Incontro dicembre 2011

12
Per una Chiesa Viva www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VII - N. 12 – Dicembre 2011 Con la Domenica 27 novembre abbiamo iniziato il nuovo anno liturgico di cui le prime quattro settimane prendono il no- me di Avvento,cioè tempo di attesa, di preghiera, di vigilanza per il ritorno del Signore. Gesù Cristo,Figlio di Dio,nostro Salva- tore, Colui che a Natale noi celebriamo come il Venuto nella carne (il Verbo In- carnato) è Colui che attendiamo come il Veniente nella gloria. Egli ha promesso che tornerà. In realtà Egli è Colui che viene sempre, e come tale noi dobbiamo atten- derlo e invocarlo ogni giorno. Il Regno di Dio che Egli ha annunziato come regno di veri- tà,amore, giustizia e pace è già all’opera e presente nella sto- ria dell’umanità. Ma noi, non godendo della presenza visibile di Gesù,che oggi conosciamo e seguiamo soltanto con la fede, siamo esposti al rischio di identifica- re il Regno di Dio o con lo sforzo degli uomini che proget- tano un mondo nuovo o con una prassi di liberazione pura- mente umana per sè inefficace e insoddi- sfacente. Da ciò nasce anche a livello razionale e, a maggior ragione a motivo della divina rivelazione, l’ineludibile esi- genza di coltivare una consapevole e costante attesa di Gesù, il Signore della storia e della vita. A tal riguardo, il teologo della “speranza” J. Moltmann, nella sua fondamentale opera: “Teologia della Speranza”, affer- ma: “Nella vita cristiana la priorità appar- tiene alla fede, ma il primato alla speran- za. Senza la conoscenza di Cristo che si ha per la fede, la speranza diverrebbe un’utopia sospesa in aria. Ma, senza la speranza, la fede decade divenendo tiepi- da e poi morta. Per mezzo della fede l’uomo trova il sentiero della vera vita, ma soltanto la speranza ve lo mantiene. La fede in Cristo fa si che la speranza diventi certezza”. In questo ci soccorre la Chiesa,nostra madre e maestra ,che con la sua Liturgia ci invita a trascorrere la vita presente nel ricordo di Cristo, nella sua” dolce memoria” senza che il tempo, passando, riesca mai a esaurirlo o attenuarlo. Gesù,infatti, è “contemporaneo alla di- stesa dei secoli che si svolgono alla sua presenza” (I. Biffi). Nella prima tappa dell’Anno,il tempo liturgico dell’’Avvento,la Chiesa ci inse- gna quindi a «guardare avanti» con occhi illuminati dalla Parola di Dio. Pur avendo conosciuto Gesù, siamo tutti esposti alla grave tentazione di non attendere più Gesù,il Veniente; e dimenticando la caducità delle realtà terrene, non mettere più attenzione sulla fine di questo mondo e sulla venuta del Signore. E allora vivia- mo come se questo mondo dovesse dura- re sempre e come se noi dovessimo vive- re per sempre in questo mondo. Come vincere la tentazione di questa prospettiva limitata e guardare oltre? Con la consapevolezza di ciò che ci atten- de. Siamo discepoli del Signore non sol- tanto per ciò che è avvenuto nel passato, nell’Incarnazione, ma anche per ciò che avverrà nel futuro. Sì, il Signore viene! Noi lo diciamo con forza e lo desideria- mo e attendiamo. La viva attesa del Si- gnore, invece, ci spinge ol- tre. Per i cristiani quindi guardare al futuro significa attendere la venuta del Signore. Ma cosa significa questo? C’è una venuta nella potenza e nella gloria, alla fine di que- sto mondo. Sì, questo mondo avrà fine, così come ha avuto un inizio. E come ha avuto inizio per comando del Si- gnore, per la Sua Parola, così avrà una fine quando il Signo- re verrà, sulla sua parola. C’è una venuta per ciascuno di noi che è la nostra morte: il Signore vie- ne a prenderci con sé, dopo averci lascia- to per andare a prepararci un posto. Ve- nuta da preparare nella preghiera, nella carità operosa, nella vigilanza. Per chi lo attende, la venuta del Signore nella mor- te non sarà un evento spaventoso, ma un incontro, l’incontro con l’Amato, per stare sempre con lui. C’è, poi, una venuta nel quotidiano, nell’oggi: sono le visite del Verbo. Continua a pagina 2 In vigilante attesa del Signore che viene P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

description

Incontro dicembre 2011

Transcript of Incontro dicembre 2011

Page 1: Incontro dicembre 2011

Per una Chiesa Viva

www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VII - N. 12 – Dicembre 2011

Con la Domenica 27 novembre abbiamo iniziato il nuovo anno liturgico di cui le prime quattro settimane prendono il no-me di Avvento,cioè tempo di attesa, di preghiera, di vigilanza per il ritorno del Signore. Gesù Cristo,Figlio di Dio,nostro Salva-tore, Colui che a Natale noi celebriamo come il Venuto nella carne (il Verbo In-carnato) è Colui che attendiamo come il Veniente nella gloria. Egli ha promesso che tornerà. In realtà Egli è Colui che viene sempre, e come tale noi dobbiamo atten-derlo e invocarlo ogni giorno. Il Regno di Dio che Egli ha annunziato come regno di veri-tà,amore, giustizia e pace è già all’opera e presente nella sto-ria dell’umanità. Ma noi, non godendo della presenza visibile di Gesù,che oggi conosciamo e seguiamo soltanto con la fede, siamo esposti al rischio di identifica-re il Regno di Dio o con lo sforzo degli uomini che proget-tano un mondo nuovo o con una prassi di liberazione pura-mente umana per sè inefficace e insoddi-sfacente. Da ciò nasce anche a livello razionale e, a maggior ragione a motivo della divina rivelazione, l’ineludibile esi-genza di coltivare una consapevole e costante attesa di Gesù, il Signore della storia e della vita. A tal riguardo, il teologo della “speranza” J. Moltmann, nella sua fondamentale opera: “Teologia della Speranza”, affer-ma: “Nella vita cristiana la priorità appar-tiene alla fede, ma il primato alla speran-za. Senza la conoscenza di Cristo che si ha

per la fede, la speranza diverrebbe un’utopia sospesa in aria. Ma, senza la speranza, la fede decade divenendo tiepi-da e poi morta. Per mezzo della fede l’uomo trova il sentiero della vera vita, ma soltanto la speranza ve lo mantiene. La fede in Cristo fa si che la speranza diventi certezza”. In questo ci soccorre la Chiesa,nostra madre e maestra ,che con la sua Liturgia ci invita a trascorrere la vita presente nel ricordo di Cristo, nella sua” dolce memoria” senza che il tempo, passando,

riesca mai a esaurirlo o attenuarlo. Gesù,infatti, è “contemporaneo alla di-stesa dei secoli che si svolgono alla sua presenza” (I. Biffi). Nella prima tappa dell’Anno,il tempo liturgico dell’’Avvento,la Chiesa ci inse-gna quindi a «guardare avanti» con occhi illuminati dalla Parola di Dio. Pur avendo conosciuto Gesù, siamo tutti esposti alla grave tentazione di non attendere più Gesù,il Veniente; e dimenticando la caducità delle realtà terrene, non mettere più attenzione sulla fine di questo mondo

e sulla venuta del Signore. E allora vivia-mo come se questo mondo dovesse dura-re sempre e come se noi dovessimo vive-re per sempre in questo mondo. Come vincere la tentazione di questa prospettiva limitata e guardare oltre? Con la consapevolezza di ciò che ci atten-de. Siamo discepoli del Signore non sol-tanto per ciò che è avvenuto nel passato, nell’Incarnazione, ma anche per ciò che avverrà nel futuro. Sì, il Signore viene! Noi lo diciamo con forza e lo desideria-mo e attendiamo. La viva attesa del Si-

gnore, invece, ci spinge ol-tre. Per i cristiani quindi guardare al futuro significa attendere la venuta del Signore. Ma cosa significa questo? C’è una venuta nella potenza e nella gloria, alla fine di que-sto mondo. Sì, questo mondo avrà fine, così come ha avuto un inizio. E come ha avuto inizio per comando del Si-gnore, per la Sua Parola, così avrà una fine quando il Signo-re verrà, sulla sua parola. C’è una venuta per ciascuno di

noi che è la nostra morte: il Signore vie-ne a prenderci con sé, dopo averci lascia-to per andare a prepararci un posto. Ve-nuta da preparare nella preghiera, nella carità operosa, nella vigilanza. Per chi lo attende, la venuta del Signore nella mor-te non sarà un evento spaventoso, ma un incontro, l’incontro con l’Amato, per stare sempre con lui. C’è, poi, una venuta nel quotidiano, nell’oggi: sono le visite del Verbo.

Continua a pagina 2

In vigilante attesa del Signore che viene

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

Page 2: Incontro dicembre 2011

PAGINA 2 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

È l’incontro col Signore nel segreto del nostro cuore nel chiuso della nostra stan-za. È la venuta del Signore nel nostro piegarci alla Parola, nel fare obbedienza agli eventi della vita, è incontrare il Si-gnore nel fratello. E, di nuovo, questo incontro nel quotidiano va atteso e pre-parato non in un’attesa passiva ma attiva e impegnativa: quindi nella preghiera che continuamente ci richiede e ci richiama alla conversione e nella vigilanza. Cosa significa «vegliare»? La vigilanza non è un’attesa che sfugge l’impegno concreto nella vita, tutt’altro: è una vigilanza ope-rosa. L’Avvento ci chiede di essere senti-nelle che attendono l’alba. La vigilanza è da intendere innanzitutto a livello uma-no: vigilare sui nostri rapporti, rapporti con le persone, rapporti con gli avveni-menti. Vigilanza umana e vigilanza cri-stiana vanno insieme. In questo tempo a noi compete restare servi che attendono il loro Signore e vivono il comando da lui lasciato, il comando di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amati; il comando di lavarci i piedi, di accettare non solo di essere suoi servi, ma anche di farci servi degli altri. È la carità il compito lasciatoci dal Signore nel tempo della sua assenza. Ecco il presupposto della salvezza: il per-severare nella vigilanza e nella carità. Come cambia tutto ciò il rapporto con il tempo e con il mondo? Il cristiano non può essere l’uomo di un momento, non può farsi portare dalle mode, dalle ideo-logie del mondo che hanno la durata di un giorno. Il cristiano è colui che ha gli occhi fissi sulle cose che restano, sul co-mando del Signore che permane; il cri-stiano è colui che ha gli occhi aperti, che sa discernere ciò che davvero vale nella vita. Il rischio oggi è che, anziché tener fisso lo guardo sul nostro Dio e attender-lo e vivere nella carità operosa questo tempo dell’attesa, ci lasciamo incantare gli occhi da tante cose che scoppiettano e sono rumorose e mandano bagliori come i fuochi d’artificio, ma subito si spengono e ci lasciano nella notte, nella tenebra. Come evitare questo? Diventando uomi-ni e donne di desiderio. Nella nostra vita noi non siamo definiti solo da ciò che ci sta dietro, dalla nostra storia passata; ma siamo definiti anche (soprattutto) da ciò che ci sta davanti! Il desiderio, l’attesa,

plasma la nostra vita! Ecco, noi dobbia-mo convertire i nostri desideri, che sono tanti e confusi, in unico desiderio: desi-derio del bello, dell’infinito, dell’assoluto, di Dio. La nostra vita porta l’impronta di Dio, come una ferita, una ferita sempre aperta; la nostra vita, il nostro cuore sente continuamente il ri-chiamo di Colui di cui siamo immagine. Ma noi questa sete profonda spesso cer-chiamo di saziarla con una quantità di presenze, di suoni, di immagini fino allo stordimento, all’ubriacatura. Ecco allora la vigilanza che è fatta di sobrietà, di di-giuno, per cogliere in noi la vera sete, il desiderio vero. Come «allenarsi» a tale esercizio? Dedicando tempo al Signore, perché ogni volta che ci pieghiamo sulla sua Parola, là incontriamo il Signore: è caparra e anticipazione della sua venuta definitiva. E poi dedicando tempo a noi stessi; infine vivendo la carità. Perché la vigilanza è attesa del Signore. Attesa ope-rosa. Sia il tempo del desiderio di Di-o,del Dio che si è fatto vicino in Ge-sù,che vive con noi e deve vivere dentro di noi. Nella Liturgia del tempo di Av-vento risuona con forza l’invito,l’esortazione che è soprattutto un chiaro comando del Signo-re:”Vegliate “. Dovremo vegliare, sapen-do che questo verbo ha un significato speciale. Non si tratta solo di restare svegli,di tenere gli occhi aperti. Detto da Gesù questo “vegliate” equivale esatta-mente a “fissatemi”.La lettera agli Ebrei lo dice molto bene:”Tenendo fisso lo sguardo su Gesù Cristo, autore e perfe-zionatore della fede”. Se abbiamo pecca-to,se siamo diventati deboli,è perché in tanti momenti in cui abbiamo sperimen-tato la umana fragilità e abbiamo ceduto al male,certamente non fissavamo Gesù. Se l’avessimo fatto,da quante insipienti cadute ci avrebbe salvati! Tutte le volte che abbiamo fissato Cristo non abbiamo peccato, perché chi ama non pecca. Si tratta di vegliare come veglia uno che ama e guarda all’amato. Questa è la ve-glia del discepolo del vangelo:non una veglia qualsiasi:”Fissatemi con amo-re,guardatemi con amore guardatemi di più! Infonderò in voi l’entusiasmo che si ha quando lo sguardo,amando,si incontra con quello che ama e ci si sente arrivati”.

Don Giuseppe Imperato

Che cosa è la corona di Avvento?

Ecco cosa risponde Mara Powers: "… Poi la Signora Brandon spiegò il significa-to delle quattro candele: Questa prima candela si chiama Candela del Profeta. Ci rammenta che molti secoli prima della nascita del bambino Gesù, uomini saggi chiamati profeti predissero la sua venuta. Un profeta di nome Michea predisse perfino che Gesù sarebbe Nato a Betlem-me! La seconda candela, chiamata Can-dela di Betlemme , ci ricorda la piccola

città in cui nacque il nostro Salvatore. Noi raffiguriamo Maria e Giuseppe men-tre stancamente vagano da una locanda all'altra, senza riuscire a trovare un posto dove riposare, finchè alla fine sono con-dotti al riparo di una stalla. Poi, nella più sacra tra le notti, mentre risposavano nella stalla insieme ai miti animali, il fi-glio di Maria, il bambino Gesù, nacque! La terza candela è chiamata la Candela dei pastori, poiché furono i pastori ad adorare il bambino Gesù e a diffondere la lieta novella. La quarta candela è la Can-dela degli Angeli per onorare gli angeli e la meravigliosa novella che portarono agli uomini in quella notte mirabile. Seb-bene non possiamo ne vederli né sentirli, sono ancora gli angeli che ci portano il messaggio di Dio con pensieri d'amore e di pace, di gioia e di buona volontà"

La sua funzione Data la sua origine, la corona di Avvento ha una funzione specificamente religiosa: annunciare l'avvicinarsi del Natale so-prattutto ai bambini, prepararsi ad esso, suscitare la preghiera comune, manifesta-re che Gesù è la vera luce che vince le tenebre e il male. Il consumismo moder-no se ne è impadronito, ne ha predispo-ste di tutte le forme, ne ha fatto un moti-vo ornamentale natalizio che si trova non

SEGUE DALLA PRIMA LA CORONA DELL’AVVENTO

Page 3: Incontro dicembre 2011

PAGINA 3 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

solo nelle case e nelle chiese, ma anche nei negozi, nelle piazze, durante i con-certi. Si pensi alla grande corona di Av-vento nella piazza centrale di Strasburgo. Comunque, data la sua struttura e il con-testo in cui è inserita, essa non perde il suo valore simbolico e, come ogni simbo-lo, non finisce mai di dire, di interrogare, di sollecitare alla ricerca di senso. Pro-prio per questa sua valenza, essa si è radi-cata e diffusa in un tempo abbastanza breve.

Novena all'Immacolata

Come ogni bambino viene generato nel grembo della madre 9 mesi prima del parto, così avvenne naturalmente anche per la Vergine Maria. Ma ci fu un par-ticolare in quel concepimento: il Padre la preservò dalla macchia del peccato originale. Mentre noi nascia-mo alla vita di grazia nel Battesimo, Ma-ria visse nello stato di grazia, per-duto per il peccato dei nostri pro-genitori, fin dal suo concepimento, che noi ben definiamo 'immacolato'. La chiave di lettura più precisa di questo mistero della Vergine ce la fornisce il Prefazio della solennità: «Tu [o Padre] hai preservato la Vergine Maria da ogni mac-chia di peccato originale, perché, piena di grazia, diventasse degna Madre del tuo Figlio. In lei hai segnato l'inizio del-la Chiesa, sposa di Cristo senza macchia e senza ruga, splendente di bellezza. Da lei, vergine purissima, doveva nascere il Figlio, agnello innocen-te che toglie le nostre colpe; e tu sopra ogni altra creatura la predestinavi per il tuo popolo avvocata di grazia e modello di santità». Colei che avrebbe dato al mondo il Figlio di Dio non poteva conoscere il peccato. Ma anche noi abbiamo il privilegio da parte di Dio di dare, come Maria, seppur in modo diver-so, il Figlio di Dio al mondo. Sì, il mon-do ha bisogno del Figlio di Dio e noi, che qui lo incontriamo, mentre spezza per noi il Pane della Sua Parola e del Suo Corpo, dobbiamo portarlo al mondo senza sconti, senza riserve! Noi, che ci definiamo molto spesso, grandi 'devoti' di Maria, che la onoriamo come la Madre di Dio, ci fermiamo di solito a fare solo i grandi elogi di questa Donna, ma mai ci

incamminiamo sulle sue orme per arriva-re a Dio. La Sacra Scrittura non ri-porta alcun discorso di Maria; sen-tiamo le sue parole, essenziali e significative solo al momento dell'annunciazione, quando dice il suo 'Sì a Dio!', quando canta la sua esultanza di lode al Dio Salvatore nel 'Magnificat', e a Cana, quando chiede al Figlio suo di compiere la salvezza del mondo, attraverso il 'vino nuovo' della grazia. Dunque, Maria, come diremmo noi oggi, è una 'donna di poche parole', ma di molti fatti! E noi? Non ci sentiamo spesso troppo confusi dalle tante parole che diciamo e ascoltiamo? Con le parole abbiamo sempre la soluzione a portata di mano per ogni caso. ma al momento di agire siamo i primi a tirarci indietro. «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il cal-cagno» (Gn 3,15). La disobbedienza di Adamo ed Eva ha permesso l'ingresso del peccato nel mondo ed ha creato la sepa-razione totale tra il regno delle tenebre ed il Regno della Luce a cui siamo chia-mati. Ma, anche se il male è sempre lì a 'insidiarci il calcagno', a tentarci e a tor-mentarci, con la nostra risposta di fede possiamo sempre essere in grado di schiacciare la 'testa dell'antico tentatore', al peccato. E' ciò che ha fatto Maria: con il suo incondizionato 'Eccomi!' ha rinun-ciato per sempre al male ed ha ac-colto e vissuto per tutta la sua esi-stenza terrena, ed ora in eterno nel

cielo, il dono della grazia. Anzi, co-me per Eva è entrato nel mondo il pecca-to, così per Maria è entrata nel mondo la grazia, in Cristo nostro Salvatore. Come Maria, diamo la nostra sincera adesione a Dio! Riscopriamo il nostro Battesimo, attraverso cui Dio ci rende 'già' santi e immacolati! Non rinneghiamo mai più il nostro Battesimo, fosse anche per il mo-tivo migliore di questo mondo. che, co-munque, presto si rivelerebbe un'altra solita illusione! Viviamo il nostro Battesi-mo, nel quale siamo morti al peccato e nati alla vita di grazia, alla santità. Po-tremmo ben dire che la solennità dell'Im-macolata Concezione di Maria è la festa del nostro Battesimo! «Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28). Il saluto dell'angelo a Maria è rivolto oggi a ciascuno di noi, all'intera Chiesa, all'u-manità che geme e soffre le 'doglie del parto' (cfr. Rm 8,22). A ciascuno egli dice: 'Rallegrati, il Signore è con te!'. Perché, allora, temere? Dio è 'con-noi'!!! Qualunque cosa possa accaderci, Egli è 'con-noi' sempre!

Vergine Immacolata, prendi il sì della mia risposta

alla chiamata dei Signore e custodiscilo dentro il tuo sì,

meravigliosamente fedele. Donami la gioia e la speranza che trasmettesti ad Elisabetta

entrando nella sua povera casa. Fa' che la passione di salvare

mi renda missionario infaticabile, povero di mezzi e di cose,

puro e trasparente nei sentimenti, totalmente libero

per donarmi veramente agli altri. Rendimi umile e obbediente fino alla Croce

per essere una cosa sola con Gesù, Dio disceso dal cielo per salvarmi.

O Maria, affido a te tutte le persone che ho incontrato e che incontrerò

nel viaggio della fede: illuminaci il cammino,

riscaldaci il cuore, portaci alla casa e alla festa dell'Amore

che non avrà mai fine. Amen.

(Card. Angelo Comastri)

Page 4: Incontro dicembre 2011

PAGINA 4 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Ancora una volta papa Benedetto XVI si è dimostrato guida e maestro per la Chiesa e,a dispetto di quanti tentano di offuscar-ne in vari modi l’operato e la missio-ne,ha tracciato una linea che non solo i cattolici ma tutti coloro che si professano seguaci di Cristo dovrebbero seguire. L’ha fatto in occasione dell’incontro di Assisi che si è svolto alla fine dello scorso mese di ottobre per ricordare il 25°anniversario del primo incontro con i leader delle religioni del mondo voluto dal Beato Giovanni Paolo II nel 1986. Che cosa mi ha colpito dell’assise svoltasi nella Città di san Francesco?Seguendo una parte della diretta televisiva e rileggendo i discorsi di papa Bene-detto,mi ha stupito lo stile con cui il Pontefice ha guidato l’incontro nonché la fermezza e in pari tempo il rispetto con cui ha ribadito gli aspetti salienti che un credente deve tenere presente nella costru-zione della Pa-ce,consapevole che “un viaggio dello spirito è sempre un viaggio di pace”.Fermezza e ri-spetto, ecco la lezione di Assisi 2011. Depurato l’incontro da quegli aspetti che nel 1986,un po’ per l’entusiasmo della novità,un po’per la diffusa volontà di irenismo che spesso e volentieri invade alcuni ambiti e movimenti del cattolicesi-mo,avevano fatto storcere il naso a molti cristiani,preoccupati del pericolo di un sincretismo religioso,Benedetto XVI attraverso i suoi discorsi ad Assisi ha indi-cato uno stile. Lo stile che ogni cristiano dovrebbe adottare nell’annunciare Cristo al mondo contemporaneo,fatto di perso-ne che professano altre religioni o che non sono credenti. Persone con le quali dialogare senza la presunzione di posse-dere la Verità,o meglio senza presumere di essere testimoni della Verità,ben sa-pendo,come ha umilmente riconosciuto il Pontefice, che “in nome della fede cri-stiana si è fatto ricorso alla violenza”.Ma

la consapevolezza di aver fatto un uso abusivo della fede cristiana non pone in discussione il concetto di Verità che per il cristiano non può che essere Cristo,via verità e vita. Molto significativamente il Papa,subito dopo aver riconosciuto “pieni di vergogna”il cattivo uso della fede cristiana,ha chiarito con fermezza e rispetto che “Il Dio in cui noi cristiani crediamo è il Creatore e Padre di tutti gli uomini,a partire dal quale tutte le perso-ne sono tra loro fratelli e sorelle e costi-tuiscono un’unica famiglia. La Croce di Cristo è per noi il segno del Dio che, al posto della violenza,pone il soffrire con

l’altro e l’amare con l’altro.”Che chiarez-za e che fermezza nel ribadire davanti ai leader delle religioni del mondo l’essenza del cristianesimo!Ma il Papa mi ha sor-preso anche per la fermezza con cui,senza mezzi termini,ha sottolineato i danni che l’assenza di Dio porta nel mon-do,ribadendo che “l’assenza di Dio porta al decadimento dell’uomo e dell’umanesimo”,ma specialmente con la delicatezza e il rispetto con cui ha parlato delle “persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità,sono alla ricerca di Di-o”e che ha mirabilmente definito “pellegrini della verità,pellegrini della pace”.Sono questi pellegrini che tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio e li invitano a diventare “persone in ricerca”,ma che chiamano in

causa anche i credenti “perché non consi-derino Dio come una proprietà che ap-partiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli al-tri”.Proprio le parole con cui Benedetto XVI ha descritto queste “persone in ri-cerca” mi hanno portato a fare un esame di coscienza. Prima di guardare alle altre religioni, esaminiano le nostre Comuni-tà. Quante volte,dall’alto del nostro” essere credenti”puntiamo il dito contro gli altri che consideriamo “lontani”!Quanti pregiudizi nei confronti di perso-ne che,anche se battezzate,non rispondo-no alla nostra immagine di cristiani! E se

fossero pellegrini della verità?Se fossero persone alle quali noi credenti abbiamo trasmesso un’immagine ridotta o travisata di Dio?Pensiamoci!Magari met-teremmo da parte quell’arroganza che ci fa essere elementi di divisio-ne anche all’interno della Comunità dove prestiamo presuntuosamente il no-stro servizio,decidendo arbitrariamente cosa sia giusto fare e cosa non fare,con chi collaborare e

chi ignorare. Assisi 2011 attraverso le parole del Papa ci suggerisce ben altro. Non solo un amichevole dialogo e con-fronto con le altre religioni sul valore della pace,ma una lezione di stile per i cristiani,in particolare i cattolici, su come annunciare e testimoniare Cri-sto,purificando la nostra fede,affinché Dio ,il vero Dio,sia accessibile. La pro-fondità della lezione di Benedetto XVI tenuta ad Assisi rafforza ancora di più in me la convinzione che questo Pontefice con fermezza e rispetto stia riconsegnan-do alla Chiesa Cattolica l’abbiccì della fede,una fede che con il passare del tem-po ha perso la semplicità,l’efficacia e lo stupore che un’umile mangiatoia,una Croce gloriosa e una sorprendente tomba vuota ci continuano a suggerire.

Roberto Palumbo

La lezione di Assisi

Page 5: Incontro dicembre 2011

PAGINA 5 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Come sarà questo Natale 2011? Io mi auguro, innanzitutto, pieno d’amore. E non per finto perbenismo o ipocrisia, ma per una voglia di svuotarlo del resto, dell’eccesso che ci ruota intorno, per riempirlo solo delle cose che veramente contano nella vita. In tempo di austerity e di crisi, in un periodo come questo di difficoltà per tutti, immaginarsi il Bianco Natale visto in una cartolina o in un film a tema, non ha senso. Contribuirebbe solo a far crescere di più l’illusione di una società ricca e opulenta, che si na-sconde dietro le spese, i doni, le compe-re e le decorazioni in grande stile, pur di celare all’occhio attento le sue mancanze e difficoltà. E’ il Gesù nato nella mangia-toia, avvolto dal calore della Madonna e di Giuseppe, del bue e dell’asinello, quello che si celebra il 25 dicembre. La nascita di un Uomo, che ha fatto della semplicità, della comunione con gli altri, il senso della sua vita. Ecco perché pro-pongo di partire da questa immagine per il nostro Natale. Suggerisco l’idea di un ritorno all’origine. Nel senso più puro e profondo. Non fraintendetemi. Ben ven-gano i regali, le tombolate in allegria, i pranzi interminabili che svelano e raffor-zano il calore delle famiglie. Non mi permetterei mai di chiedervi, anzi chie-derci, di rinunciare al piacere del regalo, all’atmosfera festosa fatta di luci e bolli-cine. Semplicemente propongo di ‘decorarlo’ più con la sostanza che con la forma, questo nostro Natale. Magari tor-nando indietro a quando la tombola si giocava con le lenticchie e in premio c’erano le caramelle e il torrone. Al tem-po dei dolci e dei biscotti fatti in casa, in un pomeriggio di dicembre, quando fuo-ri fa freddo e non c’è niente di meglio del fuoco del camino per mettere gioia. Malinconia? Forse un po’. Del resto, da sempre le feste portano a fare bilanci e riflessioni. Invito tutti, dunque, a fer-marsi a pensare a ciò che hanno ricevuto, donato, condiviso, questo intero anno. Non fermatevi alla superfice di quello che non avete ricevuto Non fatevi bloc-care o intristire da quello che non avete conseguito. Magari erano solo piccoli capricci o vezzose inutilità. Quello che mi auguro io e auguro a voi, questo Na-

tale, è la possibilità che a contare siano le persone che vi circondano, gli amici, gli affetti. Regalatevi la possibilità di perdo-nare qualcuno per troppo tempo ‘osteggiato’. Donatevi l’opportunità di strappare un sorriso a una persona in difficoltà per troppo tempo dimenticata. Concedetevi il lusso del tempo. Per pas-seggiare, esplorare, litigare, chiacchiera-re, in una parola vivere davvero. Con la speranza che sia un Natale indimenticabi-le e ricco di sorprese. Auguri!

Iolanda Mansi

Dal 18 al 20 novembre, si è svolto a Ca-stellammare di Stabia (NA) il Cenacolo d’avvento per le componenti della frater-nità di Emmaus, dal tema “il perdono coniugale”. Durante uno degli incontri quindicinali, quando Peppe e Laura, la coppia guida, ci annunciarono questo tema, non mancarono espressioni di sor-presa e al tempo stesso di preoccupazio-ne. Si tratta certo di una cosiddetta “patata bollente” casalinga, e per la serie, se non riusciamo da soli a dirimere le questioni che noi stessi facciamo nascere, chi, potrà mai farlo? E chi, meglio di noi stessi, conosce origini e conseguenze delle stesse per poterle risolvere? Nono-stante ciò, l’idea non era male, dunque provare per credere, e anche se non a tutti è stato possibile partecipare, sentite un po’ cosa ci hanno raccontato. Appun-tamento venerdì 18 nel tardo pomerig-gio, arrivo e sistemazione in albergo, e dopo i saluti, tutti pronti per la celebra-zione dei Vespri. Da qui ha inizio il cena-colo che, ricordiamo, è un incontro per famiglie, bimbini inclusi che durante le catechesi si dedicano ad attività ludiche, durante il quale si approfondiscono te-matiche familiari. Si svolge preferibil-mente in un albergo, dato il numero elevato dei partecipanti, che mette a disposizione una sala, resa idonea dall’arredamento liturgico utilizzato an-che durante gli incontri: un tappeto per ospitare il leggio, sede della parola di Dio, la luce (candela, cero, candela-bro…), preferibilmente il Crocefisso,

qualche fiore e per l’occasione un ritrat-to di Santa Teresa di Lisieux, protettrice della comunità. Trattandosi di perdono coniugale si è cominciato col definire a chi è rivolto, ossia la coppia, l’insieme di due entità abbracciate nell’Amore di Cristo. Ogni coppia ovviamente è fonda-ta da due singoli, ed è proprio il progres-sivo affievolirsi della parola “singoli”, che produce la parola “coppia“. Nella quoti-dianità questo purtroppo è un po’ com-plicato, in quanto è sottile la differenza tra ciò che si fonde e ciò che si mescola, anche se il risultato sembra lo stesso, però ciò che si fonde diventa uno, ciò che si mescola si può di scindere, e così è la coppia, non bisogna annullarsi nell’altro/a, né tanto meno sopportare una prevaricazione e dire sempre sì per far funzionare il rapporto, piuttosto il cardine è nell’equilibrio che rispetta le due entità e le porta ad un solo cammi-no. Qui ci viene in soccorso quel vecchio detto che recita “il matrimonio è una conquista, giorno dopo giorno”, perché non esistono coppie nate così, il “noi coniugale” è in continua definizione, vita natural durante, un campo minato co-stantemente dai problemi e dello stress che provocano le situazioni litigiose per le quali è opportuno il perdono. Ed ecco che le coppie hanno concluso questa se-rata con un bel questionario circa i litigi. Gli spunti di riflessione riportati include-vano i motivi delle liti (parenti, gelosia, comunicazione, tempo per la famiglia,..) e le basi per un profondo discernimento dei propri litigi e dei comportamenti assunti prima, durante e dopo gli stessi. Spero che nessuno di loro abbia passato una notte insonne, anche perché il sabato si è ripartiti con le lodi mattutine, l’Eucarestia, la colazione e subito di nuo-vo al lavoro. Don Silvio citando dalla Bibbia i l Libro dei Prover-bi,17,18,Osea,9, La Sapienza, 4 Giobbe, 40.41 e la Fam.Cons. 21 di Giovanni Paolo, sviluppò questi punti: compren-sione, tolleranza,perdono e riconciliazio-ne. Proseguendo ha affrontato il tema del “perdono”. Tutti conosciamo perfetta-mente il significato di questo termine spesso usato e abusato per giustificare e nascondere, troppo poco messo in prati-ca perché ostacolato proprio dall’”io” che rende l’essere umano tale.

Continua a pagina 6

Felice Natale !

Il perdono coniugale

Page 6: Incontro dicembre 2011

PAGINA 6 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Vediamo come aggirarlo. Solitamente durante una lite si dice di tutto e si ten-de, poi, con pentimento a risolvere a breve, proviamo a fare diversamente: magari, dopo la lite, prima di coinvolge-re la compagine, cominciamo da una riconciliazione con noi stessi attraverso la preghiera costante, e quando saremo tornati in pace con noi, in Dio, forse anche l’altro sarà più propenso a risolve-re. Purtroppo o per fortuna il rapporto di coppia, come ricordava Don Silvio, è una sinergia orizzontale, dall’uno all’altro e viceversa. Trattandosi di un rapporto tra adulti, facoltativo e consen-ziente, è reciproco, non perché si fa qualcosa per aspettarsi qualcosa o perché

lo si deve fare. I sacrifici, le attenzioni verso l’altro hanno ragion d’essere nel volerle fare, non c’è obbligo, né costri-zione ed è per questo che sono DO-NI. Quando facciamo un regalo, lo fac-ciamo a chi vogliamo bene e riteniamo degno di quell’attenzione, non ci aspet-tiamo nulla, se poi siamo ricambiati cer-tamente ne siamo soddisfatti, tuttavia non è un dare per ricevere. Così è la coppia, se per ogni attenzione elargita aspettassimo il profitto, saremmo tutti single, ma se l’intenzione è sincera da parte di entrambi, non ci sarà bisogno di chiedere. Arriveremo mai a tanto? Certo qualcuno c’è arrivato, lo testimoniano le coppie elevate agli onori degli altari, come i coniugi Martin e tanti nonni che orgogliosamente difendono le proprie nozze d’oro, e qui la ricetta è una e non ammette varianti, un po’ complicata è la sua piena realizzazione, d’altronde se Dio ha impiegato sette giorni per mettere insieme il creato e si è anche disturbato di darci i mezzi per arrivare al perdono coniugale, sarebbe il caso di prestarvi almeno un po’ di attenzione. Anche per-ché a nulla varrebbe un perdono unilate-

rale, non ha senso, perché fa da ostacolo alla reciprocità, la coppia è chiamata a camminare insieme, in Dio, soprattutto nella riconciliazione. Ed ecco un secondo questionario, con quesito di riflessione proprio sulla riconciliazione. Abbiamo già detto che in primo luogo deve essere personale e certo se si è abituati ad una riconciliazione sacramentale, saranno poche le difficoltà ad applicarla con mari-to e figli, un quanto se con il primo si può parlare di reciprocità con i secondi il rapporto può essere solo verticale, ossia DARE, magari poi i frutti si vedranno con l’età…Il mea culpa non può non esserci, poiché se la ragione sta nel mez-zo, nessuno è indenne da errori, d’altra parte è la stessa natura umana che ci po-ne in questa condizione ed è la preghiera

lo strumento di riconcilia-zione con noi stessi e Dio. La nostra pace spirituale non sarà mai inosservata neanche da chi ci sta in-torno, è contagiosa, e ci permette di perdonare e soprattutto di essere per-donati. Dopo le catechesi e le testimonianze rese,

sono stati costituiti dei gruppi di discus-sione dove con un catechista è continuata l’argomentazione dell’esposto associan-dola al quotidiano vissuto e da qui è e-merso che spesso tante situazioni potreb-bero essere mitigate dalla reale cono-scenza dell’altro, ossia dall’esposizione del problema. Lo stesso, presentato con modalità diverse, potrebbe, infatti, otte-nere soluzioni migliori tipo: invece di affrontare subito chi ritorna a casa dal lavoro con l’accaduto del giorno, gli si potrebbe concedere qualche minuto di relax e poi, magari presentare la proble-matica accorsa con qualche proposta di risoluzione, così da non dare l’idea di scaricare la questione, ma proporre di risolverla insieme. Certo che Don Silvio, ha avuto un bel po’ da lavorare per que-sto cenacolo e non è finita qui, perché a ciascuno poi, è stata data una pietra, una pietra di mare, liscia e pulita come un animo rinnovato, e allo stesso tempo pesante del vecchiume e del grigiore che ciascuno porta dentro. Ogni coppia è stata invitata a depositare la pietra ai pie-di del quadro di Santa Teresa, un simbo-lico gesto di dono dell’uomo vecchio da

far rinascere. Inoltre, c’è stata la proie-zione di un documentario riguardo i co-niugi Martin, e poteva mai mancare un bel compitino? Non di certo…e allora carta e penna, ciascuno a scrivere una lettera alla propria metà, in busta chiusa e con un nome, o un segno per poi po-terla riprendere. Questo perché, nella Celebrazione Eucaristica finale di dome-nica e di ringraziamento, le lettere e le pietre sono state portate a Cristo come doni d’offertorio e dopo la Messa, una, è stata anche letta con grande apprezza-mento dei presenti. Tra i saluti e gli arri-vederci, il cenacolo si è concluso, invece il suo messaggio ha preso il volo, anche a distanza di quindici giorni, l’entusiasmo nel racconto di chi lo ha vissuto è tale che sembrava accaduto poche ore prima. La consapevolezza che qualcosa è cambiato rende i testimoni accorati nel descrivere le situazioni e consapevoli del dono rice-vuto, tutti mi hanno detto “è da prova-re”. La catechesi è stata sicuramente l’impronta maggiore lasciata in ognuno, ma non sono da trascurare i rapporti umani. Negli spazi dedicati al convitto e al confronto, si sono creati spontanei gruppi di persone per lo più sconosciute, così sono state toccate con mano, temati-che familiari scottanti quali l’adozione, l’aiuto a persone in difficoltà che hanno portato poi problemi in famiglia, insom-ma se a casa propria piove, da qualche altra parte diluvia proprio. E questo è stato importante per prendere coscienza dei propri guai e di come attuare questo benedetto perdono, anche con l’esempio altrui. In fondo, “perdonare vuol dire amare. Senza l’amore il perdono non ha né ali né radici. E’ un gesto vuoto di si-gnificato, di pacificazione dolo apparen-te. Perdonare vuol dire ricostruire insie-me su fondamenta solide, penetrare in comunione profonda con l’altro, capire le sue ragioni. Ecco perché il perdono non va mai in una sola direzione: si per-dona e, allo stesso tempo, si è perdonati. Se questo perdono reciproco scaturisce dall’esperienza personale della misericor-dia di Dio allora la coppia entrerà nello spazio di Dio, nella carne di Gesù che abita presso il Padre, nel bacio della ri-conciliazione che è lo Spirito della carità e dell’unità”.

Elisa Mansi

SEGUE DA PAGINA 5

Page 7: Incontro dicembre 2011

PAGINA 7 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Sabato 26 novembre 2011 la Confrater-nita del SS. Nome di Gesù e della B.V. del Monte Carmelo si è recata in visita presso i luoghi di culto più antichi e im-portanti della città di Campagna, per secoli il principale centro economico, amministrativo e religioso della piana del Sele. Di buon mattino, con la guida spiri-tuale di Don Giuseppe Imperato, i con-fratelli, le consorelle e diversi fedeli della comunità ecclesiale di Ravello hanno lasciato la Città della Musica. La prima tappa del pellegrinaggio ha toccato il Santuario di Santa Maria di Avigliano, nel cuore dei Monti Picentini, dove il grup-po è stato accolto dal rettore, Mons. Antonio Cipollaro, che ha brevemente raccontato le vicen-de storiche del fascinoso monu-mento. L'imponente complesso architettonico della chiesa e del convento di S. Maria di Avigliano non sorse nella medesima epoca, ma subì varie modifiche nel corso dei secoli. Originariamente esso era costituito dalla sola chiesa, antichissima, la cui prima notizia risale al 1164. Pare che sia rima-sto così, con qualche piccola abi-tazione per accogliere i pellegri-ni, fino al 1368, quando la con-tessa Isabella d'Apia ebbe facoltà dal Papa Urbano V di costruirvi il convento per i frati minori. Tale convento doveva esse-re di ben modeste proporzioni se nella seconda metà del '500 si avverti la neces-sità di ingrandirlo, dandogli la forma attuale. La chiesa continuò, invece, a subire modifiche, anche successivamen-te, specie nella disposizione degli altari. Tracce delle primitive costruzioni si han-no nella chiesa e sono costituite dalla pregevole acquasantiera all'ingresso, dal-le colonne con capitelli di diverso stile e dalla nicchia della Madonna, tutta lavora-ta in pietra, oltre, naturalmente, alla stessa statua della Madonna. Dopo aver visitato gli ambienti conventuali e il chio-stro, la comitiva si è recata nel centro storico di Campagna, monumentale nel numero delle chiese e degli edifici civili, di cui si ricordano particolarmente la chiesa parrocchiale del SS. Salvatore e S.

Antonino e la Basilica Concattedrale di Santa Maria della Pace, la prima delle quali affidata alla cura di Don Carlo Ma-gna, che per sei anni ha ammirevolmente collaborato con il parroco Don Giuseppe Imperato. Suggestiva la chiesa di Sant’Antonino, luogo di particolare af-fetto per i campagnesi e per intere gene-razioni di devoti, per la presenza in loco della taumaturgica colonna, alla quale erano adagiati posseduti e indemoniati in attesa di essere liberati per intercessione del santo abate, secondo la tradizione nativo proprio di Campagna, poi monaco presso l’Archisterio di Montecassino ed

infine, al tempo delle prime incursioni longobarde, rifugiatosi nella penisola sorrentina, ove fondò, con S. Catello, un eremo sul Monte Aureo. Presso la chiesa campagnese ha sede anche la Venerabile Confraternita di S. Maria della Neve, sorta verosimilmente nel 1258, e le cui vicende sono state raccontate in una re-cente pubblicazione da un altro amico di Ravello, lo storico Maurizio Ulino. Il Priore della Confraternita, Gerardo Ga-gliardi, ha avuto la cortesia di guidarci in un luogo assai suggestivo al di sopra del corpo della chiesa, che accoglie le statue di Sant’ Antonino, in argento, e di San Francesco di Paola, altro santo tanto caro all’Italia del Sud. Poco distante dalla chiesa di Sant’Antonino, attraverso alcu-ne viuzze lastricate, si intravede l’imponente mole della Basilica di Santa Maria della Pace, al di sotto della quale ha sede la Confraternita del Monte dei

Morti e della B.V. del Carmine. Presso la chiesa confraternale, Don Giuseppe Imperato ha presieduto la Santa Messa, ultima dell’anno liturgico, concelebrata da Don Carlo Magna e da Don Antonio Cipollaro. Nell’omelia il celebrante ha ricordato il significato dell’anno liturgico della Chiesa, che rivive il mistero di Cri-sto, Signore del tempo e della storia. Al termine della celebrazione è stato sancito formalmente, attraverso la sottoscrizione di una pergamena, il gemellaggio tra la Confraternita del Monte dei Morti e della B.V. del Carmelo di Campagna e quella del SS. Nome di Gesù e della B.V.

del Monte Carmelo di Ravel-lo. I due priori, Giacomo Aiello e Giovanni Apicella, si sono impegnati a mantenere costanti e cordiali i rapporti, per meglio vivere cristiana-mente i tempi attuali e per testimoniare la fede e pratica-re la carità nelle rispettive comunità. Il sodalizio campa-gnese ha voluto, infine, risto-rare il gruppo ravellese con un abbondante rinfresco.Al ter-mine del pranzo, la comitiva ha voluto omaggiare Don Car-lo Magna di un dono, a testi-

monianza dell’affetto che la comunità nutre per il nuovo parroco di Campagna. Nel ringraziare per il regalo ricevuto, Don Carlo ha ricordato con grande emo-zione il suo legame con Ravello e col suo Santo Patrono Pantaleone, martirizzato il 27 luglio, giorno della sua nascita, e ha voluto leggere una lettera di Mons. Giu-seppe Maria Palatucci, il frate di Montel-la, rettore del Collegio Serafico di Ravel-lo nel 1923 e poi Vescovo di Campagna dal 1937. Nel pomeriggio, prima di la-sciare il suolo campagnese, il gruppo ravellese ha fatto una sosta presso l’Oasi di S. Michele Arcangelo, istituita presso la Parrocchia di S. Maria Nova, e adibita a Parco per esercizi spirituali con Via Crucis, Via Lucis, Via Angelica, Via Ma-ter. Dispone anche di vari ostelli per complessivi cento posti letto con cucine per l'autogestione.

Continua a pagina 8

La Confraternita rinsalda i rapporti di Ravello con Campagna

Page 8: Incontro dicembre 2011

PAGINA 8 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Il responsabile dell’Oasi, che ci ha accol-to con grande calore, è Don Marcello Stanzione, uno dei massimi esperti inter-nazionali di Angelologia e rifondatore della Milizia di San Michele Arcangelo per la retta diffusione della devozione cattolica ai Santi Angeli. Nella sua par-rocchia ha creato un Centro di Angelo-logia, dotato di Biblioteca e Centro Do-cumentazione, la Mostra permanente sulla devozione agli Angeli e il Centro di spiritualità “Oasi di San Michele” per campi scuola, ritiri e convegni. Ogni anno, l’1 ed il 2 giugno, organizza e pre-siede il Meeting Nazionale di Angelologi-a. Scrittore prolifico, conta quasi un cen-tinaio di pubblicazioni sull’argomento. Ha studiato Teologia alla Pontifica Uni-versità Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli, Dottrina Sociale della Chiesa alla Pontifica Università Lateranense, Catechetica alla Pontifica Università Sa-lesiana, dove ha avuto come insegnante il cardinale Tarcisio Bertone, Spiritualità al Pontificio Ateneo Teresianum, Grafolo-gia alla LUMSA e al Pontificio Ateneo San Bonaventura. Gratificati anche da questa fugace esperienza spirituale, ab-biamo lasciato Campagna per raggiunge-re la città di Salerno, addobbata con le caratteristiche luminarie natalizie. Di qui, dopo un breve tratto autostradale, abbiamo raggiunto l’agro nocerino e poi, attraverso il valico di Chiunzi, siamo ritornati alle nostre case, fiduciosi che le diverse esperienze vissute possano con-tribuire in maniera edificante alla forma-zione di un laicato cattolico di adulti nella fede e di coraggiosi testimoni del tempo presente.

Salvatore Amato

Lo scorso 25 novembre si è svolta a Ra-vello la giornata della memoria, voluta dalla’Amministrazione comunale e dall’Istituto Comprensivo di Ravello e supportata per quanto riguardava la parte più propriamente scientifica dall’Associazione Ravello Nostra. Il tema della giornata ha riguardato il recupero della memoria documentaria e storica delle difese sul Monte Brusara, comune-mente indicate come i “torrioni di Frat-ta”. Il recupero della memoria di un luo-go è di per sé un fatto importante soprat-tutto per le giovani generazioni e lo è ancora di più se in quel luogo si è com-battuto per la libertà della propria terra. Oggi accade molto spesso che si vive senza memoria, si concede estrema im-portanza al presente e al futuro ma il passato viene considerato qualcosa che spetta ai nostalgici e ai sentimentalisti. La nostra società sembra essere colpita da una di quelle malattie neurologiche che fanno dimenticare le vita e le esperienze fatte e permettono il ricordo solo di ciò è accaduto da poco, la memoria a breve termine; infatti pochi sono i giovani che sanno il perché del nome di un luogo o episodi storici che si sono verificati in un dato posto. Per questo motivo il voler iniziare un percorso di riscoperta del luogo dove si vive e volerlo iniziare da un posto dove si è combattuto per la propria libertà ha un significato ancora più grande: la conoscenza e la libertà vanno a braccetto, si può essere liberi solo se si conosce. La giornata della me-moria per questi motivi deve essere vis-suta come l’inizio del percorso della riappropriazione dell’identità locale. Riappropriarsi della propria identità po-trebbe apparire un paradosso in un mon-do dove la globalizzazione è il fenomeno sociale più ricorrente e può anche essere inteso come un pericoloso precedente alla diffidenza verso la diversità. Ed inve-ce sta proprio in questo processo di ri-conoscenza l’arma più forte contro le varie tipologie di razzismo, perché solo se conosco la mia identità, le mie unicità e i miei punti di forza e di debolezza sarò in grado di avviare lo stesso processo nei confronti di chi mi appare diverso. La conoscenza non genera paura dell’altro ma avvia un’integrazione consapevole

delle tante diversità che possiamo incon-trare nella nostra vita. Il programma della giornata è stato molto fitto e dopo un momento di sosta nella Chiesa di S. Francesco per venerare la tomba del Beato Bonaventura, i ragazzi dell’Istituto Comprensivo di Ravello e Scala si sono ritrovati nell’auditorium Niemeyer per avviare i lavori della giornata. C’è stata la proclamazione del Consiglio Comunale dei ragazzi che è uno strumento parteci-pativo alla vita amministrativa da parte della componente giovane del paese e l’intitolazione a Nevile Reid delle scuole elementari e la conferma di quella a Ma-rino Frezza della scuola media. Poi si è passati alla presentazione dei lavori pre-parati dai ragazzi proprio sulla riscoperta delle difese del Monte Brusara. E’ stato interessante notare come la fantasia degli alunni guidati dai loro docenti ha saputo trarre spunto dalla realtà storica degli episodi accaduti in occasione del doppio attacco pisano del 1135 e 1137 per arri-vare ad immaginare storie fatte di dame e cavalieri, di fantasmi buoni che rivivono dalle pietre ancora esistenti e che sono poi l’anima del luogo, lo spirito a cui è affidata la memoria. La rappresentazione organizzata dai ragazzi, infatti, sembrava voler evidenziare un passaggio: il passag-gio del ricordo dalle pietre che per secoli lo hanno custodito, anche a dispetto del poco interesse di molte generazioni, agli uomini che da questo momento si fanno custodi non solo della memoria di un luogo o di un evento ma anche delle te-stimonianze architettoniche che in quel luogo sono conservate. Ecco se proprio si deve pensare al “cavaliere Angelo” che la fantasia dei ragazzi ha voluto creare come anima di quei luoghi, ora si può dire che non c’è bisogno più che sorvegli ancora la torre della difesa perché altri ne sorveglieranno la ricchezza storica e simbolica di quel luogo. Nella seconda parte della mattinata gli interventi storici e topografici curati dall’Associazione Ravello Nostra, la cui missione si realizza anche in iniziative come questa dove c’è la valorizzazione della memoria della propria storia soprattutto tra i giovani, hanno condotto i ragazzi e gli adulti pre-senti alla conoscenza di particolari im-portanti del castrum medievale pre-

SEGUE DA PAGINA 7 Cronaca della Giornata della Memoria

Page 9: Incontro dicembre 2011

PAGINA 9 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

castrum medievale presente sul Monte Brusara. A conclusione della mattinata si è svolto un altro momento fondamenta-le: la scopertura della lapide con i nomi dei caduti ravellesi nelle due Guerre Mondiali presso il Sacrario di Piazza Fon-tana. La libertà per cui si è combattuto su Monte Brusara è la stessa che ha spinto tanti figli della nostra terra a combattere per difenderla. I nomi, le età dei caduti e la frase che chiude la lapide con cui si auspica che nessun altro nome sia mai aggiunto a questo elenco fanno sempre di più capire come ciò che diceva Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, parafrasando un detto latino “si vis pacem, para pa-cem”, “se vuoi la pace prepara la pace, sia la strada affinchè nessuno più debba pian-gere morti di giovani o adulti caduti in guerra. Il pomeriggio, invece, è stato dedicato alla messa in sito della targa che indica il sentiero che dalla via comunale, inerpicandosi tra i castagneti, conduce alle difese di Fratta ed è stato incorag-giante per il futuro del nostro paese ve-dere l’entusiasmo dei ragazzi che sono arrivati a piedi fino al punto dell’apposizione e poi continuare fin so-pra la montagna per ritornare a guardare con occhi nuovi ciò che era stato spiegato in mattinata e riconoscere nei resti delle torri i vari posti di difesa utilizzati per fronteggiare l’attacco. La giornata si è conclusa con il primo consiglio comunale dei ragazzi, che han-no presentato il loro documento pro-grammatico e con il concerto di musiche scritte ed ispirate al Risorgimento esegui-to dal Coro Intercostiero di Tramonti.

Maria Carla Sorrentino

Rivivendo la magia del Natale

Diciannove Dicembre, forse venti. La stanza manda ancora di odore di buono, di una pietanza di cui ho un ricordo vago e che sembra aver impregnato le pareti ed essersi presa l’anima degli oggetti che sono intorno. Non siamo in salotto, la stanza scelta è meno vistosa, anche un po’ confusionaria, e forse così bella pro-prio per questo, io sono appoggiata su uno dei due lettini che arredano lo spazio in cui consumiamo l’attesa , l’ altro letto mi sta di fronte come un capodoglio are-

nato, con il suo dorso di coperte che lo rendono altissimo. La stanza e’ ancora affollata di parenti: è una folla buona, che di solito si accompagna a nastri luci-di, a buste con pane fragrante, a racconti nuovi, di città e, soprattutto, tutto sem-bra ancora perfetto e i ricordi non hanno ancora preso il posto dei gesti e dei sorri-si. Il pomeriggio è terso e gelido, qualco-sa che non capiterà poi così spesso negli anni a venire, quando contandoci, sare-mo sempre di meno . Mancano pochi giorni al Natale e intorno c’è un’ansia strana, come se l’aria sprizzasse elettrici-tà. Improvvisamente i miei occhi vanno verso l’altro letto,sotto c’è qualcosa, qualcosa che attira la mia attenzione. Sbircio senza che gli altri si accorgano della direzione del mio sguardo: sotto le coperte, malamente nascosto, spunta un angolo rosa, no è un’orecchia fucsia, di cartone. Sembra l’inizio di un pacco, di un pacco dai colori sgargianti. La stanza è ancora troppo piena perché possa abbas-sarmi sul pavimento,e approfittando del-la lontananza, scoprire se il mio desiderio è stato già esaudito Nella mia mente si affollano tante idee, ho la fortuna di esse-re stata abituata a credere in leggendarie figure vestite di rosso che recapitano regali dal freddo nord, in nodose vec-chiette doloranti a cui la notte del cin-que gennaio va lasciato un piatto di pasta sulla tavola. Sono stata abituata all’ansia che arriva come un morso la mattina del 25 dicembre o quella del 6 gennaio, quando quello stesso piatto è come un territorio conquistato, consumato in fret-ta e disordinatamente, con tracce sparse ovunque, come caduti al fronte. Io ho questa fortuna, però quell’orecchia fucsia è una sirena e mi sta chiamando. Stanno per lasciarmi sola, lo intuisco dai discor-si,dalle cose che ci sono ancora da prepa-rare , io fingo di stare buona sul lettino ad ascoltarli: di fronte, dall’altra parte, si là sotto,sotto il materasso che mi sem-bra un forziere, sotto la coperta che pare un sipario, là sotto c’è la risposta ai miei dubbi o la conferma ai miei sogni. Si, stanno per uscire, vanno via: è il mio momento. Lascio che escano uno alla volta, i paren-ti, mio padre, aspetto di avvertire la dis-solvenza delle voci, testimonianza diretta dell’allontanamento. Sto attenta a non fare rumore,socchiudo la porta, mi sten-

do sul pavimento, fa freddo,non impor-ta .Allungo la mano al lembo della coper-ta, ci sono quasi, la sollevo,sto per svela-re il segreto: l’orecchia fucsia si prolunga in un corpo rigido, il corpo rigido è volu-minoso e sembra avere un nome, perché riesco ad individuare una B scura, poi anche una A, dettagli inconfondibili per una bambina. Poi la missione si infrange, la voce di mio padre arriva puntuale: “ Emilia, vie-ni, dobbiamo andare”. Abbasso il lembo della coperta velocemente, mi alzo di scatto, vado via, lanciando un ultimo sguardo al tesoro e alla mappa di circo-stanze che mi hanno aiutata a raggiunger-lo. Ricordo perfettamente quel pomeriggio di dicembre ed il regalo, quello vero, che non era in quel pacco: mio padre sempli-cemente chiamandomi per nome, ed intuendo forse il segreto che celava la direzione del mio sguardo, aveva deciso di proteggere il mio sogno ancora per un po’, di far si che non fosse quello il mo-mento di scoprire che non ci sono uomi-ni che arrivano dal nord per elargire doni, o vecchiette affamate che hanno bisogno di riposo. Molto tempo dopo sono stata in grado di ricostruire il puzzle di quei giorni:a Natale di quell’ anno il mio regalo fu la casa di Barbie con ascen-sore, il pacco enorme giustificava il con-tenuto, altrettanto enorme, uno scatolo-ne fucsia con la scritta in nero. Non ci pensai quell’anno, non che fosse possibile che Babbo Natale scegliesse il letto a casa di mia nonna come deposito momentane-o, non in quel momento, io ero felice e basta, avevo il mio regalo, la spensiera-tezza protetta e di acciaio che hanno tutti i bambini in quei giorni di luci e pecorelle di plastica, di muschio appallot-tolato negli angoli delle case e odore di sughero, di bombolette di neve spray. Perché è questa forse la missione più bella del Natale, il suo senso più vero: non spegnere i sogni dei bambini, di pro-teggerli come fossero fatti di cristallo, di lottare per questo fino a quando è possi-bile, di lasciare loro tutta la magia, di non sciupare i segreti perché poi la vita riuscirà troppo spesso in quell’intento. Di lasciare accesi i sogni come fossero le luci sull’abete. Di continuare a credere come fanno loro. E di stupirsi.

Emilia Filocamo

Page 10: Incontro dicembre 2011

PAGINA 10 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Il cinque di Dicembre, ricorrono dieci anni dalla morte di padre Andrea Sorren-tino (1914-2001). Ognuno nella vita ha provato l’esperienza spiacevole del di-stacco da una persona cara, un vuoto incolmabile che lascia turbati. La stessa sofferenza noi tutti abbiamo provato quando padre Andrea ci ha lasciati. La certezza che ormai padre Andrea gode già della visione di Dio e da lassù conti-nua ad intercedere e a custodirci, i suoi insegnamenti, i ricordi della sua opera pastorale hanno trasformato il dolore per il distacco in una pace interiore, densa di affetto. Tessere l’elogio di padre Andrea, non è impresa facile. Sono molti i ricordi che ha lasciato. La sua passione per la squadra del Milan. Questa stessa passione la condivideva con mio padre ed ancora ricordo le discussioni calcistiche tra i due che potevano durare ore. Anche da lon-tano, quando padre Andrea è stato Cam-pagna, segretario di Mons Palutucci, o a Vallo della Lucania, si ricordava del suo amico e gli inviava cartoline affettuose, senza dimenticare la loro comune passio-ne. Francescano autentico, sacerdote zelante, padre Andrea, lo ricordiamo sempre con un sorriso sulle labbra, anche da lontano lasciava trasparire la sua “francescana letizia” pronto ad accogliere tutti e a dare consigli per la crescita della vita interiore. Sulle orme del Beato Bonaventura da Potenza, anch’egli è stato missionario per le strade della nostra ridente cittadina, con passo felpato, con la gioia di sempre, per tante e tante Do-meniche si avviava verso Sambuco per la Celebrazione Eucaristica. Gli abitanti di quel borgo lo ricorderanno e dovranno conservare verso di lui perenne gratitudi-ne. Apostolo della carità, credo che co-me il Beato , padre Andrea abbia visitato tutte le famiglie di Ravello. Come un Angelo custode, egli era vicino soprattut-to alle famiglie in difficoltà, nelle case dove c’erano persone ammalate. Con non poca commozione ricordo quando veniva a fare visita alla mia nonna Emilia, nell’ultimo anno della sua vita, ormai paralizzata, e ricordo di come il viso della nonna si rasserenasse alla sua presenza. Profittavo di quei momenti per ascoltare

parole di conforto, ma anche suoi sugge-rimenti che sono stati e sono per me un grande dono. In questo periodo storico che stiamo vivendo in cui tutto è ammes-so, tutto è lecito, in cui l’uomo sembra fare a meno di Dio e del suo Amore per noi, in cui non è di moda la parola “peccato”, mi vengono in mente le parole di padre Andrea, egli esortava a fare spesso l’esame di coscienza, consigliava di essere vigili nell’ascolto della Parola, nella preghiera, cercando di tenere a bada le tentazioni del demonio che sce-glie tutte le strade per allontanarci da Dio. Mi sembra di averlo davanti agli occhi quando diceva:“la maggioranza delle persone è convinta che il diavolo non esiste, invece esiste ed opera . Tocca a noi figli di Dio che abbiamo ricevuto il Battesimo contrastarlo con le opere buo-ne, facendo vincere il Bene, l’Amore, per poter dire al Separatore: “non ti illu-dere, non vincerai mai!”. Non si stancava mai padre Andrea di esortare alla pre-ghiera e se nella discussione gli si faceva notare la mancanza di tempo necessario, “nello scorrere della giornata sono tante le cose da fare!”, egli prontamente ti dava un consiglio: “ si può imparare a pregare e a stare in Comunione con il Signore, anche lavorando e facendo altre cose, basta essere concentrati sulla presenza di Gesù”. Confesso che anche questo è stato un dono prezioso, da allora, un po’ alla volta, ho imparato a raffinare questa pra-tica e molto spesso, riesco a pregare mentre faccio altre cose. La corona cele-ste con la quale padre Andrea ha pregato negli ultimi giorni della sua vita, è stata regalata a mia sorella Emilia, che l’ha raggiunto in Paradiso, esattamente un anno dopo. Adesso la corona è alla testa del mio letto a ricordarmi la Comunione dei Santi, il legame tra me ed i miei cari defunti, tra me ed un maestro di vita spirituale che ha segnato i primi passi del cammino di un’anima alla ricerca dell’Amore di Dio. Senza contare che la corona di padre Andrea mi ricorda quo-tidianamente i miei impegni di battezza-ta.

Giulia Schiavo

Quando mi è stato chiesto un ricordo su Padre Andrea Sorrentino a 10 anni dalla sua scomparsa, mi sono meravigliata ad aver pensato che fosse passato tanto tem-po ma non se ne avvertisse il peso di que-sta assenza e si provasse solo la malinco-nia di entrare nella Chiesa di S. Francesco e non trovarlo indaffarato a risistemare gli arredi sacri. Questo sentire non è sintomo di una non importanza di Padre Andrea ma della sua capacità di aver ben seminato ciò che aveva scelto come rego-la della sua vita e che rivive in quelli che l’hanno conosciuto. La sua vicinanza è nei singoli gesti che ognuno compie an-che involontariamente e che provengono dai suoi insegnamenti. Ricordo che i pri-mi incontri con Padre Andrea sono avve-nuti alla scuola elementare, quando gira-va settimanalmente nelle varie classi con un piccolo armonio che ormai sentiva il peso degli anni e soprattutto dei tanti spostamenti a cui era sottoposto, e veni-va ad insegnarci i canti che poi dovevano animare le celebrazioni liturgiche. La gioia e la disponibilità che aveva nei con-fronti anche dei più ostinati, che si rifiu-tavano di cantare con la precisione che richiedeva a tutti, caratterizzavano questi incontri. Neanche davanti alle stonature più forti Padre Andrea si perdeva d’animo ma invogliava ad andare avanti per migliorarsi. E così anche a distanza di anni, dopo che gli incontri alle scuole elementari erano solo un ricordo, inevi-tabilmente, quando una celebrazione liturgica particolarmente solenne lo ri-chiedeva, ci ritrovavamo tutti sulla chiesa di S. Francesco qualche giorno prima per proporre a Padre Andrea una messa che

Testimonianze su P. Andrea Sorrentino nel decimo anniversario della sua nascita al cielo

Page 11: Incontro dicembre 2011

PAGINA 11 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

lui sicuramente già conosceva e poteva farci cantare con i soliti saggi consigli. L’appuntamento per le prove era nella sacrestia, dove accanto alla finestra che si apre su uno dei più bei panorami di Ra-vello, un vecchio armonio che permette-va la trasposizione delle tonalità spostan-do l’intera tastiera aiutava a migliorare le ultime imprecisioni. E poi l’inevitabile sorriso di Padre Andrea che ci spingeva a continuare, a cantare comunque anche se ci rendevamo conto tutti che ci voleva grande coraggio ad accompagnarci all’organo soprattutto da parte di una persona che nascondeva sotto il velo di umiltà grandi capacità in molti campi. Il tutto veniva condito da un’espressione che mi sembra risuonare ancora ogni volta che canto su S. Francesco: “cantate a fronn e limone”. E ancora il canto che mi fa ricordare che quando venne a man-care Padre Andrea non mi ci volle grande fatica per convincere gli altri ad animare la messa delle esequie, cantando le cose che avevamo appreso da lui. In seguito, ad ogni celebrazione legata ad un mo-mento di festa in quella chiesa, mi ritro-vavo e dopo tanti anni mi ritrovo ancora a chiamare il padre guardiano del mo-mento per chiedere se occorre suonare durante la celebrazione non più all’armonio che usavamo con Padre An-drea e che ormai non aveva più segreti per coloro che collaboravano con lui in quegli anni, compresi i registri e i tasti che ormai per il tempo non funzionavano più, ma ad uno moderno, voluto da Pa-dre Francesco e che permette numerose variazioni del suono. Però anche quest’anno ho avuto la sensazione che Padre Andrea,durante le celebrazioni per l’inaugurazione dell’anno giubilare in occasione del terzo centenario della mor-te di quel Beato Bonaventura, che dopo la confessione domenicale Padre Andrea ci faceva conoscere con la consueta visita alla celletta dove il santo era vissuto, avesse in qualche modo voluto partecipa-re. Dovendo animare la celebrazione solenne del pomeriggio la corale “Cantate Domino” della Cattedrale di Amalfi, al mattino sono salita al convento per poter chiedere di spostare l’armonio moderno dalla consueta posizione e di poterlo mettere dietro all’altare maggiore e di fronte alle tante difficoltà, Padre Antonio

mi ha pro-posto di usare il vec-chio armo-nio di Padre Andrea che si trovava dietro ad una porta e non veniva utilizzato da tantissimi anni. Essendo in corso una celebrazione non ho potuto provare lo strumento che già fun-zionava male ai tempi di Padre Andrea per cui ho dato appuntamento a Padre Antonio nel primo pomeriggio. Quando sono arrivata all’appuntamento, l’armonio era stato già sistemato al posto che avevamo concordato e con grande paura l’ho acceso per provarlo convinta che i problemi sarebbero veramente co-minciati in quel momento e mi sono sor-presa a chiedere a Padre Andrea, che tante volte l’aveva suonato,di farlo anda-re bene. Ecco credo proprio che Padre Andrea abbia voluto ascoltarmi perché l’armonio funzionava e anche i tasti che avevano dato problemi non erano poi messi così male per cui mi sono rivolta ad una corista e le ho spiegato che avevamo avuto in quella chiesa un padre che aveva curato il canto con i ragazzi di tutte le generazioni e che anche quel giorno ave-va voluto che il canto non fosse sminuito dall’accompagnamento del suo strumen-to. Saranno stati anche vani sentimentali-smi ma vi assicuro che mentre cantavamo dietro l’altare accompagnati dall’organo di Padre Andrea mi è sembrato veramen-te che non fosse poi passato tanto tempo da quando lo facevamo guidati dai movi-menti degli occhi di Padre Andrea. Per questo io dico che non si sente il peso della mancanza di Padre Andrea perché il suo stile di vita intesa come servizio, le sue passioni, genuine e sincere, le sue capacità, che faceva vivere come aspetti naturali del carattere umano, vivono ancora oggi e non mi meraviglio che ogni volta che suono a S. Francesco mi ritrovo a dire a coloro che mi aiutano ad animare la celebrazione la stessa frase che Padre Andrea ci ripeteva prima di ogni mes-sa”cantamm a fronn e limone”.

Maria Carla Sorrentino

Salvatore Amato Dottore Magistrale in Gestione e Conservazione del

Patrimonio Archivistico e Librario Nella mattinata di venerdì 25 novembre, presso l’Aula delle lauree “Nicola Cilen-to” dell’Università degli Studi di Salerno, Salvatore Amato è stato proclamato Dot-tore Magistrale in Gestione e conserva-zione del patrimonio archivistico e libra-rio con voto 110 e lode. Dinanzi a paren-ti ed amici, il giovane ravellese ha discus-so la tesi dal titolo “La serie affari generali dell’archivio dell’Università degli Studi di Salerno (1944-1999). L’istituzione dell’Università degli Studi di Salerno” che ha avuto come fine la redazione del pri-mo inventario di una serie archivistica appartenente all’Archivio Generale di Ateneo. L’elaborato, che ha richiesto un anno di lavoro, è stato giudicato molto positivamente dalla commissione esami-natrice che ne ha annunciato la pubblica-zione a cura dell’Università. Il dottor Amato ha così commentato pochi minuti dopo la proclamazione: “questa tappa per me non rappresenta un approdo ma solo uno strappo all’àncora prima che con venti favorevoli la nave cominci a veleg-giare”. Da diversi anni impegnato nella vita culturale cittadina attraverso la par-tecipazione a convegni e a giornate di studio, il novello archivista contribuisce come pochi altri alla conoscenza storica del nostro territorio. Sono i giovani co-me Salvatore, “missionari della memoria” che testimoniano l’amore verso la patria attraverso i loro studi, a costituire un vanto e a dare lustro alla città della musi-ca. Non altri. Daniele Dipino La redazione di “Incontro per una Chiesa Viva” e l’Associazione per le Attività Culturali del Duomo di Ravello rivolgono i migliori auguri al dott. Salvatore Amato che il 25 novembre u.s. ha conse-guito la laurea Magistrale in Gestione e Conserva-zione del Patrimonio Archivistico e Librario, con voti 110 e lode, presso l’Università degli Studi di Salerno. Prima tappa di un cammino che nasce dall’amore per la propria terra, testimoniata da articoli e relazioni sulla storia cittadina, per le radici culturali di una Città che oggi non annovera solo un nuovo laureato ma uno storico meticoloso, un sensibile custode della memoria per il quale già si intravede un futuro radioso al servizio della cultura storica e archivistica, ad maiorem Dei gloriam e ad onore di Ravello.

Page 12: Incontro dicembre 2011

CELEBRAZIONI DEL MESE DI DICEMBRE GIORNI FERIALI Ore 17.00: Santo Rosario Ore 17.30: Santa Messa GIORNI FESTIVI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa

GIOVEDI’ 1-15-22-29 DICEMBRE

Al termine della Santa Messa delle 17.30 Adorazione Eucaristica

4 DICEMBRE - II DOMENICA DI AVVENTO

FESTA DI SANTA BARBARA - COMPATRONA DI RAVELLO

Ore 8.00-10.30: Sante Messe

Ore 18.00: Celebrazione Eucaristica e processione

8 DICEMBRE - Solennità dell’Immacolata Concezione della B.V. Maria

Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe

11 DICEMBRE - III DOMENICA DI AVVENTO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe

13 DICEMBRE - SANTA LUCIA

15 DICEMBRE - INIZIO DELLA NOVENA DI NATALE

Ore 17.00: Santo Rosario, Coroncina, litanie

Ore 17.30: Santa Messa

17 DICEMBRE - presso il Convento S. Francesco:

Giornata di studio: “Il Beato Bonaventura da Potenza:storia, teologia, spiritualità”

18 DICEMBRE - IV DOMENICA DI AVVENTO

Ore 08.00-10.30-18.00: Sante Messe

24 DICEMBRE—VIGILIA DI NATALE

Ore 23.45 Processione con la statua di Gesù Bambino

Ore 24.00:Messa Solenne della Notte

25 DICEMBRE - DOMENICA: SOLENNITA’ DEL NATALE DEL SIGNORE Ore 8.00 - 10.30 -18.00: Sante Messe

26 DICEMBRE: SANTO STEFANO PROTOMARTIRE

27 DICEMBRE - FESTA DI S. GIOVANNI APOSTOLO ED EVANGELISTA

28 DICEMBRE - FESTA DEI SS. INNOCENTI MARTIRI

30 DICEMBRE - Santa Famiglia di Gesù,Maria e Giuseppe - Giornata della Famiglia

Ore 18.00: Santa Messa

31 DICEMBRE

Ore 18.00: Messa di Ringraziamento di fine anno e canto del “Te Deum”