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Annie West

NELLA TENDA DELLO SCEICCO

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Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: Girl in the Bedouin Tent

Harlequin Mills & Boon Modern Romance © 2011 Annie West

Traduzione di Carla Maria De Bello

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Collezione Harmony

ottobre 2012

Questo volume è stato stampato nel settembre 2012 presso la Rotolito Lombarda - Milano

COLLEZIONE HARMONY

ISSN 1122 - 5450 Periodico bisettimanale n. 2736 dello 09/10/2012

Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 22 del 24/01/1981 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Amir si diresse verso la tenda allestita appositamente per lui. Era stata una serata noiosa, la compagnia pessima. Giocare a fare l'ospite con il leader tribale di uno stato confinante non era certo il suo passatempo preferito. Specialmente quando aveva affari ben più importanti da concludere non appena tornato a casa. « Altezza...» Faruq gli si affrettò incontro. «Dobbiamo consultarci prima che inizino le negoziazioni.» «Non ora.» Amir scosse il capo. «Vai a riposare. Do-mani sarà una lunga giornata.» Specialmente per Faruq. L'assistente di Amir era un uomo di città, affatto abituato a quella selvaggia regione dalla diplomazia a dir poco improvvisata. «Ma Altezza...» La protesta scemò, mentre Amir face-va un gesto in direzione delle guardie di Mustafa che ac-cerchiavano la tenda. Apparentemente a protezione degli ospiti, ma in realtà per spiare il più possibile. «C'è anche la ragazza» azzardò Faruq abbassando la testa. Già, la ragazza. Amir rallentò il passo mentre ricordava la donna che quella sera Mustafa gli aveva offerto con tanta ostenta-zione. Capelli biondi che scintillavano nella luce delle lampade come seta liquida. Luminosi occhi violetti che

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ricambiavano il suo sguardo con un'audacia che pochi a-vrebbero azzardato. Quella combinazione di bellezza e provocazione per un attimo gli aveva strappato il respiro. Qualcosa in quella ragazza aveva solleticato il suo in-teresse. Forse il modo in cui sollevava le sottili sopracci-glia bionde in un'espressione che avrebbe reso orgoglio-sa un'imperatrice. «Dubiti della mia capacità di gestirla?» «Certo che no, Altezza. Ma c'è qualcosa... di strano.» Strano era la parola giusta. A Montecarlo, Mosca o Stoccolma i suoi colori non avrebbero suscitato un se-condo sguardo. E nemmeno gli occhi, dato che quel vio-la indicava certamente l'uso di lenti a contatto colorate. Ma non lì, non in un selvaggio paese di frontiera abi-tato da nomadi e briganti. «Non preoccuparti, Faruq. Sono certo che troveremo una qualche... sistemazione.» Con un gesto di congedo Amir entrò nella tenda. Chissà se era a letto ad aspettarlo? Forse sarebbe già stata nuda. Gli si sarebbe offerta con la delicatezza di u-na professionista. Nonostante il disgusto, il cuore accelerò il battito al ri-cordo di una bocca in conflitto con il fuoco degli occhi, una bocca che prometteva un piacere che avrebbe provo-cato qualsiasi uomo. Si tolse gli stivali poi scostò il drappo che bloccava l'entrata. Un passo avanti e registrò la luce soffusa della lampa-da sul lato opposto della tenda. Nessun segno della ragazza. Controllò, i sensi improvvisamente in allerta. Un i-stante più tardi sollevò un braccio a bloccare qualcuno che lo assaliva nell'ombra. Qualcosa di pesante lo colpì e lui si voltò, afferrando il proprio aggressore.

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Un voluminoso mantello cadde sul pavimento mentre un tintinnio di monete lo ammoniva sull'identità dell'as-salitore giusto in tempo. Si ritrasse di scatto per evitare di atterrarla con un singolo colpo. Le afferrò un braccio e glielo torse dietro la schiena. I movimenti erano controllati, rapidi, precisi. Aveva impa-rato a combattere con alcuni pesi massimi, ma non pote-va usare simili tattiche su una donna, neanche su una che gli aveva teso un agguato nella sua stessa camera. Fece per afferrarle l'altro braccio, ma prima di riuscir-ci lei si divincolò con un disperato movimento. L'istinto lo salvò. Un istinto affinato da anni di perfezionamento come guerriero e altri modi ben meno onorevoli di so-pravvivere. Ruotò su se stesso e le cinse la vita con un braccio, proprio mentre una lama lo sfiorava alla base del collo. «Dannazione!» La strinse con forza e il coltello cadde per terra. Senza rimorso agganciò un piede intorno alle gambe di lei facendola collassare per terra, quindi le si avventò addosso inchiodando i suoi polsi al tappeto pro-prio sopra la testa. La vide immobile e per un attimo si domandò addirit-tura se respirasse, poi sentì il lieve movimento dei seni sotto di sé e un affannoso respiro tremante. Lentamente si portò una mano alla gola. Un rivolo di sangue gli scendeva lungo la clavicola. Lo aveva pugnalato! Con la mascella serrata afferrò il coltello sul pavimen-to. Piccolo, affilato, splendido. Perfetto per sbucciare la frutta o infliggere serie ferite agli sprovveduti. Imprecando lo lanciò dall'altra parte della stanza. «Chi ti ha mandata? Mustafa?» Non aveva alcun senso. Non c'era motivo per cui il suo ospite potesse volerlo morto, eppure il sangue sulla pelle era reale.

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Quello era davvero un pessimo modo di ravvivare una spiacevole visita di dovere! Un misto di ira e curiosità lo sorprese mentre osserva-va quelle labbra scarlatte ora dischiuse per respirare. Quegli occhi incredibilmente violetti, enormi sotto le palpebre porpora. «Chi sei?» Le si avvicinò ancora, il viso a pochi centi-metri da quello di lei, ma l'espressione della ragazza era vuota, come addestrata a celare qualunque paura. Imprecando a denti stretti si sollevò su un braccio schiacciando però il proprio inguine contro il corpo di lei. E la mente non poté non registrarne la soddisfacente morbidezza, un innato invito che neppure la rabbia a-vrebbe potuto costringerlo a ignorare. Si sforzò di rimanere lucido. Non era il momento di lasciarsi distrarre. Se aveva avuto un coltello avrebbero potuto essercene altri. Rotolò su un lato mentre osservava il suo corpo se-minudo. Non ci sarebbe stato posto per celare un'arma mortale, sotto quell'abito da danzatrice del ventre. Poi lo sguardo scivolò più in basso, oltre la vita sottile e fino alla cintura sui fianchi. Sarebbe stata abbastanza ampia da nascondere qualcosa. Esitò. In tanti anni non a-veva mai toccato una donna che non lo desiderasse. La bocca si incurvò in una smorfia di disgusto. Abilmente fece scivolare una mano sotto la cintura e lei eruppe in un convulso movimento. I fianchi si incur-varono mente le gambe lottavano invano per liberarsi. «Ti prego, no!» Le parole risuonarono roche, non nel dialetto del luogo ma in una lingua che raramente lui a-veva sentito lì. «Sei inglese?» Cercò il suo viso e l'espressione che le scorse negli occhi lo raggelò. Puro terrore.

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Fu quell'immobilità che alla fine squarciò il panico di Cassie. Quello, e il fatto che lui avesse fatto scivolare la sua mano sui vestiti e girato il palmo in alto come per placarla. «Sei inglese?» tornò a chiederle, e le folte sopracciglia scure si aggrottarono in un cipiglio che accentuava i li-neamenti del viso. Appariva fiero e mascolino. Cosa importava che fosse inglese? Possibile che una nazionalità fosse più sicura di un'altra in un Paese dove i viaggiatori venivano rapiti e imprigionati? Ormai non sembrava più arrabbiato, ma il peso del suo corpo e la presa sui polsi rammentavano chiaramente come fosse ancora alla sua mercé. Aveva pensato di sal-varsi con un attacco preventivo, ma lui si era rivelato troppo veloce. Troppo forte. Troppo pericoloso. «Per favore...» Fu un roco sussurro da una gola stretta di paura. «Non lo fare. Non violentarmi.» Immediatamente lui si ritrasse, gli occhi spalancati e fissi su di lei. «Credi davvero...?» Il gusto metallico del terrore tornò a riempirle la boc-ca mentre ricordava come fosse stata inchiodata alla por-ta da un uomo che era il doppio di lei e con il triplo dei suoi anni. Aveva avuto soltanto sedici anni, ma riusciva ancora a rammentare perfettamente la sua mano grassa sotto la camicetta e l'altra sulla coscia, il suo peso a sof-focarla mentre tentava di... «Non farei mai una cosa del genere, non importa qua-le sia la provocazione.» La voce dell'uomo risuonò carica di oltraggio, frantu-mando il passato. Sembrava lo avesse offeso nel peggior modo possibile. «Preferisco che le mie donne siano consenzienti.» «Allora lasciami andare.» Per quanto sembrasse indi-gnato non poteva fidarsi solo della sua parola, non quan-

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do giaceva mezza nuda sotto di lui. Era troppo conscia del suo corpo possente che la imprigionava. Del profumo intrinsecamente virile della sua pelle nelle narici. «Solo quando sarò sicuro che tu non nascondi un'altra arma.» La ragazza spalancò gli occhi. Era questo che stava facendo? Cercando un'arma nascosta? Quando aveva sentito la sua mano sotto la cintura era convinta che... La vista si offuscò mentre cercava di respirare oltre la nauseante risata che non riuscì a soffocare. «Smettila! Adesso!» L'afferrò per le spalle e iniziò a scuoterla, e la risata morì bruscamente così com'era nata. Poi la lasciò andare. Non riusciva a credere che lo avesse fatto. «Grazie.» Scivolò su un lato per rialzarsi in piedi ma la voce del-l'uomo la trattenne all'istante. «E quei segni sulla schiena? Cosa sono?» Per fortuna non la toccò. «Graffi, suppongo. Le guardie amano esercitare la lo-ro autorità.» Ricordò il sadico scintillio negli occhi del-l'uomo che le era saltato addosso. Aveva commesso l'er-rore di sfidarlo. Lo sentì imprecare ancora. Le ci volle un attimo per realizzare come lo sguardo di lui fosse scivolato dalla ca-tena intorno alla vita a quella più lunga e pesante unita a essa. Quella che la legava al letto sull'altro lato della stanza. Aveva passato ore nel disperato tentativo di libe-rarsi, ma non vi era riuscita neppure col coltello. Dita e unghie apparivano torturate dai tentativi. Il rossore le imporporò le guance. Il simbolismo di quella catena, che la assicurava come una schiava al let-to, era troppo evidente per non essere notato. In silenzio lui afferrò il mantello dal pavimento e glie-lo porse. «Tieni. Copriti.» L'ordine fu brusco, come se la vista

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di lei lo offendesse. Come se non fosse interessato a... «Grazie.» Lo osservò accendere un'altra lampada e il braciere. Il caldo crepitio del fuoco la raggiunse, ma lei non riuscì comunque a smettere di tremare. «Vieni. C'è del cibo. Ti sentirai meglio dopo che avrai mangiato qualcosa.» «Non mi sentirò meglio finché non sarò fuori di qui!» Sollevò lo sguardo, tutto il risentimento focalizzato sul-l'uomo che aveva di fronte: alto, scuro, molto più irresi-stibile di quanto il semplice fascino potesse mai essere. Lui le allungò una mano, e il solo pensiero di toccarlo di nuovo scatenò in lei un tremore lungo tutta la schiena. L'istinto infatti le suggeriva che toccarlo fosse troppo pericoloso. Finse di non notare quel gesto e si alzò in piedi da so-la. Adesso la sua espressione era addirittura più severa. «Chi sei?» Sentì la propria voce emergere stridente e provocatoria. «Mi chiamo Amir ibn Masud al Jaber.» Inclinò la te-sta in un educato gesto di presentazione. Cassie tentò di ricordare dove avesse sentito quel no-me. Sapeva di non averlo mai incontrato prima. Una si-mile presenza sarebbe stata indimenticabile. «Sono lo Sceicco del Tarakhar.» Non c'era da stupirsi che conoscesse quel nome! Lo Sceicco del Tarakhar era noto per le sue favolose ric-chezze e per l'autorità che esercitava sul suo regno. Ma perché era lì? Possibile che fosse alleato con gli uomini che le avevano fatto tutto ciò? La paura tornò a impossessarsi di lei. «E tu sei...?» Non si mosse, ma la sua profonda voce la paralizzò. «Il mio nome è Cassandra Denison. Cassie.» «Cassandra.» Quelle sillabe tanto familiari acquisiro-no un suono esotico. Disse a se stessa che era l'accento

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straniero a rendere il proprio nome così seducente. «Vie-ni. Hai bisogno di mangiare.» Non schioccò propriamen-te le dita, ma il suo gesto brusco la fece automaticamente avvicinare al tavolino. La propria immediata risposta la infuriò, ma aveva co-se ben più importanti a cui pensare. Si guardò intorno. Il coltello era di nuovo dove lo aveva trovato, accanto a un piatto di frutta e mandorle. Poi fissò l'entrata della tenda e la pesante stoffa che bloccava l'aria fredda della notte. Una mano la afferrò per il gomito, facendola sussulta-re. «Non puoi scappare.» Negli occhi c'era qualcosa di molto simile alla compassione. «Le guardie di Mustafa ti prenderebbero subito. E comunque non avresti alcuna possibilità di rimanere da sola sulle montagne, special-mente di notte.» Cassie emise un sospiro disperato. Possibile che i pro-pri pensieri fossero così evidenti? Sollevò il mento. «Mustafa?» «Il nostro ospite. L'uomo che ti ha presentata a me.» Sostenendola per il braccio l'aiutò a sedersi su una pila di cuscini. Un attimo dopo, con una grazia che catturò lo sguardo riluttante di lei, si sistemò dall'altra parte del ta-volino. Persino da seduto appariva troppo possente per non metterla a disagio. Gremiva lo spazio, dominava i sensi. Cassie registrò il suo profumo: legno di sandalo e pura mascolinità. Le narici si dilatarono, i nervi in allarme. Raddrizzò le spalle e sostenne il suo sguardo. La tremolante luce del braciere accentuava i linea-menti severi del suo viso. Un viso che di certo apparte-neva a un racconto di notti arabe e principi audaci. La sua profonda voce la riportò alla realtà. «E adesso, Cassandra Denison, puoi raccontarmi che cosa sta succedendo.»

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