Incontro Marzo 2013

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Per una Chiesa Viva www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it www.museoduomoravello.com Anno IX - N. 2 – Marzo 2013 Mercoledì’ 27 febbraio, oltre 150mila persone come un fiume di gente arrivata da ogni parte d’Italia e dal mondo, ha partecipato in piazza San Pietro all’ultima Udienza generale di Papa Benedetto XVI. “La Chiesa è viva!”. È stata una delle prime esclamazioni del Papa quando, ringraziando i fedeli, ha aggiunto, a brac- cio e quasi per fermare anche il fragoroso applauso nato spontaneo tra la folla, “Grazie di cuore, sono veramente com- mosso, vedo che la Chiesa è viva”. “La Chiesa è viva” il Papa Benedetto XVI l’aveva affermato con vigore il 24 aprile di otto anni fa, nella sua prima Messa da Papa. E in questa nuova circostanza in cui migliaia di fedeli sono accorse per ascoltare la sua paro- la, ne ha avuto con- ferma e pubblica dimostrazione. I fedeli presenti all’ul- tima Udienza genera- le sono persone che hanno scelto “l’io e Dio” perché glielo ha insegnato uno straordinario maestro della fede cristiana. A leggere in profondità la storia e il significato degli avvenimenti verificatisi negli anni del suo ricco e diffi- cile ministero petrino, Benedetto XVI è stato un Papa che, con il suo altissimo e luminoso magistero, non ha fatto altro che declinare da par suo - nelle sue infini- te e ricche sfumature -, un unico grande discorso: portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio, rendere presente Cristo in questo mondo e mostrare al mondo che, con Lui o senza di Lui, cambia tutto. Ne- gli otto anni del suo pontificato ha offerto alla chiesa una “summa” della fede le cui tematiche non ci stancheremo in futuro di approfondire, studiare e meditare: sono le stupende ed affascinanti pagine dei suoi libri, le sue Lettere Encicliche sulla Carità e sulla speranza; la trilogia su Gesù di Nazareth, e soprattutto le sue Omelie liturgiche, che rappresentano quanto di più genuino è uscito dalla sua mente, omelie considerate come “la vetta del suo Pontificato,forse, “la meno fre- quentata e conosciuta”, scritte quasi inte- gralmente di suo pugno, talvolta, im- provvisate, e frutto genuino della sua straordinaria cultura teologica e profon- da fede. Che la Chiesa sia viva, sentita e vissuta come un “noi”, Benedetto XVI l’aveva ricordato anche nell’omelia della Messa delle Ceneri. Ed è questo il con- cetto che il Papa ha scelto anche in uno dei passaggi più applauditi della sua ulti- ma catechesi: “Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa - non un’orga- nizzazione, non un’associazione per fini religiosi e umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino”. “Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi”, ha aggiunto il Papa fuori testo. La chiesa è viva oggi, Bene- detto XVI l’ha affermato anche nell’ ulti- mo giorno del suo pontificato, la mattina di giovedì 28 febbraio, incontrando nella Sala Clementina per un saluto di Conge- do i cardinali presenti a Roma. Ai Cardi- nali ha ricordato la famosa espressione di Romano Guardini: «La Chiesa si risveglia nelle anime». “ La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime che come Maria — accolgono la Parola di Dio e la concepi- scono per opera dello Spirito Santo; of- frono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di ge- nerare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell’Incarnazione rima- ne presente per sempre. Cristo continua a cam- minare attraverso i tem- pi e tutti i luoghi”. Nel riferire tali parole ai Cardinali il Papa ha detto: “Vorrei la- sciarvi un pensiero semplice, che mi sta molto a cuore: un pensiero sulla Chiesa, sul suo mistero, che costituisce per tutti noi — possiamo dire — la ragione e la passione della vita. Mi lascio aiutare da un’espressione di Romano Guardini, scritta proprio nell’anno in cui i Padri del Concilio Vaticano II approvavano la Co- stituzione Lumen gentium, nel suo ultimo libro, con una dedica personale anche per me; perciò le parole di questo libro mi sono particolarmente care. Dice Guardi- ni: La Chiesa «non è escogitata e costrui- ta a tavolino..., ma una realtà vivente... Continua a pagina 2 La Chiesa è viva P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Incontro per una chiesa viva. Periodico di Ravello

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Per una Chiesa Viva

www.chiesaravello.it www.ravelloinfesta.it www.museoduomoravello.comAnno IX - N. 2 – Marzo 2013

Mercoledì’ 27 febbraio, oltre 150mila persone come un fiume di gente arrivata da ogni parte d’Italia e dal mondo, ha partecipato in piazza San Pietro all’ultima Udienza generale di Papa Benedetto XVI. “La Chiesa è viva!”. È stata una delle prime esclamazioni del Papa quando, ringraziando i fedeli, ha aggiunto, a brac-cio e quasi per fermare anche il fragoroso applauso nato spontaneo tra la folla, “Grazie di cuore, sono veramente com-mosso, vedo che la Chiesa è viva”. “La Chiesa è viva” il Papa Benedetto XVI l’aveva affermato con vigore il 24 aprile di otto anni fa, nella sua prima Messa da Papa. E in questa nuova circostanza in cui migliaia di fedeli sono accorse per ascoltare la sua paro-la, ne ha avuto con-ferma e pubblica dimostrazione. I fedeli presenti all’ul-tima Udienza genera-le sono persone che hanno scelto “l’io e Dio” perché glielo ha insegnato uno straordinario maestro della fede cristiana. A leggere in profondità la storia e il significato degli avvenimenti verificatisi negli anni del suo ricco e diffi-cile ministero petrino, Benedetto XVI è stato un Papa che, con il suo altissimo e luminoso magistero, non ha fatto altro che declinare da par suo - nelle sue infini-te e ricche sfumature -, un unico grande discorso: portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio, rendere presente Cristo in questo mondo e mostrare al mondo che, con Lui o senza di Lui, cambia tutto. Ne-gli otto anni del suo pontificato ha offerto alla chiesa una “summa” della fede le cui

tematiche non ci stancheremo in futuro di approfondire, studiare e meditare: sono le stupende ed affascinanti pagine dei suoi libri, le sue Lettere Encicliche sulla Carità e sulla speranza; la trilogia su Gesù di Nazareth, e soprattutto le sue Omelie liturgiche, che rappresentano quanto di più genuino è uscito dalla sua mente, omelie considerate come “la vetta del suo Pontificato,forse, “la meno fre-quentata e conosciuta”, scritte quasi inte-gralmente di suo pugno, talvolta, im-provvisate, e frutto genuino della sua straordinaria cultura teologica e profon-

da fede. Che la Chiesa sia viva, sentita e vissuta come un “noi”, Benedetto XVI l’aveva ricordato anche nell’omelia della Messa delle Ceneri. Ed è questo il con-cetto che il Papa ha scelto anche in uno dei passaggi più applauditi della sua ulti-ma catechesi: “Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa - non un’orga-nizzazione, non un’associazione per fini religiosi e umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano

del suo declino”. “Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi”, ha aggiunto il Papa fuori testo. La chiesa è viva oggi, Bene-detto XVI l’ha affermato anche nell’ ulti-mo giorno del suo pontificato, la mattina di giovedì 28 febbraio, incontrando nella Sala Clementina per un saluto di Conge-do i cardinali presenti a Roma. Ai Cardi-nali ha ricordato la famosa espressione di Romano Guardini: «La Chiesa si risveglia nelle anime». “ La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime che come Maria — accolgono la Parola di Dio e la concepi-scono per opera dello Spirito Santo; of-

frono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di ge-nerare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell’Incarnazione rima-ne presente per sempre. Cristo continua a cam-minare attraverso i tem-pi e tutti i luoghi”. Nel riferire tali parole ai

Cardinali il Papa ha detto: “Vorrei la-sciarvi un pensiero semplice, che mi sta molto a cuore: un pensiero sulla Chiesa, sul suo mistero, che costituisce per tutti noi — possiamo dire — la ragione e la passione della vita. Mi lascio aiutare da un’espressione di Romano Guardini, scritta proprio nell’anno in cui i Padri del Concilio Vaticano II approvavano la Co-stituzione Lumen gentium, nel suo ultimo libro, con una dedica personale anche per me; perciò le parole di questo libro mi sono particolarmente care. Dice Guardi-ni: La Chiesa «non è escogitata e costrui-ta a tavolino..., ma una realtà vivente...

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La Chiesa è viva

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, tra-sformandosi... Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo». È stata la nostra esperienza, ieri, mi sembra, in Piazza: vedere che la Chie-sa è un corpo vivo, animato dallo Spirito Santo e vive realmente dalla forza di Dio. Essa è nel mondo, ma non è del mondo: è di Dio, di Cristo, dello Spirito. Lo abbia-mo visto ieri. Per questa è vera ed elo-quente anche l’altra famosa espressione di Guardini: «La Chiesa si risveglia nelle anime». Ritornano ancora una volta alla mente le parole di quel 24 aprile 2005: “Non devo presentare un programma di governo: il mio vero programma di go-verno è mettermi in ascolto, con tutta la Chiesa, della volontà del Signore e la-sciarmi guidare da Lui, perché sia Lui a guidare la Chiesa in quest’ ora della sto-ria”. Sono queste, parole che suonano di sorprendente attualità, soprattutto se incrociate con le motivazioni della rinun-cia al soglio di Pietro, che il Papa nella sua ultima Udienza ha voluto spiegare ancora a una volta ai fedeli con sobria semplicità, ma con toni ancora più intimi. “Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sem-pre davanti il bene della Chiesa e non se stessi”. Don Giuseppe Imperato

L’ultimo saluto di Benedetto XVI

Cari amici, sono felice di essere con voi, circondato dalla bellezza del creato e dal-la vostra simpatia che mi fa molto bene. Grazie per la vostra amicizia, il vostro affetto. Voi sapete che questo mio giorno è diverso da quelli precedenti; non sono più Sommo Pontefice della Chiesa cattolica: fino alle otto di sera lo sarò ancora, poi non più. Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegri-naggio in questa terra. Ma vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità. E mi sento molto appoggiato dalla vostra simpatia. Andiamo avanti insieme con il Signore per il bene della Chiesa e del mondo. Grazie, vi imparto adesso con tutto il cuore la mia Benedizio-ne.Ci benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo. Grazie, buona not-te! Grazie a voi tutti!

Nell’attuale società ad alta tensione me-diatica la capacità di elaborare giudizi ponderati è generalmente bassa e non sempre corrispondente al più diffuso sen-tire. Ne è prova il coro sincero di venera-zione e di apprezzamento nei confronti di Benedetto XVI espresso dalla gente sem-plice e schietta di Roma, che gli si è stret-ta intorno nelle visite alle parrocchie, dalle moltitudini di pellegrini che sempre hanno affollato le udienze e le celebrazio-ni, come pure dagli uomini di cultura, delle istituzioni e da attenti e pensosi cer-catori di verità. La grandezza di questo pontificato non sarà scalfita da notizie deformate, sospetti e illazioni su uomini di Chiesa, sparate a ripetizione, che ad un minimo di buon senso e onestà i n t e l l e t t u a l e appaiono spro-positate e ingan-nevoli, pronun-ciate dalla furia iconoclasta di qualcuno secon-do un cliché a r t a t a m e n t e semplificato. Ad un giudizio ri-flessivo e libero da preconcetti l’immagi-ne di papa Benedetto si staglia luminosa e di riferimento certo. Che poi la Chiesa, da venti secoli, presenti limiti e difetti in alcuni suoi membri, nei confronti dei quali il Papa non ha risparmiato severi ammonimenti e provvedimenti necessari, non fa che elevare ancora di più la sua statura morale e la chiarezza e il coraggio del suo governo pastorale. Fuggendo na-turalmente da ogni rischio di mitizzazione - che peraltro non gli sarebbe gradita – quale sia la stima verso il Papa, non solo dei fedeli cattolici, si è resa ancora più visibile con la vicinanza commossa e am-mirata che soprattutto in queste ultime settimane di pontificato il mondo intero gli ha manifestato. Affetto e gratitudine per quanto abbiamo imparato dalla sua testimonianza, che la decisione della ri-nuncia al pontificato ha ingigantito per le motivazioni profonde del gesto, ultimo insegnamento di libertà di spirito, di fe-

deltà e coerenza cristiana e di invito co-raggioso ad aprirsi alle sfide del tempo. Non solo. Essergli vicino, fisicamente o anche solo col cuore, per salutarlo è un simbolo forte che esprime il desiderio di continuare a seguirlo sulla via di Cristo e della chiesa. Dunque il nostro saluto vuo-le essere come una professione di fede. E’ proprio nel focus della fede indomita e coraggiosa di Papa Benedetto, uomo spi-rituale che tutto considera alla luce della verità di Dio e si dona per il bene della Chiesa, che la sua eredità ci rimarrà pre-ziosa. Persona mite e gentile, dal sorriso acco-gliente e incoraggiante che rivela la nobil-tà dell’animo, spiritualmente profondo e

retto nell’agi-re, di lui si p e r c e p i s c e l’acutezza e l ’ o n e s t à dell’intelligen-za, la capacità di discerni-mento nella complessità e il rigore nella ricerca della verità. A que-

ste doti umane e spirituali si accompagna-no e si sposano la coscienza limpida della responsabilità di padre nella fede, la pas-sione per l’annuncio del Vangelo in un mondo in cui la fede va nuovamente ri-proposta, l’impulso costante all’unità ecumenica, la difesa dell’uomo e della sua dignità, la cura dei deboli e dei poveri. Sono tutti tratti distintivi della sua perso-nalità ricca e dotata. Egli ci ha mostrato una visione alta della vita umana e cristia-na che incoraggia a dismettere visioni minuscole, segnate da un pervasivo relati-vismo etico, in nome di una libertà senza confini, che sgretola i fondamentali della civiltà. Nell’Anno della fede - forte invito alla conversione - alla dolce e stimolante esemplarità di vita di Benedetto XVI e al suo ricco magistero rimarremo legati per sempre.

Card. Agostino Vallini

Segue dalla prima pagina La preziosa eredità di Benedetto XVI

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A come Anno della fede, una specie di Giubileo che Papa Ratzinger ha indetto per «portare fuori dal deserto gli uomini» nel tentativo di fare riscoprire «l'amicizia con Cristo». L'anno della fede è stato aperto con una lettera apostolica, Porta Fidei, l'11 ottobre dell'anno scorso nel 50esimo anniversario dell'apertura del Concilio Vaticano II. B come Bontà. In diverse omelie la predicazione di Ratzinger si è concentrata sul concetto di amore. «Dio è pura bon-tà». Per questo, ha spiegato, «non può essere un concetto astratto ma qualcosa che si incarna e prende forma ovunque e continuamente». Anche oggi persone che «non riescono più a riconoscere Dio nella fede si domandano se l'ultima potenza che fonda e sorregge il mondo sia veramente buona o se il male non sia altrettanto po-tente ed originario quanto il bene e il bello, che in attimi luminosi ci incontria-mo nel cosmo. Non è così. Apparve la bontà di Dio e il suo amore per gli uomi-ni». C come Corpus Domini. Al centro della predicazione Ratzinger ha sempre collocato l'Eucarestia, la trasformazione dei doni di questa terra, il pane e il vino, finalizzata a trasformare la vita degli uo-mini e ad inaugurare la trasformazione del mondo. D come Dottore della Chiesa. Nelle catechesi del mercoledi Benedetto XVI ha presentato ai fedeli un ciclo di predicazio-ni dedicato al pensiero dei dottori della Chiesa, Santa Teresina del Bambino Ge-sù, Sant'Alfonso de’ Liguori, San France-sco di Sales, San Roberto Bellarmino, Santa Teresa d'Avila, San Giovanni della Croce, San Tommaso d’Aquino, San Bo-naventura… Un percorso meditato per spiegare la dottrina dei più geniali pensa-tori che hanno lasciato, dal medioevo in poi, scritti illuminanti alla Chiesa. E come Evangelizzare. Praticamente il core business del pontificato ratzingeria-no sul quale ha insistito sin dall’inizio, ricordando a tutti che la Chiesa esiste per evangelizzare. E’ stato persino creato un dicastero apposito, quello sulla Nuova evangelizzazione, al fine di rafforzare nelle nazioni di tradizione cristiana ma

intaccate dalla secolarizzazione l'impegno dei cattolici. «Il nostro compito permane identico come agli albori della nostra storia. La missione non è mutata». F come fedeltà. Intesa soprattutto co-me aderenza allo spirito del Vangelo. Papa Ratzinger lo ha chiesto ripetutamen-te ai cristiani sin dal primo giorno dell'e-lezione. L'ultimo appello del genere risa-le al Mercoledì delle ceneri, quando nella basilica di San Pietro davanti a vescovi e cardinali di curia ha incoraggiato ad esse-re rigorosi con sè stessi e coerenti con gli insegnamenti del Signore.

G come Gioia. Secondo Ratzinger l'a-more di Dio dona felicità nel profondo. «Gioia» è una della parole che forse ha inserito con maggiore frequenza nei suoi discorsi, nel corso degli Angelus o nelle omelie. H come Habemus Papam. Quando venne eletto, il 19 aprile 2005, dalla Log-gia delle Benedizioni si presentò al mon-do come «un umile lavoratore nella vigna del Signore», enfatizzando il suo ruolo di Pastore d’anime dal carettere mite e sem-plice. I come Ideologie. Dopo avere condan-nato decine di volte il nazismo e il comu-nismo, ideologie nefaste del passato, Ra-tzinger ha messo in guardia anche dalla diffusione delle «ideologie contrarie alla famiglia, alla difesa della vita e al degrado dell'etica sessuale». Ideologie che «sono come in relazione all'eclissi di Dio. Così la nuova evangelizzazione è inseparabile dalla crisi della famiglia cristiana». L come lacerazioni. Il Papa nell’arco di questi otto anni ha osservato con sgo-mento una Chiesa dal volto deturpato, sfregiato, lacerato per via delle mancanze dei suoi figli, dai semplici fedeli ai vescovi

e cardinali. Ha utilizzato questa metafora frequentemente facendo riferimento allo scandalo della pedofilia. M come matrimonio. La famiglia oc-cupa uno spazio importantissimo nella sua predicazione perché «riguarda le fonda-menta della vita umana». «L'ordine socia-le trova un suo sostegno essenziale nella unione sponsale di un uomo e di una don-na poiché è rivolta alla procreazione. Perciò il matrimonio e la famiglia richie-dono anche al tutela particolare dello Stato». O come Ora pro nobis. Ratzinger ha dato un enorme impulso alla lingua lati-na, lingua ufficiale della Chiesa, incorag-giando le comunità di tutto il mondo a riscoprire le antiche preghiere in latino. Ha persino liberalizzato l'uso del latino nella messa secondo il messale di San Pio V. Attraverso un Motu Proprio promul-gato anche per cercare di avvicinare gli scismatici lefebvriani (ma finora con esiti piuttosto modesti). P come Politica. Tra tutti i discorsi contenenti riferimenti alla politica, il più importante resta quello del Bundestag, pronunciato nel settembre di due anni fa. «La politica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace. Naturalmente un poli-tico cercherà il successo senza il quale non potrebbe mai avere la possibilità dell'azione politica effettiva. Ma il succes-so è subordinato al criterio della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all'intel-ligenza del diritto. Il successo può essere anche una seduzione e così può aprire la strada alla contraffazione del diritto, alla distruzione della giustizia». R come Religioni. Papa Ratzinger si è battuto come un leone per il riconosci-mento della libertà religiosa nel mondo e in particolare contro la cristianofobia. Davanti a situazioni particolarmente do-lorose è intervenuto con messaggi e di-scorsi agli ambasciatori. «La libertà reli-giosa trova espressione nella specificità della persona umana che per essa può ordinare la propria vita personale e socia-le a Dio, la cui luce fa comprendere pie-namente l'identità il senso e il fine della persona. Continua a pagina 4

Il vocabolario di Benedetto XVI

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La libertà religiosa è all'origine della li-bertà morale». S come semplicità. Una frase su tutte rispecchia l'uomo Ratzinger e il pastore Benedetto XVI: «Con l'umiltà di saperci semplici chicchi di grano, custodiamo la ferma certezza che l'amore di Dio, incar-nato in Cristo, è più forte del male, della violenza e della morte. Sappiamo che Dio preparerà per tutti gli uomini cieli nuovi e terra nuova in cui regnano la pace e la giustizia e nella fede intravediamo il mondo nuovo che è la vera nostra pa-tria». T come Terzo mondo. La visione di Ratzinger soprattutto sull'Africa parte dal riconoscimento delle responsabilità mo-rali che gravano sull'Occidente. Il traffico d'armi, lo sfruttamento delle risorse, la disattenzione storica. Alla Chiesa europea e americana ha affi-dato il compito di sostenere gli africani e accompagnarli sulla via della democrazia, della riconciliazione, della giustizia. In uno dei suoi viaggi africani (Benin, Ango-la, Camerun) ha sottolineato che troppo spesso il «nostro spirito si ferma a pre-giudizi o a immagini che danno della real-tà africana una visione negativa, frutto di una analisi pessimista. Si è sempre tentati a sottolineare ciò che non va, o ad assumere il tono sentenziose del moralizzatore». U come Uccellino. «Era una splendida giornata di sole che resta indimenticabile come il momento più importante della mia vita. Non si deve essere superstiziosi ma nel momento in cui l'anziano arcive-scovo impose le sue mani su di me un uccellino, forse una allodola, si levò dall'altare maggiore della cattedrale e intonò un piccolo canto gioioso, per me fu come se una voce dall'alto mi dicesse: va bene cosi, sei sulla strada giusta». Questo ricordo è tratto dalla sua autobio-grafia e suona come una premonizione. Papa Ratzinger entra nella Storia non solo per le dimissioni, ma per avere in-carnato il Papa della Parola.

Franca Giansoldati

Il 1° febbraio 20013 Benedet-to XVI ha reso pubblico il suo annuale messag-gio per la cele-brazione della Quaresima, che quest'anno cade nel contesto dell’Anno della

fede, dedicato al tema del rapporto tra fede e carità. Benedetto XVI rimanda alla sua prima enciclica, «Deus ca-ritas est», dove ricordava che «all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4,10), l'a-more adesso non è più solo un "comandamento", ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro». Per non capire male il nesso tra fede e carità occorre ri-cordare anzitutto che cos'è la fede: «quella personale adesione – che include tutte le nostre facoltà – alla rivelazione dell'amore gratuito e "appassionato" che Dio ha per noi e che si manifesta piena-mente in Gesù Cristo». Rileggiamo anco-ra la «Deus caritas est»: «Il riconosci-mento del Dio vivente è una via verso l'amore, e il sì della nostra volontà alla sua unisce intelletto, volontà e sentimen-to nell'atto totalizzante dell'amore». Il Papa torna qui su un tema che ha trattato diverse volte in discorsi degli ultimi me-si: per gli «operatori della carità» cattoli-ci è indispensabile la fede. Diversamente, la carità si riduce a mero umanitarismo o peggio si pone al servizio di obiettivi e ideologie incompatibili con la morale cattolica. Se pero è vero che per il cattolico non c'è vera carità senza fede, è vera anche l'affermazione reci-proca: la fede autentica fiorisce necessa-riamente nella carità. «La fede è conosce-re la verità e aderirvi (cfr 1 Tm 2,4); la carità è "camminare" nella verità (cfr Ef 4,15). Con la fede si entra nell'amicizia con il Signore; con la carità si vive e si

coltiva questa amicizia (cfr Gv 15,14s). La fede ci fa accogliere il comandamento del Signore e Maestro; la carità ci dona la beatitudine di metterlo in pratica (cfr Gv 13,13-17). Nella fede siamo generati come figli di Dio (cfr Gv 1,12s); la carità ci fa perseverare concretamente nella figliolanza divina portando il frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22). La fede ci fa riconoscere i doni che il Dio buono e generoso ci affida; la carità li fa fruttifica-re (cfr Mt. 25,14-30)». Dunque l'in-treccio fra fede e carità è indissolu-bile. «Non possiamo mai separare o, addirittura, opporre fede e carità. Queste due virtù teologali sono intimamente unite ed è fuorviante vedere tra di esse un contrasto o una "dialettica"». Da una parte, questo intreccio ci preserva dall'intellettualismo e da una fede mera-mente astratta: «è limitante l'atteggia-mento di chi mette in modo così forte l'accento sulla priorità e la decisività della fede da sottovalutare e quasi disprezzare le concrete opere della carità e ridurre questa a generico umanitarismo». Ma oggi il rischio prevalente è forse quello opposto: «sostenere un’esagerata supre-mazia della carità e della sua operosità, pensando che le opere sostituiscano la fede. Per una sana vita spirituale è neces-sario rifuggire sia dal fideismo che dall'at-tivismo moralista». Il Pontefice ri-chiama i recenti discorsi in cui ha messo in guardia le organizzazioni caritative cattoliche da una falsa carità sganciata dall'annuncio della fede e dalla buona dottrina. «La priorità spetta sem-pre al rapporto con Dio e la vera condivi-sione evangelica deve radicarsi nella fede (cfr. Catechesi all’Udienza generale del 25 aprile 2012). Talvolta si tende, infatti, a circoscrivere il termine "carità" alla solidarietà o al semplice aiuto umanita-rio. E’ importante, invece, ricordare che massima opera di carità è proprio l’evan-gelizzazione». Non basta assistere i pove-ri, occorre annunciare loro il Vangelo. «Non v'è azione più benefica, e quindi caritatevole, verso il prossimo che spez-zare il pane della Parola di Dio, renderlo partecipe della Buona Notizia del Vange-lo, introdurlo nel rapporto con Dio:

Segue da pagina 3 Fede e carità, vincolo indissolubile

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l'evangelizzazione è la più alta e integrale promozione della persona umana». Le vere opere di carità «non sono frutto principalmente dello sforzo umano, da cui trarre vanto, ma nascono dalla stessa fede, sgorgano dalla Grazia che Dio offre in abbondanza». La Quare-sima dovrebbe aiutarci a capire che esi-stono sia una «priorità della fede» sia un «primato della carità», e che non sono in contraddizione tra loro. «Il rapporto che esiste tra queste due virtù è analogo a quello tra due Sacramenti fondamentali della Chiesa: il Battesimo e l'Eucaristia. Il Battesimo (sacramentum fidei) precede l'Eucaristia (sacramentum caritatis), ma è orientato ad essa, che costituisce la pie-nezza del cammino cristiano. In modo analogo, la fede precede la carità, ma si rivela genuina solo se è coronata da es-sa». Non c'è vera carità senza la fede, non c'è vera fede senza la carità.

Massimo Introvigne

Il servizio della carità

Mi accingo a scrivere questo articolo dopo aver, non senza emozione e com-mozione, seguito le ultime ore del ponti-ficato di Papa Benedetto XVI che,l’11 febbraio scorso ,con una decisione straordinaria ha scelto di rinunciare al Ministero Petrino per amore della Chie-sa. Un gesto di grandissima umiltà e so-prattutto di fede compiuto da un Pontefi-ce che,a mio giudizio,è stato il migliore tra quelli che hanno guidato la Chiesa dopo il Vaticano II. Con la sua rinun-cia ,Benedetto XVI ha dato ancora una volta prova di essere non il “pastore tede-sco”come ironicamente e in maniera irri-verente titolò un giornale di nota ispira-zione comunista all’indomani dell’ele-zione avvenuta il 19 aprile del 2005,ma il Pastore al quale il Signore ha affidato il suo gregge e ha ripetuto le parole rivolte a san Pietro :“Pasci i miei agnel-li”.Schivo,riservato, non amante dell’en-tourage mediatico che aveva caratterizza-to,talvolta anche negativamente, il ponti-ficato del Beato Giovanni Paolo II,papa Ratzinger ha nei suoi otto anni di pontifi-cato invitato la Chiesa a riscoprire le tre virtù teologali:Fede,Speranza e Carità. Non è questa la sede per poter tracciare un quadro del servizio petrino di Bene-

detto XVI,né avrei le competenze per poterlo fare,ma è indubbio che l’ex “temuto”Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede,divenuto Papa, ha tracciato delle linee guida che mi au-guro vengano riprese dal suo successore. Tra i doni che Benedetto XVI ha fatto alla Chiesa vi è una Lettera Apostolica in forma di “Motu proprio” datata 11 no-vembre 2012,dal titolo” Intima Ecclesiae natura”.Si tratta di un testo sul servizio della carità che, alla luce di quello che il Papa ha deciso di fare, appare non solo un testo “giuridico”che finalmente chiari-sce che cosa qualifica l’identità cattolica degli organismi caritativi, ma anche una ulteriore conferma della grandezza di questo Pontefice che della riflessione profonda sulle tre virtù teologali ha fatto il tratto distintivo del suo Magistero, ribadendo con chiarezza i punti salienti della Fede, troppo spesso solo sussurrati o sottovalutati anche dagli addetti ai lavo-ri, preoccupati magari di non diventare sgraditi al mondo. Un documento che richiede la riflessione all’interno delle comunità ecclesiali, piccole o grandi che siano,per evitare di continuare a depau-perare il concetto cristiano di carità, dimentichi che “ l’azione pratica resta in-sufficiente se in essa non si rende percepibile l’amore per l’uomo,un amore che si nutre con l’incontro con Cristo”. Il Motu proprio ser-ve inoltre anche a chiarire come vanno gestite le iniziative organizzate che,nel settore della carità, vengono promosse dai fedeli nei vari luoghi. Il discorso è molto articolato e per questo motivo mi limiterò a fare delle considerazioni solo su alcuni punti della”Intima Ecclesiae natura” che mi hanno particolarmente colpito. Nel proemio Benedetto XVI ricorda che “l’intima natura della Chiesa

si esprime in un tripli-ce compito :annuncio della Parola di Dio,celebrazione dei Sacramenti, servizio della carità. Sono com-piti che si presuppon-gono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro”. Si comprende bene allora sin dall’inizio del Motu proprio il carattere distintivo di chi si im-

pegna negli organismi caritativi cattolici e degli stessi organismi caritativi: la consa-pevolezza che la carità non può essere disgiunta dall’annuncio-testimonianza e dalla liturgia. Poi il Papa chiarisce che “il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa” e che i fedeli nell’impegnarsi a vivere il comandamento dell’Amore devono offri-re all’uomo contemporaneo non solo un aiuto materiale,ma anche ristoro e cura dell’anima. Di conseguenza Benedetto XVI ci ricorda che “nella attività caritati-va, le tante organizzazioni cattoliche non devono limitarsi ad una mera raccolta di fondi,ma devono sempre avere una spe-ciale attenzione per la persona che è nel bisogno e svolgere,altresì,una preziosa funzione pedagogica nella comunità cri-stiana, favorendo l’educazione alla condi-visione, al rispetto e all’amore secondo la logica del Vangelo di Cristo. L’attività caritativa della Chiesa, infatti, a tutti i livelli,deve evitare il rischio di dissolversi nella comune organizzazione assistenziale, divenendone una semplice variante”. E’ una indicazione limpida e precisa che dissolve ogni equivoco circa l’attività caritativa della Chiesa e quindi anche delle nostre comunità ecclesiali. Il servizio della Carità fatto dai cristiani ha una caratteristica unica che lo distin-gue dagli altri:l’attenzione alla persona che è nel bisogno perché in essa il cri-stiano riconosce Cristo. Il Vangelo invita a vedere il volto di Cristo nel volto del fratello indigente e dunque a tener conto di tutte le dimensioni del suo essere: fisica, psichica e spirituale.

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Non è chiaramente un giudizio sulle altre tipologie di attività caritative svolte da altri enti,ma vuole giustamente inquadra-re il servizio cattolico della Carità nell’ambito della Fede, dal quale non dobbiamo e non possiamo allontanarci. Sempre con chiarezza e se volete anche con fermezza, papa Benedetto nella parte dispositiva del Motu proprio disciplina l’operato delle attività caritative che si fregiano dell’aggettivo “cattolico”. Innan-zi tutto obbliga i Vescovi a vigilare e ad evitare che organismi di carità che siano loro soggetti ” siano finanziati da enti o istituzioni che perseguono fini in contra-sto con la dottrina della Chie-sa”.Parimenti il Papa ribadisce che il Ve-scovo diocesano “deve evitare che orga-nismi caritativi accettino contributi per iniziative che, nella finalità e nei mezzi per raggiunger-le,non corrispon-dano alla dottrina della Chiesa”. Fi-nalmente chiarez-za! Finalmente si pone fine a quella incoerenza che caratterizza tanta parte del cattolice-simo contempora-neo,disposta a sostenere associazioni che difendono, legittimamente,i diritti degli animali ma sono in pari tempo disposte a fare l’impossibile per salvare un cucciolo e non il bimbo nel grembo della mamma. Mi sembra opportuno a tal proposito riportare le parole dell’Arcivescovo di Digione,autore di un interessantissimo commento al Motu proprio “Intima Ec-clesiae natura”, apparso sul giornale della Santa Sede qualche giorno fa. Nella parte conclusiva del suo intervento il prelato francese scrive :” L’identità cat-tolica è anche nella proposta etica legata alle opere di carità. L’insegnamento dottrinale e morale della Chiesa è direttamente interessato negli organismi caritativi .L’azione caritativa riguarda le questioni del rispetto della vita, della sessualità umana, del matrimo-nio,dell’educazione, del lavoro, della dipen-denza,tutti ambiti in cui la Chiesa professa una visione dell’uomo e della società che, nella maggior parte dei casi, non coincide con ciò che la società promuove nei suoi organismi

di solidarietà. Programmi umanitari ufficiali possono essere condizionati, per esempio, dall’adozione di metodi contraccettivi, dalla banalizzazione dell’aborto, dalla giustifica-zione dell’eutanasia, o dalla ricerca sull’em-brione umano, in contraddizione con ciò che la Chiesa considera moralmente giusto e buo-no. Occorre dunque vigilare affinché le inizia-tive ecclesiali possano smarcarsi dai metodi che tendono a imporre un’antropologia mate-rialista e utilitarista senza riguardo per la dignità della persona umana.” Un avverti-mento necessario,a mio giudizio,in un contesto storico culturale in cui il relati-vismo che ha affascinato anche noi catto-lici ci porta ad accettare passivamente tutto e il contrario di tutto,in un malin-teso senso del rispetto dell’altro che vede noi cattolici in primis vergognarci di professare la nostra fede in Cristo, chiuderci talvolta nelle tranquille sacre-stie,magari profumati di incenso,e rifiu-

tarci di andare nel mondo ad incontra-re chi veramente ha bisogno di noi, perché ha bisogno di Dio. Il Dio di Gesù Cristo che,in teoria, dovremmo annunciare e testi-moniare, senza scendere a compro-

messi e senza negoziare su quei valori che proprio papa Benedetto XVI ha avuto il coraggio di definire “non negoziabili”. Mi auguro che il documento pontificio,a causa dei suoi contenuti talvolta forti e non proprio “politicamente corretti”,non esca di scena come il suo estensore,ma venga meditato prima dai Vescovi e dai sacerdoti e poi da noi laici impegnati. Fare propri gli insegnamenti della “Intima Ecclesiae natura” è una forma di ringraziamento verso un Pontefice che ha fatto della Carità il fiore all’occhiello della sua missione apostolica e una delle ragioni che hanno ispirato la sua singola-re,umanissima e coraggiosissima decisio-ne di permettere ad altri di guidare la Barca di Pietro,consapevole di non avere più le forze per poter continuare. Una decisione maturata nella Fe-de,illuminata dalla Speranza,realizzata nella Carità.

Roberto Palumbo

Commento al Piano Pastorale

In riferimento al Piano Pastorale che stiamo svolgendo da quasi sette anni ,dal titolo “ Camminiamo Insieme”, pur apprezzandone lo scopo, pur impegnandoci a voler continua-re il lavoro per “promuovere l’identità di ogni battezzato e renderlo consapevole e corresponsabile del cammino pastorale ,in una Chiesa dal volto familiare” e “ promuove-re la spiritualità di comunione tra i vari ope-ratori pastorali , fino ad avere un lavoro pa-storale sinergico …”, vorremmo fare alcune osservazioni, in vista di una nuova pianifica-zione. L’azione pastorale degli ultimi anni ha visto tutta la comunità Diocesana impegnata alla Evangelizzazione , ed “ alla crescita del Regno di Dio ,” approfondendo il valore della fiducia ed il valore della solidarietà,per meglio celebrare e testimoniare il Vangelo e la Carità. Dall’esperienza fino ad oggi vissu-ta, ne scaturisce un elemento fondamentale : la consapevolezza, diremmo, la necessità di “camminare insieme” per realizzare la Volon-tà di Dio. Urge una corresponsabilità tra le Parrocchie,affinchè Esse “ prendano parte al bene comune”, evitando la tentazione di agire isolatamente . I Presbiteri unitamente agli operatori pastorali dovrebbero praticare una Programmazione Pastorale Unitaria e Comu-nitaria. Gli stessi fedeli restano smarriti e confusi, specialmente in ricorrenze impor-tanti e significative, quando a distanza di pochi metri si officiano due identiche Cele-brazioni. Sarebbe auspicabile praticare un confronto maggiore,una maggiore apertura delle singole Comunità Parrocchiali. La buona volontà, l’esercizio e la pazienza di tutti e di ciascuno, attraverso la preghiera e l’ascolto della Parola, sono elementi necessa-ri per raggiungere una meta : “ Una Comu-nità Ecclesiale che rifletti in modo mirabile il Volto di Cristo.” E’ necessario rinunciare alla durezza del cuore, altrimenti diventa un compito arduo portare avanti il Piano Pasto-rale; spesso ci si sente ripetere che Esso è una presa in giro , quando neanche i Presbi-teri e gli Operatori Pastorali vanno tra loro d’accordo , o che la lettera , esprime sem-pre gli stessi concetti, ma sia i Presbiteri che gli operatori pastorali poco fanno per met-terli in pratica. Eppure Gesù ci ha dato un insegnamento : “ Tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri .” ( Gv 13,34-35) . Chiediamo allo Spiri-to di darci la Forza necessaria per dare un nuovo vigore ed un nuovo impulso al Piano Pastorale Diocesano.

Giulia Schiavo

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Aiutami ! Questa è stata la frase che ha cambiato la vita di un ragazzo di 16 anni di Cava De’ Tirreni che faceva uso di stupefacenti da oltre un anno e che si è rivolto così a sua madre. Questo ragazzo vive a Cava De’ Tirreni ma poteva abita-re in Costiera, in uno dei comuni dei Monti Lattari o in qualsiasi altro paese in Italia o altrove. Una madre che ha cerca-to di capire cosa stava succedendo a suo figlio, che si è scontrata con una società che preferisce non parlare troppo dei problemi delle dipendenze dei ragazzi adolescenti. Parlare con i ragazzi adole-scenti è difficile in condizioni normali. Sono presuntuosi e sfuggenti, come lo siamo stati noi prima di loro. L’adole-scenza è un’età dove non si ascolta nessuno e che proprio per questo è un periodo della vita in cui i ragazzi han-no bisogno moltissimo del supporto della famiglia per crescere sani e pre-pararsi culturalmente per le sfide che verranno. Il “tempo” da dedicare ai figli è limitato. Il lavoro, i problemi economici, più figli con diversi pro-blemi legati ad età diverse, la scuola, lo studio, lo sport, la musica, ecc. Noi genitori spesso non ce la facciamo a seguirli come vorremmo. Quando ci si accorge che la droga è entrata nella vita della nostra famiglia e difficile capire perché è successo . Ancora più difficile capire è come si fa ad uscirne (sempre che esista una via di uscita). Ci vuole coraggio! Il coraggio di una madre che cerca di capire cosa succede al figlio. Che lo mette alle strette, lo scopre. Il figlio che guarda la madre e gli dice: Aiutami! Non esiste nessuno più determinato al mondo di una madre che deve aiutare suo figlio. I papà sono presenti, vogliono bene ai figli, ma non hanno la stessa for-za, la stessa tenacia, la stessa determina-zione di una madre. I figli lo sanno e spesso ne approfittano. Ma quando un ragazzo di 16 anni , ormai tossicodipen-dente, si rende conto del baratro che gli si apre davanti, l’unica cosa da fare è di dire alla madre : “Aiutami!”, almeno quelli che hanno il buon senso o il corag-gio o la forza della disperazione di farlo. Madre e figlio ,per iniziare il percorso

verso una qualche possibile soluzione al problema, sono andati insieme al SERT (Servizio per le Tossicodipendenze), presso la ASL del territorio. Parlare, cercare di capire l’incomprensibile, ra-gionare sull’assunzione di un veleno che uccide un po’ alla volta con un ragazzo di 16 anni non è un lavoro che un genito-re può fare da solo. Il SERT li ha aiutati a parlare, a capirsi, ad intraprendere un cammino che forse non finirà mai, ma indirizzato verso una possibilità di vivere una vita normale per l’intero nucleo fa-miliare coinvolto. Un ragazzo che assume stupefacenti non è un problema solo per sé stesso. Coinvolge tutti quelli che gli

stanno intorno, famiglia, amici, parenti, la scuola, etc. La mamma di questo ra-gazzo di Cava de Tirreni ha comunicato questa sua esperienza ad altri genitori in occasione di un incontro pubblico tenu-tosi il 16 Gennaio 2013 presso la Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Maiori , organizzato dal SERT e dal parroco Don Nicola allo scopo di aumentare la sensi-bilità delle famiglie verso questo proble-ma e stimolare un’attività di prevenzio-ne , che rimane l’unica forma possibile per evitare che i ragazzi possano un gior-no affrontare situazioni spesso senza vie di uscita. E’ stato un momento intenso. Si sono affrontati argomenti difficili. La storia della lotta di questo ragazzo , ora diciottenne, con la tossicodipendenza. Il ruolo della chiesa ,della famiglia, del SERT , di ragazzi ed adulti che vivono lo stesso problema. Ma quello che è stato più evidente è stata l’onestà intellettuale della madre, che davanti alla scoperta del problema del figlio, anziché dare la colpa

alla società, agli amici sbagliati, a pren-dersela con il resto del mondo, ha avuto l’umiltà ed il coraggio di guardarsi den-tro e chiedersi dove poteva avere sbaglia-to lei , cosa mancava a suo figlio che lei non gli aveva dato o cosa non aveva capi-to di suo figlio fino a quel momento. Sono domande che il più delle volte non hanno risposte semplici o non ce l’hanno affatto. Le cause possono essere moltepli-ci e spesso i genitori non hanno nessuna colpa. Il solo fatto che un genitore si ponga queste domande è un atto di amore verso il figlio ed il più delle volte il primo passo da fare per dargli una ma-no. La mamma di Cava De Tirreni ,che è

venuta a portarci questa testimonian-za, combatte la sua battaglia quotidia-na per portare il figlio fuori da questo problema. Qualche volta ha successo e qualche volta fallisce nei suoi tentativi di cercare di far vivere al figlio una vita normale, che dovrebbe essere fatta di studio, di amici, di sport, di principi sani che lo possano guidare verso la sua futura vita di uomo, capa-ce di lavorare e costruirsi in futuro una famiglia sua. Sono tentativi, qual-che volta mortificanti ed inutili , ma

provarci è tutto quello che un genitore può fare per suo figlio, soprattutto per-chè è evidente che da solo non ce la può fare. La droga ti toglie la cosa più impor-tante : “il futuro”. Non si studia più, non si è più presenti in famiglia, le amici-zie distrutte, nessun progetto, niente sogni. Il bisogno di soldi per procurarsi la droga porta a procurarseli in maniera illecita, anche pericolosa. Insomma : nessun futuro possibile. Aiutami! Era la cosa più giusta da fare, l’unica possibile. Questa è una storia piena di errori , di incomprensioni, di scelte sbagliate, di rapporti complicati tra genitori e figli , ma è anche una storia piena di coraggio , di amore, di speranza, di sentimenti, che possono cambiare un destino compro-messo dalla dipendenza dalla droga o dall’alcol o dal gioco , e dove si prova a restituire un futuro a chi lo ha gettato via senza capire il male che si stava facendo.

Marco Rossetto

Madre coraggio

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PAGINA 8 INCONTRO PER UNA CHIESA VIVA

Nec religionis est cogere reli-gionem. Lapidario è Tertulliano, con questo motto del suo scritto A Scapola (II, 2), nel riconoscere che nel cuore stesso della fede, ove pure impera la grazia divina, pulsa anche la libertà umana per cui «non è proprio della religione cos-tringere alla religione». Un principio, purtroppo, non sempre rispettato dalle varie confessioni religiose, compreso il cristianesimo all’interno della sua storia secolare, ed è significativo che Giovanni Paolo II abbia anche di queste prevarica-zioni chiesto perdono nel Giubileo del 2000. In un itinerario (che non è teologi-co ma di taglio culturale generale) all’in-terno dell’orizzonte della fede, oltre a celebrare il primato della grazia divina, non possiamo ignorare il necessario con-trappunto armonico della libertà umana. Necessario perché la libertà è strutturale all’antropologia biblica e non solo alla concezione classica e moderna della per-sona. Non possiamo ora sviluppare que-sto tema inseguendo la trama dei testi biblici. Ci basti evocare due passi. Da un lato, la scena d’esordio delle Scritture: l’uomo e la donna sono collocati nei ca-pitoli 2-3 della Genesi all’ombra «dell’albero della conoscenza del bene e del male», un evidente simbolo della morale nei cui confronti la creatura si trova libera se accettarne il valore oppu-re, strappandone il frutto, decidere in proprio ciò che è bene e male. D’altro lato, citiamo un passo emblematico della sapienza d’Israele: «Da principio Dio creò l’uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere. Se tu vuoi, puoi osserva-re i comandamenti, l’essere fedele dipen-de dalla tua buona volontà. Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà» (Sir 15,14-17). La grazia divina, pur nella sua effica-cia, scende non all’interno di un oggetto inerte ma in un essere libero che può accogliere o rifiutare quel dono, può aprire o lasciare chiusa la porta della sua anima a cui bussa il Signore che passa, per usare la celebre metafora dell’Apoca-lisse (3,20). Esprime bene questo intrec-

cio delicato e fondamentale – sul quale si sono accaniti per secoli i teologi cercan-do di definirne l’equilibrio – padre David M. Turoldo quando scrive: «Sono certo che Dio ha scoperto me, ma non sono certo se io ho scoperto Dio. La fede è un dono, ma è allo stesso tempo una con-quista». L’epifania divina ha mille forme in cui manifestarsi e non è sempre sfolgo-rante come sulla via di Damasco. Tutta-via non è mai così cogente da condurre a un assenso forzato e obbligato. L’adesio-ne dev’essere personale, libera, anche faticosa. Siamo, infatti, consapevoli che l’esercizio della libertà è tutt’altro che

semplice. Essere liberi non è una pura e semplice reazione istintiva e "libertina", né soltanto un sottrarsi a un’oppressione o a un’imposizione, ma è una scelta coe-rente e cosciente tra opzioni differenti per una meta da raggiungere. Per questo il drammaturgo tedesco Georg Büchner nella Morte di Danton (1834) affermava che la statua della libertà è sempre in fusione ed è facile scottarsi le dita. Vive-re nella libertà autentica, come ricorda spesso anche san Paolo, è un atto impe-gnativo perché comporta un’esistenza rigorosamente cosciente, ed è sempre in agguato il rischio del ricadere in schiavi-tù. Come accade ai cani a cui si lancia un ramo secco e te lo riportano subito, così per molti la libertà è un elemento inutile che riportano subito nelle mani del pote-re. Questa è un’immagine di Dostoevskij e dal grande romanziere desumiamo una suggestiva riflessione sul nesso tra fede e libertà. Scriveva: «Tu non discendesti dalla croce quando ti si gridava: Discendi dalla croce e crederemo che sei Tu! Per-ché una volta di più non volesti asservire

l’uomo… Avevi bisogno di un amore libero e non di servili entusiasmi, avevi sete di fede libera, non fondata sul prodi-gio». Lo scrittore rievoca la scena del Golgota col Cristo morente sbeffeggiato dai passanti: «È il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo!» (Mt 27,39-42). Come durante la sua esistenza aveva evitato gesti taumaturgici spettacolari, preoccupandosi solo di sanare le soffe-renze umane, spesso in disparte dalla folla e imponendo il silenzio ai miracola-ti, così in quel momento estremo Gesù affida la sua rivelazione non al prodigio ma allo scandalo della croce. Egli non cerca adesioni interessate, ma invita a una fede libera e guidata dall’amore che è per eccellenza un atto di libertà. Senza questa dimensione la fede diventa paro-dia, come si intuisce dalla ricostruzione che Simone de Beauvoir, la scrittrice francese compagna del filosofo Sartre, morta nel 1986, fa della sua crisi giovani-le che le fece abbandonare la fede. Nelle sue Memorie di una ragazza perbene rievoca il momento in cui in collegio, ascoltando una predica del cappellano padre Martin sull’obbedienza, si era fatta in strada in lei la necessità di liberarsi dall’incubo della religione, proprio perché essa – secondo quella visione che in realtà era una deformazione dell’autentica fede – comportava la cancellazione della libertà. Raccontava: «Mentre l’abate parlava, una mano sciocca si era abbattuta sulla mia nuca, mi faceva chinare la testa, mi incol-lava la faccia al suolo, per tutta la vita mi avrebbe obbligata a trascinarmi carponi, accecata dal fango e dalla tenebra; biso-gnava dire addio per sempre alla verità, alla libertà, a qualsiasi gioia». Per questo è importante un annuncio corretto della fede che, senza concedere nulla a un ac-comodamento troppo facile, a un com-promesso generico e comodo, non de-formi però la vera anima della fede, in-troducendo un volto sfigurato di Dio, quella che Lutero chiamava la simia Dei, cioè la «scimmiottatura di Dio». Il crede-re genuino non è schiavitù ma libertà, non è imposizione ma ricerca, non è ob-bligo ma adesione, non è cecità ma luce,

Senza libertà non c’è vera Fede

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non è tristezza ma serenità, non è nega-zione ma scelta positiva, non è incubo minaccioso ma pace. Come affermava in un suo saggio, Vivere come se Dio esistesse, il teologo tedesco Heinz Zahrnt, «Dio abita soltanto là dove lo si lascia entrare». Questa scelta comporta – come in ogni opzione libera – un aspetto di rischio. Entra, così, in azione un lineamento ulte-riore che è la fiducia. È la famosa fides qua dei teologi, ossia la fede «con la qua-le» si aderisce confidando in Dio e che fa accogliere la fides quae, cioè i contenuti della rivelazione divina che il credere ci manifesta. Abramo, che «per fede, chia-mato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità e partì senza sapere dove andava» (Ebr 13,8), ne è l’esempio archetipico biblico. Mi affido ai versi di una scrittrice con la quale personalmente ebbi un dialogo intenso negli ultimi anni della sua vita, Lalla Romano, scomparsa nel 2001: «Fede non è sapere/ che l’altro esiste/ è vivere/ dentro di lui/ calore/ nelle sue vene/ sogno/ nei suoi pensieri./ Qui aggirarsi/ dormendo/ in lui destar-si» (da Giovane è il tempo del 1974). Co-me pregava un’altra poetessa, segnata però esplicitamente dalla fede, Ada Ne-gri: «Tu mi cammini a fianco, o Signore, orma non lascia in terra il tuo passo. Non vedo te: ma sento e respiro la tua presen-za in ogni filo d’erba, in ogni atomo d’a-ria che mi nutre». La fiducia ha il suo vaglio di autenticità nel tempo oscuro della prova, quando il volto di Dio scom-pare, la sua parola tace, la sua presenza si tramuta in assenza. Giobbe coinvolto in pieno nella tenebra, non cessa di credere e di aver fiducia: «Quand’anche egli mi ucciderà, non me ne lamenterò» (13,15). La tradizione giudaica mette in scena in una parabola un ebreo sfuggito all’Inqui-sizione spagnola con moglie e figlio che, durante una tempesta, approda in un’iso-la. Lì, però, un fulmine uccide la moglie e un’onda trascina in mare il ragazzo. Solo, nudo, flagellato dalla tempesta, atterrito, errabondo su quell’isola roc-ciosa, leva la sua voce al cielo: «Dio d’I-sraele, sono finito! Proprio ora, però, non ti posso servire se non liberamente. Tu hai fatto di tutto perché io non creda più in te. Bene, te lo dico, Dio mio e dei miei padri, tu non ci riuscirai: io crederò

sempre in te, ti amerò sempre, tuo mal-grado!». Evidente è il paradosso, ma in questa ripresa del dramma di Giobbe, brillano la totale libertà e l’assoluta fidu-cia in Dio. Una fiducia che è esaltata an-che nella tradizione musulmana con ac-centi altissimi (muslim significa appunto «chi ha fiducia e si abbandona a Dio»), anche se però non di rado a danno della libertà umana. Significativa è una pagina delMemoriale dei santi del grande scrittore mistico persiano del XII secolo Farid ed din ’Attar che ha per protagonista «un adoratore del fuoco», cioè uno zoroa-striano, quindi un pagano agli occhi del musulmano. Farid vede che egli getta miglio sulla distesa di neve che circonda la sua abitazione e spiega che lo fa per gli uccelli del cielo, «sperando che l’Altissi-mo avrà misericordia di me». Ma Farid obiettò: «Tu sei un infedele e il grano seminato da un infedele non germoglia!». Quell’uomo replicò: «Pazienza! Se Dio non accetta la mia offerta, posso almeno sperare che veda il piccolo gesto di amo-re che io faccio». Mesi dopo ’Attar ripas-sa e ritrova l’uomo: «L’Altissimo ha fatto germogliare quei semi. Grazie, o Dio, che regali il paradiso per un pugno di grano! Il cuore di Dio si commuove sem-pre di fronte a un gesto d’amore!». Amo-re, fiducia, fede si uniscono tra loro e donano serenità. È ancora un musulma-no, il poeta nazionale del Pakistan Mu-hammad Iqbal, morto nel 1938, a scrive-re: «Ti dirò il segno del credente:/ quan-do a lui giunge la morte,/ sulle sue lab-bra sboccia un sorriso». Vivere la fede genera una fiducia che fa fiorire, anche nella crudezza dell’agonia, un sorriso. Concludiamo, allora, con una del-le Quattordici preghiere che compose Ro-bert L. Stevenson, il geniale autore otto-centesco inglese dell’Isola del tesoro e del-lo Strano caso del dottor Jekyll e del Signor Hyde, un vero canto di fiducia nel Dio che non abbandona mai le sue creature coi suoi piccoli e grandi doni: «Ti ringra-ziamo, Signore, per questo luogo nel quale dimoriamo, per l’amore che ci tiene insieme, per la pace che oggi ci è accordata, per la speranza con la quale aspettiamo il domani, per la salute, il lavoro, il cibo, il cielo chiaro che riem-piono la nostra vita di fiducia e di sereni-tà». Card. Gianfranco Ravasi

I tanti maestri

Ho venti anni. Saranno venti fino a ‘Meta' mese . Il mio odore e' quello asettico, quasi da infermeria di Fisciano e dei suoi parallelepipedi tutti finestre ed aeratori, del professore Meriani che, dritto come un ago negli spezzati di lana, entra alle nove in punto al dipartimento di scienze dell'antichità, dei suoi occhiali da vista tondi e dalla montatura in tarta-ruga , delle sue palpebre pesanti come gusci. Il primo esame ha la voce di Fabio Concato : " e ti ricordo ancora..." mio padre sembra conoscere i testi meglio della strada, sbagliamo due volte, con l autobus tutto e' più semplice, gli auto-bus sono cavalli ammaestrati e io ho uno scarsissimo Senso dell'orientamento. Ho paura ma fingo una sforzata tranquillità Mentre si susseguono le canzoni che sen-tirò spesso in occasione degli esami, al-meno fino a quando sarà mio padre ad accompagnarmi e ad aspettarmi in uno dei tanti parcheggi identici dell'università con i divisori rossi che sembrano lego appena Montati . Scendo, raggiungo l' aula senza Voltarmi, una staffetta di in-formazioni mi conferma che l'esame si terra nella numero 7 . Sbaglio anche li, Come sempre, piano, corridoio e dire-zione: le facoltà con i loro labirinti hanno per me gli stessi pericoli di un viaggio in autostrada. Foratura, incidenti , tampo-namento, code. Tampono una doppia di candidate che occupano il posto nella fila davanti alla mia, La mia coda e' un elenco che procede in ordine alfabetico, facendo un rapido calcolo dovrei essere interro-gata in tarda mattinata, penso a mio pa-dre, isolato in un parcheggio per almeno tre ore e prego che Fabio Concato non canti cosi tanto da annoiarlo. L'inciden-te e' una ragazza cupa e sinistra raccolta in un cardigan che recita una pagina di critica letteraria come un Rosario.

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Ho la sfortuna di chiederle come sono i professori , errore da evitare,sempre. il responso dell’oracolo in tricot e' funesto, la mia Cassandra si porta una mano alla fronte quando la commissione varca l'in-gresso con l aspetto di un triplice Caron-te o meglio di un' Idra. Entro. Montella, l'assistente alla cattedra, e' avvolto da una nuvola di fumo, la testa piccola e riccia sporge come quella di una lumaca da un maglione a girocollo. E' lui ad accoglier-mi grigio quattro ore dopo aver visto sfilare davanti A me statini marchiati a fuoco da trenta color lacca e da svastiche di sconfortanti diciotto. Il Mio turno è puntellato da macchie rosse che so mi copriranno il collo e scenderanno fino allo sterno: e' il mio modo di elaborare l'ansia, l'emozione, la paura. Dante, l 'inferno. Ho sempre amato Dante, i sensi molteplici, le. Scatole cinesi dei suoi versi, il rebus dei canti. Un'ora dopo arrivo al parcheggio trafelata con il mio trenta e lode nella prima riga del libretto fino ad allora vergine ed impalmato dall'esame letteratura italiana uno. Mio padre sta fumando, dallo sportello aperto chissà da quanto tempo, intravedo un animella muoversi trasparente . Lo ab-braccio. Andiamo via, a me sembra di aver compiuto un'impresa straordinaria , un allunaggio. Per la prima volta guardo quella Ostuni di aule che rimpicciolisce mentre ci allontaniamo con occhi buoni, felici. Ottobre: glottologia è un delizio-so Shanghai di lingue che bisogna solleva-re per scoprire altre lingue, la libreria universitaria è accanto al passaggio a li-vello. Quando devo chiedere i testi ar-rossisco , e' una mia debolezza, arrossirò per sempre. Dicembre: ho nuovi colle-ghi all'università, uno di loro mi parla di Agropoli e di quanto sia bella d'estate con gli chalet tutti montati sulle spiagge come trabocchi , un altro e' un appassionato di cimiteri e veste sempre di nero. Mi ac-corgo che i compagni di liceo sfumano come colori passati con i polpastrelli, eppure quella tonalità non mi fa più ma-le. Marzo: fa ancora freddo, nuove gru impilano molari di cemento alle radici armate. Mi hanno regalato una penna deliziosa ed un pelouche. Aprile: Fisciano è un gheriglio piccolo nell'armatura della cittadella universitaria. C'è una birreria,

e'sera, io indosso uno dei Miei vestiti più belli, ma c'è troppa gente, vado via e non ci tornerò più. Adesso Fisciano e' una barca senza mare arenata in una car-tellina verde con l'elastico ormai consu-mato. Al posto delle vele e del timone, Moduli, biglietti dell'autobus, program-mi degli esami, qualche pagina della gui-da universitaria, le ricevute delle tasse pagate, il Mio numero di Matricola, le foto, il ricordo della borsa di studio vin-ta. E le poesie annotate a lato degli ap-punti e un merletto di appunti illeggibili. E tutta una me in jeans e giacca beige con i polsi di pelliccia ecologica sta annodata la dentro. Una me che, sola e con un minimo di senso delle direzioni in più, aspetta l'autobus sotto la pensilina e guar-da lo smalto della bigliettaia e la tenuta strabiliante del suo rossetto, una me che non ripassa mai gli esami il giorno pri-ma , scaramanzia, tradizione, una me che sapeva cosa voleva prima di lasciarsi in-ghiottire dalla cattedrale di aule e facoltà e quasi sempre l'otteneva. Una me che oggi mi guarda e vede dentro le iridi chiare la stessa, infantile paura di arrossi-re nel rispondere ad una domanda . E poi si perdona ricordando un golfino con la cintura , i pantaloni a vita alta ed una croce di oro bianco che penzola al collo come un battaglio mentre festeggia il primo bel Voto credendo sia tutta lì la vita.

Emilia Filocamo

Festa di San Biagio nella chiesa di S. Trifone

Domenica 3 febbraio scorso, la Comuni-tà parrocchiale di Santa Maria del Lacco, con gioia grande si è riunita per la celebrazione della Santa Messa dome-nicale nella chiesa - ex abbaziale della beata Vergine Maria e dei Santi Trifone e Biagio, confusa nel passato con quella di

San Martino, perché nel corso dell'Otto-cento, a causa di lavori di restauro, la cappella cimiteriale fu temporaneamente trasferita a San Trifone. La scelta di tra-sferire la celebrazione della Messa dome-nicale dalla chiesa parrocchiale del Lacco alla chiesa dell'ex cenobio benedettino è stata dettata dal fatto che il Martire di Sebaste è contitolare dell'antico e glorio-so cenobio benedettino. La santa messa, prevista per le ore 9.30, è iniziata con un leggero ritardo, a causa del cattivo tempo che dalla notte imperversava sull'incante-vole costa d'Amalfi e che, pertanto, ha fatto ritardare i fedeli a raggiungere il luogo sacro, posto da circa mille anni al di fuori della città e ancora oggi raggiun-gibile solo a piedi. La funzione religiosa, della IV domenica del Tempo ordinario, è stata introdotta dall'inno al santo martire Biagio di Seba-ste, cantato dall'Assemblea per la prima volta. La composizione poetico-musicale è stata composta dal cavalier Enzo del Pizzo lo scorso mese di novembre, dopo che dal Popolo è arrivata la richiesta ad avere anche un inno al santo protettore della gola oltre che ai santi Trifone e Martino venerati nell'antica Badia bene-dettina. Essa si compone di otto quartine e ritornello. Preziosissimo è stato l'aiuto fornito dal dottor Salvatore Amato che, da attento ricercatore e storico locale, ha fornito alcune informazioni sulla vita e sulla de-vozione a Ravello del santo Vescovo di Sebaste. Notizie che il compositore ha utilizzato per versificare il nuovo inno, descrivendo San Biagio nelle varie speci-ficazioni biografiche e taumaturgiche, concludendo con il ricordo del culto millenario nella città di Ravello. Nel corso dell'omelia, il Parroco Padre Carmine Satriano, in pochi minuti, con un'ottima capacità di sintesi, ha affronta-to non solo il delicato tema del giorno riguardante la difesa della Vita, dal suo nascere al suo naturale tramonto, ma ha anche citato, doverosamente, il Santo del giorno, il Medico-Vescovo-Martire Bia-gio che ha testimoniato il Cristo con l'e-sempio di una vita spesa nei tre stati di curatore dei corpi, delle anime e infine con la testimonianza più bella del dono della vita, attraverso il cruento martirio, nel corso del quale gli fu strappata la car-ne di dosso con lo strumento della carda

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e gli fu tagliata la testa. Infine il Parroco, nel giorno settimo della dipartita, oltre che a pregare, ha ricordato la bella perso-na del carissimo Peppe Pagano che, con devozione e semplicità, partecipava con gioia alla vita della nostra Comunità par-rocchiale. Dopo i riti di comunione, la solenne cele-brazione eucaristica è proseguita con la benedizione dell'olio, la supplica al Santo e la solenne benedizione finale. Al termi-ne, in modo ordinato e devoto, il Popolo, al canto dell'inno "Medico nostro, salva-ci", suonato su invito dell'autore, dalla piccola e promettente pianista Maria Fe-derica Petrongolo-Sciorio, in processione ha ricevuto l'unzione della gola. Veramente è stata una grande e bella ce-lebrazione: ordinata, devota e partecipa-ta; anche il tempo è diventato clemente con un raggio di sole, confermando il detto popolare: "San Biase, ‘o sole p''e ccase".

Antonio Sciorio

Importanza delle Giornate Eucaristiche

In quest’anno 2013, in cui stiamo viven-do l’Anno della Fede , voluto dal Pontefi-ce Benedetto XVI, importanza fondamen-tale rivestono le Giornate Eucaristiche, celebrate nella nostra Comunità Parroc-chiale dal 4 al 7 Marzo prossimi. Una tappa importante del nostro cammino quaresimale che ci porterà al cuore della nostra fede: la morte e la Resurrezione di Gesù. La parola Eucaristia,significa “ ren-dimento di grazie”. Le Giornate Eucaristiche, rappresentano un tempo in cui esercitarsi nell’arte del ringraziamento, non solo attraverso la devozione, ma anche con l’Azione Litur-gica, lasciandoci guidare da “Colui che è il Signore della vita”. Durante le SS.Quarantore, invochiamo come figli l’Amore del Figlio nel nome del Padre. Invochiamo Dio che ci ha chiamato per primo, evochiamo la Salvezza, consape-voli della nostra chiamata, sentiamo il bisogno di cibarci del Corpo di Colui che ha dato la sua vita per noi . “ L’Eucaristia è il banchetto in cui ci nu-triamo di Cristo, facciamo memoria della

Sua Passione,siamo immersi nel suo Spiri-to,riceviamo il pegno della Gloria futura. Attraverso questo Sacramento si coglie tutto l’Amore di Dio per noi, percepia-mo tutto ciò che Gesù ha fatto per la no-stra salvezza. L’Eucaristia è il Dono dei doni ; Dio ci dona Se stesso ,si unisce a noi e si fa no-stra vita, è il punto d’arrivo di tutta la Creazione, che si congiunge al suo Crea-tore. Nel Sacrificio Eucaristico percepia-mo l’umiltà di Dio che per essere deside-

rato da tutti noi che ardentemente ama,si fa nostro bisogno fondamentale: Pane. Noi ne prendiamo ed attingiamo linfa per vivere da fratelli, in umiltà e servizio re-ciproco. L’Eucaristia è considerato il Pa-ne di Vita, Cibo che dà forza lungo il viaggio della vita fino alla “Parusia”, quando ci sarà rivelato il Suo Volto. Non sciupiamo la Grazia che ci viene donata in questi Santi Giorni , impegnia-moci a custodire il Cibo che non perisce, a nutrirci della Parola di Dio che non passa e che plasma il nostro cuore, ad essere partecipi della Vita di Dio e del Suo Amore, per essere primi collabora-tori della sua opera: la fede in noi e negli altri. Dio infatti ci chiede di credere in Colui che Egli ha mandato per noi, per vivere come uomini e donne nuovi in Gesù, con Gesù e per Gesù.

Giulia Schiavo

Il crocifisso di San Pantaleone

nella Sala Clementina

E’ stato esposto nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico in Vaticano un croci-fisso medievale. Dinanzi a esso si sono raccolti in preghiera quanti partecipano agli esercizi spirituali che si sono svolti dal 17 al 23 febbraio nella cappella Re-demptoris Mater e predicati dal Card. Gianfranco Ravasi. Si tratta di un’opera realizzata tra il 1335 e il 1345 (attribuita a un pittore cono-sciuto come Maestro del crocifisso di San Pantaleone) e si ispira alla tradizione ini-ziata in Toscana da Giotto e da Cimabue. Alla fine della seconda guerra mondiale, crocifisso venne trafugato dalla chiesa di San Pantaleone a Venezia. Dopo nume-rosi passaggi di mano, ne e entrato in possesso un collezionista tedesco, che lo ha poi venduto alla casa d’asta Lempertz. Ricostruita la storia, e compresa l’impor-tanza della provenienza, la casa d’asta ha deciso di restituire l’opera alla chiesa di Venezia alla quale era stata sottratta. La cerimonia per la consegna al patriarca di Venezia monsignor Francesco Moraglia si e svolta il 17 novembre scorso a Colonia, alla presenza metropolita, il c a rd i n a le Joachim Meisner. Collocato il 15 feb-braio nella Sala Clementina, il crocifisso è rimasto esposto fino al 28 febbraio.

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CELEBRAZIONI DEL MESE DI MARZO

GIORNI FERIALI Ore 17.00: Santo Rosario Ore 17.30: Santa Messa GIORNI PREFESTIVI E FESTIVI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa GIOVEDI’ 14-21 MARZO Al termine della Santa Messa delle 17.30 Adorazione Eucaristica VENERDI’ 8 - 15 e 22 MARZO Ore 18.00 Via Crucis 2 MARZO

CAVA – S. Alfonso: Convegno Catechistico Diocesano “La catechesi: annuncio e cam-mino di fede” - Relatrice: Suor Mariangela Tassielli, paolina (ore 9:30/13.00) 3 MARZO III DOMENICA DI QUARESIMA Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe

LUNEDI’-GIOVEDI’ 4-7 MARZO GIORNATE EUCARISTICHE ( QUARANTORE )

CHIESA DI SANTA MARIA A GRADILLO Ore 8.00 : Celebrazione Eucaristica ed Esposizione del SS. Sacramento per l’adorazione ininterrotta; Ore 18.30: Celebrazione dei Vespri, Omelia e Benedizione Eucaristica. 10 MARZO IV DOMENICA DI QUARESIMA Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe 17 MARZO V DOMENICA DI QUARESIMA Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe Convento di S. Francesco: Ritiro di spiritualità coniugale e familiare a cura dell’Uffi-cio Diocesano di Pastorale Familiare – “Comunione familiare e comunione trinitaria”, Meditazione di Don Paolo Gentili Direttore dell’UPF della CEI – S. Messa conclusiva cel. da S. E. l’Arcivescovo (ore 9:30/17:00)

19 MARZO—SOLENNITA’ DI S. GIUSEPPE SPOSO DELLA B.V. MARIA

Ore 18.00: Santa Messa 22 MARZO CAVA – Concattedrale: 500° anniversario della fondazione della ex Diocesi di Cava de’ Tir-reni (con la Bolla Sincerae Devotionis di Leone X – 22 Marzo 1513) 24 MARZO DOMENICA DELLE PALME Ore 8.00 - 18.00: Sante Messe

Ore 10.15: Benedizione delle Palme a S. Maria a Gradillo, processione verso il Duo-mo e S. Messa.

25 MARZO - Liturgia Penitenziale a S. Maria a Gradillo (ore 18.00)

26 MARZO - Via Crucis Liturgica con partenza dal Cimitero (ore 18.00)

27 MARZO

AMALFI – Cattedrale – ore 18:00 Solenne Celebrazione della Messa Crismale, presieduta da S. E. l’Arcivescovo

Il programma del Triduo Pasquale sarà pubblicato a parte