Incontro Novembre 2012

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Per una Chiesa Viva www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VIII - N. 10 – Novembre 2012 La solennità di Tutti i Santi e la comme- morazione dei Fedeli Defunti che la Li- turgia della Chiesa ci fa celebrare all’ini- zio del mese di novembre offre una sin- golare opportunità per meditare sulla vita eterna in cui diciamo di credere reci- tando la formula fondamentale della fede cristiana, che si conclude con l’afferma- zione perentoria: Credo nella resurrezio- ne della Carne e nella Vita eterna. La fede nella vita eterna è una delle veri- tà che oggi rimane più in ombra nella cultura e anche nella coscienza di molti cristiani. Nell’anno della fede è doveroso domandarci se realmente questa fede sia da noi condivisa e chiaramente compresa nel suo giusto si- gnificato. Lo facciamo interrogando il Ca- techismo della Chiesa, guida preziosa per la formazione per- manente dei cristiani del nostro tempo. Che cos'è la vita eterna? Lo ap- prendiamo dal Vangelo, dove leggiamo che Gesù ha det- to:"Questa è la vita eterna: che conoscano Te, Padre,l’unico vero Dio e Colui che hai mandato, Gesù Cri- sto" (Gv 17),e Gesù ha anche ripetuto : "Io vi dichiaro che chi ascolta la mia pa- rola e crede nel Padre che mi ha manda- to, ha la vita eterna. Non sarà più con- dannato. E' già passato dalla morte alla vita"(Gv 5,24); " un'opera sola Dio vuo- le da voi, questa: che crediate in colui che Dio ha mandato"(Gv 6,29). Meravi- gliosa rivelazione questa di Gesù che ha detto di se stesso: “Io sono la via, la veri- tà e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”” (Gv 14,6). Il Signore Gesù è l’unica via per arrivare al Padre, perché è la rivelazione di Dio in questo mondo e la comunicazione della sua vita agli uomini. È la via, perché è anche la meta: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). L’originalità del cristianesimo è propria questa: Dio si è fatto uomo e ci chiama a vivere eternamente con sé; si è donato nella storia, perché vuole donarsi nell’e- ternità. Le altre religioni intuiscono che esiste la divinità, sorgente misteriosa di ogni cosa; avvertono che, dopo la morte, ci deve essere un premio per i giusti e un castigo per i malvagi. Ma sono lontane dal pensare che Dio abbia condiviso per- sonalmente la nostra condizione umana, legandosi a noi per sempre, e che il pre- mio destinato ai giusti sia la partecipazio- ne alla vita stessa di Dio. Perciò San Giovanni poteva scrivere alla prima comunità cristiana dicen- do:“Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli al- tri” (1Gv 4,11). Se crediamo che Dio è arrivato a dare il Figlio unigenito e lo Spirito Santo per attirarci a sé, dobbiamo anche noi amare senza misura e costruire la Chiesa come comunità di carità al ser- vizio di tutto il mondo. Cristo è la via “nuova e vivente” (Eb 10,20) da seguire e la meta dove incontreremo il Padre. Lo Spirito Santo ci unisce sempre più a lui e ci rende “lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghie- ra, solleciti per le necessità dei fratel- li” (Rm 12,12-13). Nell’ articolo dodi- ci del Catechismo della Chiesa cattolica leggiamo ancora: « Per il cristiano, che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è come un andare verso di lui ed entrare nella vita eterna. Quando la Chiesa ha pronunciato, per l'ultima volta, le parole di perdono dell'assoluzione di Cristo sul cristiano morente, l'ha segnato, per l'ultima vol- ta, con un’unzione fortifican- te e gli ha dato Cristo nel viatico come nutrimento per il viaggio, a lui si rivolge con queste dolci e rassicuranti parole: “Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. [...] Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha forma- to dalla polvere della terra. Quando la- scerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. [...] Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno” ». Continua a pagina 2 Credo la Vita Eterna P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO PDF creato con pdfFactory (versione di prova) www.pdffactory.com

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Periodico della Chiesa di Ravello

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Per una Chiesa Viva

www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VIII - N. 10 – Novembre 2012

La solennità di Tutti i Santi e la comme-morazione dei Fedeli Defunti che la Li-turgia della Chiesa ci fa celebrare all’ini-zio del mese di novembre offre una sin-golare opportunità per meditare sulla vita eterna in cui diciamo di credere reci-tando la formula fondamentale della fede cristiana, che si conclude con l’afferma-zione perentoria: Credo nella resurrezio-ne della Carne e nella Vita eterna. La fede nella vita eterna è una delle veri-tà che oggi rimane più in ombra nella cultura e anche nella coscienza di molti cristiani. Nell’anno della fede è doveroso domandarci se realmente questa fede sia da noi condivisa e chiaramente compresa nel suo giusto si-gnificato. Lo facciamo interrogando il Ca-techismo della Chiesa, guida preziosa per la formazione per-manente dei cristiani del nostro tempo. Che cos'è la vita eterna? Lo ap-prendiamo dal Vangelo, dove leggiamo che Gesù ha det-to:"Questa è la vita eterna: che conoscano Te, Padre,l’unico vero Dio e Colui che hai mandato, Gesù Cri-sto" (Gv 17),e Gesù ha anche ripetuto : "Io vi dichiaro che chi ascolta la mia pa-rola e crede nel Padre che mi ha manda-to, ha la vita eterna. Non sarà più con-dannato. E' già passato dalla morte alla vita"(Gv 5,24); " un'opera sola Dio vuo-le da voi, questa: che crediate in colui che Dio ha mandato"(Gv 6,29). Meravi-gliosa rivelazione questa di Gesù che ha detto di se stesso: “Io sono la via, la veri-tà e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”” (Gv 14,6). Il Signore Gesù è l’unica via per arrivare al

Padre, perché è la rivelazione di Dio in questo mondo e la comunicazione della sua vita agli uomini. È la via, perché è anche la meta: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). L’originalità del cristianesimo è propria questa: Dio si è fatto uomo e ci chiama a vivere eternamente con sé; si è donato nella storia, perché vuole donarsi nell’e-ternità. Le altre religioni intuiscono che esiste la divinità, sorgente misteriosa di ogni cosa; avvertono che, dopo la morte, ci deve essere un premio per i giusti e un

castigo per i malvagi. Ma sono lontane dal pensare che Dio abbia condiviso per-sonalmente la nostra condizione umana, legandosi a noi per sempre, e che il pre-mio destinato ai giusti sia la partecipazio-ne alla vita stessa di Dio. Perciò San Giovanni poteva scrivere alla prima comunità cristiana dicen-do:“Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli al-tri” (1Gv 4,11). Se crediamo che Dio è arrivato a dare il Figlio unigenito e lo Spirito Santo per attirarci a sé, dobbiamo anche noi amare senza misura e costruire la Chiesa come comunità di carità al ser-

vizio di tutto il mondo. Cristo è la via “nuova e vivente” (Eb 10,20) da seguire e la meta dove incontreremo il Padre. Lo Spirito Santo ci unisce sempre più a lui e ci rende “lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghie-ra, solleciti per le necessità dei fratel-li” (Rm 12,12-13). Nell’ articolo dodi-ci del Catechismo della Chiesa cattolica leggiamo ancora: « Per il cristiano, che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è come un andare verso di lui ed entrare nella vita eterna. Quando la

Chiesa ha pronunciato, per l'ultima volta, le parole di perdono dell'assoluzione di Cristo sul cristiano morente, l'ha segnato, per l'ultima vol-ta, con un’unzione fortifican-te e gli ha dato Cristo nel viatico come nutrimento per il viaggio, a lui si rivolge con queste dolci e rassicuranti parole: “Parti, anima cristiana, da questo mondo, nel nome di Dio Padre onnipotente che ti ha creato, nel nome di Gesù

Cristo, Figlio del Dio vivo, che è morto per te sulla croce, nel nome dello Spirito Santo, che ti è stato dato in dono; la tua dimora sia oggi nella pace della santa Gerusalemme, con la Vergine Maria, Madre di Dio, con san Giuseppe, con tutti gli angeli e i santi. [...] Tu possa tornare al tuo Creatore, che ti ha forma-to dalla polvere della terra. Quando la-scerai questa vita, ti venga incontro la Vergine Maria con gli angeli e i santi. [...] Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno” ».

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Credo la Vita Eterna

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Con la sua morte e la sua risurrezione Gesù Cristo ci ha « aperto » il cielo. La vita dei beati consiste nel pieno possesso dei frutti della redenzione compiuta da Cristo, il quale associa alla sua glorifica-zione celeste coloro che hanno creduto in lui e che sono rimasti fedeli alla sua volontà. Il cielo è la beata comunità di tutti coloro che sono perfettamente incorporati in Lui. Questo mistero di comunione beata con Dio e con tutti coloro che sono in Cristo supera ogni possibilità di com-prensione e di descrizione. La Scrittura ce ne parla con immagini: vita, luce, pace, banchetto di nozze, vino del Regno, casa del Padre, Gerusalemme celeste, paradiso: «Quelle cose che oc-chio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo ama-no» (1 Cor 2,9). Senza questa prospettiva è impossibile illuminare l’intera vicenda umana. La fede nella vita eterna è ciò che dà un va-lore alla vita umana, all’impegno etico, alla donazione generosa, al servizio abne-gato, allo sforzo per comunicare la dot-trina e l’amore di Cristo a tutte le anime. La speranza cristiana nel cielo non è indi-vidualistica, ma si riferisce a tutti. Secon-do questa promessa il cristiano può esse-re fermamente convinto che “vale la pe-na” vivere pienamente la vita cristiana. «Il cielo è il fine ultimo dell’uomo e la realizzazione delle sue aspirazioni più profonde, lo stato di felicità suprema e definitiva» (Catechismo, 1024); così ne parla sant’Agostino nelle Confessioni: «Tu ci hai fatti per te e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te». La vita eterna, in definitiva, è l’oggetto principale della speranza cristiana. La fede nella vita eterna è per un cristia-no motivo d’impegno nel bene, criterio di giudizio, sorgente di speranza. La vita eterna è il frutto definitivo della donazione divina all’uomo. Per questo ha qualcosa d’infinito. Tuttavia la grazia divina non elimina la natura umana, né nel suo essere né nelle sue facoltà, né la sua personalità, né quello che ha meritato durante la vita. Per questo c’è distinzione e diversità fra quelli che hanno visione di Dio, non in quanto all’oggetto, che è Dio stesso,

contemplato senza intermediari, ma in quanto alla qualità del soggetto: «chi ha più carità partecipa di più della luce della gloria, e più perfettamente vedrà Dio e sarà felice». Nel creare e redimere l’uomo, Dio lo ha destinato all’eterna comunione con Lui, a quella che san Giovanni chiama la “vita eterna” o a quello che si suole chiamare “il paradiso”. Così Gesù comunica ai suoi la promessa del Padre: «Bene, servo buo-no e fedele […], sei stato fedele nel poco […], prendi parte alla gioia del tuo pa-drone» (Mt 25, 21). Solo alla luce del Mistero di Cristo e della sua Pasqua si può comprendere nella sua pienezza il dono della vita, l’amore fedele di Dio, le sue promesse di salvezza e la definitiva vocazione degli uomini alla vita eterna nella comunione intima con Dio.

Don Giuseppe Imperato

L’amore è più forte della morte

Una poesia di Shalom Ben Chorin, scritta nel 1942 – nel pieno della persecuzione contro il popolo ebraico – e che esprime magnificamente il senso della speranza che accomuna tutti i credenti. Amici, che il ramo di mandorlo di nuovo fiorisca e germogli non forse è un segno che l'amore rimane? Che la vita non finisca, anche se il molto sangue grida, non conta poco in questo torbidissimo tempo. Migliaia ne calpesta la guerra, un mondo scompare. Allora la vittoria fiorita della vita lieve oscilla nel vento. Amici, che il ramo di mandorlo oscilli fiorito, rimane per noi un segno: la vita vince.

Shalom Ben Chorin

Perché credere oggi Pubblichiamo di seguito il testo della catechesi tenuta da Benedetto XVI durante l’Udienza Generale del mercoledì, che si è svolta questa mattina in Piazza San Pietro. Cari fratelli e sorelle,

mercoledì scorso, con l'inizio dell'Anno della fede, ho cominciato con una nuova serie di catechesi sulla fede. E oggi vorrei riflettere con voi su una questione fonda-mentale: che cosa è la fede? Ha ancora senso la fede in un mondo in cui scienza e tecnica hanno aperto orizzonti fino a poco tempo fa impensabili? Che cosa significa credere oggi? In effetti, nel no-stro tempo è necessaria una rinnovata educazione alla fede, che comprenda certo una conoscenza delle sue verità e

degli eventi della salvezza, ma che so-prattutto nasca da un vero incontro con Dio in Gesù Cristo, dall’amarlo, dal dare fiducia a Lui, così che tutta la vita ne sia coinvolta. Oggi, insieme a tanti segni di bene, cresce intorno a noi anche un certo deserto spirituale. A volte, si ha come la sensazione, da certi avvenimenti di cui abbiamo notizia tutti i giorni, che il mon-do non vada verso la costruzione di una comunità più fraterna e più pacifica; le stesse idee di progresso e di benessere mostrano anche le loro ombre. Nono-stante la grandezza delle scoperte della scienza e dei successi della tecnica, oggi l’uomo non sembra diventato veramente più libero, più umano; permangono tan-te forme di sfruttamento, di manipolazione, di violenza, di sopraffa-zione, di ingiustizia… Un certo tipo di

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manipolazione, di violenza, di sopraffa-zione, di ingiustizia… Un certo tipo di cultura, poi, ha educato a muoversi solo nell’orizzonte delle cose, del fattibile, a credere solo in ciò che si vede e si tocca con le proprie mani. D’altra parte, però, cresce anche il numero di quanti si sento-no disorientati e, nella ricerca di andare oltre una visione solo orizzontale della realtà, sono disponibili a credere a tutto e al suo contrario. In questo contesto rie-mergono alcune domande fondamentali, che sono molto più concrete di quanto appaiano a prima vista: che senso ha vive-re? C’è un futuro per l’uomo, per noi e per le nuove generazioni? In che direzio-ne orientare le scelte della nostra libertà per un esito buono e felice della vita? Che cosa ci aspet-ta oltre la soglia della morte? Da queste insopprimibili domande emerge come il mondo della pianificazione, del calcolo esatto e della sperimentazione, in una parola il sapere della scienza, pur importante per la vita dell’uomo, da solo non ba-sta. Noi abbiamo bisogno non solo del pane materiale, abbiamo bisogno di amore, di significato e di speranza, di un fondamento sicuro, di un terreno solido che ci aiuti a vivere con un senso auten-tico anche nella crisi, nelle oscurità, nelle difficoltà e nei problemi quotidiani. La fede ci dona proprio questo: è un fiducio-so affidarsi a un «Tu», che è Dio, il quale mi dà una certezza diversa, ma non meno solida di quella che mi viene dal calcolo esatto o dalla scienza. La fede non è un semplice assenso intellettuale dell’uomo a delle verità particolari su Dio; è un atto con cui mi affido liberamente a un Dio che è Padre e mi ama; è adesione a un «Tu» che mi dona speranza e fiducia. Certo questa adesione a Dio non è priva di contenuti: con essa siamo consapevoli che Dio stesso si è mostrato a noi in Cri-sto, ha fatto vedere il suo volto e si è fatto realmente vicino a ciascuno di noi. Anzi, Dio ha rivelato che il suo amore verso l’uomo, verso ciascuno di noi, è senza misura: sulla Croce, Gesù di Naza-ret, il Figlio di Dio fatto uomo, ci mostra nel modo più luminoso a che punto arri-

va questo amore, fino al dono di se stes-so, fino al sacrificio totale. Con il mistero della Morte e Risurrezione di Cristo, Dio scende fino in fondo nella nostra umanità per riportarla a Lui, per elevarla alla sua altezza. La fede è credere a questo amore di Dio che non viene meno di fronte alla malvagità dell’uomo, di fronte al male e alla morte, ma è capace di trasformare ogni forma di schiavitù, donando la possi-bilità della salvezza. Avere fede, allora, è incontrare questo «Tu», Dio, che mi sostiene e mi accorda la promessa di un amore indistruttibile che non solo aspira all’eternità, ma la dona; è affidarmi a Dio con l’atteggiamento del bambino, il quale sa bene che tutte le sue difficoltà, tutti i

suoi problemi sono al sicuro nel «tu» della madre. E questa possibilità di sal-vezza attraverso la fede è un dono che Dio offre a tutti gli uomini. Penso che dovremmo meditare più spesso - nella nostra vita quotidiana, caratterizzata da problemi e situazioni a volte drammati-che –sul fatto che credere cristianamente significa questo abbandonarmi con fiducia al senso profondo che sostiene me e il mondo, quel senso che noi non siamo in grado di darci, ma solo di ricevere come dono, e che è il fondamento su cui pos-siamo vivere senza paura. E questa cer-tezza liberante e rassicurante della fede dobbiamo essere capaci di annunciarla con la parola e di mostrarla con la nostra vita di cristiani. Attorno a noi, però, ve-diamo ogni giorno che molti rimangono indifferenti o rifiutano di accogliere que-sto annuncio. Alla fine del Vangelo di Marco, oggi abbiamo parole dure del

Risorto che dice: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,16), perde se stesso. Vorrei invitarvi a riflettere su questo. La fiducia nell’azione dello Spiri-to Santo, ci deve spingere sempre ad andare e predicare il Vangelo, alla corag-giosa testimonianza della fede; ma, oltre alla possibilità di una risposta positiva al dono della fede, vi è anche il rischio del rifiuto del Vangelo, della non accoglienza dell’incontro vitale con Cristo. Già sant’Agostino poneva questo problema in un suo commento alla parabola del semi-natore: «Noi parliamo - diceva -, gettia-mo il seme, spargiamo il seme. Ci sono quelli che disprezzano, quelli che rimpro-

verano, quelli che irri-dono. Se noi temiamo costoro, non abbiamo più nulla da seminare e il giorno della mietitu-ra resteremo senza raccolto. Perciò venga il seme della terra buona» (Discorsi sulla disciplina cristia-na,13,14: PL 40, 677-678). Il rifiuto, dun-que, non può scorag-giarci. Come cristiani siamo testimonianza di questo terreno fertile: la nostra fede, pur nei nostri limiti, mostra

che esiste la terra buona, dove il seme della Parola di Dio produce frutti abbon-danti di giustizia, di pace e di amore, di nuova umanità, di salvezza. E tutta la storia della Chiesa, con tutti i problemi, dimostra anche che esiste la terra buona, esiste il seme buono, e porta frutto. Ma chiediamoci: da dove attinge l’uomo quell’apertura del cuore e della mente per credere nel Dio che si è reso visibile in Gesù Cristo morto e risorto, per acco-gliere la sua salvezza, così che Lui e il suo Vangelo siano la guida e la luce dell’esi-stenza? Risposta: noi possiamo credere in Dio perché Egli si avvicina a noi e ci toc-ca, perché lo Spirito Santo, dono del Risorto, ci rende capaci di accogliere il Dio vivente. La fede allora è anzitutto un dono so-prannaturale, un dono di Dio.

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PAGINA 4 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Il Concilio Vaticano II afferma: «Perché si possa prestare questa fede, è necessaria la grazia di Dio che previene e soccorre, e sono necessari gli aiuti interiori dello Spirito Santo, il quale muova il cuore e lo rivolga a Dio, apra gli occhi della mente, e dia "a tutti dolcezza nel consentire e nel credere alla verità"» (Cost. dogm. Dei Verbum, 5). Alla base del nostro cammino di fede c’è il Battesimo, il sa-cramento che ci dona lo Spirito Santo, facendoci diventare figli di Dio in Cristo, e segna l’ingresso nella comunità della fede, nella Chiesa: non si crede da sé, senza il prevenire della grazia dello Spiri-to; e non si crede da soli, ma insieme ai fratelli. Dal Battesimo in poi ogni cre-dente è chiamato a ri-vivere e fare pro-pria questa confessione di fede, insieme ai fratelli. La fede è dono di Dio, ma è anche atto profondamente libero e uma-no. Il Catechismo della Chiesa Cattolica lo dice con chiarezza: «È impossibile credere senza la grazia e gli aiuti interiori dello Spirito Santo. Non è però meno vero che credere è un atto autenticamen-te umano. Non è contrario né alla libertà né all’intelligenza dell’uomo» (n. 154). Anzi, le implica e le esalta, in una scom-messa di vita che è come un esodo, cioè un uscire da se stessi, dalle proprie sicu-rezze, dai propri schemi mentali, per affidarsi all’azione di Dio che ci indica la sua strada per conseguire la vera libertà, la nostra identità umana, la gioia vera del cuore, la pace con tutti. Credere è affi-darsi in tutta libertà e con gioia al disegno provvidenziale di Dio sulla storia, come fece il patriarca Abramo, come fece Ma-ria di Nazaret. La fede allora è un assenso con cui la nostra mente e il nostro cuore dicono il loro «sì» a Dio, confessando che Gesù è il Signore. E questo «sì» trasfor-ma la vita, le apre la strada verso una pienezza di significato, la rende così nuo-va, ricca di gioia e di speranza affidabile. Cari amici, il nostro tempo richiede cri-stiani che siano stati afferrati da Cristo, che crescano nella fede grazie alla fami-liarità con la Sacra Scrittura e i Sacramen-ti. Persone che siano quasi un libro aper-to che narra l’esperienza della vita nuova nello Spirito, la presenza di quel Dio che ci sorregge nel cammino e ci apre alla vita che non avrà mai fine. Grazie.

Benedetto XVI

Cosa diciamo quando affermiamo nella nostra professione di fede: “credo”? La fede è una virtù teologale che, quale do-no, mi è offerto gratuitamente da Dio e, al contempo, è un atto proprio dell’uo-mo. Si tratta di un atto umano – credere è profondamente umano – che supera la ragione e mi fa accogliere per la grazia di Dio una verità più grande di me, che mi supera, ma che al contempo mi dà la ragione di me e di tutto ciò che esiste. Credere è accogliere la Rivelazione di Dio, ovvero la Verità che Dio mi fa co-noscere per la mia salvezza. Credere è un atto di obbedienza a Dio, mosso dalla sua grazia. Il credere non è un bisogno sog-gettivo, che matura in una coscienza che vede in Gesù forse la medicina ideale o l’appagamento dei propri desideri o biso-gni interiori di spiritualità: questa sareb-be una fede che porta al soggettivismo. Non è fede teologale quanto piuttosto ancora un sentimento umano. Facilmente confondiamo le due cose. La fede teolo-gale è una virtù infusa da Dio nella mia

anima mediante il Battesimo, che mi fa rispondere alla sua chiamata, al fatto cioè che Dio si fa conoscere mediante la sua Parola e i suoi insegnamenti. Questo tesoro

prezioso, che è appunto la Rivelazione di Dio, è custodito dalla Chiesa e mi viene proposto in modo didattico nel Catechi-smo. Credere implica, perciò, conoscere il Catechismo al fine di professare la retta fede in Gesù mio Signore e, mediante la retta fede, alimentare la carità, l’amore per Lui e la speranza di possederlo un giorno nell’Eternità. Non posso pensare di amare rettamente il Signore senza co-noscere la sua Parola, la sua Rivelazione, e quindi, a modo di compendio, il Cate-chismo dottrinale. Non c’è, né ci deve essere, una frattura tra la fede quale con-cetti da apprendere e fede in quanto vis-suta nell’incontro personale col Signore. Si tratta di due aspetti della medesima fede: fede oggettiva (verità da credere) e fede soggettiva (atto personale di fede). Possiamo capire che una fede soggettiva,

vissuta senza un contenuto oggettivo, dottrinale, presto diventa una fede illuso-ria e priva di fondamento nella Verità e nell’obbedienza alla Chiesa. Va piuttosto di moda oggi farsi una fede su misura, come un vestito. Purtroppo è prevalso l’aspetto soggettivo del credere contro o a discapito di quello oggettivo. Anche al catechismo spesso non si insegnano ai bambini le nozioni della fede ma a fare tanti giochi e a disegnare i cartelloni. Il motivo di fondo è che la fede non sareb-be “contenutistica” e che i contenuti, le nozioni della fede, porterebbero la stessa a inaridirsi. Evidentemente questo pre-giudizio porterà il bambino, col crescere, a farsi una fede secondo la sua visione del Cristo e della Chiesa. Dobbiamo allora recuperare la vera fede e il suo rapporto armonico tra i due aspetti che abbiamo richiamato. È razionale credere o è solo un’illusione? Credere, chiediamoci, è possibile per l’uomo del XXI secolo sem-pre più sofisticatamente esperto della realtà e dei processi della materia? È ve-ramente razionale, umano, credere o si tratta di un auto-ingannarsi volgendo la mente a cose astruse e, del resto, indi-mostrabili? Bisogna partire dalla realtà, dalle cose esistenti. Infatti, se osservo le cose, mi accorgo che la realtà è più gran-de di me. Mi rendo conto che non sono io il centro dell’universo, né la ragione di ciò che esiste, neppure la ragione di me stesso. La mia ragione non è il tutto. Questo mi dà modo di riflettere sul fatto che necessariamente debbo andare oltre il finito, oltre me stesso e oltre la mia stessa ragione. Già porsi la domanda sulla razionalità o sull’illusorietà della fede è segno che in me c’è un desiderio di capi-re e che questo desiderio è profondamen-te umano: un desiderio di trascendenza. Porsi il problema di Dio e della fede (anche l’ateo si pone il problema che poi nega) è evidenza che oltre ciò che è tan-gibile con l’esperienza della mia vita c’è qualcos’altro, c’è l’intelligenza umana che si apre anche al mistero: ciò che col-go in qualche modo come presenza ma che mi supera. O scelgo il mistero o il nulla. Non c’è alternativa. La fede è la scelta di Dio, del Tutto. L’unica vera alternativa al nichilismo. Dice il grande

Cosa vuol dire credere

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PAGINA 5 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

A. Einstein: «Chi non ammette l’inson-dabile mistero non può essere neanche uno scienziato». Count Kessler un giorno chiese ad Einstein: «Professore, sento dire che lei è profondamente religioso». Einstein gli rispose: «Sì, lei può dirlo. Cerchi e penetri con i limiti della nostra mente i segreti della natura e scoprirà che, dietro tutte le discernibili concate-nazioni, rimane sempre qualcosa di sotti-le, di intangibile e inesplicabile. La vene-razione per questa forza, al di là di ogni altra cosa che noi possiamo comprende-re, è la mia religione. A questo titolo io sono religioso». La fede dà una riposta di senso alla nostra vita e a tutti i problemi, anche a quelli economici che sembrano oggi avere un primato assoluto. Ci si dimentica che non si può risolvere il pro-blema economico con l’euro. La radice della crisi è antropologica ed esistenziale. Oggi, in un momento di grande crisi e smarrimento sociali, siamo semplice-mente di fronte al problema del PIL, del debito sovrano, oppure a un problema della ragione chiusa a Dio? Non è forse vero che viviamo in un mondo meno umano e tante volte disumano? È sempre più difficile nascere ed è sempre più faci-le morire. Si consuma ma non si produce e si importa. Col decrescere del PIL de-cresce anche la nostra capacità di essere uomini, mentre aumentano le disperazio-ni e i delitti più orridi. Viviamo una delle più grandi crisi economiche, ma che pri-ma ancora di essere crisi dell’euro è una crisi di valori umani e cristiani. Così l’e-conomista della Santa Sede, Ettore Gotti Tedeschi, ha riassunto il problema: «Ci troviamo di fronte a un nuovo ordine economico mondiale provocato dal crol-lo delle nascite in Occidente, dalla globa-lizzazione accelerata che ha delocalizzato troppe produzioni in Asia, dividendo il mondo tra Paesi consumatori e non pro-duttori e Paesi produttori ma non ancora consumatori. Il nuovo scenario attuale è dovuto, in sostanza, alla crescita consu-mistica a debito, insostenibile, nel mon-do occidentale». Questa tremenda inver-sione della realtà ha a che fare con l’as-senza di Dio oppure no? Sì; se riflettiamo scopriremo che sottraendo il primato a Dio e alla fede, la ragione, mettendo al centro se stessa, si autodemolisce. In tutti gli ambiti della vita umana. Il mito della ragione onnipotente diventa espe-

rienza e risultato di un’umanità misere-vole. L’inversione della fede in Dio in una fede nella scienza e nell’economia senza più Dio ha provocato la caduta miserevole dei principi primi della vita umana. L’economia si regge sui veri va-lori umani e l’uomo si regge solo su Dio. Se viene meno Dio, la fede in Lui, cade l’edificio umano. Credo è affidarsi a una testimonianza La fede cattolica è basata sulla testimo-nianza di coloro che sono vissuti insieme con Gesù, i quali l’hanno veduto, tocca-to, udito e perciò lo hanno trasmesso (cf. 1Gv 1,1-3). Hanno trasmesso il Signore donando alla Chiesa, attraverso la loro predicazione e poi attraverso i Vangeli e gli altri Scritti neotestamentari, la verità storica e soprannaturale del Signore Ge-sù. Crediamo che Cristo ha patito, è morto ed è veramente risorto perché ci sono dei testimoni credibili, gli Apostoli, i quali hanno visto e testimoniato. A loro volta hanno dato la testimonianza supre-ma della vita col martirio. Agli Apostoli succedono poi i Vescovi, così la testimo-nianza vivente del Signore Gesù si perpe-tua fino alla venuta finale del Risorto. Così dobbiamo credere nella comunione con questa testimonianza vivente: questa testimonianza che si prolunga nel tempo è propriamente la Chiesa quale Corpo del Signore. Qui è implicato il concetto di trasmissione della fede, che viene dall’alto e ci raggiunge di bocca in bocca, di cuore in cuore. Credere è riscoprire la Tradizione della Chiesa per credere con la Chiesa. La fede è possibile solo nella compagine vivente del Cristo risorto, la Chiesa, e con la fede viva del Corpo mi-stico del Signore. La fede è un dono che viene dall’alto e mi incorpora con i miei fratelli nella Comunità dei salvati. Chi crede, diceva Benedetto XVI in Austria, non è mai solo. Si crede sempre come Corpo di Cristo. Questo mi preserva dalla solitudine, dall’individualismo, da una fede “fai da te”, che oggi impera nella nostra cultura. Credere oggi, in un certo senso, è più urgente che ieri: è l’unica vera ripresa del mondo in frantumi. Che il Signore si degni di accrescere la nostra fede e col papà del bambino epilettico del Vangelo possiamo anche noi dire con umiltà: «Credo Signore, aiutami nella mia incredulità» (Mc 9,24). Fonte: www.settimanaleppio.it

L’importanza della formazione per la

professione della fede

L’Anno della Fede è stato inaugurato l’ 11 Ottobre scorso da Papa Benedetto XVI, anche nella nostra Diocesi c’è stata una Solenne Celebrazione, ad Amalfi, nel corso della quale sono stati annunciati gli obiettivi e l’itinerario da seguire, per portare a compimento quest’Anno di Grazia. E’ importante riflettere sui pre-supposti indicati dal documento “ Porta Fidei” attraverso il quale il Santo Padre ha voluto spiegare il perché “ dell’Anno della Fede”. Egli,indicendo un anno di riflessioni sulla fede ha auspicato di po-ter “ rendere sempre più saldo il rappor-to con Cristo Signore “, sia comunitaria-mente che singolarmente. “ Il Papa Be-nedetto XVI, nel Motu Proprio, ci spie-ga che ‘la porta’ è l’accesso alla vita di comunione con Dio e permette l’in-gresso nella Chiesa. Essa è sempre aper-ta, noi dobbiamo solo lasciare plasmare il nostro cuore dalla Parola di Dio, per essere trasformati dalla Grazia. Tutto questo comporta la scelta di percorrere un cammino che dura tutta la vita! Esso inizia con il Battesimo e si conclude con il passaggio alla” vita eterna”, attraverso la morte. Ricevere il Battesimo dunque è il Dono più bello che si possa ottenere, attraverso questo Sacramento siamo chia-mati a professare la fede in Dio, e nel Suo Figlio Gesù, in ogni momento della nostra vita, con l’aiuto dello Spirito Santo.

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Ed ancora il Santo Padre ci fa riflettere sulla necessità di avere fede nella Santa Trinità perché ciò equivale a credere in Dio solo che è Amore“(cfr 1Gv 4,8 ), “Il Padre, nella pienezza del tempo ha invia-to suo Figlio per la nostra salvezza; Gesù Cristo nel mistero della sua morte e ri-surrezione ha redento il mondo; lo Spiri-to Santo conduce la Chiesa attraverso i secoli nell’attesa del ritorno glorioso del Signore.” Molti di noi, pur avendo rice-vuto “il dono prezioso “, non riescono a ritrovare la motivazione profonda della propria fede ed essere in linea con “l’unità di misura “ che ci offre il Vange-lo! E’ vero, sarà colpa dei tempi, ma quasi sicuramente l’apatia che attanaglia la nostra vita interiore nasce dalla man-cata consapevolezza così come ci fa riflet-tere don Antonio Porpora nel suo arti-colo su “Fermento” di questo mese; il dono genera la disposizione di ogni per-sona a produrre risposte, questa disposi-zione cresce accogliendo e rispondendo al dono stesso e trasformando il tutto nella “consapevolezza“. La crescita della consapevolezza e dell’atteggiamento del cristiano richiede la “crescita nella cono-scenza dell’identità di Dio”. Nessuno può amare una persona se non la conosce fino in fondo. La nostra fede il più delle volte è abitudinaria e ci accontentiamo di pic-coli gesti per sentirci apposto con la no-stra coscienza. Ma l’uomo è stato creato da Dio a sua immagine e somiglianza per volare alto! Duc in altum (Lc 5,4) e per rispondere alla chiamata nel modo più entusiasta possibile. L’uomo, pur essen-do fatto per l’infinito non arriva a cono-scere Dio da solo con le proprie forze e da se stesso non riesce a diventare co-sciente, consapevole, capace di credere e di corrispondere all‘Amore di Dio. Il Padre ha provveduto a rivelarsi all’uma-nità attraverso la creazione, attraverso le Scritture ed infine ha rivelato il Suo Vol-to ed è “ venuto ad abitare in mezzo a noi, perché potessimo riconoscerlo ed amarlo”. Dio desidera farsi conoscere e desidera essere amato da tutti gli uomini. La verità divina è l’Amore, l’uomo è immediatamente coinvolto nella Rivela-zione, perché Dio desidera che l’uomo entri in “comunione con Lui. Gesù Cri-sto è la vera rivelazione del Volto di Dio ed il compimento ultimo è il Mistero della Sua Morte e Resurrezione, dove è

donato in pienezza “l’Amore che salva” e “una vita nuova”. La fede è la risposta alla Rivelazione di Dio, essa nasce dallo stupore dinanzi a Dio che si rivela e si dona. L’Anno della fede è dunque un invito a riscoprire la semplicità stessa della fede per impegnarsi ad una rinnova-ta ed autentica conversione al Signore. Anche negli Orientamenti Pastorali per l’Anno della fede viene sottolineato co-me il cristiano è chiamato a testimoniare che “nella fede tutto è armonicamente collegato, così come nel corpo, perché unico è il Dio Vivente che si è manifesta-to in Gesù nella storia.” La fede per esse-re vera deve essere operosa. Il Santo Padre, infatti, scrive al n°7 del documen-to “Porta Fidei”: Caritas Christi urget nos. (2 Cor 5,14) :” è l’Amore di Cristo che ci spinge ad evangelizzare.Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo a proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra.(Mt 28,19 )“ . Cristo affida alla Chiesa, ‘suo Corpo’ un mandato che è sempre nuovo, un compi-to che permette di attirare a sé gli uomi-ni di ogni generazione: l’annuncio del Vangelo. Ed è per questo motivo che in questo momento si rende necessario “ un corale impegno ecclesiale“ a favore di una rinnovata Evangelizzazione, per ri-scoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede. Essendo lo sforzo richiesto “corale“, tutto il popolo di Dio deve impegnarsi a ri-prendere il cammino di formazione alla fede, soprattutto noi laici impegnati non dobbiamo sciupare le opportunità, i pro-grammi e gli itinerari organizzati in dio-cesi e nelle nostre parrocchie, per ap-profondire il Catechismo della Chiesa Cattolica, “come un vero strumento a sostegno della fede“, ed i Documenti Conciliari che forniscono le indicazioni necessarie su come “ avvicinare i lontani “ “Se non conosciamo, ci dice ancora don Antonio Porpora nel suo articolo, faccia-mo fatica a credere e “a dare il nostro assenso a quanto viene proposto dalla Chiesa”, soprattutto faremo fatica a tra-smettere agli altri la “Bella notizia“. Che lo Spirito Santo ci aiuti a diventare consa-pevoli dell’urgenza di riscoprire la fede e a confessarla ‘in pienezza’, con rinnovata convinzione, con fiducia e con speranza. Giulia Schiavo

Fede e missione

“La fede in Dio, in questo disegno di amore realizzato in Cristo,è anzitutto un dono e un mistero da accogliere nel cuo-re e nella vita e di cui ringraziare sempre il Signore. Ma la fede è un dono che ci è stato dato perché sia condiviso;è un ta-lento ricevuto perché porti frutto;è una luce che non deve rimanere nascosta, ma illuminare tutta la casa. E’ il dono più importante che ci è stato fatto nella no-stra esistenza e che non possiamo tenere per noi stessi”. E’ un passo del Messaggio di papa Benedetto XVI per la Giornata Missionaria Mondiale 2012 che è stata celebrata domenica,21 ottobre. Come di consueto, il Pontefice con un linguaggio semplice ha ribadito alcuni aspetti del nostro essere Chiesa che spesso tendiamo a dimenticare. E’, a mio giudizio, una costante nel Pontificato di Benedetto XVI l’invito a riscoprire gli aspetti essen-ziali del nostro essere battezzati e segua-ci di Cristo. Le catechesi, i messaggi, gli interventi di Benedetto XVI sono appa-rentemente semplici, a dispetto della sua vastissima cultura, ma mirano a ricordare quegli aspetti salienti della nostra fede che forse per diversi motivi abbiamo dimenticato o trascurato. Questo stile di formare e guidare la Chiesa a lui affidata si conferma anche nel Messaggio per la Giornata Missionaria 2012, strutturato in quattro sezioni,che rappresenta una pista da seguire nell’Anno della Fede appena cominciato. Proprio in questo anno straordinario papa Benedetto XVI con-ferma “la volontà della Chiesa di impe-gnarsi con maggiore coraggio e ardore nella “missio ad gentes” perché il Vangelo giunga sino agli estremi confini della ter-ra”. Ma chi sono le ‘gentes’? Ho l’im-pressione che il Pontefice, in modo anco-ra più incisivo dei suoi immediati prede-cessori, tenda a chiarire che la “missio ad

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gentes” non riguarda solo le popolazioni che non conoscono ancora Cristo e “vivono ignari dell’amore di Dio”ma anche quelle che per tradizione sono cristiane. Di qui l’invito ai Vescovi, agli Istituti di vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica e ai Movimenti ecclesiali “ad adeguare costantemente stili di vi-ta,piani pastorali e organizzazione dioce-sana a questa dimensione fondamentale dell’essere Chiesa specialmente nel no-stro mondo in continuo cambiamen-to”.Mi chiedo se,nel nostro piccolo,il messaggio pontificio sia stato letto e me-ditato. Magari per comprendere finalmente che “gli orizzonti immensi della missione ecclesiale, la complessità della situazione presente chiedono oggi modalità rinno-vate per poter comunicare efficacemente la Parola di Dio” e decidersi, una volta per tutte,a non accontentarsi di fe-ste,processioni,santuari e monasteri, ma” a leggere la storia per scorgervi i proble-mi, le aspirazioni e le speranze dell’uma-nità,che Cristo deve sanare,purificare e riempire della sua presenza”. Ma “nemo dat quod non habet”.Come possiamo annunciare Cristo agli altri se noi battezzati,come singoli e come co-munità,non facciamo “una rinnovata ade-sione di fede al Vangelo di Gesù Cristo in un momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo”?Papa Benedetto XVI ricorda che uno degli ostacoli allo slancio dell’evangeliz-zazione è la crisi della fede “di gran parte dell’umanità che pure ha fame e sete di Dio e deve essere invitata e condotta al pane di vita e all’acqua viva ”come la Samaritana. E’ chiaro che il Pontefice collega il di-scorso dell’evangelizzazione e quindi missionario al discorso di fede. Solo se abbiamo incontrato Cristo come Persona viva che colma la sete del cuore siamo spinti a condividere con altri la gioia di questa presenza e di farlo conoscere per-ché tutti la possano sperimentare. A que-sto punto del messaggio papa Benedetto è molto esplicito nel sottolineare che proprio le comunità e i Paesi di antica tradizione cristiana, che stanno perdendo il riferimento a Dio, sono i destinatari di un nuovo processo di evangelizzazione possibile se rinnoviamo l’entusiasmo di

comunicare la fede. Di conseguenza “La preoccupazione di evangelizzare”,dice il Papa,” non deve mai rimanere ai margini dell’attività ecclesiale e della vita perso-nale del cristiano, ma caratterizzarla for-temente, nella consapevolezza di essere destinatari e, al tempo stesso, missionari del Vangelo”. Solo nella parte finale del messaggio il Pontefice parla delle Chiese nei territori di missione per le quali la “missionarietà è diventata una dimensio-ne connaturale,anche se esse stesse hanno bisogno di missionari”. Una conferma, a mio giudizio, di ciò che oggi è l’evangelizzazione e la missione. Non un dovere, come nel passato anche

recente si è ritenuto nelle nostre comu-nità,di mandare soldi alle popolazioni “lontane”e povere delle terre di missione e stare così tranquilli con la coscienza, ma il dovere di accogliere e annunciare con gioia all’altro” il Kerigma del Cristo morto e risorto per la salvezza de mon-do, il Kerigma dell’amore di Dio assolu-to e totale per ogni uomo e donna, cul-minato nell’invio del Figlio eterno e uni-genito, il Signore Gesù,il quale non di-sdegnò di assumere la povertà della no-stra natura umana,amandola e riscattan-dola, per mezzo dell’offerta di sé sulla croce,dal peccato e dalla morte”.Se come singoli e come comunità ecclesiali siamo convinti di questo, non esiteremo ad annunciarlo, senza giudizi e pregiudizi, agli altri. Diversamente continueremo a coltivare il nostro orticello recintato dalla presunzione e magari ad illuderci di testimoniare la fede solo con manifesta-zioni legate alla tradizione che stanno diventando, ahimè, anche fonte di guada-gno. Con buona pace della tradizio-ne,della missione e della fede.

Roberto Palumbo

Invito alla preghiera

Sabato, 20 ottobre, la Comunità Sposi di R a v e l l o , ha com-piuto un u l ter iore passo sulla

via di fede che ha intrapreso, ricevendo la compieta e centrando un altro degli obiettivi che la Fraternità di Emmaus propone. Non a caso, la Compieta e una preghiera specifica che segna il passaggio tra le tribolazioni diurne e il riposo not-turno, l’abbraccio di Dio. Questa formula di ringraziamento ha una struttura ben precisa il saluto iniziale, l’esame di coscienza, la formula peniten-ziale, i salmi, le antifone, la lettura bre-ve, il responsorio breve, ed infine il Can-tico di Simeone. Non casuale, ne affrettata, e stata la sua consegna, la comunità, si e infatti prepa-rata per un anno intero e poi, in occasio-ne della prima celebrazione eucaristica utile del nuovo anno catechistico, c’è stata la sua consegna. La Messa e stata presieduta da Mons. Imperato e prepara-ta dalla coppia guida, Laura e Peppe, che con i membri della comunità, hanno provveduto ad animare la liturgia con i canti, ad assegnare le letture, a scrivere qualche preghiera dei fedeli a tema, e a preparare i segni liturgici (la Croce, la Parola, il cesto con i libricini della com-pieta e quello con le candele). Prima della funzione religiosa, Peppe ha pre-sentato questo nuovo impegno della co-munità all’assemblea, e la celebrazione si e aperta con la processione dei segni. Dopo l’Omelia, tutti i membri, ai piedi dell’altare, hanno recitato la formula d’impegno e ricevuto dalle mani di Mons., la candela, accesa dal Cero Pa-squale, e la Compieta, con l’augurio che la luce illuminasse il cammino intrapre-so. Il rito si e concluso con un canto di lode ed al termine della Messa ciascuno e ri-tornato a casa con un nuovo impegno di preghiera, anch’esso comunitario, insie-me all’Angelus mattutino.

Patrizia Cioffi

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L’idea di una Giornata Universale dei Bambini è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1954. Le Nazioni Unite hanno voluto dare una risposta alla richiesta di diversi paesi che chiedevano che venissero elencati i diritti dell’infanzia. Il primo passo è stato la “Dichiarazione dei Diritti del Bambino” il 20 novembre del 1956”. Successivamen-te , nel 1989, e sempre il 20 novembre, è stata firmata “la Convenzione dei Dirit-ti del Bambino”. Attualmente ” la Gior-nata Mondiale del Bambino” si celebra il 20 Novembre in oltre 100 paesi nel mondo . E’ un momento dedicato a dare importanza ai diritti del Bambino conqui-stati negli anni dalla consapevolezza di noi adulti della necessità di tutelare e proteggere chi ancora voce non ha. Que-st’estate a Ravello l’illustratrice Manuela Trimboli e l’autore Fabrizio Calì ,hanno tenuto un laboratorio Interculturale di promozione ai diritti dell’infanzia rivolto ai bambini dai 6 ai 10 anni dove hanno proposto una lettura collettiva della Car-ta dei diritti dell’infanzia con riflessioni/domande/approfondimenti sulle necessi-tà di diritti e doveri del bambino. I bam-bini hanno risposto inventando nuove regole/diritti suggerite dalla loro fanta-sia. Questo confronto e messa in gioco di paure e pregiudizi del bambino ha testi-moniato la sensibilità dei ragazzi riguardo la loro sfera di diritti e di relazioni con il mondo degli adulti. Le iniziative dei vari paesi nella Giornata Universale del Bam-bino, sono volte a raggiungere obiettivi come quello del laboratorio intercultura-le di quest’estate: educare il bambino a vivere le differenze con gli altri bambini in un clima non giudicante, educando a vivere le differenze come una risorsa e agevolando la prevenzione di situazioni

di emarginazione, isolamento, devianza e conflitto. Rendere consapevole il bambi-no dei propri diritti e che questi diritti hanno carattere universale, insegnare loro la differenza tra rispetto e tolleranza stimolando l’interazione con gli altri bambini , qualunque sia la classe sociale di provenienza, è uno dei mattoni per la costruzioni di un futuro migliore sia per loro sia per i bambini che verranno. For-tunatamente sono molte le organizzazio-ni no profit nel mondo che si danno da fare per promuovere la cultura sociali dei diritti del bambino. Il 20 novembre è un momento per dare visibilità e voce a que-ste organizzazioni che si adoperano per aumentare la sensibilità della comunità Internazionale verso situazioni disagiate di bambini che, a causa di tradizioni cul-turali antiche ancora in essere nei loro paesi, non hanno nessuno dei diritti elen-cati nella “Convenzione dei Diritti del Bambino” stilata dall’ONU. Le associa-zioni che si occupano di promozione alla pratica sportiva ed artistica hanno an-ch’esse un ruolo importante nella cresci-ta dei bambini, perché lo sport rappre-senta per loro il primo momento di ag-gregazione e di scambio sociale e cultu-rale. L’educazione allo sport e l’educa-zione al sociale sono due elementi che contribuiscono alla formazione del bam-bino. Il 20 Novembre è un momento in cui noi adulti ci confrontiamo con i no-stri ricordi di quando eravamo bambini . Ci ricordiamo delle cose che non erano giuste, delle opportunità che non aveva-mo e di quelle che invece avevamo in più’ rispetto a quelle che hanno i ragazzi di oggi. E’ un momento per riflettere se possiamo fare qualcosa in più di quello che attualmente facciamo per dare ai ragazzi quello che volevamo anche noi quando eravamo più piccoli. I bambini non hanno ancora voce, è compito degli adulti dargliela e farla sentire più forte che si può, e fare il massimo per farli crescere comunicando loro che le parole di John Donne nella sua incredibile poe-sia “Nessun uomo è un isola” valgono anche per i bambini che saranno gli adul-ti di domani.

Marco Rossetto

Il 26 ottobre si è concluso l’Anno Giubi-lare in occasione del Terzo Centenario della morte del Beato Bonaventura, ca-ratterizzato da una fitta serie di appunta-menti che hanno avuto come obiettivo la crescita spirituale dei ravellesi sensibili alla grazia e dei tanti pellegrini, che, at-traverso la riflessione sulla figura del beato potentino, hanno potuto riscoprire Cristo e la bellezza del Vangelo. L’ottavario di preghiera che ha preceduto la festa del transito del Beato è stata ca-ratterizzata dalla presenza delle comunità parrocchiali provenienti dai luoghi dove il Beato Bonaventura ha sostato durante la sua attività pastorale, che sono venute, come ogni anno, a venerare quel santo frate che ha segnato anche la vita spiri-tuale dei loro paesi. Durante la celebra-zione liturgica serale Padre Antonio Petrosino, superiore del Convento, ha accolto i pellegrini e i ravellesi presen-tando ogni volta un aspetto particolare della vita del Beato alla luce del messag-gio evangelico e soprattutto traendo dalle letture del giorno uno spunto per rileg-gere gli episodi di cui fu protagonista il Beato nell’ottica del progetto di salvezza di Dio. È bello vedere come tante comunità sap-piano riconoscere in questa figura di fra-te, tanto umile da diventare nella conce-zione comune il martire dell’obbedienza, un faro per il loro percorso di fede, in un anno che è dedicato alla crescita della nostra fede. Ed è stata proprio questa coincidenza che è stata sottolineata più volte nel corso dell’ottavario di prepara-zione ma anche durante le liturgie del giorno della festa: l’anno giubilare che ha posto l’attenzione di tutti sulla vita e sull’opera del Beato Bonaventura. E’ stato quasi una preparazione all’Anno della Fede, proclamato dal Santo Padre nel 50° anniversario del Concilio Vatica-no II. Se bisogna sapere leggere negli eventi il disegno provvidenziale di Dio, allora si può sicuramente affermare che il Beato ancora oggi non ha cessato di assolvere a quella promessa fatta nella Cattedrale di Amalfi, quando ricevette il sacramento

20 novembre: Giornata universale dei bambini

Conclusione delle Celebrazioni centenarie

della morte del Beato Bonaventura

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PAGINA 9 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

dell’Ordine dalle mani del Vescovo del tempo: annunciare Cristo, rinnovando il mistero dell’Eucarestia in ogni liturgia. La lectio divina che ha accompagnato i ravellesi in quest’anno giubilare, le tante visite di comunità, gruppi e singoli pelle-grini e i momenti culturali hanno favorito la riscoperta della centralità di Cristo nella vita del Beato Bonaventura e di ogni cristiano. Anche attraverso questo cam-mino, appena concluso, l’Anno della Fede, con i suoi tanti appuntamenti e occasioni di approfondimento, potrà essere veramente un momento di crescita e maturazione della nostra vita spiritua-le. Il giorno della festa, con le celebrazio-ni liturgiche e la processione che avrebbe portato per le strade di Ravello la statua del Beato, è iniziato sotto un cielo plum-beo che non lasciava molta speranza alla realizzazione degli eventi così come era-no stati da tempo programmati. Ed infat-ti, nel pomeriggio dopo un cambio di programma a causa della pioggia che ha bloccato la processione ben due volte, la celebrazione liturgica presieduta dall’Ar-civescovo, Mons. Orazio Soricelli, ha riportato al centro dell’attenzione Colui che deve essere la stella polare della vita di ognuno, Cristo e il mistero della sal-vezza. L’omelia di Mons. Soricelli ha richiamato l’attenzione dei presenti, molto numerosi, sulla figura del Beato alla luce di quanto accadrà nell’anno della fede: Bonaventura servo umile e fedele che ha saputo mettersi alla sequela di Cristo, divenendone suo ministro e gui-dando verso l’alto i fedeli e gli innocenti. Forse anche il non poter svolgere la tra-dizionale processione è stata un’occasio-ne attraverso la quale il Beato ha voluto che nel suo giorno di festa si puntasse l’attenzione senza distrazioni, attraverso di lui, su Cristo che nella messa rinnova il sacrificio salvifico della Croce. In con-clusione, le celebrazioni per la conclusio-ne del Terzo Centenario della nascita al cielo di Carlo Antonio Gerardo Lavagna (questo il nome del Beato prima della sua professione religiosa) sono state un mo-mento, per quanti hanno partecipato, di crescita e di approfondimento che, nell’Anno della Fede, dovrà essere conti-nuo per riscoprire e nutrire il nostro essere cristiani.

Maria Carla Sorrentino

P. G. M. RUGILO, Vita del Beato Bona-ventura da Potenza, ristampa anastatica a cura di p. Francesco Capobianco, Arnal-do Forni Editore, Bologna 2011. Questa biografia del Beato Bonaventura da Potenza, pubblicata nel 1754, rimane

il primo fon-d a m e n t a l e d o c u m e n t o edito in suo onore. Ne è autore il Padre G i u s e p p e Rùgilo (1732-1789) dei Frati minori con-ventuali. Il Rùgilo, con-terraneo del Beato (Oppido Lucano), si

applicò con amore alla stesura della vita del Beato: esattezza storica, acume criti-co, indagine psicologica contraddistin-guono quest’opera, nonostante alcune “ridondanze” stilistiche proprie del secolo in cui fu scritta. Il Rùgilo, letterato oratore teologo, ten-ne alto il prestigio del centro culturale di San Lorenzo Maggiore in Napoli, dove si dedicò intensamente agli studi sacri e profani. Tra le sue opere, singolare e bellissima la traduzione poetica dei salmi. Per i suoi meriti culturali, per la sua spic-cata personalità, per la sua disponibilità umana e francescan fu nominato Vescovo di Lucera, sede che per contrasti politici non potè mai raggiungere. Nella ricorrenza del III centenario della morte del Beato Bonaventura (1711-2011) proponiamo la ristampa anastatica della sua prima biografia, offrendo così a religiosi, devoti e laici l’opportunità di accostarsi alla fonte e respirare il robusto spessore della santità del Beato, che ema-na dalle pagine del Rùgilo. L’auspicio per la canonizzazione del Beato Bonaventura da Potenza è sempre vivo e diffuso, so-prattutto nella sua terra natia, tra la gen-te della costiera amalfitana e particolar-mente a Ravello, ove è custodito il suo corpo.

G. GRIECO, Sopra il cielo di Ravello. 60 anni con il beato Bonaventura da Potenza (1651-1711), presentazione del cardinale J.S. Martins, saggio di J.M. Sallmann, LEV, Citta del Vaticano 2012. Esce fresco di stampa per i tipi della Li-breria Editrice Vaticana l’ultima fatica

editoriale di padre Gian-franco Grie-co, scritto-re, giornali-sta, capo-ufficio del Pon t i f i c io C o n s i g l i o per la Fami-glia, religio-so dell’Or-dine dei Frati Minori Conventuali

e, soprattutto, innamorato del beato Bonaventura da Potenza. Il saggio vede la luce a conclusione del giubileo che la Provincia religiosa di Napoli sta celebran-do proprio nella memoria del Santo e Pellegrino della Costiera. Chi legge questo libro compie un lungo e affascinante viaggio insieme al Beato, percorrendo e rivisitando i suoi 60 anni di vita. S’intrecciano, cosi, storia, cultu-ra, arte, fede, poesia, letteratura, spiri-tualita, missione, e s’incontrano tanti personaggi della Napoli del Seicento e del Settecento. Ci si scontra anche con il pensiero politi-co e culturale dell’Europa moderna e si ripercorre pure il cammino itinerante nella Provincia Terrae Laborisistituita dallo stesso san Francesco nel lontano 1217. La ricerca di padre Gianfranco, attenta e profonda, offre dati nuovi sulla vita e la storia del Beato. I dati storici e religiosi sono qui presenta-ti con un linguaggio scorrevole, sempli-ce, immediato, permettendone la lettura a un ampio pubblico: esperti di storia francescana, devoti del Beato, storici locali, appassionati di spiritualita, religio-si attenti al carisma francescano.

RECENTI PUBBLICAZIONI SULLA VITA DEL BEATO BONAVENTURA DA POTENZA

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Il 26 ottobre 2012 è stato presentato il Messaggio della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (7-28 ottobre 2012) sul tema: "La nuova evan-gelizzazione per la trasmissione della fede cristiana". Di seguito riportiamo una sintesi del messaggio: "In apertura del documento, i vescovi richiamano il passo evangelico di Giovan-ni che narra l'incontro di Gesù con la samaritana al pozzo: è immagine dell'uo-mo contemporaneo con un'anfora vuota, che ha sete e nostalgia di Dio, e al quale la Chiesa deve andare incontro per ren-dergli presente il Signore. E come la samaritana, che incontra Gesù non può fare a meno di diventare testi-mone dell'annuncio di salvezza e speranza del Vangelo". "Guardando nello specifico al contesto della nuo-va evangelizzazione, il Sinodo richia-ma quindi la necessità di ravvivare una fede che rischia di oscurarsi nei contesti culturali attuali, anche di fronte all'indebolimento della fede in molti battezzati. L'incontro con il Signore, che rivela Dio come amore, può avvenire solo nella Chiesa, come forma di comunità accogliente ed esperienza di comunione; da qui, poi, i cristiani ne diventano testimoni anche in altri luoghi. Tuttavia, la Chiesa ribadisce che per evangelizzare bisogna essere innanzitutto evangelizzati e lancia un appello - a co-minciare da se stessa - alla conversione perché le debolezze dei discepoli di Gesù pesano sulla credibilità della missione. Consapevoli del fatto che il Signore è la guida della storia e quindi che il male non avrà l'ultima parola, i vescovi invitano poi i cristiani a vincere la paura con la fede ed a guardare al mondo con sereno coraggio perché, sebbene pieno di con-traddizioni e di sfide, esso resta pur sem-pre il mondo che Dio ama. Niente pessi-mismo, dunque: globalizzazione, secola-rizzazione e nuovi scenari della società, migrazioni, pur con la difficoltà e le sof-ferenze che comportano, devono essere opportunità di evangelizzazione: perché non si tratta di trovare nuove strategie come se il Vangelo fosse da diffondere

come un prodotto di mercato, ma di riscoprire i modi con cui le persone si accostano a Gesù". "Il messaggio guarda alla famiglia come luogo naturale dell'e-vangelizzazione e ribadisce che essa va sostenuta dalla Chiesa, dalla politica e dalla società. All'interno della famiglia, si sottolinea il ruolo speciale delle donne e si ricorda la situazione dolorosa dei di-vorziati e risposati: pur nella riconferma-ta disciplina circa l'accesso ai sacramenti, si ribadisce che essi non sono abbandonati dal Signore e che la Chiesa è casa acco-gliente per tutti. Il messaggio cita anche la vita consacrata, testimone del senso

ultraterreno dell'esistenza umana, e le parrocchie come centri di evangelizzazio-ne; ricorda l'importanza della formazione permanente per i sacerdoti e i religiosi ed invita i laici (movimenti e nuove realtà ecclesiali) ad evangelizzare restando in comunione con la Chiesa. La nuova evan-gelizzazione trova un'auspicabile coope-razione con le altre Chiese e comunità ecclesiali, anch'esse mosse dallo stesso spirito di annuncio del Vangelo. Partico-lare attenzione viene rivolta ai giovani in una prospettiva di ascolto e dialogo per riscattare, e non mortificare, il loro entu-siasmo. "Poi, il messaggio guarda al dia-logo declinato in vari modi: con la cultu-ra, che ha bisogno di una nuova alleanza tra fede e ragione; con l'educazione; con la scienza che, quando non chiude l'uomo nel materialismo diventa un'alleata nell'u-manizzazione della vita; con l'arte, con il mondo dell'economia e del lavoro; con i malati e i sofferenti, con la politica, alla quale si chiede un impegno disinteressato e trasparente del bene comune, con le altre religioni. In particolare, il Sinodo

ribadisce che il dialogo interreligioso contribuisce alla pace, rifiuta il fonda-mentalismo e denuncia la violenza contro i credenti. Il messaggio ricorda le possibi-lità offerte dall'Anno della Fede, dalla memoria del Concilio Vaticano II e dal Catechismo della Chiesa cattolica. Infine indica due espressioni della vita di fede, particolarmente significative per la nuova evangelizzazione: la contemplazione, dove il silenzio permette di accogliere al meglio la Parola di Dio, e il servizio ai poveri, nell'ottica di riconoscere Cristo nei loro volti". "Nell'ultima parte, il messaggio guarda alle Chiese delle diver-

se regioni del mondo e ad ognuna di esse rivolge parole di incoraggiamen-to per l'annuncio del Vangelo; alle Chiese d'Oriente auspica di poter praticare la fede in condizioni di pace e di libertà religiosa; alla Chiesa d'A-frica chiede di sviluppare l'evangeliz-zazione nell'incontro con le antiche e nuove culture, appellandosi poi ai governi perché cessino i conflitti e le violenze. I cristiani dell'America del Nord, che vivono in una cultura con

molte espressioni lontane dal Vangelo, devono guardare alla conversione ed es-sere aperti all'accoglienza di immigrati e rifugiati. L'America Latina è invitata a vivere la missione permanente per af-frontare le sfide del presente come la povertà, la violenza, anche nelle nuove condizioni di pluralismo religioso. La Chiesa in Asia, anche se è una piccola minoranza, spesso posta ai margini della società e perseguitata, viene incoraggiata ed esortata alla saldezza della fede. L'Eu-ropa, segnata da una secolarizzazione anche aggressiva e ferita dai passati regi-mi, ha però creato una cultura umanistica capace di dare un volto alla dignità della persona e alla costruzione del bene co-mune; le difficoltà del presente non de-vono quindi abbattere i cristiani europei, ma devono essere percepite come una sfida. All'Oceania, infine, si chiede di avvertire ancora l'impegno di predicare il Vangelo. Il messaggio si chiude con l'affi-damento a Maria, Stella della nuova evangelizzazione".

Fonte: www.radiovaticana.va

Messaggio della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi:

“La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”

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PAGINA 11 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Domenica ,28 ottobre, ha terminato il suo pellegrinaggio terreno la sig.ra Rosa-ria Elefante,nota nell’ambito ravellese come”la moglie di Italo”.Già,la moglie di Italo! Con la dolcezza e l’affabilità aveva conquistato questo nostro concittadi-no,dal nome non comune nell’onomasti-ca locale,e lo aveva seguito come sposa a Ravello,lasciando la natia Atrani alla qua-le era legata da affetti familiari e amore per la Comunità ecclesiale e da una gran-de devozione per S.Maria Maddalena, patrona della ridente cittadina. Fattori che mai avrebbero fatto pensare ad un pieno inserimento nella Comunità eccle-siale e civile di Ravello di questa don-na,minuta nel fisico,ma dotata di una generosità straordinaria che aveva colpito subito i ravellesi di solito abbastanza restii ad accettare subito una persona di un altro paese senza prima averla esaminata attentamente e valutata. Rosaria aveva superato presto l’esame. Alla sua prova aveva presentato tre argomenti molto convincenti e meritevoli di essere pre-miati:l’umiltà,la simpatia e la disponibili-tà. Caratteristiche che la Comunità eccle-siale di S. Maria Assunta ha potuto speri-mentare anche quando il male che non perdona si era purtroppo impadronito del fisico di Rosaria. La ricordo alle tante celebrazioni alle quali ha preso attiva-mente parte offrendo ciò che,a suo giudi-zio,poteva donare in termini di collabo-razione; distribuiva i sussidi per parteci-pare alla Liturgia, si proponeva per la processione offertoriale ,quasi scusandosi di non poter dare altro,ignara nella sua semplicità e umiltà che proprio in quei momenti offriva ciò che di meglio pote-va:la sua presenza di donna,sposa e ma-dre cristiana. E significativo era il suo volto al termine delle celebrazioni ;felice e soddisfatta commentava :“E’stata una funzione bellissima”.Non si lasciava sfug-gire tutte quelle occasioni che riteneva importanti per la sua formazione cristia-na. Aveva collaborato negli Anni ‘90 alla rinascita a Ravello dell’Azione Cattoli-ca ;credeva pienamente nel progetto edu-cativo e formativo della principale asso-ciazione laicale e non aveva esitato ad accogliere l’invito dei responsabili a far

intraprendere ai due figli, Gaetano e An-nalisa, il cammino dell’A.C.R. prima e dei giovanissimi dopo. Moglie e mamma esemplare ha donato la sua vita per la famiglia e l’ha sostenuta e guidata sempre con un grande amo-re,soprattutto quando l’amato sposo Ita-lo,colpito da un male incurabi-le,aveva,grazie a lei,vissuto con grande dignità la malattia e si era spento convin-to che Rosaria avrebbe dignitosamente svolto anche il suo ruolo. E non si sba-

gliava. Lo testimoniano bene Gaetano e Annalisa che,nonostante gli impegni lavo-rativi,sono stati affettuosamente vicini alla mamma anche quando, per la secon-da volta in pochi anni, sono stati chiamati a sostenere un’altra grande prova. E an-che questa volta hanno trovato ancora e proprio nella mamma la forza per accet-tare,lottare e sperare. Quando l’ho in-contrata nell’estate scorsa ,benché minata nel fisico,Rosaria era contenta. Felice perché vedeva i suoi figli “sistemati” e ,pur consapevole di quello che l’aspet-tava,non esitava a manifestare tutta la gioia per questa vita che domenica 28 ottobre ha lasciato,grata al Signore e pronta a compiere la sua volontà. Un forte abbraccio ha suggellato quell’ultimo incontro con Rosaria;la simpatica “moglie

di Italo”mi ha guardato con gli occhi luci-di e mi ha sorriso delicatamente,quasi a volermi far comprendere che quella era l’ultima volta nella quale l’avrei vista. Ma voglio ricordare Rosaria affacciata al bal-cone della sua casa pronta a salutare chi passava per strada,oppure mentre scam-biava quattro affabili”chiacchiere”sul pog-gio di Piazza Duomo nelle belle serate estive o quando,di ritorno dalla sua amata Atrani,mi raccontava la Festa della Mad-dalena o della Madonna del Carmi-ne.Immagini di vita di questa don-na,onesta,sincera,affettuosa e cordiale che ci ha lasciato troppo presto se ragio-niamo in un’ottica umana. Ma lei per prima a noi che l’abbiamo apprezzata per la sua semplicità ricorda che il segreto per essere felici “è fare la volontà di Dio”.Rosaria ha fatto la volon-tà di Dio e in una domenica di otto-bre,come Santa Maria Maddalena il mat-tino di Pasqua, ha incontrato il suo Mae-stro non in un giardino fiorito,ma in un letto di ospedale magari bagnato dalle ultime lacrime sgorgate dal suo grande cuore di mamma.

Roberto Palumbo Dal “Vescovado” “Madre premurosa e orgogliosa, Rosaria! Ricordo quando arrivava il tempo di San Pantaleone e aspettava tanto quella pro-cessione per vedere, dietro la statua del Santo patrono, Gaetano, con la sua seb bianca. Erano anche queste piccole emo-zioni che facevano andare avanti Rosaria e le permetteva di tenere testa a quel male che pian piano si impadroniva di lei. Lei che non ha potuto assistere Gaetano nelle sue diverse destinazioni in circa dieci anni. La Sardegna, Venezia, Taor-mina e Pantelleria. Esperienze che, a dire il vero, Gaetano aveva sempre sognato, sin dai tempi della scuola. Questo mi ha sempre colpito di lui: che le idee sul futuro le ha sempre avute chiare. Ma il destino, certo, non lo puoi prevedere”.

Emiliano Amato

Ricordo di Rosaria Elefante

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CELEBRAZIONI DEL MESE DI NOVEMBRE

GIORNI FERIALI Ore 17.00: Santo Rosario Ore 17.30: Santa Messa GIORNI PREFESTIVI E FESTIVI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa GIOVEDI’ 1-8-15-22-29 NOVEMBRE Al termine della Santa Messa delle 17.30 Adorazione Eucaristica 1 NOVEMBRE Solennità di Tutti i Santi Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 2 NOVEMBRE Commemorazione dei Defunti Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe Al Cimitero SS. Messe alle ore 7.00-9.00-11.00-16.00 4 NOVEMBRE XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 9 NOVEMBRE Dedicazione della Basilica Lateranense 10 NOVEMBRE San Trifone 11 NOVEMBRE XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe San Martino 18 NOVEMBRE XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Giornata del Ringraziamento Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 21 NOVEMBRE Presentazione della B.V. Maria Giornata delle claustrali 22 NOVEMBRE Santa Cecilia V. M. 25 NOVEMBRE XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

SOLENNITA’ DI N.S.G.C. RE DELL’UNIVERSO

Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe

28 NOVEMBRE

Cattedrale di Amalfi, ore 18.00: “Lo stupore del Concilio...a 50 anni dell’evento”

30 NOVEMBRE

Solennità di Sant’Andrea Ap., Patrono Principale dell’Arcidiocesi di Amalfi - Cava

de’Tirreni

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