Galileo e la legge della caduta libera -...

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Un foglio manoscritto parzialmente inedito documenta che Ga- lileo pervenne alla legge della caduta libera prima dell'ottobre 1604. Si tratta del foglio 152r, nel volume 72 dei manoscritti ga- lileiani, qui riprodotto per gentile concessione della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, dov'è conservato. Il diagramma che ci interessa è quello grande in alto. Il diagramma in basso, cori come le tre righe di testo che lo accompagnano, si riferi- scono invece a calcoli effettuati da Galileo sul moto orizzontale. (I.4 ~AZ t ? > kAl ";49 4,4- #114.< - 1,%.4" 44 41 .1‘- 1, r -t.q, 4( • 2 — cf, O. 44.41,...3. ft-t - 4fi k- r4. 4 - e44. A74:1 Che ci-M 11;.? e i . t;ie k 41, ìilb-£41.- r di—th e - e cr. P. c4r E opinione che egli avesse erroneamente supposto una proporzionalità delle velocità di un corpo in caduta libera agli spazi percorsi. Un nuovo manoscritto dimostra che le trattò correttamente come proporzionali ai tempi di Stillman Drake Galileo e la legge della caduta libera T 'era moderna ha inizio in fisica con la pubblicazione dei Discor- si e dimostrazioni matematiche di Galileo nel 1638. In quest'opera egli ri- ferí sulle scoperte fondamentali che aveva fatto trent'anni prima. Descri- vendo il suo libro a un amico, nel gen- naio 1639, l'autore, vecchio e ormai cieco, dettava queste parole: « Io non suppongo cosa nessuna se non la dif- finizione del moto, del quale io voglio trattare e dimostrarne gl'accidenti... Io mi dichiaro di volere esaminare quali siano i sintomi che accaggiono nel mo- to di un mobile il quale, partendosi dal- lo stato di quiete, vada movendosi con velocità crescente sempre nel medesi- mo modo... Provo gli spazii passati da cotal mobile essere in dupplicata pro- porzione di quella de' tempi... Argo- mento ex suppositione sopra il moto, in quella maniera difflnito; siché quando bene le conseguenze non rispondessero alli accidenti del moto naturale de' gra- vi descendenti, poco a me importereb- be... Ma in questo sono io stato, dirò cosí, avventurato, poiché il moto dei gravi ed i suoi accidenti rispondono puntualmente alli accidenti dimostrati da me del moto da me definito ». Neppure i più severi critici di Cali- leo attribuiscono a semplice fortuna la sua scoperta della legge della caduta libera; può sembrare strano perciò che a sostenere tale tesi sia io, che mi con- sidero tra i suoi più ardenti ammirato- ri. Ritengo che Galileo intendesse le sue parole in senso del tutto letterale. Un documento a sostegno di questa convinzione esiste in un suo manoscrit- to del periodo padovano che non è mai stato edito per intero. Tale documento ci rivela la storia affascinante di una scoperta scientifica compiuta attraver- so una combinazione di errori, fortuna, perseveranza e abilità matematica. Gli storici della scienza si sono sfor- zati di trovare in autori anteriori le fonti dell'analisi del moto accelerato da parte di Galileo, non essendo venuti fi- nora in luce documenti di sua mano. Nulla di quanto si è conservato del- l'antichità classica ci fornisce una fon- te plausibile. Nel XIV secolo ci furono però alcuni sviluppi molto interessan- ti nell'applicazione della matematica a questioni fisiche. In particolare Gu- glielmo Heytesbury e Riccardo Swine- shead, del Merton College di Oxford, e Nicola Oresme, di Parigi, analizzaro- no il moto accelerato. Le radici delle investigazioni medievali affondavano in un problema teologico – quello dell'au- mento della carità nell'uomo – e nelle sue implicazioni filosofiche, le quali si riflettevano sul problema generale del- la velocità del mutamento. I risultati che furono raggiunti sono estremamen- te interessanti, e sembra strano che i loro autori non abbiano mai pensato di applicarli al problema della variazione di velocità dei gravi in caduta libera. G li inglesi medievali adottarono una impostazione aritmetica da cui svi- lupparono il teorema del grado medio o della velocità media, noto anche co- me regola mertoniana. Secondo questa regola, veniva considerata rappresenta- tiva del moto la velocità dell'istante di mezzo. Un moto uniforme a questa ve- locità media per un tempo fissato ve- niva considerato equivalente a un mo- to uniformemente accelerato a partire dalla quiete compiuto nello stesso tem- po. Ne seguiva che in ogni moto uni- formemente accelerato a partire dalla quiete, un quarto della distanza totale era percorso nella prima metà del tem- po. Questo fatto forniva il rapporto di 3 : 1 tra lo spazio percorso nella secon- da metà e quello percorso nella pri- ma. Oresme diede una dimostrazione geometrica della legge e in un altro scritto estese la relazione nella progres- sione 1, 3, 5, 7 e cosí via per tempi uguali. Neppure Oresme collegò però l'accelerazione uniforme con la caduta libera, né alcun autore medievale an- nunciò che le distanze coperte sono proporzionali ai quadrati dei tempi, un fatto deducibile dalla progressione ci- tata. L'opinione dominante fra gli sto- rici della scienza è stata compendiata recentemente da Edward Grant nel suo libro Physical Science in the Middle Ages: «La dimostrazione geometrica di Oresme e numerose dimostrazioni arit- metiche del teorema della velocità me- dia erano ampiamente diffuse in Euro- pa nel Tre e Quattrocento ed erano particolarmente popolari in Italia. At- traverso edizioni a stampa della fine del XV secolo e dell'inizio del XVI secolo, è probabile che Galileo acqui- stasse una certa familiarità con esse. Egli fece del teorema della velocità me- dia la prima proposizione della Terza giornata dei Discorsi, dove esso costi- tuí la base della nuova scienza del moto ». Rimanevano nondimeno degli inter- rogativi. Cito ancora da Grant: «I mertoniani pervennero a una definizio- ne precisa dell'accelerazione uniforme come un moto in cui incrementi ugua- li di velocità vengono acquistati in in- tervalli di tempo uguali a piacere, per quanto grandi o piccoli ». Eppure « Galileo, ancora nel 1604, riteneva la velocità proporzionale alla distanza e non al tempo, e solo più tardi si rese conto dell'errore ». Se dovessimo sup- porre che la fonte di Galileo fossero gli scritti medievali, sarebbe difficile spiegare perché egli accettasse ed estendesse i risultati più antichi, rifiu- tando l'unica definizione su cui si fon- davano. Inoltre, se egli venne a cono- scenza degli scritti medievali in un momento successivo, perché non si servi della regola mertoniana nella di- mostrazione della proposizione citata, 36 37

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Un foglio manoscritto parzialmente inedito documenta che Ga-lileo pervenne alla legge della caduta libera prima dell'ottobre1604. Si tratta del foglio 152r, nel volume 72 dei manoscritti ga-lileiani, qui riprodotto per gentile concessione della Biblioteca

nazionale centrale di Firenze, dov'è conservato. Il diagrammache ci interessa è quello grande in alto. Il diagramma in basso,cori come le tre righe di testo che lo accompagnano, si riferi-scono invece a calcoli effettuati da Galileo sul moto orizzontale.

(I.4

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kAl"•;49 4,4-#114.< - 1,%.4"

4441 .1‘-

1, r -t.q,

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4fik- r4. 4 -e44.A74:1Che ci-M 11;.?

e i . t;ie k

41, ìilb-£41.-

r di—th

e- e

cr.

P.

c4r

E opinione che egli avesse erroneamente supposto una proporzionalitàdelle velocità di un corpo in caduta libera agli spazi percorsi. Un nuovomanoscritto dimostra che le trattò correttamente come proporzionali ai tempi

di Stillman Drake

Galileo e la legge dellacaduta libera

T

'era moderna ha inizio in fisicacon la pubblicazione dei Discor-si e dimostrazioni matematiche di

Galileo nel 1638. In quest'opera egli ri-ferí sulle scoperte fondamentali cheaveva fatto trent'anni prima. Descri-vendo il suo libro a un amico, nel gen-naio 1639, l'autore, vecchio e ormaicieco, dettava queste parole: « Io nonsuppongo cosa nessuna se non la dif-finizione del moto, del quale io vogliotrattare e dimostrarne gl'accidenti... Iomi dichiaro di volere esaminare qualisiano i sintomi che accaggiono nel mo-to di un mobile il quale, partendosi dal-lo stato di quiete, vada movendosi convelocità crescente sempre nel medesi-mo modo... Provo gli spazii passati dacotal mobile essere in dupplicata pro-porzione di quella de' tempi... Argo-mento ex suppositione sopra il moto, inquella maniera difflnito; siché quandobene le conseguenze non rispondesseroalli accidenti del moto naturale de' gra-vi descendenti, poco a me importereb-be... Ma in questo sono io stato, diròcosí, avventurato, poiché il moto deigravi ed i suoi accidenti rispondonopuntualmente alli accidenti dimostratida me del moto da me definito ».

Neppure i più severi critici di Cali-leo attribuiscono a semplice fortuna lasua scoperta della legge della cadutalibera; può sembrare strano perciò chea sostenere tale tesi sia io, che mi con-sidero tra i suoi più ardenti ammirato-ri. Ritengo che Galileo intendesse lesue parole in senso del tutto letterale.Un documento a sostegno di questaconvinzione esiste in un suo manoscrit-to del periodo padovano che non è maistato edito per intero. Tale documentoci rivela la storia affascinante di unascoperta scientifica compiuta attraver-so una combinazione di errori, fortuna,perseveranza e abilità matematica.

Gli storici della scienza si sono sfor-zati di trovare in autori anteriori le

fonti dell'analisi del moto accelerato daparte di Galileo, non essendo venuti fi-nora in luce documenti di sua mano.Nulla di quanto si è conservato del-l'antichità classica ci fornisce una fon-te plausibile. Nel XIV secolo ci furonoperò alcuni sviluppi molto interessan-ti nell'applicazione della matematicaa questioni fisiche. In particolare Gu-glielmo Heytesbury e Riccardo Swine-shead, del Merton College di Oxford,e Nicola Oresme, di Parigi, analizzaro-no il moto accelerato. Le radici delleinvestigazioni medievali affondavano inun problema teologico – quello dell'au-mento della carità nell'uomo – e nellesue implicazioni filosofiche, le quali siriflettevano sul problema generale del-la velocità del mutamento. I risultatiche furono raggiunti sono estremamen-te interessanti, e sembra strano che iloro autori non abbiano mai pensato diapplicarli al problema della variazionedi velocità dei gravi in caduta libera.

Gli inglesi medievali adottarono unaimpostazione aritmetica da cui svi-

lupparono il teorema del grado medioo della velocità media, noto anche co-me regola mertoniana. Secondo questaregola, veniva considerata rappresenta-tiva del moto la velocità dell'istante dimezzo. Un moto uniforme a questa ve-locità media per un tempo fissato ve-niva considerato equivalente a un mo-to uniformemente accelerato a partiredalla quiete compiuto nello stesso tem-po. Ne seguiva che in ogni moto uni-formemente accelerato a partire dallaquiete, un quarto della distanza totaleera percorso nella prima metà del tem-po. Questo fatto forniva il rapporto di3 : 1 tra lo spazio percorso nella secon-da metà e quello percorso nella pri-ma. Oresme diede una dimostrazionegeometrica della legge e in un altroscritto estese la relazione nella progres-sione 1, 3, 5, 7 e cosí via per tempi

uguali. Neppure Oresme collegò peròl'accelerazione uniforme con la cadutalibera, né alcun autore medievale an-nunciò che le distanze coperte sonoproporzionali ai quadrati dei tempi, unfatto deducibile dalla progressione ci-tata. L'opinione dominante fra gli sto-rici della scienza è stata compendiatarecentemente da Edward Grant nel suolibro Physical Science in the MiddleAges:

«La dimostrazione geometrica diOresme e numerose dimostrazioni arit-metiche del teorema della velocità me-dia erano ampiamente diffuse in Euro-pa nel Tre e Quattrocento ed eranoparticolarmente popolari in Italia. At-traverso edizioni a stampa della finedel XV secolo e dell'inizio del XVIsecolo, è probabile che Galileo acqui-stasse una certa familiarità con esse.Egli fece del teorema della velocità me-dia la prima proposizione della Terzagiornata dei Discorsi, dove esso costi-tuí la base della nuova scienza delmoto ».

Rimanevano nondimeno degli inter-rogativi. Cito ancora da Grant: «Imertoniani pervennero a una definizio-ne precisa dell'accelerazione uniformecome un moto in cui incrementi ugua-li di velocità vengono acquistati in in-tervalli di tempo uguali a piacere, perquanto grandi o piccoli ». Eppure« Galileo, ancora nel 1604, riteneva lavelocità proporzionale alla distanza enon al tempo, e solo più tardi si reseconto dell'errore ». Se dovessimo sup-porre che la fonte di Galileo fosserogli scritti medievali, sarebbe difficilespiegare perché egli accettasse edestendesse i risultati più antichi, rifiu-tando l'unica definizione su cui si fon-davano. Inoltre, se egli venne a cono-scenza degli scritti medievali in unmomento successivo, perché non siservi della regola mertoniana nella di-mostrazione della proposizione citata,

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CALCOLI DI GALILEO

(1) 4 miglia con 10 gradi di velocità in 4 ore

SPIEGAZIONE

Galileo suppose innanzitutto che per ogni miglio di distanza percorso si con-sumasse un grado di velocità in piú: la velocità è di un grado al primo mi-glio, due nel secondo, tre nel terzo e quattro nel quarto. Nelle quattro mi-glia si consumavano quindi 10 gradi di velocità (1 + 2 + 3 + 4). Il tempo tra-scorso era posto arbitrariamente uguale a un'ora per ogni diverso grado divelocità.

(2) 9 miglia con 15 gradi di velocità in 5 ? ore 5? significa che il tempo doveva essere esaminato. Benché la proposizione2 venisse intesa come derivata dalla 1, e il successivo incremento di velocitàda aggiungere fosse di 5 gradi, il numero di miglia da aggiungere era difatto 1 e non 5. Se egli avesse avuto l'intenzione di aggiungere un incre-mento di velocità maggiore della velocità per ogni ora, avrebbe scritto « 9?miglia » invece di « 5 ? ore » e anche in questo caso la proposizione 1 avreb-be contraddetto la 2. (Un tentativo non riuscito di ottenere un rapporto travelocità totali si trova nell'angolo destro in alto dello stesso foglio 152r, do-ve Galileo tentò di moltiplicare insieme i rapporti dei tempi e delle distanze.)

(1a) 4 miglia con 10 gradi di velocità in 4' ore

(3) 4 miglia con 15 gradi di velocità in 4 ore

(3a) 8 miglia con 15 gradi di velocità in 8 ore

Per ottenere un rapporto tra le distanze e i tempi, Galileo sostituí « 6 ore »a « 4 ore > nella proposizione 1. Con questo mutamento, per percorrere 4miglia in 4 ore, era necessario muoversi con 15 gradi di velocità. Galileo os-servò l'implicazione che se « 15 gradi » è una velocità totale, allora per co-prire una distanza doppia (8 miglia) si sarebbe impiegato un tempo doppio(8 ore), cosa che avrebbe contraddetto la proposizione 2.

(4) A

——_

-B-D

-C

Sforzandosi di risolvere la contraddizione, Galileo tracciò una retta verticale,sulla quale segnò le lettere A, B e C. Egli divise poi la distanza AB in quat-tro unità; AC è nove unità. Aggiunse poi D, in modo che la distanza AD fosseil medio proporzionale tra la AB e la AC, ossia in corrispondenza di sei uni-tà (V-21- x trg = 2 X 3 = 6). Suppose poi che 6 fosse il tempo impiegato perpercorrere AC, mentre 4 era il tempo impiegato a cadere da A a 13.

(5) per AB velocità come 10per AC come 15

velocità tempodistanza acquistata per

AB 4 AB- 4BE 20

AD 6AC 9 CF 30AC -6

Usando il medio proporzionale AD, Galileo provò nuovi tempi per le due di-stanze originarie. Emerse cosi una nuova ipotesi di lavoro in cui il tempo ori-ginariamente impiegato per percorrere AB con 10 gradi di velocità era ancora4 ore, mentre il tempo per percorrere AC con 15 gradi di velocità era diventa-to 6 ore, ossia il medio proporzionale delle distanze percorse a partire dal-la quiete. Se due oggetti cadono a partire dalla quiete percorrendo distanzeche sono tra loro nel rapporto di 4 : 9, le loro rispettive velocità medie avran-no tra loro il rapporto di 2 : 3. I valori per BE e CF, aggiunti in un secondotempo, rappresentano le velocità acquistate al termine delle discese AB e ACe sono esattamente doppi rispetto alle velocità precedentemente assegnateattraverso tali distanze.

(6)

Come BA ad AD, cosí siaBE il grado di velocità in 8,AD, cosí sia BE a CF; CF saràlocità in C. Essendo dunquesta ad AD cosi CF sta a BE,che, come il quadrato di CAdi AD, cosí il quadrato didrato di BE; ma come il quadratoal quadrato di AD, cosí CAdunque CA sta ad AB, cosísta al quadrato di BE comeI punti E e F si trovano dunquerabola passante per A.

A

——B

—D

—C

DA ad AC, e siae come BA adil grado di ve-

che, come CAsi avrà anche

sta al quadratoCF starà al qua-

di CA stasta ad AB; comeil quadrato di CF

CA sta ad AB.su una pa-

Galileo tracciò poi la linea AE e collocò su di essa il punto E in modo che BErappresentasse la velocità acquistata in B. Egli scrisse poi per esteso la suaconclusione, supponendo che il rapporto tra le velocità acquistate fosse ugua-le al rapporto tra le velocità totali a partire dalla quiete. Egli si attendeva chealtri estremi di linee orizzontali rappresentanti le velocità acquistate venisseroa cadere sulla linea AE, come nel caso della linea BE. Quando egli calcolòla posizione del punto F mediante il rapporto che aveva calcolato nella suaconclusione (BA sta ad AD come BE a CF), trovò che F non si trovava sulla li-nea AE ma su una parabola che passava per i punti A ed E. I valori BE 20 eCF 30 aggiunti in un secondo momento nella proposizione 5 avrebbero aumen-tato la scala orizzontale del diagramma di circa cinque volte rispetto a quellaverticale.

I calcoli di Galileo (a sinistra) per la legge della caduta liberasono spiegati dettagliatamente (a destra). Le parti in colore noncompaiono nel foglio 152r, ma sono inserite per chiarezza. La

espressione gradi di velocità » è arbitraria ed è usata un po'nello stesso modo con cui i medici parlano del grado di una scot-tatura. La conclusione di Galileo è analizzata nella tavola di p. 40.

nei suoi appunti o nel suo libro?Altrove ho suggerito due possibili

fonti alternative per la legge galileianadel quadrato dei tempi. La prima erache Galileo potrebbe avere scopertoche gli spazi percorsi in tempi ugualiseguono la regola dei numeri disparimisurando approssimativamente la di-stanza percorsa da un oggetto rotolan-te lungo un piano debolmente inclinatoe usando la prima distanza come unità.Pensavo che egli potesse aver fattoquesta scoperta incidentalmente, sotto-ponendo a verifica una sua convinzioneanteriore (ed erronea) secondo cui l'ac-celerazione sarebbe stata solo un fat-to temporaneo all'inizio immediato delmoto.

La seconda ipotesi era che Galileopoteva essere pervenuto alla regola deinumeri dispari attraverso il puro ra-gionamento, come Christiaan Huygensmolti anni dopo. Supponiamo per esem-pio che l'accelerazione aggiunga un in-cremento di spazio uguale in ogni tem-po uguale. Allora, nella successione deinumeri che rappresentano gli spazi, ilrapporto del primo numero al secon-do deve essere uguale al rapporto tra iprimi due numeri e i secondi due, chea sua volta dev'essere uguale al rappor-to fra i primi tre numeri e i secondi tree cosí via. Perché queste uguaglianzedevono conservarsi? Perché abbiamoscelto arbitrariamente di usare una cer-ta unità di tempo, mentre avremmo po-tuto usarne anche una doppia o triplarispetto a essa.

poiché il numero che rappresenta unadistanza dev'essere maggiore in mo-

do uniforme a quello che rappresentala distanza precedente e cosí via, i nu-meri devono essere in progressione arit-metica. Una tale progressione esiste?Essa non è certamente la successionedei numeri interi consecutivi. Il rappor-to dei primi due numeri interi (1 e 2)è I : 2. Il rapporto della somma deiprimi due numeri interi (1 + 2) allasomma dei secondi due interi (3 + 4) è3 : 7, che è chiaramente diverso da1: 2.

Soltanto la progressione dei nume-ri interi dispari corrisponde alla rego-la da noi stabilita. In primo luogo, ogninumero è uniformemente maggioredi 2 rispetto al precedente (I + 2 = 3,3 + 2 = 5, 5 + 2 = 7 ecc.). In secondoluogo, la somma dei primi due numeri(1 + 3) sta nel rapporto di 1: 3 rispet-to alla somma dei due numeri seguen-ti (5 + 7), e 1 + 3 + 5 hanno lo stes-so rapporto (1: 3) rispetto a 5 + 9 + Ile cosí via. La progressione dei numeriinteri dispari è inoltre l'unica progres-sione aritmetica che soddisfi queste

condizioni, come Galileo sottolineò nel1615 in una lettera allo stesso Balianicui aveva scritto la lettera del 1639 ci-tata in principio. (Esistono numerosealtre sequenze numeriche, come 1, 7,19, 37, 61, 91..., che soddisfano il rap-porto citato sopra, ma in nessuna diesse ogni numero è maggiore in modouniforme rispetto al precedente.)

Ma, ahimé, le mie due ipotesi de-vono ora essere rifiutate insieme allanozione che Galileo abbia tratto lospunto per la legge della caduta libe-ra da scritti medievali. Il documentoche presenterò non presenta alcunatraccia di evidenza sperimentale o diragionamento matematico e neppuredella regola mertoniana della velocitàmedia. Tale documento non può inol-tre essere datato a dopo l'ottobre del1604, quando Galileo scrisse all'amicoPaolo Sarpi a Venezia, stabilendo chia-ramente la legge del quadrato dei tem-pi ed elaborandone una curiosa dimo-strazione. Nella lettera egli diceva di es-sere pervenuto alla legge da qualchetempo, ma che « per dimostrare li ac-cidenti da me osservati, mi mancavaprincipio totalmente indubitabile da po-ter porlo per assioma ». Ora egli cre-deva di aver trovato una « proposizionela quale ha molto del naturale e del-l'evidente... E il principio è questo: cheil mobile naturale vadia crescendo divelocità con quella proporzione che sidiscosta dal principio del suo moto ».Alla lettera, questa proposizione è sem-plicemente sbagliata.

La dimostrazione inviata da Galileoal Sarpi ha tormentato gli storici dellascienza per molto tempo. Nei Discorsie dimostrazioni matematiche, molti an-ni dopo, Galileo asserí correttamenteche la velocità di un oggetto in cadu-ta libera è proporzionale al tempo dicaduta. Potremmo perdonargli di esse-re partito con un assunto sbagliato edi aver trovato la formulazione corret-ta prima di pubblicare i Discorsi. Male cose non dovettero andare cosí. Pa-re infatti che Galileo fosse già giuntoalla formulazione corretta quando ela-borò per Sarpi una dimostrazione fon-data sull'assunto erroneo.

Ma non è questo l'aspetto più oscurodell'enigma. Nei Discorsi Galileo am-mise candidamente che per molto tem-po non aveva visto alcuna differenzatra le due formulazioni. Ora, se Gali-leo credette veramente a una tale ma-nifesta assurdità, nei suoi appunti do-vrebbe esserci almeno un esempio dierrori riconducibili alla scelta sbaglia-ta. Eppure non si riesce a trovare al-cun errore del genere, neppure in ap-punti che possono essere datati sicura-mente al lungo periodo in cui egli ac-

cettò per buona la dimostrazione com-posta per il Sarpi. (Ancora dieci annidopo egli conservava una copia delladimostrazione inviata al Sarpi per usar-la in un libro sul moto che intendevaallora pubblicare.) O Galileo nel 1638stava canzonando il lettore confessan-do un preteso errore, oppure ci mancaqualche elemento essenziale per inter-pretare le sue parole e abbiamo intesoin modo erroneo la sua più antica di-mostrazione concernente la mazza chefa affondare nel terreno un palo, ben-ché le due cose sembrino tanto chiareda escludere la possibilità di un frain-tendimento.

La risposta a tutti questi enigmi cimostra ora che Galileo non era me-

no franco nel 1638 di quanto lo fossestato nel 1604. Ciò che ci mancava civiene infine rivelato da un documentodesignato come f. 152r nel volume 72dei manoscritti galileiani conservati al-la Biblioteca nazionale centrale di Fi-renze (si veda la figura a pag. 36). Pen-so che nessuno possa aver indovinatofinora la risposta esatta; ma anche sequalcuno l'avesse suggerita, sarebbestato deriso in mancanza di documen-ti a sostegno.

In che modo un tale documento èpotuto sfuggire finora all'attenzione de-gli studiosi? Tutti gli appunti di Gali-leo furono pubblicati dopo il 1890 nel-l'Edizione nazionale delle sue opere.L'esimio curatore, Antonio Favaro,omise soltanto quei fogli (e parti di fo-gli) che contenevano solo diagrammi ecalcoli il cui significato era incerto. Esi-stono molti di tali fogli; Galileo con-servava tutto e fino alla sua morte cu-stodi calcoli che aveva fatto 40 anniprima. Cosí, quando Favaro pubblicòil foglio 152r, ne conservò solo due bra-ni che avevano un senso compiuto(quelli in centro e in basso a destra),insieme a una versione molto modifi-cata del diagramma. Questi excerptahanno ben poco significato in man-canza di una datazione. Favaro dispe-rò di poter ristabilire l'ordine di com-posizione dei 160 fogli del volume 72che erano stati legati insieme caotica-mente molto tempo prima.

Grazie alla generosità della Fonda-zione Guggenheim e dell'Università diToronto, potei trascorrere i primi tremesi del 1972 a Firenze, dove mi de-dicai allo studio dei manoscritti. Il mioproposito era quello di tentare una si.stemazione cronologica in funzione delcommento di una nuova traduzione in.glese dei Discorsi di Galileo. Come Galileo, ho avuto fortuna. L'esame dellafiligrana della carta usata da Galileo sirivelò prezioso. Galileo era vissuto a

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LA CONCLUSIONE DIIN PROPORZIONI EUCLIDEE

A

GALLE() LA CONCLUSIONE DI GALILEO RIFORMULATA NELLATERMINOLOGIA MODERNA

Nuove definizioni: s, indica la distanza ABs, indica la distanza AC

\/-', indica AD, il medio proporzionale fra AB e ACt, indica il tempo AB impiegato da un oggetto a percor-

rere ABt, indica il tempo AD, impiegato a percorrere in caduta li-

bera ACv, indica la velocità BE acquistata da un oggetto al ter-

mine della discesa siv, indica la velocità CF acquistata da un oggetto al termi-

ne della discesa s2

Per costruzione del diagramma,

AB : AD: : AD : AC.si/ V-g = -T/s 2 dalla definizione del medio proporzionale

Sia BE il grado di velocità in B. Sarà alloraCF il grado di velocità in C se poniamo

(7a) AB : AD: : BE : CFSe ciascuno dei due rapporti è uguale a unterzo, essi sono uguali tra loro, cosicché

AD : AC: BE : CF

Sia v, la velocità di un oggetto al termine di s,. v2 sarà allora la velocità altermine di s2 se poniamo

(7b) si/ V sis2 = vi/v2.

Dalle proposizioni citate si desume che

= v,/v2.

Ne segue che elevando al quadrato entram-bi i membri,

(AD) 2 : (AC) 2 : : (B E) 2 : (CF) 2

Ne segue che elevando al quadrato entrambi i membri,

(7g-2)2/s22 = v 2 /v22.

Inoltre, essendo AD il medio proporzionalefra AB e AC, e

(AD) 2 : (AC) 2 : : AB : AC,e poiché rapporti uguali a uno stesso rap-porto sono uguali fra loro, allora

(8a) (BE)2 : (CF) 2 : : AB : AC

Inoltre, poiché (}/-2)2/s22 = si/s2, questa proposizione, con la precedente, dà

(8b) vi2/1,22 = sis2.

Perciò i punti E e F sono su una parabolache passa per A.

Benché Galileo non menzioni espressamente il tempo nella sua conclusione,egli aveva introdotto i tempi t, e t2 (AB e AD) impiegati a percorrere le di-stanze s, e s2 (AB e AC) in modo tale che essi presentassero la relazione

tit2 = s,/ y s,s2,ed è questo precisamente il modo in cui egli parlava dei tempi e in cui liintroduceva nei calcoli. Non è pertanto esagerato dire che un'implicazione di-retta della proposizione 7b è

(,/(2 = viv2.Questa, presa insieme alla proposizione 8b, implica a un tempo la

(9) s,/s, = tNt22.In altri termini, il rapporto delle distanze percorse da due corpi in caduta li-bera è uguale al rapporto dei quadrati dei tempi a partire dalla quiete. Seperciò le velocità, che sono proporzionali ai tempi, sono introdotte nel dia-gramma originale di Galileo in funzione delle distanze, ne risulterà, com'eglidice, una parabola. (Si ha una parabola ogni volta che una variabile è pro-porzionale al quadrato dell'altra.)

La conclusione di Galileo è espressa qui nei suoi stessi terminitratti dalle proporzioni euclidee (a sinistra) ed è riformulata innotazione moderna (a destra). Le proporzioni euclidee, come

«AB : AD : : AD : AC », vanno lette nel modo seguente: AB staad AD come AD sta ad AC». In alcune proporzioni è stato muta-to l'ordine delle quantità per ottenere una maggiore evidenza.

Padova fino alla metà del 1610 e poiera tornato a Firenze; era perciò ra-gionevole attendersi che da un certopunto in avanti cambiasse il tipo dicarta usato. Un esame della sua corri-spondenza datata rivelò che gli emble-mi in filigrana delle lettere scritte dalledue città erano totalmente diversi. Con

l'aiuto della filigrana diventava cosí pos-sibile distinguere i fogli non datati indue gruppi, uno più antico e uno piùrecente.

40 tra i 160 fogli del volume 72 ri-sultarono essere copie, di mano di dueallievi di Galileo a Firenze. Questi 40fogli presentano tutti lo stesso emble-

ma in filigrana, un emblema che com-pare anche in lettere scritte da Galileotra il 1615 e il 1618. È evidente che lecopie furono fatte a casa sua sotto lasua direzione in funzione della stesuradi un libro sul moto. La maggior partedegli originali si sono conservati e le lo-ro filigrane confermano l'origine pa-

dovana dei teoremi copiati, mentre ta-lune copie ci conservano alcuni teore-mi del periodo padovano i cui originalisono andati perduti.

Comincia cosí a emergere un ordinev-) probabile degli appunti di Galileo.La filigrana consente di ricostruire qua-le sia la parte più antica dell'opera diGalileo. Altri indizi vengono fornitidalla grafia. L'individuazione di indi-zi del genere presentava difficoltà mol-to maggiori all'abile curatore di oltremezzo secolo fa che non al dilettantedi oggi. Quegli avrebbe potuto confron-tare esempi di scrittura solo sfoglian-do avanti e indietro un volume legato,mentre io ho potuto lavorare su xero-copie eseguite da un microfilm. Poteiperciò non solo accostare un foglio al-l'altro, ma anche ritagliarli per meglioconfrontare singoli vocaboli.

A questo punto le pagine di calcolidi Galileo cominciarono a riflettere uncerto ordine, consentendomi di ricono-scere l'origine del foglio 152r, che eraa tutta prima confuso. È quasi certoche il documento sia il primo tentativodi Galileo di matematizzare l'accelera-zione. Ho delineato cosí la successionedel suo pensiero, compendiandola nel-la tabella di pagina 38.

Le prime due righe che compaiononel foglio, scritte ordinatamente nellaparte superiore, in centro, non hannosicuramente nulla a che fare con unesperimento reale. Le unità — miglia,ore e « gradi di velocità » — sono deltutto arbitrarie. L'accelerazione nellacaduta libera era ciò che interessavasostanzialmente a Galileo, ma il suoprimo passo consisté nel cercare unaregola generale di proporzionalità perl'aumento uniforme di spazio, tempo evelocità. Nella sua prima ipotesi di la-voro egli fece l'ipotesi che a ogni uni-tà di spazio percorso nella discesa ve-nisse acquistato un grado di velocità.Egli suppose cosí che quattro migliafossero percorse con un grado di velo-cità consumato nella prima unità dispazio, due nella seconda, tre nella ter-za e quattro nella quarta. Ciò gli die-de 4 miglia con 10 (1 + 2 + 3 + 4)gradi di velocità consumati. Egli posearbitrariamente un'ora come tempo tra-scorso per ciascun diverso grado di ve-locità. Nell'ipotesi di lavoro inizialenon poterono essere determinati (néce n'era bisogno) i tempi corrisponden-ti a ciascuna velocità (o distanza).

Galileo scrisse poi: « 9 mig(lia) con15 di velocità 5? hore ». Il punto inter-rogativo è di Galileo, non mio; esso in-dica che quest'indicazione di tempo do-veva essere esaminata, cosí come noioggi scriveremmo «x ore ». Accenno aquesto punto perché nel manoscritto

originale il numero sembra più un Iche un 5, come accade spesso per i 5scritti in quel periodo. Questa secondaasserzione faceva parte senza dubbiodella stessa ipotesi di lavoro della pri-ma, e il fine di Galileo era quello diavere due esempi diversi per poter con-frontare le relazioni. Di fatto le due as-serzioni sono contraddittorie. Se l'incre-mento di velocità da aggiungersi era 5,il numero di miglia da aggiungere era1, non 5. Sospetto che l'ambiguità dellaregola « un grado di velocità in più perogni miglio in più» abbia indotto Ga-lileo ad aggiungere erroneamente cin-que miglia invece dei nuovi cinque gra-di di velocità. La svista fu dovuta auna negligenza, ma non fu fatale: tut-t'altro. Come osservò James Joyce, unuomo geniale non commette errori; isuoi errori sono vie alla scoperta.

Ora che Galileo disponeva di due di-stanze, due velocità e due tempi,

procedette applicando la teoria euclideadelle proporzioni, che era l'unico mez-zo in cui fidava per l'applicazione dellamatematica alla fisica. Il suo primopasso consisté nel ridurre entrambi imoti ipotetici alla stessa velocità alloscopo di confrontare i rapporti di spa-zio e di tempo. Perciò egli scrisse 6 so-pra il 4 nell'espressione « 4 ore » del-la sua prima proposizione. In tal modoegli ridefiní « 10 (gradi) di velocità» inmodo che quattro miglia a quella velo-cità richiedessero 6 ore invece di 4. Ga-lileo annotò questo fatto a sinistra del-le sue proposizioni originali e prosegui:se «4 mig(lia) con 15 di velocità in 4,8 mig(lia) in 8 », ossia se con 15 gra-di di velocità si percorrono 4 miglia in4 ore, per percorrere 8 miglia a 15 gra-di di velocità lo stesso corpo impieghe-rà 8 ore. (Quest'asserzione è valida perqualsiasi moto, anche irregolare, se ilsignificato di « velocità » viene stabilitoin base al tempo totale e alla distanzatotale.) Ciò contraddiceva però imme-diatamente la sua ipotesi precedenteche 9 miglia fossero percorse, a 15 gra-di di velocità, in sole 5 ore.

Sarà utile a questo punto ricordareche in questa fase Galileo si preoccu-pava esclusivamente di trovare una re-gola matematica coerente che gli con-sentisse di usare l'espressione « gradi divelocità ». Egli non si preoccupava an-cora di assegnare un significato fisico aquest'espressione, compito che gli sa-rebbe parso pressoché inutile finchénon fosse stato possibile usarla in pro-porzioni. Perché essa potesse essere uti-lizzata in rapporti proporzionali, qual-siasi velocità complessiva doveva farpercorrere al mobile distanze propor-zionali in tempi proporzionali.

Posto di fronte a una manifesta con-

traddizione con la sua ipotesi di lavoroche egli riteneva (erroneamente) diaver espresso in modo logicamente coe-rente nelle prime due proposizioni, Ga-lileo non tornò sui suoi passi per vede-re se avesse commesso qualche errore.Se egli avesse scoperto quest'errore elo avesse corretto, sarebbe pervenutoalla formula coerente ma inutile «4miglia con 10 di velocità in 4 ore, 5miglia con 15 di velocità in 5 ore ».Una tale formula avrebbe uguagliato irapporti delle distanze e dei tempi nelcaso dell'accelerazione, contraddicendoil buon senso e l'idea di fondo dell'ac-celerazione stessa, e non gli avrebbedetto assolutamente nulla sui rapportitra velocità. In ogni caso egli non tor-nò indietro a verificare il suo procedi-mento. Cercò invece la causa della dif-ficoltà tracciando una linea verticale esegnando su di essa le lettere A, B eC per rappresentare le distanze dallaquiete. Mediante trattini divise in quat-tro parti la distanza AB. Si suppone chela distanza tra B e C sia composta dacinque unità: AC equivarrebbe quindi a9 unità, come risulta dalle proposizioniiniziali.

Del tutto accidentalmente, a mio av-viso, le due distanze considerate

nell'ipotesi di lavoro erano due quadra-ti: 4 e 9. Se Galileo avesse avuto inprecedenza qualche sospetto di una leg-ge implicante quadrati e radici quadra-te quando scrisse le prime due propo-sizioni, avrebbe usato sicuramente i nu-meri 2 e 3, per le velocità o per i tem-pi. Ho già ricordato tre modi in cui egliavrebbe potuto sospettare l'esistenza diuna legge delle radici quadrate, e po-trebbero essercene altri ancora. Mi pa-re però che i numeri da lui scelti con-sentano di escluderli tutti. Ritengo cheegli abbia scoperto la relazione quadra-tica proprio in questa ricerca di rap-porti coerenti e che in un secondo mo-mento ne abbia ricercato la confermasperimentale.

È un fatto che 4 e 9 sono due qua-drati e che spiegano l'introduzione, daparte di Galileo, del punto D tra B eC nel diagramma. La distanza AD èuguale a sei unità. Fino a questo puntoil problema di Galileo è stato un pro-blema di rapporti contrastanti, difficol-tà che avrebbe potuto essere eliminatadefinitivamente introducendo una pro-porzione continua. Per qualsiasi mate-matico dell'epoca una proporzione con-tinua era suggerita immediatamentedai quadrati dei due numeri interi. Tradue numeri siffatti esiste sempre unmedio proporzionale intero, che è ilprodotto delle due radici quadrate. Ilrapporto del quadrato minore al medioproporzionale è uguale allora al rap-

40

41

C)

uso moderno

=

s i /s2 — v1t1/v2t2

s,/s, = v,21v22

dimostrazione per Sarpi

V,/V2 = s,ls2

WI/ W2 = V12/1122

W « in contraria propor-zione a t cioèrk/ 1,(TV2 = /1'//22

porto del medio proporzionale al qua-drato maggiore.

Nel caso di Galileo il medio propor-zionale è uguale al prodotto della radi-ce quadrata di 4 e della radice qua-drata di 9, ossia il prodotto di 2 e 3,cioè 6. Il rapporto 4: 6 è uguale al rap-porto 6 : 9, ossia 2: 3. Galileo intro-

foglio 152r

= w1/w2

wi/w,

(8b) s,/s2 -= v,Vv22

dusse il punto D sulla sua linea vertica-le a sei unità di distanza da A proprioperché esso determinava una propor-zione continua. Gli venne allora inmente di usare il medio proporzionaleper risolvere il problema dei rappor-ti dei tempi. Se la distanza AB rappre-sentava il tempo nella sua prima pro-

posizione (4 ore), allora AD (6) rappre-sentava il tempo nella seconda propo-sizione (in origine 5' ore). Dal medioproporzionale era emersa una nuovaipotesi di lavoro: il tempo originale im-piegato a percorrere la distanza piúbreve AB a 10 gradi di velocità era an-cora di quattro ore, ma ora il tempoimpiegato a percorrere la distanza mag-giore AC a 15 gradi di velocità era di-ventato sei ore, ossia il medio propor-zionale delle distanze a partire dallaquiete.

A partire da quel giorno Galileo sitrovò a disporre del principale stru-

mento analitico che avrebbe applicatoin tutti i suoi ragionamenti sulla cadu-ta libera. Non c'è alcun rapporto logi-co col procedimento precedente, se nonla logica della scoperta. Galileo si reseconto che questa combinazione di nu-meri avrebbe conservato una coerenzadi rapporti e tale era la prima mossanecessaria. Che poi tale legge si accor-dasse o no con fatti osservabili, era unproblema che sarebbe venuto poi; inciò, com'egli osservò più tardi, era sta-to « avventurato ».

Ho detto che egli era stato appuntofortunato prendendo l'avvio casualmen-te da due numeri quadrati. In tal caso,si può dire qualcos'altro del rapporto10 : 15 scelto per le velocità assegnatea tali distanze all'inizio dell'indagine?Quando due oggetti cadono a partiredalla quiete percorrendo distanze chesono fra loro nel rapporto di 4: 9, leloro rispettive velocità medie sono nelrapporto di 10 : 15. In altri termini levelocità, come i tempi, sono fra loronel rapporto di 2 : 3. Se tuttavia Gali-leo fosse partito con altri due numeriqualsiasi, o anche con due quadrati di-versi da 4 a 9, allora né il rapporto10: 15 né il rapporto dei numeri otte-nuti sommando « gradi di velocitàconsumati » sarebbero stati in accordocol rapporto del numero più piccoloal medio proporzionale tra i due nu-meri prescelti.

Due coincidenze cosí fortunate pos-sono mettere a dura prova la credulitàdel lettore. Tutto ciò che posso dire èche non sono riuscito a trovare un'al-tra ricostruzione che renda conto ragio-nevolmente di tutti gli appunti che sitrovano nel foglio 152r. Inoltre le coin-cidenze tra numeri molto piccoli nonsono cosí improbabili come potrebbesembrare.

Un'altra linea si diparte dal punto Averso sinistra, formando un certo an-golo con la linea verticale originaria.Galileo intendeva probabilmente servir-sene per rappresentare le velocità acqui-state nell'accelerazione. Queste veloci-tà alla fine dei tratti AB e AC si trova-

vano a essere esattamente doppie ri-spetto alle velocità scelte come rappre-sentative del moto attraverso tali di-stanze. Pare che Galileo non si rendes-se ancora ben conto di tale relazionequando collocò il punto E sulla lineainclinata, in modo che la distanza BErappresentasse la velocità acquistata inB, e scrisse la sua lunga conclusione.Egli suppose nondimeno che il rappor-to tra le velocità acquistate sarebbestato uguale a quello tra le velo-cità complessive acquistate cadendoper certi intervalli a partire dallaquiete. Egli tracciò la linea obliqua at-tendendosi chiaramente che altri estre-mi di linee orizzontali, designate a rap-presentare velocità acquisite, cadesserosu di essa, esattamente come aveva fat-to il segmento BE. Ma qui era in serboper lui una sorpresa. Quando egli cal-colò la lunghezza di CF (la velocità ac-quistata percorrendo in caduta liberala distanza AC) secondo il rapporto cheaveva sviluppato nella sua conclusione,trovò che il punto F non si trovava sul-la linea obliqua AE, ma su una para-bola che passava per i punti A ed E.

La conclusione di Galileo al foglioI52r è in un certo senso il punto dipartenza dell'era moderna in fisica. Quiegli mise correttamente in relazione levelocità acquistate al medio proporzio-nale delle distanze dalla quiete e otten-ne, in modo esplicito o implicito, tut-te le leggi essenziali che governanol'accelerazione nella caduta libera. Laconclusione di Galileo al foglio 152r èin un certo senso il punto di partenzadell'era moderna in fisica. Qui egli mi-se correttamente in relazione le velo-cità acquistate al medio proporzionaledelle distanze dalla quiete e ottenne,in modo esplicito o implicito, tutte leleggi essenziali che governano l'accele-razione nella caduta libera. La conclu-sione di Galileo è analizzata nei termi-ni da lui usati dei rapporti euclidei diproporzioni e nella terminologia moder-na nella tabella di pagina 40.

La conclusione cui Galileo perven-ne al foglio 152r non menziona il tem-po in quanto tale. Qui desidero sottoli-neare ancora una volta che l'unica ac-celerazione che egli abbia mai consi-derato è l'accelerazione della caduta li-bera. Cosí, mentre noi consideriamo ge-neralmente l'accelerazione come unafunzione di due variabili, distanza etempo, l'accelerazione di Galileo eradeterminata completamente da una so-la di esse. Una legge per le velocità intermini delle distanze, supponendo unaaccelerazione costante universale, nonlasciava alcuna libertà nella scelta deitempi. Le relazioni espresse da Galileoerano pertanto complete e corrette; nelfoglio 152r sono implicitamente presen-

ti tutte le relazioni significative di di-stanza, tempo e velocità che esistono._nella caduta libera.

Benché Galileo non menzioni espres-samente il tempo nella sua conclusio-ne, egli aveva esplicitamente registratoi tempi impiegati a percorrere le duedistanze dalla quiete usando una rela-zione del tipo del medio proporzionaletra quelle distanze, ed è questo preci-samente il modo in cui Galileo parlòabitualmente dei tempi e li calcolò ne-gli altri suoi appunti manoscritti e neilibri pubblicati. Non ritengo perciò diesagerare dicendo che un'implicazionediretta del foglio 152r è che il rappor-to delle velocità in due punti nella ca-duta dalla quiete è uguale al rapportodei tempi di caduta trascorsi. In termi-nologia moderna scriviamo questo rap-porto v 1 /v2 -= t 1 /t2 , dove v, e v2 sonole velocità nei due punti e ti e t2 sonoi rispettivi tempi trascorsi a partire dal-la quiete. Questo rapporto implica alcontempo che il rapporto delle distan-ze sia uguale a quello esistente tra iquadrati dei tempi.

Che Galileo si sia reso conto dell'im-plicazione è indicato dal fatto che

la legge del quadrato dei tempi (« glispazii passati dal moto naturale esserin proporzione doppia dei tempi ») fuproprio la proposizione che presentòper la dimostrazione al Sarpi, dicen-dogli che « la conosceva da qualchetempo ma che gli era mancato unprincipio totalmente indubitabile » daporre come assioma per poi dimo-strarla. La conclusione ovvia è chenel 1604 non riteneva che una sempli-ce proposizione che enunciava un'ugua-glianza tra i rapporti dei tempi e del-le velocità nel moto accelerato fosse ta-le da poter essere accettata come un« principio totalmente indubitabile ».

Al contrario, scrivendo al Sarpi, egliscelse come principio l'assunto manife-stamente contraddittorio della propor-zionalità diretta delle velocità acquista-te agli spazi percorsi dalla quiete. Ora,se intendiamo qui il termine « veloci-tà » nel senso moderno, che aveva nelfoglio 152r e che avrà più tardi anchenei Discorsi e dimostrazioni matema-tiche, allora il principio presentato alSarpi era non soltanto erroneo, ma an-che incoerente con la conclusione diGalileo al foglio 152r, dove non le ve-locità ma i quadrati delle velocità so-no proporzionali alle distanze. A que-sto punto parrebbe non restare altraconclusione se non dire che in un pri-mo tempo Galileo trovò la soluzioneesatta, volgendole poi le spalle a favo-re di quella errata e tornando solo al-cuni anni dopo alla posizione che erastata implicita nel suo primissimo ten-

tativo di matematizzare l'accelerazione.Questa conclusione è forse ancora piùsfavorevole di ciò che tutti gli storicidella scienza sono andati dicendo finoa oggi.

Abbiamo detto « parrebbe » perchéle cose non sono andate affatto cosi.Abbiamo già visto quanto abbia incisola fortuna nelle investigazioni fissateda Galileo nel foglio 152r. La sua con-clusione mancava di qualsiasi prova dicarattere oggettivo, né abbiamo alcunaragione per pensare che Galileo non sirendesse conto dell'inconsistenza dellasua prima formulazione una volta alleprese con un problema imbarazzante.Anche se noi ora sappiamo, in un mo-do per cosí dire assoluto, che il primorisultato era quello giusto, esso nonaveva nulla di inviolabile agli occhi diGalileo, che vi era pervenuto semplice-mente attraverso una sorta di eserci-zio di applicazione delle proporzioni.Egli avrebbe avuto ogni ragione di vol-gergli le spalle a favore di qualcosa dimeglio, ma non lo fece. Tutto ciò cheil risultato del foglio 152r rappresenta-va per Galileo era un significato coe-rente del concetto di « velocità » e, perquanto egli ne sapeva, poteva esseresolo un significato possibile tra moltialtri.

La proporzionalità tra il rapportodelle distanze e il rapporto dei quadra-ti delle velocità acquistate percorrendotali distanze (s 1 /s2 = v 12 /v22) era tutt'al-tro che certo. Non esisteva ancora al-cun modo per misurare direttamenteuna velocità, ed era difficile che il qua-drato di una velocità avesse mai alcunsenso fisico. Anche se il risultato fossestato riscritto in modo che il rapportodelle velocità fosse proporzionale alrapporto delle radici quadrate delledistanze (v 1 /v2 = VS2), esso nonavrebbe assunto un aspetto più verosi-mile. In che modo una velocità avreb-be potuto accomodarsi a una quanti-tà rappresentata da una distanza giàpercorsa?

L'altra relazione galileiana. ossia laproporzionalità delle distanze percorsenella caduta ai quadrati dei tempi im-piegati a percorrerle (s 1 /s2 = t12/t22),può aver presentato anch'essa qualchedifficoltà, ma differiva dalle altre perun aspetto: poteva essere verificata fi-sicamente. Galileo procedette alla suaverifica, forse nel modo in cui pensa-vo che fosse pervenuto alla sua scoper-ta, e nella sua lettera a Sarpi egli men-zionò la legge dei numeri dispari, vali-da per spazi successivi percorsi in tem-pi uguali. Quando perciò Galileo scris-se a Sarpi era molto più certo dell'esat-tezza della legge dei quadrati dei tempiche non della validità del procedimentocon cui era pervenuto a stabilirla.

(9) si/a, = /1 2//2 2 = / 1 2/ t 22 s,/s2 = ti2/t22-

La scelta, da parte di Galileo, di V I /V7 .5 1 /s2 nella dimostrazione inviata aSarpi, non significa che egli avesse rifiutato v 1 2/v,2 = s/s, (proposizione 8b),bensi significa che la » velocità », definita per Sarpi come proporzionale alledistanze percorse, non poteva essere la stessa entità fisica della » velocità »che era stata implicitamente definita come proporzionale al tempo (legge deiquadrati dei tempi) nel foglio 152r. Le relazioni fondamentali che possono es-sere derivate dalle due argomentazioni di Galileo sono:

Per f. 152r: VIV2 = ti/t2 v, 2/v2 2 = sds, = t,2/t22

Per Sarpi:

v i /V2 = t12/t22

V I /V, = s,/s 2 = 112/122

Galileo ricercò una dimostrazione soltanto per la terza e ultima relazione, chenon veniva toccata dalla sua nuova definizione della velocità ». Egli ritenevadi poter derivare questa legge tanto dalla sua nuova definizione V,/V,, = s/s,quanto dalla vecchia v 1 /v2 = t 1 /t2 , e lo fece. Più tardi trovò una ragione speri-mentale per adottare soltanto l'ultima definizione di » velocità » (quella piúantica) nella caduta libera.

La « contraria proporzione » nella dimostrazione per Sarpi stabilisce una re-lazione tra la radice quadrata di una variabile e il quadrato dell'altra. PoichéGrlileo concludeva da W," = s, 2/.5 2 2 che s,/s 2 = 1, 2 /t2 2 invocando la « con-traria proporzionalità la sua espressione significa che -V-W,/ F147; =Questa relazione non è derivabile dal solo foglio 152r, poiché quiw ,/ w2 = v i/v2 = t,//2 =- 1,/,/)r--2. La relazione deve invece derivare dal foglio152r e dalla dimostrazione per Sarpi prese insieme, ossia dall'assunzione si-multanea di W 1 /1/4/2 = V1 2/V22 e di w,/w, = v,/v 2 . Perciò solo se Galileo si eragià reso conto che nella caduta libera le velocità sono proporzionali ai tempi(v,/v2 = t,/t 2) e conservava tale conoscenza mentre stava scrivendo al Sarpi,poteva invocare validamente la » contraria proporzione ». Solo su questa stes-sa base possiamo intendere il fatto che in nessuna delle sue note autografee in nessuno dei suoi libri Galileo fece uso dell'assunto che la nostra veloci-tà ordinaria è proporzionale alla distanza (v 1 /v 2 = com'è stato spessoaccusato di fare.

CONFRONTO DELLA DIMOSTRAZIONE INVIATA A SARPICON QUELLA DEL t. 152r

Galileo sistemò le cose in modo che i punti che rappresentavano le velo-cità nel suo diagramma cadessero su una retta invece che su una parabola.A tal fine si trattava semplicemente di sostituire il suo rapporto originalev, 2/v22 s/s, col rapporto V I /V2 s 1 /s 2 , dove V, = e v2 = v. Nella suadimostrazione originale della legge della caduta libera per Paolo Sarpi, Gali-leo applicò spesso l'espressione « gradi di velocità » a velocità acquistate inun determinato punto ma non a velocità su una distanza. Nella dimostrazioneper Sarpi egli considerò la velocità su una distanza proporzionale a V (inve-ce che a v, come aveva fatto nel foglio 152r). In tal modo egli diede alla fra-se due sensi: nel foglio 152r la ,‹ velocità attraverso una distanza » era unavelocità totale, una sorta di media considerata proporzionale alla velocità fi-nale. La indicheremo sotto con w. Nella dimostrazione per Sarpi, la » velocitàsu una distanza », che è indicata W, rappresenta la nozione galileiana provvi-soria di una velocità totale » per la quale non abbiamo un termine o concetto.

Usando questi simboli (insieme con i precedenti s, t e v), possiamo rifor-mulare come segue i due trattamenti galileiani insieme alla loro contropartemoderna:

La dimostrazione della legge della caduta libera che Galileo inviò all'amico Paolo Sar-pi può essere analizzata in termini moderni. Le quantità s1, s2, vi, v2, ti e t2 conservanolo stesso significato che avevano nella tavola di pagina 40. Agli occhi di Galileo la re-lazione v 1 /v2 = rì;-/ rs7 era tutt'altro che certa. Egli era deluso del fatto che le veloci-tà dei corpi cadenti, riportate nel diagramma in funzione delle distanze, cadessero suuna parabola invece che su una linea retta. Nella dimostrazione inviata a Sarpi, Gali-leo ridefiní la « velocità » assumendone il quadrato per far sí che le velocità cadesse-ro su una linea retta, giustificando cosi la legge dei quadrati dei tempi (sil.s2= t12/t22).La dimostrazione non comincia, com'è stato supposto finora, ipotizzando che levelocità dei corpi cadenti siano proporzionali alle distanze percorse nella caduta.

42 43

MATEMATICALE SCIENZEedizione italiana di

SCIENTIFIC AMERICAN

ha finora pubblicato:

LA TEORIA NON CANTORIANADEGLI INSIEMIdi P.J. Cohen e R. Hersh (n. 1)

C'£ UN LIMITEALLE PRESTAZIONIDEI CALCOLATORI?di S. Winograd (n. 4)

LE CODEdi M.A. Leibowitz (n. 5)

MOTO BROWNIANO E TEORIADEL POTENZIALEdi R. Hersh e R.I. Griego (n. 10)

VERITÀ E DIMOSTRAZIONEdi A. Tarski (n. 12)

LA SIMMETRIA E LA SCIENZAdi Beniamino Segré (n. 14)

LA GEOMETRIA NON-EUCLIDEAPRIMA DI EUCLIDEdi Imre Tóth (n. 17)

LE APPLICAZIONIDEL CALCOLO BARICENTRICOdi Emma Castelnuovo (n. 18)

LA PARTICOLAREDISTRIBUZIONEDELLE PRIME CIFREdi R.A. Raimi (n. 20)

UN NUOVO LIVELLODI ASTRAZIONE:LA TEORIA DELLE CATEGORIEdi L. Lombardo-Radice (n. 21)

PROBLEMI NON RISOLTIDELL'ARITMETICAdi Howard DeLong (n. 34)

TRE PERSONAGGIDELLA MATEMATICAdi Bruno de Finetti (n. 39)

I MODELLI MATEMATICIE L'AMBIENTE NATURALEdi Renato Pennacchi (n. 45)

UN LIBRO DI LOGICASMARRITO DI LEWIS CARROLL,di W.W. Bartley III (n. 50)

L'implicazione più sorprendente ri-siede tuttavia nel fatto che Galileonon adottò mai la proporzionalità alladistanza per velocità acquistate nell'ac-celerazione se non come un'ipotesi dilavoro temporanea e ciò lo condusse su-bito alla proporzionalità al tempo. Eradunque errata la supposizione che nel-la lettera al Sarpi dell'ottobre 1604 Ga-lileo rifiutasse la proporzionalità al tem-po a favore della proporzionalità alladistanza nella sua dimostrazione, a di-spetto delle sue stesse parole. Quantoegli asserí nel 1638 era la verità storicaletterale: per molto tempo egli avevaritenuto indifferente definire le veloci-tà acquistate nella caduta libera comeproporzionali ai tempi trascorsi o alledistanze percorse. Egli trascurò sempli-cemente di aggiungere, supponendo chela cosa fosse ovvia ad altri come loera a lui: « purché il resto della tratta-zione matematica non venga modificatodalla scelta dell'assunto ». Rimane orada vedere come Galileo arrivasse allaproporzionalità della velocità al tempoe da considerare che cosa ci dice suquello che egli pensava fosse il signifi-cato fisico del termine « velocità ».

Possiamo prendere l'avvio sottoli-neando quella che pare a tutta primala cosa più sofisticata del foglio 152r:l'accenno di Galileo al fatto che, se-condo la definizione normale, i puntiche rappresentano la velocità, se mes-si in relazione alle distanze di caduta,vengono a trovarsi su una parabola. Senon avessimo alcuna idea sulla data diquesto documento e conoscessimo sologli studi posteriori di Galileo sulla tra-iettoria parabolica, potremmo immagi-narci che quest'osservazione piaces-se molto a Galileo. Benché i suoi stu-di sulle traiettorie siano posteriori diquattro o cinque anni rispetto alla con-clusione del foglio 152r, a questa dataegli sapeva già molto sulle parabole. Ilsuo primo studio, del 1587, si occupagià dei baricentri dei conoidi paraboli-ci ed egli se ne servi per cercare difarsi assegnare una cattedra di mate-matica. La parabola come tale non sgo-mentava Galileo. Secondo un'opinioneche Galileo conservò per tutta la vita,la natura agisce però sempre nel modopiù semplice. Poiché la regola più sem-plice sarebbe consistita nel collocare ilpunto F sulla linea retta A E , immaginoche Galileo abbia scritto le ultime pa-role del foglio 152r non con la gioiadella scoperta ma con una certa delu-sione e che ai suoi occhi tale scopertagettasse seri dubbi sull'attendibilità del-la sua incerta speculazione sull'accele-razione nella caduta libera.

Non era però difficile risistemare lecose in modo che i punti rappresentanti

le velocità acquisite da un corpo in ca-duta libera venissero a cadere su unalinea retta. Bastava sostituire al tratta-mento delle velocità col medio propor-zionale, cui aveva fatto ricorso nel-la sua conclusione, un trattamento li-neare che richiedeva solo un mutamen-to nella sua definizione di « velocità ».Si sarebbe cosí ottenuto semplicemen-te s1 /s2 = V1 /V2 , dove la nuova «velo-cità » V, avrebbe rappresentato v 1 2 eV2 avrebbe rappresentato v 22 . La rela-zione tra velocità e distanza sarebbediventata allora lineare invece che pa-rabolica. Un attento esame dimostrache questo è appunto quanto fece Ga-lileo componendo la dimostrazione perSarpi. Egli trovò anche una giustifica-zione fisica per la nuova definizione divelocità.

Una cosa che gli storici della scienzahanno sempre trascurato è che nes-

suna definizione delle « velocità » nel-l'accelerazione è stata mai data chiara-mente in termini di rapporti fra distan-ze e tempi. Archimede lo aveva fattosoltanto per il caso del moto uniforme.Galileo prese lo spunto da Archimede,cercando una definizione di questo rap-porto per le velocità continuamentevariabili nel moto accelerato. La rego-la mertoniana che rappresentava le ve-locità complesse mediante le loro ve-locità medie non gettava alcuna lucesul problema di questi rapporti ma loaggirava abilmente. Quando Galileo af-frontò il problema, non era mai stataassegnata alcuna misura fisica per levelocità nel moto accelerato. Egli siconsiderò perciò libero di definire lamisura della velocità a suo arbitrio fin-ché l'esperienza fosse stata dalla suaparte o almeno non lo avesse contrad-detto. Posso aggiungere che dovevapassare molto tempo, probabilmentepiù di 20 anni, prima che Galileo sirendesse conto di ciò che gli autori me-dievali avevano sempre supposto, ossiadell'esistenza di un moto uniforme equi-valente a qualsiasi moto uniformemen-te accelerato a partire dalla quiete.Nessun indizio della comprensione diquesto fatto si trova nelle sue note ma-noscritte. Esso appare per la prima vol-ta come teorema I nella parte intitola-ta De motu naturaliter accelerato del-la Giornata terza dei Discorsi, un teo-rema che, con tutto il rispetto dovutoal professor Grant, non fa ricorso adalcuna velocità media per rappresentareil moto accelerato nella caduta libera.

Nella sua lettera a Sarpi, Galileo os-servava che una mazza colpisce conforza doppia quando il peso cade daaltezza doppia. Quest'osservazione di-mostra che ciò che Galileo intende per

« velocità » nella dimostrazione perSarpi non poteva essere la stessa cosache egli aveva inteso con gradus velo-citatis al foglio I52r. Qui le velocità sa-rebbero state nel rapporto di fr: 1 altermine di distanze aventi fra loro ilrapporto di 2 : 1. Nella conclusione delfoglio 152r Galileo stabili sostanzial-mente la proporzionalità delle velocitàalle radici quadrate delle distanze dal-la quiete (v 1 /v2 = V'F,/ cosicché sisarebbero avute velocità nel rapportodi I alla fine dì discese nel rap-porto di 2 : 1. Nella lettera a Sarpi, Ga-lileo si riferí però all'osservazione del-l'azione di una mazza, il cui effetto, im-plicando l'energia cinetica, è governatonon dalla velocità ma dal suo quadrato.L'effetto non confermerebbe perciò laassunzione di una proporzionalitàdistanza nel senso che avevamo attri-buito alle parole di Galileo. Esso confermerebbe invece la relazione di pro-porzionalità tra distanze e velocità conmedio proporzionale ottenuta nel foglio152r e modificata per farle assumereuna forma lineare da Galileo nella let-tera a Sarpi attraverso una semplice ri-definizione della « velocità ». In termi-ni moderni, la dimostrazione per Sar-pi è equivalente alla dimostrazione delfoglio 152r previa sostituzione di V, av 1 2 e di V2 a v22 . Ritengo che Galileoabbia introdotto questa modifica perpoter collocare le velocità acquisite suuna linea retta anziché su una parabo-la. Con questa trasformazione, il rap-porto stabilito in precedenza da Galileos 1 ls2 = v 1 2 /v22 diventa s 1 /s2 -= V,/ V2(si veda la tavola a pagina 42).

Il fatto che Galileo, scrivendo al Sarpi,adottasse il rapporto S 1 /S2 = V2,

non significa, com'è stato supposto fi-nora, che egli rifiutasse la sua relazioneoriginale s 1 /s2 = v 1 2/v22. Esso significainvece che la velocità definita nellalettera al Sarpi proporzionale alla di-stanza non poteva essere più la stessaentità fisica implicitamente definita pro-porzionale al tempo nel foglio 152r. Lalegge dei quadrati dei tempi non ven-ne tuttavia alterata dalla nuova defini-zione della velocità da parte di Galileo.Egli riteneva di poter derivare altret-tanto bene la legge dei quadrati deitempi da s1 /s2 = V 1IV2 così come dav 1 /v2 -= 1 1 112, come di fatto avvenne.Più tardi trovò una ragione sperimen-tale per adottare solo la seconda rela-zione (quella più antica) e definire lavelocità nel modo in cui la definiamonoi ancor oggi.

È abbastanza facile asserire a questopunto: «Ma in ogni stadio dev'essereesistito un criterio di scelta, poiché difatto le velocità nella caduta libera non

aumentano secondo gli spazi percorsinella caduta ma secondo i tempi tra-scorsi ». Quest'asserzione presupponeperò una definizione fisica di «veloci-tà ». Ciò che noi intendiamo per « ve-locità» aumenta appunto in quel mo-do. Nella dimostrazione inviata a Sar-pi, Galileo scelse invece di usare qual-cos'altro, fondandosi sull'osservazionedell'effetto delle mazze nel piantare unpalo, effetto che corrisponde al quadra-to della nostra nozione di velocità. Sechiamiamo « velocità » la nozione adot-tata da Galileo, non ci è lecito soste-nere che la « velocità » non aumentasecondo lo spazio percorso nella cadu-ta. Per far si che la « velocità » di Ga-lileo, secondo la nozione adottata nellalettera al Sarpi, si comportasse come lavelocità nell'accezione oggi comune,dovremmo modificare i metodi usualiper misurare il tempo e la distanza. Ga-lileo non introdusse però alcun muta-mento nelle sue relazioni tra tempi espazi, in modo da far comportare inmodo diverso la sua « velocità ». Il piùche possiamo dire della sua definizioneè che noi ne preferiamo un'altra: lastessa adottata da lui stesso più avan-ti. Secondo il ragionamento di Galileo,l'effetto di una mazza poteva mutaresolo se il peso avesse acquistato nelladiscesa una velocità diversa. In effettiegli decise per qualche tempo di chia-mare « velocità » quel qualche cosa chefa variare la forza della percossa di uncorpo in caduta libera da altezze diver-se. Egli poté misurare questa quantità,la quale si comporta come la nostra v2.Più tardi egli trovò un modo di osser-vare direttamente la velocità nel sensoattuale del termine, ma non lo cono-sceva ancora nel 1604.

Nella dimostrazione inviata a Sarpi,Galileo invocava una proporzionalitàcontraria tra velocità e tempi, una cu-riosa relazione che uguaglia il rappor-to delle radici quadrate di una variabileal rapporto tra le radici quadrate del-l'altra. Disponendo di questo strumen-to egli concludeva che la radice qua-drata della cosiddetta velocità totale èproporzionale al quadrato del tempo (siveda la tavola a pagina 42). Galileoaveva qualche motivo per asserire unatale relazione? Certo egli non ne pre-senta nessuno nella dimostrazione invia-ta al Sarpi, poiché il tempo non vi vie-ne menzionato fino all'introduzione del-la proporzionalità contraria. Né unatale relazione poteva essere derivatadal solo foglio 152r.

La relazione deriva però dall'unionedei due documenti e poté emergere so-lo per il fatto che Galileo supponevache quella che noi chiamiamo « velo-cità » rimanesse proporzionale al tem-po, anche se la sua nuova « velocità »

veniva posta come proporzionale alladistanza. Solo grazie a questa suppo-sizione egli poté parlare, nella lettera aSarpi, di « contraria proporzione ». Eche Galileo supponesse veramente taleproporzionalità della velocità al tempoè confermato dal fatto incontrovertibi-le che nelle 160 carte di note sul mo-to stese in un periodo di 30 anni nonc'è un solo caso in cui Galileo si siavalso dell'assunto che le velocità, nelsenso comune, siano proporzionali al-la distanza nella caduta libera.

La nuova situazione è dunque que-sta: Galileo ottenne il risultato dellaproporzionalità delle velocità ai tempitrascorsi a partire dalla quiete nellacaduta libera nel suo primissimo tenta-tivo di applicare la matematica al mo-to accelerato, probabilmente alla metàdel 1604. Egli non abbandonò mai taleconcezione, pur avendo modificato perqualche tempo la sua definizione dellavelocità per amore dell'eleganza e inomaggio alla semplicità dei fenomeninaturali, sostenuto dal ragionamentosu un fenomeno osservato di energiacinetica. Infine un classico esperimen-to, ancora inedito (f. 116), lo indussea rifiutare la definizione alternativa.

Noi non possediamo, né del resto neabbiamo bisogno, un nome partico-

lare per la quantità fisica della « velo-cità» quale compare nella dimostrazio-ne inviata al Sarpi. Se le dessimo unnome, tale vocabolo comparirebbe spes-so nelle nostre discussioni della nozionedi energia, e ci sembrerebbe più ovvioche tale entità fisica entrasse nelle di-scussioni direttamente, e non come ilquadrato di qualcos'altro. Possiamopensare alla velocità di un corpo ca-dente (nel senso attuale) in relazionealla velocità con cui si muoverebbese potesse continuare il suo motosu un piano orizzontale, e alla « velo-cità » nel senso della lettera al Sarpi inrelazione alla forza della percossa diun corpo che cadesse verticalmente conessa. Se esistano veramente due siffat-te entità fisiche distinte o se invece siasempre la stessa entità a entrare in al-cuni calcoli secondo il suo valore v ein altri secondo il suo quadrato (v 2 oV) sarebbe difficile stabilirlo.

Questo problema era destinato aemergere in qualche modo, dopo cheGalileo, convinto che la natura gliavesse forzato la mano, soppresse lasua definizione alternativa. Verso la fi-ne del XVII secolo Leibniz vide « l'er-rore memorabile di Descartes » nel fat-to di aver trascurato v2. Dopo decennidi violente discussioni si riconobbeche l'intero problema non era altroche una controversia sul significato as-segnato alle parole.

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