Giornale Aprile 2015 - La Tenda

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Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua 1 Distribuito senza scopo di lucro Carissimi fratelli e sorelle, abbiamo con- cluso la quaresima. Per la nostra comunità è stato veramente un momento forte a livello celebrativo, con il momento sei- manale della Via Crucis, vissuta anche per le vie del nostro paese, con grande parteci- pazione ed entusiasmo da parte dei mem- bri delle nostre parrocchie. I momenti di adorazione e il meraviglioso itinerario svolto nelle strade della rappresentazione sacra della Passione, morte e risurrezione del Signore che ha visto partecipare tuo il paese nella commozione e nel proposito di essere migliori, di compiere un cammi- no di conversione per poter dire insieme all’Apostolo Paolo “il mio vivere è Cristo”. Grande affluenza anche alle confessioni che ci hanno preparato, nella seimana santa, a vivere più pienamente e meno indegnamente la Pasqua del Signore. La domenica delle Palme e la Seimana San- ta, specialmente il Triduo Pasquale, centro dell’Anno Liturgico, dell’anno della vita della Chiesa, è stato il momento più forte per la nostra vita di fede che si deve tra- durre in vita vissuta e offerta per la gloria di Dio, il bene dei fratelli e la nostra santi- ficazione. Non è mancata l’aenzione ai poveri della nostra comunità parrocchiale e la vicinanza agli anziani e ammalati, visi- tati, come sempre si è soliti fare, portando loro la consolazione della Parola di Dio e l’Eucaristia. Meditare ogni anno questo Mistero d’Amore, di Dio che, faosi uo- mo, muore in Croce per noi, portando con Se i nostri peccati e donandoci la salvezza nella Risurrezione, infonde nel nostro ani- mo tanta speranza e consolazione. (SEGUE) Dalla Croce alla Luce A Lanciano, una ciadina in provincia di Chie, è conserva- ta la reliquia del corpo eucarisco di Cristo, trasformatosi in carne durante la celebrazione della santa messa di Nata- le. La storia narra di un sacerdote che, durante l’elevazio- ne, colto da un forte dubbio, negò la presenza di Gesù eu- carisa nell’osa e nel vino. Proprio in quel momento l’o- sa nelle sue mani si trasformò in un pezzo di carne san- guinante e il vino nel calice divenne sangue. Dopo mol esami approfondi, il pezzo di carne si rivelò essere parte di un cuore umano: più specificatamente il ventricolo sini- stro, la parte più profonda del cuore. È con questa storia che è stata introdoa la “Rappresentazione della Passione, morte e resurrezione vivente di Gesù”, svoltasi il 29 Marzo e il 1 Aprile nello sce- nario della villa comunale e del monte di San Vito, con la speranza che questa iniziava avrebbe toccato la parte più profonda del cuore di ogni partecipante. E così è stato. La piazza della villa comunale ha fao da sfondo alla ripro- duzione dell’ulma cena, scena curata nei minimi deagli e che ha visto come protagonis Gesù e i dodici apostoli. La lavanda dei piedi, il pane spezzato e condiviso tra i dodici, la consapevolezza che quei ges sarebbero sta la fine e l’inizio di un grande mistero, hanno dato vita alle sacre scriure. Tra scale e viali, la folla ha assisto in un clima che sembrava riportare nel cenacolo, insieme a Gesù. ©Anna Maria Eori

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Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua

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Dis

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ucr

o

Carissimi fratelli e sorelle, abbiamo con-cluso la quaresima. Per la nostra comunità è stato veramente un momento forte a livello celebrativo, con il momento setti-manale della Via Crucis, vissuta anche per le vie del nostro paese, con grande parteci-pazione ed entusiasmo da parte dei mem-bri delle nostre parrocchie. I momenti di adorazione e il meraviglioso itinerario svolto nelle strade della rappresentazione sacra della Passione, morte e risurrezione del Signore che ha visto partecipare tutto il paese nella commozione e nel proposito di essere migliori, di compiere un cammi-no di conversione per poter dire insieme all’Apostolo Paolo “il mio vivere è Cristo”. Grande affluenza anche alle confessioni che ci hanno preparato, nella settimana santa, a vivere più pienamente e meno indegnamente la Pasqua del Signore. La domenica delle Palme e la Settimana San-ta, specialmente il Triduo Pasquale, centro dell’Anno Liturgico, dell’anno della vita della Chiesa, è stato il momento più forte per la nostra vita di fede che si deve tra-durre in vita vissuta e offerta per la gloria di Dio, il bene dei fratelli e la nostra santi-ficazione. Non è mancata l’attenzione ai poveri della nostra comunità parrocchiale e la vicinanza agli anziani e ammalati, visi-tati, come sempre si è soliti fare, portando loro la consolazione della Parola di Dio e l’Eucaristia. Meditare ogni anno questo Mistero d’Amore, di Dio che, fattosi uo-mo, muore in Croce per noi, portando con Se i nostri peccati e donandoci la salvezza nella Risurrezione, infonde nel nostro ani-mo tanta speranza e consolazione. (SEGUE)

Dalla Croce alla Luce

A Lanciano, una cittadina in provincia di Chieti, è conserva-

ta la reliquia del corpo eucaristico di Cristo, trasformatosi

in carne durante la celebrazione della santa messa di Nata-

le. La storia narra di un sacerdote che, durante l’elevazio-

ne, colto da un forte dubbio, negò la presenza di Gesù eu-

caristia nell’ostia e nel vino. Proprio in quel momento l’o-

stia nelle sue mani si trasformò in un pezzo di carne san-

guinante e il vino nel calice divenne sangue. Dopo molti

esami approfonditi, il pezzo di carne si rivelò essere parte

di un cuore umano: più specificatamente il ventricolo sini-

stro, la parte più profonda del cuore.

È con questa storia che è stata introdotta la

“Rappresentazione della Passione, morte e resurrezione

vivente di Gesù”, svoltasi il 29 Marzo e il 1 Aprile nello sce-

nario della villa comunale e del monte di San Vito, con la

speranza che questa iniziativa avrebbe toccato la parte più

profonda del cuore di ogni partecipante. E così è stato.

La piazza della villa comunale ha fatto da sfondo alla ripro-

duzione dell’ultima cena, scena curata nei minimi dettagli e

che ha visto come protagonisti Gesù e i dodici apostoli. La

lavanda dei piedi, il pane spezzato e condiviso tra i dodici,

la consapevolezza che quei gesti sarebbero stati la fine e

l’inizio di un grande mistero, hanno dato vita alle sacre

scritture. Tra scale e viali, la folla ha assistito in un clima

che sembrava riportare nel cenacolo, insieme a Gesù.

©Anna Maria Ettori

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Ogni anno riviviamo questo passaggio: passaggio dalla morte alla vita! Sta a noi cercare di far si che questo passaggio sia concreto nella nostra quotidianità, che questo passaggio sia concreto nel nostro agire e nel nostro vivere. Chiediamo allora al Signore che ci faccia uomini e donne nuovi, risorti con Lui dal peccato, grazie alla misericordia del Padre. Appare, evi-dentemente provvidenziale, che il Santo Padre Francesco abbia deciso di annuncia-re un Anno tutto dedicato alla Misericor-dia del Padre: un Giubileo che, se già or-dinariamente, per sua natura, è legato al perdono dei peccati e delle colpe, ci vuole far meditare e sperimentare ancor più pro-fondamente l’Amore misericordioso di Dio per noi. E proprio da questo Amore misericordioso di Dio vogliamo partire e ripartire per crescere nella nostra Fede e vivere con Lui, in Lui e per Lui. E la do-menica dopo Pasqua celebriamo proprio la festa della Divina Misericordia, fortemente voluta dal Papa San Giovanni Paolo II: tante le occasioni, dunque, che ci spingo-no a tener presente questo meraviglioso Amore per noi. La gioia dell’annuncio: “Cristo è Risorto” non possiamo tenerla per noi: come i Testimoni della Risurre-zione diffusero nel mondo intero il rac-conto di questo salvifico prodigio, anche noi siamo chiamati a testimoniare con le parole e le opere la Risurrezione di Cristo al mondo intero. E non serve andare lon-tano, basta iniziare dalla nostra famiglia, dai nostri amici, dai nostri colleghi, dalla nostra comunità di San Vito Romano. Colgo la gradita occasione di porgere, uni-tamente ai sacerdoti, miei collaboratori, e ai seminaristi, a tutti voi Sanvitesi il mio augurio più sincero, per una Santa Pa-squa. Affidiamo al Signore tutte le nostre inten-zioni e chiediamo la Sua Benedizione. San Vito Romano, 05.04.2015, Santa Pasqua

Don Carmelo Salis, parroco

Edito

riale

I personaggi si sono poi spostati nella parte superiore della

villa, dove ha preso vita la scena dell’orto degli ulivi seguita

dall’arresto di Gesù e dal

giudizio dinanzi a Caifa e

agli altri membri del sine-

drio. Scenografie e inter-

pretazioni hanno trasfor-

mato San Vito nei luoghi

di un tempo, grazie ad un

gioco di luci e di ombre

che sembrava invitare la

platea a pregare per le

ultime ore di vita di Gesù.

Il susseguirsi degli eventi è

noto ai nostri lettori: dalla sentenza di Pilato alla rimessa in

libertà di Barabba, passando alla flagellazione per mano dei

centurioni e delle guardie. Quello che merita di essere mes-

so in risalto è la bravura e l’impegno dei vari interpreti che

hanno saputo fronteggiare delle parti così importanti. Ve-

dere i nostri compaesani nelle vesti di Gesù e degli altri per-

sonaggi, ha dimostrato quanti siano i talenti riposti in ognu-

no e quanti i cuori disposti a mettersi al servizio. Tra i mo-

menti più suggestivi la via del calvario è sicuramente uno di

questi: le tre cadute di Gesù, La Veronica e l’aiuto del Cire-

neo rappresentano le cadute di ognuno, i pesi dell’umanità,

ma allo stesso tempo la spinta a rialzarsi, la mano sempre

tesa di chi abbiamo accanto.

“Dalla croce alla Luce”. Questa la frase posta su un’insegna

all’entrata della villa che conduce al monte di San Vito, un

perfetto Golgota alla cui sommità spiccavano le tre croci

con i due ladroni e Gesù al centro. Questa la riproduzione di

una delle scene più commoventi e forti di sempre: il pianto

di Maria e delle pie donne, l’agonia e la morte di Gesù.

Quando ormai tutto sembrava concluso e si era pronti a

dirigersi verso la Chiesa di San Vito per ascoltare le parole

conclusive del parroco, ecco che la rappresentazione ha

preso di nuovo vita. Una porta, quella della Chiesa, chiusa

da un muro, il muro del sepolcro, simbolo di tutti i nostri

muri, di tutte le nostre difficoltà. È Gesù a romperlo e ad

uscire vittorioso donando alla platea un messaggio impor-

tante: la Sua Resurrezione. La Speranza. Quella vera. Il cam-

mino dalla villa al monte di San Vito è stato proprio questo:

un grande messaggio di Speranza, una scalata verso il Bene.

La rappresentazione della Passione vivente di Gesù è stato

un evento che rimarrà nelle menti e nei cuori di tutti e sì, ha

toccato veramente la parte più profonda del cuore di ognu-

no. La redazione

©Anna Maria Ettori

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Parole di Vita «Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?». «La tomba

del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto, e gli angeli

suoi testimoni, il sudario e le sue vesti. Cristo, mia speran-

za, è risorto: precede i suoi in Galilea». Così termina la

sequenza che precede il Vangelo di oggi, Pasqua di Resur-

rezione. Il sole ancora non sorge e Maria, la Maddalena va

al sepolcro a trovare il corpo del suo Gesù. Ma un Impre-

visto la sorprende: la pietra è rimossa dal sepolcro e Gesù

non c'è. Allora Maria corre, va di fretta, quella fretta che

sa di meraviglia e paura insieme : «Hanno portato via il

Signore e non sappiamo dove l'abbiano posto». Con que-

ste parole irrompe nella giornata di Simon Pietro e di Gio-

vanni che trascinati dagli stessi sentimenti della Maddale-

na corrono anche loro al sepolcro. Il Sepolcro è vuoto: ci sono solo le bende distese e il sudario

piegato. Davanti all'evidenza come si fa a non credere? È l'evidenza di un Imprevisto: la Resur-

rezione. È un Imprevisto perché umanamente è qualcosa di inspiegabile. Gesù è veramente ri-

sorto, Gesù ha vinto la morte, l'ha vinta per ridare a noi la vita, per farci essere come Lui, per

farci risorgere con Lui. Giovanni e Pietro vedono e credono, non dubitano, neanche un istante.

La paura e la meraviglia si trasformano in fede, in entusiasmo, in testimonianza. Maria Madda-

lena, Giovanni, Pietro sono i primi testimoni, sono i primi fedeli. Impariamo da loro a credere,

all'istante. Impariamo da loro a credere a quell' Imprevisto che accade nella nostra vita e la ren-

de un capolavoro. Domandiamo a loro un aumento di fede, quella fede che ci fa dire quotidia-

namente nella nostra vita: «Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto»!

Francesca Micocci

"Pace a voi!" È questa l'esclamazione e il dono che risuona per ben tre volte nel Vangelo di que-

sta domenica. Il Signore è risorto, ma sceglie di mostrarsi di nuovo ai suoi discepoli perché co-

nosce i loro cuori e vuole donargli ancora qualcosa: LA PACE. Soltanto accogliendo lo Spirito

Santo questi fratelli, che hanno condiviso la loro vita con Gesù, potranno donare al mondo la

gioia e la speranza della fede! Non tutti però scelgono di accettare l'amore di Gesù, un po’ co-

me fa Tommaso, assente "la sera di quel giorno”. La paura di rischiare e di metterci in gioco nel-

la nostra vita, non ci rende sereni e fa allontanare sempre di più quella fede nell'unica persona

che potrà realmente salvarci da ogni inquietudine, tormento o rimorso...insomma dal peccato e

dai nostri continui dubbi e smarrimenti. L'invito del Vangelo è chiaro: riconoscere Gesù come

"Mio Signore e mio Dio!". Pur non toccandolo con mano, la bellezza è che avremo una ricom-

pensa anche stavolta: "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!". È credendo che

avremo la vita.

Marta Iacovacci

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Spesso è difficile comprendere il modo in cui Dio ope-

ra nelle nostre vite. Nel Vangelo di Luca i due discepo-

li, di ritorno da Emmaus, riferiscono agli altri ciò che

gli è accaduto lungo la via e come hanno riconosciuto

Gesù nello spezzare il pane. È indicativo il modo in cui

Gesù apparve loro, così inaspettatamente, in un luogo

qualsiasi, senza preavvisi; infatti, nonostante Egli fosse

in carne ed ossa, i discepoli non lo riconobbero. Anche

noi non sappiamo come si presenta Dio nelle nostre

vite e come opera lungo il nostro cammino, ma siamo

certi che Egli c’è e che attraverso segni più o meno

evidenti ci invita a fare delle scelte, ci ammonisce o ci incoraggia. Gesù è una presenza costante ma è

sempre nelle nostre mani la libertà di scegliere se accogliere la Sua presenza e ridisegnare la nostra

strada secondo la Sua volontà. Come per i discepoli, la maggior parte delle volte, è Gesù che viene in-

contro a noi e noi non lo riconosciamo, lo allontaniamo o siamo troppo impegnati a percorrere la stra-

da che ci siamo prefissati per accorgerci della Sua presenza. Così proseguiamo per il cammino che rite-

niamo giusto per la nostra vita e spesso inciampiamo, a volte cadiamo bruscamente, allora Dio ci rin-

corre, ci aiuta ad alzarci, è con noi come nessun’altro anche se non siamo in grado di accorgercene e

siamo increduli. Nel Vangelo, infatti, Egli dice: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro

cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha

carne e ossa come vedete che io ho”. I discepoli pensavano di vederlo solo in spirito, sono dubbiosi,

ma Lui li salva dall’incredulità dei loro occhi e dalla schiavitù del loro cuore e li manda a predicare a

tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati. Gesù risorto ha vinto i limiti umani, Egli è con

ognuno di noi in ogni momento della nostra storia e possiamo toccare con mano i Suoi doni. Egli ci

vuole far comprendere che la Sua presenza non è astratta, non è solo nella nostra mente ma è visibile,

è reale, ed è viva.

Eleonora Cenci

E’ forse uno dei vangeli più famosi, Cristo che si paragona al “buon pastore” . Giovanni ci ri-

porta quelle parole di Gesù secondo le quali noi siamo un gregge, siamo il gregge di Dio. Il pa-

dre ci conosce e ci ama uno a uno.

Un pastore non solo conosce ciascuna delle sue pecore, ma le cura, le nutre, le ama.

Dio però non è solo un pastore, Dio è il pastore buono, è il pastore che ci dà anche la vita. Dio

non sarà mai come il mercenario che appena vede il lupo scappa lasciando le pecore da sole,

Dio, all’arrivo del lupo resta con noi, ci protegge, Dio è lì in prima linea a difenderci e ad

affrontare il lupo.

Il Padre ci conosce, di noi conosce ogni particolare. Lui ci ha creati e lo ha fatto in sé. Siamo le

pecore di un Buon Pastore, siamo miracoli di Dio.

Il Vangelo di questa domenica manda un forte messaggio. Come pecore di Dio dobbiamo for-

mare un solo e unico gregge, che ascolta e ama il proprio pastore. E come gregge dobbiamo

stare uniti, amarci e rispettarci gli uni gli altri. Cosicché se una pecora dovesse smarrire la stra-

da noi saremo insieme al nostro Buon Pastore a cercarla e a ricondurla nel gregge di Dio.

Lucia Testa

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2 Aprile 2005-2 Aprile 2015: 10 anni di memoria La chiesa è gremita di gente, per la

maggior parte genuflessa. Mani

giunte, rosari sgranati, occhi chiusi.

È il 2 Aprile 2005 e a San Vito, come

nel resto d’Italia e di parte del mon-

do, si prega, col cuore in attesa. I

ricordi sono quelli di una bambina

di 11 anni che ha saltato la cena per

andare nella Chiesa di Santa Maria

e “vegliare”, come le aveva spiega-

to la mamma. La tensione si può

quasi toccare con mano, la speran-

za sentire nei sospiri della gente.

Le condizioni di salute di Giovanni Paolo II si sono aggravate durante la notte, ma i fedeli di

tutto il mondo sono certi che ce la farà, che supererà anche questa. È la forza della fede,

che va oltre le scoperte scientifiche, i referti medici e le innovazioni tecnologiche. Le Ave

Maria si rincorrono, interrotte solo dai Padre Nostro e i Gloria. Niente parole inutili, nessun

chiacchiericcio. Solo preghiera. E la chiesa si fa Chiesa. Tutte le preoccupazioni, le liti, la

stanchezza passano in secondo piano, per riunire i cuori nella speranza della guarigione.

Ma alle 21.45 circa la terribile notizia: il Papa è tornato alla casa del Padre.

Silenzio. Nessuno ha il coraggio di parlare. Nell’incredulità generale le prime lacrime co-

minciano a scorrere sul viso di qualcuno, la tristezza, il dolore, la paura si fanno lentamente

spazio nelle menti. E una domanda prima di tutte affiora: “perché?” Per quanto si possano

usare logica e razionalità, non si riesce mai a farsi una ragione della morte. Dopo le ore di

veglia, i chilometri percorsi dai pellegrini per raggiungere piazza San Pietro e pregare con e

per il Papa, non si comprende perché la morte. Che senso ha la preghiera se la morte poi

ha sempre l’ultima parola? E l’interrogativo è legittimo. Quante volte si prega, si spera in

qualcosa e puntualmente se ne verifica un’altra, triste e dolorosa? Sembra quasi che a vol-

te Dio se ne rimanga lì a guardare, impassibile, senza far niente.

Ma le risposte arrivano, ora come dieci anni fa. Nei giorni successivi alla morte di Giovanni

Paolo II Roma è diventata il centro dell’universo: tre milioni di persone provenienti dai più

disparati paesi del mondo si sono messe in viaggio per un ultimo saluto al Papa della pace,

dell’amore, della fede e della pietà. Ed ecco la risposta: tra quei tre milioni molti sono

ebrei, protestanti, musulmani, atei. La fede, quella vera, unisce, non divide. E sì, forse Dio è

rimasto a guardare. Per godersi lo spettacolo di ciò che l’Amore, il Suo, attraverso le parole

e i gesti di un uomo, è riuscito a fare.

La morte mai avrà l’ultima parola, c’è sempre un disegno più grande, un progetto di felicità

a lungo termine di cui godere a tempo debito.

Sofia Testa

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Il Nostro è uno sport che con-vince perché educa

La Squadra Parrocchiale nasce come attività della pastorale dello sport e tempo libero

Lo sport ha le sue radici nel gioco, che è l’attività per eccellenza dei bambini, attraverso la

quale imparano e crescono. Nel gioco prevale la spontaneità, la creatività, il piacere fine a

se stesso; nello sport subentrano obiettivi più mirati e tecnici finalizzati ad un migliora-

mento di prestazioni, nonché alla vittoria. Il ragazzo dovrebbe fare lo sport come gioco,

con la spensieratezza e il divertimento propri della sua età e nello stesso tempo sviluppa-

re quelle abilità e capacità psico-fisiche che gli permettano di far emergere le sue doti at-

letiche. Lo sport permette di apprendere e potenziare qualità personali utili nella vita:

· imparare a resistere alla fatica fisica, allo sforzo e al dolore, fortificando il corpo e stimo-

lando le difese naturali;

· imparare a conoscere il proprio corpo e le sue potenzialità;

· imparare a stare con gli altri, a comunicare, a condividere idee ed emozioni;

· imparare a collaborare con gli altri, uscendo dal proprio egocentrismo;

· imparare il senso delle regole e della disciplina;

· imparare il senso della giustizia, della lealtà, del rispetto dell’altro (soprattutto di chi è

nell’altra squadra);

· vivere esperienze emozionali molto forti: l’ansia per una gara importante; la paura di

non farcela, la soddisfazione per una buona prestazione, la sorpresa della vittoria o della

sconfitta, la rabbia e la frustrazione per non essere riusciti così come si desiderava, la de-

lusione e la tristezza per un mancato risultato o per un comportamento scorretto proprio

o degli altri, l’imbarazzo e la vergogna per un errore, l’orgoglio di aver superato un pre-

sunto limite e tante altre ancore;

· imparare a controllare la propria impulsività;

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· imparare ad ascoltare e a seguire le

indicazioni degli educatori;

· imparare a pensare, a ragionare e a

creare idee per risolvere i problemi.

Grande Esempio per me e chi mi colla-

bora è Don Bosco con il Suo Sistema

Preventivo: “l’educazione è cosa di cuo-

re” e anche l’allenatore - se vuole edu-

care i ragazzi attraverso lo sport e allo

sport – deve considerare che ogni ragaz-

zo è prima di tutto una persona che va

accolta, amata, incoraggiata e valorizzata nella sua unicità, originalità e preziosità perché in

ciascuno c’è “un punto accessibile al bene” che va riconosciuto ed è su questo che si deve

far leva. “Chi vuol essere amato bisogna che faccia vedere che ama”. Su questo principio si

basa l’autorevolezza e l’autenticità dell’allenatore, testimonial di valori forti e vitali. In que-

sto modo l’attività sportiva può davvero concorrere alla promozione della persona e alla

prevenzione del disagio e della sofferenza esistenziale, offrendo ai ragazzi opportunità pre-

viamente organizzate e finalizzate per sviluppare le potenzialità insite in ciascuno. Il siste-

ma è preventivo perché non è lasciato al caso ma è guidato dalla ragione, dalla religione,

dall’amorevolezza e da una fiducia smisurata nella preziosità di ognuno.

Di seguito riporto alcune espressioni dei ragazzi:

In questa squadra ho trovato spirito di amicizia e non competizione, fare bene le cose sem-

plici di noi ragazzi e farle diventare speciali grazie al cammino formativo (Niccolò)

Mi diverto e sto bene con tutti, sto crescendo. (Gabriele Mastrogiacomo)

Questa squadra è speciale, inizialmente presa da me sottogamba, in seguito ne sono rima-

sto entusiasta. E’ stata creata per far divertire i ragazzi , farli stare insieme e soprattutto

non esistono i più forti e i più deboli ma tutti siamo protagonisti.

(Samuele Giustiniani)

La squadra ci trasmette speranza, unità

e fraternità, ci stiamo educando a stare

insieme ed amarci. (Samuele Trinchieri)

Si vive il senso vero dell’amicizia.

(Fabio Paoliani)

Gerardo Diglio

Gianni Giustiniani

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C’era una volta... C’era un tempo in cui i contadini di San Vito Romano si recavano ai loro campi alzandosi la mattina

di buon’ora, prima che sorgesse il sole, tutti a piedi o con muli e cavalli, perché non c’erano, come

adesso, le automobili e le ampie strade per accedere alle campagne, ma soltanto dei tracciati, delle

stradine di comunicazione che attraversavano i terreni, chiamate vie mulattiere. Su questi percorsi

era tutto un andirivieni di persone ed animali da soma da mattina a sera.

Al tramonto, dopo una giornata di pesante lavoro, ogni contadino riportava a casa ciò che serviva:

chi la legna, chi la frutta, la verdura o altre cose utili alla famiglia. Lungo la via del ritorno, stanchi del

lungo cammino, avevano dei punti di riferimento dove riposare e dire una preghiera, per poi ripren-

dere la strada fino a casa.

Con l’avvento del “boom economico” e del benessere, tutti hanno cominciato a creare strade d’ac-

cesso nelle campagne, con il conseguente abbandono delle vecchie vie mulattiere e così anche di

quei vecchi punti di sosta e riposo, lasciati a se stessi in stato d’abbandono. Questi luoghi di ritrovo

sono situati lungo le strade intorno al paese: sono cappellette con all’interno raffigurate immagini

sacre. Al momento avrebbero bisogno urgente di una sistemazione, dato il loro stato di decadimen-

to.

Spero che il racconto serva a far comprendere che abbiamo un patrimonio appartenente alle nostre

origini ed a stimolare i Sanvitesi a creare un gruppo di volontari per il ripristino di queste caratteristi-

che cappelline, molto utili in passato. Occorrerebbe, dunque, manodopera, un gruppo di coordina-

mento lavori, una raccolta fondi per l’acquisto di materiali. Sperando altresì nella collaborazione da

parte del comune per il disbrigo delle pratiche burocratiche necessarie all’attuazione degli interven-

ti. In questo momento di crisi in cui stiamo perdendo le “nostre” caratteristiche culturali, le “nostre”

connotazioni storico-geografiche in nome della globalizzazione, sarebbe bello pensare, seppure nel

rispetto delle altre culture, ad una collaborazione per il ripristino di ciò che ci accomuna nelle radici.

Per partecipare a questa iniziativa, contattare i numeri 3337481363 e 069571643

Giovanni Carrarini

SACRIFICIO Dal latino SACRUM ‘sacro’ e FICIUM che sta per FACERE, ‘fare’: ‘rendere sacro’, ’fare sacre le

cose’. La parola trova le sue origini nei riti sacrificali nei quali, per ottenere benefici, si immola-

vano animali a Dio. Si rinunciava, per così dire, a qualcosa di proprio per offrilo a Dio. Con il

tempo, quindi, la parola è divenuta quasi sinonimo di rinuncia, assumendo una connotazione

non del tutto positiva. Tale concetto, pur essendo molto presente, non è però l’unico significato

contenuto nella parola. Sacrificare, ancor prima di ’rinunciare’, significa ’fare sacre le cose’. La

rinuncia, per così dire, è una conseguenza del sacrificio, ma non per questo la parola deve assu-

mere un significato negativo. Rinunciare al proprio tempo, rinunciare un po’ a se stessi significa

donarsi. Essere disposti a fare spazio all’altro dimostrandogli quanto sia importante per noi.

Ecco quindi che sacrificio vuol dire donare importanza a quanto abbiamo, celebrare la sacralità

di tutte le cose. Dare loro il valore che contengono. Renderle, per l’appunto, sacre.

Adriana Rossi

Semi di parole...

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La testimonianza del mese

La testimonianza del mese

Mi è stato chiesto di raccontare il mio viaggio in Colombia, nella missione “Madre Letizia” e, dopo

averci pensato un po’, ho deciso di accettare perché credo che le cose belle vadano condivise.

Non so se nei giorni che ho trascorso a Ocaña ho fatto esperienza di missione, ma sicuramente ho

fatto esperienza di Dio. Quello che ho visto, provato, vissuto non sarebbe possibile se non fosse

opera di Dio, se non ci fosse Lui a vegliare sulle suore che ogni giorno devono affrontare mille

difficoltà, ma lo fanno sempre con il sorriso; se non ci fosse Lui a vegliare sui bambini ospiti della

missione, che vengono da situazioni di sofferenza, ma che trasmettono la gioia di vivere; se non ci

fosse Lui a “ispirare” tanti amici e benefattori a sostenere con il loro aiuto materiale e con la loro

vicinanza i progetti che nascono per aiutare i bambini ad avere una vita serena; se non ci fosse la

Sua Provvidenza. Tante persone che ho incontrato in questi giorni mi hanno chiesto cosa ho fatto

in missione e quando rispondo che ho fatto molto poco, mi guardano sorpresi. Ho messo a dispo-

sizione il mio tempo, ho giocato con i bambini, li ho ascoltati, mi sono persa nei loro abbracci. Ma

quello che ho ricevuto è stato molto di più e sicuramente migliore di qualunque cosa potessi desi-

derare. Ho ricevuto tanto da parte di tutti, dalle suore che mi hanno accolta e fatta sentire a casa

dal primo momento; dai bambini che hanno abbattuto ogni mia paura semplicemente con un sor-

riso o un abbraccio; dalle persone che ho incontrato e che mi hanno trattata come una di loro. E

soprattutto ho vissuto l’ amore di Gesù per i più piccoli, per chi si affida, per me. Ho avuto la pos-

sibilità di passare tanto tempo in compagnia di Gesù Eucaristia, nella cappella che è il centro della

missione, dove iniziano e finiscono le giornate e dove spesso si passa anche solo per un breve mo-

mento. Sembra strano ma a volte bisogna fare migliaia di chilometri per apprezzare quello che

abbiamo a portata di mano ogni giorno! In quella cappella ho trovato l’amore e la pazienza per

avvicinare i bambini che danno tutto ma anche vogliono tutto, da sola non ce l’avrei fatta. In quel-

la cappella c’è la forza della missione.

Uno dei momenti più belli e che ricordo con più nostalgia è il rosario che i bambini e le suore reci-

tano ogni sera davanti all’Eucaristia: c’è confusione, si salta qualche Ave Maria, ma senti che Gesù

è lì, presente e vivo. Uno dei momenti più difficile è stato dover accompagnare una ragazza alla

stazione dei pullman, perché aveva deciso di tornare a casa, anche se l’aspettava una situazione

difficile. Ma amare è anche rispettare le decisioni degli altri e lasciare andare.

La missione “Madre Letizia” si trova a Ocaña, una città a nord della Colombia. Le Suore Figlie di

Nostra Signora dell’Eucaristia accolgono bambini e bambine che vengono abbandonati o portati

in missione dagli stessi genitori che non possono tenerli per mancanza di lavoro o perché fuggono

da zone dove c’è la guerriglia. In missione trovano persone che li amano, la possibilità di studiare

e avere un futuro migliore, ma soprattutto una casa che sarà sempre la loro casa, anche quando

prenderanno il volo. Ci sono bambine piccole come Yureini o Sail che frequentano l’asilo nido, e ci

sono ragazze che frequentano l’università. La maggior parte dei bambini e delle ragazze va a

scuola la mattina, quindi il pomeriggio si sta insieme e ho potuto avvicinare molti di loro. Vorrei

poterli nominare tutti, perché tutti sono speciali e hanno lasciato un segno in me, ma sarebbe un

elenco molto lungo, al momento ci sono più di cinquanta bambini in missione. Come in ogni fami-

glia, ognuno ha il proprio compito e questo è fondamentale perché non sia il caos a regnare.

Lasciare Ocaña e tornare a casa è stato difficile, e credo che una parte di me sia rimasta lì, in atte-

sa che vada a recuperarla. Ringrazio tutte le persone che mi hanno sostenuta e accompagnata

con la loro preghiera. Ma soprattutto ringrazio Dio per il dono immenso che mi ha fatto facendo-

mi vivere questa esperienza e mettendomi accanto persone speciali che mi hanno trasmesso il

Suo Amore.

Annarita Gentilezza

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Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua

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Lo spunto culturale del mese

L’inferno non è diavoli e forconi. Non è fiamme e

torture. Non è fuoco e dannati. L’inferno è il gelo

totale che non lascia penetrare l’amore. E niente

brucia più di questo.

“L’inferno è pura sottrazione, è togliere tutta la

vita e tutto l’amore da dentro le cose”. Così scrive

Alessandro D’Avenia, giovane scrittore e autore di

“Ciò che inferno non è”, un libro che tocca le corde

più profonde sin dalle prime righe.

1993. Palermo, lo scenario su cui si apre il roman-

zo. Ed in questa città si snodano vie che portano in

quartieri “infernali”, come Brancaccio, dove imper-

versa la mafia e la malavita.

Vivere a Brancaccio significa fare i conti con la

dittatura del pizzo; soprusi e minacce per chi non ci

sta. La vita sarebbe ancora più amara per i bambi-

ni, se non ci fosse Don Pino Puglisi, umile servo di

Dio, ma anche grande uomo e professore. E già.

Perché Don Pino non si occupa solo di togliere i

ragazzi del suo quartiere dalla strada, ma insegna

anche religione al liceo Vittorio Emanuele II. “Si era

presentato con una scatola di cartone. L’aveva

messa al centro dell’aula e aveva chiesto cosa ci

fosse dentro. Nessuno aveva azzeccato la risposta.

Poi era saltato sulla scatola e l’aveva sfondata.

<<Non c’è niente. Ci sono io. Che sono un rompi-

scatole.>>“

Federico è uno dei suoi studenti. Amante della

letteratura, delle parole. “Mi piace cercare le paro-

le giuste. Le parole e il loro suono mi salvano. […]

Con le parole metto l’àncora a tutte le cose che se

ne vanno alla deriva nel mare che è dentro il cuo-

re, le ormeggio nel porto della testa. Solo così

smettono di sbattere tra loro, di arenarsi, di spac-

carsi.” L’estate è alle porte. Lo aspetta una vacanza

studio ad Oxford. Cosa desiderare di più a dicias-

sette anni? Eppure, in mezzo a queste certezze che

la sua vita da liceale ignaro del mondo reale gli

offre, “ci sono giorni in cui il vuoto morde il petto e

il nulla logora le viscere”. Non gli manca nulla, ma

non è veramente felice. Poi un giorno, una

proposta inattesa di Don Pino lo catapulterà in una

dimensione di contraddizioni: non la Palermo

“bene”, ma la Palermo dell’infanzia negata, della

spensieratezza rubata, delle violenze subite in se-

greto. Brancaccio non è solo questo. È anche il luo-

go dove la speranza si annida, cresce e si nutre dei

gesti d’amore di Don Pino, di Lucia, una ragazza dal

cuore grande, di Federico e di quanti provano a

cambiare anni di sopraffazioni nel piccolo.

Il romanzo offre un piccolo spaccato dell’opera di

Don Pino, uno splendido ritratto di un uomo di fe-

de, dipinto nel suo coraggio, ma anche nelle sue

piccole fragilità. Un uomo che ha provato a spezza-

re un mondo dilaniato dall’ignoranza e dalla cru-

deltà, calato in una realtà difficile, che vive la sua

missione fino in fondo, amando anche in punto di

morte: come dimenticare il prete che seppe sorri-

dere davanti al suo assassino?

Questo è stato Don Pino Puglisi, “uno che rompe le

scatole in cui ti nascondi, le scatole in cui ti ingab-

biano, le scatole dei luoghi comuni, le scatole delle

parole vuote, le scatole che separano un uomo da

un altro uomo.” Colui che ha saputo riconoscere

tra le brutture ciò che inferno non è.

Giada Cianfriglia, Michela Colaneri,

Sara Testa

Ciò che inferno non è

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Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua

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La rubrica musicale Ho visto la gente della mia età andare via,

lungo le strade che non portano mai a niente. Cer-care il sogno che conduce alla pazzia,

nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già.

Dentro le notti che dal vino son bagnate, dentro le stanza da pastiglie trasformare,

lungo le nuvole di fumo, nel mondo fatto di città

essere pronti ad ingoiare la nostra stanca civiltà È un Dio che è morto. ai bordi delle strade

Dio è morto nelle auto prese a rate

Dio è morto nei miti dell’estate

Dio è morto. Mi han detto che questa mia generazione

ormai non crede in ciò che spesso han mascherato con la fede, nei

miti eterni della patria e dell’eroe, perché è venuto ormai il momento di negare tutto

ciò che è falsità: le fedi fatte di abitudine e paura,

una politica che è solo far carriera, Il perbenismo interessato,

la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col

torto, È un Dio che è morto. Nei campi di sterminio

Dio è morto Con i miti della razza

Dio è morto Con gli odi di partito

Dio è morto. Ma penso che questa mia generazione

è preparata a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,

ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi,

perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge.

In ciò che noi crediamo Dio è risorto.

In ciò che noi vogliamo Dio è risorto

Nel mondo che faremo Dio è risorto.

Dio è morto— Francesco Guccini

Nietzsche, Guccini, Nomadi: a voi “Dio è morto”. Morto?

“Ho visto”

gente che ha ucciso, represso, sepolto Dio con le sua falsità, malvagità, perversità, nella mente e nel cuore.

“M’han detto”

che una generazione è nella corruzione, nell’indigenza, nella meschinità.

Credenti in “Dio denaro”, discepoli di falsi miti e falsi dei.

“Io penso”

che c’è un’altra generazione. Forte, pronta, capace. capace di affrontare un mondo nuovo, un’idea, un credo.

una speranza appena nata, che dà fiducia che dà coraggio, che dà forza.

Una speranza che in fondo non muore mai

e anche se muore è solo apparenza perché basta una piccola scossa, un alito di vento e rinasce in noi. Risorge in noi.

Dire speranza è dire Dio, perché Dio è amore, vita, speranza vera. Vito Sallusti

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Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua

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La poesia... Pasqua Il tocco del campanile

Annuncia Gesù è risorto

Che tra noi è presente

È a festa imbandito il desco.

Nel mezzo primeggia l’ulivo

In memoria del bagliore divino

L’Agnello è il prediletto cibo

In segno di armonia e di pace.

Oggi è presente è vivo

La Pasqua è nell’aria

Primeggi negli animi vivi.

Tenendo i cuori uniti

Il tocco del campanile lontano

Porta il rintocco del vento

Annuncia Gesù redento

Mario Liparoti

Valore di un sorriso Donare un sorriso

rende felice il cuore,

arricchisce chi lo riceve

senza impoverire chi lo dona.

Non dura che un istante

ma il suo ricordo rimane a lungo.

Nessuno è così ricco

Da poterne fare a meno

Né così povero da non poterlo donare.

Il sorriso crea gioia in famiglia

Dà sostegno nel lavoro

Ed è segno tangibile di amicizia.

Un sorriso dona sollievo a chi è stanco

Rinnova il coraggio nelle prove

E nella tristezza è medicina.

E se poi incontri chi non te lo offre

Sii generoso e porgigli il tuo:

Nessuno ha tanto bisogno di un sorriso

Come colui che non sa darlo.

P. Faber

Lo sapevi che... La parola PASQUA deriva dall’aramaico *PASHA che significa ‘passaggio’, perché la Pasqua

ebraica era stata istituita per commemorare l’uscita degli ebrei dall’Egitto.

Il giorno di Pasquetta ricorre il lunedì successivo alla Domenica di Pasqua ed è detto “lunedì

dell’Angelo”: Gesù risorto appare per la prima volta ai due discepoli che si dirigevano verso il

villaggio di Emmaus. È per questo che tale giorno viene di solito festeggiato con una gita fuori

porta.

Il pesce, simbolo del 1 Aprile, giorno del cosiddetto “Pesce d’Aprile”, è simbolo con il quale in

molte raffigurazioni viene rappresentato Gesù. Dall’acrostico del greco “pesce”, ICTUS, infatti,

deriva proprio il nome di Gesù. Il greco ICTUS sta per: Iesus—Christos—Theu—Uios—Soter

che significa ‘Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore.

Il 25 Aprile viene celebrata la festa di San Marco, patrono della città di Venezia. Si dice che

durante la cerimonia di consacrazione della Basilica al Santo, avvenuta il 25 Aprile 1094, si

svolte un triduo di penitenza, digiuno e preghiere, per ottenere il ritrovamento delle reliquie

dell’Evangelista che erano state trafugate. Dopo la Santa Messa in suo onore, il marmo di ri-

vestimento di un pilastro della navata destra si spezzò e comparve la cassetta contenete le

reliquie. Il simbolo dell’Evangelista è costituito da un leone alato. San Marco è patrono dei

notai, degli scrivani, dei vetrai, dei pittori su vetro e degli ottici.

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Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua

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I “PassaTenda”

Un carabiniere di Catania a Pa-

squa entra in un negozio di ali-

mentari e fa: -Scusi vorrei una

colomba pe favuri!

E il negoziante: -Motta?

- E che me la vuole dare viva?

- Qual è il colmo per un idrauli-

co? Non capire un tubo.

-Qual è il colmo per un altopar-

lante? Sentirsi male.

- Qual è il colmo per un denti-

sta? Essere incisivo.

- Qual è il colmo per un di-

spettoso? Non ve lo dico!

- Ma “colomba” è maschile o

femminile?

- Maschile! Si chiama Pasquale!

ORIZZONTALI

1. La colomba è il suo simbolo 6. La fine dell’ulivo 7. In

quello di cioccolata c’è la sorpresa 8. Su quello di San Vito

c’è la chiesa…di San Vito 11. Suonano a festa la mattina di

Pasqua 12. Quella cipollina si usa in cucina 15. Il cuore

della ricerca 17. Doppie in fuoco 18. Donare il proprio

cuore a qualcuno.

(Marianna Carrarini)

VERTICALI

1. Devota 2. In mezzo alla fava 3. Quella che si mangia a

Pasqua non vola 4. Il giorno del Signore 5. Liberò gli ebrei

dalla schiavitù in Egitto 8. …e separò le acque del…Rosso

9. Carponi allo specchio…senza dispari 10. L’ultima fetta…

di pizza lievita 11. Quello Pasquale si accende durante la

veglia 12. I giorni che trascorsero tra la morte e la risurre-

zione di Gesù 16. Vero senza estremi

CRUCIUOVO

Lo schiacciamo ma non gli fac-

ciamo male. Cos’è?

Un pisolino!

Aurora Trinchieri

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Giornale Parrocchiale di San Vito Romano n. 5 5 Aprile 2015, Santa Pasqua

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Pizza di Pasqua

700 gr di farina 4 uova 30 gr di lievito di birra Scorza grattugiata di un li-

mone ½ kg di zucchero Anice q.b. 1 bicchiere di sambuca ¼ di latte ½ bicchiere d’olio Un pizzico di sale

Sciogliere il lievito nel latte tiepido.

Sbattere le uova con lo zucchero e

aggiungere la farina un poco alla

volta. Aggiungere, mescolando il

lievito sciolto, l’anice, la scorza

grattugiata di un limone, l’olio, il

sale e la sambuca. Mettere il com-

posto in una teglia imburrata. La-

sciare lievitare e Infornare a 180°

per 30/45 minuti.

Per informazioni o curiosità relative al

giornalino è possibile contattare:

Adriana Rossi cell. 3345811927

(mail: [email protected])

Marzia Nini cell. 3934339613

Michela Colaneri cell. 3665465573

(mail: [email protected])

Scacchione

Giulia Luzzi

LA LETTERA

Eliminate da ogni parola una lettera in modo da ottenere altre

parole di senso compiuto. Le lettere eliminate, scritte nelle ca-

selline grigie, formeranno un messaggio.

Avvisi Catechesi Catechesi, preghiere di guarigione e liberazione con Dario Gritti nei giorni 28 e 29 Aprile presso Chiesa di Santa Maria de Arce.

Riffa parrocchiale Il giorno 26 Aprile, dopo la messa delle 10.30, verranno estratti i numeri della riffa parrocchiale presso la Chiesa di Santa Maria de Arce.

2 Kg di farina 4 uova Una scorza di limone

grattato 2 dadi di lievito di birra 1 bicchiere di olio Anice q.b. 1 bicchiere di olio Una vaniglia 6 hg di zucchero 1 litro di latte

Una volta ottenuto un composto

omogeneo realizzare la forma la

forma del cosiddetto “scacchione”,

tipico dolce pasquale sanvitese:

uno strano animale a sei zampe e

una coda. Spennellare il tutto con

un uovo e lasciare, all’altezza

dell’addome dell’animale, una ca-

vità nella quale poter inserire un

uovo sodo.

REBUS

SOLUZIONE REBUS: Felice Pasqua