperatore dei Qin, in Cina cit., pp. 33-40.

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48 W. FENGJUN, L’età del bronzo in Cina, in Cina cit., pp. 67-72; A. ANDREINI, Le iscrizioni sui bronzi rituali, in Cina cit., pp. 73-78; F. SALVIATI , Cina: l’arte e l’estetica delle origini, in Cina cit., pp. 79-84. 49 R. CIARLA , L’archeologia Qin: sulle orme del primo Impero, in Cina cit., pp. 49-58. 50 T. LIPPIELLO, La vita nell’oltretomba: credenze religiose e pratiche cultuali, in Cina cit., pp. 41-48. 51 Il desiderio di chi scrive sembra essersi realizzato poco dopo aver concluso la scrittura dell’articolo, quando nel marzo del 2008 è stata inaugurata a Firenze una nuova rassegna dedicata all’antica Cina, cfr. Cina. Alla corte degli imperatori. Capolavori mai visti dalla tradizione Han all’eleganza Tang (25-907), catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi 7 marzo-8 giugno 2008) a cura di S. Rastrelli, Milano, Skira 2008. L’esposizione di Palazzo Strozzi infatti ha soddisfatto tutti i requisiti necessari per rendere pienamente fruibile al grande pubblico un percorso dedicato alle arti cinesi, senza tralasciare le esigenze di studio e di ricerca: l’efficace comunicazione, l’allestimento suggestivo e, tuttavia, di chiara leggibilità, nonché la selezione di opere di altissima qualità, scelte per presentare problemi non solo culturali e sociali, ma anche storico-artistici, sono le caratteristiche di una mostra che può essere considerata come un modello positivo di riferimento per i futuri appuntamenti italiani. Per una descrizione dettagliata dell’evento si veda la recensione sul sito dell’Osservatorio Mostre e Musei della Scuola Normale Superiore di Pisa <http: //mostreemusei.sns.it/mostre/cina_firenze_strozzi/index.htm> (20/04/2008).