Incontro ottobre 2011

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Per una Chiesa Viva www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VII - N. 10 – Ottobre 2011 Nel mese di ottobre prendono il via le celebrazioni per il III° Centenario della morte del Beato Bonaventura da Potenza avvenuta a Ravello il 26 ottobre 1711. Il denso calendario di iniziative religiose, pastorali e culturali predisposto dalla Provincia Religiosa Napoletana dei Frati Minori Conventuali per l’ anno ‘bonaventuriano’ (2011-2012), propone una principale idea guida, quella del pel- legrinaggio alla sua tomba conservata nella chiesa del Convento San Francesco in Ravello. Accorreranno in questo anno numerosi gruppi di frati francescani, reli- giosi e religiose, sacerdoti diocesani e tutti i Vescovi della Campania e della Basilicata. Per quanto ci riguarda,pur nel rispetto delle indicazioni generali stabilite dai Superiori religiosi circa il devoto pelle- grinaggio alla tomba del Beato Bonaven- tura da Potenza,che ha lo scopo soprat- tutto di incrementarne il culto e la de- vozione, ci sembra doveroso proporre e programmare qualcosa di più adeguato e rispondente alle nuove, moderne ed impellenti esigenze spirituali della comu- nità ecclesiale locale che,nelle sue varie articolazioni, in occasione di un evento religioso di tale rilevanza spirituale per la Chiesa e per la cittadina di Ravello, do- vrà sentirsi a pieno titolo coinvolta ed avere l’opportunità di poter beneficiare della singolare grazia giubilare. Di una “Ora di grazia”, infatti, si tratta quando si fa memoria del passaggio di un “Segno” speciale di autentica santità cristiana,come quello tracciato sulla no- stra terra dal Beato Bonaventura da Po- tenza,la cui eroica testimonianza di vita religiosa è stata riconosciuta dalla Chiesa subito dopo la morte, che suggerì al Ve- scovo della Diocesi di Ravello – Scala di avviarne il regolare processo canonico per la canonizzazione. Il 19 novembre 1775, con il breve “Infestissimus humani generi”, Papa Pio VI lo dichiarò beato, mentre ora siamo in fiduciosa attesa che al più presto sia anche iscritto nel catalo- go dei Santi. Perciò,questo tempo provvidenziale dell’anno centenario della santa morte del Beato Bonaventura da Potenza che ci vedrà impegnati nella celebrazione di molteplici momenti rituali,fatti di predi- cazione e preghiere, e come è lecito sperare, arricchiti anche da una più inten- sa partecipazione dei fedeli ai Sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia, questo anno deve essere considerato e vissuto da tutti i membri della chiesa ra- vellese come tempo di grazia, dono e segno straordinario della benevolenza del Signore che, ancora una vol- ta,nonostante i nostri demeriti, attraver- so i Santi,si premura richiamarci ai va- lori essenziali della vita e ad una più au- tentica professione della comune fede cristiana. Nel corso dell’anno giubilare dovremo cogliere l’occasione per offrire al nostro popolo,in particolare alle famiglie ed ai giovani delle varie zone pastorali del paese, nuovi ed importanti percorsi di evangelizzazione che favoriscano la risco- perta del valore del battesimo ricevuto all’inizio della vita, della necessaria coe- renza con gli impegni di vita cristiana che scaturisce dalla fortuna di essere cristiani e l’urgenza di una solida forma- zione religiosa permanente che ci aiuti ad approfondire la conoscenza delle fonda- mentali verità della fede,della speranza e dell’amore al Signore Gesù Cristo e alla Chiesa,nostra Madre. Sono queste le condizioni indispensabili per promuovere un rinnovamento spiri- tuale del paese che ci consenta di poter sperare in un futuro più sereno in cui i nostri fedeli, radicati e profondamente rafforzati nella genuina fede battesimale della Chiesa, non solo avvertano e vivano effettivamente il loro legame con la comunità cristiana presente ed operante nel proprio territorio, ma si inseriscano responsabilmente nel cammino pastorale della chiesa locale e crescano nella vera comunione di vita della Chiesa diocesana e universale. Continua a pagina 2 Un’ “Ora di grazia” nella memoria del Beato Bonaventura da Potenza P ERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Per una Chiesa Viva

www. chiesaravello. it www. ravelloinfesta. it Anno VII - N. 10 – Ottobre 2011

Nel mese di ottobre prendono il via le celebrazioni per il III° Centenario della morte del Beato Bonaventura da Potenza avvenuta a Ravello il 26 ottobre 1711. Il denso calendario di iniziative religiose, pastorali e culturali predisposto dalla Provincia Religiosa Napoletana dei Frati Minori Conventuali per l’ anno ‘bonaventuriano’ (2011-2012), propone una principale idea guida, quella del pel-legrinaggio alla sua tomba conservata nella chiesa del Convento San Francesco in Ravello. Accorreranno in questo anno numerosi gruppi di frati francescani, reli-giosi e religiose, sacerdoti diocesani e tutti i Vescovi della Campania e della Basilicata. Per quanto ci riguarda,pur nel rispetto delle indicazioni generali stabilite dai Superiori religiosi circa il devoto pelle-grinaggio alla tomba del Beato Bonaven-tura da Potenza,che ha lo scopo soprat-tutto di incrementarne il culto e la de-vozione, ci sembra doveroso proporre e programmare qualcosa di più adeguato e rispondente alle nuove, moderne ed impellenti esigenze spirituali della comu-nità ecclesiale locale che,nelle sue varie articolazioni, in occasione di un evento religioso di tale rilevanza spirituale per la Chiesa e per la cittadina di Ravello, do-vrà sentirsi a pieno titolo coinvolta ed avere l’opportunità di poter beneficiare della singolare grazia giubilare. Di una “Ora di grazia”, infatti, si tratta quando si fa memoria del passaggio di un “Segno” speciale di autentica santità cristiana,come quello tracciato sulla no-stra terra dal Beato Bonaventura da Po-tenza,la cui eroica testimonianza di vita religiosa è stata riconosciuta dalla Chiesa

subito dopo la morte, che suggerì al Ve-scovo della Diocesi di Ravello – Scala di avviarne il regolare processo canonico per la canonizzazione. Il 19 novembre 1775, con il breve “Infestissimus humani generi”, Papa Pio VI lo dichiarò beato, mentre ora siamo in fiduciosa attesa che al più presto sia anche iscritto nel catalo-go dei Santi.

Perciò,questo tempo provvidenziale dell’anno centenario della santa morte del Beato Bonaventura da Potenza che ci vedrà impegnati nella celebrazione di molteplici momenti rituali,fatti di predi-cazione e preghiere, e come è lecito sperare, arricchiti anche da una più inten-sa partecipazione dei fedeli ai Sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia, questo anno deve essere considerato e

vissuto da tutti i membri della chiesa ra-vellese come tempo di grazia, dono e segno straordinario della benevolenza del Signore che, ancora una vol-ta,nonostante i nostri demeriti, attraver-so i Santi,si premura richiamarci ai va-lori essenziali della vita e ad una più au-tentica professione della comune fede cristiana. Nel corso dell’anno giubilare dovremo cogliere l’occasione per offrire al nostro popolo,in particolare alle famiglie ed ai giovani delle varie zone pastorali del paese, nuovi ed importanti percorsi di evangelizzazione che favoriscano la risco-perta del valore del battesimo ricevuto all’inizio della vita, della necessaria coe-renza con gli impegni di vita cristiana che scaturisce dalla fortuna di essere cristiani e l’urgenza di una solida forma-zione religiosa permanente che ci aiuti ad approfondire la conoscenza delle fonda-mentali verità della fede,della speranza e dell’amore al Signore Gesù Cristo e alla Chiesa,nostra Madre. Sono queste le condizioni indispensabili per promuovere un rinnovamento spiri-tuale del paese che ci consenta di poter sperare in un futuro più sereno in cui i nostri fedeli, radicati e profondamente rafforzati nella genuina fede battesimale della Chiesa, non solo avvertano e vivano effettivamente il loro legame con la comunità cristiana presente ed operante nel proprio territorio, ma si inseriscano responsabilmente nel cammino pastorale della chiesa locale e crescano nella vera comunione di vita della Chiesa diocesana e universale.

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Un’ “Ora di grazia” nella memoria del Beato Bonaventura da Potenza

PERIODICO DELLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI RAVELLO

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Per rievocare degnamente la splendida figura del Beato Bonaventura,un reli-gioso che, nel pur breve tempo trascor-so tra noi, con la sua straordinaria testi-monianza di vita evangelica vissuta nella più austera povertà,nell’obbedienza eroi-ca e nell’instancabile esercizio della carità pastorale al servizio della santificazione dei fratelli, ha impresso un segno impe-rituro di coraggiosa fede cristiana nella coscienza popolare della nostra gente, sarà giusto e necessario privilegiare un tempo speciale da dedicare ad una atten-

ta riflessione sulla personalità dell’Uomo di Dio e conoscere a fondo, accogliere e valorizzarne il messaggio sempre attuale che Egli ha trasmesso alla chiesa con la sua esemplare esperienza di vita cristia-na. Sarà certamente utile inoltre fare me-moria dei tanti episodi di vita virtuosa del Beato che contrassegnarono i giorni del suo intenso apostolato svolto tra noi ( 5 gennaio 1710 - 26 ottobre 1711) ne-gli ultimi ventidue mesi della sua ter-rena esistenza ,che lasciarono un ricordo incancellabile trasmesso di generazione in generazione tra la nostra gente; me-moria sacra,che è certamente all’origine della spontanea, profonda e sentita devo-zione, non che del fascino soprannatura-le, che il nome del beato Bonaventura da Potenza ha sempre esercitato e tuttora esercita sull’animo del nostro popolo. Dalla venerata tomba conservata nella Chiesa del Convento San Francesco in Ravello, la figura esemplare di santità cristiana che risplende nella esistenza eroica del Beato Bonaventura consegna ai pellegrini, ai numerosi devoti ed in particolare al popolo di Ravello un pre-

zioso e importante messaggio che, nella presente circostanza della commemora-zione centenaria del suo Dies Natalis al Cielo, possiede anche un forte sapore di grande attualità: il dovere di scoprire il primato e l’assoluto di Dio,la dolcezza di vivere alla sua presenza,con l’ascolto della sua parola e il bisogno di un filiale dialogo con Dio, nutrito di invocazioni e silenziosa adorazione eucaristica,una chiara e limpida spiritualità non disgiun-ta da un generoso e costante impegno di vita coerente con le richieste del Vange-lo di Gesù. Sono le urgenze che Papa Benedetto

XVI ha ribadito anche re-centemente durante la sua visita pastorale in Germa-nia quando ha affermato che il mondo ha bisogno dei Santi ed ha invitato ad andare alla loro scuola, perché “i Santi ci mostrano anzitutto che è possibile e che è bene vivere in rap-porto con Dio e vivere questo rapporto in modo radicale, metterlo al pri-

mo posto e non riservare ad esso soltanto qualche angolo. I santi ci rendono evi-dente il fatto che Dio, da parte sua, si è rivolto per primo verso di noi. Noi non potremmo giungere fino a Lui e proten-derci in qualche modo verso ciò che è ignoto, se non ci avesse amato per pri-mo, se non ci fosse venuto incontro per primo. Dopo essere già venuto incontro ai Padri con le parole della chiamata, Egli stesso si è mostrato a noi in Gesù Cristo e in Lui continua a mostrarsi a noi. Cri-sto ci viene incontro anche oggi, parla ad ognuno, come ha appena fatto nel Van-gelo, e invita ciascuno di noi ad ascoltar-lo, ad imparare a comprenderLo e a se-guirLo. Questo invito e questa possibili-tà, i Santi l’hanno valorizzata, hanno ri-conosciuto il Dio concreto, lo hanno visto e ascoltato, Gli sono andati incon-tro e hanno camminato con Lui; si sono, per così dire, fatti contagiare da Lui, e si sono protesi dal loro intimo verso di Lui – nel continuo dialogo della preghiera – e da Lui hanno ricevuto la luce che di-schiuse loro la vita vera”.

Don Giuseppe Imperato

Ravello si appresta a vivere un importan-te appuntamento che interessa non solo la Comunità ecclesiale ma anche quella civile. Si tratta dell’Anno Bonaventuria-no , o meglio l’anno in cui ricorre il Terzo Centenario della morte del Beato Bonaventura da Potenza che chiuse la sua esistenza terrena proprio a Ravello il 26 ottobre 1711. Si tratta di un evento prin-cipalmente di fede che, come ha sottolineato Padre Antonio M.Petrosino,Superiore del Convento di Ravello dove è sepolto il Beato,”offre a tanti battezzati la possibilità di interro-garsi serenamente sulla propria identità cristiana e sulla propria testimonianza di fede e carità,ripensando seriamente al contributo da offrire per il miglioramen-to e per il bene della società”. L’Anno Bonaventuriano si configura allo-ra,soprattutto per noi Ravellesi, come una occasione per andare oltre la facile devozione e le sue caratteristiche,talvolta anche belle, che hanno un effetto passeg-gero e in genere non aiutano a compren-dere pienamente né Cristo né il Cristia-nesimo,ma contribuiscono a favorire un atteggiamento “non maturo”in netto con-trasto con quanto la Chiesa da anni ci chiede,ossia un atteggiamento di cristiani adulti nella Fede. Del resto Ravello,al pari di tante altri paesi e città non solo d’Italia ma del mondo,vive la crisi della fede che rende ancora più urgente quella nuova evangelizzazione che il Beato Gio-vanni Paolo II aveva con fermezza chiesto e auspicato proprio per l’Europa,sempre più lontana dal Vangelo per quanto con-cerne le scelte politiche,economiche, sociali e culturali. Senza alcuna volontà di pronunciare un “j’accuse”,anzi invitando prima me stesso e poi quanti si professano credenti e pra-ticanti ad un sereno esame di coscien-za,penso che oggettivamente,al di là del-le tante o poche manifestazioni di fede che si svolgono, anche a Ravello la Fede sia stata purtroppo scavalcata da altri fattori non sempre positivi che hanno affascinato noi ravellesi,pronti a venerare altri “beati”che diventano presto anche “Santi”se fanno piovere su di noi non le grazie del cielo ma le “grazie

SEGUE DALLA PRIMA Una buona occasione

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economiche” che ci garantiscono sereni-tà, tranquillità e pseudofelicità in questa vita terrena sempre più considerata l’unica e sola degna di essere vissuta sen-za farsi mancare nulla. A questi nuovi protettori vengono confe-riti onori e devotamente li sistemiamo nelle nostre nicchie private,con buona pace dei Beati veri,tra cui il Beato Bona-ventura al quale in trecento anni non

abbiamo dedicato una via,neppure la più sperduta. (Per inciso,sarebbe interessan-te chiedere specialmente alle nuove ge-nerazioni (fascia 6-25 anni,per essere ottimisti)se sanno almeno chi sia il Beato Bonaventura). L’Anno Bonaventuria-no,quindi,volenti o nolenti, cade in un contesto storico,sociale e culturale parti-colare. Ecco perché deve essere una buona occa-sione per aiutare Ravello a riscoprire il prezioso dono della Fede,della Fede in una Persona,Cristo,l’unico che può cam-biare la nostra esistenza,talvolta solo in apparenza serena e appagata. Il Beato Bonaventura aveva sperimentato quanto Cristo potesse cambiare la vita di una persona e nella sua esistenza terrena lo ha continuamente testimoniato con l’umiltà e l’obbedienza e soprattutto, come ribadisce Padre Petrosi-no,mettendosi gratuitamente al servizio degli altri,comprendendo”attraverso le cose piccole e quotidiane della vita che la vera misura dell’amore-come afferma sant’Agostino-è amare senza misura”. Dunque il terzo Centenario della morte del “martire dell’obbedienza”sarà vera-mente un evento di grazia se sapremo, alla scuola del Beato, metterci in ascolto

di Dio che continua “misericordioso”a parlarci,ad attendere con pazienza una nostra risposta senza violare la nostra libertà,lasciandoci liberi anche di non credere al Suo amore. Ben vengano quindi i tanti momenti pro-grammati che arricchiscono questo Anno Giubilare ma non sciupiamoli conside-randoli,come spesso accade,delle belle iniziative che confermano le nostre capa-

cità di regi-sti,attori e com-parse. Sia l’Anno Bonaventuriano la buona occasio-ne per rivede-re,come Comu-nità ecclesiale, lo stile e le modali-tà con cui annun-ciare e far cono-scere Cristo ai Ravellesi,senza trincerarci dietro tanti alibi che ci portano ad accu-

sare gli altri e a non fare una sana e santa autocritica con la quale riconoscere gli errori commessi che hanno contribuito ad alimentare anche a Ravello l’indifferenza o il disinteresse nei con-fronti di Cristo e della Chiesa. Comincia-mo ad uscire dalle sacre-stie,smettiamola,come ci ricordava spes-so mons. Beniamino Depalma,di profu-mare di incenso. Ovviamente senza dimenticare lo stru-mento principe e più efficace di ogni forma di evangelizzazione:la preghiera. L’Anno Bonaventuriano avrà senso solo se ci aiuterà a prendere coscienza di che cosa significhi e di che cosa comporti l’ essere autentici discepoli di Cristo. Una buona occasione per sperimentare ancora una volta l’amore di Dio e per iniziare a convertirci. Se i santi o i beati che veneriamo,spesso solo a parole,non rappresentano per noi un punto di riferi-mento e un invito a convertirsi quotidia-namente al Signore saranno,ahimé, soltanto degli idoli. E il mon-do,purtroppo, è già ricco di idoli.

Roberto Palumbo

Si era nel cuore del rigido inverno quan-do, nel 1710, Padre Bonaventura Lavan-ga , in qualità di Superiore, insieme ad altri confratelli raggiunse, percorrendo vie accidentate, una Ravello solitaria, che nelle Visite ad limina appariva “una città con edifici caduti o cadenti e in gran par-te rasa al suolo”. Il Vescovo Giuseppe Maria Perrimezzi (1707-1714), dei Minimi di San France-sco di Paola, celebre predicatore e scrit-tore, aveva infatti richiesto espressamen-te al Commissario della Religiosa Provin-cia di Napoli la riapertura del convento francescano di Ravello già soppresso nel 1652. Nella città costiera il frate potentino a-vrebbe terminato una lunga itineranza, spesa totalmente nel soccorso ai poveri e agli ammalati senza, tuttavia, far mancare una parola di conforto ai nobili che, con frequenza, si rivolgevano a lui. Amalfi, Napoli, Sorrento, Capri e Ischia sono solo alcune tappe di un itinerario spiritu-ale, prima che fisico, volto all’imitazione di Cristo sull’esempio del Serafico Padre San Francesco e costellato di eventi pro-digiosi, prima di essere nominato Mae-stro dei Novizi nel Convento di Nocera Inferiore. A Ravello il pensiero del Beato andava spesso alle parole del suo maestro spiri-tuale, il Venerabile Domenico Girardelli da Muro Lucano, altro figlio esemplare della provincia francescana conventuale di Napoli, morto ad Amalfi nel 1683 e sepolto nella chiesa del convento di San Francesco. Egli, tre anni prima della dipartita, nel momento del commiato aveva profetiz-zato a Padre Bonaventura la riapertura della casa conventuale della “Città di Ravello col favore di un vescovo amantis-simo dei nostri” dove avrebbe trascorso gli ultimi anni prima del suo ritorno alla casa del Padre, “così i corpi sarebbero stati vicini dopo la morte, come gli animi erano stati in vita congiunti”.

Continua a pagina 4

Il Beato Bonaventura Modello sacerdotale

di Obbedienza, Carità, Santità

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Nonostante il convento fosse desolato e privo di tutto, persino le suppellettili ecclesiastiche erano difatti indecorose, il Padre Superiore riteneva che non manca-va “ciò ch’era necessario e che in conven-to aveva assai più di quello che si sarebbe meritato”. Il Vescovo lo nominò suo con-fessore e gli affidò la direzione spirituale dei due monasteri delle “Sacre Vergini nobili, principal coronamento dell’angusta sua Diocesi”. Ma gli altri confratelli abbandonarono la casa con-ventuale lasciando, per i primi mesi, il Beato in solitudine, fedele all’obbedienza verso il Padre Provinciale, alla carità ver-so le anime bisognose e all’amore per la povertà. L’instancabile impegno veniva profuso non solo a Ravello ma anche nelle vicine città di Scala, Amalfi, Atrani dove il frate si recava per lenire le soffe-renze dei corpi e i tormenti dell’anima. Il Beato era solito trattenersi per lunghe ore dinanzi al SS. Sacramento, tra gemiti e lacrime, sia di giorno che di notte, a-vendo grande cura della lampada ardente che, con la sua fiamma, segnalava la pre-senza reale del Signore del Mistero Euca-ristico. Questa profonda immersione nel Mistero Eucaristico gli era facilitata a Ravello, dove la sua stanzetta versava, con la fine-stra, proprio sull’altare maggiore. Sem-pre ilare e giocondo, malgrado le pessi-me condizioni di salute, egli celebrava l’Eucaristia con grande emozione e parte-cipazione. In prossimità della Consacra-zione il volto si trasformava mentre lacri-me e sudore bagnavano il frate in estasi. I sui giorni trascorrevano all’insegna della preghiera, della confessione e della pre-dicazione, “si macerava colle discipline, coi cilizi, e con altre penitenze” mentre, pur di sovvenire alle necessità degli ulti-mi, si privava anche del pane quotidiano, unico mezzo di sostentamento, rispon-dendo ad un confratello, che per questo motivo lo rimproverava, “Per noi Iddio provvederà...noi ci potremmo accomo-dare coll’erbe”. L’incontro con “sorella morte” si avvicinava: “Io già vedo che le mie infermità si vanno troppo avanzando; è necessario che io muti stanza tra poco”, diceva sei mesi prima della dipartita. Nell’ottobre 1711, assalito dalla febbre, trascorse gli ultimi giorni nella sua cella

in compagnia del Cristo Crocifisso che pendeva dalla parete. “Ave Maria, Ave Maria, Ave Maria”, furono le ultime pa-role, i suoi occhi si chiudevano privando il popolo ravellese, che lo pianse con devozione filiale, di un tesoro inestimabi-le. Verso la sera del terzo giorno dopo la morte, il corpo del Beato fu trasportato dall’Oratorio in chiesa per essere sotter-

rato alla presenza del Vescovo e di altri qualificati testimoni. Durante il traspor-to, alla vista del Tabernacolo, la salma aprì gli occhi, rimasti sempre chiusi dal momento in cui egli era spirato, e quasi chinò la testa di fronte al SS. Sacramento. Il fenomeno, alla luce delle candele, fu osservato da tutti gli astanti e fu interpre-tato come un segno con il quale il Signo-re aveva voluto premiare la grande devo-zione eucaristica del suo Servo. La santa messa quotidiana come partecipazione al Mistero di Cristo, la Visita al SS. Sacra-mento come ricerca dell’intimità con Cristo, l’adorazione estatica come con-templazione del Mistero di Cristo sono solo alcune delle proposte che ancora oggi il suo esempio ci offre. Mentre ci accingiamo a celebrare il Terzo Centena-rio della morte del Beato la nostra comu-nità, cha ha lo speciale privilegio di cu-stodirne il corpo, possa meditare e valo-rizzare appieno una fulgida figura sacer-dotale che a Ravello ha lasciato un profu-mo ineffabile di carità, obbedienza, santità.

Luigi Buonocore

Il mese di Settembre ormai appena tra-scorso, ha caratterizzato il cammino della Chiesa in Italia, attraverso il Convegno Eucaristico di Ancona , momento di gra-zia per riscoprire il significato dell’Eucaristia . Per approfondire tale aspetto , ci viene ancora in aiuto nel mese di Ottobre, il calendario che ci invita a vivere la memoria liturgica di Santi e Beati che hanno manifestato una fede vivissima ed un amore senza limiti a Gesù Eucaristia : Santa Teresa di Gesù Bambino, Santa Teresa d’Avila, San Fran-cesco , San Gerardo ,il Beato Giovanni XXIII. Anche la nostra Chiesa locale si appresterà a vivere un evento importan-te , la memoria liturgica e la celebrazione del terzo Centenario della morte del Beato Bonaventura da Potenza , un fran-cescano con ardente zelo verso l’Eucaristia, avvenuta a Ravello , in una cella del Convento San Francesco , il 26 Ottobre,1711. I frati della comunità reli-giosa del Convento San Francesco , han-no voluto dare testimonianza della vita del Beato Bonaventura, sviluppando l’Ottavario di preghiera partendo dall’unione totale del Beato a Dio , fino alla sua vita spesa interamente per i fra-telli . Nel cammino spirituale, attraverso l’azione dello Spirito Santo ,si realizza qualcosa che permette di rafforzare la fede . Frequentando il Convento , sotto la guida sia di Padre Andrea Sorrentino che di Padre Francesco Capobianco, ho avuto la fortuna di entrare in religioso silenzio ed in clima di preghiera , nella cella che era stata del Beato Bonaventu-ra . La commozione , lo stupore , il sen-so di pace , di gioia, di infinito provati nel trovarmi in quel luogo sacro, sono rimasti indelebili nel mio cuore e nella mia mente . Il racconto ricevuto dai frati di “Questo Amico di Dio “che dalla fine-stra della sua cella, con lo sguardo rivolto al Tabernacolo, sull’Altare maggiore,nel silenzio della notte, inginocchiato, in adorazione “ quasi in estasi “, pregava il Suo Signore è stata una testimonianza autentica che ha contributo alla mia cre-scita interiore. “Il Beato era solito trattenersi per lunghe ore dinanzi al SS. Sacramento, tra gemiti

SEGUE DA PAGINA 3 IL BEATO BONAVENTURA E L’EUCARISTIA

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e lacrime, sia di giorno che di notte, avendo grande cura della lampada arden-te che, con la sua fiamma, segnalava la presenza reale del Signore del Mistero Eucaristico “ Come la molteplice schiera dei “Santi Eucaristici“, Egli ha tratto forza dall’Eucaristia ed ha creato un legame indissolubile tra il Sacramento dell’Eucaristia e “ l’Apostolato della Carità”, a cui ha dedicato la sua vita, con-vinto che come Gesù si è fatto Pane per noi , così noi tutti battezzati, in Gesù , dobbiamo diventare pane per i fratelli. Egli, infatti ha dimostrato questo legame non esitando ad “ essere pellegrino “ dell’intera costiera , per servire i pove-ri , gli infermi ed i moribondi , “ per dare il conforto della fede, il dono della carità e la gioia della speranza cristiana “. Egli , come Gesù ha amato i fratelli e per loro amore ha dato la sua vita . Alla scuola di “Questi Giganti della fede”, dovremmo rivedere il cammino della nostra vita interiore per essere capaci di trasformarci in uomini e donne che san-no mettere in pratica gli insegnamenti evangelici, riscoprendo il valore dei Sacramenti, soprattutto dell’Eucaristia. “Tutto ciò per dare amore , gloria e con-solazione a Gesù che abita tra noi, che non disdegna la solitudine dei Taberna-coli per versare Amore e Grazia nelle nostre anime. Quando andiamo a fargli compagnia gli doniamo tutto di noi, sicuri di ricevere Il Tutto che è Lui, che ci dà la forza necessaria per diventare “ Buon Samari-tani”, a servizio dei bisognosi .

Giulia Schiavo

“Dinanzi alla mirifica

Arca dei tuoi portenti,

Mira, o Beato, un popolo

Di cuori in te fidenti

Nel duol, nella sciagura,

Per te, Bonaventura,

Grazia ci dona il Ciel”

“Dall’ inno al Beato Bonaventura

di Fra Antonio Maria Mansi”

Alcuni giorni si delineano nella nostra memoria come piccole cicatrici benefi-che e lo fanno in virtù di un elemento che potrebbe apparentemente sembrare totalmente stridente: l’odore. Ed è pro-prio questo concorso delicato o prorom-pente ed incisivo di connotazioni olfatti-ve che arrivano a noi come i pezzi di un puzzle gigantesco, a dare ai ricordi ossa e pelle, consistenza. Le mie domeniche avevano un odore particolare e preferi-sco utilizzare il termine odore e non pro-fumo perché ha tutta la piacevole prepo-tenza che hanno solo le cose importanti. La parola”odore “ ha uncini su ogni lette-ra, profumo suggerisce piuttosto l’idea di qualcosa di evanescente, passeggero. Le mie domeniche di allora, parlo di un tempo fatto di braccialetti in biglie di plastica colorata e Barbie dai capelli coto-nati naturalmente dai nodi e dall’incuria del buio della cesta di paglia in cui le tenevo insieme come in una sorta di infantile fossa comune, avevano l’odore dei fiori dei giardini di Ravello e di una passeggiata che aveva sempre la stessa partenza e la stessa direzione e, soprat-tutto, gli stessi protagonisti. Io, mio nonno materno, le domeniche di ragù, i gambi ancora umidi delle decine di fiori raccolti, la visita alla Chiesa di San Fran-cesco e la sosta silenziosa davanti al Beato Bonaventura. C’era qualcosa di incante-

vole in quella sorta di rituale che chiude-va una settimana e ne inaugurava un’altra, nell’abbraccio di fiori stretti in un vaso al centro della tavola, come un trofeo, l’esito di una caccia vegetale fatta con passione, con soddisfazione. Ricor-do particolarmente e con gioia il silenzio nella Chiesa di San Francesco: era qual-cosa da fare con devozione, un’abitudine bella e speciale che rendeva la giornata improvvisamente diversa nel suo ripeter-si identica per mesi. Mi piace prendere spunto da qualcosa che è assolutamente mio, appartenente alla mia sfera emoti-va, come questo ricordo, per arrivare in una sorta di feroce e delicato richiamo di immagini e sensazioni ai luoghi che mi circondano e che rivivono animati dalla personale interpretazione delle emozio-ni. La sosta davanti al Beato, io in piedi e con il naso verso il soffitto, mio nonno in ginocchio, i muri bianchi ed il volto pacifico delle statue dei Santi intorno, come di candele ben illuminate e spor-genti dalle nicchie, e poi su tut-to,ovunque, l’odore dei fiori,un invisi-bile Rosario di petali e preghiere nelle belle domeniche d’autunno con i piedi impazienti di mordere i gradini su verso il Convento e la mano ancora piccola in una mano più grande .

Emilia Filocamo

UN’ INCANTEVOLE SOSTA

ALLA TOMBA DEL BEATO

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Gli ultimi istanti della vita terrena del Beato Bonaventura da Potenza, insieme ai momenti successivi alla sua nascita al cielo, sono stati indagati da diversi stu-diosi sulla base di testimonianze di poco posteriori, raccolte negli atti processuali occorrenti alla causa di beatificazione. In verità, un’altra tipologia di fonti più prossima agli eventi è costituita dai pro-tocolli notarili, cioè le raccolte degli atti posti in essere dai notai nell’esercizio delle loro funzioni, ordinate cronologica-mente e distinte anno per anno secondo un antico uso tuttora osservato. Tra le funzioni notarili oggi sostanzial-mente venute meno, va ricordata quella di raccontare e conferire certezza ai fatti maggiormente rilevanti. Quando, ad esempio, si verificavano eventi ritenuti particolarmente significativi nella vita di una comunità, ci si rivolgeva ad un nota-io, affinché questi li illustrasse e li atte-stasse in un atto pubblico ed assicurasse così ad essi il valore dell’ufficialità, ga-rantendone al contempo il perpetuarsi della memoria alla posterità. Uno di questi atti, redatto dal Notaio di Scala Biagio Imperato, è l’inedito raccon-to della sepoltura del Beato Bonaventura,

avvenuta il 29 ottobre 1711, a tre giorni dalla morte, avvenuta il 26 ottobre, co-me testimonia la registrazione redatta dal canonico-sacrista della Cattedrale di Ra-vello, Gaetano Coppola, nel “Libro nel quale si notano nomi e cognomi di quelli che morono nella Diocesi di Ravello nell’ anno 1701”. Verso le 19.30 della sera, nella chiesa conventuale illuminata dalle luci delle candele, si recarono il vescovo di Ravel-lo, Giuseppe Maria Perrimezzi, e il Pa-

dre Giacinto da Siderno dello stes-so convento, per presiedere il rito della sepoltura. Padre Bonaventura giaceva in un’urna marmorea - tra-sportata il giorno precedente dalla chiesa di San Gio-vanni del Toro - nei pressi del luogo della sepoltura, la cappella di Sant’Antonio, a sinistra dell’altare maggiore, e di patronato della famiglia Sasso. Il notaio Imperato, su ordine del vesco-vo Perrimezzi, venne incaricato di scri-vere una “memoria” da inserire nell’urna, che qui ci piace riportare nella versione originale: “Pater Bonaventura a Potentia ordinis minorum Conventualium etatis sue annorum sexaginta unius post qua-traginta annorum spatium spirititualis vite universali religiosam opinionem secularium-que edificatione exactus, post fere biennius quo in hac Ravellensi Civitate primus in rein-tegrato conventu habitator, animarum profec-

tui dicatum; post undecim fere dies mortalis infirmitatis, que quatordecim aliis a quibus con-tinuo opprimebatur addita et si non diuturnior aliis omnibus compensa est atrocior, postremo Ravelli, ubi sacerdotalem prius assecutus fuerat caracterem, ubi pro reintegrando cenobio non parvum laboravit ubi non paucas Deo animarum peperit, felice morte, que vere attente vite corresponderet ad coelum ut

pie credimus felicius advolavit. Maioribus in morte quam in vita a Deo gratiis cumulatus est, quas inter brevissimo calamo adnumera-mus finitimas Civitatis totius fere populi af-fluenti ad supernaturalem sudorem a facie, ac capite continuo scaturientem, sanguinem a scissa vena manantem membros fere omnium totiusque corporis morbidas flexutates toto triduo, quo post mortem ut fidelium devotioni fieret satis expositus mansit, omnium etiam admirationis extasim in se tranxit ut tanti viri, Deo dilecti, ac de nostra civitate optime

meriti, huiusque cenobis restitutoris memoria temporum iniuria ac periret hac in pagina pauca que diximus scribi annotarique curavi-mus. Datum Ravelli die 29 octobris”. Il testo, nell’esaltare le doti del frate potentino, fornisce delle indicazioni di carattere storico. Ci ricorda, infatti, che Bonaventura da Potenza era stato il pri-mo abitatore del Convento dopo la rein-tegrazione del 1709, sollecitata dai rap-presentanti della Città, i cui atti sono conservati nei protocolli dello stesso notaio Imperato. La memoria prosegue nella narrazione degli eventi prodigiosi avvenuti nei gior-ni successivi al decesso, manifestatisi con la continua sudorazione della faccia e del capo e la stato di morbidezza del corpo. A dare pubblica fede all’atto intervenne-ro il giudice ai contratti Francesco Impe-rato, il P. Guardiano di Amalfi Antonio di Apriola, P. Michele di Amalfi, P. Di-daco di Napoli e il vicario generale della diocesi di Ravello e dottore in entrambi i diritti Carlo Manso. A questi si aggiunse-ro alcuni esponenti della nobiltà e del clero locale come Don Gaetano Confalo-ne, Don Giuseppe d’ Afflicto, Don Pie-tro Confalone, Don Nicola Fusco, patri-zio ravellese e Don Matteo d’Afflitto, patrizio scalese abitante a Ravello e i reverendi Don Francesco Vito, Don An-drea Coppola, Don Eustachio Pisano e il Magnifico Giuseppe Ippolito, già sindaco del Popolo nel 1709, nonché altri cittadi-ni ravellesi.

Salvatore Amato

MORTE E SEPOLTURA DEL BEATO BONAVENTURA

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Avevo sette anni; lo zio Paolo, religioso dei Fratelli delle Scuole Cristiane, mi fece quello che rimane il dono più im-portante che io abbia mai ricevuto: l’Enciclopedia “Conoscere”, la preziosa fonte di cultura che mi avrebbe accompa-gnato nello studio per tutto il corso delle Scuole Elementari e Medie. Un’opera che, al contrario di molte altre enciclo-pedie, invogliava irresistibilmente alla lettura, in virtù di due notevoli qualità: notizie chiare ed essenziali, presentate in un linguaggio semplice e stimolante; e illustrazioni realizzate in modo da colpire indelebilmente la fantasia e l’immaginazione di un bambino. Storia, geografia, scienze, letteratura, biografie dei grandi, e poi informa-zioni su costumi, viaggi, cibi, armi, tradizioni nelle varie epoche storiche. In questa miniera d’oro, che non mi stancavo mai di leggere e consultare, una scena mi aveva colpito sin dall’inizio in modo parti-colare; riguardava una delle più grandi tragedie nella storia dell’Umanità, l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., e mostrava una famiglia pompeiana in fuga dalla pro-pria casa, sotto una pioggia di ceneri e lapilli che, come si poteva intuire dalle successive raffigurazioni, non avrebbe lasciato scampo ai fuggiaschi. Il commen-to, drammatico e avvincente, era questo: “Si era nell’agosto del 79 dopo Cristo. Una nuvola nerastra apparve un giorno sulla som-mità del monte che dominava la plaga fertile, ricca e popolosa dove sorgeva Pompei. Il mon-te era chiamato Vesuvio; aveva le pendici coperte di boschi ove si cacciavano cinghiali. Nessuno sapeva altro di quel monte, nessuno sapeva che era un vulcano che da millecinque-cento anni andava preparando, sotto il suo cratere chiuso, una terribile carica di magma incandescente e di gas. La piccola nube che ora avvolgeva la cima e che nessun vento riu-sciva a dissipare era costituita dalle prime, sottili esalazioni che filtravano dalle crepe del cratere. Ma nessuno sapeva questo, e nessuno pensò a fuggire. Il giorno 24 agosto la tre-menda carica esplose: sulla cima del monte si

aprì uno squarcio enorme, dal quale uscì, proiettata verso l’alto, una gigantesca colon-na di fuoco e fumo; a velocità vertiginosa la colonna salì nel cielo fino a incredibile altez-za, poi, sulla cima, cominciò ad allargarsi. Prese la caratteristica forma “a fungo” che oggi conosciamo dalle immagini delle esplo-sioni atomiche. Un osservatore di allora la paragonò, giustamente, alla forma di un pino marittimo. Nelle città e nelle campagne circo-stanti, decine di migliaia di persone osserva-vano sgomente e impotenti il terrificante spet-tacolo. Era mezzogiorno, ma s’era fatto buio come al tramonto. Improvvisamente, ognuno udì, attorno a sé, un picchiettare di colpi, come all’inizio di una grandinata. Il rumore divenne uno scroscio, fitto e ininterrotto; dal

cielo, da quella nube spaventosa, cadeva una pioggia di pietre! Erano pietre piccole, spu-gnose, simili a pomice. Riparandosi il capo, tutti corsero a rifugiarsi nelle case. Ma per le strade e nei giardini lo strato dei lapilli cadu-ti raggiunse in breve molti palmi d’altezza; presto cominciarono a crollare i primi tetti. Intanto, era sopravvenuta un’oscurità comple-ta, innaturale; non il buio della notte, disse un testimone, ma la tenebra nera di un luogo chiuso senza aperture. Allora dai fianchi del monte cominciarono a scendere pesanti folate di gas: erano ossido di carbonio e anidride carbonica, due gas micidiali. A tutto questo si aggiunsero alcune scosse di terremoto; ormai i crolli dei tetti si succedevano l’uno dopo l’altro. La popolazione di Pompei comprese finalmente la gravità del pericolo. Molti apri-rono a fatica le porte della case e fuggirono per le strade, al lume delle torce: troppo tardi! Le basse nubi di gas li abbatterono asfissiati mentre correvano alla cieca. Altri preferirono resistere nel chiuso della loro casa, e furono

uccisi da un crollo, o dai gas che si infiltrava-no ovunque, o, peggio, vi furono sepolti vivi, perché la caduta delle ceneri e dei lapilli con-tinuò ininterrotta per tre giorni e tre notti. Quando, all’alba del 27 agosto, il Vesuvio si placò e il sole estivo tornò a splendere sul bel golfo di Napoli, a sud del vulcano, dove pri-ma esisteva una piana ridente e popolosa, si stendeva un deserto di cenere, grigio e inani-mato. Sotto di esso giaceva Pompei”. Nessuna lettura mi aveva mai emoziona-to tanto. Avrei dato qualsiasi cosa per poter assistere a un tale fenomeno; da lontano, però! Poi cominciarono i pen-sieri… Era questo, mi chiedevo, un vul-cano? La mia istintiva simpatia per i mae-stosi coni descritti nell’enciclopedia e

raffigurati con profili bellissi-mi, perfetti, rassicuranti, lasciò il posto alla delusione, e al primo dubbio riguardan-te quella natura che, vivendo in un paesino immerso in un territorio incontaminato, avevo visto sino ad allora come un Eden alla portata di tutti. Fui pervaso da un senso di smarrimento, dalla perce-zione del mistero che si cela in un ambiente che oggi ti è amico, e domani muove le

sue forze incontenibili per distruggere e uccidere in modo cieco e inesorabile. Di lì a poco, la tragedia del Vajont avrebbe confermato drammaticamente le inno-centi perplessità del bambino che non aveva mai assistito se non alle morti indi-viduali di familiari e vicini di casa. Il sini-stro biglietto da visita presentatomi dal Vesuvio mi avrebbe introdotto alla cono-scenza di altri suoi fratelli, non meno imprevedibili e perniciosi. Impossibile non appassionarsi alle catastrofiche eru-zioni del vulcano di Santorini, del Kraka-toa, del Pinatubo, distruttori di luoghi, di civiltà, di intere popolazioni. Vicende tragiche, certamente, ma verso le quali conservavo quel residuo di distacco che circonda le cose che avvengono lontano da noi, e in cui non siamo coinvolti per-sonalmente.

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E’ LUI A COMANDARE

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Poi, molti anni dopo, il caso ha fatto in modo che sperimentassi direttamente la potenza sterminatrice dell’agente endo-geno che chiamiamo “vulcano”. Il para-dosso è che l’incontro è avvenuto in uno dei paradisi della Terra, i Caraibi. Nel giugno 2002, per una serie di incre-dibili e fortunose circostanze, la squadra di calcio del mio paese, l’A.S. Gerano, riceve l’invito a disputare un paio di par-tite amichevoli contro le compagini cal-cistiche dell’isola caraibica di Montser-rat, nelle Piccole Antille. Partiti da Mila-no-Malpensa, approdiamo ad Antigua - una delle isole più belle del mondo - poi, il mattino seguente, saliamo sul ferry che in un’oretta di navigazione ci porterà a Montserrat. Notiamo subito che sul tra-ghetto ci siamo noi e pochissimi altri passeggeri. Come mai, se la nostra isola, come tutti testimoniano, è così bella e selvaggia? In effetti, notiamo avvicinan-doci, è ridente, verdissima, lussureggian-te… per metà. Sì, per metà. Un paio di giorni dopo il nostro arrivo, i gentilissimi ospiti ci portano a visitare l’altra metà dell’isola, ovvero il deserto in cui è stata ridotta dalla disastrosa eruzione del 1995 del vulcano Soufrière Hills, uno dei più attivi della terra. Ci guida Slim, dinocco-lato e simpaticissimo isolano, pronto a passare in pochi attimi dall’angoscia al sorriso, come chi ha visto e sperimentato tutto, e non ha più niente da perdere. Camminiamo – letteralmente - sui tetti di quella che era la capitale, Plymouth, che ora giace per intero sotto la lava del Soufrière Hills. Le case, le scuole, gli edifici pubblici, la pista e gli hangar dell’aeroporto, lo stadio, l’ospedale, gli alberghi: ogni cosa è sepolta sotto il su-dario che in poche ore ha ricoperto e soffocato il corpo vivo e pulsante dell’ex capitale di Montserrat. Un senso di forte commozione pervade tutti noi, compresi i più giovani, quando, in una sala semise-polta del Four Seasons – a suo tempo uno dei più lussuosi hotel di Plymouth - vediamo un orologio di metallo appeso al muro, con la lancetta che indica le nove, e una scritta: “Come back soon”, “Ritornerò presto”. Un messaggio di speranza per un luogo che un vulcano ha dimezzato, in tutti i sensi. Diviso in due il territorio: la “terra grigia” e la “terra

verde”. Dimezzata la popolazione: da dodicimila abitanti a circa seimila, per-ché, dopo l’eruzione, una buona metà dei residenti ha dovuto lasciare l’isola. Dimezzate le attività economiche, sociali e culturali che la gente di Montserrat aveva faticosamente costruito dagli anni ’50 in poi. Ecco dove eravamo approdati: in un E-den cancellato in poche ore dalla furia della Natura, un Eden ferito, come mo-stravano, nelle facce e nei gesti, i mon-tserratiani che avevano deciso di restare. Sui loro volti, l’allegria caraibica velata dalla consapevolezza di un futuro incer-to, e dalla pena per chi aveva dovuto abbandonare tutto. Rassegnazione, ac-cenni di tristezza e di preoccupazione, ma anche, fortunatamente, un’incipiente voglia di non arrendersi, di tornare a lottare. Dagli Studios Musicali di Stevie Wonder, dove hanno registrato i loro dischi alcuni dei più famosi cantanti rock, alla desola-zione di una lingua infinita di lava, che ancor oggi solleva fumi e vapori nelle acque cristalline di Montserrat. Dal Para-diso all’Inferno in un attimo, e poi - co-me a dover scontare la bellezza della natura, il clima mite e salubre, la dovizia degli squisiti frutti tropicali - il purgato-rio quotidiano di chi tenta di rinascere dalle… ceneri, in senso letterale. Mi venne in mente che Pompei, Ercola-no, Stabia, e altri luoghi meravigliosi non avevano avuto neppure questa possibili-tà… Lo dissi a Slim, che annuì pensiero-so, e replicò amaro: “Non si può fare niente se il vulcano non te lo concede. E’ lui a comandare”. Già. Mentre il generoso sole caraibico scaldava i nostri corpi, e l’aria salmastra dell’Oceano inebriava i nostri sensi, io pensavo che le rocce, la lava, la sabbia e il mare che ci circondavano sarebbero sopravvissuti alle creature intelligenti che stentavano a reperire un senso in ciò che stavano vivendo. Ma forse esiste, quel senso. Ci sono fe-nomeni, al mondo, che continueranno a rammentarci la dimensione che ci appar-tiene in quanto esseri umani. Un vulcano è una cosa tremendamente reale e altret-tanto fortemente metaforica e metafisica. Il vulcano che è in noi - il magma che agita l’essere che vuole prendere il posto del suo Creatore - ci fa sentire potenti,

invincibili, immortali. Ma un vulcano reale può abbatterci in pochi minuti, può distruggere le nostre fatiche di anni, di secoli, di millenni. Lo sterminator Vesevo, il vulcano di Montserrat e gli altri coni giganteschi che si innalzano sulla Terra sono lì ad ammonirci: “Non sei il centro dell’universo, e ogni tanto noi te lo ri-corderemo”. Armando Santarelli

6° Giornata per la Salvaguardia del Creato

In una terra ospitale, educhiamo all’accoglienza

Il 1° settembre scorso si è celebrata nella Chiesa italiana la 6° giornata per la Salva-guardia del Creato sul tema “In una terra ospitale, educhiamo all’accoglienza”. Il tema è particolarmente significativo alla luce di ciò che è accaduto negli ultimi mesi nel Mediterraneo; l’accoglienza si è rivelata, infatti, il terreno di discussione del dibattito politico internazionale tra posizioni di chiusura e altre più possibili-ste di fronte ad una crisi che ha coinvolto la sponda sud del mar Mediterraneo. I vescovi italiani hanno sottolineato come “in questa delicata stagione del mondo il tema dell’ospitalità richiama con drammatica ur-genza le dinamiche delle migrazioni interna-zionali, nel loro legame con la questione am-bientale. Sono sempre più numerosi, oggi, gli uomini e le donne costretti ad abbandonare la loro terra d’origine per motivi legati, più o meno direttamente, al degrado dell’ambiente. È la terra stessa, infatti, che – divenuta

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inospitale a motivo del mancato accesso all’acqua, al cibo, alle foreste e all’energia, come pure dell’inquinamento e dei disastri naturali – genera i cosiddetti “rifugiati am-bientali”. Di fronte a queste situazioni si concretiz-za sempre più spesso l’esigenza di dover aprire le porte del proprio Paese a perso-ne che sfuggono a crisi ambientali di por-tata biblica e si pone il problema di un’accoglienza che non violenti la loro dignità di essere umani che non hanno altra speranza se non quella che offre loro la migrazione. Nella nostra Diocesi, poi, la giornata per la salvaguardia del creato ha assunto un significato ancora più forte. Infatti a livel-lo parrocchiale è stata curata dall’Azione Cattolica Parrocchiale l’Adorazione setti-manale, animandola con le meditazioni proposte dal sussidio preparato dai Ve-scovi; la riflessione proposta è stata co-struita sul discorso che il Beato Giovanni Paolo II tenne durante una sua visita all’Assemblea delle Nazioni Unite nel 1979 e con il quale l’allora Santo Padre chiedeva ai governanti di fare uno sforzo affinchè il progresso potesse essere per tutti. Inoltre, Giovanni Paolo II sottoli-neava: “È lecito considerare separatamente i beni materiali ed i beni spirituali, ma per meglio comprendere che nell’uomo concreto essi sono inseparabili, e per vedere altresì che ogni minaccia ai diritti umani, sia nell’ambito dei beni materiali che in quello dei beni spirituali, è ugualmente pericolosa per la pace, perché riguarda sempre l’uomo nella sua integralità.”. Il momento di ado-razione nel Duomo ravellese si è conclu-so con la preghiera per tutte le vittime del nostro errato ed egoistico rapporto con l’ambiente. Ed, infatti, a livello dio-cesano la giornata è stata spostata al 9 settembre per farla coincidere con l’anniversario della disastrosa alluvione che ha colpito Atrani nel 2010 e che ha seminato morte e terrore nel piccolo comune costiero. La manifestazione organizzata dalla Dio-cesi ad Atrani si è svolta in tre momenti e ha visto la partecipazione di tutte le asso-ciazione e di molti politici della Costa. Il primo momento, molto intenso dal pun-to di vista emotivo, è stato la benedizione da parte del nostro Arcivescovo di un albero di mandorlo che è stato piantato nella zona dove alcuni anni fa fu posta la

statua di San Pio di Pietralcina. La scelta del mandorlo è stata significativa perché è la prima pianta che fiorisce in primave-ra ed è per questo motivo simbolo di una rinascita necessaria per recuperare un rapporto corretto con l’ambiente. Ai piedi dell’albero è stata posta una targa in ricordo della giovane Francesca Mansi, unica vittima di quell’alluvione. Secondo momento è stato il corteo che si è svolto dal luogo della benedizione fino alla spiaggia per la celebrazione della messa. La scelta della spiaggia non ha risposto solo ad un’esigenza pratica per accogliere i tanti presenti ma è stata vo-luta perché proprio quel luogo un anno fa, in quelle stesse ore, era il centro delle ricerche spasmodiche della ragazza di-spersa nella speranza di poterla trovare ancora in vita. Prima della celebrazione il lancio di pal-loncini colorati ha indicato il senso di quel momento: non una triste comme-morazione ma un momento di riflessione nella certezza che Dio ha accolto nelle braccia amorevoli di Padre l’anima di Francesca. Importanti le parole del Vescovo che ha voluto ricordare a tutti che le tragedie devono insegnare qualcosa e spingerci a migliorare la situazione altrimenti ogni sacrificio è veramente vano. Infatti se noi continuiamo a percepire l’ambiente non come dono del Creatore per migliorare la nostra vita ma come qualcosa da sfrut-tare per ottenere l’incremento del nostro tornaconto, allora le alluvioni, le frane e le sciagure ambientali continueranno seminando danni e lutti. La nostra Costa, così bella e pure così fragile, richiede un cambiamento di rotta nella programmazione politica e nel no-stro vivere il territorio, in modo da miti-gare anche i rischi che derivano da eventi come quello dello scorso anno, che sicu-ramente non sono eliminabili del tutto ma certamente possono essere contenuti nei danni. A corollario della programmazione per la celebrazione di questa giornata la comu-nità parrocchiale ha organizzato un in-contro di sensibilizzazione ambientale e culturale il 12 settembre nella bellissima cornice della Chiesa di S. Maria del Ban-do, che dall’alto del Monte Aureo pro-tegge l’abitato di Atrani. Anche in questa occasione sono stati presentati i risultati

dello studio sull’insediamento religioso del Monte Aureo, ma le numerose do-mande dei presenti hanno permesso di chiarire che il futuro della Costa è il re-cupero delle regole antiche che hanno creato il territorio e che nella loro tra-sformazione hanno rispettato l’equilibrio dei vari elementi.

Maria Carla Sorrentino

Camminando…

Settembre, il mese delle partenze: si riparte con la scuola, con il lavoro per chi ha terminato le ferie, con l’anno catechi-stico,…e la Fraternità di Emmaus? Tran-quilli, non è andata in vacanza. Dopo gli ultimi incontri di catechesi di giugno, la pausa estiva ci ha regalato l’emozione del sentirci davvero uniti. Con Laura e Peppe, la nostra coppia gui-da, non sempre a portata di mano, abbia-mo dovuto cominciare a fare un po’ da soli e non è stato semplice. Tanti gli impegni, da quelli organizzati per la raccolta fondi in favore della Citta-della, a quelli più propriamente catechi-stici, come l’Adorazione Eucaristica not-turna e gli incontri con Mons. Imperato. L’estate d’altro canto è per eccellenza la stagione del “da fare”: i bambini non van-no più a scuola, alcuni mariti sono in ferie, altri super impegnati nel lavoro stagionale, il mare è importante per la salute dei più piccoli, le attività sportive altrettanto, i problemi quotidiani sempre sulla cresta dell’onda…, e, pur essendo Ravello un paese e non una grande città, abbiamo parlato più spesso per telefono, che non da vicino. La nostra maggior fortuna, forse, è c o m u n q u e q u e l l a d i a v e r e g u i d e d ’ e c c e l l e n z a : i l continuo spronarci di Mons. Imperato;

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la costanza di Rosa e Rosalinda nel chia-mare tutti continuamente, laddove la nostra catena telefonica di passaparola ha delle maglie un po’ lente; l’interessamento della coppia guida che seppur da Angri, ha continuato a seguir-

ci; la presenza di Don Silvio, incontrato più volte, dal Suo 25° anniversario di sacerdozio alla Santa Messa celebrata in Duomo il 22 luglio per il compleanno del nostro Parroco, con una parola buona per ciascuno di noi. Piccoli appuntamenti sparsi tra i grandi impegni parrocchiali come la festa patronale, o ricorrenti si-tuazioni di preghiera, tipo l’adorazione eucaristica del giovedì, hanno fatto sì che questa Fraternità, non si disperdesse, solo perché l’appuntamento quindicinale è stato sospeso. Siamo riusciti ad organiz-zare qualche incontro di catechesi con il parroco, durante i quali abbiamo ricorda-to esperienze precedenti e fatto proposte per l’anno da organizzarsi adesso ad otto-bre; siamo riusciti in più di un’occasione a realizzare la preghiera comunitaria do-mestica, ossia ciascuno, seppur da casa sua, chiesa domestica, ha pregato per l’intenzione comune, coinvolgendo an-che gli istituti Monastici presenti sul ter-ritorio. Certo, non è un miracolo e nes-suno ne ha fatti, i miracoli, spettano solo a Nostro Signore, però abbiamo potuto costatare quanto, dal nostro piccolo, siamo riusciti a farci sentire. La nostra voce, è stata ascoltata. In una Comunità ben affermata tutte queste piccole cose potrebbero effettivamente sembrare del-le bazzecole, tuttavia, a me personalmen-te che ringrazio sempre per ogni giorno in più che ci vede insieme in quest’avventura, sembrano straordinarie. Con i nostri piccoli passi, anche la Frater-nità è cresciuta e nuove famiglie e singo-

li, si stanno avvicinando a questo impe-gno di fede. La scorsa settimana, poi, sono stati varcati “i confini nazionali”, infatti, abbiamo conosciuto la delegazio-ne di una comunità ucraina, certo è stato un po’ difficile capirsi, ma non impossibi-le. In un paese tanto lontano la Fraternità di Emmaus è riuscita a portare

un’apertura mentale verso i problemi familiari fino ad oggi lì molto trascurati, ma soprattutto, l’impegno della popolazione locale, ha fatto sì che in poco tempo venisse realizzata la prima casa di accoglienza per ragazze ma-dri. L’inaugurazione di quest’ultima è prevista per gli inizi di ottobre, però la strut-tura è operativa, perché qual-

cuno ha già bussato alla sua porta. Le vie del Signore sono davvero infinite, e chis-sà, camminando, camminando, cos’altro potremo aggiungere a quello già fatto e detto finora. La Fraternità non ha porte, solo una strada da costruire giorno dopo giorno con l’aiuto di chi vorrà e speriamo di essere sempre di più.

Elisa Mansi

Raccogliere il grido della Vita

Parte dal 1° ottobre un’interessante iniziativa promossa dalla Fraternità di Emmaus: una rete di preghiera per la vita nascente. Ogni giorno tante mamme decidono di non posare lo sguardo sul loro bambino e perdono l’occasione di cogliere lo splen-dore della sua bellezza. Scelgono di abor-tire. Tante volte, anzi troppe volte, ci accorgiamo che le parole non bastano. Solo la preghiera può vincere la tentazio-ne e aiutare ciascuna donna a trovare in Maria, un segno di sicura speranza e con-solazione. Ecco perché è nata l’idea di lanciare una rete di preghiera per la vita. Ogni giorno per ogni ora, anche la notte, ci sarà qual-cuno che nel silenzio della sua casa o do-ve si troverà in quel momento reciterà il rosario con questa intenzione. Una quotidiana invocazione per chiedere luce alle mamme che si trovano in diffi-coltà ad accogliere una nuova vita e che vorrebbero abortire e per i volontari che

fanno i colloqui. Tante richieste sono giunte da tutta Italia per entrare in que-sto fiume silenzioso che scorre tra le pie-ghe della nostra storia ordinaria: mona-che, sacerdoti, frati, sposi e giovani. Piccole gocce, grandi gesti per chi crede nella forza della preghiera capace di spo-stare le montagne e cercare di combatte-re questa piaga silenziosa che lentamente distrugge il tessuto sociale. L’iniziativa parte il 1° ottobre, giorno in cui la Chiesa ricorda Santa Teresa di Ge-

sù Bambino, piccola monaca carmelitana che ha fatto della preghiera la sua più grande missione e giorno in cui inizia anche il mese dedicato alla Vergine Maria del Rosario di Pompei. L’iniziativa è stata lanciata attraverso una pubblicazione di un piccolo opuscolo, edito dall’Editrice Punto Famiglia, che reca i commenti del beato Giovanni Paolo II, il grande papa della Vita. Nella prefazione curata da Mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi, leggiamo: “Prendere la corona tra le mani significa imboccare la via della vita. Preghiera e azione. Contemplazione e testimonianza”. Ecco allora individuata la sorgente di ogni nostra azione la preghiera che ci invita a guardare all’essenzialità e alla bellezza di ogni vita.

Giovanna Abbagnara

Chi volesse aderire a questa iniziativa può rivolgersi a: Giuseppina Bafunti tel.: 081.5131062 – 392 93 18 822 sito: www.puntofamiglia.net

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Fino a quindici anni fa circa si parlava dell’eclissi di Dio, giungendo anche ad affermare che la sfera religiosa sarebbe del tutto sparita dalla società. Oggi, se si eccettuano taluni tentativi di elaborare un “nuovo ateismo”, giudicati dai critici come più stravaganti che oggettivamente pertinenti, siamo di fronte a una grossa sorpresa: Dio è tornato. Quella che era la questione centrale della fine dell’epoca moderna, il binomio eclissi/ritorno di Dio assume, nella post-modernità, un’altra, forse più adeguata, formulazione. Oggi la domanda cruciale non è più: “Esiste Dio?”, ma piuttosto: “Come aver notizia di Dio?” E quindi: “Come Dio si comunica a noi così che si possa narrare Dio, e comunicarlo in quanto Dio vivo all’uomo reale che vive nel mondo reale? Come nominare questo Dio perché l’uomo post-moderno - cioè cia-scuno di noi - lo percepisca signi-ficativo e quindi conveniente?”. Nell’ottica occidentale, influen-zata radicalmente dal giudaismo e dal cristianesimo, Dio è Colui che viene nel mondo. Se viene nel mondo è distinto da esso, ma questo non esclude la possibilità che gli uomini lo colgano come familiare. Allora per parlare di Dio all’uomo post-moderno, «si deve azzardare l’ipotesi che sia Dio stesso che viene nel mondo ad abilitare l’uomo a divenirgli familiare» (Jungel). È necessario domandarsi prima se c’è una familiarità tra Dio e l’uomo e inter-rogarsi su di essa perché Dio possa essere veramente conosciuto. Un problema di sempre, è divenuto particolarmente acu-to nella post-modernità che non è inte-ressata ai discorsi sui massimi sistemi, sulle mondovisioni, ma è sempre più presa dai problemi del vivere quotidiano. Per l’uomo di oggi la questione non è tanto se esiste Dio, ma se esiste cosa ha a che fare con me ogni giorno. Mi è fami-liare? Ebbene la convinzione che Dio si è fatto conoscere e si è reso familiare per-ché si è compromesso con la storia degli uomini è nel DNA della mentalità occi-

dentale. Se le cose stanno così allora cerchiamo di scoprire come la presenza di Dio ci di-venta quotidianamente familiare, giun-gendo a colmare, in modo del tutto gra-tuito, il desiderio in senso pieno, scio-gliendo l’inquietudine di cui parlava Ago-stino. In questo modo la parola desiderio acquista tutto il suo spessore, che non si lascia ridurre, come quasi sempre noi rischiamo di fare, a una pura aspirazione soggettiva, ma vive nella sua pienezza bipolare, come il tendere con tutte le nostre forze al reale, il cui orizzonte ulti-mo è l’infinito e propriamente parlando Dio stesso.

La possibilità di aver notizia di Dio e di narrare di Lui sta nell’ascolto di quanto Egli ha voluto liberamente comunicarci. E conviene dire subito che la comunica-zione gratuita e piena del Dio Invisibile ha un nome proprio, è una persona vi-vente: Gesù Cristo. In lui, morto e risor-to, Dio ci viene incontro in quanto Dio. Per dire Dio occorre, quindi, approfon-dire la lingua della creatura che il Verbo incarnato ha voluto liberamente assume-re. È necessario comprenderne, per così dire, la grammatica. Quella grammatica che è capace di narrarci il Divino. Così, non solo il cristiano sarà in grado di con-fessarlo come il suo Signore e Dio, ma ogni uomo, anche colui che si dice non credente, lo potrà riconoscere.

Card. Angelo Scola

“Mi si consenta di cominciare le mie rifles-sioni sui fondamenti del diritto con una piccola narrazione tratta dalla Sacra Scrit-tura. Nel Primo Libro dei Re si racconta che al giovane re Salomone, in occasione della sua intronizzazione, Dio concesse di avan-zare una richiesta. Che cosa chiederà il giovane sovrano in questo momento? Suc-cesso, ricchezza, una lunga vita, l’eliminazione dei nemici? Nulla di tutto questo egli chiede. Domanda invece: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo po-polo e sappia distinguere il bene dal male”. Con questo racconto la Bibbia vuole indi-carci che cosa, in definitiva, deve essere importante per un politico. Il suo criterio ultimo e la motivazione per il suo lavoro come politico non deve essere il successo e tanto meno il profitto materiale. La politi-ca deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace. Naturalmente un politico cercherà il successo senza il quale non potrebbe mai avere la possibilità dell’azione politica effettiva. Ma il successo è subordinato al criterio della giustizia, alla volontà di attu-are il diritto e all’intelligenza del diritto. Il successo può essere anche una seduzione e così può aprire la strada alla contraffazione del diritto, alla distruzione della giustizia. “Togli il diritto – e allora che cosa distin-gue lo Stato da una grossa banda di brigan-ti?” ha sentenziato una volta sant’Agostino. Noi tedeschi sappiamo per nostra espe-rienza che queste parole non sono un vuo-to spauracchio. Noi abbiamo sperimentato il separarsi del potere dal diritto, il porsi del potere contro il diritto, il suo calpesta-re il diritto, così che lo Stato era diventato lo strumento per la distruzione del diritto – era diventato una banda di briganti mol-to ben organizzata, che poteva minacciare il mondo intero e spingerlo sull’orlo del precipizio. Servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia è e rimane il compito fondamentale del politico. In un momento storico in cui l’uomo ha acqui-stato un potere finora inimmaginabile, questo compito diventa particolarmente urgente…”.

Dal discorso di Benedetto XVI

Come incontrare Cristo oggi? Spunti di riflessione offerti dal Papa

agli uomini della politica

Page 12: Incontro ottobre 2011

CELEBRAZIONI DEL MESE DI OTTOBRE

GIORNI FERIALI Ore 18.00: Santo Rosario Ore 18.30: Santa Messa GIORNI FESTIVI Ore 18.30: Santo Rosario Ore 19.00: Santa Messa

Da Domenica 30 ottobre: GIORNI FERIALI Ore 17.00: Santo Rosario Ore 17.30: Santa Messa GIORNI FESTIVI Ore 17.30: Santo Rosario Ore 18.00: Santa Messa GIOVEDI’ 6-13-20-27 ore 18.30: Santa Messa e Adorazione Eucaristica 2 OTTOBRE- XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-– 19.00: Sante Messe Ore 10.30: Santo Rosario Ore 11.15: Santa Messa e Supplica alla B.V. del Rosario 4 OTTOBRE: San Francesco Patrono d’Italia 9 OTTOBRE- XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-10.30– 19.00: Sante Messe

8 - 15 OTTOBRE CAVA DE’ TIRRENI

“Educare …solidali con la famiglia XV CONVEGNO ECCLESIALE DIOCESANO

11 OTTOBRE ore 18.00: Pinacoteca del Duomo di Ravello Sezione foraniale del Convegno

16 OTTOBRE - XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-10.30– 19.00: Sante Messe

18 - 25 OTTOBRE Chiesa di San Francesco: Ottavario di preghiera animato dalle foranie dell' Arcidiocesi di Amalfi-Cava de' Tirreni in preparazione alla solennità liturgica del Beato Bonaventura da Potenza 22 OTTOBRE - AMALFI Cattedrale ore 18.30: Veglia Missionaria Diocesana Mandato dei catechisti zona Costiera

23 OTTOBRE - XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Ore 8.00-10.30– 19.00: Sante Messe “Giornata Missionaria Mondiale”

26 OTTOBRE: Solennità liturgica del Beato Bonaventura da Potenza Inizio dell'anno celebrativo del 3° Centenario della sua morte

30 OTTOBRE - XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Ore 8.00-10.30– 18.00: Sante Messe