Incontro Novembre 2011

12
Per una Chiesa Viva www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VII - N. 11 – Novembre 2011 Nel mese di novembre dedicato al ricor- do dei defunti siamo invitati a pensare alla meta finale della vita terrena e impa- rare a guardare alla morte con l’occhio di Dio e della fede. Sulla scorta delle limpidissime pagine del Catechismo de- gli Adulti desidero, perciò, proporre alcune essenziali riflessioni su questo ele- mento fondamentale della nostra fede. In ordine ad un argomento importante e scabroso, come questo, possediamo, an- zitutto, un motivo di grande conforto, nelle parole che leggiamo nella lettera inviata dall’apostolo Paolo ai cristiani di Filippi: “La nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Si- gnore Gesù Cristo, il quale trasfi- gurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorio- so, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le co- se” (Fil 3,20-21). Anche nel magistero della Chiesa che afferma « In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo » troviamo lo stimolo a cercare una chiara e convincente risposta alla do- manda di senso che ogni uomo si pone sul significato del morire. E’ facile, infatti, riconoscere la morte corporale come un fenomeno naturale, ma per la fede che attinge la risposta ai sommi problemi dell’esistenza dalla rive- lazione di Dio conservata nelle Sacre Scritture, secondo l’espressione di San Paolo nella lettera ai romani (Rm 6,23), la morte è « il salario del peccato ». E per coloro che vivono in Cristo e con Cristo terminano l’esperienza terrena nella grazia di Cristo, la morte è una par- tecipazione alla morte del Signore, per poter partecipare anche alla sua risurre- zione. Nella luce della rivelazione, dun- que, la morte è conseguenza del pecca- to. Interprete autentico delle affermazio- ni della Sacra Scrittura e della Tradizio- ne, il Magistero della Chiesa insegna che la morte è entrata nel mondo a causa del peccato dell’uomo. Sebbene l’uomo pos- sedesse una natura mortale, Dio lo desti- nava a non morire. La morte fu dunque contraria ai disegni di Dio Creatore ed essa entrò nel mondo come conseguenza del peccato. « La morte corporale, dalla quale l’uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato », è pertanto « l’ultimo nemico » (1 Cor 15,26) dell’uomo a dover essere vinto. La morte è il termine della vita terrena e le nostre vite sono misurate dal tempo, nel corso del quale noi cambiamo, invecchiamo e, come per tutti gli esseri viventi della ter- ra, la morte costituisce la fine normale della vita. E’ questo aspetto della morte che induce a far memoria della nostra mortalità e serve anche a ricordarci che abbiamo soltanto un tempo limitato per realizzare la nostra esistenza come ammoniva il sapido ed arguto autore del Qoelet: « Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza [...] prima che ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e lo spirito torni a Dio che lo ha dato » (Qo 12,1.7). La Parola di Dio che documenta e spiega la storia della nostra salvezza ci insegna anche che la morte ormai è stata trasforma- ta da Cristo. Anche Gesù, il Figlio di Dio, ha subìto la mor- te, propria della condizione umana, e, malgrado la sua ango- scia di fronte ad essa, Egli la assunse in un atto di totale e libera sottomissione alla volontà del Padre suo. In tale modo l’obbedienza di Gesù ha trasfor- mato la maledizione della morte in benedizione. Nella nostra cultura da sempre la morte è guardata con rispetto e timore, perché radicalmente contraria all’istinto di conserva- zione. Oggi, come fenomeno generale, oggetto di attenzione e di curiosità, la morte è diventata qualcosa di banale specialmente quando vediamo in televi- sione continue guerre, disastri, film cre- dibili. Molti evitano di pensarci per scon- giurarla; evitano come un tabù il discorso sulla propria morte e quindi anche la domanda sul senso della propria vita. Come se non ci riguardasse da vicino! Continua a pagina 2 La visione cristiana della morte P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

description

Incontro Periodico Chiesa Ravello

Transcript of Incontro Novembre 2011

Per una Chiesa Viva

www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VII - N. 11 – Novembre 2011

Nel mese di novembre dedicato al ricor-do dei defunti siamo invitati a pensare alla meta finale della vita terrena e impa-rare a guardare alla morte con l’occhio di Dio e della fede. Sulla scorta delle limpidissime pagine del Catechismo de-gli Adulti desidero, perciò, proporre alcune essenziali riflessioni su questo ele-mento fondamentale della nostra fede. In ordine ad un argomento importante e scabroso, come questo, possediamo, an-zitutto, un motivo di grande conforto, nelle parole che leggiamo nella lettera inviata dall’apostolo Paolo ai cristiani di Filippi: “La nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Si-gnore Gesù Cristo, il quale trasfi-gurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorio-so, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le co-se” (Fil 3,20-21). Anche nel magistero della Chiesa che afferma « In faccia alla morte l’enigma della condizione umana diventa sommo » troviamo lo stimolo a cercare una chiara e convincente risposta alla do-manda di senso che ogni uomo si pone sul significato del morire. E’ facile, infatti, riconoscere la morte corporale come un fenomeno naturale, ma per la fede che attinge la risposta ai sommi problemi dell’esistenza dalla rive-lazione di Dio conservata nelle Sacre Scritture, secondo l’espressione di San Paolo nella lettera ai romani (Rm 6,23), la morte è « il salario del peccato ». E per coloro che vivono in Cristo e con Cristo terminano l’esperienza terrena nella grazia di Cristo, la morte è una par-

tecipazione alla morte del Signore, per poter partecipare anche alla sua risurre-zione. Nella luce della rivelazione, dun-que, la morte è conseguenza del pecca-to. Interprete autentico delle affermazio-ni della Sacra Scrittura e della Tradizio-ne, il Magistero della Chiesa insegna che la morte è entrata nel mondo a causa del peccato dell’uomo. Sebbene l’uomo pos-sedesse una natura mortale, Dio lo desti-nava a non morire. La morte fu dunque contraria ai disegni di Dio Creatore ed

essa entrò nel mondo come conseguenza del peccato. « La morte corporale, dalla quale l’uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato », è pertanto « l’ultimo nemico » (1 Cor 15,26) dell’uomo a dover essere vinto. La morte è il termine della vita terrena e le nostre vite sono misurate dal tempo, nel corso del quale noi cambiamo, invecchiamo e, come per tutti gli esseri viventi della ter-ra, la morte costituisce la fine normale

della vita. E’ questo aspetto della morte che induce a far memoria della nostra mortalità e serve anche a ricordarci che abbiamo soltanto un tempo limitato per realizzare la nostra esistenza come ammoniva il sapido ed arguto autore del Qoelet: « Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza [...] prima che ritorni la polvere alla terra, com’era prima, e lo spirito torni a Dio che lo ha dato » (Qo 12,1.7).

La Parola di Dio che documenta e spiega la storia della nostra salvezza ci insegna anche che la morte ormai è stata trasforma-ta da Cristo. Anche Gesù, il Figlio di Dio, ha subìto la mor-te, propria della condizione umana, e, malgrado la sua ango-scia di fronte ad essa, Egli la assunse in un atto di totale e libera sottomissione alla volontà del Padre suo. In tale modo l’obbedienza di Gesù ha trasfor-mato la maledizione della morte in benedizione. Nella nostra cultura da sempre la morte è guardata con rispetto e timore, perché radicalmente contraria all’istinto di conserva-

zione. Oggi, come fenomeno generale, oggetto di attenzione e di curiosità, la morte è diventata qualcosa di banale specialmente quando vediamo in televi-sione continue guerre, disastri, film cre-dibili. Molti evitano di pensarci per scon-giurarla; evitano come un tabù il discorso sulla propria morte e quindi anche la domanda sul senso della propria vita. Come se non ci riguardasse da vicino! Continua a pagina 2

La visione cristiana della morte

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

PAGINA 2 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Quanto all’aldilà, circolano molti dubbi. Numerose persone, pur credendo in Dio, dichiarano di non credere nella so-pravvivenza, nella risurrezione, nel para-diso, nell’inferno. Ci si preoccupa più della sofferenza, che di solito precede la morte, che non delle realtà che vengono dopo di essa. Si considera addirittura preferibile una morte improvvisa, non consapevole. Il vero cristiano, invece, consapevole del significato del esistenza dovrebbe desiderare innanzitutto di ren-dere preziosa la propria morte. Ci domandiamo quindi: ha un senso la morte, o meglio l’uomo che muore? All’apparenza sembrerebbe di no. L’uomo è tutto un desiderio di vivere e con tutto se stesso rifiuta la morte, nono-stante essa si avvicina inesorabile. La caducità,purtroppo, ci appartiene per natura. In un certo senso si comincia a morire quando si comincia a vivere, e si finisce di morire quando si finisce di vi-vere: le cellule dell’organismo si invec-chiano, si perdono e non tutte vengono reintegrate; le esperienze personali si consumano in fretta. “L’uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquie-tudine, come un fiore spunta e avvizzi-sce, fugge come l’ombra e mai si fer-ma” (Gb 14,1-2). Prima o poi, improvvi-sa o preceduta da intensa sofferenza, arriva la morte. La persona sembra svani-re nel nulla. Il desiderio insopprimibile di vivere sembra votato al fallimento. Di qui senso di smarrimento e di impotenza, angoscia. “Sono prigioniero senza scam-po; si consumano i miei occhi nel pati-re” (Sal 88,9-10). Anche se la caducità è naturale, la morte, vissuta come solitudi-ne angosciosa e impotente, non rientra nel disegno della creazione: “Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi” (Sap 1,13). Appartiene invece alla condizione storica dell’umanità peccatrice, alienata dalla originaria comunione con Dio: “il pecca-to è entrato nel mondo e con il peccato la morte” (Rm 5,12). Da qui derivano il suo carattere di violenza e di minaccia, il suo pungiglione velenoso. Gesù, pur essendo senza peccato, ha preso su di sé la comune condizione u-mana. Ha provato “paura e angoscia” (Mc

14,33), “con forti grida e lacrime” (Eb 5,7). Ma si è abbandonato con fiducia alla volontà del Padre, ha offerto tutto se stesso per il bene degli uomini. Ha fatto del suo morire un atto personale pieno di senso. La risurrezione ha rivelato la fe-condità della sua dedizione e ha dato solido fondamento alla speranza dei cre-denti. La sua testimonianza li provoca a seguirlo, fiduciosi nel Padre onnipotente e misericordioso, pieni di amore per i fratelli, pronti a credere nella vita fin dentro le tenebre della morte. Il cristia-no teme la morte come tutti gli uomini, come Gesù stesso. La fede non ci libera dalla condizione mortale. Tuttavia sa di non essere più solo. Obbediente all’ultima chiamata del Padre, associato a Cristo crocifisso e risorto, confortato dallo Spirito Santo, può vincere l’angoscia, a volte perfino cambiarla in gioia. Può esclamare con l’apostolo Pao-lo: “La morte è stata ingoiata per la vitto-ria. Dov’è, o morte, la tua vitto-ria?” (1Cor 15,54-55). Allora la morte assume il significato di un supremo atto di fiducia nella vita e di amore a Dio e a tutti gli uomini. Il morente è una perso-na e il morire un atto personale, non solo un fatto biologico. Esige soprattutto una compagnia amica,la comunità di fede, il sostegno dell’altrui fede, speranza e cari-tà. Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo. « Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno » (Fil 1,21). « Certa è questa parola: se moria-mo con lui, vivremo anche con lui » (2 Tm2,11). Qui sta la novità essenziale della morte cristiana espressa in modo impareggiabile nella liturgia della Chiesa che prega dicendo: « Ai tuoi fedeli, Si-gnore, la vita non è tolta, ma trasforma-ta; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo ».

Don Giuseppe Imperato

Morte e paradiso secondo Ersilio Tonini

Lo stupore del cardinale

“La morte è un ritorno a Dio e sarà anche il momento in cui avremo la comprensione del tutto. E avremo lo stupore, che è la cosa più bella”

Di fronte alla morte «l’uomo ha bisogno di eternità e ogni altra speranza per lui è troppo breve, troppo limitata». Lo ha detto il Papa all’udienza generale di mercoledì novembre commemorazione di tutti i defunti, proponen-do ai fedeli presenti nell’Aula Paolo VI alcuni pensieri sulla realtà della morte. Cari fratelli e sorelle! Dopo avere celebrato la Solennità di Tut-ti i Santi, la Chiesa ci invita oggi a com-memorare tutti i fedeli defunti, a volgere il nostro sguardo a tanti volti che ci han-no preceduto e che hanno concluso il cammino terreno.

Nell’Udienza di questo giorno, allora, vorrei proporvi alcuni semplici pensieri sulla realtà della morte, che per noi cri-stiani e illuminata dalla Risurrezione di Cristo, e per rinnovare la nostra fede nella vita eterna. Come già dicevo ieri all’Angelus, in que-sti giorni ci si reca al cimitero per prega-re per le persone care che ci hanno la-sciato, quasi un andare a visitarle per esprimere loro, ancora una volta, il no-stro affetto, per sentirle ancora vicine, ricordando anche, in questo modo, un articolo del Credo: nella comunione dei santi c’e uno stretto legame tra noi che camminiamo ancora su questa terra e tanti fratelli e sorelle che hanno già rag-giunto l’eternità. Da sempre l’uomo si è preoccupato dei suoi morti e ha cercato di dare loro una s o r t a d i s e c o n d a v i t a attraverso l’attenzione, la cura, l’affetto.

SEGUE DALLA PRIMA L'uomo ha bisogno di eternità

PAGINA 3 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

In un certo modo si vuole conservare la loro esperienza di vita; e, paradossalmen-te, come essi hanno vissuto, che cosa hanno amato, che cosa hanno temuto, che cosa hanno sperato e che cosa hanno detestato, noi lo scopriamo proprio dalle tombe, davanti alle quali si affollano ri-cordi. Esse sono quasi uno specchio del loro mondo. Perche e cosi? Perchè, nonostante la morte sia spesso un tema quasi proibito nella nostra società, e vi sia il tentativo continuo di levare dalla nostra mente il solo pensiero della morte, essa riguarda ciascuno di noi, riguarda l’uomo di ogni tempo e di ogni spazio. E davanti a que-sto mistero tutti, anche inconsciamente, cerchiamo qualcosa che ci inviti a sperare, un segnale che ci dia conso-lazione e offra ancora un futuro. La strada della morte, in realtà, è una via della speranza e percorrere i nostri cimiteri, come pure leggere le scritte sulle tombe è compiere un cammino segnato dalla speranza di eternità. Ma ci chiediamo: perchè proviamo timore davanti alla morte? Perché l’umanità, in una sua larga parte, mai si è rassegnata a credere che al di là di essa non vi sia semplicemente il nulla? Direi che le risposte sono molteplici: abbiamo timore davanti alla morte per-chè abbiamo paura del nulla, di questo partire verso qualcosa che non conoscia-mo, che ci è ignoto. E allora c’è in noi un senso di rifiuto perchè non possiamo accettare che tutto ciò che di bello e di grande è stato realizzato durante un’intera esistenza, venga improvvisa-mente cancellato, cada nell’abisso del nulla. Soprattutto noi sentiamo che l’amore richiama e chiede eternità e non è possibile accettare che esso venga di-strutto dalla morte in un solo momento. Ancora, abbiamo timore davanti alla morte perchè, quando ci troviamo verso la fine dell’esistenza, c’è la percezione che vi sia un giudizio sulle nostre azioni, su come abbiamo condotto la nostra vita, soprattutto su quei punti d’ombra che, con abilità, sappiamo spesso rimuovere o tentiamo rimuovere dalla nostra coscien-za. Direi che proprio la questione del giudizio è spesso sottesa alla cura dell’uomo di tutti i tempi per i defunti, all’attenzione verso le persone che sono

state significative per lui e che non gli sono più accanto nel cammino della vita terrena. In un certo senso i gesti di affet-to, di amore che circondano il defunto, sono un modo per proteggerlo nella con-vinzione che essi non rimangano senza effetto sul giudizio. Questo lo possiamo cogliere nella maggior parte delle carat-terizzano la storia dell’uomo. Oggi il mondo e diventato, almeno appa-rentemente, molto più razionale, o me-glio, si è diffusa la tendenza a pensare che ogni realtà debba essere affrontata con i criteri della scienza sperimentale, e che anche alla grande questione della morte si debba rispondere non tanto con la fe-de, ma partendo da conoscenze speri-

mentabili, empiriche. Non ci si rende sufficientemente conto, però, che pro-prio in questo modo si è finiti per cadere in forme di spiritismo, nel tentativo di avere un qualche contatto con il mondo al di là della morte, quasi immaginando che vi sia una realtà che, alla fine, sareb-be una copia di quella presente. Cari amici, la solennità di tutti i Santi e la Commemorazione di tutti i fedeli defunti ci dicono che solamente chi può ricono-scere una grande speranza nella morte, può anche vivere una vita a partire dalla speranza. Se noi riduciamo l’uomo esclu-sivamente alla sua dimensione orizzonta-le, a ciò che si può percepire empirica-mente, la stessa vita perde il suo senso profondo. L’uomo ha bisogno di eternità ed ogni altra speranza per lui e troppo breve, e troppo limitata. L’uomo è spie-gabile solamente se c’è un Amore che superi ogni isolamento, anche quello della morte, in una totalità che trascenda anche lo spazio e il tempo. L’uomo è spiegabile, trova il suo senso più profon-do, solamente se c’e Dio. E noi sappiamo che Dio è uscito dalla sua lontananza e si

e fatto vicino, è entrato nella nostra vita e ci dice: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in me non morirà in eterno” (Gv 11, 25-26). Pensiamo un momento alla scena del Calvario e riascoltiamo le parole che Gesù, dall’alto della Croce, rivolge al malfattore crocifisso alla sua destra: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso” (LC 23, 43). Pensiamo ai due discepoli sulla strada di Emmaus, quan-do, dopo aver percorso un tratto di stra-da con Gesù Risorto, lo riconoscono e partono senza indugio verso Gerusalem-me per annunciare la Risurrezione del Signore (cfr. LC 24, 13-35). Alla mente

ritornano con rinnovata chiarezza le parole del Maestro: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no non vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? (Gv 14, 1-2). Dio si e veramente mostrato, e diventato accessibile, ha tanto amato il mon-do “da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non

vada perduto, ma abbia la vita eter-na” (Gv 3, 16), e nel supremo atto di amore della Croce, immergendosi nell’abisso della morte, l’ha vinta, e ri-sorto ed ha aperto anche a noi le porte dell’eternità. Cristo ci sostiene attraver-so la notte della morte che Egli attraver-sato; e il Buon Pastore, alla cui guida ci si può affidare senza alcuna paura, poichè Egli conosce bene la strada, anche attra-verso l’oscurità. Ogni domenica, recitan-do il Credo, noi riaffermiamo questa verità. E nel recarci ai cimiteri a pregare con affetto e con amore per i nostri de-funti, siamo invitati, ancora una volta, a rinnovare con coraggio e con forza la nostra fede nella vita eterna, anzi a vivere con questa grande speranza e testimo-niarla al mondo: dietro il presente non c’e il nulla. E proprio la fede nella vita eterna da al cristiano il coraggio di amare ancora più intensamente questa nostra terra e di lavorare costruirle un futuro, per darle una vera e sicura speranza.

BENEDETTO XVI

PAGINA 4 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Tre sono i beati canonizzati ieri mattina da papa Benedetto XVI: Guido Maria Conforti (1865-1931), arcivescovo di Parma e fondatore della Pia Società di San Francesco Saverio per le missioni estere; Luigi Guanella (1842-1915) sa-cerdote e fondatore della Congregazione dei Servi della Carità e dell’Istituto delle Figlie di Santa Maria della Provvidenza; Bonifacia Rodriguez De Castro (1837-1905), Fondatrice della Congregazione delle Serve di San Giuseppe. All’inizio dell’omelia Benedetto XVI ha rivolto il proprio saluto alle delegazioni ufficiali e ai pellegrini “venuti per festeg-giare questi tre esemplari discepoli di

Cristo”. Commentando il vangelo dome-nicale (Mt 22,34-40) il papa ha ricordato che “l’esigenza prin-cipale per ognu-no di noi è che Dio sia presente nella nostra vita. Egli deve, come dice la Scrittura,

penetrare tutti gli strati del nostro essere e riempirli completamente: il cuore deve sapere di Lui e lasciarsi toccare da Lui; e così anche l’anima, le energie del nostro volere e decidere, come pure l’intelligenza e il pensiero”. Le Scritture odierne hanno toccato il tema dell’amore al prossimo che ha ca-ratterizzato notevolmente i tre santi ca-nonizzati oggi. In tal senso “Gesù lascia intendere che la carità verso il prossimo è importante quanto l’amore a Dio – ha sottolineato il Papa -. Infatti, il segno visibile che il cristiano può mostrare per testimoniare al mondo l’amore di Dio è l’amore dei fratelli”. La fiducia nella volontà del Signore ha segnato profondamente l’esistenza di San Guido Maria Conforti, il quale “ancora fanciullo, dovette superare l’opposizione del padre per entrare in Seminario”. La sua tenacia spirituale, ha aggiunto il papa corrispondeva “in tutto a quella caritas Christi che, nella contemplazione del

Crocifisso, lo attraeva a sé”. Appena trentenne il Conforti fondò una famiglia religiosa “posta interamente a servizio dell’evangelizzazione, sotto il patrocinio del grande apostolo dell’Oriente san Francesco Saverio”. La sua vita apostoli-ca, proseguita negli anni successivi con l’episcopato, “fu segnata da nume-rose prove, anche gravi”, che il san-to che seppe sempre affrontare “con docilità”, a c c o g l i e n do l e “come indicazio-ne del cammino tracciato per lui dalla provvidenza divina”. San Guido Maria Conforti ebbe anche una spiccatissima devozione per la Croce di Gesù, contemplando la quale “egli vedeva spalancarsi l’orizzonte del mondo intero, scorgeva l’"urgente" desiderio, nascosto nel cuore di ogni uomo, di rice-vere e di accogliere l’annuncio dell’unico amore che salva”. Di San Luigi Guanella il Santo Padre ha ricordato innanzitutto il “coraggio” e la “determinazione” con cui egli visse il “grande comandamento” del “Vangelo della Carità”. Don Guanella “guidato dalla Provvidenza divina, è diventato compagno e maestro, conforto e sollievo dei più poveri e dei più deboli. L’amore di Dio animava in lui il desiderio del bene per le persone che gli erano affidate, nel-la concretezza del vivere quotidiano”. In San Luigi Guanella, il Signore ci ha dato “un profeta e un apostolo della cari-tà”, ha affermato il papa, auspicando che questo nuovo “Santo della carità sia per tutti, in particolare per i membri delle Congregazioni da lui fondate, modello di profonda e feconda sintesi tra contempla-zione e azione, così come egli stesso l’ha vissuta e messa in atto”. Tutta la vicenda umana e spirituale di Don Guanella “la possiamo sintetizzare nelle ultime parole che pronunciò sul letto di morte: in caritate Christi”. Il suo esempio “potrà aiutare promuovere la

vita in ogni sua manifestazione e condi-zione, e far sì che la società umana diven-ti sempre più la famiglia dei figli di Dio”, ha aggiunto il Papa. Il Santo Padre ha poi menzionato (in spagnolo) l’ultima canonizzata di oggi, Santa Bonifacia Rodriguez De Castro, una donna che, sulla scia di San Paolo (1 Ts 1, 5-10) “seppe unire la propria se-quela di Gesù Cristo all’attento lavoro quotidiano”. “Faticare, come aveva fatto sin da picco-la, non era solo un modo per non essere di peso ad altri, ma anche per mantenere la libertà di realizzare la propria vocazio-ne”, ha osservato il papa. Nasce così la congregazione delle Serve di San Giusep-pe, “una scuola di vita cristiana”, realizza-ta “per mezzo dell’umiltà e della sempli-cità evangelica”. La nuova santa è quindi “un modello in cui risuona il lavoro di Dio”. “Raccomandiamo la sua intercessio-ne – ha aggiunto il papa – e chie-diamo a Dio che tutti i lavoratori, soprattutto per chi svolge man-sioni umili e poco qualificate, sco-prano nei loro incarichi quotidiani, la mano amica di Dio e diano testimonianza del suo amore, trasformando la loro fatica in un canto di lode al Creatore”. Nel successivo Angelus, il Santo Padre ha esordito salutando in modo particolare i membri delle congregazioni fondate dai tre nuovi santi e i pellegrini polacchi giunti a Roma per partecipare, nella gior-nata di sabato, alla prima commemora-zione liturgica del beato Giovanni Paolo II. Il Papa ha infine invocato l’intercessione della Vergine Maria, in particolare per la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giusti-zia nel mondo in programma ad Assisi giovedì prossimo, nel 25° anniversario del primo incontro convocato da Giovan-ni Paolo II.

www.donboscoland.org

TRE NUOVI SANTI CANONIZZATI DA BENEDETTO XVI IL 23 OTTOBRE 2011

Guido Maria Conforti, Luigi Guanella e Bonifacia Rodriguez De Castro

PAGINA 5 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

L’85° Giornata Missionaria Mondiale, è stata celebrata dalla Chiesa, il 23 Otto-bre ,2011, XXX Domenica del Tempo Ordinario. Attraverso il Messaggio del Santo Padre, Benedetto XVI, si evince il richiamo, l’invito a “ rinnovare l’impegno di portare a tutti l’annuncio del Vangelo ‘con lo stesso slancio dei cristiani della prima ora “. La dimensione missionaria della Chiesa, nasce ad opera di Dio che ha mandato Cristo per la salvezza degli uomini , e per far conosce-re “ Il Suo Amore” , Matteo lo rivela in un passo del suo Vangelo:“ nessuno co-nosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo.”( Mt,11,27) Oggi la Chiesa , sostiene il Santo Padre, prolunga l’Incarnazione, la pre-senza fisica di Gesù tra gli uo-mini ed è perciò Suo Corpo Mistico. Ogni cristiano, attra-verso il Battesimo diventa re-sponsabile dell’annuncio del Regno tra gli uomini. Celebrare la Giornata Missionaria aiuta a ravvivare in ciascuno la consa-pevolezza che la Chiesa è mis-sionaria per sua essenza, per volontà di Cristo. L’evangelizzazione, non è un compito imposto dall’esterno ma scaturi-sce dall’essere dentro la Chiesa come battezzato. Non si è autenticamente cri-stiani se non si sente lo zelo apostolico, il desiderio di proclamare agli uomini l’Amore di Cristo. Questa è “ la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità profonda. Essa esiste per evange-lizzare”. ( Paolo VI –Esort.Ap.Evangelii Nuntiandi,14). Il Santo Padre Benedetto XVI, nel messaggio fa presente che nella Liturgia, specialmente nella Liturgia Eu-caristica si attualizza l’invio dei battezzati per l’evangelizzazione del mon-do .Come i discepoli di Emmaus,coloro che hanno avuto il privilegio di incontra-re il Signore devono essere spinti ad annunciarlo agli altri . Ed è un ‘urgenza quanto mai pressante, poiché “ la missio-ne di Cristo Redentore , affidata alla

Chiesa , è ancora lontana dal suo compi-mento (Giovanni Paolo II ,Enc.Redemptoris missio, 1) . Bene-detto XVI , aggiunge, “ non possiamo rimanere tranquilli al pensiero che , do-po duemila anni , ci sono ancora popoli che non conoscono Cristo e non hanno ascoltato il suo Messaggio di salvezza. Aggiunge : “ Si allarga la schiera di colo-ro che pur avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo, lo hanno dimenticato o abbandonato , non si riconoscono più nella Chiesa . “ Così come “molti am-bienti, anche in società tradizionalmente cristiane, sono oggi refrattari ad aprirsi alla parola della fede”. Il Santo Padre

ancora dichiara : “È in atto un cambia-mento culturale, alimentato anche dalla globalizzazione, da movimenti di pensie-ro e dall’imperante relativismo, un cam-biamento che porta ad una mentalità e ad uno stile di vita che prescindono dal Messaggio evangelico, come se Dio non esistesse, e che esaltano la ricerca del benessere, del guadagno facile, della carriera e del successo come scopo della vita, anche a scapito dei valori morali”. Alla base di quanto detto , destinatari dell’annuncio del Vangelo, sono tutti i popoli , e l’azione della Chiesa , in “ ade-sione alla Parola di Cristo e sotto l’influsso della sua Grazia e della sua Ca-rità, si fa pienamente ed attualmente presente a tutti gli uomini e a tutti i po-poli per condurli alla fede di Cristo ( Ad Gentes 5).La missione evangelizzatrice

coinvolge tutti, tutto e sempre . “ Il Van-gelo non è un bene esclusivo di chi lo ha ricevuto , ma è un dono da condividere, una bella notizia da comunicare .” Tale missione va tenuta sempre presente , e non può essere limitata solo ad alcuni momenti ed in occasioni particolari, i singoli battezzati e le comunità ecclesiali costantemente devono prediligere l’attenzione e la cooperazione all’ “ Ope-ra Evangelizzatrice” della Chiesa. L’evangelizzazione, afferma Benedetto XVI , è un processo molto complesso e comprende più elementi . Tra questi un’attenzione particolare da parte dell’animazione missionaria è data alla

“solidarietà”. Aiutare lo svolgi-mento dei compiti di evangeliz-zazione nei territori di missione significa organizzare e sostenere istituzioni necessarie a consoli-dare la Chiesa mediante i sacer-doti, i seminari , i catechisti , ma significa anche dare il pro-prio contributo per migliorare le condizioni di vita delle perso-ne , in Paesi nei quali gravi sono i fenomeni di povertà, malnu-trizione ( soprattutto infanti-le ) , di malattie , con carenza di servizi sanitari e di istruzio-ne. Il Servo di Dio Paolo

VI ,ribadiva che non è pensabile che nell’evangelizzazione , si trascurino que-stioni riguardanti “la promozione umana, la giustizia, la liberazione da ogni forma di oppressione , ( ovviamente ) nel ri-spetto dell’autonomia della sfera politi-ca. Disinteressarsi dei problemi tempo-rali dell’umanità,significherebbe dimen-ticare la lezione che viene dal Vangelo sull’amore del prossimo sofferente e bisognoso”. ( Esort. Apostolica Evangelii nuntiandi,31-34). Nel mese di Ottobre, mese missionario, alla luce di quanto specificato dal Santo Padre, nella nostra Comunità Parrocchiale abbiamo pregato tutti i giorni affinché possa in ciascuno di noi “ ravvivarsi il desiderio e la gioia di “andare” incontro all’umanità , portando a tutti Cristo” .

Continua a pagina 6

COME IL PADRE HA MANDATO ME, ANCHE IO MANDO VOI ( GV,20,21)

PAGINA 6 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Il coraggio dell’azione , passa così come i temi delle cinque settimane dell’Ottobre Missionario , dalla “contemplazione” , la preghiera , la meditazione , l’ascolto , essi sono presupposti necessari per “ ogni azione missionaria ,ispirata dal messaggio evangelico.” Il passaggio successivo , per il quale abbiamo pregato nella seconda settimana è la vocazione di ciascun bat-tezzato , abbiamo chiesto al Signore di accrescere la fede in tutti noi che formia-mo la Chiesa per essere sempre forti e perseveranti nell’ “Annuncio”, anche nelle prove e nelle difficoltà . Sempre riferendoci al Messaggio di Benedetto XVI , nella terza settimana dell’Ottobre Missionario abbiamo pregato affinchè il Signore ci renda “sempre più coraggiosi ed appassionati testimoni del suo Vange-lo ,nel mondo ,consapevoli della respon-sabilità di favorire l’incontro con Lui che è Amore”. Ed è stato commovente veri-ficare l’Azione dello Spirito durante la XXX Domenica del Tempo ordinario, in cui si è celebrata la 85° Giornata Missio-naria Mondiale , la Liturgia , in particola-re la Prima Lettura ed il Vangelo di Mat-teo ci hanno portato a riflettere sul pas-saggio chiave dalla Contemplazione alla Carità, alla Solidarietà. Lo Spirito in questa Domenica, ci ha fatto toccare con mano come “ la giustizia annunziata dal Signore, si concretizza nella carità frater-na e gratuita per la salvezza dell’umanità, poiché la solidarietà concreta è espressio-ne dell’amore tra Dio e gli uomini . Egli ci invita ad amarci gli uni gli altri per essere veri figli che amano lo stesso Pa-dre”. Nell’ultima settimana dell’Ottobre Missionario ,nella nostra Comunità Par-rocchiale , abbiamo pregato per rendere grazie del Dono prezioso che ci è stato fatto : “testimoniare agli altri che la Sal-vezza non deriva da noi ma dall’Amore di Cristo, che ha dato se Stesso per do-narci la Vera Vita ”. Alla fine di questo mese , non possiamo non “Rinnovare al Signore i nostri sentimenti di riconoscen-za per quanto ci ha concesso finora spe-rando che voglia sempre illuminarci con la Sua Grazia.

Giulia Schiavo

L’appuntamento quindicinale con le ca-techesi della Fraternità, è ricominciato con ottobre e quest’anno in particolare, abbiamo iniziato con i cambiamenti. Es-sendo la nostra, una Comunità “giovane”, finora non avevamo fatto nessun cambia-mento all’interno dell’organizzazione, anche perché nulla si era ancora concluso in ordine di ciclo temporale, dunque, facciamo un po’ di ordine. Nella Comu-nità sono presenti i Ministeri, cioè l’impegno che alcuni assumono per far fronte alle esigenze di tutti, ossia il Mini-stero dell’Unità, e quello della Liturgia in primis, a seguire quello del Canto e della Condivisione. Analizziamoli uno

per uno. Il ministero dell’Unità viene assunto da chi prende l’impegno di tener in contatto i vari membri: dare informa-zioni e assicurarsi che siamo arrivate a tutti; raccogliere le adesioni per le varie iniziative proposte; essere il punto di riferimento della Comunità e per essa della coppia guida. Il ministero della Li-turgia si esplica nella preparazione del luogo dell’incontro. Ogni incontro si svolge in un luogo, sia esso la casa di un membro, la sala parrocchiale, la Cappella d’inverno del Duomo…, ed ogni luogo deve essere idoneamente preparato per accogliere la Parola di Dio, con il leggio, la Bibbia, possibilmente un tappeto sotto il leggio o una stoffa, magari del colore liturgico del periodo su cui posare la Sacra Scrittura, una candela, da accen-dersi ad inizio incontro, i fiori non gua-

stano mai, solitamente una sacra icona (il Crocifisso, una statua della Vergine,…) e le sedie per i partecipanti, tutte in cer-chio al leggio. Il ministero del Canto, invece, trova la Sua giustificazione pro-prio nell’argomento di catechesi, in base al quale o alla ricorrenza del momento se c’è, si scelgono i canti da effettuare, soli-tamente uno di invocazione allo spirito (inizio), quello di lode (all’annuncio del Vangelo), e un canto di ringraziamento (finale). Qui purtroppo, la nostra comu-nità un po’ inciampa, perché ciascuno ha avuto formazione in diverse associazioni di oratorio (ANSPI, AC,…) o si rifà a memorie del passato (canti gregoriani), e

anche del presente (Radio Maria, TV2000), dunque non conosciamo mai tutti la stessa canzone o nella stessa me-lodia e, a volte, c’è una confusione che Peppe, per ora nostro mentore, ha di che avere pazienza. Infine, il ministero della Condivisione svolto da chi si occupa di creare momenti di coinvolgimento per la Comunità che siano esterni all’incontro di catechesi. Questa anche per noi, è stata una bella spolverata, perché asse-gnati i Ministeri tre anni fa, poi, non ce ne siamo più curati e, invece, abbiamo ricordato, che annualmente dovrebbero cambiare “gestore”, volontariamente, in modo che ciascuno possa avere modo di rendersi al servizio degli altri, ciascuno secondo il Suo dono. Tutti, di natura sappiamo di non essere inclini a tutto, ma, il Signore non ha trascurato nulla, a

SEGUE DA PAGINA 5 La nostra crescita

PAGINA 7 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

ciascuno la Sua capacità, basta imparare a distinguerla e farle rendere frutto. Al primo incontro ci siamo lasciati con il pensiero delle candidature volontarie e al secondo, non ci siamo smentiti, ed ecco i nuovi ministri: Rosalinda ministro dell’Unità, Immacolata e Luigi della Li-turgia, Immacolata (Lucibello) del Canto e Rosa della Condivisione. Durante l’incontro poi, si è svolta proprio la ceri-monia di consegna del Ministero ed i volontari sono giunti in processione dal fondo della sala, ciascuno con il simbolo del Suo ministero, rispondendo “Eccoci”, alla chiamata della coppia Guida e affi-dandosi al Signore. Il resto dei membri ci siamo “affidati” a loro e alle loro capacità di coordinamento, perché singoli, non è che siamo molto capaci, ma sappiamo di essere in ottime mani. Sistemati i Mini-steri, siamo passati al tema dell’anno: l’amicizia. Che strana cosa cominciare a parlare di amicizia, eppure, in fondo è quello per cui ci siamo, solo che non ne avevamo ancora preso coscienza. Solita-mente si hanno amici della propria età o giù di lì, però l’amicizia di chi è nato e cresciuto con noi è quasi scontata, invece quella della Comunità è un seme, gettato in un terreno fertile. Tutti in Comunità ci conosciamo quasi da sempre, Ravello non è una metropoli, eppure non erava-mo amici, “buongiorno; buonasera; ciao come stai?”, tutte frasi di circostanza o al massimo di buona educazione. Oggi ci ritroviamo a parlare un po’ di tutto, ci chiamiamo, ci cerchiamo, se non ci ve-diamo per un po’ o all’incontro, ci pre-occupiamo gli uni degli altri. Quest’atteggiamento, è nato spontaneo, non per imposizione e nessuno di noi si è mai preoccupato di imporgli un nome o un’origine. Il nome, l’abbiamo finalmen-te trovato AMICIZIA, e Peppe e Laura ci hanno aiutato a identificare anche l’origine, DIO. In effetti, la nostra amici-zia è nata, ed è amicizia in Dio, se non ci avessero proposto la Comunità in nome di Nostro Signore, chi ci avrebbe riunito? Se non avessimo sentito il bisogno di crescere in Lui e per Lui, tutti gli incon-tri di questo mondo non ci avrebbero tenuti per tre anni lì, in Duomo ad ascol-tare e ad ascoltarci, a cominciare a capir-ci. Opinioni diverse, idee a volte oppo-ste, esperienze contrastanti, età della saggezza e della testa bollente, tutto in-

sieme con un unico collante: Dio. Tutto quello che abbiamo cominciato e poi portato avanti, è nato così per Lui e in Lui prosegue. L’incontro quindicinale è, e sarà sempre un punto di riferimento, tuttavia, ora siamo coscienti che se ognu-no resterà fine a se stesso la Comunità resterà sterile. Possiamo dare un futuro in Dio a questa realtà ed è nostra inten-zione, ognuno come può, impegnarci e quando cominciamo siamo proprio bravi-ni perché l’occasione non ci è mancata e l’abbiamo presa al volo. Lo scorso fine settimana, Peppe e Laura hanno trascor-so qualche giorno qui a Ravello, soprat-tutto per essere un po’ più a nostra di-sposizione e in breve gli abbiamo finito per organizzare le giornate, noi a loro: un invito a pranzo, il caffè del pomerig-gio, il rinnovo delle promesse nuziali, un’adorazione dopo la Celebrazione Eu-caristica di domenica,…Tutte occasioni create per stare con loro e soprattutto per stare tra noi con loro conclusesi lu-nedì 31 con la Messa, la catechesi ed un momento di convivialità per tutti. Spe-riamo solo che non siano andati via più stanchi di prima, lo sappiamo, siamo una Comunità “impegnativa!” Ed ora ci aspet-ta un altro grande appuntamento, il Ce-nacolo. Solitamente durante l’anno tre sono i Cenacoli che organizza la Fraterni-tà: quello d’Avvento, quello di Quaresi-ma e quello estivo. Il Cenacolo occupa il tempo di un week-end, dal venerdì sera alla domenica pomeriggio, in cui si ten-gono catechesi e momenti di meditazione collettivi ed individuali, ed è pensato per le famiglie: pernottamento in albergo a modico costo, attività per gli adulti e per i bambini, che non si annoiano affatto. Il Cenacolo d’Avvento, tratterà il tema del perdono coniugale, patata bollente per i tempi che corrono, e partecipandovi ne sapremo certo di più e avremo modo di incontrare anche altre Comunità, magari il nostro percorso di amicizia in Dio, aprirà nuovi orizzonti, portando nuovi frutti. Quando si comincia qualcosa, nessuno sa se e come finirà, per ora la Comunità c’è e prosegue e per chi è cu-rioso di vedere come prosegue, l’appuntamento è per martedì 15 no-vembre ore 18:00 al Duomo, per il resto “Dio vede e provvede”.

Elisa Mansi

26 ottobre 2011

Inizia l’anno giubilare del B. Bonaventura da Potenza

Il ricordo dei 300 anni dalla morte del Beato Bonaventura da Potenza sono stati sottolineati non solo dalla solennità delle celebrazioni proposte dalla Comunità dei Frati Minori Conventuali di Ravello ma anche dalla partecipazione che i ravellesi hanno voluto riservare a tali eventi. Il Beato riveste un ruolo fondamentale nella religiosità popolare della comunità ravellese; da sempre un faro di fede che ha illuminato e continua ad illuminare la

città posta sul monte anche attraverso l’infaticabile missione sacerdotale di al-cune figure di frati che si sono succedute nel tempo a Ravello. La solenne celebrazione del 26 ottobre quest’anno è stata preceduta da una ve-glia di preparazione, che, lungi dal voler essere una semplice anticipazione della festa, ha ben introdotto i fedeli nella comprensione più totale della figura di questo frate che nell’aneddotica popolare locale viene ricordato soprattutto per l’obbedienza. Le riflessioni proposte durante la veglia del 25 ottobre, infatti, hanno permesso di cogliere le altre molteplici virtù di cui il frate di Potenza incarnò il migliore esempio con la sua vita.

Continua a pagina 8

PAGINA 8 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

La carità, che fra’ Bonaventura esercitò in ogni angolo della Costa d’Amalfi, non-ché negli altri luoghi dove operò la sua missione sacerdotale, la misericordia, per cui fu uno dei più ricercati confessori sia da parte delle suore che tra Ravello e Scala avevano numerosi cenobi, sia da parte dello stesso vescovo ravellese, l’amore verso il prossimo, che gli deriva-va dall’amore per Cristo adorato costan-temente nell’Eucaristia, la fedeltà alla Parola, che diffondeva in tutto il territo-rio con le sue continue peregrinazioni lungo le scale della Costiera, tutte queste virtù, appunto, sono emerse con una chiarezza tale da far ben comprendere ai presenti perché il giorno della sua morte a Ravello si diffuse una tristezza colletti-va: ci si rendeva conto che era morto un Santo. Questa santità, infatti, emergeva in ogni sua azione e anche nel momento difficile della morte il Beato seppe dare a tutti una lezione di vera grandezza: quando si rese conto di essere prossimo alla fine, già prevista nei suoi sibillini riferimenti ad un viaggio per tornare nella sua patria fatti settimane prima e compresi solo dal medico che aveva avuto in cura Padre Domenico Girardelli, padre spirituale del Beato, che si esprimeva con le stesse parole quando si riferiva alla sua morte, mostrò a tutti la sua gioia di poter final-mente giungere a quella patria da lui sempre vagheggiata sulla terra e che ora gli si apriva nel mirabile abbraccio di Dio. L’umiltà e la povertà, poi, furono per lui stili di vita: l’una esercitata continua-mente nel rapporto con i superiori ma anche con i fedeli e l’altra come lampada per ogni suo passo lungo il cammino della sua missione sacerdotale. Una po-vertà, quella del Beato Bonaventura, che non fu solo disprezzo della ricchezza in obbedienza ai dettami del fratello mag-giore e fondatore Francesco ma che fu anche testimonianza di Dio come unica e vera ricchezza del cuore umano. Tutti questi spunti hanno poi trovato piena completezza nell’omelia di Sua Eminenza, il Cardinale Crescenzio Sepe, nella celebrazione vespertina del 26 otto-bre. Il Cardinale ha infatti sottolineato come è mirabile nell’opera di Dio che il

seme di santità sparso dal Beato Bona-ventura più di 300 anni fa stia dando ancora frutti di evangelizzazione nella terra in cui ha operato. Un frate umile e obbediente, povero e caritatevole conti-nua ad essere nella Ravello e nella Co-stiera del 3° millennio testimonianza viva del Dio vivente in mezzo a noi. Una fio-ritura di santità è questa che dimostra come nei piani di Dio venga scelto ciò che nel mondo è stolto ed umile per confondere i sapienti. La figura del Bea-to, infatti, deve essere la base su cui co-struire il nostro rapporto con i fratelli perché il Beato, avendo accolto la chia-mata del Signore, l’ha saputa testimonia-re proprio in questo rapporto con il prossimo. La storia di santità, inoltre, si rivela in questo caso come la piena ade-sione alla volontà di Dio che prende for-ma nel vivere in un territorio, quale era la Costiera Amalfitana del 1700, testimo-niando il Vangelo dell’Obbedienza, dell’umiltà, della vocazione, della carità e della santità. A conclusione della celebrazione, prima della venerazione della reliquia del bea-to, una breve processione all’interno del chiostro a causa delle cattive condizioni meteorologiche ci ha ancora una volta fatto capire che occorre ogni giorno met-tersi alla sequela del Cristo avendo come esempio la vita mirabile dei suoi santi.

Maria Carla Sorrentino IN ROTTA VERSO GESU’ Sabato 8 Ottobre,2011 , alle ore 16,00 in Duomo, ci siamo ritrovati : ragazzi , genitori e catechiste, con la guida del nostro parroco Mons Giuseppe Impera-to, per dare inizio al nuovo anno catechi-stico 2011-2012 . E’ sempre un momen-to di gioia leggere negli occhi dei fanciul-li il desiderio di approfondire il loro le-game con Gesù . Lo slogan di quest’anno per impegnarci nel nostro cammino è “ In rotta verso Gesù” . Le catechiste han-no preparato un cartellone che rappre-senta il mare ,( simbolo della nostra vita non sempre calma , e nel quale spesso ci perdiamo se non seguiamo la rotta che ci porta verso di Lui ) ; sul mare c’ è una barca.Essa rappresenta la Chiesa, nuovo Corpo di Cristo che ci aiuta a navigare verso il Maestro che ci chiama, Egli aspetta una nostra risposta generosa. Sul

cartellone ci sono delle reti dove i nostri ragazzi hanno messo tanti pesciolini con il loro nome per dimostrare che essi con gioia seguiranno il percorso di cate-chesi. La Celebrazione è iniziata con il canto “ Io ho un Amico che mi ama” che ha dato la possibilità al nostro parroco, di approfondire alcuni aspetti importanti. Don Peppino si è rivolto ai ragazzi, per spiegare che la rotta da seguire per avere la “ felicità” è Gesù, Egli è il nostro Tut-to, ci ama, ci accoglie , ci perdona sem-pre e noi dobbiamo ricambiare il Suo Amore attraverso la preghiera e l’Incontro, quando ci invita alla “Sua Festa”. Per questo motivo spiega Don Peppino è necessario essere perseveranti e puntuali agli incontri“, per imparare a conoscere Gesù e diventare veramente

suo amici. Se restiamo uniti a “ quest’amico speciale” ha spiegato, impa-reremo ad amare come ama Lui, ad a-marci e a perdonarci tra noi, certi di essere una sola cosa, perché figli amati dallo stesso Padre, in Cristo Gesù . Don Peppino si è poi rivolto ai genitori invi-tandoli a seguire il cammino dei loro f i g l i , i n m o d o d i a i u t a r l i nell’approfondimento dei valori della fede. Infine si è rivolto alle catechiste , spiegando il significato e la delicatezza del loro mandato, nell’annunciare ai piccoli l’Amore di Cristo . Sia i fanciulli che le catechiste hanno pregato per chie-dere al Signore la perseveranza , la fede , “ la speranza di poter sempre seguire Lui nel cammino della vita, comprendendo la Sua presenza d’Amore”. La Celebrazione si è conclusa con la Be-nedizione ed il canto “ Amatevi tra voi”.Un momento di fraternità , qualche dolcino, e si “è salpati” per iniziare una nuova avventura !

Giulia Schiavo

SEGUE DA PAGINA 7

PAGINA 9 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Crisi finanziaria, crisi dell’Occidente, crisi di valori, non si parla d’altro. Ma forse è solo la fine della pacchia immeri-tata di una società che continua a vivere al di sopra delle proprie possibilità. E’ crisi mettere in discussione le scelte eco-nomiche, i parametri finanziari, i tetti di spesa, gli stili di vita? La crisi è tale per chi perde il lavoro, per chi lo cerca inva-no, per chi studia con profitto senza tro-vare sbocchi professionali. Ma per i più, per un mondo che corre alla velocità del suo folle consumismo, questa crisi rappresenta una salutare pausa critica, un prezioso bagno di u-miltà. Saremo tutti meno ricchi, o un po’ più poveri? Bene, questa non è crisi. Crisi è altro. La vera crisi è sempre un fatto individuale, e riguarda l’anima, non il tenore di vita. Come rivela il suo etimo (greco krìsis, che vuol dire separa-zione, scelta, giudizio), crisi è quando sei separato da te stesso, quando le tue scelte paiono detta-te da un demone che domina la mente e i pensieri. Crisi è smar-rirsi, entrare nel buio; sai che ti ha preso perché avverti il peso di un’angoscia che è impossibile sopportare. L’11 settembre 2001, nel disastro delle Torri Gemelle, muoiono i fratelli John e Joe Vigiano, vigile del fuoco il primo, poliziotto il secondo. Erano due uomini robusti, entusiasti, innamorati del loro lavoro; “due forze della natura”, come ha ricordato in una recente intervista il loro papà. Accorsi alle Twin Towers per pre-stare soccorso, non ne sono usciti vivi. “Da allora non abbiamo più una vita”, dicono i loro genitori. Non ridono più, non celebrano più feste né ricorrenze, non vogliono vedere nessuno. Ecco, que-sta è la crisi. Ti morde il cuore, e può prenderselo nel bel mezzo della tua esi-stenza comoda, pacifica, apparentemente sicura. Nel 2003, durante una gita in montagna organizzata dall’azienda svizzera per cui lavora, Matthias Schepp, un bell’uomo trentaquattrenne, simpatico e intelligen-

te, conosce la collega Irina Lucidi. Si innamorano, si sposano e vanno a vivere a Champagne, cittadina non lontana da Losanna. Nel 2004 l’unione è allietata dalla nascita di Alessia e Livia, due splen-dide gemelline. “Lui”, dichiara Irina nei giorni del dramma che ha commosso l’Europa intera, ”era un uomo solare ed estroverso”, ma anche “inquadrato, me-todico, pianificatore”; purtroppo, queste ultime caratteristiche si accentueranno nel tempo, imprigionando Irina in una

gabbia di regole rigide e insopportabili. Anche con le bambine, Matthias è affet-tuoso, ma – afferma sempre Irina – tende a organizzare la loro vita nei minimi det-tagli, non accorgendosi di soffocare la loro personalità. Dopo alcuni anni di felicità, l’unione entra inesorabilmente in crisi. Nell’agosto 2010 i due coniugi si separa-no; il 27 gennaio 2011, via mail, Irina trasmette a Matthias la richiesta di divor-zio. Il guaio è che lui ama ancora sua mo-glie; a modo suo, certo, perché l’amore esige anzitutto rispetto della personalità dell’amato, un qualcosa che, secondo Irina, Matthias aveva completamente smarrito.Disperato, Matthias tenta la riconciliazione più volte, invia alla mo-glie appassionate lettere d’amore. Ma Irina il suo amore l’ha perso, e Matthias, infine, deve arrendersi all’evidenza. Fer-

miamo l’attenzione a questo momento. Schepp è un uomo che ha avuto tutto dalla vita: bello, intelligente, un buon lavoro, un ambiente sociale tranquillo e sicuro, due figlie meravigliose. Ne ha perso uno, però: la moglie. Ed è la crisi; tolto un sasso, crolla l’intero edificio. Domenica 30 gennaio 2011, Matthias Schepp è con le figlie, insieme alle quali ha trascorso il week-end. Fra il 30 e il 31 fugge da St. Sulpice, elegante periferia di Losanna, ed entra in Francia. Il 31 genna-

io viene ripreso da una teleca-mera mentre ritira dei soldi da un bancomat di Marsiglia. Il 1° febbraio è a Propriano, in Cor-sica; attraversa l’isola, arriva a Bastia, e da qui, con un traghet-to, torna in Francia, a Tolone. Il giorno seguente entra in Italia, dirigendosi verso sud. Il 3 feb-braio pranza da solo in un risto-rante di Vietri, sulla Costiera Amalfitana; lo stesso giorno, di sera, si getta sotto un treno a Cerignola, in provincia di Fog-gia. Una mente sconvolta, ep-pure lucidissima: Schepp ha fatto scomparire le sue bambi-ne, ma confondendo i suoi mo-vimenti e le sue intenzioni ha sapientemente depistato le futu-

re indagini. Nonostante l’impegno delle Polizie nazionali di Francia, Svizzera e Italia, e l’uso delle più sofisticate tecno-logie, a tutt’oggi il destino di Alessia e Livia rimane segnato da un angosciante punto interrogativo. Una cosa è certa: Matthias Schepp era in crisi, una crisi nera. Il naufragio del suo matrimonio non ha trovato conforto in nulla: non nell’immutato amore per le sue bambi-ne, non nel protettivo ambiente nel quale viveva, non nelle soddisfazioni professio-nali, non nel sostegno che può dare una fede. Una mente malata? Può darsi; for-se, inconsciamente, ce lo auguriamo tut-ti, perché questa vicenda ci ha messo di fronte non a una crisi, ma alla crisi. Non solo un buco nero: un buco nero nel quale un padre non esita a gettare i suoi figli, e poi se stesso.

Continua a pagina 10

Itinerario di una crisi

PAGINA 10 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

La crisi economica, l’impoverimento, la disoccupazione: sono eventi spaventosi, ma nessuno si suicida se non scendono a toccarti quella cosa, l’anima. E’ la crisi interiore, lo smarrimento dell’io a reci-dere le radici della vita. D’improvviso sei solo, staccato da tutto e da tutti, perduto nella voragine di un dolore infinito e silenzioso. Forse, la solitudine di un uo-mo innamorato e abbandonato è diversa e più terribile di ogni altra solitudine. Ogni amore comporta sacrificio, limita-zione del proprio io, possibilità del falli-mento. Schepp aveva una vita davanti a sé, poteva affron-tare l’ostacolo della crisi del suo matrimonio e cercare di vincer-lo, di superarlo. Ma per Schepp era arrivata la crisi, lo stato d’animo che ti fa negare l’esistenza di ogni cosa. Così, usa le figlie per punire la moglie: tu mi hai dato un dolore insopportabile, io te ne darò uno ancor più terribile. Nonostante l’istinto materno le faccia ancora sentire “il dolce abbraccio, la morbida pelle, il respiro lievissimo” dei propri figli, Medea non desiste dal pro-posito di ucciderli. “So bene”, le fa dire Euripide, “quali mali sto per commette-re, ma la passione è più forte della mia volontà; la passione, che è causa ai mor-tali delle più grandi sventure”. E’ questo il cuore di tenebra dell’uomo? Sì, ed è un qualcosa che ci appartiene ontologicamente. Il dramma di Matthias Schepp è il dramma dell’uomo in senso più generale: è l’incapacità di commisu-rare la portata dei nostri desideri alla crudezza della realtà. Ognuno di noi si sente il re del piccolo mondo nel quale vive ed opera. Ma anche nell’universo casalingo si può materializzare la famosa frase di Sartre: “L’inferno sono gli altri”. La perdita dell’amore di Irina, e la conse-guente agonia del suo matrimonio, sono diventate, per Schepp, la crisi, il male assoluto. “Il male”, scrive Freud ne Il disagio della civiltà, “è in origine ciò che minaccia

l’individuo con la perdita dell’amore”. Schepp, a un certo punto, deve essersi sentito come la creatura più disgraziata al mondo, un mondo indifferente e impo-tente verso l’angoscia di un uomo che pensava di soffrire ingiustamente. Ma l’egotismo di Schepp – l’incapacità mora-le di confrontarsi con la realtà, con la naturale alterità del mondo e degli esseri che lo abitano – è l’egotismo di tutti noi, confusi e fragili più che mai, delusi dagli ideali che per millenni hanno reso più facile la sopportazione del mal di vivere; la nostra è la prima società civile che non ha al proprio centro un qualcosa di tra-scendente.

Siamo diventati noi il centro del mon-do. Vogliamo, anzi pretendiamo, con-senso, piacere, notorietà, soldi. Ma consenso, glo-ria, soldi, sicurezza personale e fami-liare sono degli obiettivi, non delle certezze. Quando

pensiamo che dobbiamo centrarli a tutti i costi, e sbagliamo il tiro, il risultato può esserci fatale. La fuga di Schepp era la fuga impossibile da uno spettro che non lascia scampo: il vuoto di senso, ovvero ’immanenza della morte nella vita. L’eros sconfitto diventa sempre thanatos. Benché, sin dal nostro concepimento, la vita ci chiami, ci alletti con le sue innumerevoli seduzioni, il buco nero, la crisi ultima è sempre ac-canto a noi, un metro più in là dei passi che abbiamo appena compiuto. E’ il pen-siero che guida i capolavori dei primi tragediografi dell’Umanità, il già citato Euripide e, prima di lui, Eschilo e Sofo-cle. Nell’Edipo a Colono, Sofocle scrive, nel terzo stasimo, una delle frasi più terribili della storia letteraria: “Non nascere è sorte che vince tutte le altre; ma quando nati si sia, ritornare là donde s’è venuti, al più presto, è molto miglior sorte”. Quando perdiamo ogni illusione, dinanzi a noi si spalanca l’abisso, e deve essere un sollievo gettarsi nell’infinità del nulla. Armando Santarelli

LETTERA ALLE FAMIGLIE NOVEMBRE—DICEMBRE 2011

«Essere con …»

Cara famiglia, con questa prima lettera del nuovo anno pastorale, desidero rinnovarti la mia prossimità ed attenzione pastora-le al tuo impegno contrassegnato dalla solidarietà ai tuoi quotidiani impegni e dalla condivisione del bene che, con crescente e comprovata passione, testimoni al tuo interno e, quindi, all’esterno, nel relazionarti nei vari ambienti sociali. Non potrei mai tacere l’ammirazione per le energie che elargisci, giorno dopo giorno, per far fronte, nella comprensione e con il sacrificio, ai vari e susseguenti bisogni di ciascuno dei tuoi membri. Sei davvero una scuola di solidarietà e di condivisione, in un pressante ed incessante appren-distato di quella carità vicendevole che è alla radice del tuo esistere. Desidero stimolare queste tue capa-cità affettive e caritative a dilatarsi verso le altre famiglie che coabitano nella tua stessa via, nel tuo stesso con-dominio o vicinato per offrire la tua vicinanza, il tuo affetto, la tua consi-derazione. Questo tuo aprirti, di con-seguenza, creerà le premesse per rap-porti stabili e duraturi, capaci di sfida-re qualsiasi chiusura o atteggiamenti di invalsa indifferenza. Sforzati, cara famiglia, di innescare, nel tuo habitat ordinario, e con la buona volontà dei tuoi componenti, questo nuovo stile relazionale, fatto di legami più forti e solidi con le altre famiglie e pregno di rapporti vivi, incoraggianti, intrisi di sensibilità u-mana e spirituale. Ti accorgerai così di quante necessità o difficoltà materiali o morali è con-tornato il vissuto delle altre famiglie. Quel tatto umano, così accentuato al tuo interno, soprattutto nei momenti bui della prova, devi essere capace di esportarlo soprattutto verso tali

SEGUE DA PAGINA 9

PAGINA 11 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

famiglia, pronte ad ammirare la tua attenzione, la tua delicatezza. Quante famiglie se avessero qualche piccolo aiuto potrebbero sopportare meglio la fatica, risolvere prima i problemi, avere più tempo per parlare e cercare di capire e di capirsi. Accade spesso che da due debolezze può nascere la forza di andare avanti. Hai un potenziale di sensibilità che non ti è concesso di ridurre all’alveo delle tue sole difficoltà. Questo ti fa più grande ed eccezionale nella solida-rietà: il tuo essere con … le altre fa-miglie! Ti benedico con il mio affetto pasto-rale. + Orazio Soricelli - arcivescovo

Ricordo del 2 novembre La vecchia poltrona di pelle color co-gnac,nei braccioli due sinistre bocche di metallo accolgono le cicche e la cenere che le consuma. Dalla strada sottostante arriva il vocio metallico dei treni, lo sferragliare dei binari, il verso gracchian-te dei bagagli trascinati sull’asfalto. E’ domenica, forse no. Ma lì sembra sempre domenica, subito dopo pranzo: le posate, ormai fuori servizio,aspettano il loro turno per essere lavate, tutto sembra essere dominato da un’invincibile astenia, come se tutto fosse irrimediabilmente stanco. Le tende del soggiorno si gonfia-no come vele per effetto del vento e la ringhiera del terrazzo si lascia volen-tieri infilare dalla testa di Lea, un vol-pino di cui avrò sempre troppa, inutile paura. Un giorno di qual-che anno dopo imparerò che lei aveva molta più paura di me, solo che non sa-peva e non poteva dirmelo. C’è odore di zolfo, di qualcosa che somiglia allo zolfo, o di qualcosa che ha bruciato per ore. La

luce è di città, così diversa, trattenuta, per niente sguaiata: è come se fosse inti-morita dal Vesuvio che ci sovrasta come un dinosauro con le zampe piantate sotto i nostri piedi e a me piace perché mi da l’esatta dimensione della mia distanza da casa, da Ravello .Io so già che quella è la mia poltrona preferita, vince perfino sull’ enorme specchio della camera da letto, so che lui, fra un po’, si siederà a raccontarmi quella strana storia di defunti che litigano per un problema di vicinato, che la mia testa si riempirà della fuliggi-nosa immagine di un cimitero annebbia-to. “ Ogni anno, il due novembre” Cono-sco già quell’inizio, l’ ho sentito ripetere quelle parole a memoria, ma non riesco a stancarmi. Non posseggo ancora gli stru-menti adatti a capire che si tratta di una poesia struggente e malinconica, anche se lui mi ripete spesso che l’autore è Totò, che il titolo è A livella. Per me si tratta soltanto di una favola nera, come lo è la Piccola Fiammiferaia e quella favola sci-vola perfetta dalle sue labbra senza che neanche un verso si spezzi sui gradini della memoria. Questo è il mio ricordo più caro del due novembre: mio nonno che mi insegna l’onestà, l’equità e la se-rietà della morte su una vecchia poltrona di pelle color cognac mentre mia nonna rassetta la cucina e le persone stanno in attesa lungo i binari.

Emilia Filocamo

Autunno a Ravello La luce cambia, diventa più fioca e palli-da. Gli alberi si tingono di un intenso dorato. Le foglie, silenziose e leggere, si accoccolano qua e là, negli angoli e viali. E’ così che piano piano a Ravello, ti ac-corgi che è arrivato l’autunno. Una sen-sazione che avverti sulla pelle e nell’aria, pregna di sapori e di odori particolari, che riesci a riconoscere all’istante perché appartengono alla tua storia di sempre. La Città della Musica, frenetica, acco-gliente, densa di appuntamenti e vite che si incrociano intorno alla sua piazza, d’un tratto rallenta, concedendosi un lungo e meritato periodo di letargo. Riposo che vede le botteghe chiudere battenti, i bar e ristoranti ritirarsi, la vita cominciare a scandirsi con ritmi più lenti; pronta a ricaricarsi in vista della prossima

stagione. L’autunno è questo: momento di rifles-sione, periodo di stasi creativa, dove l’animo si ritempra, analizza il suo vissu-

to e getta le basi per quello che verrà. Salutando i suoi aficionados e gli estima-tori che da sempre ne fanno meta di va-canza preferita, Ravello rimane sola con i suoi figli, concedendosi il suo vero lusso: quello di potere gustare attimi meravi-gliosi in uno scenario da sogno, senza intrusi o stress vari. E’ proprio così che vogliamo invitarvi a celebrare l’autunno: come momento di ricarica e non come mesto spegnersi della natura. Contro la malinconica sensazione di triste abbandono che le giornate frizzanti e piovigginose a volte lasciano sul cuore, vogliamo cogliere la stagione delle foglie dal suo lato positivo. Una specie di quiete dopo la tempesta, quella di vitalità che rappresenta l’estate, necessaria per ri-prendere il contatto con se stessi in ma-niera sincera e profonda. Fate dell’autunno un momento di rinasci-ta e crescita, non di mesto stallo. Conce-detevi la ricchezza del vostro territorio, il piacere di un hobby e il gusto della co-munità, prima troppo dispersa e affanna-ta. Raccogliete i pensieri e le forze. Immergetevi in questo sogno ‘di bellezza per lo spirito’ che la natura, di anno in anno, sempre ci regala. E fatene tesoro. Il tempo vola e presto sarà Natale e poi, nuovamente estate.

Jolanda Mansi

CELEBRAZIONI DEL MESE DI NOVEMBRE GIORNI FERIALI Ore 17.00: Santo Rosario Ore 17.30: Santa Messa GIORNI FESTIVI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa GIOVEDI’ 3-10-17-24 NOVEMBRE Al termine della Santa Messa delle 17.30 Adorazione Eucaristica 1 NOVEMBRE Solennità di Tutti i Santi Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 2 NOVEMBRE Commemorazione dei Defunti Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 6 NOVEMBRE XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 9 NOVEMBRE Ottava della Commemorazione dei Defunti 10 NOVEMBRE San Trifone 11 NOVEMBRE San Martino 13 NOVEMBRE XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 20 NOVEMBRE SOLENNITA’ DÌ CRISTO RE Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 21 NOVEMBRE Presentazione della B.V. Maria 22 NOVEMBRE Santa Cecilia V. M. 25 NOVEMBRE Santa Caterina d’Alessandria 27 NOVEMBRE I DOMENICA DÌ AVVENTO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe

LUNEDI’ 28 NOVEMBRE Ore 10.05: Su TV 2000, canale 28 del Digitale Terrestre e Sky Canale 801, trasmissione “Borghi d’Italia” - protagonista il comune di Ravello (Il programma verrà trasmesso anche DOMENICA 4 DICEMBRE alle ore 13.30). Per rivedere la puntata: www.borghiditalia.tv2000.it 30 NOVEMBRE Solennità di S. Andrea Apostolo, Patrono dell’Arcidiocesi di Amalfi - Cava de’Tirreni