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ITINERARI NEL CELESTE IMPERO: LA FORTUNA ESPOSITIVA
DELL’ARTE E DELL’ARCHEOLOGIA CINESE IN ITALIA
(M. Ludovica Rosati)
Negli ultimi anni si è assistito in Italia ad un fiorire di percorsi espositivi dedicati alle
arti della Cina arcaica (dal Neolitico al III secolo a.C.) e imperiale (dal 221 a.C. al 1911). In
particolare, le epoche più antiche, ossia anteriori alla dinastia Ming (1368-1644), sono state
oggetto di ben quattro rassegne dalla fine del 2005 ad oggi: a Treviso, presso la Casa dei
Carraresi, dove per prima ha aperto La Via della Seta e la civiltà Cinese. La nascita del
Celeste Impero, seguita poi da Genghis Khan e il Tesoro dei Mongoli; al Museo Archeologico
Nazionale di Napoli, sede di Tang. Arte e cultura in Cina prima dell’Anno Mille ed infine a
Roma, che ha ospitato nelle Scuderie del Quirinale la mostra Cina. Nascita di un Impero1.
Tali eventi, affini non solo nel tema dell’arte e dell’archeologia cinese, ma anche per la
parziale sovrapponibilità dell’arco cronologico prescelto – dal III millennio a.C. al X secolo
d.C. e dal X al XIV secolo nei due percorsi veneti, la sola dinastia Tang (618-907 d.C.) a
Napoli e dalle origini storiche fino agli Han Occidentali (I secolo a.C.) a Roma –, sono stati
accomunati inoltre dallo sforzo degli organizzatori di promuovere ciascun appuntamento
come il più importante allestimento fino ad allora mai avvenuto in Italia, in virtù del numero
dei reperti e della qualità dei manufatti presentati.
Che si tratti o meno di affermazioni veridiche, l’occasione offerta dai più recenti
appuntamenti è certamente propizia per affrontare il tema delle esposizioni di arte cinese in
Italia, tracciando un quadro delle mostre tenutesi nel nostro Paese nel corso del Novecento,
così da contestualizzare gli ultimi allestimenti nel panorama nazionale.
Sebbene in Italia viva una tradizione radicata di studi sinologici di vecchia data2 e non
manchino raccolte, nazionali e private, dedicate all’Asia3, il settore delle arti cinesi, in
particolar modo per le epoche più arcaiche, non sembra aver mai goduto di una fortuna
espositiva pari a quella raggiunta nel biennio passato. Ben diversa è la situazione estera: a
Londra, per esempio, dove una certa e consolidata familiarità con rassegne di arti asiatiche e
la presenza di un ricco patrimonio museale portano quasi come naturale conseguenza
all’organizzazione di esposizioni aperte a breve distanza l’una dall’altra, in ultimo sull’epoca
Ming4 e sul primo imperatore Qin5. Allo stesso modo, laddove esistano specifici luoghi
deputati alla raccolta delle testimonianze estremo orientali, come il Musée Guimet di Parigi, è
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sotteso alla stessa politica culturale dell’istituzione il periodico allestimento di percorsi
tematici, incentrati tanto sulla valorizzazione dei manufatti posseduti quanto su un confronto
con prestiti esterni6.
I casi di Londra e Parigi rappresentano, tuttavia, un modello di approccio all’arte cinese
che non trova una corrispondenza nella tradizione italiana, essendo derivato da condizioni
storiche assai differenti da quelle del nostro Paese. In primo luogo è mancata all’Italia quella
consuetudine con il mondo asiatico, frutto del passato coloniale e della vocazione
imperialista, e quella esperienza diretta dell’Estremo Oriente, che hanno portato nel corso del
XIX secolo ad un precoce interesse nei confronti delle sue arti, tanto da parte dei collezionisti
privati che delle istituzioni statali7. Inoltre non esiste nel nostro territorio nulla di paragonabile
al British Museum, ossia una raccolta pubblica che già nel nucleo originario delle sue
collezioni possedesse alcuni manufatti cinesi ed extraeuropei e nel corso degli anni abbia
progressivamente accentuato la sua propensione alla documentazione di tutte le civiltà, tanto
da un punto di vista storico-artistico che etnologico8.
Le mostre di Treviso, Napoli e Roma si sono presentate dunque come un fatto nuovo per
l’Italia, in primo luogo perché, susseguendosi quasi senza soluzione di continuità, hanno
avuto il merito di portare all’attenzione di un pubblico più vasto la storia artistica e culturale
di un paese che oggi si affaccia più che mai alla ribalta nella scena mondiale.
Fermo restando il plauso con cui iniziative di tal genere, finalizzate ad incentivare l’interesse
nei confronti delle civiltà extraeuropee, possono e devono essere accolte, vale tuttavia la pena
di chiedersi se la novità del fenomeno ‘mostre cinesi’ in Italia corrisponda nella sua essenza
più intima anche ad una innovazione dal punto di vista metodologico e più prettamente
scientifico. Tale domanda si pone quando, cercando di individuare l’origine dell’improvvisa e
concentrata fioritura di rassegne estremo orientali, non ci si trova in presenza né di un unico
allestimento itinerante, né di un organico progetto policentrico, frutto della collaborazione tra
una pluralità di soggetti coinvolti e articolato in diverse tappe correlate. Ciò che sembra
emergere è anzi una volontà, derivata, duole dirlo, da una malcelata logica concorrenziale, di
passare sotto silenzio quanto contemporaneamente è stato presentato nelle altre città e, nel
caso di Treviso e di Roma, di trascurare anche le mostre dei decenni precedenti, come se lo
scopo primario, anziché quello di organizzare un evento di solido spessore culturale, fosse
piuttosto di affrettarsi nel dimostrare una partecipazione all’attuale, e così in voga, apertura
verso la Cina.
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Non si vuole tuttavia limitarsi a gridare allo scandalo per le scelte di marketing, che in questa,
come in altre circostanze, hanno contribuito al concepimento dei tre percorsi, quanto piuttosto
operare idealmente quel confronto tra le esposizioni presenti e passate, che gli ultimi
organizzatori paiono aver tralasciato, al fine di evidenziare i limiti, ma anche gli innegabili
pregi degli appuntamenti appena conclusi.
Se è pur vero che da almeno un decennio in Italia sono mancate mostre dedicate alla
Cina paragonabili a quelle del biennio 2005-2007, sarebbe tuttavia fuorviante ritenere tale
ambito del tutto inesplorato ed inedito per il pubblico italiano, dal momento che a più riprese
e in diversi contesti, dal secondo dopoguerra ad oggi, vi sono stati per il Celeste Impero
momenti di grande attenzione, che si sono concretizzati in alcuni importanti percorsi di arti ed
archeologia asiatiche.
Risulta piuttosto significativo evidenziare come la fortuna espositiva dell’Estremo Oriente
abbia vissuto vicende alterne, affini a quanto già avvenuto nella storia del collezionismo e
della moda, dove il gusto per le arti e la cultura della Cina si è manifestato con forme e con
intensità diverse a partire dal XV secolo, alternando a picchi di grande diffusione, come nel
primo Settecento, periodi di parziale o totale dimenticanza. Similmente nel Novecento, alla
temporanea fioritura di eventi, ciascuno meritevole di aver destato l’interesse sul tema cinese,
non sembra essere seguita una programmazione culturale continuativa, mossa da una comune
volontà di approfondimento, cosicché ogni nuova mostra si è trovata ad assumere, per
convenienza ma anche per la mancanza di una progettualità condivisa, un ruolo per così dire
pionieristico.
A questa considerazione va poi aggiunto il fatto che parlare di arte cinese arcaica ed
imperiale, o, per usare una periodizzazione occidentale di comodo, ‘antica’ e ‘medievale’,
implica principalmente riferirsi a reperti archeologici e, dunque, confrontarsi con una
disciplina ancora relativamente giovane, non solo per la diffusione dei suoi esiti all’estero, ma
anche e soprattutto per la sua applicazione scientifica nella Repubblica Popolare. Al di là delle
grandi missioni europee in Asia Centrale e nel Turkestan cinese agli inizi del Novecento di
Sir Marc Aurel Stein o di Paul Pelliot9, le prime campagne sistematiche di ricerca nelle
necropoli imperiali e nei siti religiosi sono state condotte solo dalla metà del secolo scorso,
secondo un impegno crescente di studiosi cinesi ed équipes internazionali, che ha portato e
porta a continui ritrovamenti di notevole importanza, capaci di rivoluzionare nel volgere di
pochi anni le conoscenze già acquisite e di segnare veri spartiacque nella storia artistica,
istituzionale e culturale della Cina.
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Basti pensare alla celebre scoperta nel 1974 dei primi esemplari dell’esercito di terracotta a
Xi’an, prova tangibile e sensazionale dell’esistenza storica del primo imperatore Qin, Shi
Huangdi (m. 210 a.C.), figura fino ad allora relegata alla mitologia e alla letteratura, per
rendersi conto di quanto, tra i fattori che determinano il variare della sensibilità espositiva nei
confronti di particolari periodi o tipologie di manufatti, vi sia anche il carattere ancora in fieri
della storia dell’arte cinese come disciplina moderna.
Ripercorrere le vicende delle mostre di soggetto estremo orientale comporta dunque la
necessità di valutare non solo la situazione degli studi in Occidente, delle ondate, più o meno
passeggere, di interesse per una lontana civiltà asiatica e delle loro cause scatenanti, ma anche
l’obbligo di tener ben presente il mutevole panorama delle ricerche archeologiche cinesi.
Le prime esposizioni italiane di arte cinese e la mostra di Venezia del 1954
Volendo individuare i precedenti italiani degli allestimenti di Treviso, Napoli e Roma
vanno ricercati quegli eventi che abbiano anticipato le caratteristiche comuni alle esposizioni
del 2005-2007, ossia la scelta di presentare una visione della cultura estremo orientale
anteriore al XV secolo in tutte le sue diverse espressioni figurative e manifatturiere,
tralasciando così le rassegne dedicate ad una singola arte ed escludendo i percorsi incentrati
solo sulle ultime dinastie Ming (1368-1644) e Ching (1644-1911).
Prima della metà del Novecento non è possibile segnalare in Italia nessuna mostra che
risponda a tali requisiti. Nei decenni anteriori agli anni Cinquanta, infatti, sono state
organizzate solo alcune rassegne ancora parzialmente improntate ad uno spirito ottocentesco
da Esposizioni Universali, in cui l’Estremo Oriente era presente come un’indistinta
mescolanza di epoche e stili e provenienze, in virtù di un generico esprit d’exotisme10. Si
pensi, nei primi anni Trenta, alla Mostra di Pittura Cinese Antica e Moderna presso il Palazzo
Reale di Milano11, dove, nonostante il richiamo del titolo, più della metà delle opere esposte
erano di artisti nati nell’ultimo quarto del XIX secolo, seguite poi da un cospicuo numero di
pitture Ching, qualche esemplare tardo Ming e pochissimi manufatti anteriori al Quattrocento.
Nel breve saggio introduttivo al catalogo dell’allora Soprintendente e curatore
dell’esposizione Antonio Morassi, Cenni sulla pittura cinese antica, emergeva quella tipica
posizione occidentale di inizio Novecento nei confronti dell’arte cinese: si era avviata la
conoscenza e la comprensione della pittura, attraverso la fondamentale mediazione
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giapponese12, ma l’iniziale apprezzamento era rivolto ai soli rotoli Tang e Song (VII-XII sec.)
e si affidava completamente alla tesi di un assoluto conservatorismo artistico del Celeste
Impero, tale da non poter né distinguere gli originali dalle copie, né valutare in una
prospettiva critica e storica le diverse epoche artistiche.
A questa carenza, che perpetuava da un diverso punto di vista la difficoltà di relazionarsi
e di instaurare un dialogo proficuo tra Europa ed Estremo Oriente propria dei secoli
precedenti, si cercò di ovviare anche negli anni successivi, quando nuovi studi ed esposizioni
si impegnarono nella rivalutazione dei pittori Ming, ad esempio nella Mostra di Pitture Cinesi
Ming e Ching, curata a Roma dall’ IsMEO nel 195013. Sebbene questa ultima esuli dalla
nostra trattazione, in quanto focalizzata sulle sole tecniche grafiche di un periodo posteriore,
l’allestimento della capitale documenta l’inizio di un rinnovato spirito scientifico nei
confronti dell’antica Cina, che si manifesterà appieno con il percorso del 1954 Arte Cinese,
ospitato presso il Palazzo Ducale di Venezia14.
Arte Cinese rientrava nel programma di manifestazioni organizzate in occasione del
settimo centenario della nascita di Marco Polo ed aveva come fine dichiarato quello di
documentare le vicende artistiche della Cina non solo ai tempi dell’illustre viaggiatore, ma
anche nei secoli precedenti e posteriori.
Consapevoli del fatto che la mostra veneta fosse la prima in Italia ad affrontare con
sguardo nuovo il tema dell’Estremo Oriente, gli organizzatori esprimevano la volontà di
contribuire al progresso degli studi e di aggiornarsi nei confronti di quanto parallelamente si
era fatto in Europa. Attesta chiaramente le linee programmatiche dell’esposizione e merita di
essere riportata un’affermazione del Commissario Generale Jean Pierre Dubosc, che nella
prefazione al catalogo scriveva:
Se, fino a un’epoca recente, la Cina ci nascondeva parte del suo volto dietro a un paravento, ciò era dovuto alla
mancanza di un vero desiderio da parte nostra di vedere nella sua arte qualcosa di più di quanto era
semplicemente e immediatamente piacevole e conforme ai canoni di valutazione occidentali15.
Si tratta di principi metodologici forti, che trovano conferma nella quantità e nella
qualità degli studiosi, italiani e stranieri, coinvolti nel progetto sotto la direzione di Giuseppe
Tucci, uno dei maggiori orientalisti del nostro Paese, all’epoca presidente dell’IsMEO. Tra i
collaboratori alla rassegna compaiono nomi che riportano ai diversi ambiti della sinologia e
alle più prestigiose collezioni europee e statunitensi di arte asiatica, come quello di Osvald
Sirén, autore negli anni Trenta delle monumentali Histoire des arts anciens de la Chine e
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Histoire de la peinture chinoise16, di Mario Bussagli, professore di Storia dell’arte dell’India e
dell’Asia Centrale e di Storia dell’arte dell’Estremo Oriente all’Università degli Studi di
Roma, di Alberto Giuganino, esperto di pittura cinese o di Luciano Petech, storico
dell’economia e del commercio medievale specializzato nei rapporti tra Europa ed Asia. Per
la prima volta, dunque, l’Italia si confrontava con un impegno di vasto respiro, facendo
arrivare a Venezia, luogo storicamente proiettato verso l’Oriente, quasi un migliaio di
manufatti, prestati da numerosi musei stranieri, tranne che, significativamente, dalla Cina
stessa. Tale esclusione non deve sorprendere, dal momento che l’assenza di oggetti
provenienti direttamente dalle raccolte cinesi era strettamente legata alla situazione politica
internazionale e ai rapporti delle potenze occidentali con la neonata Repubblica Popolare,
costituitasi nel 1949. Erano infatti gli anni della Guerra Fredda e il 1954, data dell’esposizione
veneziana, coincise con la promulgazione della prima costituzione del nuovo stato cinese, una
realtà istituzionale sostenuta dall’Unione Sovietica, ma non riconosciuta dagli Stati Uniti
d’America e, dunque, dall’Italia, precludendo così la possibilità di instaurare scambi culturali
di ampio respiro17.
Nell’allestire un percorso dedicato all’intera storia artistica del Celeste Impero in tutte le
sue espressioni, i curatori italiani presero esplicitamente a modello le prime rassegne
complete della civiltà estremo orientale: quella di Berlino del 192918 e la titanica Esposizione
Universale di Londra, organizzata dalla Royal Academy of Art in collaborazione con il
governo cinese nel 1935-193619, dove, con oltre tremila opere disposte in 16 sezioni, si
ripercorreva l’arte della Cina dal Neolitico fino al XVIII secolo, dedicando anche un’apposita
sala ai reperti recuperati durante le missioni archeologiche di Sir Marc Aurel Stein e Piotr
Kozlov20.
La presentazione per classi di manufatti, caratterizzanti le diverse fasi storiche, viene
riproposta nella mostra del 1954, che spazia dai più antichi bronzi cerimoniali neolitici e dalle
giade arcaiche alla statuaria buddhista, passando per l’oreficeria, le lacche, i tessuti, le
ceramiche e in generale le arti applicate, con esempi significativi della pittura dagli Han ai
Ming e senza tralasciare quelle opere che, per il loro luogo di conservazione originario o per
le contaminazioni stilistiche, recavano testimonianza degli scambi con l’Occidente. A
Venezia tuttavia si perseguiva anche l’obiettivo di progredire nella ricerca scientifica,
operando deliberate esclusioni per le tipologie meglio note, le giade o le porcellane
settecentesche, al fine di dare maggior risalto all’epoca di Marco Polo (dinastie Song e Yuan),
che veniva inquadrata entro il panorama più vasto della cultura cinese, con le sue evoluzioni
precedenti e sviluppi successivi.
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Della solida impostazione critica della mostra di Venezia rimane prova anche nel
catalogo, concepito come sostegno alla comprensione del percorso per il pubblico e, al
contempo, come strumento di lavoro e approfondimento per gli specialisti. Accanto alle
schede, sintetiche ma puntuali, delle opere esposte, vi è per le sezioni tipologiche più
importanti (bronzi, giade, ceramiche e pittura) una nota storica sull’uso, la simbologia e
l’evoluzione delle forme e dei motivi decorativi, nonché una bibliografia di riferimento
generale e sui singoli pezzi. Nei due saggi introduttivi vengono inoltre presentati,
rispettivamente, i nodi centrali del pensiero estetico, filosofico e religioso cinese,
evidenziandone lo stretto legame con le arti figurative, e il panorama degli studi e delle
rassegne di arte cinese in Occidente21.
Gli anni Ottanta e il progetto pluriennale Arte e Civiltà Cinese al Palazzo Ducale di
Venezia
Nonostante l’evidente limite della mancanza di reperti provenienti dalla Cina, dovuto
alle condizioni storiche e politiche degli anni Cinquanta, l’esposizione veneziana ha segnato
dunque una tappa fondamentale per le conoscenze in Italia dell’Estremo Oriente, proponendo
un modello aggiornato di allestimento e offrendo delle solide basi per la ricerca successiva.
I risultati conseguiti da una così brillante premessa, tuttavia, non sembrano aver
condotto ad esiti altrettanto validi nei decenni seguenti, dal momento che per quasi un
trentennio nel nostro Paese mancheranno eventi riservati alle antiche arti del Celeste Impero.
Lo stesso IsMEO, uno dei promotori più attivi di Arte Cinese, continuerà nel suo progetto
culturale di avvicinamento del grande pubblico alle civiltà extra-europee, focalizzando però il
suo lavoro sul Medio Oriente e sull’Asia Centrale con le grandi mostre dedicate alla civiltà
iranica (1956), del Gandhara (1958) e dell’Afghanistan (1961), mentre un nuovo interesse per
la Cina moderna porterà all’allestimento di numerose rassegne incentrate sulla pittura e sulla
grafica contemporanee in diversi centri italiani (Pittura cinese moderna, Roma, 1958; Cento
anni di pittura cinese (1850-1950), Firenze, 1959; Pittori Cinesi Contemporanei, Roma,
1960; Mostra del Manifesto Cinese, Varese, 1979)22.
È solo con l’aprirsi degli anni Ottanta che in Italia l’attenzione per l’antica Cina ha
ripreso vigore, traendo linfa vitale dalle già ricordate campagne archeologiche, dalla nuova
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cooperazione internazionale nella ricerca e dalle mutate condizioni politiche del paese23. Di
nuovo sarà Venezia, in virtù della sua tradizione storica, il luogo deputato al confronto con
l’Asia attraverso un’organica serie di appuntamenti espositivi che copriranno l’intero
decennio. [Appendice I]
In una mostra del 1981 dedicata all’esplorazione dei rapporti tra la città lagunare e
l’Oriente ai tempi di Marco Polo24, il Celeste Impero si affacciava timidamente agli occhi del
pubblico italiano, presentandosi, al pari del mondo islamico, come uno dei protagonisti di un
dialogo, il cui attore principale era ancora l’Occidente e la sua spinta propulsiva verso Est,
esemplificata nella persona del viaggiatore medievale. Tale prospettiva eurocentrica veniva
tuttavia abbandonata a partire dal 1983, quando al Palazzo Ducale apriva Settemila anni di
Cina a Venezia. Arte e Archeologia Cinese dal Neolitico alla Dinastia degli Han25.
Mantenendo l’ideale riferimento a Marco Polo e ribadendo il legame passato e
presente26 della città lagunare con il mondo asiatico, si inaugurava un progetto pluriennale
con curatori d’eccellenza (il Museo della Storia Cinese di Pechino nella persona di Kwang-
Chih Chang, il Seminario di Lingua e Letteratura Cinese dell’Università degli Studi di
Venezia e l’IsMEO), al fine di presentare ai visitatori italiani l’intera evoluzione dell’arte e
della cultura estremo orientale in tre distinti percorsi espositivi a cadenza triennale. Dalla
sinergia dei maggiori sinologi italiani, giunti da Napoli, Roma e Venezia, e dei conservatori
cinesi nasceva così il primo appuntamento, in cui venivano presentati un centinaio di reperti,
risalenti al periodo compreso tra l’VIII millennio a.C. e il I secolo d.C., tutti rigorosamente
provenienti dai musei e dai siti della Repubblica Popolare.
Non deve trarre in inganno il numero più circoscritto delle opere in mostra rispetto ai
percorsi precedenti, dal momento che in tale selezione rientravano molte delle più recenti
scoperte archeologiche, fino a quel momento mai approdate in Occidente. Per la prima volta
in Italia, nella sezione dedicata alla dinastia Qin (221- 206 a.C.) si potevano ammirare quattro
componenti del monumentale esercito di terracotta di Xi’an, che ha colpito l’immaginario
mondiale al punto di essere definito più volte la più grande scoperta archeologica del nostro
secolo, un rinvenimento che continua a sorprendere per le oltre 10.000 statue che dal 1974 ad
oggi sono emerse dalle fosse del mausoleo imperiale di Lintong, Shaanxi. Similmente, nelle
sale consacrate agli Han Occidentali (206 a.C.-24 d.C.) venivano esposti i primi esemplari
ritrovati nel 1968 delle vesti-sudario in giada, che, come l’armata di Shi Huangdi,
abbandonavano infine il mondo delle tradizioni mitiche e delle fonti letterarie per assumere
come reperti storici il ruolo di testimoni materiali della complessità simbolica, rituale e
filosofica della Cina arcaica.
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Il percorso di Venezia si snodava con un andamento cronologico in sezioni suddivise
secondo le dinastie storiche27, dando risalto non solo all’eccezionalità dei singoli pezzi in
mostra, ma anche al contesto socio-culturale dei manufatti. Se infatti la rassegna era frutto
delle più recenti campagne di scavo, lo stesso impianto ideativo dell’allestimento dichiarava
la sua matrice archeologica, dal momento che, accanto alle questioni stilistico-formali e alla
fruizione estetica dei bronzi, delle ceramiche e dei corredi funebri, si voleva incentivare la
comprensione delle tecniche di realizzazione, informare sui siti di provenienza e sulle indagini
in corso, perseguendo il fine di «dotare il visitatore [...] di una chiave di lettura a più livelli,
così da equipaggiarlo all’interpretazione delle informazioni socioeconomiche sovraimpresse
alle opere d’arte»28.
L’approfondimento offerto dai saggi del catalogo è nuovamente incentrato su una
presentazione politica, istituzionale e culturale in senso lato delle epoche trattate, con
interventi di storia dell’Impero, archeologia e antropologia delle strutture sociali,
dell’agricoltura e della scrittura, tra i quali spicca il bel testo conclusivo di Gian Carlo Calza
Origini religiose dell’arte nella Cina arcaica, dove si analizza il legame tra potere, religione e
arte e le sue manifestazioni, non solo nei contenuti e a livello simbolico, ma anche
nell’evoluzione stilistica e delle tecniche artistiche.
Nel 1986 si apre la seconda fase del progetto Arte e Civiltà Cinese con la mostra Cina a
Venezia. Dalla Dinastia Han a Marco Polo29, che si riannoda alla rassegna precedente,
iniziando con gli Han Orientali (25- 220 d.C.) e giungendo fino alle soglie del XIV secolo,
quando la dinastia Song venne travolta dalla conquista mongola (1279). La fruttuosa
collaborazione tra le istituzioni italiane e gli accademici cinesi continua nell’ideazione del
nuovo allestimento, che esplicitamente si propone di far passare il pubblico dall’ammirazione
alla comprensione critica nella valutazione degli oltre 150 manufatti, giunti a Venezia da
Pechino e dai musei delle province e regioni autonome.
Ancora una volta dunque i curatori si posero come obiettivo quello di utilizzare i reperti
esposti per ricostruire non solo gli sviluppi artistici, ma anche e soprattutto la civiltà
dell’Impero, permettendo al visitatore di trarre dai manufatti informazioni sugli usi, i costumi
e lo spirito della corte. Nel percorso, inoltre, si poneva l’accento anche su quei monumenti
perduti per l’azione umana (la statuaria buddhista) e del tempo (le architetture lignee), nonché
su quelle opere, come i rotoli dipinti anteriori al XIV secolo, che una giusta politica
conservativa del governo cinese non permette di esportare a causa della loro fragilità.
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Ciò che il pubblico italiano poteva vedere nelle sale proveniva principalmente dalle inedite
indagini nei grandi complessi funerari delle dinastie regnanti: ricchi corredi di oggetti bronzei,
modellini architettonici e statuette (Ming Qi) in terracotta invetriata, ceramica sancai e
porcellana, che vanno annoverati tra gli esiti più alti e originali della produzione artistica
cinese dell’epoca per il loro potere evocativo e la capacità di testimoniare, in particolare con
la dinastia Tang (607-907 d.C.), la vita mondana e le aspirazioni spirituali di una civiltà.
Merito di Cina a Venezia era anche quello di affrontare negli approfondimenti
collaterali all’esposizione argomenti come i dipinti murali delle strutture ipogee, che
completavano il panorama delle arti estremo orientali, pur non essendo, per ovvie ragioni,
presenti in mostra. Inoltre, come nella rassegna del 1983, il catalogo rappresentava un valido
strumento di studio della storia politica, letteraria, filosofica e religiosa del paese, grazie ai
saggi corredati da un’aggiornata bibliografia.
Gli allestimenti veneziani del progetto Arte e Civiltà Cinese possono essere definiti
come il percorso più completo ed organico sull’arte e sulla civiltà del Celeste Impero mai
organizzato in Italia30. Guardando a posteriori i risultati del lavoro svolto, è possibile
affermare che nella serie di eventi siano stati coniugati positivamente la presentazione e
l’avvicinamento al grande pubblico di una cultura lontana, la cui comprensione storica era
fino a quel momento per lo più nebulosa, con gli intenti di elaborazione scientifica della
materia. La stessa successione cronologica delle sale e il taglio archeologico risultavano
infatti funzionali all’inquadramento di specifici problemi, quali le origini della civiltà cinese e
la formazione dell’Impero nella prima rassegna, o, nella seconda, la disgregazione feudale, la
ricostituzione di un potere centrale o gli apporti esterni del Buddhismo e delle popolazioni
dell’Asia nella nascita di una rinnovata cultura unitaria.
Le esposizioni degli anni Ottanta e Novanta
Gli anni Ottanta e Novanta sono stati in Europa e negli Stati Uniti un periodo fertile per
le mostre di arte cinese, sia in virtù delle già citate collaborazioni scientifiche internazionali,
sia per la nuova apertura politica verso Occidente della Cina, che non si risparmia nel prestare
opere importanti delle sue collezioni per allestimenti itineranti nei maggiori musei mondiali.
Tre esempi americani possono chiarire in quale direzione si sia orientata la pratica
espositiva: The Quest for Eternity. Chinese Ceramic Sculptures from The People’s Republic
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of China31, allestita nel 1987 presso il County Museum of Art di Los Angeles, affrontava il
tema della plastica funeraria con reperti scultorei dall’epoca Qin alla dinastia Ming.
L’indagine sulla ricostruzione delle antiche capitali imperiali, delle quali oggi restano solo le
necropoli regali in corso di esplorazione, era invece il fulcro nel 1998 di Eternal China.
Splendors from The First Dynasties32 al Dayton Art Institute. Infine nel 1999 apriva alla
National Gallery of Art di Washington The Golden Age of Chinese Archaeology: Celebrated
Discoveries from The People’s Republic of China33 che, riproponendo un percorso già
affrontato una prima volta nel 197434, mirava a presentare con una selezione di opere anteriori
all’anno Mille gli esiti della ricerca archeologica nel Novecento.
Fatta eccezione per le rassegne veneziane, l’Italia in questo periodo è toccata solo
marginalmente dai grandi prestiti internazionali, sebbene, sotto la spinta propulsiva di Arte e
Civiltà Cinese, l’interesse per l’Estremo Oriente non si sia del tutto sopito e abbia continuato
a generare alcuni appuntamenti di minor dimensione e risonanza35.
Vanno segnalati in particolar modo due percorsi espositivi che, pur non spiccando per la
spettacolarità delle opere presentate o per l’affluenza di pubblico, sono da ricordare per
l’originale taglio metodologico con cui hanno affrontato l’argomento dell’arte cinese,
contribuendo, forse più di altri grandi allestimenti, al progresso della ricerca.
Nella primavera del 1985 viene organizzata al Museo Nazionale d’Arte Orientale di
Roma Arte Cinese in collezioni italiane di fine secolo, dove l’arte asiatica è affrontata dal
punto di vista della storia del collezionismo italiano otto-novecentesco36.
Al fine di documentare la peculiarità di interessi di alcuni personaggi italiani dell’ultimo
trentennio dell’Ottocento, nel percorso espositivo erano presentati vasi rituali e specchi
bronzei della collezione genovese di Edoardo Chiossone, porcellane appartenute a Placido di
Sangro, Duca di Martina, conservate oggi presso l’omonimo museo napoletano della
ceramica, costumi della raccolta veneziana di Enrico di Borbone, Conte di Bardi, e manufatti
etnografici Ming e Qing, acquistati dal padre saveriano Odoardo Manini e attualmente
custoditi al Museo d’Arte Cinese di Parma. Tali collezionisti, cogliendo gli stimoli
dell’ambiente parigino di fine secolo, si dedicarono allo studio del Celeste Impero e delle sue
arti con uno sguardo nuovo rispetto al passato e si impegnarono in una più puntuale
ricostruzione storica dei modelli primitivi di quelle forme che, pur essendo in voga nei
decenni precedenti, continuavano ad essere recepite dagli amatori e dal pubblico in modo del
tutto indistinto e acritico.
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L’intento dei curatori non era solo quello di indagare la formazione di quattro raccolte
nostrane, ma anche di evidenziare la particolarità di un momento storico che rappresenta per
l’Italia una significativa fase di transizione tra due distinti modi di intendere ed apprezzare le
produzioni artistiche del Celeste Impero. Il collezionismo italiano di fine Ottocento infatti
sancisce il definitivo superamento del fenomeno della Cineseria settecentesco, in cui non è
ancora possibile parlare di un vero e proprio gusto per l’arte cinese, dal momento che gli
estimatori dell’Oriente preferivano rivolgersi più agli oggetti contemporanei, creati
appositamente per l’esportazione, che ai manufatti storicamente contestualizzabili. Tuttavia,
proprio la curiosità per la ricostruzione dei prototipi e per la creazione di sequenze stilistiche,
definibili sulla base dell’epoca di produzione, distinguono le raccolte ottocentesche da quelle
che si andranno a formare nei primi decenni del XX secolo, quando:
[...] attraverso il varco del modernismo e del purovisibilismo [...] entrano in scena categorie dell’arte cinese fino
a poco prima ignorate, come la pittura, la scultura, la porcellana pre-Ming, forme artistiche cioè caratterizzate da
rigorosa essenzialità in linea con il gusto moderno37.
Un allestimento dunque in cui sono protagoniste le opere asiatiche, ma dove il motivo
conduttore è la Cina vista dall’Occidente negli anni a ridosso delle pionieristiche missioni
archeologiche inglesi, tedesche e francesi nell’Estremo Oriente e alle conseguenti prime
grandi rassegne di arte cinese in Europa; un momento peculiare della storia del collezionismo,
che può considerarsi a ragion veduta una sorta di ideale premessa allo studio del fenomeno
espositivo in Italia.
Un diverso modo nel rapportarsi all’antica civiltà del Celeste Impero è all’origine anche
de La Seta e la sua Via, mostra tenutasi a Roma nel 199438. Come testimonia il titolo, la
rassegna è incentrata su uno specifico ambito della produzione cinese, forse il più evocativo
ed emblematico di ciò che l’Estremo Oriente ha rappresentato nell’immaginario occidentale.
La storia del tessuto antico viene qui affrontata per la prima volta in una dimensione che non
è solo quella di esposizione di arti applicate altamente specializzata, ma che è intesa come
occasione per trattare il rapporto tra Asia ed Europa dall’Antichità al Medioevo. Attraverso
una cospicua selezione di sete e altri oggetti provenienti dagli Stati Uniti, dalla Cina e dai
musei europei, si dipana il filo rosso di una tecnica e di una produzione che da est muovono
verso ovest e che con la loro diffusione esercitano influenze nelle più svariate tipologie
artistiche.
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Si è trattato quindi di un appuntamento che ha avuto il duplice merito di impostare una
riflessione scientifica sul tema degli antichi manufatti serici e di avvicinare al pubblico le
opere orientali, da intendersi non solo come curiosità esotica, ma come qualcosa di
profondamente legato agli esiti delle arti europee e in queste sotterraneamente visibile. Ad
oltre dieci anni di distanza dalla pubblicazione, il catalogo de La Seta e la sua Via resta uno
dei testi di studio in italiano più significativi per coloro che vogliano approfondire le
tematiche dei tessuti estremo orientali e degli scambi culturali, artistici e materiali tra la Cina
e l’Occidente.
Il biennio 2005-2007: le mostre di arte cinese a Treviso, Napoli e Roma
Dopo aver ripercorso le vicende espositive degli ultimi sessant’anni, giungiamo infine
alle mostre del 2005-2007 di Treviso, Napoli e Roma. Per la coincidenza della materia trattata
e dei tempi di apertura vale la pena affrontare parallelamente i percorsi più recenti; tuttavia,
da un paragone più serrato emergerà anche quanto la somiglianza degli eventi sia solo
apparente, giacché le modalità di approccio e di presentazione dell’arte cinese antica sono
state diverse nelle tre occasioni.
Una primo elemento di distinzione è individuabile laddove si considerino le motivazioni
e l’occasione che hanno portato all’ideazione del momento espositivo.
Quello che si potrebbe definire ‘un anno nel Celeste Impero’ prende avvio nell’autunno del
2005 a Treviso, quando la Casa dei Carraresi abbandona le tematiche impressioniste e post-
impressioniste affrontate nelle precedenti stagioni, ed inaugura nella nuova sede trevigiana un
programma espositivo in quattro appuntamenti biennali, volti a ripercorrere l’intera storia
della civiltà cinese. Apre così ad ottobre La Nascita del Celeste Impero, prima tappa de La
Via della Seta e la Civiltà Cinese, in cui sono presentate opere dalle epoche più arcaiche fino
alla dinastia Tang.
Di fronte ad un progetto così ambizioso – sebbene non del tutto originale, pensando a
quanto già fatto a Venezia negli anni Ottanta – viene spontaneo chiedersi quale sia il legame
che unisca Treviso e la Casa dei Carraresi all’antica Cina. Non lascia pienamente convinti la
risposta data nel catalogo dal curatore, il giornalista Adriano Màdaro, quando, individuando
nel passato economico dell’area trevigiana una vocazione alla sericoltura e alla filatura,
afferma che «Treviso e il suo territorio potrebbero con tante buone ragioni candidarsi a
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capolinea ovest della Via della Seta»39. Sembra piuttosto che questo ultimo riferimento,
utilizzato per introdurre il tema dell’arte cinese antica, semplicemente sottenda l’interesse
tutto contemporaneo dei promotori (Fondazione Cassamarca, Accademia Cinese di Cultura
Internazionale, Fondazione Italia-Cina) per il mondo estremo orientale, cosicché è più
legittimo ritrovare la motivazione prima del programma di rassegne nell’idea, espressa dallo
stesso Màdaro, che sia necessario conoscere la storia passata della Cina per comprendere (e
fronteggiare) il suo ruolo attuale nel panorama internazionale.
Siamo dunque in presenza di un allestimento che trae la sua ragion d’essere da
un’esigenza innegabile e da un’occasione strettamente contingente, nella quale, tuttavia, pare
mancare nei confronti dell’arte cinese quell’interesse scientifico che aveva caratterizzato gli
appuntamenti espositivi più significativi dei decenni precedenti. Tale carenza sembrerebbe
confermata dal fatto che nel progetto non appare nessuna delle figure coinvolte in passato
nell’organizzazione delle rassegne estremo orientali e, anzi, di queste ultime non viene fatta
parola, come se il percorso di Treviso fosse l’appuntamento più importante, se non l’unico,
mai avvenuto in Italia.
Diversa è la situazione a Napoli e Roma, dove le mostre seguono più fedelmente il solco
della tradizione espositiva nostrana. Tra i curatori di Tang. Arte e Cultura in Cina prima
dell’Anno Mille e di Cina. Nascita di un Impero, appaiono infatti quelle stesse istituzioni e
personaggi che, a suo tempo, erano stati coinvolti nel progetto veneziano Arte e Civiltà
Cinese: l’Orientale nell’ideazione del percorso partenopeo, mentre a Roma lavorano studiosi
del Dipartimento di Studi Orientali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e del Museo
Nazionale d’Arte Orientale Giuseppe Tucci di Roma, con la collaborazione in entrambi i casi
di referenti cinesi già noti (il Museo Nazionale della Storia di Pechino).
Ritrovare, nei due comitati scientifici, nomi incontrati nella realizzazione delle mostre degli
anni Ottanta è senz’altro una garanzia di qualità per i nuovi allestimenti. Tuttavia non ci si
può che chiedere perché si sia preferito creare, a così breve distanza, due eventi del tutto
distinti ed autoreferenziali, piuttosto che continuare in un proficuo rapporto di cooperazione
per l’ideazione di un progetto pluriennale e, eventualmente, policentrico.
Una possibile risposta si trova andando a ricercare l’occasione di ideazione delle
rassegne. A Napoli Tang nasce come presentazione pubblica dei risultati delle campagne
archeologiche svolte dall’équipe dell’Orientale nel sito di Fengxiansi, in particolare nel
monastero buddhista di Longmen, dal 199740. Si tratta dunque di una vera e propria mostra di
studio, la prima in Italia in cui si espone il frutto di un’indagine svolta nel territorio cinese
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principalmente dai nostri sinologi, e nella quale la materia trattata copre un arco cronologico
molto più ristretto rispetto agli eventi precedenti: le vicende di una sola dinastia, affrontate
secondo un taglio strettamente monografico, fino a quel momento sconosciuto alle esposizioni
di arte estremo orientale.
All’origine di Cina. Nascita di un Impero non vi è una motivazione scientifica
altrettanto forte, dal momento che l’evento era strettamente legato alla nuova politica del
governo italiano, volta ad incentivare i rapporti diplomatici ed economici con la Repubblica
Popolare Cinese. Si tratta quindi di una mostra che occupa una posizione intermedia tra quella
di Treviso, organizzata per ragioni più vicine al marketing che alla cultura, e l’appuntamento
napoletano, nato per esigenze prettamente di ricerca. A monte dell’evento vi erano infatti il
viaggio a Pechino e a Shangai dell’allora Capo di Stato Carlo Azeglio Ciampi (dicembre
2004), lo scambio culturale seguito all’allestimento di una rassegna di arte antica romana
nella capitale cinese e la proclamazione dell’anno italiano nella Repubblica Popolare (2006).
Proprio nei discorsi tenuti dal Presidente italiano in occasione della sua visita ufficiale in
Oriente la tematica della reciproca conoscenza culturale e storica era, al pari delle relazioni
internazionali e dello sviluppo economico, uno dei nodi centrali per costruire una proficua
collaborazione e, significativamente, l’esposizione Cina. Nascita di un Impero era
menzionata, insieme alla partecipazione di restauratori italiani nel progetto di recupero della
Città Proibita, come una delle tappe fondamentali dell’auspicato percorso di avvicinamento
tra le due nazioni41.
Un diverso modo di intendere e di presentare la civiltà dell’Estremo Oriente è evidente
anche osservando le scelte espositive attuate nei tre centri italiani. Mutano in primo luogo i
limiti cronologici prescelti, sebbene tanto alla Casa dei Carraresi che alle Scuderie del
Quirinale si voglia presentare l’origine storica del Celeste Impero; e non è scarto temporale da
poco, dal momento che a Treviso si giunge fino al termine, nel X secolo, della dinastia Tang,
indagata separatamente a Napoli, mentre a Roma si toccano solo gli albori dell’era cristiana
con gli Han Occidentali.
Il confronto più immediato sorge dunque tra il percorso veneto e quello romano, così
affini nella presentazione da recare quasi lo stesso titolo. In entrambe i casi non può che
venire alla mente la mostra del 1983 Settemila anni di Cina a Venezia. Arte e Archeologia
Cinese dal Neolitico alla Dinastia degli Han, modello di riferimento più o meno taciuto dagli
odierni organizzatori.
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Cosa è cambiato, allora, a distanza di un ventennio nel panorama degli studi e delle
rassegne, se nel giro di pochi mesi è sorta l’esigenza di affrontare in due sedi distinte una
tematica così particolare quale l’arte cinese arcaica? Certo, negli ultimi anni i progressi delle
ricerche archeologiche in Cina sono stati notevoli, così da permettere l’esposizione nelle due
città di moltissimi manufatti recuperati in date recenti e quasi coeve alle mostre stesse,
sebbene, parallelamente, ad una osservazione più attenta non sarebbero sfuggite opere già
esposte in Italia negli allestimenti anteriori.
A Roma si può forse rilevare una tendenza a restringere maggiormente il campo
d’indagine rispetto a Treviso, dove ancora non si sente la necessità di distinguere un percorso
sugli Han o sui Qin da uno dedicato al cosiddetto Medioevo Cinese (III-VI secolo d.C.) o
all’epoca Tang, per quanto l’operazione svolta con Cina. Nascita di un Impero ricalchi
precisamente quanto già attuato a Venezia nel 1983. La stessa scelta di presentare in sezioni
cronologiche gli sviluppi della civiltà cinese, esponendo diverse tipologie artistiche
caratterizzanti le varie epoche, più con un’ansia di completezza panoramica che per una
precisa impostazione critica, non aggiunge nulla di nuovo alla tradizione delle rassegne
italiane e sembra quasi ridurre gli eventi contemporanei ad una semplice occasione per
ammirare opere di gran pregio, provenienti dai musei cinesi, senza contribuire
all’avanzamento degli studi.
Nonostante quanto promesso nelle campagne promozionali della Casa dei Carraresi e
delle Scuderie del Quirinale, non vi è quindi nessuna novità rispetto ai risultati conseguiti
precedentemente. Vi è certo una maggiore disponibilità di reperti stranieri, un’abbondanza di
materiale che permette nei due percorsi di esporre, ad esempio, componenti diversi e in parte
inediti dell’esercito di terracotta di Xi’an o due differenti vesti-sudario in giada, e, tuttavia, le
mostre di Treviso e Roma sembrano tradire una comune difficoltà nell’individuare il modo
più valido per rapportarsi all’arte cinese e per guidare il pubblico ad una comprensione più
approfondita.
Alla Casa dei Carraresi, i curatori avevano puntato sul cospicuo numero di opere per
creare un percorso forse eccessivamente lungo e non pienamente coerente, con salti
cronologici improvvisi e non supportati da adeguate introduzioni, cosicché il visitatore si
ritrovava stordito in una sorta di bazar dell’antica Cina, dove agli originali si alternavano
copie moderne, non sufficientemente segnalate come tali, e dove le più svariate tecniche
artistiche si susseguivano, senza essere accompagnate dai necessari strumenti di orientamento.
Nella mostra romana, invece, attraverso l’allestimento quasi teatrale di Luca Ronconi, si
perseguiva un diverso intento di spettacolarizzazione dei manufatti, indubbiamente
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suggestivo, ma non per questo di più semplice lettura. Se, infatti, grazie alla loro particolare
collocazione, le opere si rivelavano letteralmente al pubblico, emergendo dal buio in isole di
luce e scorci prospettici, all’impatto emotivo iniziale non seguiva poi la possibilità di
effettuare una più approfondita interpretazione critica, mancando spesso quegli supporti
testuali indispensabili per calare i capolavori isolati in un più organico contesto storico.
Il caso delle sculture dell’esercito di Xi’an, presenti tanto a Treviso che a Roma, può
essere emblematico della difficoltà di portare gli spettatori ad una effettiva comprensione di
quanto ammirato. Siamo in presenza di una delle opere più celebri e più note dell’antica
civiltà cinese, sulla quale era puntata la maggior attenzione dei curatori e degli stessi visitatori
delle rassegne; tuttavia, nell’esporre tali manufatti sorge l’inevitabile problema della loro
decontestualizzazione da quell’ambiente di origine, che tanto contribuisce a crearne il mito.
Se infatti una fruizione piena del senso dell’esercito si può avere solo nella visione diretta
dell’irriproducibile sito delle fosse di accompagnamento al mausoleo imperiale, ciò
nonostante vi sono altre informazioni che devono e avrebbero potuto essere fornite in
occasione delle mostre e non solo a chi avesse avuto l’accortezza di leggere a priori gli studi
specialistici e i saggi dei cataloghi42. L’obbligato isolamento dei pezzi negli allestimenti
italiani, dettato dalla necessità di selezionare singoli esemplari da una vastissima classe
tipologica, non avrebbe dovuto suggerire un carattere di unicum alle sculture di Shi Huangdi,
che, tanto per la loro tecnica di realizzazione quanto per il loro significato intrinseco,
incarnano invece l’idea stessa della serialità. Le raffigurazioni che, per la loro accuratezza
fisionomica e veridicità, spingono quasi ad un parallelo con la coeva plastica mediterranea,
sono infatti composizioni modulari assemblate in quello che può definirsi uno dei primi
procedimenti industriali a vasta scala applicato al mondo delle arti. La presenza di marchi di
firma sui singoli pezzi deve quindi indurre, più che alla ricerca di specifiche personalità
ideatrici, come avverrebbe in Occidente, alla riflessione sulla concezione della scultura nel
pensiero cinese, il quale vede nelle realizzazioni plastiche solo una forma di artigianato,
seppur eccelso, riservando unicamente alla pittura-calligrafia il ruolo di Arte in senso stretto43.
Se dunque passare dall’ammirazione alla comprensione implica fornire al visitatore gli
strumenti critici necessari per accostarsi alle opere da una prospettiva non solo di godimento
estetico, ma di più approfondita conoscenza, allora, nelle sezioni dedicate ai suddetti reperti,
avrebbero meritato un posto, se non lunghe e complesse introduzioni ai problemi individuati,
almeno delle riproduzioni fotografiche del complesso ipogeo nella sua interezza.
Abbiamo finora trascurato il terzo appuntamento del biennio espositivo 2005-2007, dal
momento che, rispetto agli allestimenti contemporanei e precedenti, Tang. Arte e Cultura in
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Cina prima dell’Anno Mille rappresenta indubbiamente un caso a sé, in virtù del suo
innovativo taglio monografico. È infatti la prima volta in Italia che il mondo estremo orientale
non è più trattato come un campo del tutto inesplorato, da presentare in una panoramica la più
vasta possibile ad un pubblico mediamente ignaro; con questa mostra, invece, l’arte e
l’archeologia cinesi assumono dignità scientifica pari a quella di altri settori meglio noti,
meritandosi dunque un percorso non divulgativo, ma volto all’approfondimento di specifiche
tematiche. Ciò non significa assolutamente che a Napoli abbia avuto luogo una rassegna
dedicata solo agli ‘addetti ai lavori’: anzi, la selezione più circoscritta di manufatti e la
successione delle sezioni, dedicate all’esplorazione dei palazzi imperiali, dell’arte funeraria,
del Buddhismo, dei rapporti con l’Occidente e della calligrafia, ciascuna con una chiara e
precisa introduzione, rendevano il percorso fruibile a più livelli e garantivano un effettivo
arricchimento delle conoscenze sul mondo Tang anche al visitatore più sprovveduto. Ciò che
premeva dunque non era stupire, affidandosi solo al numero e all’eccelsa qualità dei singoli
manufatti in mostra, quanto piuttosto offrire una ricostruzione il più completa possibile di una
civiltà, affiancando ai reperti piante, plastici e riproduzioni delle opere non trasportabili (gli
affreschi ipogei delle sepolture di corte).
La cura nella presentazione delle sculture fittili e in pietra, dei tessuti e delle oreficerie,
delle pitture e dei vasi, trovava conferma anche nelle forme di allestimento e nelle modalità di
accostamento degli originali con le copie didattiche. Si pensi solo alla prima opera esposta: un
portale scolpito di una sepoltura monumentale, una architettura da attraversare per entrare nel
percorso della mostra, focalizzando subito la centralità della vita nell’oltretomba nel Celeste
Impero. Ancora, si consideri la disposizione di una serie di statuette, rappresentanti le 12
divinità dello Zodiaco, lungo la linea sul pavimento di quella meridiana, che dà il nome alla
sala del Museo Archeologico dove si svolgeva la rassegna. Infine, per quanto riguarda la
presenza di riproduzioni, vale la pena ricordare quei calchi ad inchiostro su carta delle steli
calligrafiche, applicazione moderna di una tecnica di copia sviluppatasi proprio con la dinastia
Tang, quando un rinnovato interesse per l’epigrafia e la scrittura in generale aveva portato alla
costituzione di repertori documentari delle antiche lastre incise.
Se la validità di una mostra non può misurarsi esclusivamente con il metro
dell’opportunità politica o sul numero e la preziosità degli oggetti esposti, fondandosi in
primo luogo sulla solidità e funzionalità del percorso, allora, un altro elemento da tenere in
considerazione nel nostro confronto deve essere ciò che rimane della rassegna una volta che
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essa si è conclusa: questo aspetto assume un particolare rilievo nell’ambito italiano, dove non
sono molte le pubblicazioni di argomento cinese.
Anche i cataloghi dei tre eventi presi in esame confermano le profonde differenze che
intercorrono tra La Nascita del Celeste Impero, Tang e Cina. Nascita di un Impero ed
attestano quei diversi modi di esporre e presentare l’arte cinese, già individuati nell’ideazione
del progetto e nell’allestimento.
Il carattere ambizioso del programma di Treviso La Via della Seta e la Civiltà Cinese
ritorna nel volume di accompagnamento al primo appuntamento: si tratta infatti di un catalogo
trilingue (italiano, inglese e cinese) edito in una doppia versione, corredata o meno da due
testi aggiuntivi di approfondimento. Tuttavia, nella sua articolazione interna il catalogo non si
rivela all’altezza delle dimensioni fisiche, dal momento che alla già citata introduzione del
curatore segue un saggio più divulgativo che scientifico, in cui si ripercorrono la storia cinese
e le principali vicende culturali ed artistiche dell’Impero, commentando le tavole ricostruttive
del disegnatore Liu Yonghua che si snodavano lungo il percorso della mostra.
Si rivela invece un prezioso strumento di studio il catalogo di Tang. Arte e Cultura in
Cina prima dell’Anno Mille, tanto per la complessità e completezza dei saggi introduttivi
quanto nella presentazione delle singole sezioni della mostra e nelle schede, il tutto corredato
da una ricca ed aggiornata bibliografia italiana e straniera. Sebbene la rassegna si fosse basata
su un materiale di provenienza archeologica, nell’intenzione dei curatori doveva prevalere
nell’allestimento un taglio storico-artistico, incentrato su questioni stilistiche, iconografiche e
cronologiche. Così, anche nel catalogo, accanto ai testi illustrativi dell’attività di ricerca
svolta in Cina dall’Orientale44 o dedicati alla contestualizzazione storica, religiosa e culturale
dell’epoca trattata45, ve ne sono altri che indagano i diversi settori delle arti fiorite con la
dinastia Tang, siano essi rappresentati o meno dai manufatti esposti a Napoli46.
Infine anche il catalogo di Cina. Nascita di un Impero risulta una lettura interessante,
sebbene sia più incentrato sulle tematiche storiche ed istituzionali47 relative all’antico mondo
estremo orientale, che su questioni strettamente artistiche48. In questo caso, come già era
avvenuto a Venezia nel progetto Arte e Civiltà Cinese, la ricostruzione archeologica si presta
ad una ricerca sulle strutture politiche ed ideologiche del nascente impero, come nel saggio di
Roberto Ciarla49, dove viene studiata la cultura dello Stato di Qin attraverso gli scavi
effettuati negli insediamenti e nei monumenti funebri, in particolare nel mausoleo di Xi’an, o
in quello di Tiziana Lippiello50, che indaga sulla concezione della morte e sulle pratiche
funebri, analizzando le tipologie degli oggetti appartenenti ai corredi mortuari.
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Prospettive future
Con la chiusura della rassegna romana è terminato per il pubblico italiano il lungo anno
espositivo dedicato all’esplorazione dell’antica Cina. Tuttavia, e per la prima volta nel nostro
Paese, il sipario calato sul Celeste Impero al principio del 2007 ha rappresentato solo
un’interruzione temporanea, un momento per riflettere sui recenti appuntamenti, aspettando
l’apertura di mostre future e già preannunciate. Nel corso della stesura di queste pagine, si è
intanto inaugurato a Treviso il secondo appuntamento del progetto pluriennale alla Casa dei
Carraresi, intitolato Genghis Khan e il Tesoro dei Mongoli, cosicché sorge spontaneo
chiedersi se la nuova rassegna sarà la sola occasione o la prima di molte per ammirare nuovi
capolavori giunti dall’Estremo Oriente. È assai probabile infatti che la risposta di altre
istituzioni non si farà attendere e che il fenomeno delle mostre d’arte cinese in Italia non si
esaurisca, sebbene più che interrogarsi sul quando e dove si organizzeranno nuovi percorsi,
preme sapere maggiormente come questi saranno concepiti.
L’arte della Cina, oggi più che mai, suscita un forte richiamo di pubblico e ben si presta
a diventare evento strumentalizzabile per fini diversi da quelli della ricerca e
dell’arricchimento delle conoscenze. Ciò nonostante, la capacità di superare una logica di
utilità commerciale e politica, ideando veri percorsi di studio e di avvicinamento ad una delle
più complesse alterità culturali dell’Occidente, resta auspicabile e possibile, come hanno già
dimostrato il progetto veneziano Arte e Civiltà Cinese negli anni Ottanta e la più recente
Tang. Arte e Cultura in Cina prima dell’Anno Mille. È a queste mostre che bisogna guardare
per individuare le più valide modalità di presentazione del mondo estremo orientale anche ad
un visitatore non necessariamente specializzato nell’argomento e, allo stesso tempo, per
sfatare il mito di comodo che sia sufficiente ottenere prestiti prestigiosi di opere cinesi per
allestire una rassegna significativa e memorabile.
Se da una parte non si può negare l’utilità dei percorsi finalizzati ad un’illustrazione
omnicomprensiva della lontana civiltà asiatica, perché per decenni la chiusura e gli
avvenimenti politici della Repubblica Popolare rendevano difficoltosa la possibilità di un
incontro, e per l’Occidente ogni esposizione rappresentava davvero un’occasione per
immergersi indistintamente nella diversa cultura e per assimilare in modo onnivoro ogni sua
espressione artistica, oggi, mutate le condizioni storiche e progredita la ricerca, è necessario
creare le condizioni per sviluppare uno sguardo nuovo nei confronti dell’antica Cina.
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Ben vengano dunque le future esposizioni dedicate al Celeste Impero, ma che abbiano
un taglio espositivo rigoroso, che affrontino non più come terreno vergine il settore delle arti e
dell’archeologia cinese e che facciano tesoro della tradizione precedente per creare qualcosa
di veramente innovativo ed utile. Ora che il ponte è stato gettato e che l’immagine della
nazione asiatica non è più associata alle sole porcellane Ming o all’esercito di Xi’an,
essendosi rivelato tutto un più variegato universo artistico, è giunto il momento di trattare
scientificamente la questione cinese, con esposizioni finalizzate ad indagare singole dinastie e
precise problematiche storico-artistiche, affinché il processo di avvicinamento intrapreso
possa condurre ad una più solida conoscenza.
Del resto, non storcerebbe il naso un qualsiasi europeo, sapendo che in un altro continente si
organizzano mostre che affrontano in un unico percorso la storia artistica dell’Italia dagli
Etruschi fino al Gotico Internazionale? Non taccerebbe inevitabilmente di superficialità un
tale evento, constatando inoltre che non si tratta di una rassegna introduttiva a cui ne
seguiranno numerose altre dedicate a periodi e problemi specifici, ma che, ogniqualvolta
vengano ideati progetti di materia affine, si continui a riproporre una generalissima
panoramica, senza operare distinzione alcuna?
Certo, paragonare la storia della civiltà occidentale con quella estremo orientale,
ricercando comuni linee evolutive, è un compito difficile, se non addirittura impossibile, per
la specificità che sul lungo corso caratterizza entrambe e le differenzia così profondamente.
Quanto affermato prima, quindi, non è che una provocazione da parte di chi, nonostante tutto,
continuerà nella frequentazione delle prossime mostre italiane di arte cinese, augurandosi
infine di essere guidato dallo stesso percorso espositivo in quell’agognato passaggio dalla
stupita ammirazione alla comprensione51.
22
Appendice
L’allestimento delle mostre veneziane degli anni Ottanta
Le fotografie delle mostre di Venezia compaiono per gentile concessione della Direzione dei Musei Civici Veneziani.
1. Il giorno dell'inaugurazione della mostra Settemila anni di Cina a Venezia
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2. Settemila anni di Cina: bronzi rituali delle dinastie arcaiche
3. Settemila anni di Cina: corredi funebri, Periodo delle Primavere e degli Autunni
24
4. Settemila anni di Cina: esemplari dell’esercito di terracotta, dinastia Qin
5. Settemila anni di Cina: armatura di giada, dinastia degli Han Occidentali
25
6. Cina a Venezia: esemplari di statuette ming qi, dinastia degli Han Orientali
7. Cina a Venezia: esemplari di statuette ming qi, dinastia Tang
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8. Cina a Venezia: statuaria buddhista
1 La Via della Seta e la Civiltà Cinese. La Nascita del Celeste Impero, catalogo della mostra (Treviso, Casa dei Carraresi 22 ottobre 2005-30 aprile 2006) a cura di A. Màdaro, Treviso, Edizioni Sigillum 2005; Genghis Khan e il Tesoro dei Mongoli, catalogo della mostra (Treviso, Casa dei Carraresi 20 ottobre 2007-4 maggio 2008) a cura di A. Màdaro, Treviso, Edizioni Sigillum 2007; Tang. Arte e Cultura in Cina prima dell’Anno Mille, catalogo della mostra (Napoli, Museo Archeologico Nazionale 16 dicembre 2005-22 aprile 2006) a cura di L. Caterina, G. Verardi, Napoli, Electa 2005; Cina. Nascita di un Impero, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale 22 settembre 2006-28 gennaio 2007) a cura di L. Lanciotti, M. Scarpari, Milano, Skira 2006. 2 Per una panoramica degli studi sinologici in Italia si vedano G. BERTUCCIOLI, Gli studi sinologici in Italia dal 1600 al 1950, «Mondo Cinese», LXXXI, marzo 1993, pp. 9-22;G. BERTUCCIOLI, F. MASINI, Italia e Cina, Roma Bari, Laterza 1996, pp. 172-176; nonché i numerosi studi di Lionello Lanciotti cfr. L. LANCIOTTI, Italian Contributions to the Chinese Studies in the last 20 Years, «Tohogaku», I, 1986, pp. 181-183; ID., Venezia e il sorgere degli studi sinologici, in S.PEROSA et al., Venezia e le lingue e letterature straniere, Roma, Bulzoni 1991, pp. 51-54; ID., Gli studi sinologici in Italia dal 1950 al 1992, «Mondo Cinese», LXXXV, gennaio-aprile 1995, pp. 17-26, <http://www.tuttocina.it/Mondo_cinese/085/085_lanc.htm> (03/08/2008); ID., Italian Sinology from 1945 to the Present in Europe studies China, London, Han-shan Tang 1995, pp. 79-87; ID., Un secolo di studi italiani sulla Cina, in F. D’A RELLI, La Cina e L’Italia, Roma, AISC-IsIAO 2007, pp. VII-VIII. 3 Tra le istituzioni italiane più importanti dedicate all’area asiatica si possono citare l’Università degli Studi L’Orientale di Napoli, nata dal settecentesco Collegio dei Cinesi, l’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente di Roma (IsMEO) creato nel 1933 e trasformato nel 1995 in IsIAO (Istituto Italiano per l’Africa e per l’Oriente), o la vocazione orientalistica dell’Università degli Studi di Venezia. Raccolte italiane di arte cinese si trovano presso il Museo Edoardo Chiossone a Genova, il Museo di ceramiche Duca di Martina di Napoli, il Museo di Arte Orientale Giuseppe Tucci a Roma e il Museo di Arte Orientale di Venezia.
27
4 China: The Three Emperors, 1662-1795, catalogo della mostra (Londra, The Royal Academy 12 novembre 2005-17 aprile 2006) a cura di E. S. Rawski, J. Rawson, London, The Royal Academy of Arts 2005. 5 The First Emperor. China’s terracotte army, catalogo della mostra (Londra, The British Museum 13 settembre 2007-6 aprile 2008) a cura di J. Portal, London, The British Museum Press 2007. 6 Tra le mostre parigine degli ultimi anni si possono ricordare Chine des Origines. Hommage a Lionel Jacob, catalogo della mostra (Parigi, Musée Guimet 5 dicembre 1994-6 marzo 1995) a cura di J. P. Desroches, M. C. Rey, Paris, Réunion des Musées Nationaux 1994 e De l’Inde au Japon, 10 ans d’acquisitions au Musée Guimet, catalogo della mostra (Parigi, Musée Guimet 13 giugno-13 dicembre 2007) a cura di J. F. Jarrige, Paris, Réunion des Musées Nationaux 2007, entrambe allestite con opere già conservate presso il Musée des Arts Asiatiques Guimet. Sono invece frutto di una collaborazione con le istituzioni cinesi le esposizioni Trésors du Musée National de Taipei. Mémoire d’empire, catalogo della mostra (Parigi, Galeries Nationales du Gran Palais 20 ottobre 1998-25 gennaio 1999) a cura di J. P. Desroches, J. Giès, Paris, Réunion des Musées Nationaux 1998 e Montagnes Célestes. Trésors des musées de Chine, catalogo della mostra (Parigi, Galeries Nationales du Gran Palais 30 marzo-28 giugno 2004) a cura di J. Giès, Paris, Réunion des Musées Nationaux 2004. 7 Si pensi alla collezione di oggetti asiatici di Émile Guimet (1836-1918), ceduta nel 1885 allo Stato francese e nucleo originario del Musée des Arts Asiatiques, in cui, dopo l’apertura nel 1889, confluiranno altre raccolte private, i reperti delle spedizioni archeologiche francesi in Cina e in Asia Centrale, le opere del Museo dell’Indocina del Trocaderò e quelle del Dipartimento di Arti Asiatiche del Musée du Louvre. 8 Costituitosi come istituzione nazionale nel 1753 per volontà e dalle collezioni di Sir Hans Sloane (1660-1753), il British Museum nasceva principalmente come museo di storia naturale, ma, in virtù di un approccio universalista alla conoscenza di stampo illuminista, ospitava anche opere dell’ingegno umano: una biblioteca, una raccolta numismatica, una di grafica ed una etnografica di manufatti indiani e africani, oggetti di arte islamica, alcune antichità classiche, una quadreria e una selezione di reperti testimoni della storia britannica, nonché una collezione di opere orientali, provenienti dal Giappone, dalla Persia, dalla Turchia e dalla Cina. Per il nucleo originario delle collezioni del British Museum, cfr. D. M. WILSON, The British Museum. A History, London, The British Museum Press 2002, pp. 14-18. 9 Sir Marc Aurel Stein (1862-1943), archeologo e geografo di origine ungherese, compie nel 1900 una prima missione in Asia Centrale. Gli oggetti rinvenuti di origine cinese, indiana e di ascendenza ellenistica vengono inviati al British Museum di Londra, che finanzierà le campagne successive nel Turkestan cinese (1906), nello Xinjiang e nel Gansu (1913-1916 e 1927-1928) e in Cina (1930). Di grande rilevanza per la storia dell’arte estremo orientale è la spedizione del 1906, durante la quale Stein rinviene, presso la Grotta dei Mille Buddha a Dunhuang, un immenso patrimonio di manoscritti, pitture su seta, tessuti e stendardi buddhisti di fattura cinese, conservati nella cosiddetta Biblioteca, murata al principio dell’XI secolo. Paul Pelliot (1878-1945), sinologo e archeologo francese, guida una campagna di scavi in Asia Centrale dal 1906 al 1909, nel corso della quale prosegue, indipendentemente da Sir Aurel Stein, le ricerche presso le grotte di Dunhuang, selezionando oltre cinquantamila manoscritti e frammenti di testi cinesi, che vengono portati in Francia insieme ad altri manufatti. Tali reperti sono attualmente conservati al Musée Guimet e alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Per la storia delle missioni archeologiche di Primo Novecento si veda P. HOPKIRK, Diavoli stranieri sulla Via della Seta, Milano, Adelphi 2006, con relativa bibliografia. 10 A partire dall’Esposizione Universale di Londra del 1851 sono presenti padiglioni dedicati all’Estremo Oriente, in cui l’immagine e la fortuna dell’Asia sono legate in particolar modo all’artigianato e ai manufatti artistici della Cina e, dopo la forzata apertura dei suoi porti all’Occidente nel corso degli anni Cinquanta, del Giappone. Tuttavia, al favore del pubblico europeo nei confronti dei prodotti delle due nazioni si accompagna anche un’incapacità di distinguere l’esatta provenienza delle opere. Ad esempio, nella raccolta di modelli creata da Samuel Bing per fornire stimoli di rinnovamento alle arti europee e pubblicata sulla rivista Le Japon Artistique, si mescolavano soluzioni tratte tanto dal mondo cinese che da quello giapponese. Cfr. S. BING, Documents d’art et d’industrie réunis par S. Bing, «Le Japon Artistique», I, n. 1, maggio 1888. Per la fortuna dell’Estremo Oriente alle Esposizioni Universali di fine Ottocento, cfr. L. AIMONE, C. OLMO, Le Esposizioni Universali (1851-1900), Torino, Umberto Allemandi 1990, pp. 164-173 e relativa bibliografia. 11 Mostra di Pittura Cinese Antica e Moderna, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale dicembre 1933-gennaio 1934) a cura di A. Morassi, J. Péon, Milano, La Bodoniana 1933. 12 La stessa terminologia con cui vengono chiamati i formati orizzontale e verticale (makemono e kakemono) della pittura cinese è presa in prestito dalla lingua giapponese. Ciò dimostra quanto l’esperienza della grafica nipponica per gli artisti europei del secondo Ottocento e il coevo fenomeno del giapponismo nel gusto e negli orientamenti collezionistici abbiano fornito gli strumenti per rivalutare anche i rotoli dipinti della Cina. Se infatti la diversa applicazione dei principi prospettici, tonali e chiaroscurali nell’estetica dell’Estremo Oriente, era stata considerata indice di inferiorità nei decenni precedenti – celebre in questo senso il giudizio negativo sulla pittura cinese di padre Giuseppe Castiglione nel Settento –, la nuova attenzione per le stampe giapponesi portò come
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conseguenza indiretta ad apprezzare la sottile operazione intellettuale che soggiace all’arte del disegno nel Celeste Impero, dove le forme visive non sono espressione della Natura ma dell’Io dell’artista-filosofo. Per una sintetica presentazione dei principi estetici dell’arte cinese si veda il saggio introduttivo di Alberto Giuganino nel catalogo della mostra Arte Cinese cfr. nota 15. Sulle difficoltà del mondo occidentale di comprendere il pensiero artistico della Cina O. SIRÉN, Come vediamo l’arte cinese, «L’Arte», XXXIV, n.s., luglio 1931, pp. 295-311. 13 Mostra di Pitture Cinesi Ming e Ching, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Brancaccio 6 aprile-30 aprile 1950) a cura dell’Istituto Italiano per il Medio e l’Estremo Oriente, Roma, IsMEO 1950. 14 Arte Cinese, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Ducale, 1954) a cura di G. Tucci, A. Giuganino, J. P. Dubosc, Venezia, Alfieri Editore 1954. 15 J. P. DUBOSC, Prefazione, in Arte Cinese cit., p. 6. 16 O. SIRÉN, Histoire des arts anciens de la Chine, Paris, Van Oest 1929-1934, 4 vol.; ID., Histoire de la peinture chinoise, Paris, Les Éditions d’art et d’histoire 1934-1935, 2 vol. 17 Sebbene dalla fine degli anni Cinquanta l’alleanza tra la Cina e l’Unione Sovietica vada allentandosi, ancora nel decennio successivo la Repubblica Popolare, agitata internamente dalla Rivoluzione Culturale, visse una condizione di relativo isolamento politico. Solo con l’aprirsi degli anni Settanta, a seguito della rimozione nel 1971 del veto statunitense per l’ammissione della Cina comunista all’assemblea delle Nazioni Unite, sancita l’anno successivo, si avviò con le potenze occidentali una nuova stagione di dialogo, culminante nel 1979 con il viaggio di Deng Xiaoping negli Stati Uniti d’America, un’importante occasione diplomatica, in cui vennero anche stipulati accordi complementari di natura scientifica, tecnologica, culturale e commerciale. Per i rapporti tra la Cina e l’Occidente nel secondo dopoguerra cfr. M.C. BERGERE, La Repubblica Popolare Cinese (1949-1989), Bologna, Il Mulino 1994, pp. 325-371; G. SAMARINI , La Cina del Novecento. Dalla fine dell’Impero a oggi, Torino, Einaudi 1994, p. 193 e sg., pp. 355-361. 18 Chinesische Kunst, catalogo della mostra (Berlino, Preussische Akademie Der Kunst 1929) a cura di O. Kummel, Berlin, s.e., 1929. 19 Catalogue of the International Exhibition of Chinese Art (Londra, The Royal Academy, 28 novembre 1935-7 marzo 1936), London, Clowes and Sons 1935. 20 Tra il 1908 e il 1909 e tra il 1926 e il 1929 l’archeologo russo Piotr Kozlov (1863-1935) guida due missioni di scavo nel sito dell’antica città di Khara Khoto, capitale dello stato dei Tangut, popolazione nomade stanziatasi ai confini nord occidentali dell’Impero Cinese e fondatrice della dinastia sinesizzata degli Xi-Xia (982-1227). 21 A. GIUGANINO, Introduzione e J. P. DUBOSC, Prefazione, in Arte Cinese cit. 22 Pittura cinese moderna. Opere raccolte dall’unione degli artisti cinesi nei musei della Repubblica Popolare Cinese, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Brancaccio dicembre 1958) a cura del Comitato per la diffusione degli studi sinologici in Italia presso l’Istituto italiano per il Medio e l’Estremo Oriente, Roma, Colombo 1958; Cento anni di pittura cinese (1850-1950), catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi 15 giugno-28 giugno 1959) a cura di C. Chen-To, Roma, SEN 1959; Pittori cinesi contemporanei, catalogo della mostra (Roma, s.e. 1960) a cura di G. Carandente, Roma, Editalia 1960; Mostra del Manifesto cinese, catalogo della mostra (Varese, Biblioteca Civica 27 gennaio-10 febbraio 1979) a cura dell’Associazione Italia-Cina, Varese, La Tipografica 1979. 23 Cfr. nota 17. Tra i segnali di apertura della Cina verso l’Italia merita di essere segnalato l’invito a recarsi nella Repubblica Popolare Cinese in qualità di esperto di restauro, rivolto nei primi anni Ottanta dal Ministero della Cultura a Cesare Brandi. L’esperienza cinese del fondatore dell’ICR è dettagliatamente ricordata dallo stesso nel suo diario di viaggio, cfr. C. BRANDI, Diario cinese, Roma, Editori Riuniti 2002. 24 Marco Polo: Venezia e l’Oriente, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Ducale 1981) a cura di A. Zorzi, Milano, Electa 1981. 25 Settemila anni di Cina a Venezia: Arte e Archeologia Cinese dal Neolitico alla Dinastia degli Han, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Ducale, 4 giugno 1983-31 gennaio 1984) a cura del Museo della Storia Cinese di Pechino, Seminario di Lingua e Letteratura Cinese dell’Università degli Studi di Venezia, Istituto Italiano per il Medio e l’Estremo Oriente, K. Chang, R. Ciarla, M. Scarpari et al., Milano, Silvana Editoriale 1983. 26 Proprio negli anni Ottanta si avviava il gemellaggio tra Venezia e la città cinese di Suzhou. 27 1. Periodo Neolitico, 2. Dinastia Xia, 3. Dinastia Shang, 4. Dinastia degli Zhou Occidentali, 5. Periodo delle Primavere e degli Autunni, 6. Periodo degli Stati Combattenti, 7. Dinastia Qin, 8. Dinastia degli Han Occidentali. 28 M. TOSI, L’origine dello stato nella Cina Settentrionale come problema archeologico, in Settemila anni di Cina cit., p. 66. 29 Cina a Venezia. Dalla Dinastia Han a Marco Polo, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Ducale, 30 agosto 1986-febbraio 1987) a cura del Museo della Storia Cinese di Pechino, Seminario di Lingua e Letteratura Cinese dell’Università degli Studi di Venezia, Istituto Italiano per il Medio e l’Estremo Oriente, A. Forte, L. Lanciotti, L. Petech et al., Milano, Silvana Editoriale 1986.
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30 Nella ideazione del progetto pluriennale era prevista anche la realizzazione di un terzo appuntamento, poi non realizzato, dedicato al periodo compreso tra l’epoca della dominazione mongola e la caduta dell’Impero. 31 The Quest for Eternity. Chinese Ceramic Sculptures from The People’s Republic of China, catalogo della mostra (Los Angeles, The Country Museum of Art 15 ottobre 1987-3 gennaio 1988) a cura di S. Caroselli, San Francisco, Chronicle Books 1987. La tipologia dei Ming Qi, le statuette funebri che accompagnavano il defunto, è stata oggetto anche di una mostra a Parigi, dove erano esposti reperti di epoca Han e Tang, cfr. Chine, des chevaux et des hommes. Donation Jacques Polain, catalogo della mostra (Parigi, Musée Guimet 19 ottobre 1995-15 gennaio 1996) a cura di J. P. Desroches, M. C. Rey, Paris, Réunion des Musées Nationaux 1995. 32 Eternal China. Splendors from The First Dynasties, catalogo della mostra (Dayton, The Dayton Art Institute 7 marzo-7 giugno 1998) a cura di L. Jian, Dayton Ohio, The Dayton Art Institute 1998. 33 The Golden Age of Chinese Archaeology: Celebrated Discoveries from The People’s Republic of China, catalogo della mostra (Washington DC, The National Gallery of Art 19 settembre 1999-2 gennaio 2000) a cura di Y. Xiaoneng, Washington DC, The National Gallery of Art 1999. 34 The Exhibition of Archaeological Finds of the People’s Republic of China, catalogo della mostra (Washington DC, The National Gallery of Art 13 December 1974-30 March 1975) Washington DC, National Gallery of Art 1974. 35 Bronzi dell’antica Cina dal XVIII al III secolo a.C., catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale 17 giugno-18 settembre 1988), Milano, Electa 1988. Nel 2002 la collezione di arte cinese della Fondazione Giovanni Agnelli sarà esposta a Torino nelle sale di Palazzo Madama in occasione della rassegna Cina Antica: capolavori d’arte dal Neolitico alla Dinastia Tang, catalogo della mostra (Torino, Palazzo Madama 15 maggio-29 settembre 2002) a cura di A. Wetzel, Torino, Fondazione Cassa di Risparmio di Torino 2002. 36 Arte Cinese in collezioni italiane di fine secolo, catalogo della mostra (Roma, Museo Nazionale d’Arte Orientale 7 marzo-5 maggio 1985) a cura di S. Pinto, Roma, Museo Nazionale d’Arte Orientale 1985. 37 S. PINTO, Alle origini di un gusto per l’arte cinese, in Arte Cinese in collezioni italiane cit., p. 8. Il richiamo alle teorie critiche di primo Novecento trova la sua ragion d’essere per l’Italia principalmente nella raccolta di Riccardo Gualino che, a seguito dell’incontro con Lionello Venturi nel 1918, modificò l’impianto tradizionale delle sue collezioni, aprendosi tanto alle arti contemporanee che a quelle dell’antico Oriente. L’interesse per settori inediti era infatti mosso da una volontà di ricercare l’autonoma legittimità estetica delle diverse forme espressive e di apprezzare, secondo le parole dello stesso Venturi nella presentazione la collezione Gualino: «Le possibilità realizzate nelle epoche maggiori dell’arte per ogni singola materia [...] le sensazioni artistiche sporadiche, e tipiche a un tempo, di un gusto che tende all’universalità, rifugge dalla preferenza arbitraria per scrutare in ogni più diverso prodotto l’impronta unica dell’arte, e si abbandona da un lato al piacere d’una rievocazione di vita e dall’altro alla riflessione sui valori ideali» cfr. L. VENTURI, La collezione Gualino, vol I., Torino-Roma, Casa Editrice D’Arte Bestetti e Tumminelli 1926, Introduzione. 38 La Seta e la sua Via, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 23 gennaio-10 aprile 1994) a cura di M. T. Lucidi, Roma, Edizioni De Luca 1994. 39 A. MÀDARO, Coincidenze e motivazioni di un progetto, in La Nascita del Celeste Impero cit., p. 13 40 All’attività di scavo (1997-2003) partecipano in collaborazione con l’istituto napoletano, l’ex IsMEO, l’Accademia delle Grotte di Longmen e la Soprintendenza Archeologica di Luoyang. 41 Si veda in particolare il discorso tenuto dal Presidente italiano nel suo incontro con gli italianisti cinesi e con gli studenti universitari di lingua italiana (Pechino, 6 dicembre 2004), cfr. <http://www. quirinale.it/ex_presidenti/Ciampi/visite.asp> (20/11/2007). 42 I problemi inerenti alla realizzazione materiale e al significato dell’esercito di terracotta sono per altro affrontati solo nel catalogo dell’esposizione romana, cfr. S. RASTELLI, Dalla terra e dal fuoco: tecniche di produzione della ceramica, in Cina, cit., pp. 59-66, mentre mancano riferimenti specifici in quello di Treviso. 43 Per un approfondimento sul tema della riproducibilità industriale, applicata alle arti nel mondo cinese, cfr. L. LEDDEROSE, Ten Thousand Things. Module and Mass Production in Chinese Art, Princeton, Princeton University Press 2000. 44 G. GUOQIANG, La gloria ritrovata della Dinastia Tang. I principali ritrovamenti archeologici degli ultimi vent’anni, in Tang cit., pp. 44-52; G. VERARDI, Lo scavo del Fengxiansi a Longmen, in Tang cit., pp. 86-91; M. GUGLIELMINOTTI TRIVEL, L’area di Longmen, in Tang cit., pp. 92-95. 45 A. FORTE, Cenni storici e relazioni estere, religioni straniere, scienze, in Tang cit., pp. 25-37; S. VITA, Buddhismo e cultura ufficiale sotto i Tang: la Corte, i funzionari e gli uomini di lettere, in Tang cit., pp. 38-43. 46 E. FORTE, L’architettura, in Tang cit., 53-60; L. E. MENGONI, Le tombe imperiali di epoca Tang, in Tang cit., pp. 61-65; S. QINYAN , I dipinti murali di epoca Tang. Un’introduzione, in Tang cit., pp. 66-70; L. CATERINA, Ceramica Tang: colore e cosmopolitismo, in Tang cit., pp.71-76; C. VISCONTI, L’oro e l’argento alla corte dei Tang, in Tang cit., pp.77-81; A. TESTA, Gli specchi di bronzo e La scultura buddhista di epoca Tang, in Tang cit., pp. 82-85; P. DE LAURENTIS, La calligrafia, in Tang cit., pp. 102-105. 47 L. LANCIOTTI, La Cina e i barbari, in Cina cit., pp. 21-26; M. SABATTINI , Le origini dell’Impero cinese, in Cina cit., pp. 27-32; M. SCARPARI, Qin Shi Huangdi, primo augusto imperatore dei Qin, in Cina cit., pp. 33-40.
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48 W. FENGJUN, L’età del bronzo in Cina, in Cina cit., pp. 67-72; A. ANDREINI, Le iscrizioni sui bronzi rituali, in Cina cit., pp. 73-78; F. SALVIATI , Cina: l’arte e l’estetica delle origini, in Cina cit., pp. 79-84. 49 R. CIARLA , L’archeologia Qin: sulle orme del primo Impero, in Cina cit., pp. 49-58. 50 T. LIPPIELLO, La vita nell’oltretomba: credenze religiose e pratiche cultuali, in Cina cit., pp. 41-48. 51 Il desiderio di chi scrive sembra essersi realizzato poco dopo aver concluso la scrittura dell’articolo, quando nel marzo del 2008 è stata inaugurata a Firenze una nuova rassegna dedicata all’antica Cina, cfr. Cina. Alla corte degli imperatori. Capolavori mai visti dalla tradizione Han all’eleganza Tang (25-907), catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Strozzi 7 marzo-8 giugno 2008) a cura di S. Rastrelli, Milano, Skira 2008. L’esposizione di Palazzo Strozzi infatti ha soddisfatto tutti i requisiti necessari per rendere pienamente fruibile al grande pubblico un percorso dedicato alle arti cinesi, senza tralasciare le esigenze di studio e di ricerca: l’efficace comunicazione, l’allestimento suggestivo e, tuttavia, di chiara leggibilità, nonché la selezione di opere di altissima qualità, scelte per presentare problemi non solo culturali e sociali, ma anche storico-artistici, sono le caratteristiche di una mostra che può essere considerata come un modello positivo di riferimento per i futuri appuntamenti italiani. Per una descrizione dettagliata dell’evento si veda la recensione sul sito dell’Osservatorio Mostre e Musei della Scuola Normale Superiore di Pisa <http: //mostreemusei.sns.it/mostre/cina_firenze_strozzi/index.htm> (20/04/2008).
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