Incontro Marzo 2012

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Per una Chiesa Viva www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VIII - N. 2 – Marzo 2012 La Quaresima è il tempo speciale dell’anno liturgico della Chiesa istituito per aiutare i cristiani a vivere in modo diverso o meglio rispetto al resto dell’anno. Secondo l’antica tradizione che risale al tempo degli apostoli,questo periodo di quaranta giorni o Quaresima serve a farci entrare con una rinnovata spiritualità nel cuore dell’Anno Liturgico, il Triduo Pa- squale, che culmina con la Domenica di Risurrezione. Perciò rappresenta anche il tempo propizio per la conver- sione del cuore e deve essere tempo di penitenza,di rinnova- mento spirituale e di avviamen- to a vivere tutto l’anno in modo pienamente cristiano. È il tem- po forte della vita cristiana, da vivere con intensa preghiera e nell’esercizio della riconcilia- zione, delle opere di carità, in particolare della carità intellet- tuale, che aiuta a porre le do- mande fondamentali dell’esistenza. Su questo tema ci aiuta l’acuta e penetrante riflessione di Don Silvio Longobardi, che nella “Lettera di Amicizia” per il tempo di Quaresima, intitolata “Per mezzo della sua Croce”, e proposta alla riflessione dei membri della Fraternità di Emmaus, scrive così: “La quaresima ci conduce per una via lunga e stretta, una di quelle che nessuno sceglie se non vi è costretto dagli eventi. “Venite dietro di me”, dice Gesù. Lui conosce la strada assai meglio di noi. Fidiamoci. Mettiamoci anche noi in cammino. Die- tro di Lui. Non conosciamo la strada ma sappiamo qual è la meta: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo ama- no” (1 Cor 2,9). Ricordiamo però la re- gola dei viandanti, semplice ma non per questo scontata: “Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai”, scrive San Giovanni della Croce. La qua- resima è il tempo delle domande, il tem- po in cui risuona più forte la domanda sul senso della vita. Viviamo in una società che accumula le conoscenze ma non è più in grado di rispondere alle domande es- senziali, quelle veramente decisive. I bambini non hanno paura di porre do- mande, come quella di una ragazzina di nove anni: “Ora che so tutto su come si sono estinti i dinosauri, posso sapere an- che perché è morto mio nonno?”. Nel film Temple Grandin, che racconta la vicenda di una giovane autistica america- na, la protagonista chiede alla madre: “Tu lo sai dove vanno quelli che muoiono?”. “Purtroppo, no”, risponde la donna. Ab- biamo imparato tante cose ma non sap- piamo più dire da dove veniamo, dove andiamo, perché viviamo. La quaresima ci invita a guardare dentro di noi per ri- trovare noi stessi e dire ad alta voce quali sono i desideri più profondi: che cosa davvero ci sta a cuore? Per che cosa o per chi siamo disposti a vivere e a soffrire? Nessuno troverà risposte se non le cerca. Lo ha detto Gesù: “Chi cerca trova”. Se nulla cerchi, nulla troverai, se ti accon- tenti del poco, poco troverai. È la legge della vita. Se invece, accettiamo la sfida del vangelo…troveremo mol- to di più di quello che il cuore può desiderare. Non dimenti- chiamo che Gesù ha promesso di dare la vita in abbondanza (Gv 10,10). La domanda non è segno di debolezza ma un gri- do di speranza perché svela quel desiderio, nascosto in ogni uomo, di trovare una risposta, una luce, una verità. Perché chiedere se non c’è risposta? E perché gridare aiu- to se nessuno risponde? L’inquietudine della ricerca, contenuta in ogni domanda, è preferibile alla vuota sazietà di chi nulla cerca. Il cammino di fede inizia da una domanda: “Rabbi, dove abiti?” (Gv 19,17). È la domanda giusta alla persona giusta. L’uomo è bravo a porre domande ma non altrettanto a dare risposte. Gesù invece “sa quello che c’è nel cuore dell’uomo” (Gv 2, 25), “solo Lui lo sa”, disse Giovanni Paolo II all’inizio del pon- tificato. Solo lui può dare quelle risposte che l’uomo attende e che forse, nel con- testo culturale odierno, non osa più nem- meno sperare”. Quaresima: tempo per le domande essenziali P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Marzo 2012

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Per una Chiesa Viva

www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it Anno VIII - N. 2 – Marzo 2012

La Quaresima è il tempo speciale dell’anno liturgico della Chiesa istituito per aiutare i cristiani a vivere in modo diverso o meglio rispetto al resto dell’anno. Secondo l’antica tradizione che risale al tempo degli apostoli,questo periodo di quaranta giorni o Quaresima serve a farci entrare con una rinnovata spiritualità nel cuore dell’Anno Liturgico, il Triduo Pa-squale, che culmina con la Domenica di Risurrezione. Perciò rappresenta anche il tempo propizio per la conver-sione del cuore e deve essere tempo di penitenza,di rinnova-mento spirituale e di avviamen-to a vivere tutto l’anno in modo pienamente cristiano. È il tem-po forte della vita cristiana, da vivere con intensa preghiera e nell’esercizio della riconcilia-zione, delle opere di carità, in particolare della carità intellet-tuale, che aiuta a porre le do-mande fondamentali dell’esistenza. Su questo tema ci aiuta l’acuta e penetrante riflessione di Don Silvio Longobardi, che nella “Lettera di Amicizia” per il tempo di Quaresima, intitolata “Per mezzo della sua Croce”, e proposta alla riflessione dei membri della Fraternità di Emmaus, scrive così: “La quaresima ci conduce per una via lunga e stretta, una di quelle che nessuno sceglie se non vi è costretto dagli eventi. “Venite dietro di me”, dice Gesù. Lui conosce la strada assai meglio di noi. Fidiamoci. Mettiamoci anche noi in cammino. Die-tro di Lui. Non conosciamo la strada ma sappiamo qual è la meta: “Quelle cose

che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo ama-no” (1 Cor 2,9). Ricordiamo però la re-gola dei viandanti, semplice ma non per questo scontata: “Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai”, scrive San Giovanni della Croce. La qua-resima è il tempo delle domande, il tem-po in cui risuona più forte la domanda sul senso della vita. Viviamo in una società che accumula le conoscenze ma non è più

in grado di rispondere alle domande es-senziali, quelle veramente decisive. I bambini non hanno paura di porre do-mande, come quella di una ragazzina di nove anni: “Ora che so tutto su come si sono estinti i dinosauri, posso sapere an-che perché è morto mio nonno?”. Nel film Temple Grandin, che racconta la vicenda di una giovane autistica america-na, la protagonista chiede alla madre: “Tu lo sai dove vanno quelli che muoiono?”. “Purtroppo, no”, risponde la donna. Ab-biamo imparato tante cose ma non sap-

piamo più dire da dove veniamo, dove andiamo, perché viviamo. La quaresima ci invita a guardare dentro di noi per ri-trovare noi stessi e dire ad alta voce quali sono i desideri più profondi: che cosa davvero ci sta a cuore? Per che cosa o per chi siamo disposti a vivere e a soffrire? Nessuno troverà risposte se non le cerca. Lo ha detto Gesù: “Chi cerca trova”. Se nulla cerchi, nulla troverai, se ti accon-tenti del poco, poco troverai. È la legge della vita. Se invece, accettiamo la sfida

del vangelo…troveremo mol-to di più di quello che il cuore può desiderare. Non dimenti-chiamo che Gesù ha promesso di dare la vita in abbondanza (Gv 10,10). La domanda non è segno di debolezza ma un gri-do di speranza perché svela quel desiderio, nascosto in ogni uomo, di trovare una risposta, una luce, una verità. Perché chiedere se non c’è risposta? E perché gridare aiu-to se nessuno risponde? L’inquietudine della ricerca, contenuta in ogni domanda, è

preferibile alla vuota sazietà di chi nulla cerca. Il cammino di fede inizia da una domanda: “Rabbi, dove abiti?” (Gv 19,17). È la domanda giusta alla persona giusta. L’uomo è bravo a porre domande ma non altrettanto a dare risposte. Gesù invece “sa quello che c’è nel cuore dell’uomo” (Gv 2, 25), “solo Lui lo sa”, disse Giovanni Paolo II all’inizio del pon-tificato. Solo lui può dare quelle risposte che l’uomo attende e che forse, nel con-testo culturale odierno, non osa più nem-meno sperare”.

Quaresima: tempo per le domande essenziali

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

PAGINA 2 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Per comprendere la Quaresima bisogna fare riferimento ai quaranta giorni che Gesù ha trascorso nel deserto prima di compiere la sua missione. Quaranta gior-ni nei quali Gesù si è preparato alla lotta contro il principe delle tenebre, contro Satana: quaranta giorni di digiuno e di preghiera. Per comprendere la Quaresi-ma bisogna fare riferimento ai quaranta giorni che Gesù ha trascorso nel deserto prima di compiere la sua missione. Qua-ranta giorni nei quali Gesù si è preparato alla lotta contro il principe delle tenebre, contro Satana: quaranta giorni di digiuno e di preghiera. Questi quaranta giorni facevano a loro volta riferimento ai qua-ranta anni che il popolo di Israele ha tra-scorso nel deserto, deserto che secon-do la Sacra Scrittura è un tempo di prova ma anche un tempo di comu-nione con Dio, ed è comunque il pas-saggio verso la Terra promessa. Per noi è fondamentale il significato di questi quaranta giorni che Gesù ha trascorso nel deserto vivendo nel di-giuno e nella preghiera. Sono infatti proprio questi i due connotati fonda-mentali che ci accompagnano nella Quaresima. Il primo connotato è la preghie-ra. Gesù ha trascorso quaranta giorni in intima comunione col padre, la preghiera è uno dei motivi fondamen-tali di tutta la vita apostolica del Signore: non solo i quaranta giorni prima della sua missione, ma anche durante tutta la sua missione Gesù ha vissuto una intensa preghiera personale, dedicando molte volte l’intera notte a pregare. E usciva dalla preghiera trasfigurato. Questa è certamente la prima caratteristica della Quaresima, senza la quale ne perdiamo il significato. E qui sta anche la differenza fondamentale tra la Quaresima cristiana e il Ramadan musulmano. La Quaresima cristiana è prima di tutto tempo di comu-nione con Dio. La comunione con Dio è invece lontana mille miglia dall’islam, per cui davanti a Dio c’è solo la sotto-missione. Dunque Gesù ha trascorso quaran-ta giorni di intima comunione col padre. E lì ha umanamente ha preso

tutta quella forza che la preghiera dà e che noi vediamo così espressa in un altro momento della vita di Gesù, quello del Getsemani: lì, attraverso la preghiera il Signore acquista quella forza per cui dice al termine della preghiera, agli apostoli “Alzatevi, andiamo”. E nell’ora delle tenebre affronta la grande battaglia. Nell’uno e nell’altro caso Gesù attraver-so la preghiera si è preparato alla grande battaglia contro il principe delle tenebre. Portando la cosa sul piano della nostra vita cristiana, la Quaresima è anzitutto tempo di preghiera. Preghiera vera, preghiera del cuore, preghiera che è colloquio con Dio, ascolto di Dio, della sua volontà, ascolto delle sue ispirazioni,

ascolto di quello che ci dice, il suo richia-mo a una vita più santa, più cristiana, una vita più vera. E nella preghiera esporre anche la nostra condizione esistenziale, di persone fragili, affaticate, di persone che molte volte sono scorate, che non hanno ben chiaro il fine della vita, non hanno ben chiare le scelte fondamentali della vita. Quindi vorrei suggerire molto con-cretamente: la prima cosa da fare in Qua-resima è riaccendere la preghiera, alme-no le preghiere fondamentali. Al mattino conquistare Dio con il cuore, in cui Dio porta la sua luce, la sua pace, la sua gioia. Molte volte bastano pochi minuti per essere in comunione con Dio, ma poi si deve riattivare durante la giornata questa comunione. E soprattutto la sera, per cui vorrei suggerire una preghiera tipica della Quaresima, che è la preghiera da-

vanti alla croce, cioè mettersi veramente davanti alla croce, meditare sul significa-to della croce. Pietro nella prima predica dopo la Pentecoste ha detto, comprendendo finalmente la Passione : “Patì per i nostri peccati”. Quindi meditare la croce, me-ditare che attraverso la croce Cristo, il Padre attraverso il Figlio, ci perdona i peccati. Cristo è l’agnello di Dio che porta i peccati del mondo, li ha espiati al nostro posto, per nostro amore, per do-narci il perdono nella vita eterna, per cui quando andiamo a confessarci – e il pen-siero va soprattutto alla confessione pa-squale che deve essere particolarmente significativa – per quanto grandi i delitti

che noi abbiamo potuto commettere G e s ù c i d à l ’ a s s o l u z i o n e . Nel pentimento c’è l’assoluzione dei peccati perché Cristo ha e-spiato lui al nostro posto, un atto d’amore estremo, che vediamo nel Crocifisso. Quindi vorrei suggerire questa specifica preghiera quaresima-le, prima di andare a letto: sostare davanti alla croce, chiedere perdono per i propri peccati, pensare all’amore estremo con cui Dio ci ha amati, che ha fatto dire a santa Caterina da Siena, guardando la croce: “Chi è quello stolto bestiale che vedendosi così ama-to non ami?”. La preghiera personale

diventa più forte, più sostanziosa, se du-rante la Quaresima ci impegniamo ad andare alla messa quotidiana. Molti lo fanno. Dacci oggi il nostro pane quotidia-no: ascoltiamo la parola di Dio, durante la messa riceviamo la comunione. In que-sto modo rafforziamo la nostra debole volontà per combattere contro il male. L’altro aspetto fondamentale della Quaresima è il digiuno: fin dai primi tempi i cristiani hanno digiunato il mer-coledì e il venerdì, duramente. Poi, il digiuno più rigido a pane e acqua è conti-nuato nella storia della Chiesa soprattuto nel tempo di Quaresima, di Avvento, e così via. Il popolo cristiano ha digiunato fino a qualche decennio fa in modo so-stanzialmente serio. Non soltanto nel tempo di Quaresima ma ogni volta che si doveva fare la comunione, si era digiuni

Decidersi per Dio

PAGINA 3 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

dalla mezzanotte. Abbiamo perso sicura-mente qualcosa perdendo il digiuno. In tempi recenti la Chiesa ha tentato di ri-stabilirlo, ma a questo riguardo dobbia-mo dire che la vera svolta è venuta dalle apparizioni di Medjugorje: è vero, devo-no essere ancora riconosciute dalla Chie-sa, ma il loro aspetto pastorale lo abbia-mo tutti davanti agli occhi. La Madonna fin da 30 anni fa ha introdotto un digiuno che adesso ha rinvigorito tutta la Chiesa, il di-giuno a pane e acqua il mercoledì e ve-nerdì con finalità ben precise: Oltre alla conversione personale c’è anche una fina-lità di carattere storico sociale: Gesù ha detto che certi demoni si cacciano con la preghiera e il digiuno; così la Madonna per il demonio dell’odio e della guerra, che vuole distruggere il mondo, ha chiesto la preghiera del santo rosario e il digiuno a pane e acqua mercoledì e venerdì. Questo digiuno è importantissimo ma attenzione a non intenderlo come una specie di dieta. La Madonna ha detto “digiunate con il cuore”, lo dice anche la Chiesa. Il digiuno cristiano ha un obiettivo ben preciso: è finalizzato al combattimento spirituale, è finalizzato alla mortificazione della fame di mondo, perché cresca in noi la fame di Dio. Questo è l’obiettivo finale del digiu-no: portare alla rinuncia vera del pecca-to, perché attraverso la fame di mondo, le cose di questo mondo, Satana ci di-strugge con quello che ci offre. Dobbia-mo dunque innestare nella nostra vita questo tipo di digiuno: cibo, sacrifici, fioretti, c’è un’ampia letteratura a questo riguardo. Rinunciare al fumo, ai liquori durante la quaresima. Ovviamen-te i più deboli, quelli che si accontentano del digiuno come lo propone la Chiesa con materna accondiscendenza, possono digiunare mercoledì santo e venerdì san-to: la colazione, un pranzo leggero e poi astinenza. Tutti i venerdì di quaresima il minimo indispensabile. Suggerisco però un digiuno molto più rigido, magari ri-nunciando a quelle cose che fanno male anche la salute come il fumo e l’alcol. Ma tutto queste deve essere finalizzato a raf-forzare la volontà in modo tale da rinun-ciare al peccato Questa è la vera rinuncia, ed è in questo modo che noi ci preparia-mo per la Pasqua. Cioè rinunciando al

peccato e attraverso la confessione pa-squale. In questo periodo dobbiamo mettere una marcia in più nel no-stro cammino verso la santità. Met-tiamoci davanti a Dio, guardiamo alla nostra vita, guardiamo cosa c’è da cam-biar;, se siamo sulla strada sbagliata, quella che porta alla perdizione, non a-spettiamo a cambiarla, non aspettiamo che sia troppo tardi. Decidiamoci per Dio, decidiamoci per la conversio-ne, decidiamoci per la santità. Que-sto è quel modo di vivere la quaresima che farà sì che la Pasqua sia una pasqua veramente di pace, del cuore riconciliato con Dio.

Infine c’è la terza dimensione ca-ratteristica della Quaresima: la ca-rità. Perché la sobrietà tipica della Qua-resima, il rinunciare al superfluo, e tutto quanto finora descritto, è sempre stato visto dalla Chiesa in funzione della carità, della condivisione, in funzione di quel “Avevo fame, e mi avete dato da mangia-re; avevo sete e mi avete dato da bere.…): è la condivisione del pane con chi non ne ha, con chi è più povero. Vorrei aggiungere però che la carità si esprime anche attraverso le sette opere di miseri-cordia spirituale e le sette di misericordia corporale. L’elemosina deve essere un atteggiamento di compassione, o di mise-ricordia verso il prossimo sofferente. E questo può essere dare da mangiare a chi non ne ha, può essere una mano tesa, un incoraggiamento: visitare i carcerati, e tutte quelle opere di misericordia spiritu-ale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, visitare i malati, tutta quella gamma di opere che c i p o r t a n o a l p r o s s i m o . Questo è il dinamismo della Quare-sima: attraverso la preghiera tu ricevi l’amore di Dio nel tuo cuore e attraverso la carità tu lo doni agli altri. P. Livio Fanzaga - donboscoland.it

«Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone» (Eb 10,24). E’ questa frase del capitolo decimo della lettera agli ebrei a dare il titolo al mes-saggio di Benedetto XVI per la Quaresi-ma 2012. Mons. Bruno Forte ne sottoli-nea alcuni aspetti da meditare in vista dell’Anno della Fede, a cui ci preparia-mo. “Vedrei l’importante connessione fra questo messaggio e la prospettiva dell’Anno della Fede, ormai imminente. Il Papa, che ha iniziato le sue Encicliche con una riflessione di grandissima profon-dità e – direi – anche concretezza sulla carità, ci fa capire con quest’attenzione che danno i Messaggi della Quaresima alla responsabilità verso gli altri, alla reci-procità e al dono di sé, che fede e carità sono inseparabili. Dunque è una sottoli-neatura dell’aspetto della vita cristiana, dell’uomo di fede e della donna di fede, che porta ad impegnarsi per gli altri, a farsi carico dell'altro. In modo particola-re, in questa frase della Lettera agli E-brei, il Papa coglie questi tre accenti, che mi sembra ci facciano capire come l’attenzione alla carità, connessa alla fe-de, sia tutt’altro che semplicemente una esortazione bonaria: in realtà è un invito ad un impegno estremamente articolato. Sembra che il messaggio sia di non ridur-re mai il concetto che noi abbiamo dell’uomo alla semplice soddisfazione di bisogni materiali o ad una sorta di benes-sere, di welfare, di carattere economico e basta. Occorre puntare alla misura alta della vita cristiana, che è la santità. In altre parole, la santità non è un ornamen-to che si aggiunge a qualcosa: la santità è la piena realizzazione del dono di Dio, secondo il progetto di Dio. Allora se noi abbiamo una visione dell’uomo che è aperta al disegno di Dio, non possiamo semplicemente fermarci a soddisfare qualcuna delle esigenze dell’essere uma-no, ma dobbiamo soddisfare l’esigenza più vera e più profonda che è quella di amare Dio, di vedere Dio, che è quel “Desiderium naturale videndi Deum - quel desiderio naturale di vedere Dio - di cui parla, ad esempio, Tommaso d’Aquino.

Continua a pagina 4

Messaggio di Papa Benedetto per la Quaresima 2012

PAGINA 4 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

La realizzazione dell’uomo sta nell’incontro con Dio. Molte volte si pensa che per quieto vivere, per amor di pace non si debba mai intervenire o ri-chiamare qualcuno su qualcosa, dove è invece evidente che ci sarebbe il bisogno di aiutare a scoprire il progetto di Dio e le esigenze di conversione e di cambia-mento. Anche qui, questo Papa si dimo-stra come l’uomo e il pensatore di una visione autentica, plenaria dell’uomo e non di una visione parziale: l’uomo visto secondo la prospettiva di Dio è un uomo che sa che il peccato non solo è male, ma fa male; sa che la santità non solo è bene, ma fa bene. Allora se veramente siamo cristiani si deve anche – con umiltà, cer-to, nel continuo discernimento e in voca-zione dello Spirito - aiutare gli altri a fuggire il male. Questo significa anche aiutarli a capire il male che potrebbero aver fatto”. Alla riflessione del Vescovo, riteniamo utile far seguire quella del filosofo laico, Massimo Cacciari, molto attento ai pro-blemi della vita e della fede, che nell’intervista a Radio Vaticana, cosi si è espresso: "La Chiesa si appella alle ragio-ni della solidarietà, alla centralità della persona in tutti gli affari economici, so-ciali amministrativi. Sono riflessioni sem-pre attuali e nello stesso tempo sempre più, non dico lontane, ma meno incisive su una realtà che si è nel frattempo tre-mendamente evoluta nella realtà della globalizzazione, del capitale finanziario, nella realtà dove domina il denaro". La globalizzazione rafforza questa dimensio-ne sociale del peccato ricordata dal Papa. "Proprio la situazione attuale fa si che il peccato abbia una valenza assolutamente globale. Bisogna capire, finalmente, che il peccato è una grande movimento poli-tico, globale, universale". "Quanta teo-logia e quanta teologia politica si è spesa per vedere fino a che punto le Istituzioni contrastano questo grande movimento di peccato, fino a che punto invece non ne

fanno parte". "E’ proprio questo il gran-de dramma del cristianesimo originario. L’impero, le Istituzioni, fanno parte del grande movimento del peccato o sono invece una forza che lo trattiene, che lo arresta? La risposta è assolutamente pro-blematica. Le Istituzioni sono una cosa e l’altra. Certo lo arrestano, certo lo con-tengono, ma ne fanno parte. Lo vediamo anche nelle politiche attuali. Certo da un punto di vista cercano di salvare la barac-ca. Cercano che non crolli tutto l’apparato dello stato sociale, che non crolli tutta la solidarietà, ma nello stesso tempo devono rincorrere ai processi fon-damentali della globalizzazione finanzia-ria, e ne sono in qualche modo anche sudditi. Sono l’una cosa e l’altra, non c’è nulla da fare". L' attuale crisi porta l’uomo a perdere il valore della felicità, e quindi il valore dell’amore per la vita alla base del bene comune. "E’ questo il grande rischio che corriamo. Noi ormai crediamo sempre meno di poter essere felici. Che la felicità non è un’idea astrat-ta, è qualcosa che possiamo, che è in no-stro potere raggiungere. Quando crollerà questa fede, nel senso più pieno, autentico e reale del termine, la vita varrà meno. Questo è il dramma che stanno correndo soprattutto le nuove generazioni.

Fonte: radiovaticana.org

«Sostenersi»

Lettera dell’Arcivescovo per il mese di marzo 2012

Cara famiglia,

questa lettera periodica, che ti faccio pervenire attraverso i messaggeri parroc-chiali, mi offre, ancora una volta, la pos-sibilità di potermi affettuosamente rela-zionare con te e offrirti qualche spunto di riflessione nella consapevolezza e nella condivisione della tua alta missione all’interno sia della Chiesa che della società in genere. Penso all’amicizia, un alto valore umano che viene paragonato ad un bene inestimabile, tanto che qual-cuno ha coniato il detto: “chi trova un amico, trova un tesoro!”. La parola “amicizia” deriva da “amore” ed esprime un intreccio profondo di amore, di solidarie-

tà, di condivisione tra due o più persone, che si sentono legate da essa in maniera vincolante. L’amore mostrato spinge l’altro al contraccambio, ad essere sensi-bile a ciò che si riceve e a saper ricambia-re con alti sentimenti di affetto. Plauto, un antico autore latino (250-184 a.C.), annota che “nessuno ti dimostra più amicizia di un amico nel bisogno”: il vero amico è colui che riesce a starti accanto nel mo-mento della prova e che non si scandaliz-za delle tue necessità o delle tue fragilità. Quante amicizie nate ed improntate nell’interesse o nel tornaconto personale sono destinate a fallire, lasciando delusio-ne in chi, veramente sensibile al valore, viene usato e sfruttato. Il valore dell’amicizia si apprende al tuo interno, cara famiglia, tra i tuoi membri, dove l’unico interesse vigente è quello del bene di ciascuno, nel sostenersi recipro-camente “nella gioia e nel dolore, nella salu-te e nella malattia”, cioè sempre! Penso, in particolare, a Voi genitori, per le tante rinunzie a cui vi adattate, pur di sostene-re i figli nei loro studi, nei loro percorsi formativi di crescita umana e culturale, pur di vederli felici e realizzati. E penso a voi figli che alimentate amore crescente come fratelli e sorelle, sempre pronti ad aiutarvi l’un l’altro in qualsiasi occasione. Cara famiglia, ti accorgi che l’amicizia non è improvvisazione o fugace atteggia-mento dovuto a fatti contingenti: essa

trova la sua carica esemplare e dinamica al tuo interno, per proiettarsi, poi, al tuo esterno, nella società, nell’ambito di vita che ciascuno dei tuoi componenti si trova a frequentare. Tu sei e resterai un sodalizio di amore, un arsenale di amicizia vera, incentrata nella gratuità e nell’accoglienza e da cui la società ha da attingere per sostanziare il suo vissuto quotidiano! Ti benedico con gratitudine ed affetto pastorale.

+ Orazio Soricelli - arcivescovo

SEGUE DA PAGINA 3

PAGINA 5 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

“Il grande comandamento dell’amore del pros-simo esige e sollecita la consapevolezza di avere una responsabilità verso chi, come me, è creatura e figlio di Dio”. Il Santo Padre, Benedetto XVI, ha voluto incentrare il messaggio di riflessione per la Quaresima proprio sul ruolo della carità e della re-sponsabilità degli uni verso gli altri e richiamandosi a testi biblici del Vecchio e Nuovo Testamento, sottolinea l’importanza del sentirsi fratelli nel mon-do e nella fede. Perché riflettere sulla carità in tempo di Quaresima? Forse perché in questo mo-mento liturgico così importante occorre ricordarsi che la sal-vezza dell’uomo è nel progetto di Dio un atto di amore del Padre che ha voluto salvare tutti i suoi figli con il sacrificio del Suo unico Figlio; la carità comporta anche sacrificio, ca-pacità di rinuncia, per donare non il nostro superfluo, ma ciò che c’è nel cuo-re. La carità a cui fa rife-rimento il Papa va ben oltre l’atto di munifica generosità che la situazione critica contingente di sempre più fratelli ci impone, ma comprende anche l’aiuto spirituale. Siamo responsabili degli altri non solo dal punto di vista materiale ma anche da quello spirituale ed è per questo che la Quaresima è un momento oppor-tuno per riflettere su questo argomento. “Penso qui all’atteggiamento di quei cristiani che, per rispetto umano o per semplice como-dità, si adeguano alla mentalità comune, piuttosto che mettere in guardia i propri fra-telli dal modo di pensare e di agire che con-traddicono la verità e non seguono la via del bene”. Questo rischio, in una società sem-pre più secolarizzata, è alto. Perseguire il proprio intesse è anteposto ad ogni ri-spetto del prossimo. Un tempo l’interesse del singolo coinci-

deva con quello della comunità, per cui anche nelle opere che servivano alla col-lettività c’era il concorso economico e fattivo di tutti; oggi, invece, ciò che è utile al singolo viene perseguito in di-sprezzo di ogni senso di giustizia o pros-simità con l’altro. A questi errati comportamenti si riferisce il Santo Padre si riferisce. Quante volte assistiamo silenziosi ad atteggiamenti che con il comandamento dell’amore o con il senso di una più laica giustizia non condi-vidono nulla ? Abbiamo dimenticato, e il Papa ce lo ricorda, che tra le opere di

misericordia spirituale, che il catechismo nozionistico di un tempo (imparare qual-che nozione farebbe ancora bene!) ci proponeva, c’era anche questa: “ammonire cristianamente i peccatori”. Cosa significa? “Ammonire” significa non solo redarguire (sgridare) ma anzitutto “esortare” e “richiamare alla memoria”. Quante volte assistiamo a situazioni che richiederebbero il coraggio di ammonire il fratello perchè con il Battesimo ci sia-mo impegnati a conformarci a Cristo nel comandamento dell’amore? Ma la re-sponsabilità spirituale verso gli altri com-prende un altro aspetto: non siamo re-sponsabili soltanto della nostra salvezza se ci dimentichiamo della salvezza dei fratelli. Suor Faustina Kowalska, la Santa della Divina Misericordia, in un testo che ci

viene proposto per la riflessione della XIV Stazione della Via Crucis composta dalle mistiche conversazioni con Gesù, scrive: “Ogni anima che mi hai affidato, o Gesù, cercherò di aiutarla con la preghiera e con il sacrificio, affinché la Tua grazia possa operare in essa. O grande innamorata delle anime, o mio Gesù, Ti ringrazio per la grande fiducia, poiché Ti sei degnato di affidare queste anime alle nostre cure”. La responsabilità spirituale verso gli altri si concretizza nella preoccupazione di Santa Faustina di collaborare alla salvezza di quanti il disegno divino pone sulla

nostra strada. La Quaresima, in questo senso, è sicuramente il tempo evangelico “della semina”, in quanto sono numerose le occasioni che ci vengono offerte in parrocchia per crescere nella fede e far crescere gli altri. Oltre alla meditazione della via dolorosa per-corsa da Cristo, ci sono i centri d’ascolto che do-vrebbero aver luogo nelle case in modo da facilitare la partecipazio-ne dell’intera famiglia.

Utilizzare queste occasioni e avvicinare coloro i cui comportamenti richiedono la cristiana ammonizione, di cui sopra, si-gnifica rispondere al senso di responsabi-lità a cui ci richiama il Santo Padre. “C’è sempre bisogno di uno sguardo che ama e corregge, che conosce e riconosce, che discerne e perdona, come ha fatto e fa Dio con ciascu-no di noi”. Infatti, se l’uomo è stato creato ad im-magine e somiglianza di Dio e il cristiano ha scelto di essere testimone di Cristo Risorto, allora chi incontra un cristiano deve vedere in lui ciò che testimonia: l’amore misericordioso e una condotta morale, solida e ben fondata sugli inse-gnamenti del Vangelo.

Maria Carla Sorrentino

La Quaresima: tempo per sentirsi responsabile degli altri

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Dal 17 al 19 Feb-braio scorso, la nostra Comunità Ecclesiale ha avuto la gioia di vivere un momento di grazia, con la pre-senza tra noi delle reliquie dei Beati coniugi Luigi e

Zelia Martin, genitori di Santa Teresa del Bambino Gesù. Nell’approfondire la vita di questi santi genitori la cosa che più ha colpito è stato l’amore e il senso di re-sponsabilità nell’educazione integrale dei figli,cui hanno donato tutto ciò che repu-tavano necessario per la loro formazione cristiana. Secondo la testimonianza della figlia Celina, sono stati “genitori incompa-rabili e ammirabili ”, mentre l’ultima fi-gliuola, Santa Teresa del Bambin Gesù, nella sua “Storia di un’anima” , definirà i suoi genitori “più degni del cielo che della terra”. Una testimonianza esemplare da tener in considerazione nella fase attuale, in cui i “ processi educativi tradizionali” sono andati in crisi. Davanti alla com-plessità dell’educazione, gli organismi ad essa deputati, prima fra tutti la famiglia, si dichiarano incapaci di esercitare il loro ruolo e permettono ai bambini, ragazzi e giovani di affrontare senza un sicuro riferimento il cammino della loro cresci-ta. In un simile contesto è palese la ne-cessità di aiutare le nuove generazioni nella crescita. I genitori non sono stati chiamati solo a concepire figli, ma so-prattutto ad educare, a comunicare valori autentici e la gioia di vivere. Essi attra-verso l’esempio concreto, la testimo-nianza viva diventano elemento insostitu-ibile dell’educazione. Il Cardinale Vela-sio De Paolis, moralista, nella rubrica di quarta pagina, comparsa sulla guida litur-gica della I Domenica di Quaresima, ha scritto : “L’uomo sa che è chiamato a fare il bene e ad evitare il male. Compiendo il bene realizza il senso della propria vita; facendo il male si allontana dalla via della salvezza. La coscienza è la facoltà che permette all’uomo di distinguere il bene dal male, con un giudizio sulla singola scelta che egli è chiamato a compiere.

Non è l’uomo che stabilisce ciò che è bene è ciò che è male. Il bene ed il male è stabilito da Dio stesso. L’uomo lo sco-pre nell’ascolto e nell’obbedienza alla legge interiore che gli dice questo è be-ne, questo è male. La radice ultima della coscienza è Dio stesso. Perciò la coscien-za è definita la “voce di Dio nel cuore dell’uomo.” Compito dei genitori allora è aiutare i figli a realizzare se stessi nella loro originalità, ad essere autonomi, ad ascoltare la voce di Dio nel loro cuore in modo che i figli siano capaci di scegliere il bene, di amare la verità , la vita e le persone. I buoni genitori si preoccupano non solo dell’aspetto materiale della vita dei figli ma sono sensibili ad educare anche alla fede , all’amore di Dio. Essi per primi costruiranno una vita familiare improntata all’amore , al rispet-to ,all’armonia , alla solidarietà così che i figli perseguiranno sempre nel loro cam-mino principi di giustizia , di equità, di moralità, di solidarietà e non resteranno mai disorientati negli ostacoli della vita. I genitori devono essere capaci di scendere in profondità nel cuore dei figli per la-sciare tracce indelebili che altri eventi non riusciranno mai a cancellare. L’educazione è il dono più grande che i genitori faranno ai loro figli , ancora più grande della vita stessa . Per fare tutto ciò però occorre tempo . Il tempo è vita! I genitori troveranno mille strate-gie per essere presenti, per educare in modo consapevole e responsabile. Cer-cheranno di essere pedagoghi e psicologi ben preparati; aperti al dialogo con i fi-gli, per conoscerli sempre più a fondo; studieranno con attenzione i comporta-menti e le abitudini dei figli, per cono-scere a fondo i loro problemi. Lavoro non facile ai nostri giorni! La responsabi-lità educativa tuttavia richiede coraggio e impegno nell’adempimento di questa difficile missione. Genitori, non scorag-giatevi. Non vi mancheranno gli aiuti e la collaborazione degli insegnanti nella scuola e dei catechisti nella Parrocchia. Quello che conta è la ferma volontà di “ Voler fare tutto ” per il bene dei figli .

Giulia Schiavo

La santità coniugale è entrata a pieno titolo nella storia della Chiesa grazie alle intuizioni di Giovanni Paolo II. Nella Tertio millennio adveniente (1994), la Let-tera che annunciava il grande Giubileo dell’anno 2000, il Papa scriveva: “In special modo ci si dovrà adope-rare per il riconoscimento dell'e-roicità delle virtù di uomini e don-ne che hanno realizzato la loro vo-cazione cristiana nel Matrimonio: convinti come siamo che anche in tale stato non mancano frutti di santità, sen-tiamo il bisogno di trovare le vie più op-portune per verificarli e proporli a tutta la Chiesa a modello e sprone degli altri sposi cristiani”. In un’epoca in cui la famiglia è attaccata su ogni fronte, finanche nella sua stessa struttura, la Chiesa ci propone modelli di santità che passano attraverso l’esperienza degli sposi. Per noi cristia-ni, dunque, è una necessità annunciare e valorizzare la vocazione al matrimonio che gli sposi hanno ricevuto nel cammino dell’amore e che li ha condotti alla cele-brazione delle nozze cristiane. Da questa consapevolezza è nato il desiderio di far conoscere alla comunità ravellese la san-tità, semplice e feriale, di una coppia di sposi dell’800 attraverso una peregrina-tio durata tre giorni. Le reliquie dei beati LUIGI MARTIN e ZELIA GUERIN, meglio conosciuti come i genitori di San-ta Teresa di Lisieux, hanno fatto visita al Duomo di Ravello nei giorni 17-19 feb-braio ed è stato un evento proposto e organizzato dalla Comunità Sposi della Fraternità di Emmaus. Il reliquiario è arrivato a Ravello venerdì pomeriggio dalla Cittadella della Carità di Angri (dove il 26 marzo prossimo sarà inaugu-rata la prima chiesa del mondo dedicata ai beati coniugi Martin) ed è stato accolto dai fedeli: un corteo di sposi, bambini, ministranti che con ceri e fiori hanno accompagnato le sante reliquie, portate in processione da una coppia di sposi. La S. Messa con le litanie cantate, il suono dell’organo, l’odore dell’incenso, hanno dato il via alla tre giorni di riflessione e preghiera. La presenza delle reliquie è l’occasione per fermarsi in preghiera

L’educazione dei figli e la trasmissione della fede

PEREGRINATIO DELLE RELIQUIE DEI BEATI MARTIN

A RAVELLO

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singolarmente e comunitariamente, è un evento di grazia perché possiamo chiede-re l’intercessione dei Santi affinché possa-no giungere i nostri desideri all’orecchio di Dio Padre. Sabato mattina si è tenuto un momento di preghiera alla presenza delle reliquie, a conclusione della novena di preparazione all’evento. Nel pomerig-gio è toccato ai fanciulli del catechismo venuti da tutte le parrocchie della paese. Che emozione vederli riempire il Duo-mo! La catechesi e il successivo video sulla vita quotidiana della famiglia Mar-tin, prodotti dalla stessa Fraternità di Emmaus, ha registrato un notevole inte-resse, e dal piccolo e semplice laborato-rio proposto, è venuto fuori ciò che ha colpito maggiormente i bambini: la fede che Teresa e le sorelle hanno ricevuto dai loro genitori attraverso la testimonianza di vita vissuta con lo sguardo rivolto a Dio. “Dio è il primo servito” è questa la convinzione che ha accompagnato per tutta la vita i beati coniugi. E’ un richia-mo alla prima responsabilità dei genitori: comunicare e trasmettere la fede ai figli. L’incontro pomeridiano è terminato con la benedizione dei fanciulli. Eccoci, dun-que, alla serata principale: l’incontro con gli sposi della comunità ravellese, quelli che più degli altri fedeli dovrebbero esse-re toccati da questo evento di grazia per-ché racconta di una esperienza molto vicina alla loro vita quotidiana. La cate-chesi, infatti, ha avuto per tema le diffi-coltà che Luigi e Zelia Martin hanno do-vuto affrontare nella loro vita familiare. Qui non troviamo solo l’ordinaria fatica che consiste nell’intrecciare il lavoro e la

crescita dei figli e le normali preoccupa-zioni che accompagnano la vita di ogni famiglia. La sofferenza prende dimora nella casa, pretende di stare sul trono come una regina dispettosa e prepotente: la morte di quattro figli, il disagio psico-logico di Leonia (terzogenita della fami-glia), la malattia e la morte precoce di Zelia, la vedovanza di Luigi, la malattia psichiatrica dello stesso Luigi . A leggere questo elenco, non esaustivo, sembra che nulla sia stato risparmiato ai coniugi Mar-tin, anzi che la croce posta sulle loro spalle sia stata molto più pesante di quan-to si possa pensare. L’esperienza del soffrire che ha abbracciato tanti ambiti dell’esistenza della famiglia Martin, la fa sentire vici-na alla vita a tutti gli sposi chiama-ti a lottare contro il male che spesso si accanisce nella vita di coppia. Particolare risonanza ha avuto la visione del video – rac-conto del miracolo che i beati coniugi hanno operato a favore del piccolo Pietro Schilirò. Si tratta di una intervista realizzata dalla Fraternità di Emmaus ai genitori del piccolo Pietro. È stato emozionante sentir parlare di un miracolo avvenuto nei nostri giorni: la fede semplice e genuina ma allo stesso tempo tenace e perseverante dei coniugi Schilirò, ha aiutato a comprendere nuo-vamente il valore della preghiera, che è affidamento, e abbandono alla volontà di Dio. La peregrinatio delle sante reliquie si è conclusa solennemente con la Santa Messa di Domenica 19 febbraio. A con-celebrare insieme a don Giuseppe Impe-

rato ben sette amici sacerdoti della dioce-si di Salerno. A presiedere la celebrazio-ne è don Franco Fedullo, responsabile del gruppo “IL GREGGE”, un movimen-to religioso salernitano che ha a cuore la pastorale familiare e che ha affollato il Duomo, come nelle grandi occasioni. La stima e l’amicizia che lega la Fraternità di Emmaus e Il Gregge ha dato origine ad una celebrazione emozionante. Commo-vente e appassionata l’omelia di don Franco che più volte ha invitato gli sposi a camminare insieme, mano nelle mano, verso la santità focalizzando l’attenzione sul vissuto quotidiano che non deve esse-re l’ostacolo alla santità coniugale ma il mezzo attraverso cui realizzarla. Sullo sfondo sempre l’esempio dei beati Luigi e Zelia Martin, richiamato alcuni episodi della loro vita in cui l’amore coniugale e l’educazione alla fede dei figli è il riflesso della loro santità. Organizzare una sem-plice peregrinatio, non è stato facile: la fatica di prevedere, di invitare, di annun-ciare, di preparare ogni cosa nei dettagli; l’ansia della buona riuscita dell’evento e di poter comunicare l’esperienza dei beati coniugi . Tutto è stato reso possibi-le grazie all’impegno della Comunità Sposi della Fraternità di Emmaus e all’instancabile impegno di don Giuseppe Imperato, desideroso di dare un ottimo

cibo spirituale alla sua comunità parroc-chiale. Con l’aiuto del Signore è stata fatta una larga e abbondante semina di bene; come e quando si potranno vedere i primi frutti spetta solo al buon Dio. Tutto affidiamo a Lui e a Lui rendiamo lode per questa esperienza di grazia fatta insieme. Le reliquie dei beati coniugi Martin hanno salutato Ravello e sono state riportate ad Angri, presso la Citta-della della Carità, lasciando a Ravello il richiamo della santità della vita matrimo-niale.

Laura e Giuseppe Gambardella

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Febbraio 2012, il solito mese dell’anno: freddo, piovoso, quest’anno nevoso e per di più bisestile, ma per la Comunità Sposi di Ravello, il mese di una grande grazia: l’arrivo delle reliquie dei beati Martin. Che fare? Prepararsi e preparare, un compito arduo a cui la Comunità non si è sottratta, né in termini di tempo, né di sacrifici e con l’aiuto dei membri della parrocchia di Santa Maria Assunta, l’instancabile don Giuseppe. Imperato e l’attenta guida di Peppe e Laura.Forse non abbiamo raggiunto un risultato da dieci e lode, tuttavia un nove ce lo siamo guadagnati. Negli incontri di catechesi precedenti l’evento, la Comunità di sposi si è preparata spolveran-do le proprie conoscenze sulla famiglia Martin e la sua spirituali-tà; ricordando anche l’esperienza delle altre coppie di coniugi ele-vate agli onori dell’altare (Beretta Molla; Beltrame Quat-trome,…); commentando le pubblicazioni in merito, come le lettere di Zelia Martin e “Luigi e Zelia Martin, una santità per tutti i tempi” di Jean Clapier; il mira-colo ricevuto dalla famiglia Scillirò per la guarigione del piccolo Pietro e poi, par-lando un po’ anche di Santa Teresa del Gesù Bambino, protettrice della Frater-nità. Carichi di conoscenza, ci siamo incamminati lungo la strada della prepa-razione pratica, a ciascuno il suo compi-to: la preparazione dell’ambiente liturgi-co, al Ministro dell’Unità; l’allocazione delle reliquie ad una fiorista d’eccellenza, la nostra Pina; ai Ministri della Liturgia, il gravoso impegno della documentazione dell’intero evento; per il canto, Immacolata, ha proposto e di-retto le migliori melodie utilizzabili; in bella mostra, da vigilare, un’esposizione della letteratura inerente i Martin, da vendere anche se richieste, affidata al Ministro della Condivisione; Peppe e Laura ci hanno trasmesso e portato tutto il materiale didattico ed espositivo; Don Peppino. Imperato, oltre la supervisione e l’organizzazione degli incontri per la buona riuscita dell’evento, ha fatto stam-pare tante copie degli inviti quante sono le famiglie censite a Ravello e dunque,

tutti impegnati nell’annuncio, domenica dodici. Su gentile concessione dei parro-ci, ciascun membro nella propria parroc-chia, e da allora un’imponente opera di volantinaggio è stata compiuta, aiutati dal gruppo pastorale del Duomo, per far arrivare un invito in ogni famiglia. Per nostra fortuna venerdì diciassette è arri-vato presto, perché eravamo già un po’ esauriti con tutto questo da fare, e nel tardo pomeriggio eccole, le Reliquie. Non c’è dato conoscere i pensieri postu-mi di chi non è più tra noi, tuttavia arte-fici di quel che hanno trovato, lo possia-mo raccontare. Le reliquie, frammenti

del costato dei coniugi, sono per ora allocate presso la Cittadella ad Angri, sede della Fraternità di Emmaus, e da lì è partito il loro viaggio per Ravello. Giun-te all’inizio di Via Boccaccio, hanno sicu-ramente udito il solenne festeggiare delle campane del Duomo e quando il reli-quiario blu si è aperto, ad attenderli han-no trovato una piccola processione: par-roco in testa e ministranti al seguito, fanciulli con i ceri accesi e fanciulle con petali di rosa per omaggiare la reliquia quando, dalle mani di Laura e Peppe, è passata in quelle di Rosa e Albino che, in rappresentanza della Comunità, con pro-cessione al seguito, le hanno cullate fino al Duomo. Certo la luce non era delle migliori, quasi sera e pure tempo pun-gente, ma all’ingresso in Piazza, i ceri disposti nella parte centrale delle scale antecedenti l’ingresso in Chiesa, ben segnavano la strada da intraprendere; ai lati delle porte i due ritratti dei coniugi, sì le reliquie erano nel posto giusto. Var-cata la soglia del Duomo ad attenderLe, a fine navata, a destra il ritratto della loro

ultima bambina, Santa Teresa di Liseaux, a sinistra un loro ritratto dei Beati Co-niugi; sull’altare, un poggio a mo’ di collinetta, com’è Ravello d’altronde, una collina a 765 mt sul mare, rivestita da un drappo blu, come il mare e un velo bianco, simbolo dell’amore sponsale. Ai piedi del poggio, un faro orientato verso le reliquie, e verso il Vangelo posto al loro retro, simbolo della luce di Dio che ci illumina, e la composizione floreale di gigli, quattro aperti e quattro chiusi, uno a metà e alla loro base delle rose sui lati. Un accostamento un po’ strano, e tutt’altro che casuale, la composizione

richiama, infatti, un disegno rea-lizzato dalla stessa Santa Teresa, dove i gigli aperti rappresentano i figli vivi dei coniugi, quelli chiusi i figli in cielo, il mezzo giglio, Lei stessa, attaccata ad una croce che si erge al centro del disegno e le rose; alla base, i coniugi stessi, come punto di partenza di una pianta che cresce e si sviluppa intorno a questa croce, passione e salvezza dell’umanità tutta. Sistemate le Sante Reliquie i è

iniziata la celebrazione Eucaristica, che riprendendo dal Vangelo secondo Gio-vanni il racconto delle nozze di Cana, ha permesso a Mons. Imperato, durante l’omelia, di focalizzare l’importanza del ruolo genitoriale in una famiglia. Maria, madre di Gesù, ottiene a Cana di Galilea il l suo primo miracolo; i coniugi Martin, con il loro esempio, di vita cristiana, riescono a far comprendere a tutta la famiglia, il senso della vera fede e dell’amore di Dio. La stessa Teresa, rac-conterà che da piccina, pur avendo perso la madre, quando,durante la Messa, non riusciva a comprendere i sermoni dei Sacerdoti, bastava guardasse il volto del padre, per capire la natura di ciò di cui si parlava. L’esempio dei genitori, è la mi-gliore educazione possibile. Al termine della Messa, si è proceduto alla recita della novena ai Beati coniugi, giunta all’ottavo giorno e all’indomani ore 11:00, ancora tutti in Duomo per la reci-ta dell’ultimo giorno. In verità il sabato alle undici, non ci si è arrivati, perché alcuni erano giunti prima, per sistemare

Ravello accoglie con gioia i Beati Luigi e Zelia Martin

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qualche dettaglio tecnico poco efficiente: il faro per l’illuminazione delle reliquie, la sala per il primo pomeriggio, il proiet-tore…; altri sono arrivati tardi e non hanno potuto approfittare del tempo a disposizione per restare un po’ in medi-tazione presso le reliquie, poi dopo la novena, un evento nell’evento: la cele-brazione di un matrimonio. Certo in questa tre giorni di esposizione delle reliquie dei “coniugi” Martin, forse non avrebbe potuto esserci momento liturgi-co più idoneo, chissà però se i novelli sposi se ne sono resi conto, e d’altro can-to, magari questa celebrazione ha un po’ sorpreso chi si apprestava in preghiera presso le reliquie, però il tutto si è svolto con la solita tranquillità che caratterizza gli eventi in Duomo, per cui tutto som-mato, oltre la sorpresa, è stato anche un momento di gioia collettivo. Nel pomeriggio grande ansia, per l’attesa dei ragazzi del catechismo, completo di tutte le classi e tutte le parrocchie cittadine, accompagnati delle catechiste. Le più ansiose, erano proprio le catechiste, che continuamente esprimevano dubbi sulla capacità dei fanciulli di resiste-re a quasi due ore di catechesi…ed è proprio vero che le sorprese, non finiscono mai. Rapiti dalle spiega-zioni di Laura, che in fondo i ha presentato loro, sì due Beati, ma soprat-tutto due genitori, al momento le perso-ne onnipresenti nella loro vita, tutti han-no ascoltato la catechesi e una calorosa esortazione di Mons. Imperato che, reli-quie alla mano, li ha esortati a vincere la paura dell’indifferenza verso la Chiesa e ad essere testimoni di quello che avevano ascoltato, senza straordinarietà, sempli-cemente nelle cose di tutti i giorni, e invitandoli a partecipare alla Messa con-clusiva della Peregrinatio il giorno dopo, accompagnati dai genitori. Dopo la cate-chesi, tutti in pinacoteca per la proiezio-ne di un video sulla vita dei Martin e del miracolo loro attribuito, e di Santa Tere-sa. Di certo non si sono annoiati, speria-mo solo che non dimentichino tutto troppo in fretta. Al termine della proie-zione, la Santa Messa con liturgia di Be-nedizione dei fanciulli, ha proposto ai partecipanti, con il Vangelo di Marco, la guarigione del paralitico portato a Gesù dagli amici. Temi molto importanti per i

fanciulli, l’amicizia, prima fonte di rela-zione con estranei alla famiglia e cardine di fede per la Comunità Sposi; la malatti-a, che se è difficile da comprendere per un adulto, che tra fede e scienza ha tutti i mezzi tecnici per provarci almeno, figu-riamoci per un bambino moderno che vede in essa il riflesso delle delusioni dei genitori superficialmente consci che uno stato di malattia sia solo fonte di soffe-renza. I coniugi Martin, nella loro pro-fonda fede spassionata, erano convinti che la malattia e il dolore in genere, con-tribuiva alla loro santificazione, così co-me Nostro Signore avrebbe voluto. Infi-ne, il coraggio di operare scelte difficili, la testimonianza aperta di Gesù, che pur conoscendo i pensieri di chi lo circonda-va, non ha esitato a compiere il miracolo in nome di Dio: “Alzàti, prendi la tua

barella e và!”. Alziamoci, proprio in sen-so pratico, prendiamo la nostra semplice umanità, e andiamo, portiamo la Sua parola dove sappiamo scarseggia, cerchia-mo in noi il coraggio di farlo. Se c’è una cosa eccezionalmente positiva che la ve-nuta di queste reliquie ha reso possibile, è stata quella di smuovere mariti poco propensi alla frequentazione della Comu-nità e a portarli, con i loro piedi, alle celebrazioni e agli incontri. Li abbiamo visti, leggere, fare la processione offerto-riale e intervenire alle catechesi, con propri interventi! Qualcuno ha anche dichiarato che quella dei Martin era una “bella favola” poco attuale e anche che, fare come loro, un voto di castità coniu-gale, forse era alquanto improbabile an-che per quei tempi…Ora, tutte le opi-nioni sono opinioni e bisogna rispettarle. Solo riflettiamo un po’. Le belle favole in genere hanno lieto fine, i coniugi Martin, sono stati esauditi nel loro desiderio di avere molti figli, ben nove figli di cui

quattro al cielo in tenerissima età; desi-deravano un figlio per poterlo consacrare al Signore quale missionario ed hanno ricevuto cinque figlie consacrate al Signo-re quali suore di cui una Santa Teresa, non solo Santa Dottore della Chiesa e Protettrice delle Missioni. Zelia, però non ha potuto vedere il completo epilogo di tutto ciò, perché morta in giovane età e Luigi non ha potuto goderne pienamen-te, poiché una malattia mentale ha offu-scato la sua vita fino alla fine dei suoi giorni. Che sfortuna!. Poi c’è la questio-ne del voto di castità, c’è molta differen-za tra un voto di castità e una vita coniu-gale di risentimenti ben celati, cosa mol-to comune nei matrimoni odierni, dove ci si punisce con l’indifferenza reciproca magari proprio nell’intimità della coppia? Ai posteri l’ardua sentenza. Solitamente

ciò che è bello finisce sempre trop-po presto e anche per la peregrina-tio delle Reliquie dei Beati Martin è arrivata domenica 19. Si sono asso-ciati alla nostra festa tantissimi membri della Comunità del Greg-ge di Salerno.Don Franco Fedullo ha presieduto la Santa Messa, con gli altri parroci presenti. Durante la liturgia c’è stato il rinnovo delle promesse matrimoniali e, in un Duomo davvero zeppo di gente, il “Sì” degli sposi è risuonato forte,

sperando la loro eco non si disperda tra i venti che soffiano dagli spifferi. Così, sì è conclusa questa tre giorni. E’ stata una bella avventura per tutti: Peppe e Laura in questi giorni si sono trasferiti a Ravello e ospiti dei membri della Comunità han-no seguito tutto l’iter; il paese ha ricevu-to una vera scossa, in estate non se ne sarebbe accorto nessuno, perché il paese è immerso in tutt’altri problemi, mentre nel placido inverno ravellese, questo evento ha portato un soffio di gioiosa spiritualità. Per la Comunità una bella prova, affrontata con coraggio e dedizio-ne. Tutti hanno pregato con devozione i Beati, e tanti hanno già sperimentato la loro efficace protezione: un sogno, una verità attesa, un suggerimento. Certo potrebbero essere tutte casualità, ciò che fa la differenza è solo la fede, i Martin ne avevano da vendere e noi da “acquistare”, pellegrini del deserto in cerca dell’acqua della vita eterna.

Elisa Mansi

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Non sarò sicuramente in sintonia con il tema, i miei pensieri tendono spesso ad esondare, a trascurare gli argini, il letto ed il corso: talvolta il mio glissato di pa-role scivola forse nella stonatura ed allora il danno è fatto, ma con consapevolezza. Ecco forse per armonizzarmi, dovrei rannicchiare la mente, redarguire le riflessioni che spesso la vita stessa decide di suggerire, bastano una telefonata, l’incontro casuale mentre passeggi con una brutta notizia. Oggi avrei dovuto esordire con una giusta, necessaria car-rellata di considerazioni sull’importanza del ruolo femminile nella gerarchia dell’esistenza, partendo dalla famiglia per arrivare alla società stessa. Ma è proprio un passaggio che si è sganciato dal corso degli eventi ed è caduto nel bel mezzo di una semplice riflessione sulla festa della donna, come un traliccio su una via centrale, che mi spinge ad allontanarmene quasi si trattasse di uno svolgimento scolastico , e ad osare lo spauracchio di tutti gli alunni: uscire fuori traccia. Ieri ho fatto visita ad una donna: negli ospedali c’è sempre quella strana atmo-sfera di sospensione, di cal-do e soffocamento, è come se la condi-zione di sofferenza, debba essere spen-nellata intorno, sugli oggetti, perfino sui gradini che ti portano da un reparto all’altro, nel modo in cui si chiudono le dentiere ferrose degli ascensori, perfino nello sforzo diafano delle luci di rendere accettabili i corridoi, nelle attese che consumano le mani dei parenti abbando-nati nelle sale d’aspetto come su panchi-ne di una stazione che non si vorrebbe o dovrebbe mai raggiungere. Si, le ho fatto visita: si è donne sempre, anche quando si è prigionieri di un letto e di un carce-riere che ha mille diagnosi diverse ma un unico intento: fermarti, sospenderti, frenarti. Si è donne anche con il viso segnato da una compostezza artificiale, finta, indotta, chimica, farmaceutica,

quasi meccanica. L’ ho guardata a lungo, quando le parole non arrivano e rimbal-zano per tornarti in bocca, lo sguardo fa più delle labbra e diventa una comunica-zione suprema. Le ho guardato la pelle incrinata dalle rughe, come fosse stata dissodata nel corso degli anni per acco-gliere le esperienze, le gioie, i dolori, l’arrendersi, il lottare. L’ho guardata così, addormentata ma senza sonno, sen-za sogni o forse con i sogni che possono dare solo i ricordi, quelli di una festa patronale, di una mattina trascorsa seduta in piazza, chissà magari di un vestito nuo-vo, di un primo amore, della prima paro-la detta dal proprio figlio. Si è donne

anche in quel momento, quando si è alla mercè degli altri, quando il corpo si are-na in un letto come un capodoglio che ha sbagliato direzione, quando si ha bisogno di un aiuto anche solo per respirare e spesso non si ha la possibilità di chieder-lo. La osservavo e pensavo ai sacrifici che le avranno sicuramente segnato la vita, alla gioia di un figlio, ai problemi e poi al modo in cui deve aver improvvisamente aperto la porta al cambiamento, al dolo-re, a quella sorta di stop gigante che ad un certo punto ferma il nostro percorso e contro cui possiamo ben poco. Trattan-dosi di una madre, so che ha pronunciato per primo il nome di suo figlio, nel for-micolio istantaneo di un barlume di co-scienza, ha invocato l’affetto più impor-tante, la propaggine che, seppure malan-

data, insicura, bisognosa di aiuto forse più di lei, resta lo specchio del suo san-gue. L’ ho osservata a lungo e la ripensa-vo diversa, in piedi, combattiva ed ener-gica, sorridente, così sorridente da ve-stirsi spesso di un’ironia pungente, quasi sbruffona, irriverente, capace di uscire dalla cattedrale nerboruta dei suoi anni e di strappare una risata a chiunque, alla gioventù sempre di corsa, sempre in pen-siero. Le ho guardato il piede che spunta-va timido dal lenzuolo, era abbandonato, arreso, insensibile a qualsiasi tipo di sti-molazione esterna e poi mi sono soffer-mata sulle labbra divaricate appena dal respiro affannato, indotto, irreale e mi

sono chiesta se c’è un modo mi-gliore per essere donna di quello che è fatto di una vita di corag-gio, di accettazione anche delle situazioni meno felici, meno appaganti. Se non è quella la forma più grande e perfetta di femminilità, di bellezza. C’è una bellezza perfino nel dolore che a volte sembra stridente, parados-sale. Ho fatto visita ad una donna ieri, una donna che spesso in-dossava una collana e tirava sulle labbra raggrinzite un velo di luci-do rosa, che si notava per i modi spicci e simpatici, per l’andatura che si è affaticata giorno per giorno, una donna che diceva di

addormentarsi davanti alla tv così che fosse la tv a guardare lei e non viceversa. Stava accoccolata fra le lenzuola,fra una ferrovia di tubicini e di flebo e l’affetto di chi l’ama e l’ha vista zittirsi senza ragione in un istante, come spesso avviene, come spesso la vita decide che deve essere. L’ho vista con il capo piegato verso de-stra, la pelle calda ed i capelli puliti, l’ho vista passare dalle mani dei suoi cari a quelle esperte e rodate di un’infermiera, dalle preghiere allo sguardo di chi le sorveglierà il sonno sempre identico, senza cambiamenti di posizione. E mi è sembrata bella, più bella che mai, di una bellezza che può dare solo Dio e che il più complesso e perfetto degli artifici non potrà mai raggiungere.

Emilia Filocamo

8 marzo Ricordiamo anche le donne che soffrono

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Non poteva mancare su questo men-sile, di cui era lettore curioso e appassiona-to, un ricor-do del caris-simo Alfon-so Tenebre, che si è spento nella m a t t i n a t a del 26 feb-braio u.s. dopo una

malattia devastante, che lo ha strappato all’affetto dei suoi cari e di tutti coloro che lo hanno conosciuto. Una folla nu-merosa, accorsa ai suoi funerali, ha volu-to salutarlo per l’ultima volta nel Duomo di Ravello, dove molto spesso lo si in-contrava negli ultimi anni. Particolarmente sensibile alle necessità della Chiesa, infatti, Alfonso è stato sem-pre disponibile a collaborare nei più vari settori della vita parrocchiale. Non lo faceva per protagonismo, ma per spirito di servizio e carità, doni appresi sicura-mente alla scuola di San Francesco, della cui grande famiglia ha fatto parte in quali-tà di terziario. Un’ adesione, questa, da lui considerata come “scelta di vita”, e che spesso era oggetto di lunghi dibattiti, nel corso dei quali mi raccontava entusia-sta delle sue recenti “letture” francesca-ne. Questa appassionata curiosità per la for-mazione personale ha voluto trasmetterla anche ai ragazzi e a quanti hanno avuto la ventura di averlo come catechista, com-pito impegnativo che ha saputo portare avanti con grande dedizione. Un attaccamento forte al ruolo affidato-gli, che purtroppo non lo risparmiava da cocenti delusioni, quando, ad esempio, dopo aver aspettato a lungo i suoi allievi, questi non partecipavano al Catechismo, lasciandolo solo e sconsolato. Con lo stesso entusiasmo entrò a far par-te anche della Confraternita del SS. No-me di Gesù e della B. V. del Monte Car-

melo, della quale è stato fino alla morte membro del Consiglio Direttivo in quali-tà di II Assistente, carica in cui era stato confermato nell’ elezione del 12 novem-bre 2011. In seno alla Confraternita volle dare il suo contributo anche ai riti della Settimana Santa, ai quali partecipava da “apostolo” alla liturgia del Giovedì Santo e come “battente”, coinvolgendo anche il nipote Luigi. Del resto la sua consuetudi-ne alla vita liturgica della Parrocchia era molto nota, avendo prestato il suo servi-zio quale membro fedele e attivo della corale. Vorrei ricordare, in ultimo, la sua devo-zione verso il Santo Patrono Pantaleone, che ha contribuito a diffondere anche come componente del Comitato Festeg-giamenti Patronali, segno del suo pieno inserimento nella vita ravellese, nono-stante le mai celate origini amalfitane. Tutti questi impegni ha onorato con grande fervore e coerenza fino a quando, con l’incalzare inarrestabile della malatti-a, Alfonso è stato a chiamato a dare una testimonianza ancora più viva della sua fede, accettando quella croce con grande serenità. Grande è il vuoto che ha lasciato nella sua famiglia, in quanti lo hanno conosciuto, nelle varie realtà parrocchiali in cui era impegnato e dove difficilmente la sua presenza sarà dimenticata. A conclusione della sua omelia, Don Giu-seppe Imperato gli ha rivolto un ultimo desiderio: “che presso Dio egli si ricordi di tutti noi, delle necessità della nostra chiesa e preghi il Buon Dio perché ci doni fratelli forti e generosi nella fede e genitori saggi ed amorevoli come lui”. Sono convinto che il caro Alfonso, come San Paolo, ormai pronto a lasciare questo mondo, abbia esclamato tra sé: “Ho combattuto la buona battaglia, ho termi-nato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi conse-gnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione”. Ciao Alfonso, ci mancherai!

Salvatore Amato

Auguri papà! Si comincia da piccoli ad avere bisogno del papà. Da quando con un semplice suono, quasi un verso “pa pa pa”, lo si richiama alla propria attenzione, accom-pagnandolo con un sorriso speciale e spontaneo. Poi si cresce e la figura del padre diviene ascolto, protezione, consiglio, aiuto, vicinanza. A volte anche scontro e conte-stazione. Ci si vuole bene e si litiga con il proprio padre. Quella vita che lui ci ha insegnato ad affrontare e comprendere a testa alta, a volte ci rende distanti, ci allontana da lui, per voglia di quell’autonomia e indi-pendenza che lui stesso ci ha impartito. Inutile dire che ogni rapporto con il pro-prio padre è una relazione a sé. Inutile, quindi, voler fare paragoni o confronti. Quello che ci preme è ricordare come ad essere “figlio” non si finisce mai. Così come ad essere “genitore”. Di là dalle divergenze e scelte di vita, dunque, invitiamo tutti a ricordare e celebrare la festa del papa, il 19 Marzo; una ricorrenza “affettuosa” da intendersi soprattutto come impegno morale ed etico nel riconoscimento di un ruolo fon-damentale della nostra società. Guida, memoria storica, punto di riferi-mento, il padre al pari della mamma è un’ “irrinunciabile” della nostra vita. Dio è padre. Ma, anche l’uomo che da piccoli ci ha portati per mano e da grandi ci ha asciugato le lacrime è “Padre”. A lui, sono dedicate queste poche righe, insieme ai tutti quei figli che presto pren-deranno il suo posto, con l’augurio di non dimenticare mai l’importanza e il grande spessore della sua figura.

Iolanda Mansi

Ricordo di Alfonso Tenebre

CELEBRAZIONI DEL MESE DI MARZO

DALL’ 1 AL 24 MARZO GIORNI FERIALI Ore 17.00: Santo Rosario Ore 17.30: Santa Messa GIORNI FESTIVI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa

DAL 25 MARZO GIORNI FERIALI Ore 18.00: Santo Rosario Ore 18.30: Santa Messa GIORNI FESTIVI Ore 18.30: Santo Rosario Ore 19.00: Santa Messa

GIOVEDI’ 1-15-22-29 MARZO Al termine della Santa Messa Adorazione Eucaristica VENERDI’ 2-9-16-23-30 MARZO

Al termine della Santa Messa Via Crucis 4 MARZO - II DOMENICA DI QUARESIMA

Ore 8.00-10.30- 18.00: Sante Messe

5-8 MARZO GIORNATE EUCARISTICHE

( QUARANTORE ) LUNEDI’- GIOVEDI’

CHIESA DI SANTA MARIA A GRADILLO Ore 8,00 : Celebrazione Eucaristica ed Esposizione del SS. Sacramento per l’adorazione ininterrotta;

Ore 18.30: Celebrazione dei Vespri,Omelia e Benedizione Eucaristica.

11 MARZO - III DOMENICA DI QUARESIMA

Ore 8.00-10.30- 18.00: Sante Messe

18 MARZO - IV DOMENICA DI QUARESIMA

Ore 8.00-10.30- 18.00: Sante Messe

19 MARZO (Lunedì)

SOLENNITA’ DI S. GIUSEPPE SPOSO DELLA B.V. MARIA

Ore 18.00: Santa Messa

25 MARZO - V DOMENICA DI QUARESIMA

Ore 8.00-10.30- 19.00: Sante Messe

26 MARZO - SOLENNITA’ DELL’ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE