Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

324
Prefazione I due volumi che compongono l'opera costituiscono la rielaborazione e l'aggiornamento dei miei due volumi di «Corso di Meccanica applicata alle macchine» la cui prima edizione vide la luce, per i tipi dell'editore Patron, nel 1970. La nuova opera, frutto della collaborazione mia con i Colleghi Alberto Maggiore e Umberto Meneghetti, è notevolmente rinnovata ed aggiornata, con interventi particolarmente incisivi nel secondo volume. Ma l'organizzazione della materia ed i criteri seguiti nella trattazione dei diversi argomenti sono quelli stessi the furono a suo tempo adottati e che, almeno presso la Facoltà di Ingegneria di Bologna, hanno avuto una positiva risposta didattica. Il primo volume è dedicato allo studio dei meccanismi considerati da un punto di vista geometrico e cinematico, allo studio delle forze agenti sulle macchine, allo studio dell'equilibrio delle macchine in condizioni di moto uniforme. Nel secondo volume vengono trattate alcune fondamentali questioni di dinamica delle macchine rotative ed alternative. La macchina viene considerata sia isolatamente, sia come componente di un impianto costituito da una macchine motrice e da una macchina operatrice. Gli argomenti trattati sono quelli tradizionalmente svolti nei corsi di Meccanica applicata alle macchine con alcune integrazioni che ci sono sembrate opportune sia per ragioni di aggiornamento, sia per adattare la materia alle esigenze di piani di studio carenti di materie di carattere meccanico (non è questo il caso del piano degli studi per allievi di lngegneria meccanica nella Facoltà di Ingegneria di Bologna, dove il corso di Meccanica applicata alle macchine è integrato nel corso, obbligatorio sul piano di Facoltà, di Dinamica e controllo delle macchine a fluido, e dal corso facoltativo di Complementi di meccanica applicata). Per venire incontro a queste esigenze sono stati rielaborati e ampliati i capitoli sulla teoria dei fenomeni vibratori e sulla regolazione della velocità angolare; ed è stato introdotto un nuovo capitolo sulla misura dei fenomeni vibratori. Criteri di aggiornamento ci hanno imposto, poi, di rielaborare molti capitoli; tipico è il caso di quello sulla cinematica dei meccanismi, che è stato completamente ristrutturato e che è stato arricchito di alcuni paragrafi dedicati alto studio dei sistemi articolati spaziali. Nella esposizione dei diversi argomenti abbiamo cercato di insistere sulla impostazione fisica delle questioni trattate e sui campi di impiego delle soluzioni proposte, in modo da dare all'allievo non soltanto mezzi di analisi dei sistemi meccanica, ma anche criteri di scelta delle soluzioni da adottare nella progettazione. Per non appesantire inutilmente il testo abbiamo evitato

description

q

Transcript of Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Page 1: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Prefazione

I due volumi che compongono l'opera costituiscono la rielaborazione e l'aggiornamento dei miei due volumi di «Corso di Meccanica applicata alle macchine» la cui prima edizione vide la luce, per i tipi dell'editore Patron, nel 1970.

La nuova opera, frutto della collaborazione mia con i Colleghi Alberto Maggiore e Umberto Meneghetti, è notevolmente rinnovata ed aggiornata, con interventi particolarmente incisivi nel secondo volume. Ma l'organizzazione della materia ed i criteri seguiti nella trattazione dei diversi argomenti sono quelli stessi the furono a suo tempo adottati e che, almeno presso la Facoltà di Ingegneria di Bologna, hanno avuto una positiva risposta didattica.

Il primo volume è dedicato allo studio dei meccanismi considerati da un punto di vista geometrico e cinematico, allo studio delle forze agenti sulle macchine, allo studio dell'equilibrio delle macchine in condizioni di moto uniforme.

Nel secondo volume vengono trattate alcune fondamentali questioni di dinamica delle macchine rotative ed alternative. La macchina viene considerata sia isolatamente, sia come componente di un impianto costituito da una macchine motrice e da una macchina operatrice.

Gli argomenti trattati sono quelli tradizionalmente svolti nei corsi di Meccanica applicata alle macchine con alcune integrazioni che ci sono sembrate opportune sia per ragioni di aggiornamento, sia per adattare la materia alle esigenze di piani di studio carenti di materie di carattere meccanico (non è questo il caso del piano degli studi per allievi di lngegneria meccanica nella Facoltà di Ingegneria di Bologna, dove il corso di Meccanica applicata alle macchine è integrato nel corso, obbligatorio sul piano di Facoltà, di Dinamica e controllo delle macchine a fluido, e dal corso facoltativo di Complementi di meccanica applicata).

Per venire incontro a queste esigenze sono stati rielaborati e ampliati i capitoli sulla teoria dei fenomeni vibratori e sulla regolazione della velocità angolare; ed è stato introdotto un nuovo capitolo sulla misura dei fenomeni vibratori. Criteri di aggiornamento ci hanno imposto, poi, di rielaborare molti capitoli; tipico è il caso di quello sulla cinematica dei meccanismi, che è stato completamente ristrutturato e che è stato arricchito di alcuni paragrafi dedicati alto studio dei sistemi articolati spaziali.

Nella esposizione dei diversi argomenti abbiamo cercato di insistere sulla impostazione fisica delle questioni trattate e sui campi di impiego delle soluzioni proposte, in modo da dare all'allievo non soltanto mezzi di analisi dei sistemi meccanica, ma anche criteri di scelta delle soluzioni da adottare nella progettazione. Per non appesantire inutilmente il testo abbiamo evitato

Page 2: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

di dilungarci nei passaggi matematici; il testo resta, comunque, di facile lettura per chiunque abbia il livello di preparazione del primo biennio di Ingegneria. Alla fine di ogni capitolo è riportata una essenziale bibliografia delle sole opere specialistiche. La bibliografia di opere di carattere generale è riportata in fondo ai due volumi.

E.F Bologna, marzo 1987

Page 3: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Capitolo 1 Composizione dei meccanismi 1.1. MACCHINA E MECCANISMO

Diamo alcune definizioni di termini che incontreremo frequentemente nel

corso di queste lezioni, cominciando con la definizione di macchina. Una macchina e un sistema di organi disposti in modo tale da compiere,

movendosi sotto l'azione di forze opportunamente applicate, lavoro di interesse industriale.

In sostanza una macchina ha il compito di trasformare una energia, in essa entrante, di un certo tipo, in energia da essa uscente, in generale di tipo diverso: ad esempio di trasformare energia meccanica in altre forme di energia (come avviene nelle macchine operatrici, nelle macchine generatrici elettriche), oppure di trasformare in energia meccanica energia di tipo generalmente diverso (come nelle macchine motrici), oppure anche di trasformare energia meccanica in energia meccanica, variandone i fattori (come avviene ad esempio nei riduttori di velocità). Possiamo dunque dire che una macchina ha la duplice funzione di trasmettere movimento e di trasmettere forze.

Nella prima parte del corso, dopo aver premesso alcune nozioni sulla composizione delle macchine in relazione alla loro possibilità di movimento, prenderemo in esame le forze che agiscono sulle macchine con particolare riguardo alle forze che si sviluppano nel contatto fra i singoli organi; dopo di che ci occuperemo dello studio del movimento degli organi di una macchina da un punto di vista prevalentemente geometrico e cinematico, per passare poi, in alcune applicazioni di maggiore interesse, a considerare la macchina dal punto di vista della trasmissione di forze e della trasformazione di energia.

Nella seconda parte del corso verranno studiati problemi di carattere prettamente dinamico, nei quali lo studio del movimento a intimamente connesso con quello delle forze di inerzia che con esso nascono.

In queste lezioni useremo spesso, invece del termine macchina, il termine meccanismo. Parleremo di meccanismo, a proposito di un certo dispositivo, quando lo considereremo dal punto di vista del movimento, più che da quello delle forze in gioco e delle trasformazione di energia che in esso abbiano luogo. Pertanto la nozione di meccanismo non è connessa con quella di lavoro, a differenza della nozione di macchina, dispositivo che, come si è visto, è per definizione sede di un flusso di energia. Si potrà, cosi, parlare di meccanismo, sia a proposito di un dispositivo costituente il tutto od una parte di una macchina, considerate dal particolare punto di vista suddetto, sia a proposito di dispositivi, come ad esempio gli strumenti di misura, che pur

1

Page 4: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

essendo in qualche caso chiamati macchine nell'uso corrente, non rientrano nella definizione di macchina sopra data.

Gli organi che compongono una macchina, od un meccanismo, si dicono membri; un membro può essere costituito, per ragioni costruttive, da più pezzi resi solidali fra loro, purché da un punto di vista funzionale si comportino come un pezzo solo (così un albero sul quale siano state calettate delle ruote dentate costituisce, insieme con queste, un solo membro).

Ciascun membro viene a contatto con uno o più membri del meccanismo. Nella maggior parte dei casi ciascun membro e a contatto con due membri; questo è ad esempio il caso dei meccanismi rappresentati in fig. 1.1, nei quali ciascun membro è stato contrassegnato da un numero.

Fig. 1 .1 - Esempi di meccanismi con membri binari (ciascun membro e accoppiato con altre due).

2

Page 5: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

1.2. COPPIE CINEMATICHE

Due membri fra loro a contatto si toccano su due porzioni, talvolta relativamente ampie, talaltra limitatissime della loro superficie. A ciascuna di esse diamo il nome di elemento cinematico; l'insieme di due elementi cinematici a contatto costituisce una coppia cinematica.

Nei casi illustrati in fig. 1.1 ogni membro porta due elementi cinematici, ciascuno dei quali viene a contatto con il corrispondente elemento cinematico di un membro adiacente. Nei meccanismi di fig. 1.1 si hanno tanti membri quante sono le coppie cinematiche. Ciò accade nei meccanismi nei quali ciascun membro presenta due soli elementi cinematici.

Passiamo ad esaminare più da vicino gli elementi cinematici, la loro funzione e la loro realizzazione pratica.

Un membro di un meccanismo deve possedere una possibilità di movimento rispetto a ciascuno dei membri adiacenti. Pertanto una coppia cinematica deve permettere almeno un grado di libertà.

Come è noto, se consideriamo un corpo rigido nello spazio, il numero dei possibili gradi di libertà del corpo è sei; nel piano il numero dei possibili gradi di libertà si riduce a tre. E’ ovvio che, volendo ridurre di uno il numero dei gradi di libertà di un corpo rigido, basta impedirgli uno dei possibili movimenti; per far ciò, nel modo più semplice, basta portare a contatto del corpo, in posizione opportuna, un appoggio che può essere realizzato in modo da venire a contatto con it corpo su di una superficie ridottissima, teoricamente in un punto. L'appoggio deve essere bilaterale, ossia deve essere in grado di reagire nei due sensi, a meno che forze opportunamente applicate al corpo (ad esempio il peso) non siano in grado di impedire il distacco del corpo stesso dall'appoggio.

Come esempio consideriamo la fig. 1.2. Volendo impedire al corpo di forma parallelepipeda ogni movimento, basta vincolarlo con sei appoggi opportunamente disposti (ad esempio tre, non allineati, sulla superficie inferiore; due, non sovrapposti, su una faccia di destra; uno su una faccia perpendicolare alle prime due). Forze opportunamente applicate debbono assicurare it contatto fra it corpo e gli appoggi (diciamo per inciso che la fig. 1.2 rappresenta una disposizione frequentemente usata per piazzare un pezzo grezzo su tavole di macchine utensili).

Fig. 1.2 - Corpo rigido vincolato con sei puntalini

3

Page 6: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 1.3 - Corpo rigido che può ruotare attorno ad un asse.

Fig. 1.4 - Corpo rigido che può ruotare attorno ad

asse. un

4

unemente adottata per il piazzamento di corpi c

o B deve essere traslatorio i incoli possono essere disposti come in fig. 1.5.

orpo rigido che può traslare lungo

a direzione

Supponiamo ora che il moto relativo fra due membri di un meccanismo debba avere un solo grado di libertà. Un tale risultato potrà essere ottenuto impiegando cinque vincoli del tipo di quelli indicati in fig. 1.2. Così, ad esempio, volendo far ruotare un membro A rispetto ad un membro fisso B, basta vincolare il membro A come indicato nelle figg. 1.3 e 1.4 (la soluzione rappresentata in fig. 1.4 è comilindrici su macchine utensili). Se il moto relativo fra il membro A ed il membr

v

Fig. 1.5 - Cun

Page 7: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 1.6 - Corpo rigido che può muoversi di moto elicoidale

Se, poi, il moto relativo fra i membri A e B deve essere elicoidale, si può adottare la soluzione di fig. 1.6.

I tipi di vincolo rappresentati nelle figure da 1.2 a 1.6 richiedono la lavorazione accurata di uno solo dei due elementi cinematici; è questo un vantaggio nei confronti delle soluzioni che richiedono la lavorazione accurata di entrambi gli elementi cinematici. Vincoli pressoché puntiformi vengono, peraltro, usati solamente in via eccezionale nelle coppie cinematiche; possono essere usati solamente quando le forze in gioco sono molto piccole, come nella meccanica fine.

L'impiego di vincoli pressoché puntiformi (puntalini) è invece comune nelle attrezzature di officina, quando si tratti di tenere fisso un pezzo grezzo, limitato cioè da superfici irregolari. In questo caso, infatti, montaggi come quelli di fig. 1.2 o di fig. 1.4 permettono un fissaggio sicuro di pezzi di forma grosso modo parallelepipeda o cilindrica.

Prescindendo da queste applicazioni molto particolari, nelle costruzioni meccaniche si evitano vincoli pressoché puntiformi. Di norma, infatti, la superficie di contatto fra due corpi deve essere di ampiezza sufficiente a mantenere entro limiti tollerabili il valore della pressione di contatto. Le soluzioni comunemente adottate in sostituzione di quelle rappresentate nelle figg. 1.3, 1.5, 1.6 sono quelle delle figg. 1.7, 1.8, 1.9.

Fig. 1.7 - Coppia rotoidale.

In tutte queste soluzioni si hanno contatti non localizzati su punti, ma estesi a zone di ampiezza adeguata all'entità delle forze in gioco. Queste soluzioni possono pensarsi ottenute da quelle sopra esaminate aumentando il numero delle zone di contatto con l'aggiunta di vincoli in soprannumero, ma non

5

Page 8: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

contrastanti con quelli strettamente necessari. In fig. 1.7 è rappresentata la coppia rotoidale, che permette la rotazione del membro A intorno ad un asse (la traslazione lungo lo stesso asse essendo impedita ad esempio da anelli o risalti come quelli visibili nella sezione). In fig. 1.8 è rappresentata la coppia prismatica; le soluzioni costruttive comunemente adottate sono del tipo di quelle rappresentate nelle figg. 1.8 b), 1.8 c) (accoppiamento con linguetta e accoppiamento con profilo scanalato). In fig. 1.9 è rappresentata la coppia elicoidale costituita da una vite e da una madrevite.

Fig. 1.8 -Esempi di coppia prismatica

Fig. 1.9 - Coppia elicoidale.

6

Page 9: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

7

Le tre coppie sopra citate sono costituite da due elementi cinematici rigidi, che possono venire a contatto fra loro su superfici non nulle (ossia da due elementi cinematici tra loro combacianti). Si può facilmente dimostrare che, fra le coppie cinematiche ad un solo grado di libertà, soltanto le tre coppie sopra citate sono contemporaneamente rigide e combacianti. Le coppie rigide e combacianti no anche chiamate coppie elementari.

Oltre alle coppie elementari si impiegano correntemente nelle costruzioni meccaniche le coppie superiori. Si hanno coppie superiori rigide ma non combacianti (v. ad esempio la fig. 1.1 c), nella quale è superiore la coppia fra i membri 1 e 2) e coppie superiori combacianti ma non rigide (v. la fig. 1.1 d), nella quale sono superiori le coppie fra i membri 1, 2 e 2, 3).

Nelle coppie superiori rigide e non combacianti gli elementi cinematici vengono fra loro a contatto o in un punto o, al più, lungo una linea (prescindiamo, naturalmente, dalle deformazioni locali la cui entità è legata a quella delle forze di contatto).

Le coppie superiori, a differenza di quelle elementari, non definiscono in modo completo il moto relativo dei due membri a contatto; pertanto per il loro studio è necessario prendere in considerazione il meccanismo nel quale sono inserite.

Oltre alla classificazione delle coppie cinematiche in elementari e superiori, le coppie si sogliono suddividere in coppie piane, sferiche e generali, a seconda che il moto relativo fra i membri da esse collegati sia piano, sferico o più generale. Più precisamente diremo piana una coppia nella quale, pensando fisso uno degli elementi cinematici, l'altro si muove in modo che ogni suo punto descrive traiettorie parallele ad un piano (come accade ad esempio nelle coppie delle figg. 1.7 e 1.8). Diremo sferica una coppia nella quale dette traiettorie siano contenute su sfere concentriche (come ad esempio nella coppia di fig. 1.11 c). Una coppia che non sia piana né sferica, è una coppia generale: il moto relativo fra gli elementi cinematici di tale coppia è, nel caso più generale possibile, una successione di moti istantanei elicoidali. Un caso particolare è il moto elicoidale realizzato dalla coppia di fig. 1.9, che è appunto il più semplice esempio di coppia generale.

Nei meccanismi piani, cioè nei meccanismi nei quali tutti i punti dei vari membri descrivono traiettorie parallele ad un piano, tutte le coppie sono coppie piane. Pertanto la forma degli elementi cinematici è completamente definita dalla loro proiezione su di un piano parallelo a quello del moto. Nel caso delle coppie combacianti le proiezioni dei due elementi cinematici ovviamente coincidono (almeno per un certo tratto: caso della fig. 1.1 d); nelle coppie non combacianti le proiezioni dei due elementi cinematici sono, invece, due linee tangenti in un punto; a tali linee si dà il nome di profili coniugati (con ciò si mette in evidenza che esse, durante il moto relativo dei due membri, restano fra loro a contatto). In seguito avremo occasione di soffermarci sui procedimenti che permettono di tracciare i profili coniugati,

Page 10: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

note essendo le leggi del moto. Vedremo anche che la nozione di profilo coniugato potrà estendersi a coppie non piane.

1.3. TIPI DI CONTATTO FRA ELEMENTI CINEMATICI Facciamo riferimento ad una coppia piana; ma quanto diremo è ovviamente

estendibile al caso generale. Consideriamo i due profili coniugati rappresentati in fig. 1.10, tra loro a

contatto nel punto M. Per quanto riguarda la velocità relativa dei due profili in corrispondenza del punto M distinguiamo tre casi:

- la velocità relativa in M sia zero: si ha allora un moto relativo di puro rotolamento;

- la velocità relativa in M sia diversa da zero ma giaccia sulla tangente t ai due profili in M: si ha allora un moto relativo di strisciamento (non è esclusa la sovrapposizione di un moto di rotolamento);

- la velocità relativa in M sia diversa da zero ed abbia componente non nulla sulla normale in M ai profili: nella rappresentazione di fig. 1.10, che considera i profili a contatto in M, questi, o stanno per distaccarsi perdendo la loro caratteristica di profili coniugati, o sono pervenuti a toccarsi attraverso un urto. Il contatto di urto, essenziale nel funzionamento di particolari dispositivi (percussori, martelli, magli), è di norma assolutamente da evitare nelle costruzioni meccaniche.

È ovvio che nelle coppie elementari non si può avere moto di rotolamento fra gli elementi cinematici.

Fig. 1.10 -Profili coniugati.

1.4. GRADI DI LIBERTÀ DELLE COPPIE CINEMATICHE

Finora abbiamo considerato coppie cinematiche ad un grado di libertà. Nelle costruzioni meccaniche si incontrano frequentemente anche coppie a più gradi di libertà; le più comuni soluzioni sono elencate nella tabella 1.1. In essa sono anche indicate le possibilità di movimento permesse da ciascuna coppia.

Tutte le coppie elencate in tabella sono rigide. Fra di esse le sole coppie 8

Page 11: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

9

rigide e combacianti sono le coppie R, P, E, C, S, PP (le coppie C, PP si ottengono molto semplicemente dalle coppie R, P con l'abolizione rispettivamente di uno o due vincoli). Si può così dire che queste coppie sono elementari. Tutte le altre elencate in tabella sono superiori.

Tabella 1.1 - Principali tipi di coppie cinematiche

Movimenti permessi

Gradi di libertà

Categoria della

coppia

Denominazione della coppia rotazioni traslazioni moti

elicoidali Descrizione della coppia

uno C1 R (elementare) P (elementare) E (elementare)

uno uno uno Coppia rotoidale (fig. 1.7) Coppia prismatica (fig. 1.8) Coppia elicoidale (fig. 1.9)

due C2

RT C (elementare) CS R

due uno uno uno

uno uno uno

Corpo di rivoluzione entro guida torica (fig. 1.11) Coppia rotoidale senza spallamenti (cilindrica) Cilindro entro scanalatura (fig. 1.11)Corpo di rivoluzione entro guida elicoidale

tre C3

S (elementare) SA SL PP(elementare)

tre due due uno

uno due uno

Sfera entro sede sferica (fig. 1.11) Sfera con perno entro sede cilindrica con scanalatura (fig. 1.11) CS. con scanalatura elicoidale Piano su piano (fig. 1.11)

quattro C4 Sc SE CC

tre tre due

uno due uno

Sfera entro guida cilindrica Sfera entro guida elicoidale Cilindro su piano (ovvero cilindri a contatto su di una generatrice)

cinque C5 S5 tre due Sfera su piano (ovvero due superficia contatto in un punto)

Fra le coppie elencate in tabella alcune sono molto impiegate nelle

costruzioni meccaniche. In particolare, oltre alle coppie R, P, E di cui già si è parlato, usatissime sono le coppie Cs, Q : un caso particolare della coppia Cs è la coppia ruota-rotaia; della coppia C, si incontrano numerose varianti di enorme importanza applicativa (contatto fra cilindri ad assi paralleli di sezione in generale non circolare).

In fig. 1.11 sono rappresentate alcune fra le coppie citate nella tabella 1. I.

Page 12: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 1.11 - Esempi di coppie cinematiche (per i simboli si veda la tabella 1. I).

1.5. CATENA CINEMATICA E MECCANISMO

Parlando di meccanismi abbiamo sempre supposto fisso uno dei membri (al membro fisso si dà il nome di telaio).

Se consideriamo un dispositivo come quelli già esaminati e supponiamo che nessuno dei membri che lo compongono sia a priori da considerare fisso, diamo al dispositivo il nome di catena cinematica. Una catena cinematica diviene un meccanismo quando un suo membro viene fissato a fungere da telaio.

È ovvio che da una catena cinematica si possono ottenere tanti meccanismi quanti sono i membri della catena; ma di norma non tutti questi meccanismi sono strutturalmente fra loro diversi (la diversità essendo da valutare soltanto sulla base del numero e del tipo degli elementi cinematici di ciascun membro, in relazione alla posizione che questo occupa nel meccanismo). Così ad

10

Page 13: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

esempio, se consideriamo la catena cinematica con quattro membri e quattro coppie rotoidali (quadrilatero articolato; v. fig. 1.1 b), i quattro meccanismi che da essa si possono ottenere, fissando uno qualunque dei quattro membri, sono strutturalmente identici.

1.6. GRADI DI LIBERTÀ DI UN MECCANISMO PIANO

Supponiamo che i membri di un meccanismo siano vincolati fra loro in modo che ciascun loro punto possa descrivere solamente traiettorie parallele ad un piano; si ha allora un meccanismo piano (come quelli rappresentati in fig. 1.1). Passiamo a considerare i gradi di libertà di un meccanismo piano.

Fig. 1.12 - Quadrilatero articolato.

Per fissare le idee consideriamo il meccanismo rappresentato in fig. 1. 12 costituito da quattro aste (membri) tra loro accoppiate mediante coppie rotoidali (il meccanismo è noto sotto il nome di quadrilatero articolato).

Indichiamo con m il numero dei membri di un meccanismo; con c1 il numero delle coppie che lasciano un grado di libertà (ossia che, nel piano, tolgono due gradi di libertà), come le coppie R, P; con c2 il numero delle coppie che lasciano due gradi di libertà (ossia che, nel piano, tolgono un grado di libertà), come la coppia CS. Tenuto conto che un membro del meccanismo è fisso, il numero l dei gradi di libertà dell'intero meccanismo vale nel piano:

l=3(m-1)-2c1-c2 (1.1)

Si osserva che nel caso del quadrilatero articolato è m=4, c1=4, c2=0; si ottiene, come del resto è evidente, l = 1.

Consideriamo altri meccanismi contenenti soltanto coppie di tipo c1 ; si ha l=1 per i seguenti casi: m=2, c1=1; m=6, c1=7; ecc.. Il primo caso corrisponde a quello di un'asta infulcrata su di un punto fisso al telaio; il secondo caso porta alle due catene cinematiche di fig. 1.13, dalle quali si ottengono i meccanismi (strutturalmente diversi) riprodotti in fig. 1.14.

11

Page 14: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 1.13 - Catene cinematiche di Stephenson e di Watt.

Fig. 1.14 - Meccanismi ottenibili dalle catene cinematiche di Stephenson e di Watt.

I tre meccanismi della prima riga si ottengono dalla prima delle due catene cinematiche di fig. 1.13. Nel primo dei tre meccanismi il telaio è un membro con tre elementi cinematici (ternario); nel secondo è telaio un membro con due elementi cinematici (binario) che si accoppia a due membri ternari; nel terzo è telaio un membro binario che si accoppia ad un membro binario e ad uno ternario.

I due meccanismi della seconda riga si ottengono dalla seconda catena cinematica di fig. 1.13 fissando rispettivamente un membro ternario ed uno binario.

12

Page 15: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 1.15 - Esempi di meccanismi piani con un grado di libertà.

I meccanismi rappresentati in fig. 1.15 contengono ciascuno due coppie di tipo C1 ed una coppia di tipo C2 . Essendo m=3 si ottiene, anche per essi, l=1.

Osserviamo che in qualche caso la (1.1) può dare per 1 un valore inferiore a quello effettivo. Ciò perché può accadere che alcuni dei vincoli di un meccanismo siano soltanto apparenti, la loro azione non essendo in contrasto con quella di altri vincoli. Un esempio sarà di chiarimento

Fig. 1.16 - Meccanismo piano con un grado di libertà.

Consideriamo il meccanismo di fig. 1.16, per il quale è m = 4, C2 = 4, l=1. È facile rendersi conto, e sarà meglio visto in seguito, che il punto M dell'asta 2, allineato con A e B e da essi equidistante, descrive una traiettoria circolare, avente per centro il punto O di intersezione degli assi dei due bracci del glifo 4. Pertanto l'aggiunta di un'asta (fig. 1.17), infulcrata ad un estremo in O ed all'altro in M, non aggiunge alcun vincolo a quelli preesistenti, anche se la formula (1.1) dà per il meccanismo di fig. 1.17,

06243 =⋅−⋅=l .

13

Page 16: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 1.17 - Meccanismo piano che possiede un grado di libertà purché i punti A, M, B siano allineati e sia AM = MB.

Può anche accadere che il meccanismo abbia uno o più gradi di libertà non essenziali. Tale è il caso del meccanismo di fig. 1.18, che si ottiene da quello di fig. 1.15 sostituendo al piattello inferiore del membro 3 una rotella accoppiata rotoidalmente all'asta traslante (asta 3 in fig. 1.18). Per questo meccanismo è m=4, c1=3, c2=1, l=2. Il meccanismo possiede, cioè, due gradi di libertà. Ad ogni posizione del membro 1 corrisponde ancora, come nel meccanismo di fig. 1.15, una posizione dell'asta traslante; ma nel meccanismo di fig. 1.18 la rotella 2 può assumere una qualunque posizione attorno al proprio asse, portando a due le coordinate capaci di individuare le posizioni dei membri del meccanismo. Il grado di libertà corrispondente alla rotazione della rotella è, peraltro, di importanza secondaria dal punto di vista del funzionamento del meccanismo (almeno finché non si prendano in considerazione gli attriti).

14

Fig. 1.18 - Meccanismo piano con due gradi di libertà, di cui uno interno (rotazione della rotella 2 attorno al proprio asse).

Page 17: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Le considerazioni sopra svolte sui gradi di libertà di un meccanismo piano si applicano naturalmente anche ai meccanismi con coppie non rigide, come ad esempio al meccanismo di fig. 1.1 d), nel quale il contatto fra membri 1,2 e 2,3 è combaciante ma non rigido. È chiaro che, se supponiamo nullo lo strisciamento fra la cinghia 2 e le ruote 1,3, la coppia cinghia-ruota ha un solo grado di libertà, il moto relativo essendo di puro rotolamento. Pertanto anche in questo caso è, come nel quadrilatero articolato, m=4, c1=4, c2=0, l=1.

1.7. GRADI DI LIBERTÀ DI UN MECCANISMO NELLO SPAZIO

Quanto abbiamo detto a proposito dei gradi di libertà di un meccanismo nel piano può essere esteso al caso di un meccanismo nello spazio. La (1.1) si trasforma ovviamente nella seguente:

l=6(m-1)-5c1-4c2-3c3-2c4-c5 (1.2)

nella quale si è indicato con ci (v. tabella 1.1) il numero delle coppie cinematiche Ci che lasciano i gradi di libertà (e che quindi tolgono al sistema 6 - i gradi di libertà).

Se consideriamo il quadrilatero articolato come meccanismo nello spazio e supponiamo di vincolare mutuamente i suoi membri con coppie rotoidali (coppia R della tabella 1.I categoria C1 ), si ha: m = 4, c1 = 4; e quindi, per la (1.2), l= -2. Ciò significa che un quadrilatero realizzato come abbiamo supposto è supervincolato e pertanto può funzionare soltanto se i vincoli sovrabbondanti non sono, di fatto, in contrasto con i vincoli essenziali.

Affinché il quadrilatero abbia un grado di libertà deve essere realizzato ad esempio come indicato in fig. 1.19, dove il membro 2 è vincolato al membro 3 con una coppia rotoidale assialmente scorrevole (coppia C) ed al membro 1 mediante uno snodo sferico (coppia S). Si noti, per inciso, che se anche la coppia fra i membri 2 e 3 fosse di tipo S, il meccanismo avrebbe due gradi di libertà, un grado corrispondendo alla possibilità di rotazione dei membro 2 attorno al proprio asse.

In pratica le coppie fra i membri di un quadrilatero articolato sono di solito tutte e quattro rotoidali, non scorrevoli; il funzionamento è reso possibile sia da una buona precisione costruttiva, capace di assicurare tolleranze abbastanza strette sul parallelismo degli assi degli elementi cinematici, sia dalla presenza di giochi nelle coppie rotoidali.

Fig. 1.19 - Quadrilatero articolato nello spazio con un grado di libertà.

15

Page 18: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Considerazioni analoghe si possono fare, ad esempio, nei confronti del meccanismo di fig. 1.1 c), considerato come meccanismo nello spazio. Si ha in questo caso: m = 3, c1 = 2, c4 = 1 (coppia del tipo Cc). Per la (1.2) si ha l=0, ossia il meccanismo è eccessivamente vincolato. Se sostituiamo al contatto fra cilindri un contatto fra due superfici bombate la coppia fra i membri 1 e 2 diviene di tipo Ss (categoria C5) ed il meccanismo viene ad avere 1 grado di libertà. Questa soluzione è spesso usata nella costruzione di ruote dentate (che vengono montate come i membri 1 e 2 del meccanismo di fig. 1.1 c)), quando vi sia da temere la presenza di sensibili errori di parallelismo sugli assi delle coppie rotoidali e sulle generatrici dei cilindri dei denti.

Fig. 1.20 -Morsa da fabbro.

Come altro esempio consideriamo un meccanismo che contiene una coppia

non piana (una coppia elicoidale): la morsa da fabbro rappresentata in fig. 1.20. Il meccanismo ha tre membri: il telaio 3 è accoppiato alla ganascia mobile 1 con una coppia prismatica (coppia P); il membro 1 è accoppiato rotoidalmente (coppia R) al membro 2, il quale a sua volta è accoppiato con coppia elicoidale (coppia E) al membro 3. Applicando la (1.2) si trova l=- 3, ossia il meccanismo ha ben quattro vincoli di troppo; esso può funzionare soltanto se, per l'accurata esecuzione (parallelismo degli assi e delle guide, coassialità dei fori) e per la presenza di giochi, i vincoli esuberanti finiscono con l'essere ripetizioni dei vincoli essenziali.

Il meccanismo di fig. 1.20 può essere trasformato in un meccanismo ad un grado di libertà, ad esempio sostituendo alla coppia rotoidale ed alla coppia prismatica due coppie di categoria C3 (piano su piano).

1.8. MECCANISMI CON PIÙ DI UN GRADO DI LIBERTÀ

Finora abbiamo considerato soltanto meccanismi con un grado di libertà. Se è vero che nella grande maggioranza delle applicazioni i meccanismi possiedono un solo grado di libertà, non mancano tuttavia esempi interessanti di meccanismi a due e più gradi di libertà.

Mentre nei meccanismi ad un grado di libertà si ha un membro (il movente) sul quale viene esercitata dall'esterno un'azione motrice (entrata) ed un

16

Page 19: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

membro (il cedente) il quale trasmette un'azione motrice (uscita) dall'interno del meccanismo all'esterno, nei meccanismi a più gradi di libertà si hanno più entrate o più uscite. , Questi meccanismi vengono utilizzati o quando si vogliano sommare i contributi di più entrate indipendenti, o quando si voglia ripartire l'effetto di un'entrata indipendente su più uscite tra loro legate da condizioni esterne al meccanismo (come accade ad esempio nel differenziale nella trazione automobilistica, meccanismo di cui ci occuperemo a suo tempo).

Esempi di meccanismi piani a due gradi di libertà sono rappresentati nelle figure 1.21 ed 1.22. Nel primo caso il meccanismo ha 5 membri, 4 coppie di categoria C1 , 2 coppie di categoria C2. Lo spostamento y dello stelo 3 è una combinazione lineare (la media aritmetica, se il membro 2 è incernierato in mezzeria) degli spostamenti (entrate) xA, ed xB degli steli 1 e 4.

Fig. 1.21 - Meccanismo con due gradi di libertà.

Fig. 1.22 - Meccanismo con due gradi di libertà per pala caricatrice.

In fig. 1.22 è rappresentato un meccanismo per pala caricatrice. Il meccanismo ha 9 membri ed 11 coppie di categoria C1 . Sono previsti due motori idraulici (e quindi due entrate): uno comanda la rotazione del braccio 1 che porta il cucchiaio 6, l'altro la rotazione del cucchiaio rispetto al braccio. Il telaio 9 del meccanismo è montato su di un veicolo che ne permette la traslazione nel piano di lavoro. Considerando anche questa possibilità di movimento, la pala caricatrice ha tre gradi di libertà.

17

Page 20: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 1.23 - Meccanismo spaziale con sei gradi di libertà per manipolatore di robot.

In fig. 1.23 è rappresentato lo schema di un manipolatore per robot. Si tratta di un meccanismo spaziale con 7 membri e 6 coppie rotoidali (categoria C1 ), ottenuto da una catena cinematica aperta. Uno dei membri di estremità (membro 1) costituisce il telaio; all'altra estremità della catena è montato il braccio (membro 7) che porta l'utensile (ovvero la mano meccanica, spesso una semplice pinza). Prescindendo dai gradi di libertà propri della mano meccanica, il meccanismo ha sei gradi di libertà. Il braccio 7 può, così, spostarsi nello spazio secondo tre direzioni distinte e ruotare attorno a tre assi distinti. Il meccanismo ha sei entrate (le rotazioni fra gli elementi cinematici delle sei coppie rotoidali), comandate da sei motori non rappresentati in figura.

Le entrate sono realizzate costruttivamente in vari modi, mediante attuatori - di solito elettrici o idraulici - lineari o rotativi. Nel caso della fig. 1.23, prescindendo dalla presenza di eventuali riduttori e di altri organi di trasmissione cinematicamente non essenziali, ogni entrata si può pensare costituita dalla posizione relativa dello statore e del rotore di un motore rotativo, solidali ciascuno con un membro del meccanismo. Così per esempio al membro 5 si può pensare collegato lo statore, e al membro 6 il rotore, di un motore in grado di imporre la posizione relativa dei due membri. Le sei coordinate che definiscono nello spazio la posizione del membro 7 sono una combinazione delle sei entrate, cioè delle posizioni relative delle successive coppie di membri 1-2, 2-3, ..., 6-7.

BIBLIOGRAFIA

DIZIOGLU B., Getriebelehere, Vol. 1, F. Vieweg u.S., 1965. ERDMAN A.G., SANDOR G. N., Mechanism design: analysis and synthesis, Vol. 1, Prentice-

Hall, Englewood Cliffs, 1984. HAIN K., Applied kinematics, McGraw-Hill, New York, 1967.

18

Page 21: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Capitolo 2 Forze agenti sulle macchine. Rendimento

2.1. GENERALITÀ

Le forze (e le coppie) agenti sulle macchine possono essere classificate secondo diversi punti di vista. Cosi, per esempio, una classificazione cui spesso faremo riferimento consiste nel distinguere le forze in motrici e resistenti.

Una forza è motrice se, nel movimento della macchina, compie lavoro positivo; è, invece, resistente, se compie lavoro negativo.

Distingueremo pure le forze in esterne ed interne. Le prime derivano dall'azione di campi di forze (peso, forze d'inerzia) o di corpi esterni alla macchina, mentre le seconde sono le forze trasmesse fra i membri della macchina. Nei prossimi capitoli dedicheremo particolare attenzione allo studio delle forze di contatto fra superfici asciutte e fra superfici lubrificate.

Lo studio della cinematica dei meccanismi, che sarà svolto al capitolo 5 e successivi, fornirà metodi per il calcolo dell'accelerazione dei singoli punti degli organi delle macchine e quindi, in, definitiva, per il calcolo delle forze di inerzia.

Per lo studio delle azioni di carattere elettromagnetico, aerodinamico, ecc. rimandiamo, invece, ai corsi specializzati.

2.2. DEFINIZIONE DI RENDIMENTO Due corpi a contatto fra loro si trasmettono una forza, nella quale in genere

- sempre, se fra i due corpi c'è moto relativo - è presente una componente dovuta all'attrito. Questa componente d'attrito costituisce una resistenza passiva e durante il moto compie lavoro negativo, cioè dissipa energia, come vedremo più diffusamente nel prossimo capitolo. Un effetto analogo danno pure resistenze passive di altro genere, come la resistenza che un fluido esercita su un corpo che si muove immerso in esso, gli attriti interni dei fluidi viscosi, e cosi via.

Un indice che ben si presta alla valutazione dell'energia spesa per attrito, cosi in una coppia cinematica come in una macchina nel suo complesso, è il rendimento. Per la sua definizione dobbiamo premettere alcune considerazioni sulle possibili condizioni di funzionamento di una macchina.

Consideriamo una macchina alla quale siano applicate dall'esterno una o più forze (o coppie) resistenti ed una o più forze (o coppie) motrici. Dopo un certo periodo di funzionamento della macchina le forze resistenti esterne

1

Page 22: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

abbiano assorbito il lavoro Lr e le forze motrici abbiano erogato il lavoro Lm . Come si è accennato poco sopra (e come verrà più diffusamente spiegato nel paragrafo 3.2), le componenti d'attrito delle forze interne assorbono lavoro. Indichiamo con Lp questo lavoro perduto per attriti, riferito allo stesso periodo di tempo. Indichiamo con E l'energia cinetica della macchina (somma delle energie cinetiche dei suoi membri) e prendiamo i lavori in valore assoluto. Se variazioni di energia interna, come ad esempio quella elastica, sono trascurabili, vale la

Lm-Lr-Lp=ΔE ; (2.1) cioè la somma algebrica dei lavori compiuti, in un certo intervallo di tempo, da tutte le forze agenti sulla macchina, è uguale alla variazione subita dall'energia cinetica nello stesso intervallo di tempo.

Se il secondo membro della (2.1) si mantiene costantemente uguale e a zero per un certo intervallo di tempo del funzionamento della macchina, diciamo che la macchina funziona in condizioni di regime assoluto. In tale situazione vale la relazione:

Lm = Lr + Lp (2.2)

Può accadere (e, come vedremo a suo tempo, tali circostanze si verificano comunemente in molti tipi di impianto) che durante il funzionamento di una macchina il secondo membro della (2.1) risulti uguale a zero soltanto al termine di regolari intervalli di tempo. Può, cioè, accadere che valga ancora la (2.2), ma a condizione che i lavori vengano valutati per tempi uguali, o multipli interi, di un tempo base, chiamato periodo. Quando si verificano queste circostanze si dice che la macchina funziona in condizioni di regime periodico.

È ovvio che le condizioni di regime, sia assoluto sia periodico, sono particolari, anche se spesso abituali, condizioni di funzionamento per una macchina. Per esempio all'avviamento, all'arresto, nel passaggio da un regime all'altro vale la (2.1), nella quale il secondo membro può essere, a seconda dei casi, positivo (ad esempio all'avviamento) o negativo (ad esempio all'arresto). Di conseguenza, nel primo caso il lavoro motore prevale sulla somma del lavoro resistente e del lavoro perduto; l'opposto accade nel secondo caso.

Ciò premesso, consideriamo una macchina che funzioni in, condizioni di regime; valga cioè la (2.2), con le limitazioni sopra menzionate per il caso di regime periodico. In tale situazione definiamo rendimento della macchina il rapporto:

m

r

LL

=η (2.3)

2

Page 23: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

3

È evidente, per la (2.2), che il rendimeno In alcuni casi (per certe coppie o per certe macchine strutturalmente

nella quale con Lm0, si è indicato il lavoro motore richiesto in questa ituazione puramente ideale. Si può rivere:

nto è un numero sempre minore di usemplici, realizzate con cura, funzionanti in condizioni particolarmente favorevoli) il rendimento può assumere, come vedremo, valori prossimi ad uno. In altri casi il suo valore può scendere a valori molto bassi, fino ad annullarsi o addirittura, con il significato che vedremo, a divenire negativo; caso questo cui corrisponde impossibilità di movimento.

Al rendimento può essere data anche un'espressione diversa. Se immaginiamo che la macchina funzioni in condizioni ideali di assenza di attrito, alla (2.2) si sostituisce la seguente relazione:

Lm0 = Lr

s

così sc

m

m

LL 0=η

ossia il rendimento è anche dato dal rapporto fra il lavoro motore in ondizioni ideali ed il lavoro motore in condc izioni reali. Tale espressione del rendimento può essere ulteriormente trasformata. Se

indichiamo con P la forza motrice, con Po la forza motrice in condizioni ideali di assenza di attrito, ricordando che il lavoro è uguale al prodotto scalare della forza (P o P0) per il suo spostamento (che è lo stesso sia per P, sia per P0 ), si può scrivere:

P

mP0=η

Di questa relazione faremo uso in seguito. Oltre alla definizione di rendimento, diamo anche quella di perdita di

e ne la quantità:

ndimento. Indichiamo con tale denominazior

m

P

LL

=−η1 (2.4)

Nel calcolo e nella determinazione speacchina di rendimento elevato, è spesso

rimentale del rendimento di una conveniente fare uso della (2.4) m

anziché della (2.3); conviene, cioè, giungere alla valutazione di η attraverso quella di 1-η. Per rendersene conto basta osservare che l'uso della (2.4) permette l'introduzione, nel calcolo di Lp e di Lm , di espressioni approssimate,

Page 24: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

4

2.3. RENDIMENTO DI MACCHINE DISPOSTE IN SERIE ED IN ARALLELO

rasmissione meccanica rappresentata in fig. 2.1. In essa un

otore M pone in movimento una macchina operatrice O attraverso un certo n

Fig. 2.1 - Esempio di macchine in serie

spesso preferibili, perché più maneggevoli, alle espressioni esatte; infatti eventuali errori, percentualmente anche sensibili, commessi nel calcolo di Lp ed Lm incidono poco sul calcolo di 1-η, se , η è prossimo ad uno. Analogamente nella determinazione sperimentale di 1-η poco incidono, se η è prossimo ad uno, errori percentualmente sensibili compiuti dagli strumenti nella misura di Lp ed Lm.

P

Si consideri la tm

umero di dispositivi intermedi (una trasmissione a cinghia ed un riduttore R). Lo schema è un esempio di come si realizza una disposizione di macchine in serie. Tutti i componenti della serie sono interessati, prescindendo dalle perdite per attrito, dall'intera potenza fornita dal motore, la quale viene in definitiva utilizzata sulla macchina operatrice.

Fig. 2.2 - Schema di disposizione di macchine in serie.

In generale un sistema di macchine disposte in serie può essere chematizzato come in fig. 2.2, dove fra il motore e la macchina operatrice

s

utile compiuto dalla macchina T1 , e con Lm2 il lavoro motore e

sono stati inseriti n elementi intermedi. Si dimostra facilmente che il

rendimento della serie di n componenti è uguale al prodotto degli n rendimenti parziali.

A tal fine osserviamo che, se indichiamo ad esempio con Lr1 il lavoro resistente

rogato alla macchina T2 è Lr1 = Lm2 . Analogamente si ottiene Lr2 = Lm3 ecc. D'altra parte il rendimento della trasmissione è, per definizione:

1m

rnL=η

L

Page 25: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

5

Ma per quanto si è visto si può scrivere:

mn

rn

mmm LLL 211

rrrn

LLLLL

⋅⋅⋅⋅⋅= 211

ossia:

nηηηη ⋅⋅⋅= .....21

come si era affermato.

Fig. 2.3. - Schema di disposizione di macchine in parallelo.

Si consideri ora un impianto come quello e iù macchine operatrici O1, ... Onttraverso differenti trasmissioni. Siam

m

schematizzato in fig. 2.3, nel qual ricevono potenza da uno stesso motore,

o in presenza di una disposizione di pa

acchine in parallelo; ciascuno dei rami della trasmissione è percorso da una parte della potenza erogata dal motore.

In questo caso il rendimento della trasmissione, che per definizione vale, con notazioni ovvie:

mnmm

rnrrr LLLL

m LLLL ++++++

==.....21η.....11

si può anche scrivere:

m

nrnrm

m

r

LLLL

LL η + η + + η

η ==.....2211

Ossia il rendimento del complesso è uguale alla media ponderata del rendimento dei singoli componenti, essendo pesi i lavori motori.

Si può concludere che, mentre con la disposizione in serie il rendimento c

influiscono dsensibile aliquota della potenza erogata dal motore.

omplessivo risente direttamente del rendimento di ciascun componente, nella disposizione in parallelo sul rendimento complessivo

ecisamente soltanto i rendimenti dei componenti che assorbono una

Page 26: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Le considerazioni svolte possono essere facilmente estese al calcolo del rendimento di impianti contenenti macchine con disposizioni miste, parte in serie e parte in parallelo.

6

onsideriamo le semplicissime macchine rappresentate in fig. 2.4: una carrucola ruotante attorno ad un asse fisso, sulla quale è avvolta una fune p un piano inclinato sul quale è poggiato un grave. In entrambi i casi si è indicata con Q la forza resistente, con P la forza m

g. 2.4 - Esempi di macchine semplici.

na nto a regime, la t . Può accadere che, a seguito di tale

si arresti e si metta successivamente in movimento in senso opposto a quello normale, sotto l'azione della forza Q divenuta motrice; c

nte) e calcoliamone il rendimento nel moto retrogrado.

2.4. MOTO RETROGRADO C

er il sollevamento di un carico ed

otrice.

Fi condizione di funzionameSupponiamo che, a partire da u

forza motrice si riduca di intensiriduzione, la macchina

à

ome può accadere che il sistema, arrestatosi per la diminuzione di intensità della P, rimanga in quiete, comunque si riduca il valore della P, fino al suo annullarsi. È probabile che la carrucola (che, come vedremo in altra occasione, ha di norma rendimento elevato) si comporti nel primo modo; mentre è probabile che il piano inclinato (che, come vedremo, ha di solito un basso rendimento) si comporti nel secondo modo. La prima situazione, infatti - e lo proveremo in questo stesso paragrafo - si verifica a quando il rendimento del sistema nel moto diretto è abbastanza elevato, mentre la seconda situazione si verifica quando il rendimento nel moto diretto è basso. Quando si verifica la prima situazione diciamo che il sistema ammette moto retrogrado.

Ciò premesso, passiamo a considerare una macchina che funzioni in condizione di moto retrogrado (cioè che si muova, in senso opposto a quello di funzionamento diretto, sotto l'azione della forza che nel moto diretto è la forza resiste

Il rendimento nel moto retrogrado, sia η', è per definizione il rapporto fra il lavoro resistente nel moto retrogrado Lr' ed il lavoro motore nel moto retrogrado Lm' . Tenendo presente che la forza Q, motrice nel moto

Page 27: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

7

per uguali sretrogrado, è la forza resistente nel moto diretto, e che pertanto, postamenti nei due movimenti, Lr= Lm' , si può scrivere:

r

r

LL ''=η

A sua volta la perdita di rendimento nel moto retrogrado vale:

r

P

LL ''1 =−η

(2.5) dove si è indicato con LP' il lavoro perduto per attrito nel moto retrogrado. Cerchiamo adesso una relazione fra η ed η'. È comodo passare attraverso

la perdita di rendimento. Dalle (2.5), (2.4) si ottiene, dividendo membro a membro:

r

m

P

P

LL

LL '

1'1=

−−ηη

ossia:

ηηη 1'

1'1

P

P

LL

=−−

chiamo con k il rapporto LP' /LP si ottiene, dopo qualche passaggio: Se indi

( )

ηηη kk −+

=1'

(2.6) la quale, noto che sia k, permette di trovare η' in funzione di η. Dalla (2.6) risulta, in particolare, che η'< 0, ossia che il moto retrogrado è

impossib é k è di norma poco discosto da uno, si giunge alla conclusione che il moto retrogrado è possibile (ossia è η'> 0) q o, a 0,5. Per v

ile, se η <k/(1+k). Poich

uando il rendimento nel moto diretto è superiore, grosso modalori di η inferiori, grosso modo, a 0,5 non si ha moto retrogrado, ma l'arresto

del dispositivo.

Page 28: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Capitolo 3 Forze di contatto fra solidi

A) L'ATTRITO E L'USURA 3.1. FORZE DI CONTATTO. COEFFICIENTE D'ATTRITO Come sappiamo, una coppia cinematica può essere combaciante o non

combaciante. In quest'ultimo caso - se prescindiamo dalle deformazioni locali dei corpi sotto l'azione delle forze che essi mutuamente si trasmettono - il contatto fra gli elementi cinematici della coppia ha luogo su di una linea (ad esempio nel contatto fra cilindro e piano) o in un punto (ad esempio nel contatto fra sfera e piano, o fra sfere). In realtà, anche in questi casi, per le deformazioni che si manifestano nell'intorno della zona di contatto, il contatto stesso avviene su di una zona di area non nulla. La forza che i due membri si trasmettono non è una forza concentrata su di una linea od in un punto, ma è la risultante delle pressioni distribuite sulla superficie di contatto.

La pressione che, punto per punto della superficie di contatto, uno dei due membri trasmette all'altro, è, come noto, uguale in intensità e direzione, ma opposta come verso, alla reazione del secondo sul primo. Naturalmente la stessa cosa può dirsi della forza risultante della distribuzione di pressione.

Due membri che siano fra loro a contatto su di una coppia combaciante si comportano in modo analogo a quello sopra visto; ma in questo caso la distribuzione della pressione di contatto ha luogo (almeno prescindendo dai giochi) su di una superficie estesa.

Considerando la pressione locale che un membro trasmette ad un altro, osserviamo che questa può essere scomposta in due componenti, una normale alla superficie dei due elementi cinematici nel punto considerato, l'altra (che in qualche circostanza può anche essere nulla) contenuta nel piano tangente comune alle due superfici nel punto di contatto e, se i due

1

Page 29: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

membri sono in movimento l'uno rispetto all'altro, diretta come la velocità relativa e di verso tale da ostacolare il moto relativo. Questa seconda componente è la componente di attrito. La sua intensità dipende da numerosi parametri, su alcuni dei quali avremo modo di soffermarci nel seguito; in questo momento ci preme mettere in evidenza l'influenza che su di essa ha lo stato di quiete o di moto relativo fra i membri a contatto e, nel caso di moto, il tipo del movimento stesso.

Se i due membri a contatto non sono in movimento relativo, la componente di attrito a può assumere una intensità qualunque, purché non superiore al prodotto dell'intensità della pressione normale per il coefficiente di attrito di primo distacco (o statico, o coefficiente di aderenza fα ). Per la determinazione del valore della componente di attrito occorre in questo caso studiare l'equilibrio dei membri a contatto. Se i due membri strisciano l'uno sull'altro la componente di attrito ha intensità pari al prodotto della componente normale per il coefficiente di attrito cinetico f. Se i due membri sono in movimento relativo di puro rotolamento si possono presentare diverse situazioni; la componente tangenziale della pressione può essere nulla in certe zone, non nulla in altre, nelle quali, comunque, non può essere superiore al prodotto della componente normale per il coefficiente di aderenza. In questi casi la linea di azione della risultante delle pressioni può trovarsi (nota che sia la distribuzione delle pressioni normali, od anche la linea di azione della sua risultante) studiando l'equilibrio dei membri a contatto.

Si può anche dire che se il contatto è con strisciamento, la retta d'azione della forza che i due corpi si trasmettono forma con la normale l'angolo d'attrito φ, definito dalla relazione

( ) ftg =ϕ

altrimenti essa è inclinata, sempre rispetto alla normale, di un angolo non

superiore all'angolo di aderenza fα, definito dalla relazione:

( ) σαϕ ftg = Il valore del coefficiente d'attrito dipende quasi esclusivamente dalla natura

e , dallo stato delle superfici a contatto. Le prime due leggi dell'attrito di strisciamento fra superfici asciutte - detto anche attrito coulombiano - affermano infatti che:

- il coefficiente d'attrito è indipendente dal carico. - il coefficiente d'attrito è indipendente dall'area di contatto. Queste due leggi, stabilite dai loro scopritori su basi puramente empiriche,

hanno trovato ora anche una certa giustificazione teorica, come vedremo meglio nel seguito. Esse risultano quasi sempre molto ben verificate; di validità un po' meno generale è invece la terza legge, la quale afferma che:

2

Page 30: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

- il coefficiente d'attrito è indipendente dalla velocità di strisciamento. 3.2. LAVORO D'ATTRITO Vediamo ora quali siano i principali effetti dell'attrito nel funzionamento delle

macchine. L'attrito produce effetti che, mentre sono utili da certi punti di vista, sono da

altri punti di vista dannosi. Utile, anzi indispensabile, è la presenza dell'attrito nella trasmissione di forze fra coppie superiori, così dette «di frizione» ed in particolare nella coppia ruota-rotaia o ruota-strada; così come la presenza dell'attrito è essenziale per il funzionamento di altri organi meccanici e particolarmente dei freni e degli innesti di frizione. Per quanto riguarda gli effetti dannosi dell'attrito basterà osservare che ad esso è sempre connessa una perdita di energia, come pure una usura delle superfici a contatto. Sulla perdita di energia dovuta all'attrito diamo i seguenti chiarimenti.

Fig. 3.1 - Forze trasmesse fra due corpi a contatto. Consideriamo due membri A e B (fig. 3.1) fra loro a contatto in un punto e

siano vA e vB le velocità rispettivamente di A e di B nel punto di contatto; la velocità relativa, per esempio di B rispetto ad A, nel punto di contatto vale pertanto: vBA = vB - vA, ed è contenuta nel piano tangente comune alle due superfici. Indichiamo con NAB, NBA le componenti normali delle forze rispettivamente trasmesse da A a B e da B ad A; con FAB , FBA indichiamo le corrispondenti componenti tangenziali. Le forze NAB e NBA compiono evidentemente lavori uguali e contrari, perché hanno uguali intensità e versi opposti e le componenti, rispettivamente, di vB e di vA nelle loro direzioni sono uguali (in modulo e verso); il loro lavoro globale è pertanto nullo. Le forze FAB e FBA compiono invece lavoro negativo, che nel tempo dt vale:

( ) dtvFdtvFdtvFvF ABBABAABABABAB ==×+×

Il lavoro delle forze d'attrito FAB , FBA è negativo perché, come sappiamo, tali

forze hanno versi opposti a quelli delle corrispondenti velocità. Sono pertanto giustificati gli sforzi, compiuti dalla tecnica, tesi al

contenimento delle forze di attrito entro limiti per quanto possibile modesti. Nel seguito, ed in particolare in alcuni paragrafi di questo capitolo e nel 3

Page 31: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

4

to esplicito riferimento al caso di contatto fra solidi. Nel c

.3. CENNI SULLE TEORIE DELL'ATTRITO DI S

ben noto che le superfici delimitanti i corpi solidi non sono mai p

successivo capitolo 4, verranno studiate alcune soluzioni comunemente impiegate nelle costruzioni di macchine, aventi per scopo il contenimento delle forze di attrito.

Finora abbiamo fatontatto fra solidi e fluidi, che nelle costruzioni meccaniche si verifica molto

frequentemente, accadono fenomeni che saranno studiati in dettaglio al capitolo 4. Peraltro, da un punto di vista globale, molte delle considerazioni sopra svolte (ed in particolare quelle relative alla perdita di energia per attrito) sono valide anche in questo caso.

3TRISCIAMENTO Èerfettamente lisce, ma sono caratterizzate da una certa rugosità. Ne deriva

che accostando fra loro due corpi, il contatto interessa dapprima le sporgenze più accentuate (v. fig. 3.2), e poi via via altre sporgenze, fino a che l'area complessiva delle zone di contatto effettivo è sufficiente per sostenere il carico applicato.

Fig. 3.2 - Il contatto ha inizio fra le sporgenze più accent te (in figura, la scala in direzione Y è stata maggiorata ri

elle zone molto limitate in cui avviene effettivamente il contatto, nascono p

uaspetto a quella in direzione X). Nressioni molto elevate, tanto da potersi ammettere che ivi la sollecitazione

raggiunga il carico di snervamento del materiale, il quale quindi, localmente, si plasticizza. La forza N che i due corpi a contatto si trasmettono sarà sostenuta dalle forze trasmesse attraverso le n areole Ai di effettivo contatto, per cui sarà:

NApAp csis ==∑ (3.1)

ove con ps si è indicato il valore della pressione che provoca lo

sdnervamento del materiale. L'area effettiva di contatto Ac=∑Ai è sempre

minore dell'area apparente di contatto, che è l'area sulla quale si toccherebbero i due corpi se le superfici che li delimitano fossero perfettamente lisce; in condizioni operative normali, quali spesso si raggiungono negli organi delle macchine, l'area effettiva di contatto non

Page 32: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

5

nomeni molto complessi che si p

sa dell'elevata pressione e

T= Rt Ac (3.2) coefficiente d'attrito f, tenendo conto anche della (3.1), si può allora

v

supera di solito il 10% di quella apparente. Nelle zone di contatto si verificano feossono schematicamente descrivere come segue. a) In corrispondenza delle areole di contatto, a cau dell'alta temperatura dovuta al calore che si sviluppa localmente, si

verificano delle microgiunzioni, cioè delle vere e proprie saldature locali fra i due corpi. Per produrre il moto relativo, occorre rompere tali giunzioni: la resistenza che esse oppongono alla rottura è, appunto, una delle cause dell'attrito, e spesso la più importante. Il valore della resistenza d'attrito T si può valutare come prodotto della tensione di rottura a taglio del materiale, che indicheremo con Rt per l'area totale delle giunzioni, che è l area effettiva di contatto Ac, per cui risulta:

Ilalutare con l'espressione:

s

t

pR

NTf ==

(3.3)

La teoria dell'adesione che abbiamo sommariamente esposto giustifica in m

ue corpi si trasmettono ha anche una componente ta

lla teoria dell'adesione è applicabile e

iverso valore del coefficiente d'attrito sotto vuoto spinto e in ambiente n

cisamente, sulle superfici dei metalli si forma, a contatto con

odo soddisfacente le leggi dell'attrito; in particolare, da essa risulta evidente che il valore del coefficiente d'attrito è indipendente sia dal carico applicato, sia dall'area di contatto.

b) Se la forza che i dngenziale T, la (3.1) dà una valutazione approssimata per difetto dell'area di

contatto effettiva. Infatti, in presenza di tale forza tangenziale, lo stato di plasticizzazione del materiale - per il contributo della tensione tangenziale - viene raggiunto con valori del carico normale più bassi che in assenza della T. Ne segue che l'area effettiva di contatto è maggiore di quella prevista dalla (3.1), e dunque anche la forza e il coefficiente d'attrito, dati sempre dalla (3.2) e dalla (3.3), risultano maggiori.

Questo perfezionamento dessenzialmente all'attrito fra superfici metalliche perfettamente pulite e sotto

vuoto spinto e rende ragione del motivo per cui, per tali superfici, il coefficiente d'attrito può raggiungere valori molto elevati (fino a 1÷2, e anche oltre).

c) Il dormale si può spiegare tenendo conto che in questo secondo caso le

superfici dei corpi sono sempre ricoperte da pellicole di differente natura (v. fig. 3.3).

Più pre

Page 33: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

6

l'atmosfera, uno strato di ossido, il cui spessore ha un ordine di grandezza che va dai centesimi ai decimi di µm; fanno eccezione solo i metalli nobili, come oro e platino.

Fig. 3.3 - Struttura tipica dello strato superficiale di un corpo metallico.

Sopra alla pellicola di ossido è presente uno strato - di solito non continuo -

d

no messi a contatto, la presenza degli strati s

d'attrito può avere anche altre origini, oltre a quelle fin qui d

fra le asperità superficiali può avere luogo anche su c

à superficiali sporgenti di materiali duri possono penetrare nei m

to al contatto fra metalli, sono a

i molecole di gas adsorbito (vapor d'acqua, ossigeno), dello spessore di qualche molecola, ossia di qualche decimillesimo di µm. Sopra alle precedenti, infine, è di regola presente una pellicola di sostanze contaminanti, dello spessore dell'ordine di qualche millesimo di µm, dovuta a cause varie, per esempio all'adesione alla superficie metallica di goccioline di olio presenti in sospensione nell'atmosfera.

Ora, quando due corpi vengouperficiali non ha praticamente influenza sull'estensione dell'area effettiva di

contatto, determinata solo dal valore del carico unitario di snervamento del materiale più tenero (oltre che, ovviamente, dal carico applicato). La rottura delle giunzioni, invece, è molto facilitata dalla presenza degli strati di ossidi, aventi una tensione di rottura molto inferiore a quella degli strati sottostanti. Anche se la (3.3) è applicabile solo in prima approssimazione, essa rende conto del motivo per cui, con superfici in condizioni normali, il coefficiente d'attrito ha valori decisamente più bassi di quelli valutabili in base alla teoria accennata in b).

d) La resistenzaescritte; in particolare: - l'interazione plastica ontatti laterali (cioè fra i fianchi delle asperità stesse) e non frontali come

quelli fin qui considerati. Lo studio di questo tipo di interazione è molto complesso;

- le asperitateriali più teneri, con un effetto di «solcatura», che è la causa principale

dell'attrito nei processi di abrasione. Nelle condizioni più usuali, il contributo di questo fenomeno alla resistenza d'attrito è modesto; esso può però diventare importante per superfici di elevata rugosità.

Le teorie sopra esposte, facenti riferimenpplicabili anche alle materie plastiche. Queste ultime però, a causa del loro

comportamento viscoelastico, hanno un coefficiente d'attrito notevolmente influenzato da fattori quali la rugosità superficiale e la velocità di

Page 34: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

7

.4. ATTRITO DI STRISCIAMENTO IN CONDIZIONI DI L

inora abbiamo considerato il contatto di strisciamento fra superfici asciutte. D

tamento di coppie cinematiche p

strisciamento. 3UBRIFICAZIONE LIMITE Fi solito, peraltro, le superfici di contatto degli organi delle macchine, che

possano subire scorrimenti una rispetto all'altra, sono lubrificate; si cerca, infatti, di evitare il contatto diretto fra corpi solidi, sostituendolo con un contatto mediato solido-lubrificante-solido.

Nel capitolo 4 studieremo il comporerfettamente lubrificate, nelle quali non si ha contatto diretto fra le asperità

delle superfici costituenti la coppia. In questo paragrafo, invece, consideriamo la condizione di lubrificazione limite, che si verifica quando lo strato di lubrificante è cosi sottile da non impedire il contatto fra le asperità delle due superfici. In tali condizioni si ha una sensibile riduzione del coefficiente di attrito di strisciamento rispetto al caso di superfici asciutte; infatti il sottile film di lubrificante, che aderisce alle superfici di contatto, ostacola la formazione di microgiunzioni, riducendo l'ampiezza delle zone di contatto diretto e la resistenza dei loro collegamenti.

I lubrificanti comprendono una grande quantità di sostanze solide, liquide e g

ificanti che presentano le migliori attitudini alla formazione di sottili s

Fig. 3.4 - Contatto in condizioni di lubrificazione limite.

assose. I più usati sono gli oli e i grassi, per i quali le caratteristiche più importanti sono la viscosità - la cui importanza sarà messa in evidenza nel cap. 4 - e la untuosità. Quest'ultima caratteristica, che può definirsi come l'attitudine di un lubrificante a formare uno strato fortemente aderente su di una superficie, è particolarmente importante in condizioni di lubrificazione limite.

I lubrtrati untuosi, resistenti, sono quelli che possiedono molecole polari, cioè

molecole in cui esiste una separazione permanente di cariche elettriche positive e negative. Tali sono le molecole non simmetriche, che presentano ad una estremità gruppi funzionali, non costituiti, cioè, da carbonio e idrogeno; come sono le molecole degli acidi grassi. Questi tipi di molecole aderiscono ad una superficie metallica con una forza che dipende dalla intensità del momento delle cariche elettriche, il quale a sua volta dipende dalla natura dei gruppi funzionali e dalle dimensioni delle molecole.

Page 35: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

8

Le molecole polari tendono a disporsi come indicato in fig. 3.4, ossia

aderiscono al metallo con una estremità e si dispongono in modo da formare un film compatto, capace di resistere assai bene alla penetrazione delle asperità superficiali. Lo spessore dello strato è dell'ordine della lunghezza di una o più molecole, spesso di alcune decine di molecole, ossia dell'ordine di a

a maggior parte degli oli lubrificanti, in particolare gli oli minerali che sono i lu

OEFFICIENTE D'ATTRITO

lori orientativi dei coefficienti d'attrito statico (fα) e cinetico (f).

lcuni centesimi di µm. Lbrificanti più usati, sono composti da costituenti che, per lo più, non

contengono molecole polari. L'aggiunta di additivi a base, ad esempio, di acidi grassi, rende tuttavia impiegabili con successo anche lubrificanti di per sé inerti.

3.5. VALORI DEL C La tabella 3.1 riporta i valori dei coefficienti di attrito e di aderenza per alcuni

casi tipici. Tabella 3.1 - Va

Stato delle superfici Materiali a contatto f fα

Superfici asciutte in aria

Acciaio/PTFE Acciaio/Acciaio Acciaio/Nailon Acciaio/Bronzo fosforoso Acciaio o ghisa/Materiale per freni Acciaio /Elastomeri

0,05 0,11÷0,40 0,15÷0,40

0,30 0,30÷0,40

1,6÷10

-0,6÷0,8

-0,35

--

Condizioni di lubrificazione limite

Metallo/Metallo Acciaio/Acciaio Acciaio/Bronzo Acciaio/Met. bianco

0,08÷0,20 0,07÷0,16

0,10 0,10

0,10÷0,200,08÷0,200,15÷0,20

0,10

Per quanto riguarda il i te che pe

buona parte dei metalli e delle materie plastiche, con superfici in condizioni normali, esso è compreso fra 0,1 e 0,3; fa eccezione il uo (P ), per il qu nte d'attrito vale circa 0,05 ed è il più b sca, il esto materiale adatto per boccole che realizzano basso attrito a i lubrificazione.

i tenga in ogni caso presente che il coefficiente d'attrito può talvolta variare s

denza di velocità

coefficiente d'attrito cinetico, s può rileva r

politetrafl roetileneTFE, teflon

asso che si conoale il coefficie che rende qunche in assenza d

Sensibilmente in dipendenza di circostanze quali lo stato di pulizia delle

superfici, la temperatura, la pressione di contatto, e altre, per cui i valori riportati vanno intesi come indicativi e soggetti a variazioni notevoli da un'applicazione ad un'altra.

La dipendenza del coefficiente d'attrito dalla velocità è in genere modesta, con tendenza ad una diminuzione del valore in corrispon

Page 36: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

9

e

di sopra di una certa temperatura critica (c

rda il valore del coefficiente di attrito in condizioni di lu

saggio da u

n valore medio suggerito dall'esperienza.

levate; questa dipendenza può essere talvolta non trascurabile, come nel caso del contatto fra le ruote in acciaio e i ceppi in ghisa dei freni impiegati nei carri ferroviari.

La dipendenza dalla temperatura può diventare talvolta molto importante, come nel caso dei freni; infatti, al

irca 250 °C per la ghisa, fra i 300 e i 400 °C per la maggior parte degli altri materiali da guarnizione), il valore del coefficiente d'attrito negli accoppiamenti impiegati in tali dispositivi subisce forti abbassamenti, con conseguente brusca diminuzione dell'efficacia dell'azione frenante.

Per quanto riguabrificazione limite, esistono numerosissimi risultati sperimentali; si tratta

peraltro di risultati molto frammentari, che lasciano forti margini di incertezza al progettista che intenda utilizzarli. Ciò perché i fenomeni che governano la lubrificazione limite sono molto complessi, difficilmente ripetibili ed ancor più difficilmente traducibili in leggi sicure. Basti pensare che, come l'esperienza ha mostrato, il coefficiente di attrito può essere dimezzato nel pas

no strato untuoso dello spessore di una-due molecole, ad uno strato dello spessore di venti-trenta molecole.

Tenendo conto della complessità del fenomeno e tenuto conto, altresì, che la velocità di strisciamento, la pressione di contatto e la temperatura (purché questa resti al di sotto di un valore critico che, per molti lubrificanti, è dell'ordine dei 50 °C) influiscono relativamente poco sul valore del coefficiente d'attrito, nelle applicazioni pratiche si suole di solito ammettere che anche in condizioni di lubrificazione limite il coefficiente d'attrito sia costante, salvo prendere per esso u

Fig. 3.5 - Andamento tipico del coefficiente d'attrito in funzione della velocità di strisciamento (superfici metalliche,

condizioni di lubrificazione limite). Alle bassissime velocità, fino a qualche mm/s, il coefficiente d'attrito tende

generalmente a calare all'aumentare della velocità (v. fig. 3.5); ciò, unitamente al fatto che il coefficiente :'attrito statico è di solito sensibilmente maggiore di quello cinetico, può causare talvolta un avanzamento «a strappi»

Page 37: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

to a bassa velocità. .6. L'ATTRITO DI ROTOLAMENTO

sovrapposti (è, ad esempio, il c tate). In questi casi dal punto di vista del

nei moti con strisciamen3 Il contatto di rotolamento può avvenire soltanto fra coppie rigide e non

combacianti; ad esempio fra un cilindro ed un piano, fra due cilindri, fra una sfera ed un piano.

In molti casi della pratica non si ha un contatto di puro rotolamento, bensì un contatto con rotolamento e strisciamentoaso del contatto fra i denti di due ruote den

la distribuzione delle pressioni valgono le considerazioni che svolgeremo nel presente paragrafo, mentre dal punto di vista dell'attrito l'effetto dello strisciamento prevale, di solito, su quello del rotolamento, per cui in molti casi si può prescindere da quest’ultimo contributo.

Nel contatto fra superfici a doppia curvatura la distribuzione delle pressioni può essere trovata utilizzando i risultati della teoria di Hertz. A stretto rigore tale teoria è valida per corpi perfettamente elastici caricati entro il limite di proporzionalità; ma i suoi risultati sono applicabili con ottima approssimazione ai materiali comunemente impiegati nelle costruzioni meccaniche.

Senza entrare in particolari, ché la teoria di Hertz forma oggetto di studio dei corsi in cui si tratta la costruzione delle macchine, diamo di questa teoria i risultati che più ci interessano ai fini delle considerazioni che intendiamo svolgere (si veda anche la fig. 3.6):

- se due corpi elastici, limitati da superfici a doppia curvatura, vengono premuti l'uno contro l'altro, la proiezione, sul piano normale alla direzione di accostamento, della superficie di contatto, è una ellisse.

Se ci limitiamo a considerare contatti fra sfere e fra cilindri ad assi paralleli (in questo ultimo caso i due solidi sono a semplice curvatura; si tratta cioè, di un caso particolare), la superficie di contatto si proietta rispettivamente in un cerchio ed in un rettangolo. Nel primo caso per materiali, come l'acciaio, per i quali il modulo di Poisson m valga 10/3, il raggio r della circonferenza vale:

311,1ρE

Qr ⋅= (3.4)

10

Fig. 3.6 -Area di contatto e distribuzione delle pressioni: a) nel contatto fra sfere, b) nel contatto fra

cilindri. Le aree di contatto indicate in figura sono le aree apparenti (v. 3.3), valutate con la teoria di Hertz.

Page 38: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

11

dove Q è la forza con la quale le due sfere sono premute l'una contro l'altra, E

R1 ed R2 i due raggi (se una superficie è concava, il relativo raggio va preso negativo), è definita dalla relazione:

è il modulo di elasticità che supponiamo uguale per le due sfere, ρ è la curvatura relativa delle due sfere, la quale, se indichiamo con

21 RR+=ρ

Nel caso di contatto fra cilindri ad assi paralleli, con m = 10/3, la

semilarghezza b del rettangolo vale:

11

lEQbρ

⋅= 52,1 (3.5)

i trova con la formula sopra scritta introducendovi i raggi dei cilindri. Si è poi indicata con l la lunghezza assiale del contatto;

- il diagramma della distribuzione della pres Nei due casi sopra considerati l'ellissoide diviene o un solido di rivoluzione a s

so, consideriamo un rullo rotolante su di un piano fisso. Se la d

ia. C

ta elasticità del ru

cessaria per l'equilibrio).

estituzione, ma v

dove i simboli hanno significato analogo a quello sopra spiegato. In

particolare la curvatura relativa s

sione è un semiellissoide.

ezione ellittica (per le sfere), o un cilindro a sezione ellittica (per i cilindri); - l'accostamento fra le sfere è proporzionale alla potenza 2/3 del carico Q,

mentre per i cilindri è semplicemente proporzionale al carico. Ciò premesistribuzione della pressione normale fosse hertziana e mancassero azioni

tangenziali. non si avrebbe spesa di energia. Invece l'esperienza dimostra che anche in questo moto di puro rotolamento si ha dissipazione di energ

erchiamo di esaminarne le cause. Queste sono molteplici e spesso concomitanti: la imperfetllo e del corpo fisso; fenomeni di elasticità ritardata; urti fra le asperità

superficiali dei due corpi; slittamento fra i due corpi, che si manifesta quando al rullo sia applicata, oltre ad una forza Q normale alla direzione del moto, anche una forza T parallela a questa direzione (oltre, beninteso, ad una coppia TR - R è il raggio del rullo - ne

Tralasciando le altre cause di dissipazione, che intervengono sensibilmente soltanto in casi particolari, soffermiamoci brevemente sugli effetti dell'imperfetta elasticità (e su quelli dell'elasticità ritardata, con essi strettamente collegati).

Se i due corpi non sono perfettamente elastici, parte dell'energia spesa nella deformazione non viene resa nella successiva fase di riene dissipata per vincere le resistenze di attrito interno del materiale. Può

anche accadere che parte dell'energia accumulata nei due corpi come

Page 39: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

12

issipata.

è . spostata in avanti, nel senso del moto, ri

ig. 3.7 -Distribuzione delle pressioni di contatto in presenza di rotolamento.

energia potenziale elastica venga restituita con ritardo e che pertanto finisca con l'essere anch'essa d

Ragionando in termini di forze, invece che in termini di energie, possiamo dire che la dstribuzione di pressione nel contatto non risulta simmetrica rispetto alla direzione della forza Q, la pressione nella zona anteriore essendo mediamente più elevata della pressione nella zona posteriore. Il diagramma della pressione dà luogo. pertanto, ad una risultante che non ha la linea di azione della Q (fig. 3.7), ma che spetto alla Q. Chiamiamo parametro dell’ attrito volvente tale spostamento,

che indichiamo con il simbolo, δ. Per mantenere il rullo in rotazione uniforme è necessario applicare ad esso

una forza parallela alla direzione di avanzamento, ovvero una coppia. Se, ad esempio, al rullo viene applicata una coppia, il suo momento vale:

F

δ⋅= QM m

ed il lavoro speso per fare

da:

spostare l'asse del rullo di una quantità s è dato

sR

QRsML mp

δ=⋅=

Il rapporto δ/R è chiamato coefficiente di attrito volvente; lo indicheremo con il simbolo fv . Si ha, cioè:

QsfL vP = (3.6) che è formalmente analoga alla espressione che dà il lavoro perduto per

attrito fra due corpi

suo ordine di grandezza può essere valutato anche con considerazioni teoriche. Ad esempio esposti, permettono di fissare un limite superiore al valore di fv.

striscianti l'uno sull'altro, premuti da una forza Q. Il valore del coefficiente di attrito volvente può essere determinato soltanto

in via sperimentale; ma il i risultati della teoria di Hertz, sopra

Page 40: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

13

S.5), nella

q

offermiamoci, a questo proposito, sul contatto fra un rullo ed un piano (caso della ruota sulla rotaia, sul quale torneremo al paragrafo 3.15). La (3

uale si ponga ρ=1/R, permette il calcolo di b. È evidente che deve essere δ <b (spesso δ è dell'ordine di 0,1 b) e quindi:

ERlQfv 52,1=

Si osserva che f è di solito molto piccolo (v. tabella 3.11) e che, pertanto, il

consumo di energia nel rotolamento è di ordine di grandezza molto inferiore a quello che si ha nel contatto di strisciamento fra superfici asciutte o untuose.

Tabella 3.11 - Valori orientativi del coefficiente d'attrito volvente

Cuscinetti radiali orientabili a sfere …………………………………………… Cuscinetti assiali a sfere ………………………………………………………… Cuscinetti radiali rigidi a sfere……………………………………………………Cuscinetti a rulli cilindrici ……………………………………………………… Cuscinetti orientabili a rulli …………………………………………………… Cuscinetti a rulli conici ………………………………………………………… Cuscinetti obliqui a sfere ……………………………………………………… Ruota su rotaia (D è il diametro della ruota in mm) …………………………… Pneumatico su strada (a velocità inferiore a c. 100 km/ora) ……………………

0,0010 0,0013 0,0015 0,0011÷0,00200,0018 0,0018 0,0020÷0,00240,026/ D 0,01

3.7. L'USURA Si definisce usura la perdita di materiale superficiale che ver ica

progressivamente sulle superfici di corpi a contatto soggette a moto relativo. Il tasso di usura si può esprimere come volume (o, ciò che è equivalente, come massa) di materiale rimosso in corrispondenza di uno spostamento re

bene mettere subito in chiaro che, pur presentandosi insieme con l'attrito, l'

ura abrasiva, usura corrosiva e fatica superficiale. Vediamo s

i, che durante il moto relativo dei due corpi si s

si if

lativo unitario. Èusura non è correlata ad esso in modo semplice ed univoco: vi sono, infatti,

coppie di superfici che presentano basso coefficiente d'attrito ed elevato tasso di usura e viceversa.

Si considerano generalmente quattro principali tipi di usura, e precisamente usura adesiva, uschematicamente quali sono i loro rispettivi meccanismi. a) Usura adesiva. Abbiamo visto in 3.3 come in corrispondenza delle

asperità a contatto sulle superfici di due corpi premuti uno contro l'altro si formino delle microgiunzionpezzano. Se la rottura avviene esattamente in corrispondenza

Page 41: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

14

siva. È logico allora a

dell'interfaccia fra i due corpi, non si ha usura; in caso contrario, si verifica l'usura, che, per il meccanismo che la origina, si dice ade

ttendersi che il volume V di materiale asportato sia proporzionale all'area effettiva di contatto Ac e allo spostamento relativo s dei due corpi, per cui tenendo conto della (3.1) sarà:

sc R

NsKsKAV == (3.7)

con K costante di proporzionalità. La (3.7) esprime le leggi dell'usura

adesiva, per le quali il volume di materiale asportato: è proporzionale allo spostamento relativo;

- è proporzionale al carico applicato; - è inversamente proporzionale alla tensione d

lo stesso, alla durezza superficiale) del materiale più tenero.

edia di contatto (carico d ggiore di Rs/3 circa, il tasso di u entare del carico applicato.

sporgenze della ru

(esempio, p

-

i snervamento Rs (o, ciò che è

Queste leggi sono verificate solo con una certa approssimazione; in particolare, si è trovato che quando la pressione m

iviso per l'area apparente di contatto) è masura cresce molto rapidamente all'aumb) Usura abrasiva. L'usura di questo tipo (v. fig. 3.8) è dovuta all'azione di

solcatura esercitata in un materiale più tenero o dalle gosità superficiale del corpo accoppiato più duro (questa azione è

evidentemente tanto più ridotta quanto minore è la rugosità superficiale del materiale più duro) o da particelle dure interposte fra i due corpi a contatto. Queste particelle possono provenire dall'ambiente circostante

articelle di sabbia silicea) o essere originate

Fig. 3.8 - Schemi dei meccanismi dell'usura abrasiva.

dall'azione dell'usura, soprattutto di quella corrosiva e di quella adesiva, che

spesso originano appunto detriti di elevata durezza. Le leggi dell'usura abrasiva sono analoghe a quelle dell'usura adesiva, cioè

il volume di materiale asportato si può esprimere nella forma:

sRKV =

(3.8)

Ns

erficiali dei due materiali: se queste sono uguali, K tende a zero, cioè l'usura abrasiva non si

Nel caso del contatto fra due metalli, la costante di proporzionalità K è tanto maggiore quanto maggiore è il rapporto fra le durezze sup

Page 42: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

15

verifica. c) Usura corrosiva. Sulle superfici me

composti, dovuti all'azione chimica delle sostanze presenti nell'ambiente. Q

talliche si formano degli strati di

ueste pellicole superficiali hanno di solito un'azione protettiva sul metallo sottostante e se, a causa dello strisciamento, vengono asportate, si riformano molto rapidamente. In ambiente corrosivo, l'azione meccanica e quella chimica possono esaltare reciprocamente i rispettivi effetti: gli strati superficiali - chimicamente protettivi ma facilmente asportabili - vengono continuamente rimossi e subito si riformano: si innesca cosi un meccanismo di usura che può talvolta essere molto rapida.

I lubrificanti esercitano di solito un'efficace azione protettiva contro l'usura corrosiva.

d) Fatica superficiale. Uno dei risultati fondamentali della teoria di Hertz (v. 3.6) è che nel contatto fra due corpi premuti uno contro l'altro e limitati da superfici, con curvatura relativa diversa da zero, la sollecitazione raggiunge il valore massimo non sulla superficie dei corpi, ma ad una certa profondità. Frequentemente, in casi di effettivo interesse tecnico, questa profondità può essere dell'ordine di 0,1÷0,3mm; essa dipende, comunque, dalla geometria dei corpi a contatto, dai materiali e dal carico agente.

Se il carico viene ripetutamente applicato e tolto, nella zona subsuperficiale dove la sollecitazione è massima può originarsi una fessura, che può poi (anche dopo milioni o miliardi di cicli di applicazione del carico) propagarsi ed estendersi fino alla superficie, con conseguente distacco di una scaglia di materiale (v. fig. 3.9).

Fig. 3.9 - Fatica superficiale: schema della propagazione della fessura.

po di usura per fatica superficiale, spesso indicato con il termine inglese «pitting», è tipico dei contatti di rotolamento - con o senza strisciamento - sotto forti pressioni, quali possono verificarsi ad esempio nei cuscinetti a rotolamento e nelle ruote dentate.

Osserviamo ch a s perficiale può presentarsi anche se fra i due solidi è interposto uno strato continuo di lu

Questo ti

e, a differenza degli altri tipi di usura, la fatic u

brificante fluido, nel quale la pressione raggiunga valori molto elevati. Oltre ai tipi di usura fin qui menzionati, se ne devono talvolta considerare

altri, quali l'erosione - dovuta per lo più all'azione di particelle solide trasportate da un fluido - e l'usura per sfregamento, indicata spesso con il termine inglese «fretting», che in realtà è un particolare tipo di usura adesiva fra corpi a contatto soggetti a moti relativi oscillatori di piccola ampiezza.

A conclusione di queste brevi note sull'usura, osserviamo che è stato

Page 43: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

16

ri

e fra lo

ilibrio delle coppie cinematiche con contatto d s el coef di evitare la tatto fra elementi cinematici.

oppia prismatica realizzata con un'asta rigida guidata da d

nsità della forza motrice P (della quale si conoscono la retta d'azione e il verso) necessaria per vincere la forza re

ig. 3.10 - Coppia prismatica con due co ari

e reazioni RA e RB dei collnormale e una componente tangenrette d'azione di RA e di RBd

rio dell'asta alla rotad RB incontrano la retta d'azione di Q. Per l'equilibrio dei momenti di RB e di P

levato sperimentalmente che materiali solubili fra loro danno luogo ad accoppiamenti con elevato coefficiente d'attrito e alto tasso di usura. Perciò nelle coppie con elevati strisciamenti od ove si desiderino evitare rischi di rapida usura, bisogna assicurarsi che non vengano a contatto diretto (cioè senza lubrificazione o in condizioni di lubrificazione limite) metalli o legh

ro solubili. Si eviti quindi in tali casi di usare lo stesso materiale per i due elementi cinematici della coppia.

B) L'ATTRITO DI STRISCIAMENTO NELLE COPPIE

ELEMENTARI AD UN GRADO DI LIBERTÀ Se ammettiamo valide le leggi dell'attrito esposte in 3.3 (attrito

«coulombiano»), lo studio dell'equi trisciamento può essere effettuato semplicemente; l'indipendenza d

ficiente d'attrito dal valore della pressione consente infatti, in molti casi, determinazione della distribuzione di pressioni nel con

A titolo di esempio studiamo l'equilibrio di alcune coppie elementari, considerandone anche il rendimento.

3.8. COPPIA PRISMATICA Consideriamo una cue collari A e B (v. fig. 3.10); conoscendo i coefficienti d'attrito fra l'asta e i

due collari, vogliamo determinare l'inte

sistente Q, nota. Fll L ari sull'asta hanno ciascuna una componente

ziale, dovuta all'attrito; per determinare le , occorre innanzitutto stabilire quali sono i versi

r fare ciò, basta considerare le condizioni di zione attorno ai punti in cui le rette d'azione di RA e

elle componenti normali. Peequilib

i

Page 44: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

17

ri

di g

te alcun v

spetto al punto di incontro delle rette d'azione di RA e di Q, ad esempio, si vede che RB è orientata verso il basso; con un ragionamento analogo, si vede che RA è invece orientata verso l'alto. Le componenti d'attrito di RA e di RB hanno sempre versi tali da opporsi all'avanzamento dell'asta, per cui si può concludere che le rette d'azione di RA e di RB sono quelle riportate in figura.

Se le rette d'azione di P e di Q fossero state tali da incontrarsi in un punto compreso fra i due collari, anziché in un punto esterno ad essi, le forze RA e RB sarebbero state orientate entrambe o verso l'alto o verso il basso.

Una volta determinate le rette d'azione di RA e di RB, il problema è quello di scomporre la forza nota Q in tre forze P, RA, RB aventi rette d'azione assegnate. Il problema si risolve senza particolari difficoltà, con i noti meto

rafici o analitici. Osserviamo che se le rette d'azione di tre forze passano tutte per uno stesso punto, esterno alla retta d'azione della forza rimanente, si verifica l'impuntamento dell'asta: in tali condizioni, infatti, non esisalore finito dell'intensità della quarta forza che possa fare equilibrio alla

risultante delle prime tre. Se si vuole determinare il rendimento η di questa coppia, basta trovare il

valore Po della forza motrice in assenza di resistenza passiva, cioè quando RA e RB hanno componenti tangenziali nulle. Se non interessa trovare RA e RB, la forza Po si determina molto semplicemente scomponendo Q nella direzione di P e in quella di RA e RB. Il rendimento si può valutare con l'espressione (v. 2.2):

PP0=η

3.9. PIANO INCLINATO Consideriamo ora l'equilibrio di un grave che poggia su di un piano inclinato

(coppia piano su piano). In questo esame riteniamo noti, oltre al peso del grave (forza resistente Q), l'inclinazione a del piano di appoggio rispetto ad u di attrito φ e l'angolo θ che la forza motrice P forma con la normale al piano inclinato (v. fig. 3.11). Ci proponiamo di calcolare l'intensità della forza P, in condizioni di moto uniforme.

n piano orizzontale, l'angolo

Fig. 3.11 - Piano inclinato Non essendo richiesta la determinazione di R12, , una sola equazione è

Page 45: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

18

sufficiente per la soluzione del quesito. Essa può essere scritta considerando l'equilibrio delle forze secondo una direzione ortogonale alla R12. Proiettando su tale direzione si ottiene:

( ) ( )ϕαϕθ +=+ QsenPsen

da cui: ( )( )ϕθ

ϕα++

=sensenQP

(3.9) Volendo calcolare il rendimento basta scrivere il rapporto fra la forza Po

(forza motrice nel caso ideale di assenza di attrito) e la forza P. Dalla (3.9) si ottiene, ponendo φ=0:

( )( )θα

senQP =0

sen

e quindi( ) ( )( ) ( )ϕαθ

ϕθαη++

==sensensensen

PP0

Sviluppando ed osservando che f=tgφ, si ottiene con qualche passaggio:

( )( )αη

ctgf ⋅+ctgf ⋅+ θ

=1 (3.10)

uò essere interessante verificare se ed in quali condizioni sia possibile il

moto retrogrado. Nel moto retrogrado forza motrice è la forza Q; la reazione del piano sul grave, sia R’12, risulta ancora inclinata dell'angolo φ rispetto alla normale al piano inclinato, ma dalla parte opposta rispetto al caso di moto diretto; la forza resistente, sia P', ha ancora la linea di azione della P, ma è di in ce di equili 12(perché questo potesse avvenire, occorrerebbe la cooperazione della P').

Giova anche osservare che queste considdalla possibilità di innesco del moto retrograds

1

P

tensità inferiore alla P. Il moto retrogrado è possibile se la forza P', capabrare la Q e la R’ , è ≥ 0; se P' è < 0 non si ha moto retrogrado

erazioni valgono prescindendo o; perché questo possa avviarsi

pontaneamente occorre che la P' risulti ≥ 0 anche all'inizio del moto, quando la R’12 è inclinata, sulla normale al piano inclinato, dell'angolo di attrito di primo distacco.

Nel moto retrogrado la forza P' si ottiene da una espressione analoga alla (3.9), semplicemente sostituendo - φ a φ. Si ha dunque:

( )( )ϕθ

ϕα−−

=sensenQP'

Page 46: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

19

a l'angolo di attrito di primo distacco).

erviamo che questo può esprimersi come rapporto tra P' e Po. Infatti P' è la forza che nel moto retrogrado compie il lavoro resistente, mentre Po è la forza motrice ideale nel moto diretto, il cui lavoro coincide con il lavoro resistente nel moto diretto e quindi anche con il lavoro motore nel moto retrogrado. Si ha, in definitiva:

Poiché è θ > α il denominatore è positivo per valori positivi di α - φ, quindi per α > φ è sempre P' > 0. Si ha P' = 0 per α = φ. Per valori α < φ non si ha moto retrogrado (ed il moto retrogrado non si avvia spontaneamente se a α < φa , essendo φ

Per il calcolo del rendimento nel moto retrogrado oss

( )( )θαη

ctgfctgf

PP

⋅−⋅−

==11''

0 (3.11) Dalle considerazioni sopra svolte può dedursi la regola generale di

p

oto diretto vale:

assaggio dall'espressione del rendimento nel moto diretto a quella del rendimento del moto retrogrado: basta prendere il reciproco della prima espressione e cambiare segno al coefficiente di attrito (o all'angolo di attrito).

La (3.11) porta a concludere che è η'=0 per α=φ. In tale condizione limite per la possibilità di esistenza del del moto retrogrado, il rendimento del m

( )2

1 θη ctgfl

⋅+=

Nel caso particolare θ=π/2, ηl= 0,5. Tale risultato è una conferma di quanto

avevamo osservato al paragrafo 2.4. 3.10. LA COPPIA ROTOIDALE Esaminiamo ora l'equilibrio della coppia rotoidale. Supponiamo che il perno

rotante sia caricato da due forze esterne non passanti per l'asse della coppia: una forza resistente Q ed una forza motrice P. La forza R12 trasmessa al perno dalla sua sede deve fare equilibrio alla risultante della P e della Q. La fo

'angolo di attrito (φ nel contatto fra gli elementi cinematici della coppia rotoidale. Si vuole trovare l'intensità della forza P capace di equilibrare la Q in condizioni di moto uniforme.

possibile realizzazione di una coppia come quella sopra schematizzata. In fig. 3.12 b) sono indicate le forze agenti n

rza resistente Q è nota ed è nota la sua linea di azione. Altri elementi noti sono: la linea di azione della P, e l

In fig. 3.12 a) è rappresentata una

el piano medio della coppia.

Page 47: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 3.12 - Coppia rotoidale. Se non ci fossero attriti la reazione R12 sarebbe diretta secondo un raggio

del perno e pertanto passerebbe per l'asse della coppia rotoidale. A causa dell'attrito fra perno e sede la R12 risulta inclinata dell'angolo φ rispetto al raggio del perno passante per il punto del contorno in cui la R12 può considerarsi applicata. Ne discende che la R12 è tangente ad una circonferenza di raggio ρ=R sen(α) (R è il raggio del perno). Tale circonferenza è chiamata circolo di attrito (spesso il raggio del circolo di attrito è espresso, in via approssimata, come prodotto di per il coefficiente di attrito f. Con i valori usuali di φ questa appro to legittima).

a R12 deve passare anche per il punto di incontro di Q e P. Le due c

l'equilibrio dei m

Rssimazione è di soli

Londizioni, unitamente alla considerazione che la R12 deve dare, rispetto

all'asse del perno, momento che si oppone al moto, permettono di individuare la retta di azione della R12(v. fig. 3.12 b)).

Nota la linea di azione di R12, la P può essere immediatamente calcolata in via grafica, con la costruzione del triangolo delle forze. Il calcolo di P0, è, poi, immediato; basta osservare che nel caso ideale la R12 passa per l'asse del perno. Procedendo in via grafica il calcolo del rendimento è, pertanto, spedito.

Volendo procedere in via analitica conviene esprimere omenti delle forze attorno all'asse del perno. Si ottiene:

bRQa

Pρ12+

= (3.12)

Applicando il teorema di Carnot al triangolo delle forze, si ha, poi:

( )θcos22212 PQQPR −+= (3.13)

Introducendo nella (3.12) l'espressione di R12 ottenuta dalla (3.13) si può

calcolare la P. Il calcolo può essere reso più rapido introducendo la

20

Page 48: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

21

semplificazione, di solito legittima perché porta ad errori trascurabili, di sostituire all'espressione di R12 data dalla (3 el caso ideale (ossia se, a secondo membro della (3.13), sostituiamo P0 a P). Q o è stato osservato al paragrafo 2.2 a proposito dello scarso peso, nella valutazione del rendimento di dispositivi a rendimento elevato, di errori commessi nel calcolo del lavoro perduto.

i può scrivere, così, in via approssimata:

.13) l'espressione della R12 n

uesto modo di procedere trova la sua giustificazione in quant

S

( )θcos2 022

012 QPQPR −+≅ Essendo poi:

bQaP /0 = si ottiene:

( )θcos212 aaQR −⎟⎞

⎜⎛+=12 bb ⎠⎝

e quindi, per la (3.12):

( )⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛++≅ θρ cos21

2

12 ba

ba

bbaQR

nfine, ha l'espressione seguente: Il rendimento, i

( )θρη

cos211

12

ba

ba

a−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛++

3.11. LA COPPIA ELICOIDALE

assiamo a studiare l'equilibrio della coppia elicoidale. Supponiamo, per fissare le idee, che la madrevite sia fissa e che la vite sia mobile (fig. 3,13). Alla vite sia applicata una forza resistente Q, diretta secondo l'asse. La forza Q è, al solito, supposta nota. Sono pure note le caratteristiche geometriche della vite (ed in particolare il suo passo h, il raggio medio del filetto rm, gli angoli θ che le generatrici degli elicoidi formano con un piano normale all'asse della vite). È altresì noto l'angolo di attrito φ nel contatto fra vite e m Mm necessario a mantenere la vite in m

P

adrevite. Si vuole trovare il momentooto uniforme.

Page 49: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 3.13 - Coppia elicoidale. La vite è in equilibrio sotto l'azione della forza Q, della coppia M e delle

reazioni esercitate dalla madrevite, che per semplicità supponiamo localizzate lungo l'elica media intersezione della superficie elicoidale con un cilindro, coassiale con la vite, di raggio rm .

Facciamo alcune cons er zion atto. Consideriamo un tratto elementare di elica media, di lunghezza ds, ed indichiamo con qds la forza su di esso agente q è dunque la forza unitaria di contatto. La forza q può essere scomposta in una componente normale indichiamola con p, ed in u

nto della vite sulla madrevite (fig. 3

ig, 3.14 -Forze di contatto sul filetto.

iò premesso possiamo passare a consid . Potremmo calcolare il momento Mmattorno all'asse della vite; ma è più lavori, scrivendo che il lavoro motore,della vite, è uguale alla somm

id a i sulle forze di cont

na tangenziale fp. La prima forma con l'asse della vite un angolo, sia γ, che per adesso supponiamo noto, e che in seguito calcoleremo in base agli elementi geometrici noti della vite; la seconda è diretta secondo l'elica media, ossia secondo la direzione dello strisciame

.14).

erare l'equilibrio della vite considerando l'equilibrio dei momenti

semplice fare ricorso alla equazione dei corrispondente ad una certa rotazione

a del lavoro resistente e del lavoro perduto per

F C

22

Page 50: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

23

spostamenti corrispondenti. Facendo riferimento alla rotazione 2π si può scrivere:

Pm LQhM +=⋅ π2

avendo indicato con Lp il lavoro perduto. Per quanto riguarda il lavoro perduto si osserva che questo è dovuto

unicamente alle forze fp. La figura 3.15, nella quale è rappresentata l'elica media sviluppata nel piano, mostra chiaramente che lo spostamento della forza fp per una rotazione 2π della vite è pari alla lunghezza dell'ipotenusa di un triangolo rettangolo di cateti h e 2π rm. Se indichiamo con α l'inclinazione dell'elica media su di un piano ortogonale al della vite, la lunghezza dell'ipotenusa risul

l'asse ta uguale ad h/sen(α).

Fig. 3.15 - Sviluppo dell'elica media Il lavoro perduto per vincere le forze di attrito distribuite sull'elica media, per

un tratto di lunghezza L, vale dunque:

( ) ∫=L

P pdssen

fhL0α

Si ha cosi:

( )πα

20∫+

=

L

m

pdsfhQhM

sen

(3.14)

er il calcolo dell'integrale a secondo membro si può scrivere la condizione d lla traslazione assiale delle forze agenti sulla vite. Si ottiene:

da cui:

Pi equilibrio a

( ) ( )∫∫ =⋅+LL

pdspdsfQ00

cossin γα

( ) ( )αγ sincos0 f−∫

QpdsL

=

troducendo la (3.15) nella (3.14) si trova: In

Page 51: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

24

( ) ( ) ( )( )⎥⎦⎤

⎢⎣

⎡−

+=αγαπ sincossin

12 f

fQhM m

Nel caso ideale si ha:

π20QhM m =

Il rendimento della coppia vale dunque:

αγααγαη 2

20

coscossinsincossin

ff

MM

m

m

+−

==

Vediamo adesso come possa calcolarsi l'angolo γ essendo noti θ ed α

(questo può essere immediatamente calcolato se sono noti il passo h ed il raggio rm; è infatti mrh πα 2/tan = ). Osserviamo che (v. fig. 3.14) α e θ sono le proiezioni su due piani ortogonali dell'angolo γ. Risulta pertanto:

αθγ 222 tantantan +=

e quindi:

αθγ

22 tantan11++

= 3.18)

cos(

θ = 0, ossia ad esempio per viti a filetto rettangolare, γ=α. In generale è θ 0 e quindi y >α.

Per ≠

er γ=α la (3.17) diviene: P

ααη

cot1tan1

ff

+−

=

che può scriversi anche:

( )ϕααη+

=tan

tan

Per γ≠α si può arrivare ad un'espressione analoga, con la posizione:

γαϕ

coscos'tan' ff ==

Page 52: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

25

introducendo, cioè, un angolo di attrito fittizio φ’ (φ’≥ φ perché è α≤γ). Con tale posizione si ottiene la seguente espressione del rendimento della coppia elicoidale:

( )'tantan

ϕααη+

= (3.19)

er la (3.18) si ha poi: P

( ) ( ) ( ) ( )θααϕ 22 tantan1cos'tan ++= f

e, con qualche passaggio:

( ) ( ) ( ) ( )θαθ

ϕ 22 sinsin1cos

'tan ++=f

vvero, essendo di solito α piccolo: o

( ) ( )θϕcos

'tan f≅

(3.20)

In definitiva l'angolo φ’ che compare nella (3.19) è praticamente indipendente da α.

fig. 3.16 è rappresentato l'andamento di η= η (α) secondo la (3.19). Il re per α=π/2-φ’. Gli altri zeri della funzione non hanno interesse pratico. Nell'intervallo 0 < α < π/2- φ’ il rendimento ha un massimo. Se ammettiamo che φ’ sia indipendente da α, tale massimo, come potrebbe facilmente verificarsi annullando valore massimo del rendimento è, pertanto:

Inndimento vale zero sia per α=0, sia

la dη/dα, cade in α=π/4-φ’/2. Il

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +

⎟⎠

⎜⎝

−=

2'

.4tan

2.4tan

max ϕπη

Se riteniamo trascurabili rispetto ad 1 i termini contenenti φ’2, questa

espressione si riduce alla:

⎞⎛ 'ϕπ

'21max f−=η

Page 53: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

26

Fig. 3.16 - Rendimento della coppia elicoidale nel moto

diretto (linea continua) e nel moto retrogrado (linea a tratti) (f = 0,2, 0 = 30°).

olare il rendimento nel moto retrogrado. Per si ha, in base alla (3.20):

Può essere interessante calc

quanto è osservato al paragrafo 3.2,

( )αϕαη

tatan

n'−

= (3.21) In fig. 3.16 è tracciato, con linea a tratti, anche l'andamento di η' in funzione

d α. La curva corrispondente si ottiene la che rappresenta la funzione η ) con una traslazione pari a φ’ lungo l'asse delle ascisse.

alla (3.21) risulta che il rendimento nel moto retrogrado è < 0 per α < φ', q

i da quel (αDuando tale condizione è verificata non si ha, dunque, moto retrogrado. Per

la (3.20) questa condizione può scriversi nella forma:

θos α

carctan f

<

filetti della vite e della madrevite, anche il lavoro di attrito fra altre superfici. Si consideri, ad esempio, la comunissima soluzione rappresentata in fig. 3.17: una vite mordente, che si impegna nei filetti di una madrevite appartenenti al corpo A, s

Si osserva che, a parità di f, il secondo membro di questa diseguaglianza

assume valori maggiori per filettature aventi θ ≠ 0 (come ad esempio le filettature metriche, nelle quali θ = 30°) che non per filettature con θ = 0 (ad esempio le filettature con filetto rettangolare).

Nelle pratiche applicazioni è raro il caso che una vite sia caricata come indicato in fig. 3.13. Di solito il lavoro del momento motore deve vincere, oltre al lavoro resistente ed al lavoro perduto per attrito fra

erra, fra la propria testa ed il corpo A, un corpo B. Il momento Mm si ottiene come somma di tre contributi:

Page 54: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

27

ig. 3.17 - Collegamento a vite mordente.

il momento necessario per spostare

forza assiale Q (in questo caso Q è la le deformazioni della vite, del corpo A termine a secondo membro della (3.16);

il momento necessario per vincere madrevite, corrispondente al secondo term(3

il momento necessario per vincere glitesta della vite e la superficie

omento, come sarà chiarito nel pac

o per vincere gli attriti fra le due s

17 è espresso da

F

- assialmente la vite caricata da una forza di serraggio, che è connessa con e del corpo B), corrispondente al primo

gli attriti fra filetti della vite e dellaine a secondo membro della

attriti fra la superficie piana della con essa a contatto del corpo B. Questo

ragrafo 3.13, può calcolarsi come se la

-

.16); -

morona circolare di contatto avesse spessore nullo e si riducesse ad una

circonferenza di raggio Rm pari alla media aritmetica fra i raggi estremi della corona circolare di contatto. Se indichiamo con f1 il coefficiente di attrito in questo contatto, il momento necessariuperfici piane vale: f1 Rm Q. In definitiva il momento richiesto per serrare con la forza Q la vite mordente

di fig. 3.

( ) QRff

fQhM mm 1sincossin1

2+⎥

⎤⎢⎣

⎡−

+=αγαπ

che può anche scriversi:

( )⎥⎦⎢⎣

1tan2 h mαπ

n α, anche nella forma:

⎤⎡ ++

=2'tan fRQhM mπϕα

ovvero, essendo h=2πrmta

( )[ ]1'tan fRrQM mmm ++= ϕα (3.22)

Page 55: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

28

C) DISTRIBUZIONE DELLE PRESSIONI DI CONTATTO

La (3.7) e la (3.8) mostrano che il volume di materiale asportato per usura è proporzionale al lavoro delle forze d'attrito. Questo enunciato è noto come ipotesi di Reye, cosi detto per essere stato formulato dal Reye prima che ne fossero note le giustificazioni teoriche e che ne fossero state eseguite adeguate verifiche sperimentali.

Il rapporto fra volume di materiale asportato ed issipata dipende ov m

ovvio che, se i due corpi a contatto hanno differente durezza, il volume di m

e, è richiesta una forza f Q diretta secondo la direzione del moto ed equiversa con esso. Per giungere a questo risultato non è necessario conoscere la distribuzione della pressione; ma se vogliamo tr pressione (con lo scopo, ad esempio, di v iacciamento dei membri a contatto), ovvero l'

energia dviamente dalla natura dei materiali a contatto, dalle loro caratteristicheccaniche (in particolare dalla durezza) e dalla modalità dell'usura. e

Éateriale asportato è costituito prevalentemente dal materiale meno duro.

Tale volume è in generale ripartito su superfici di contatto diverse (v. ad esempio la coppia rappresentata in fig. 3.11); pertanto può accadere che lo spessore di usura sia superiore sul corpo più duro che su quello meno duro.

Negli esempi che faremo nel prossimo paragrafo supporremo che uno soltanto dei due corpi a contatto si usuri, l'altro rimanendo praticamente non usurato. È questa una condizione cui di solito si tende nella progettazione degli organi delle macchine, al fine di evitare che l'usura danneggi entrambi i membri di una coppia.

L'ipotesi di Reye può essere impiegata per prevedere l'andamento dell'usura in base a quello delle pressioni di contatto, oppure - e più comunemente - per determinare la distribuzione delle pressioni di contatto in base al prevedibile andamento dell'usura. Vedremo ora alcuni esempi di quest'ultima applicazione.

3.12. IL PATTINO PIANO Consideriamo (fig. 3.18) il contatto fra un piano A ed un pattino B su di esso

strisciante (è a questo schema che può ricondursi una coppia prismatica, ad esempio la coppia guida-slitta di una macchina utensile). Il pattino sia caricato da una forza Q. Sappiamo che per lo spostamento del pattino, in condizione di moto uniform

ovare il valore massimo dellarificare la resistenza allo sche

andamento dell'usura del pattino, possiamo fare ricorso all'ipotesi del Reye. Se supponiamo, come frequentemente accade, che l'usura si localizzi sul

pattino, tanto che possa ammettersi, almeno in prima approssimazione, che il piano di appoggio non sia soggetto ad usura, si conclude che, dovendo i

Page 56: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

corpi A e B restare a contatto anche dopo che l'usura abbia cominciato a manifestarsi, questa deve essere distribuita sul pattino secondo una legge lineare. In fig. 3.18 si è indicato a tratteggio incrociato un possibile andamento dell'usura.

29

e indichiamo con h lo spessore periodo di tempo di funzionamento, si

Fig. 3.18 - Pattino piano. S che l'usura viene ad avere dopo un certo

può scrivere (v. fig. 3.18):

xa

hhhh 01

0−

+= (3.23)

ie di appoggio del pattino, di pdx, ed una forza

lementare della superfic

larghezza unitaria, si esercita una forza normale tangenziale fpdx. Per uno spostamento s del pattino tale forza compie il la

Possiamo allora scrivere:

Su di un'area e

voro: sfp dx.

dxxa

hsfpdx ⎟⎠

⎜⎝

+∝ 010

da cui:

hh ⎞⎛ −

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

+a

h 10= x

hhCp 0

vero, posto:

dove C è una costante. Ov

ahh

m 01 −= , 10 CCh =

si può scrivere:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ += x

amCp 11 (3.24)

Si vede quindi che anche la pressione ha andamento lineare.

Page 57: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

30

equilibrio: - alla traslazione secondo la normale al piano di appoggio (b è la

larghezza del pattino):

Queste due equazioni permettono di calcolare le due incognite C1 ed m. A conti fatti si ottengono i risultati seguenti:

Il valore della pressione può essere determinato scrivendo due equazioni di

∫=a

pdxbQ0

- alla rotazione attorno all'origine delle coordinate:

∫= pxdxbQx0

a

0

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −+−=

−−

=xa

m32 0

0

ax

ax

ax

abQp

ax

12

66

4

36

00

(3.25)

a

La distribuzione dell'usura, per la (3.23) e per la prima delle (3.25) è data, poi, dall'espressione seguente:

v lidi purché a/3 < x0 < 2a/3 (in caso contrario la pressione si mantiene positiva soltanto su parte della superficie; si ha, cioè, una riduzione della zona di contatto).

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−−

+=ax

xaax

hh0

00 32

361

valida purché a/3 ≤ x0 ≤ 2a/3.

3.13. LA COPPIA ROTOIDALE DI SPINTA

Determiniamo ora la distribuzione delle pressioni nella coppia rotoidale di pinta, rappresentata in fig. 3.19. Un albero A, caricato secondo l'asse da una forza Q, poggia con una faccia

di estremità su di un piano B, ortogonale all'asse dell'albero. La superficie di ppoggio è una corona circolare di raggi interno R1 ed esterno R2. Si suppone

bri a contatto, ad esempio l'albero, si usuri. Il oefficiente di attrito, come al solito, è supposto noto. Si vuole trovare il

m tazione uniforme.

s

ache uno solo dei due memc

omento Mm necessario per mantenere l'albero in ro

Page 58: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

31

Fig. 3.19 - Coppia rotoidale di spinta

L'applicazione dell'ipotesi del Reye permette di trovare la distribuzione della pressione sulla corona circolare di contatto, la cui conoscenza è necessaria per il calcolo del momento.

Indichiamo con h lo spessore, uniforme su tutta la faccia dell'albero, dello strato asportato per usura a seguito di una rotazione θ dell'albero. Osserviamo, poi, che la pressione normale di contatto dipende, per simmetria, soltanto dalla distanza r dell'elemento superficiale di contatto d ò scriv re al ra:

tando il lavoro di attrito, il secondo il volume di m

ossia la distribuzione della pressione segue una legge iperbolica (questo risultato consiglia di evitare il contatto nelle

tazione, in corrispondenza delle quali si possono raggiungere - e

a traslazione secondo l'asse. Le forze da onsiderare ai fini di questo equilibrio sono la Q e la risultante delle pressioni

normali esercitate dal corpo B sul

all'asse di rotazione. Si pu e lo

hrdrdrfpr πθπ 22 2 ∝ il primo membro rappresen

ateriale asportato, in corrispondenza di un elemento di superficie a forma di corona circolare. Si trova, pertanto:

pr = costante, (3.26)

zone prossime all'asse di rol'esperienza lo conferma - elevati valori della pressione).

Per il calcolo della costante a secondo membro della (3.26) occorre considerare l'equilibrio dell'albero allc

corpo A. L'equazione di equilibrio è:

QprdrR

R

== ∫2

1

Indicando con C la costante a secondo membro della (3.26) si ha anche:

( )122 RRQC−

Page 59: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

32

quindi, per la (3.26):

da cui:

QdrCR

R

=∫2

1

e

( )122 RRrQp−

Si può adesso calcolare il momento Mm, considerando l'equilibrio dell'albero alla rotazione attorno al proprio asse. Intervengono nell'equilibrio il momento M e le tensioni tangenziali fp distribuite sulla corona circolare di contatto. L'equazione di equilibrio è, pertanto:

che può anche scriversi:

m

m

R

R

Mdrprf =∫2

1

22π

m

R

R

MrdrfC =∫2

1

Si ottiene cosi:

221 RRfQM m

+= (3.27)

, dal punto di vista del calcolo del momento, si può

tenere che il contatto fra albero ed appoggio sia localizzato su di una circonferenza di raggio uguale alla media aritmetica dei raggi che delimitano la corona circolare di contatto.

TTO CEPPO-PULEGGIA

onsideriamo la fig. 3.20, nella quale è rappresentata una puleggia rotante

erché il ceppo possa rimanere a contatto con la puleggia nonostante latorio. Lo strato usurato ha ne di accostamento;

Si conclude pertanto cheri

3.14. CONTA

Cattorno al proprio asse, premuta sulla fascia cilindrica da un ceppo che viene accostato alla puleggia con un movimento di traslazione. Si supponga, al solito, che uno solo dei due membri a contatto, ad esempio il ceppo, sia soggetto ad usura. Si vuole trovare la distribuzione della pressione nel ontatto ceppo-puleggia. c

Pl'usura, deve subire uno spostamento tras

ertanto altezza h0 costante secondo la direziop

Page 60: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 3.20 - Contatto ceppo puleggia (coppia rotoidale portante).

uindi secondo il raggio della puleggia. lo spessore dello strato varia secondo qla legge:

h = h0 cos θ essendo θ (v. fig. 3.20) l'angolo che il raggio generico forma con la direzione dell'accostamento.

ura sull'area elementare Rdθ (si onsidera una larghezza unitaria della fascia della puleggia) vale dunque:

Rh0 cosθ dθ,

mentre il lavoro di attrito corrispondente vale:

Il volume di materiale asportato dall'usc

ΦfpR2dθ

dove Φ è la rotazione della puleggia. Si ottiene pertanto:

θcos∝p (3.28)

uesto risultato mette in luce come, ai fini dell'azione frenante del ceppo, sia rrispondente a piccoli valori di θ

come sia inutile estendere il contatto fino a valori di θ prossimi a π/2. Alle stesse conclusioni si giunge s o viene accostato alla puleggia a eguito di una rotazione attorno ad un asse, come indicato in fig. 3.21. Per

sse O2 (che è molto iccola, tanto da potersi trattare come infinitesima) può essere scomposta in

una rotazione attorno all'asse O1 ed in unrtogonale alla direzione

Qparticolarmente efficace la zona di contatto coe

e il ceppsrendersene conto, si osservi che la rotazione attorno all'ap

a traslazione secondo la direzione o

33

Page 61: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 3.21 - Freno a ceppo.

O1 O2 . Ma, ai fini dell'accostamento del ceppo alla puleggia, la rotazione attorno all'asse O sta pertanto da considerare la sola

aslazione. Per questa valgono le considerazioni del caso precedente. Vale c

OTOLANTI

c rgani rotolanti nelle costruzioni meccaniche. Fra le applicazioni più note e diffuse, oltre alle ru

1 è inefficace; retrioè, ancora la (3.28), l'angolo θ essendo misurato a partire dalla direzione di

accostamento, ortogonale alla direzione O1 O2. D) APPLICAZIONI DI ELEMENTI R Il basso valore del coefficiente d'attrito (v. 3.6) ed il conseguente ridotto onsumo di energia spiegano il larghissimo uso che si fa degli o

ote, si possono citare i cuscinetti a sfere e a rulli (v. fig. 3.22), i manicotti a sfere per guida rettilinea, le viti a rotolamento.

Fig. 3.22 - Esempi di cuscinetti a rotolamento: a), b), c) sono cuscinetti portanti (o radiali), rispettivamente a sfere, a

rulli cilindrici e a rullini; d) è un cuscinetto reggispinta (o assiale) a sfere. Nei prossimi paragrafi verranno esaminati alcuni esempi di applicazioni di

elementi rotolanti.

34

Page 62: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

35

.15. I CUSCINETTI A ROTOLAMENTO

tudiamo il comportamento sotto carico di un cuscinetto portante a rulli c l momento necessario per mantenere in moto uniforme il cuscinetto caricato da una forza esterna.

o

Fig. 3.23 - Cuscinetto portante a rulli cilindrici, in sezione

3 Silindrici. Lo scopo dello studio è il calcolo de

In fig. 3.23 il cuscinetto suddetto è rappresentato in sezione. Per semplicità si è supposto che l'asse di un rullo cada sulla linea di azione della forza Q. È questa, ovviamente, una situazione particolare; ma i risultati che troverem

. possono essere considerati validi per qualunque assetto del cuscinetto.

delle forze che si scaricano sui singoli lli, prescindendo in un primo tempo dagli attriti. A tal fine formuliamo

llo 0 in fig. 3.23). Se indichiamo con γ l'angolo c

ecc.

A sua volta l'angolo γ vale 2 o il numero dei rulli del cuscinetto. In base a quanto è stato de posito dei risultati della

teoria di Hertz, le forze P0, P1 ... che si esercitano sui rulli 0, 1 ... stanno fra lo

(3.29)

Cominciamo con il cercare il valorerul'ipotesi, che risponde bene alla realtà fisica, che nel contatto soltanto i rulli subiscano uno schiacciamento radiale, gli anelli del cuscinetto restando praticamente indeformati.

Tale ipotesi permette di esprimere immediatamente il rapporto fra lo schiacciamento ε; del rullo i generico e quello, ε0,del rullo che ha l'asse sulla direzione del carico Q (ruompreso fra due raggi uscenti dall'asse del cuscinetto e passanti per gli assi

di due rulli consecutivi, si può infatti scrivere:

ε1 = ε0 cos γ, ε2 = ε0 cos 2γ,

π/z, z essendtto al paragrafo 3.6, a pro

ro come gli schiacciamenti dei rulli corrispondenti. Si ha cioè:

P1 = P0 cos γ, P2 = P0 cos 2γ, ecc.

Page 63: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

36

e scriviamo l'equazione di equilibrio delle forze applicate all'anello interno del cuscinetto, per la traslazi Q, otteniamo:

nella quale dobbiamo tener conto del contributo di tutti e soli i rulli che partecipano alla sostentazione del carico, ossia dei rsi trovano al disotto della linea AA, passante per l'asse del cuscinetto e

da degli assetti può valere il segno + o il segno -) se z è d

Sone secondo la direzione della

...2cos2cos2 20

200 +++= γγ PPPQ (3.30)

ulli i cui assi (v. fig. 3.23)

ortogonale a Q. Notiamo, a questo proposito, che il numero dei rulli che contribuiscono alla

sostentazione del carico è z/2 (o, nell'assetto di fig. 3.23, z/2-1) se z è pari, (z±1)/2 (a secon

ispari. In pratica non andremo incontro ad errori sensibili supponendo che il numero dei rulli caricati sia sempre uguale a z/2.

Scriviamo la (3.30) nella forma:

γ20 coszPQ =

2con

2...2cos2cos21cos

222

z+++

=γγγ

Questa espressione può essere sostituita, con buona approssimazione, dal

valor medio della funzione cos2 γ nell'intervallo - π/2, + π/2, che vale:

∫−

=2

2

2

21cos1 π

π

γγπ

d

Si ha in definitiva:

zQP 4

0 = (3.31)

Dopo aver calcolato la P0 e quindi, attrave

siamo in grado di affrontare il calcolo de mobbiamo, naturalmente, mettere in conto l'attrito di rotolamento.

rio. Pertanto n

rso le (3.29), le forze su tutti i rulli, l momento M . A questo punto

dSupponiamo che l'anello esterno del cuscinetto sia fisso e che l'anello

interno ruoti in senso orario. L'asse di ciascun rullo si sposta rispetto all'anello esterno in senso orario, rispetto all'anello interno in senso antiora

el contatto rullo-anello esterno la linea di azione della forza di contatto è spostata in senso orario, rispetto alla linea di azione ideale, del parametro di attrito volvente. L'opposto accade nel contatto rullo-anello interno (v. fig. 3.24).

Se prescindiamo dal peso proprio del rullo, questo si trova in equilibrio sotto

Page 64: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

37

la stessa intensità e versi opposti. Se ammettiamo che i due p

le sole due forze Sai; ed Sbi , le quali pertanto debbono avere la stessa linea di azione,arametri δ siano uguali, la linea di azione delle forze di contatto incontra

l'asse del rullo.

Fig. 3.24 - Studio dell'equilibrio di un rullo. In tali condizioni la reazione Sia del rullo sull'anello interno può essere

considerata applicata i rullo (ossia del punto O n una componente Pi , diretta secondo il raggio del c

n corrispondenza dell'asse del i), ed ivi scomposta iuscinetto, ed in una componente Fi , diretta secondo la tangente alla

circonferenza passante per gli assi dei rulli. Tale circonferenza, se indichiamo con Ra il raggio esterno dell'anello interno, con R il raggio dei rulli, ha raggio Ra + R.

La forza Fi vale, poi:

RPF iiδ

=

Il suo momento rispetto all'asse del cuscinetto vale:

( )RR

RPM aimi +=δ

II momento necessario per mantenere il cuscinetto in moto uniforme si

ottiene considerando il contributo di tutti i rulli caricati. Si ottiene quindi:

( )RRR

PM aim +∑=δ (3.32)

essendo la somma estesa agli z/2 termini già

forze Ρi . Per le (3.29), (3.31), (3.32) si ottiene: considerati nel calcolo delle

( )( )..2cos2cos214 22 ++++= γγδ RR

RzQM am

Page 65: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

38

Ponendo

πγγ

πγγ π

π

2cos12

...2cos2cos21 2

2

=≅+++

∫−

dz

si ottiene:

( )RRR

QQM am +≅=δ

πρ 4 (3.33)

Sappiamo, d'altra parte (v. paragrafo 3.10), ch

con perno di raggio Ra il momento M vale:

e per una coppia rotoidale

am QfRQM ≅= ρ La (3.33) può essere scritta in quest'ultima forma, ponendo:

( )RRf av += 27,1ρ (3.34)

oiché di norma è fv<<f, risulta evidente il vantaggio che, daldel rendimento, un cuscinetto a rotolamencuscinetto di strisciamento.

P punto di vista

to presenta di fronte ad un

Se, invece di considerare un cuscinetto a rulli, avessimo considerato un cuscinetto a sfere, in luogo delle (3.29) avremmo dovuto scrivere (v. paragrafo 3.6):

γ

γcos 2301 PP = ecc.

2cos 2302 PP =

Procedendo come sopra si è fatto avremmo ogo delle (3.31), (3.32), le relazioni seguenti:

ottenuto, in lu

zQP 37,4≅ (3.31’) 0

( )RRR

QM am +≅δ22,1 (3.32’)

3.16. EQUILIBRIO DI UN VEICOLO IN

d icolo, munito di ruote, sulla strada.

MOTO RETTILINEO

A conclusione di questo capitolo applichiamo le nozioni acquisite sui contatti i strisciamento e di rotolamento allo studio dell'equilibrio di un ve

Page 66: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

39

a», con una coppia rigida non combaciante. In q

Le ruote del veicolo sono accoppiate rotoidalmente alla struttura portante del veicolo stesso e sono accoppiate al suolo con una coppia superiore: nel caso di «ruota rigida su rotai

uanto segue faremo, per fissare le idee, riferimento a questo caso; ma le considerazioni che faremo valgono nella sostanza anche per le ruote con pneumatico, nonostante che, a causa delle rilevanti deformazioni subite dal pneumatico stesso, la meccanica del contatto sia nei due casi notevolmente diversa.

Fig. 3.25 - Comportamento delle ruote nella locomozione: a) ruota trascinata; b) ruota motrice; c) ruota frenata.

Dai punto di vista delle azioni che si esercitano su di essa, una ruota di un

ve- ruota trascinata: in questo caso alla ruota (prescindendo dal suo peso)

sue forze è tangente

a

, che per semplicità supponiamo si ri

per la ruota m

la posteriore è motrice.

icolo può essere classificata come segue (v. fig. 3.25):

ono applicate soltanto due forze: la spinta trasmessa dalla struttura portante del veicolo e la reazione della rotaia. La prima di queste d

l circolo di attrito della coppia rotoidale; la seconda passa per un punto che, rispetto al punto di contatto teorico ruota-rotaia, è spostato nel senso del moto, del parametro dell'attrito volvente;

- ruota motrice: in questo caso alla ruota (sempre prescindendo dal suo peso) sono applicate: la spinta trasmessa dalla struttura portante del veicolo, la reazione della rotaia, l'azione motrice

duca ad una coppia. Valgono le osservazioni del punto precedente circa le forze applicate alla ruota; occorre in più osservare che la reazione della rotaia sulla ruota deve formare con la normale al suolo un angolo non superiore all'angolo di aderenza, ché in caso contrario si avrebbe lo slittamento (questa condizione è di norma sempre verificata per la ruota trascinata);

- ruota frenata: una ruota, sia essa motrice, sia essa trascinata, può essere sottoposta ad un'azione frenante, che per semplicità supponiamo si riduca ad una coppia. Valgono in questo caso le considerazioni fatte

otrice, salvo, ovviamente, la necessità di tener conto di una coppia di senso opposto a quello del moto.

A titolo di esempio consideriamo il veicolo schematicamente rappresentato in fig. 3.26. Nella schematizzazione il veicolo è munito di due sole ruote. La ruota anteriore è trascinata,

Page 67: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 3.26 - Equilibrio di un veicolo in moto rettilineo.

Al veicolo, che supponiamo si muova in un piano orizzontale, sono applicate

le T che si oppone all'avanzamento (la T è risultante della resistenza dell'aria e dell'eventuale forza di inerzia che

n

to volvente nel contatto ru

l'equilibrio dell'intero v

ne è praticamente sempre verificata; per la R1 è verificata p

anche situazioni diverse da q

ici, il caso d

forze seguenti: il peso Q, la forza la

asce se la velocità del veicolo non è costante), le reazioni R1 ed R3 della rotaia sulle ruote. Alle ruote, d'altra parte, sono applicate, oltre alle reazioni R1 ed R3, le spinte S21 ed S23 trasmesse dalla struttura portante; alla ruota 1 è applicata anche la coppia Mm trasmessa dal motore.

Sia la forza Q, sia la forza T sono note; nota è dunque la loro risultante. Note sono anche le dimensioni del veicolo, come pure i raggi dei circoli di attrito delle coppie rotoidale ed í parametri dell'attri

ote-rotaia. Si vuole trovare il valore della coppia Mm. Per l'equilibrio della ruota 3, caricata soltanto dalle due forze S23 ed R3, è

subito individuata la linea di azione comune di queste due forze. Nota questa linea di azione, è immediatamente individuata, pereicolo (caricato dalle sole tre forze esterne R1 , R3 e risultante, nota, di Q e

T), la linea di azione della R1 . In fig. 3.26 b) è rappresentato il poligono delle forze, che permette di trovare

R1 e quindi la coppia Mm, data dal prodotto di R1 (uguale ed opposta alla S21) per il braccio b.

Come si è osservato sopra, sia la R1, sia la R3, debbono formare con la normale al suolo un angolo non superiore all'angolo di aderenza. Per la R3 questa condizio

urché, a parità di altre circostanze, la forza T non superi un certo valore, che può essere facilmente trovato, caso per caso, mediante costruzioni grafiche del tipo di quella indicata alla fig. 3.26.

C'è, infine, da osservare che, all'aumentare di T, può anche verificarsi il ribaltamento del veicolo; ciò accade quando la R3 risulta negativa.

Con gli stessi criteri possono essere studiateuella considerata nella fig. 3.26; ad esempio il caso di un rimorchio, con

tutte le ruote trascinate, il caso di un veicolo con tutte le ruote motri un veicolo con ruote frenate.

40

Page 68: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

41

BIBLIOGRAFIA BOWDEN F.P., TABOR D., The friction and lubrication of solids, Oxford University Press,

1964. CONTI O., I cuscinetti a rotolamento, Hoepli, Milano, 1960. HALLING J., Principles of tribology, MacMillan Press, London, 1975. HARRIS T.A., Rolling bearings analysis, J. Wiley & S., New York, 1966. NFALF M.J., Tribology handbook, Butterworths, London, 1973. RABINOWICZ E., Friction and wear of materials, J. Wiley & S., New York, 1966.

Page 69: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Capitolo 4 Le coppie cinematiche lubrificate 4.1. GENERALITÀ Se fra gli elementi cinematica di una coppia con contatto di strisciamento

viene introdotto un fluido, in modo tale che al contatto diretto fra due superfici asciutte venga sostituito un contatto mediato solido-fluido-solido, si possono ottenere forti riduzioni del coefficiente di attrito. Per questo nelle applicazioni tecniche si ricorre frequentemente a contatti mediati.

Il fluido contenuto nell'intercapedine (chiamata anche meato, o meandro) è comunemente un liquido, talvolta un gas; ad esso, come si è detto al capitolo precedente, si dà il nome di lubrificante.

Il lubrificante deve essere in grado di reagire alle forze normali che i due membri a contatto si trasmettono in corrispondenza della coppia e, nello stesso tempo, di dare origine ad azioni tangenziali relativamente piccole. Tali risultati possono essere conseguiti con una opportuna progettazione della geometria della coppia e con una opportuna scelta delle caratteristiche fisiche del lubrificante (in particolare della viscosità).

Nel presente capitolo prenderemo in esame alcune fra le più comuni applicazioni, cominciando da quelle nelle quali il film di lubrificante si stabilisce fra le pareti della coppia per un fenomeno di tipo fluidodinamico; esamineremo successivamente coppie lubrificate di tipo fluidostatico.

Per quanto riguarda le, caratteristiche fisiche del lubrificante, ammetteremo che questo sia di tipo «newtoniano», ossia che, per quanto concerne le azioni tangenziali, soddisfi alla seguente relazione di Newton:

yu∂∂

= μτ (4.1)

nella quale μ è la velocità del fluido; τ è la tensione tangenziale che due strati adiacenti di fluido, in moto laminare, si trasmettono reciprocamente lungo la superficie di separazione; μ è la viscosità del fluido; l'asse y è normale alle superfici di separazione fra gli strati di fluido.

La tensione tangenziale τ, diretta come la velocità u, ha verso concorde o discorde con quello di ∂u/∂y a seconda che si consideri l'azione esercitata da uno strato più lontano dalla parete su di uno strato ad essa più vicino, o viceversa. In particolare l'azione esercitata dal fluido sulla parete, sulla quale in figura 4.1 è stata posta l'origine delle y, vale:

00

== ⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

=y

y yuμτ

1

Page 70: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

ed ha verso concorde con quello di ( ) 0=∂∂ yyu .

L'esperienza mostra che la velocità u è nulla in corrispondenza della parete lambita e che varia con continuità al crescere di y. Pertanto in y=0 la ∂u/∂y non presenta singolarità.

Fig. 4.1 - Andamento della velocità del fluido in prossimità di una parete. 4.2. TEORIA ELEMENTARE DELLA LUBRIFICAZIONE

FLUIDODINAMICA a) Equazioni di equilibrio. Si consideri la fig. 4.2, nella quale sono

rappresentati in sezione i due elementi cinematici fra i quali esiste un film di lubrificante.

Senza perdere di generalità, si è supposto che uno dei membri (A) sia fisso e che il membro mobile (B) sia limitato da una superficie piana. Lo spessore del meato, spesso dell'ordine dei decimi o addirittura dei centesimi di mm, è molto piccolo rispetto alle altre dimensioni, per cui l'influenza della curvatura delle superfici che delimitano il meato stesso è trascurabile e lo schema di ___

Fig. 4.2 - Azioni su un elemento di fluido.

fig.4.2, come si è detto, ha validità generale. II membro mobile trasla, con velocità -U costante, secondo la retta (asse x) che, nel piano di figura, lo limita superiormente. In queste condizioni, il moto del fluido è permanente, ossia la derivata locale della velocità delle particelle fluide è nulla.

2

Page 71: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Nell'indagine che segue supponiamo noti: la forma e le dimensioni del meato, la velocità del membro mobile, la viscosità del lubrificante. Ci proponiamo di trovare:

- la distribuzione della velocità del fluido entro il meato; - la distribuzione della pressione entro il meato, il valore della forza

risultante e la linea di azione di questa; - la distribuzione delle azioni tangenziali unitarie sulla parete del membro

mobile ed il valore della loro risultante; - la portata di lubrificante necessaria per una corretta lubrificazione. Una volta che il problema di verifica (o, come anche si dice, di analisi) sia

stato risolto, sarà possibile - eventualmente con l'ausilio di diagrammi tracciati utilizzando le formule così trovate - risolvere problemi di progettazione (ovvero di sintesi) di una coppia lubrificata. Per un esauriente esame di tali questioni rimandiamo, comunque, ai trattati specializzati indicati in bibliografia.

Nell'affrontare lo studio che ci siamo proposti introduciamo alcune ipotesi che, mentre permettono una decisiva semplificazione del problema dal punto di vista matematico, consentono tuttavia di mantenere al modello matematico una buona rispondenza alla realtà fisica. In particolare poniamo che:

- il mote del fluido entro il meato sia di tipo laminare (questa ipotesi è giustificata sia dalla sottigliezza dello spessore del meato, sia dall'elevato valore della viscosità cinematica - rapporto fra la viscosità e la densità - dei comuni lubrificanti);

- le forze di inerzia siano trascurabili rispetto alle azioni di tipo viscoso (questa ipotesi ha le stesse giustificazioni della precedente);

- il fluido sia incomprimibile (questa ipotesi, legittima nel caso di lubrificanti liquidi, dovrà essere abbandonata nel caso di lubrificanti gassosi);

- la viscosità del lubrificante sia costante in tutto il meato (tra tutte le ipotesi che abbiamo introdotto questa è la meno attendibile; è tanto meglio giustificata quanto più uniforme è la temperatura del lubrificante entro il meato).

Facendo riferimento alla fig. 4.2 ed al sistema di coordinate scelto (origine degli assi in corrispondenza di un estremo del meato, sul piano mobile; asse x giacente sul piano mobile, diretto come la velocità di questo, ma con verso opposto; asse y normale al piano mobile; asse z ortogonale agli assi x ed y), si passi a studiare l'equilibrio di un elemento fluido entro il meato.

Indichiamo con p la pressione (assoluta) normale, con τ la tensione tangenziale agente, secondo l'asse x, su di un elemento di superficie normale all'asse y, con u, v, w le componenti della velocità del fluido rispettivamente secondo gli assi x, y, z.

Con tali notazioni le forze agenti secondo l'asse x su di un elemento di forma parallelepipedi di lati dx, dy, dz sono le seguenti:

- sulla faccia di lati dy, dz, all'ascissa x, agisce la forza normale pdydz;

3

Page 72: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

- sulla faccia parallela alla precedente, all'ascissa x+dx, agisce la forza normale [p+ (∂p/∂x) dx] dy dz;

- sulla faccia di lati dx, dz, di ordinata y, agisce la forza tangenziale τ dx dz; - sulla faccia parallela alla precedente, di ordinata y + dy, agisce la forza

tangenziale [τ+ (∂τ/∂y) dy] dx dz; - sulle facce dilati dx, dy agiscono forze tangenziali che dipendono dalla

∂u/∂z; esse sono di ordine di grandezza inferiore rispetto alle azioni tangenziali dipendenti dalla ∂u/∂y, a causa della piccolezza dello spessore del meato secondo l'asse y, e vengono trascurate rispetto a queste.

In definitiva l'equazione di equilibrio alla traslazione secondo l'asse x è la seguente:

yxp

∂∂

=∂∂ τ

che diviene, per la (4.1):

2

2

yu

xp

∂∂

=∂∂ μ (4.2)

Analogamente, considerando l'equilibrio alla traslazione secondo l'asse x, si

trova:

2

2

yw

zp

∂∂

=∂∂ μ (4.3)

Secondo l'asse y agiscono sull'elemento di fluido soltanto le forze normali

pdxdz agenti sulle facce di lati dx, dz (infatti, a causa della sottigliezza del meato e del tipo di moto ipotizzato, la componente v della velocità del fluido è praticamente ovunque nulla e praticamente nulle sono le sue derivate rispetto ad x e z). Si ottiene pertanto la seguente equazione di equilibrio:

0=

∂∂

yp (4.4)

si trova, cioè, che la pressione non dipende dalla y(1).

(1) Osserviamo che per l'equilibrio alla rotazione, ad esempio attorno all'asse z,

dell'elemento di volume considerato, deve essere, con notazioni comunemente usate, τxy=.τyx. Ciò non risulta dalla 4.2. La formula di Newton, in definitiva, appare inadeguata a soddisfare completamente le condizioni di equilibrio; essa deve essere sostituita da relazioni più raffinate, esprimenti la cosiddetta legge di Newton-Stokes. Le azioni unitarie normali e tangenziali sulle facce dell'elemento di volume divengono allora, con notazioni evidenti:

4

Page 73: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Integrando le (4.2), (4.3) due volte rispetto ad y e ponendo le seguenti condizioni al contorno:

per y=0, u=-U, w=0 per y=h, u=w, w= 0 (h è lo spessore del meato, v. fig. 4.2) si ottengono le relazioni seguenti:

( ) ⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −+−

∂∂

= 121

hyUhyy

xpu

μ (4.5)

( hyyzpw −∂

)∂=

μ21 (4.6)

Si osserva che l'espressione di u contiene un termine lineare in y, dovuto

all'azione di trascinamento esercitata dal membro mobile sul film di lubrificante, ed un termine parabolico in y, proporzionale alla ∂p/∂x, dovuto alla presenza di un campo di pressione entro il meato. Se consideriamo la sovrapressione p.–.pa (pa è la pressione ambiente) l'andamento della p(x) -pa entro il meato - come sarà precisato in seguito - è del tipo rappresentato in fig. 4.3; ossia la p - pa è nulla alle estremità del meato (per x = 0 e per x = a) ed ha un massimo in un punto di ascissa x* (0 <x* <a). Per la (4.5) l'andamento di u(y) per x = x* è lineare, perché in x* è ∂p/∂x=0; per x < x* i termini a secondo membro hanno segno concorde, mentre hanno segno discorde per x > x*.

xu

zw

yv

xupx ∂

∂+⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

+∂∂

+∂∂

−−= μμσ 232

e analoghe secondo gli assi y, z;

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

+∂∂

==yu

xv

yxxy μττ

e analoghe secondo gli indici xz, yz. Introducendo queste espressioni nelle equazioni di equilibrio della dinamica si ottengono

le equazioni di Stokes-Navier le quali, in assenza di forze esterne, possono scriversi nella forma:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

∂∂

+∂∂

+∂∂

+∂∂

−=2

2

2

2

2

2

zu

yu

xu

xp

DtDu μρ

e analoghe, secondo gli assi y, z. Con le ipotesi sopra formulate (moto permanente, forze di inerzia trascurabili rispetto a

quelle viscose) il primo membro può essere posto uguale a zero. Inoltre, a secondo membro, le derivate seconde della u rispetto alla x ed alla z possono essere trascurate rispetto alla derivata seconda della u rispetto alla y. Si ottiene quindi, anche per questa via, la (4.2). Analogamente si ottengono le (4.3), (4.4). In definitiva l'uso dell'equazione di Newton, ai fini dell'equilibrio alla traslazione dell'elemento fluido, è pienamente legittimo.

5

Page 74: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 4.3 - Distribuzione delle velocità in un meato convergente.

Analoghe considerazioni possono essere fatte a proposito della (4.6), nella

quale tuttavia manca il termine di trascinamento: il lubrificante tende a sfuggire verso la periferia del meato lungo l'asse z sotto l'azione della pressione.

b) Equazione di Reynolds. Le equazioni di equilibrio non sono sufficienti a risolvere il problema che ci siamo proposti; esse, isolatamente prese, non permettono di procedere aldilà dei risultati ottenuti con le (4.5), (4.6). Sarà possibile pervenire ad una equazione differenziale nella sola incognita p - e quindi alla soluzione completa del nostro problema - utilizzando, oltre alle equazioni di equilibrio, l'equazione di continuità ; questa può essere ottenuta con le considerazioni che seguono.

Si consideri un elemento di volume di fluido di base elementare dxdz e di altezza pari all'altezza del meato. Per l'ipotesi a suo tempo formulata di incomprimibilità del fluido, la portata attraverso le facce dell'elemento deve essere complessivamente nulla: ed essendo ovviamente nulla la portata attraverso le facce a contatto con le pareti che delimitano il meato, deve essere complessivamente nulla la portata attraverso le rimanenti quattro facce dell'elemento (fig. 4.4).

Fig. 4.4 - Portata attraverso la superficie laterale di un prisma elementare

6

Page 75: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Se indichiamo con qx, qz le portate per unità di larghezza attraverso le facce normali rispettivamente agli assi x e z, si ha:

0=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

+−⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

+−+ dxdzz

qqdzdx

xqqdxqdzq x

zz

xzx

od anche: 0=

∂∂

+∂∂

zq

xq zx (4.7)

che è l'equazione di continuità cercata.

D'altra parte, per definizione di portata, si può scrivere:

∫=h

x udyq0

(4.8) ∫=h

z wdyq0

introducendo le (4.5), (4.6) nelle (4.8) si ottiene:

3

3

121

2121

hzpq

hUhxpq

z

x

∂∂

−=

−∂∂

−=

μ

μ (4.9)

ed infine, dalla (4.7):

xhUh

zp

zh

xp

x ∂∂

−=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛∂∂

∂∂

+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛∂∂

∂∂ μ633 (4.10)

Questa equazione è nota come equazione di Reynolds; essa non ammette

soluzione generale, ma è stata risolta con procedimenti particolari per diverse configurazioni di meato. Noi la integreremo dopo averle apportato una sostanziale semplificazione, consistente nell'ipotizzare che la pressione sia funzione solamente della variabile x: studieremo, cioè, il caso piano, con p=p(x), u=u(x, y), w=0. Da un punto di vista fisico ciò equivale ad ammettere che il meato sia cilindrico (con generatrici ortogonali al piano di fig. 4.2) e molto allungato nel senso dell'asse z, e a prescindere dalla caduta di pressione che si ha, in prossimità dei bordi, secondo l'asse z. Le soluzioni che troveremo potranno essere adattate allo studio di casi pratici mediante l'introduzione di coefficienti correttivi di provenienza teorica o sperimentale.

c) Distribuzione delle pressioni e forze risultanti. Prima di passare alla soluzione della (4.10) nella sua forma semplificata, vale la pena di notare che se fosse h = costante, la (4.10) stessa si ridurrebbe alla:

02

2

2

2

=∂∂

+∂∂

zp

xp

7

Page 76: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

È questa un'equazione di Laplace la cui soluzione, quando siano noti i valori della variabile p sul contorno (problema di Dirichlet), è unica; e se la p; come nel caso attuale, sul contorno è costante e uguale a pa, lo è anche entro il campo di validità, cioè in tutti i punti del meato. Ciò significa che, perché la coppia lubrificata sia in grado di reagire alle forze normali, ad essa applicate, deve essere ∂h/∂x ≠0.

Nel caso piano la (4.10) si riduce alla seguente:

xhUh

xp

x ∂∂

−=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛∂∂

∂∂ μ63 (4.11)

dalla quale, integrando rispetto alla x si ottiene:

32

6hC

hU

xp

+−=∂∂ μ (4.12)

dove C è una costante di integrazione.

Integrando una seconda volta si ha la espressione di p ovvero di p – pa

∫∫ +−=−xx

a hdxC

hdxUpp

03

026μ (4.13)

Ponendo che, per x = a, sia p - pa = 0, si trova il valore di C:

∫∫=xx

hdx

hdxUC

03

026μ

Osserviamo che il rapporto fra integrali che compare a secondo membro ha

le dimensioni di una lunghezza; indichiamolo con h*, poniamo cioè:

∫∫=xx

hdx

hdxh

03

02* (4.14)

Con tali sostituzioni la (4.12) diviene:

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ −−=

∂∂

hh

hU

xp *16

2

μ (4.15)

Risulta dalla (4.15) che h* è il valore che l'altezza del meato assume

laddove si annulla la dp/dx, Se facciamo riferimento alla fig. 4.3, h* è il valore dell'altezza del meato nel punto x*, dove la pressione raggiunge il suo massimo valore. La (4.13) può essere scritta anche:

8

Page 77: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡−−=− ∫∫

xx

a hdxh

hdxUpp

03

02 *6μ (4.13’)

Per la soluzione degli integrali che compaiono nella (4.13'), e per il calcolo

di h*, è ovviamente necessario conoscere l'andamento di h(x) È facile vedere che nel meato nascono effettivamente delle sovrapressione (pressioni p-pa positive) solo se esso è convergente, cioè se, con riferimento alla fig. 4.2, è (dh/dx) > 0.

La risultante delle pressioni normali p-pa e di quelle tangenziali τ agenti sulla parete di ciascuno dei due corpi A e B fa equilibrio alle azioni esterne applicate ai corpi stessi. Se, in particolare, la parete che limita il membro B è effettivamente piana (cioè non è stata assunta come tale trascurando l'influenza della curvatura, v. pp. 78-79), la risultante delle sovrapressioni p-pa agenti sul corpo B è una forza normale al piano zx e, per un tratto di lunghezza unitaria secondo l'asse z, vale:

( )∫ −=a

a dxppP0

1 (4.16)

Per evidenti ragioni di equilibrio anche la risultante delle sovrapressione

agenti sulla parete del corpo A dà, secondo l'asse y, proiezione di intensità P1 (la proiezione secondo l'asse x ha intensità molto minore di P1; di essa si terrà conto nell'equilibrio del corpo A alla traslazione secondo l'asse x). La P1 è dunque la forza unitaria che la coppia trasmette attraverso il lubrificante nella direzione ortogonale alla velocità relativa dei due elementi cinematici.

La linea di azione della P1 passa di solito a piccola distanza dalla mezzeria del meato. Se indichiamo con e tale distanza, comunemente indicata come eccentricità, si può scrivere la seguente equazione di equilibrio dei momenti attorno all'asse z:

( )∫ −=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

a

a xdxppeaP0

1 2 (4.17)

che permette, noto che sia P1, di trovare il valore di e.

Siamo ormai in grado di calcolare anche la tensione tangenziale che due strati di fluido reciprocamente si trasmettono; ci interessa, in particolare, il calcolo della tensione tangenziale trasmessa dal lubrificante alla parete mobile, la cui espressione è:

00

== ⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

=y

y yuμτ

9

Page 78: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Per la (4.5) si ottiene:

hU

dxdph

yμτ +−== 20 (4.18)

ovvero, introducendo la (4.15):

20*34

hhhUy

−== μτ

La forza tangenziale, per unità di lunghezza secondo l'asse z, trasmessa dal

lubrificante alla parete mobile, sia T1 , vale:

∫ ==a

y dxT0

01 τ (4.19)

È opportuno osservare che la tensione tangenziale esercitata dal fluido sulla

parete del corpo A, che può calcolarsi mediante la formula di Newton:

hU

dxdph

yu

hyhy

μμτ +=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂∂

==

= 2

non coincide con la τy=0 data dalla (4.18). Pertanto anche la forza tangenziale unitaria trasmessa dal fluido alla parete A ha intensità in generale diversa dalla T1 . Questo risultato non deve sorprendere. Abbiamo già osservato, infatti, che la risultante della sovrapressione sulla parete del corpo A ha proiezione non nulla secondo l'asse x; d'altra parte, per l'equilibrio alla traslazione secondo l'asse x del fluido contenuto entro il meato, la proiezione sull'asse x delle forze trasmesse dal fluido al corpo A deve avere intensità pari a T1; di conseguenza le azioni tangenziali sulle due pareti debbono essere tra loro diverse.

Conoscendo P1 e T1 si può calcolare il rapporto T1/P1 e chiamarlo, in analogia con quanto si è fatto per í contatti di strisciamento fra superfici asciutte, coefficiente di attrito f della coppia lubrificata. Il valore numerico del rapporto:

11 / PTf = (4.20)

è una valida misura dell'efficacia della lubrificazione. d) Lubrificazione per accostamento. Si è visto che la possibilità da parte del

lubrificante di sostenere un carico dipende sia dalla presenza della velocità U, sia dal fatto che il meato è convergente. La capacità portante (cioè una distribuzione di pressioni positive) può nascere, come ora vedremo, anche in

10

Page 79: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

un meato di forma qualunque, se è presente una velocità relativa fra í due corpi, diretta ortogonalmente al piano xz (v. fig. 4.2). In tale situazione, le condizioni di equilibrio per un elemento di fluido non cambiano e pertanto le relazioni che da esse discendono, dalla (4.2) alla (4.6), sono ancora valide.

L'equazione di continuità, invece, si modifica. In luogo della (4.7) varrà la relazione seguente:

Vdxdzdxdzz

qqdzdxx

qqdxqdzq z

zx

xzx =⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

+−⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

+−+

essendo Vdxdz l'aumento di volume del prisma di base dxdz nel tempo unitario (la velocità V del corpo A di fig. 4.2 è assunta positiva quando il suo verso coincide con il verso positivo dell'asse y), e l'equazione di continuità assume la forma:

Vz

qx

q zx −=∂∂

+∂∂

Procedendo analogamente a quanto si è fatto nelle pagine precedenti per

ricavare la (4.11) dalla (4.7), si perviene facilmente all'equazione di Reynolds, che ora si scrive:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

∂∂

−=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛∂∂

∂∂

+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛∂∂

∂∂ V

xhUh

zp

zh

xp

x2633 μ (4.22)

Per vedere in modo semplice quale sia l'effetto della velocità V, poniamo

U=0, consideriamo il caso piano (meato cilindrico di lunghezza infinita secondo z) e supponiamo che l'altezza h sia uniforme. La (4.22) si semplifica allora nella seguente:

32

2

12hV

dxpd μ=

che si integra immediatamente due volte, ottenendo:

( )xax

hVpp a −=− 3

6μ (4.23)

con le condizioni p(0)=p(a)=pa . La capacità di carico, per un tratto di lunghezza unitaria secondo l'asse z, vale:

3

3

1 hVaP μ

−= (4.24)

11

Page 80: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

La (4.23) e la (4.24) mostrano che una distribuzione positiva di pressioni (e,

quindi, una capacità di carico) nasce nel meato solo se la velocità V è effettivamente di accostamento (V<0), cioè se i due corpi che delimitano il meato stesso si avvicinano. È evidente pertanto che questo effetto non può servire, da solo, per lubrificare con continuità una coppia cinematica; esso può dare però in taluni casi un contributo importante alla lubrificazione, quando la forza che í due membri si trasmettono cambia continuamente di verso o di direzione. Caso tipico è quello dei cuscinetti dei manovellismi impiegati nelle macchine alternative.

Nei prossimi paragrafi saranno trattate alcune applicazioni della teoria svolta nelle sezioni a), b) e c) del presente paragrafo.

4.3. MEATO LIMITATO DA PARETI PIANE Il caso più semplice, dal punto di vista dello studio teorico, si ha quando il

corpo A è limitato da una parete piana (la quale, per quanto si è osservato al paragrafo precedente, deve essere inclinata rispetto alla parete mobile). A questo modello si riconducono assai bene alcune soluzioni tecniche sulle quali ci soffermeremo nel paragrafo seguente.

Fig. 4.5 - Meato limitato da pareti piane Passiamo ad esprimere la legge h(x) in base alle quote caratteristiche del

meato. Come è indicato in fig. 4.5, chiamiamo con h0 ed h1 i valori rispettivamente più piccolo e più grande dello spessore del meato. Si ottiene subito:

x

ahh

hh 010

−+=

che può anche scriversi:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ += x

amhh 10 (4.25)

12

Page 81: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

con la posizione:

ahh

m 01 −= (4.26)

Introducendo la (4.25) nella (4.14) si ottiene:

∫∫⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ +

=aa

xamdx

xamdxhh

03

020

11*

che, con facili calcoli, porta al risultato seguente:

mmhh

++

=212* 0

Calcoli altrettanto semplici permettono di trovare in base alla (4.15) il valore

della pressione in ciascun punto del meato. Successivamente le (4.16), (4.17), (4.19), (4.20) danno le espressioni fondamentali per il calcolo di verifica della coppia considerata.

I risultati cui si perviene introducendo la (4.25) nelle formule sopra citate sono i seguenti:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛=−

axmk

hUapp a ,620

μ (4.27)

dove si è posto:

( )( )

2

12

1,

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ ++

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

=

axmm

axm

ax

axmk

( )mhaUP ψμ

2

01 6 ⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛= (4.28)

dove si è posto: ( ) ( ) ( )mm

mm

m+

−+=221ln1

13

Page 82: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

( )mhaUTϑ

μ0

1 = (4.29)

dove si è posto: ( ) ( )

mm

mm

+−+=

261ln4θ

( )mae ε= (4.30)

dove si è posto:

( ) ( )[ ] ( ) ( )( ) ( )[ ]mmmm

mmmmmm21ln22

231ln162

−+++−+++

II coefficiente di attrito vale di conseguenza:

( )( )mm

ah

PTf

ψϑ

60

1

1 == (4.31)

od anche, per la (4.28):

( )1PUmf μλ= (4.32)

dove si è posto: ( ) ( )

( )mmm

ψϑλ6

=

Fig. 4.6 - Distribuzione delle pressioni (fattore adimensionale k). In fig. 4.6 è rappresentato l'andamento di k(m, x/a) in funzione di x/a, per

diversi valori del parametro m. Risulta chiaramente dai diagrammi che, a parità di altre circostanze, la capacità portante della coppia è massima per valori di m nell’intorno di uno.

In fig. 4.7 sono tracciate le funzioni ψ(m), θ(m), ε(m), λ(m). Anche da questi

14

Page 83: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

diagrammi risulta l'opportunità che il parametro m sia prossimo ad uno; infatti per intorno di uno è elevata la capacità portante della coppia ed è basso il coefficiente di attrito.

Questi risultati si prestano ad alcune osservazioni, che divengono particolarmente semplici nel caso in cui - come accade in alcuni tipi di cuscinetti reggispinta - il membro A sia orientabile attorno ad un asse parallelo all'asse z (v. fig. 4.9 b).

15

Fig. 4.7 - Andamento del carico, della forza tangenziale,

dell'eccentricità, del coefficiente d’attrito (fattori adimensionali ψ, θ, ε, λ) in funzione di m.

In tal caso la linea di azione della P1, e quindi l'eccentricità e, ha un valore fissato per costruzione. D'altra parte, come risulta dalla fig. 4.7, l'eccentricità varia sensibilmente con m; ne consegue che assegnare per costruzione un valore ben definito alla e, equivale a fissare per costruzione il valore di m. In definitiva, per questo tipo di coppia, il parametro m che compare nelle formule da (4.27) a (4.32) è una costante e valori costanti assumono le funzioni di m che nelle stesse formule sono contenute.

In tali circostanze dalle formule da (4.27) a (4.32) si può immediatamente dedurre il comportamento della coppia lubrificata al variare delle condizioni di impiego.

Così, ad esempio, dalla (4.28) si deduce come varia l'altezza minima del meato h0 al variare di P1, μ, U. Tali informazioni hanno molto interesse perché, al variare delle condizioni di impiego, il valore di h0 deve essere sempre mantenuto al di sopra di un valore minimo, che è in relazione con gli errori di planarità delle superfici delimitanti il meato e con la loro rugosità, in modo che sia evitato il contatto diretto fra le asperità delle superfici stesse.

Notevole interesse hanno anche le formule (4.31), (4.32); ma debbono essere usate con qualche cautela, come adesso spieghiamo. Dalla (4.31) risulta che il coefficiente di attrito è proporzionale, se m è costante, ad h0. Ciò è vero purché valgano le ipotesi che sono alla base della (4.31), ossia purché si abbia una corretta lubrificazione; la (4.31) cessa di essere valida quando h0 è così piccola da dar luogo a contatti diretti fra le due pareti. Analoga osservazione vale per la (4.32).

Page 84: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

4.4. MEATO LIMITATO DA PARETI PIANE DI LARGHEZZA FINITA. APPLICAZIONI TECNICHE

I risultati del paragrafo precedente, validi per il caso piano, possono essere

estesi al caso di meato di larghezza finita b purché si introducano opportuni coefficienti correttivi. Da un punto di vista qualitativo, passando dal primo caso al secondo si osservano le seguenti differenze:

- la pressione effettiva p - pa , che nel caso piano è indipendente da z, varia nel secondo caso anche secondo l'asse z, e si annulla oltre che per x=0 ed x=a, anche per z=±.b/2. Come conseguenza, a parità di pressione massima, la risultante delle pressioni è, nel secondo caso, inferiore alla risultante delle pressioni agenti su di una striscia di larghezza b nel caso piano;

- la componente w della velocità è nel secondo caso diversa da zero; si ha cioè una fuga laterale di lubrificante, strettamente legata, per la (4.6), alla ∂p/∂z;

- il coefficiente di attrito è nel secondo caso più elevato che nel primo, quindi più elevata è la potenza dissipata.

Mentre rimandiamo ai trattati specializzati per un esame approfondito delle coppie di larghezza finita, riportiamo, a titolo indicativo, in fig. 4.8, i valori del coefficiente correttivo che permette di estendere la validità della (4.28) alle coppie di larghezza finita. Il diagramma di fig. 4.8 ha in ascisse il rapporto b/a, mentre in ordinate è riportato il coefficiente ξ definito come segue:

bPP

1

Fig. 4.8 - Coefficiente correttivo ξ in funzione del rapporto b/a, per m=1 dove P è la forza normale al piano xz che grava sulla coppia lubrificata. Il diagramma di fig. 4.8 è valido per m = 1, ma può essere utilizzato anche per valori di m sensibilmente diversi da uno.

Passiamo adesso ad esaminare alcune soluzioni tecniche che bene corrispondono allo schema fin qui considerato.

La coppia lubrificata costituita da un elemento piano (pattino) fisso e da una superficie piana mobile (o viceversa) è applicata nei cuscinetti reggispinta a

16

Page 85: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

sostentazione fluidodinamica. In fig. 4.9 sono rappresentate le soluzioni costruttive più comuni.

In fig. 4.9 a) i pattini sono fissi al supporto; in fig. 4.9 b) sono orientabili attorno ad un perno che individua la linea di azione della risultante delle pressioni (questa soluzione è del tutto analoga a quella anticipata nelle pagine precedenti, cui corrispondeva un valore costante di m; in fig. 4.9 b) il perno permette anche una rotazione del pattino attorno all'asse x, ma questo secondo grado di libertà ha unicamente lo scopo di facilitare l'allineamento dei pattini); infine il pattino può essere montato su molle.

La geometria del meato è in tutti e tre í casi aderente a quella sopra considerata. La circostanza che il membro mobile abbia moto rotatorio invece che traslatorio non porta, infatti, a differenze degne di rilievo, se non a velocità molto elevate, alle quali può non essere trascurabile l'effetto della forza centrifuga. Le formule da (4.27) a (4.32) si adattano bene allo studio dei tre tipi di cuscinetto; in esse si potrà introdurre per a la lunghezza della porzione di arco di circonferenza in corrispondenza del raggio medio del pattino, mentre U è la velocità dell'elemento mobile in corrispondenza del raggio medio.

Fig. 4.9 - a) Cuscinetto reggispinta a pattini fissi; b) cuscinetto reggispinta a pattini oscillanti; c) pattino bombato; d)

cuscinetto portante a pattini oscillanti. Le (4.27) ... (4.32) si applicano al caso di fig. 4.9 b) come già si è osservato;

in tal caso, infatti, il valore di m è fissato per costruzione. Per il caso 4.9 a), invece, è costruttivamente fissata l'inclinazione del

pattino; si ha, cioè: m h0 = costante. Pertanto le funzioni ψ(m), θ(m), ε(m), λ(m) sono, in questo caso, funzioni unicamente di h0. La dipendenza di P1, T1 , e da h0 è meno semplice che nel caso precedente; è, comunque, perfettamente determinata.

Anche nel caso di pattino su molle è possibile trovare un legame fra m, ho e

17

Page 86: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

P1, purché sia nota la posizione delle molle e la loro rigidezza. Così dalle (4.27) ... (4.32) si possono ottenere equazioni nelle quali non compare il parametro m, ma soltanto quantità di più immediato interesse ai fini dello studio del comportamento del cuscinetto.

Fra i tre tipi di cuscinetto sopra citati il primo (pattino fisso), più semplice e più economico, ha prestazioni scadenti alle basse velocità. Assai più soddisfacente è il comportamento fluidodinamico dei cuscinetti del secondo tipo (pattini con perno) í quali, rispetto ai precedenti, presentano anche il vantaggio di un miglior adattamento agli errori di esecuzione e di allineamento della coppia. I cuscinetti del terzo tipo (pattini su molle) hanno comportamento intermedio fra i due precedenti e talvolta portano ad un disegno più semplice e ad un ingombro inferiore rispetto a quelli del secondo tipo.

Dalla fig. 4.7 si rileva che valori non nulli del carico P1 (cioè del coefficiente ψ) corrispondono a valori non nulli di ε, e, quindi, dell'eccentricità e. Ne segue che i pattini oscillanti non possono venire incernierati nella mezzeria, altrimenti la loro capacità portante sarebbe nulla; né è possibile, una volta posizionata la cerniera con e ≠ 0, far funzionare il cuscinetto nei due versi di rotazione, altrimenti per uno di tali versi si avrebbe eccentricità negativa (e quindi non vi sarebbe capacità di carico). La possibilità di funzionamento nei due versi di rotazione si ottiene realizzando í pattini oscillanti con la superficie leggermente bombata (v. fig. 4.9 c)), e incernierandoli nel punto di mezzo: in tal caso, infatti, gli andamenti della fig. 4.7 si modificano e si ottiene capacità di carico non nulla anche con eccentricità nulla.

Pattini come quelli visti finora vengono impiegati anche per realizzare cuscinetti portanti (v. fig. 4.9 d)): si tratta di organi molto raffinati e costosi, usati per sostentare rotori veloci, quando si debba evitare il rischio di instabilità per fenomeni fluidodinamica.

4.5. COPPIA ROTOIDALE LUBRIFICATA Una seconda importante applicazione della teoria della lubrificazione

fluidodinamica si ha nella coppia rotoidale. Il meato è in questo caso compreso fra due cilindri circolari, uno cavo ed uno pieno, con assi paralleli, che in un primo tempo considereremo di lunghezza infinita (caso piano).

Fig. 4.10 - Schema di cuscinetto portante .

18

Page 87: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Indichiamo (v. fig. 4.10) con R1 ed R2 rispettivamente il raggio del perno uscente da O1 , e quello della sua sede, uscente da O2. Con θ indichiamo l'angolo che un raggio generico uscente da O2 forma con il raggio passante per O1 . Il verso positivo di θ è il verso orario. Indichiamo, infine, con e l'eccentricità della coppia, ossia la distanza O1O2.

L'altezza h del meato si trova proiettando la spezzata O1O2, O1M su O2M. Osservando che l'angolo compreso fra O1M ed O2M è molto piccolo e che, pertanto, il corrispondente coseno è praticamente uguale ad uno, si ottiene:

21cos RhRe =++ϑ

Ponendo R2 – R1 = δ (δ è il gioco radiale della coppia), e/δ = x, si ottiene:

( )ϑχδ cos1−=h (4.33) Osserviamo che lo spessore del meato è molto piccolo rispetto al raggio del

perno; l'effetto della curvatura del meato è perciò assolutamente trascurabile. Valgono pertanto anche per questa coppia le relazioni da (4.2) a (4.20) a suo tempo trovate.

Una più chiara idea di come l'effettiva geometria possa ricondursi a quella di fig. 4.3 si può avere tagliando la coppia secondo il raggio θ = π e rettificando il meato (fig. 4.11).

Il membro mobile (B) è in questo caso il perno, che trasla con velocità - ΩR1 (Ω è la velocità angolare), mentre il membro (A) è la sua sede.

Se nella (4.15) poniamo U=Ω R1 , x=θ R1 otteniamo:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

Ω−=

hh

hR

ddp *16

2

21μ

ϑ (4.34)

Si osserva che la pressione entro il meato deve avere valori uguali per θ = π

e per θ = - π. Ne discende che la costante h* che compare nella (4.34) vale in questo caso:

∫∫−−

π

π

π

ϑϑ32*

hd

hdh

In definitiva si ottengono per h* e p le seguenti espressioni:

2

2

212*

χχδ

+−

=h

( )( )( )

tR

p coscos12

sincos26222

21 +

−+−Ω

=ϑχχϑϑχχ

δμ (4.35)

19

Page 88: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

L'andamento della pressione in funzione di θ è del tipo rappresentato in fig. 4.11, nella quale è raffigurato anche l'andamento della dp/dθ. Si osservi che quest'ultima è una funzione pari di θ, giacché h(θ) è funzione pari. Ne discende che la pressione assume lo stesso valore non soltanto in θ=-π e θ=π, ma anche in θ=0.

Il diagramma di fig. 4.11 c) dà la pressione a meno di una costante di integrazione, che può essere determinata purché si conosca il valore della pressione stessa per un valore di θ. Ad esempio, se il meato fosse messo in comunicazione con l'ambiente esterno in corrispondenza di θ=- θ* (ascissa del punto M in cui h = h*), la sovrapressione p-pa assumerebbe in -θ* il valore zero e rimarrebbe positiva in tutti gli altri punti (v. fig. 4.12).

Fig. 4.11 - Sviluppo della sezione di un cuscinetto portante a) e andamenti della pressione c) e della sua derivata b).

20

Page 89: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 4.12 - Andamento della pressione con p - pa = 0 in M.

Se il meato, invece, fosse in comunicazione con l'ambiente esterno in un

qualunque altro punto, si avrebbe in base alla (4.33) una zona con sovrapressione p -pa negativa. È questo un risultato fisicamente inaccettabile; in realtà in tale zona si ha rottura del film di lubrificante per cavitazione dovuta prevalentemente all'aria disciolta nel lubrificante, che si libera; e la zona stessa non collabora alla sostentazione del perno. Anche se nelle pratiche applicazioni non sono realizzabili cuscinetti cui corrisponda un diagramma di pressioni come quello illustrato in fig. 4.12, può avere interesse prendere in esame i risultati relativi a tale caso, che costituisce un caso limite.

Se immaginiamo di riportare radialmente attorno al perno la distribuzione di pressione di fig. 4.12, notiamo immediatamente che, ai fini del calcolo della risultante delle pressioni, tale distribuzione equivale a quella di fig. 4.11 c), ossia a quella rappresentata in fig. 4.13.

In tale figura si è indicata con S1 la risultante delle pressioni agenti nell'intervallo 0 ≤ θ ≤ π-, con S2 risultante delle pressioni «negative» agenti nell'intervallo 0 ≥ θ ≥ -π; le due risultanti hanno la stessa intensità e, per ragioni di simmetria, formano angoli uguali ed opposti con il raggio θ = π/2. Pertanto la loro somma vettoriale, P1 , è diretta normalmente alla direzione di accostamento fra perno e sua sede.

Il valore di P1 ,del momento M1 necessario a mantenere in rotazione uniforme il perno, e del rapporto M1/RP1 (che, in analogia con il caso di contatto fra superfici asciutte, possiamo indicare come coefficiente di attrito

21

Page 90: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

della coppia rotoidale lubrificata) sono dati dalle relazioni seguenti:

( )( )

( )( )

( )

( )( )

( )χμ

χχδ

χϕχυδ

χυδ

μχχ

χπδ

μ

χϕδ

μχχ

χπδ

μ

kPRf

RRRPMf

RRRRM

RRRRP

1

2

1

1

2

22

22

1

2

22

2

1

321

6

12214

612

26

Ω=

+===

Ω=−+

+Ω=

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛Ω=

−+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛Ω=

(4.36)

22

Fig. 4.13 - Forza risultante sul perno. nelle quali si è scritto R invece di R1 .

Si hanno, in definitiva, espressioni non molto dissimili nella forma dalle (4.28), (4.29), (4.31), (4.32) anche se meno facilmente interpretabili di quelle, in quanto il valore di x dipende in ogni caso dalle condizioni di funzionamento del cuscinetto (mentre, come abbiamo visto a suo tempo, il valore di m era costante per í pattini muniti di fulcro).

Può essere interessante osservare che la funzione di χ:

χχ

321 2+

che compare nell'espressione del coefficiente di attrito, si mantiene molto

prossima ad uno in tutto l'intervallo 0,5 ≤ χ ≤ 1, che comprende tutto l'intervallo dei valori di χ più comunemente adottati nel proporzionamento dei cuscinetti. Si può, pertanto, concludere che, per valori abituali di χ, il coefficiente di attrito della coppia rotoidale di allungamento infinito, perfettamente lubrificata, vale circa δ/R (v. fig. 4.15).

Page 91: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

4.6. LA COPPIA ROTOIDALE LUBRIFICATA DI LUNGHEZZA FINITA

Nella applicazioni tecniche la coppia rotoidale lubrificata ha lunghezza finita

ed il lubrificante è attivo soltanto in una parte del meato. Il lubrificante che sfugge assialmente dal meato deve essere continuamente

sostituito con altro lubrificante. L'introduzione di lubrificante entro il meato viene effettuata in zone che non danno contributo alla sostentazione del carico; l'alimentazione del lubrificante può avvenire con l'impiego di mezzi elementari, oppure facendo ricorso ad una circolazione forzata: in questo caso un impianto idraulico costituito da un serbatoio, un filtro, una pompa, un refrigerante dell'olio caldo, tubazioni di collegamento ed organi ausiliari permette un efficiente ricambio del lubrificante ed un sicuro controllo della sua temperatura.

Se la portata di alimentazione del lubrificante supera un certo minimo, dipendente dalle condizioni di funzionamento, il perno si dispone nella sua sede come indicato in fig. 4.14. La zona di meato tratteggiata corrisponde alla zona portante; essa inizio nel punto θ=π e termina in un punto prossimo a θ=0. per un valore negativo di θ, individuato dalla condizione che in esso sono nulle sia la sovrapressione sia la dp/dθ.

Spesso, in particolare quando il cuscinetto non è in bagno di olio e l'alimentazione non è forzata, la portata di lubrificante è insufficiente ad alimentare un meato dell'ampiezza di quello rappresentato in figura 4.14. L'arco sul quale il lubrificante è attivo può essere sensibilmente più piccolo di quello ivi indicato; la capacità portante del cuscinetto si riduce di conseguenza.

Fig. 4.14 - Perno reale

23

Page 92: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 4.15 - Coefficiente d'attrito, portata di lubrificante e capacità di carico in funzione dell'eccentricità. I diagrammi sono stati adimensionalizzati ( b = 2R; ---- b = ∞). In fig. 4.15 sono tracciati grafici relativi a cuscinetti di larghezza pari al

diametro del perno (b = 2R), lubrificati secondo lo schema di fig. 4.14. In essa sono riportati, in funzione di χ, i valori di:

( )21

6 δμ RRP

Ω,

δRf ,

δRbQa

Ω,

dove con Qa abbiamo indicato la portata di lubrificante con la quale il

cuscinetto è alimentato dall'esterno. In fig. 4.15 sono riportati anche, per confronto, í valori che le prime due grandezze assumono in un cuscinetto di allungamento infinito, con una distribuzione di pressione rispondente allo schema di fig. 4.13.

Per la soluzione del problema diretto (noti le dimensioni della coppia, il carico, a viscosità e la velocità angolare, trovare l'eccentricità, la portata e il coefficiente d’attrito), si usano spesso diagrammi che permettono di ricavare le quantità che interessano in funzione della quantità adimensionale:

( )

1

2

PRRS

πδμ Ω

=

e prende il nome di numero di Sommerfeld. I suddetti diagrammi, reperibili

sui trattati specializzati, danno gli andamenti delle quantità adimensionale χ, Q/(bRΩδ), fδ/R in funzione di S. Un esempio è riportato nella fig. 4.16.

24

Page 93: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 4.16 - Eccentricità in funzione del numero di Sommerfeld per diversi valori del rapporto lunghezza/diametro, nel

caso di un perno lubrificato su un arco attivo di 180°.

Per il calcolo di una coppia rotoidale, si parte di solito dalla conoscenza del

carico P e della velocità angolare Ω. Fissato il rapporto λ = b/2R fra larghezza e diametro (di solito λ ha valori compresi fra 0,5 e 2), si sceglie la pressione media pm, definita come rapporto fra il carico P e l'area 2bR; valori tipici di pm sono fra 1 e 3 N/mm2 per cuscinetti in metallo bianco e fra 1 e 8 N/mm2 per cuscinetti in bronzo. Dai valori di pm e di λ si risale subito a quelli di b e di R, e si trova quindi P1 = P/b. Si fissano poi il gioco radiale δ (δ/R è di solito compreso fra 1/200 e 1/1000) e la viscosità μ del lubrificante; quest'ultimo valore andrà poi controllato dopo la verifica termica, data la forte dipendenza della viscosità dalla temperatura. Diagrammi del tipo di quello riportato in fig. 4.16, oppure procedimenti analitici o numerici basati sulla teoria esposta nelle pagine precedenti, permettono di valutare l'eccentricità relativa χ (di regola, si cerca di fare in modo che χ sia nell'intorno di 0,7) e, quindi, lo spessore minimo del meato. Quest'ultimo va confrontato con la rugosità superficiale del perno e del cuscinetto, per assicurarsi che il contatto sia effettivamente mediato e non diretto. Occorre poi calcolare la portata di lubrificante ed effettuare infine la verifica del riscaldamento, secondo quanto verrà illustrato nel prossimo paragrafo.

4.7. EFFETTI TERMICI. TEMPERATURA DEL LUBRIFICANTE Vediamo ora quali conseguenze abbia sulla efficacia della lubrificazione il

calore prodotto dal lavoro d'attrito. La viscosità dipende sensibilmente dalla temperatura; per i lubrificanti liquidi

la viscosità diminuisce molto decisamente al crescere della temperatura. Di qui la necessità di calcolare l'incremento di temperatura che un lubrificante subisce nel passaggio attraverso la coppia lubrificata: il calcolo permetterà di valutare il valore medio della viscosità da inserire nei calcoli ed,

25

Page 94: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

eventualmente, individuerà le soluzioni inaccettabili per eccessivo riscaldamento del lubrificante. L'aumento di temperatura del lubrificante può essere calcolato supponendo che tutta l'energia dissipata in calore venga spesa per innalzare la temperatura del lubrificante; si tratta di una ipotesi non troppo aderente alla realtà, perché il lubrificante cede calore ai corpi da esso lambiti; ma ha il vantaggio di essere semplice e cautelativa, per cui è comunemente adottata.

Se indichiamo con Q (m3/s) la portata in volume del lubrificante attraverso la coppia, con ρ (kg/m3) la densità del lubrificante, con c [J/(kg °K)] il suo calore specifico, ed esprimiamo P in N ed U in m/s, l'incremento di temperatura i T(°C) del lubrificante è dato dalla relazione:

ρQcfPUT =Δ (4.37)

Per applicare la (4.37) è necessario conoscere la portata Q. Nel caso piano

la portata secondo l'asse z è nulla; la portata secondo l'asse x è data dalla prima delle (4.9), relativa ad una larghezza unitaria di meato. Se facciamo riferimento alla sezione di meato di altezza h* la prima delle (4.9) può scriversi:

2*hUqx −=

pertanto, su di una larghezza b di meato, si ha, nel caso piano, una portata:

2*UbhQx = (4.38)

(si è omesso il segno -, che ormai non interessa). Nel caso di meato di

larghezza finita alla Qx deve aggiungersi la Qz la quale, per valori di m prossimi ad uno, è dell'ordine del 50% di Qx. La somma di Qx e di Qz dà il valore di Q da introdurre nella (4.37).

Nel caso della coppia rotoidale, la portata di alimentazione e il coefficiente d'attrito si valutano come si è visto nel paragrafo precedente; l'incremento di temperatura del lubrificante si calcola poi ancora con la (4.37), dove in luogo di U si porrà il prodotto ΩR.

La temperatura di regime del lubrificante varia molto da caso a caso. In linea di larga massima, con i lubrificanti di più comune impiego, si può dire che la tempera tura di ingresso è spesso compresa fra 40 e 60 °C, e che la temperatura massima di regime, calcolata sommando la sovratemperatura T alla temperatura di ingresso, non dovrebbe superare í 70-90 °C.

26

Page 95: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

4.8. SCELTA DEL CUSCINETTO Nelle costruzioni meccaniche sono largamente impiegati sia i cuscinetti a

rotolamento sia quelli a strisciamento. Vediamo brevemente quali sono le principali caratteristiche distintive di questi due tipi, che portano a preferire ora l'uno ora l'altro, a seconda delle applicazioni.

I cuscinetti a rotolamento si comportano decisamente meglio degli altri alle basse velocità, per cui sono preferibili in caso di frequenti arresti e avviamenti; sono più adatti per le temperature estreme (alte e basse); richiedono spesso una manutenzione nulla o assai ridotta; possono essere in grado di sostenere contemporaneamente carichi radiali e assiali; hanno dimensioni standardizzate, il che spesso ne semplifica la scelta, il calcolo e l'installazione. Sono molto impiegati negli impianti industriali, nelle macchine utensili e in quelle automatiche, nelle trasmissioni in genere, e in moltissimi altri casi.

Fig. 4.17 - Campi tipici di impiego: a) · · · · · dei cuscinetti a strisciamento lubrificati a olio, b) dei

cuscinetti a rotolamento, c)---------dei cuscinetti non metallici autolubrificati. Le curve A e B indicano gli usuali limiti di velocità peri cuscinetti a rotolamento, rispettivamente nelle applicazioni comuni e nelle turbine a gas.

I cuscinetti a strisciamento hanno lunga durata e basso costo (almeno nei

tipi standard); si comportano meglio sotto carichi variabili; sono più silenziosi e non sono, di regola, fonti di vibrazioni; permettono maggiori precisione. Sono largamente impiegati nelle macchine alternative, nei turboalternatori, in macchinari pesanti e in moltissime altre applicazioni con esigenze sia molto spinte, sia modeste. In quest'ultimo caso, i grassi lubrificanti sono spesso preferiti ai lubrificanti fluidi.

La fig. 4.17 mostra, in modo indicativo, i campi tipici di impiego dei cuscinetti a rotolamento, di quelli a strisciamento a lubrificazione fluidodinamica e di quelli costruiti in materiale autolubrificante (PTFE o altro) ai vari carichi e velocità e per diversi valori del diametro. 27

Page 96: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

4.9. LUBRIFICAZIONE ELASTOIDRODINAMICA La teoria della lubrificazione idrodinamica può venire applicata anche per

studiare altre coppie, in particolare coppie superiori. Casi importanti sono i contatti tra i corpi rotolanti e le piste nei cuscinetti a rotolamento, quelli fra i fianchi dei denti, negli ingranaggi, quelli fra, camma e cedente nei meccanismi con camme.

Tutti questi casi vengono spesso studiati riconducendosi ad un «meato equivalente», cioè schematizzando la coppia reale con una coppia piano-cilindro; il raggio R del cilindro viene calcolato in modo che l'altezza del meato, nella zona di spessore minimo, abbia andamento analogo a quello del meato reale. Si trova per R l'espressione:

21

21

RRRR

R+

= (4.39)

dove R1 e R2 sono í raggi di curvatura dei contorni del meato. Se una delle due superfici di contorno è concava, il corrispondente raggio di curvatura deve venire preso negativo.

L'equazione di Reynolds scritta per uno dei casi suddetti può venire integrata per ottenere la distribuzione della pressione, la capacità di sostentamento, l'altezza minima del meato, ecc. Assumendo per í vari parametri (velocità relativa U dei corpi che delimitano il meato, viscosità del lubrificante, raggio R del cilindro del meato equivalente, carico P1 per unità di lunghezza del contatto) i valori che competono a casi reali, si ottiene però di solito per l'altezza minima del meato un valore assai piccolo, anche molto inferiore a quello della rugosità superficiale. L'applicazione della teoria della lubrificazione idrodinamica alle coppie superiori porterebbe dunque a concludere che in tali coppie il contatto avviene, nella maggior parte dei casi, senza l'interposizione di una pellicola continua di lubrificante (si sarebbe, cioè, in condizioni di lubrificazione limite). L'esame dello stato delle superfici delle coppie suddette dopo un lungo periodo di funzionamento, ed altre osservazioni sperimentali, indicano invece con sicurezza che il contatto è di regola mediato. La lubrificazione che, pertanto, di fatto si instaura, è evidentemente] di tipo idrodinamico; le pressioni che nascono nel lubrificante e che gli permettono di sostenere il carico non possono infatti essere prodotte che dall'effetto combinato della forma del meato e della velocità relativa dei due corpi.

Per spiegare come tale lubrificazione possa instaurarsi, bisogna perfezionare la teoria precedentemente esposta, mettendo in conto sia la deformazione del meato per effetto delle altissime pressioni in gioco, sia la dipendenza della viscosità del lubrificante dalla pressione p. In tali condizioni, la lubrificazione si dice elastoidrodinamica, per l'importanza fondamentale che assumono le deformazioni elastiche dei membri della coppia. L'equazione di Reynolds va 28

Page 97: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

scritta, dunque, con μ funzione di p (di solito si assumer, μ=μ0epa con a comunemente compreso fra 10-8 e 2.10-8 m2/N) e tenendo conto del contributo che all'altezza del meato danno le deformazioni elastiche locali dei solidi che lo delimitano.

Non riportiamo gli sviluppi della trattazione, che è piuttosto complessa. In fig. 4.18 sono riportati, in forma qualitativa, alcuni tipici risultati della trattazione stessa. Si nota, in particolare, che nel tratto corrispondente all'incirca alla zona di schiacciamento hertziano, l'altezza del meato rimane pressoché costante e la pressione ha andamento simile a quello della pressione hertziana nel contatto diretto fra solidi. Verso l'uscita, si verifica di solito una diminuzione dell'altezza del meato e un caratteristico picco della pressione.

Un risultato importante è l'espressione dell'altezza minima hmin del meato; confrontandola con la rugosità superficiale, infatti, è possibile verificare se in una data coppia si stabilisce lubrificazione elastoidrodinamica o contatto diretto (lubrificazione limite). Si ottiene, indicando con U la velocità media delle due superfici che delimitano il meato:

Fig. 4.18 - Andamento della pressione e forma del meato nella

lubrificazione elastoidrodinamica. La curva 0 corrisponde a velocità U nulla (contatto diretto), le curve 1 e 2 a valori crescenti del prodotto μU.

( )11,0

103,0

4,071,00

57,0

min 07,3PM

RUh

μα=

(3.40) M è un fattore dipendente dai materiali, definito dall'espressione:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ −+

−=

2

22

1

21 11

211

EEMυυ

(E1 , E2 sono i moduli elastici e v1 , v2 sono i coefficienti di Poisson). I valori

tipici di hmin che si ottengono per casi reali nei cuscinetti a rotolamento e negli ingranaggi sono dell'ordine di pochi μm.

29

Page 98: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Dalla (4.40) si rileva che hmin dipende quasi insensibilmente da M (cioè dai materiali), molto poco dal carico P1, più sensibilmente dal raggio R e dal coefficiente a; la massima influenza sul valore dell'altezza minima del meato è esercitata dalla viscosità μ0 e della velocità U (o meglio, dal loro prodotto μ0U).

4.10. CENNI SULLA LUBRIFICAZIONE FLUIDODINAMICA CON

LUBRIFICANTI GASSOSI I lubrificanti gassosi trovano impiego soltanto in casi molto particolari,

quando si richiedano prestazioni che gli altri lubrificanti non siano in grado di soddisfare. In particolare può essere opportuno fare ricorso ai lubrificanti gassosi per cuscinetti che debbano funzionare in condizioni di temperatura molto gravose, o quando si debba contenere entro limiti molto bassi il coefficiente di attrito, o quando per particolari motivi (ad esempio per evitare contaminazioni) non si possano usare lubrificanti liquidi. In ogni caso, comunque, i carichi debbono essere molto piccoli, ché la capacità portante di un cuscinetto lubrificato a gas è, a parità di dimensioni e velocità, molto inferiore a quella di un cuscinetto con lubrificante liquido (si osservi, a questo proposito, che nei confronti della capacità portante di un cuscinetto gioca un importante ruolo la viscosità del lubrificante; e questa è nei gas molto più piccola che negli oli; ad esempio il rapporto fra la viscosità dell'aria a pressione ambiente ed alla temperatura di 50 °C e quella di un lubrificante tipo SAE 30 alla temperatura di 50 °C, è circa di 1/2000).

II basso valore della viscosità dei gas e la circostanza che la viscosità stessa sia poco sensibile alla temperatura (aumentando al crescere di essa) giustificano l'impiego di lubrificanti gassosi nei casi sopra citati. Si tratta, come già detto, di casi molto particolari; finora applicazioni di cuscinetti fluidodinamici a gas si sono avute soprattutto nei giroscopi.

Ciò premesso vediamo come si possa estendere al caso dei lubrificanti gassosi lo studio svolto nei paragrafi precedenti.

Se il lubrificante è un gas, la trattazione svolta al paragrafo 4.2 deve essere modificata; non è, infatti, più valida l'ipotesi dell'incomprimibilità del lubrificante. Ferme restando le altre ipotesi allora formulate, valgono ancora le (4.5), (4.6). In luogo della (4.7) si può scrivere, indicando con ρ la densità del fluido:

( ) ( )

0=∂

∂+

∂∂

zq

xq zx ρρ

esprimente la condizione di continuità, riferita non più alla portata in volume, bensì alla portata di massa.

30

Page 99: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Di conseguenza in luogo della (4.10) si ottiene:

( )xhUh

zp

zh

xp

x ∂∂

−=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

∂∂

+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

∂∂ ρμρρ 633 (4.41)

Se il gas può assimilarsi, come di norma, ad un gas perfetto vale la ben

nota equazione di stato:

Tp ℜ= ρ

Se poi ammettiamo che la temperatura si mantenga costante nel meato la (4.41) diviene:

( )

xhpUh

zp

zh

xp

x ∂∂

−=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

∂∂

+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

∂∂ μρρ 633

che nel caso piano si riduce alla:

( )xhpUh

xp

x ∂∂

−=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

∂∂

∂∂ μρ 63 (4.42)

che sostituisce la (4.11).

L'integrazione della (4.42) è stata effettuata in via numerica in diversi casi ed in particolare per la coppia prismatica piana e per la coppia rotoidale. I risultati sono esprimibili in forma non molto dissimile da quelli trovati per i lubrificanti incomprimibili. In particolare, per quanto riguarda la forza P1 si trova anche in questo caso che essa dipende, oltre che dalla geometria della coppia, dal prodotto μU(a/h0)2 per la coppia prismatica piana e dal prodotto μΩR(R/δ)2 per la coppia rotoidale. Più precisamente si trova che sul comportamento di un cuscinetto influisce in misura essenziale il valore di un numero Λ, detto numero di comprimibilità, del quale nei due casi di coppia prismatica piana e di coppia rotoidale si sogliono dare le definizioni seguenti:

- per la coppia prismatica piana:

20

6hpUa

a

μ=Λ

- per la coppia rotoidale:

2

26δ

μ

apR Ω

dove i simboli hanno significato noto (in particolare si è indicata con pa la pressione ambiente).

Se il numero Λ è molto piccolo il lubrificante si comporta come se fosse incomprimibile, l'effetto della comprimibilità facendosi tanto più sentire quanto

31

Page 100: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

più grande è, a parità di altre circostanze, il valore di Λ.

Fig. 4.19 - Capacità di carico dei cuscinetti a gas in funzione del numero di comprimibilità ( b = ∞; ----b = 2R). In fig. 4.19 sono riportati, in funzione di Λ e per diversi valori dell'eccentricità χ (definita come nel paragrafo 4.5) i valori dei rapporto P1/2paR per cuscinetti di lunghezza assiale infinita e per cuscinetti con lunghezza assiale b uguale al diametro 2R. L'esame dei diagrammi permette di rilevare quanto segue:

- per piccoli valori di Λ il rapporto P1 /paR è pressoché proporzionale a Λ, come per lubrificanti incomprimibile; per grandi valori di Λ il rapporto stesso risulta pressoché indipendente da Λ e quindi, in particolare, da Ω e da μ;

- per grandi valori di Λ la riduzione della lunghezza assiale del cuscinetto influisce molto poco sul valore del rapporto P1/paR; ciò giustifica la scelta, comunemente seguita, di cuscinetti con rapporti b/R relativamente modesti.

4.11. LA LUBRIFICAZIONE FLUIDOSTATICA Nei paragrafi precedenti abbiamo veduto come, in determinate condizioni,

fra due superfici in moto relativo si possa spontaneamente formare un film di lubrificante in pressione. In questo paragrafo e nei successivi prendiamo in esame coppie lubrificate nelle quali il lubrificante è mantenuto in pressione mediante mezzi esterni. Questo tipo di lubrificazione si suole indicare come lubrificazione fluidostatica.

La lubrificazione fluidostatica, applicabile sia a cuscinetti reggispinta sia a cuscinetti portanti, presenta interessanti aspetti, che giustificano l'attuale tendenza di una sempre più estesa sua diffusione in particolari settori delle costruzioni meccaniche (come ad esempio nelle macchine utensili). In particolare la lubrificazione fluidostatica presenta i seguenti requisiti: è impiegabile anche quando gli elementi cinematici della coppia lubrificata non

32

Page 101: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

sono in moto relativo fra di loro; permette di realizzare film di lubrificante di grande rigidezza mediante un opportuno controllo delle condizioni di alimentazione; permette l'impiego di lubrificanti di bassa viscosità, cui corrisponde un basso valore del coefficiente di attrito della coppia (alle basse velocità il coefficiente di attrito può essere mantenuto a valori bassissimi).

4.12. CUSCINETTO REGGISPINTA A SOSTENTAZIONE

FLUIDOSTATICA In fig. 4.20 è schematicamente rappresentato un cuscinetto reggispinta a

sostentazione idrostatica. Un albero A rotante attorno al proprio asse con velocità angolare Ω e caricato da una forza assiale P, porta ad una estremità una parete piana, ortogonale all'asse dell'albero, limitata da due raggi R1 ed R2. La parete di estremità dell'albero viene affacciata alla parete piana di un membro fisso B. Attraverso un foro ricavato in B, coassiale con l'asse dell'albero, viene inviato lubrificante sotto pressione entro un pozzetto di raggio R1 ricavato in corrispondenza dell'estremità dell'albero. II lubrificante viene alimentato con pressione p0 costante a mezzo di un circuito idraulico ___

Fig. 4.20 - Schema di cuscinetto reggispinta a sostentazione fluidostatica.

non rappresentato in figura. Attraverso il foro la pressione del lubrificante passa dal valore p0, all'ingresso del forellino, al valore p1 entro il pozzetto. Il lubrificante sotto pressione tende a sfuggire dal pozzetto verso la periferia, dando origine ad un meato in pressione fra l'albero e la sua sede. La pressione del lubrificante, che dentro il pozzetto può ritenersi costante, decresce entro il sottile meato dal centro verso la periferia, fino a raggiungere sul raggio esterno dell'albero il valore della pressione ambiente.

Ci proponiamo di trovare relazioni che permettano la verifica del cuscinetto (e che, come vedremo, saranno immediatamente applicabili anche al suo progetto). In particolare cerchiamo:

- la distribuzione della velocità del fluido entro il meato;

33

Page 102: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

- la distribuzione della pressione entro il meato, il valore della pressione p1 entro il pozzetto, della pressione p0 di alimentazione ed il valore della forza risultante;

- la portata di lubrificante con la quale il cuscinetto deve essere alimentato;

- la coppia necessaria per mantenere il cuscinetto in rotazione uniforme. Cominciamo con lo studiare l'equilibrio di un elemento di volume di fluido

compreso fra: due cilindri coassiali con l'asse dell'albero, di raggi r ed r + dr; due piani ortogonali all'asse dell'albero distanti fra loro dy; due piani passanti per l'asse dell'albero, comprendenti l'angolo dθ (v. fig. 4.21).

Indichiamo con vr e vp rispettivamente le componenti radiale e periferica della velocità del fluido.

Fig. 4.21 - Elemento di f lu ido.

Le azioni per unità di superficie che si esercitano sulle facce dell'elemento di

volume sono indicate in fig. 4.21. Si prescinde al solito dalle forze di inerzia, pur avvertendo che in questo tipo di cuscinetto alle velocità elevate l'effetto della forza centrifuga può essere sensibile. Con semplici considerazioni di equilibrio si ottiene:

- per l'equilibrio secondo un raggio:

2

2

yv

rp r

∂∂

=∂∂ μ (4.43)

- per l'equilibrio secondo la tangente ad una circonferenza di raggio r:

02

2

=∂

yv p (4.44)

34

Page 103: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

- per l'equilibrio secondo la direzione y: 0=

∂∂

yp (4.45)

Le condizioni al contorno sono:

per y=0, vr=vp=0; per y=h, vr=0, vp=rΩ

Dalla (4.45) risulta che la pressione non dipende da y. Integrando due volte rispetto ad y le (4.43), (4.44) si ottiene:

( hyydrdpvr −=

μ21 ) (4.46)

yh

rv pΩ

= (4.47)

la prima delle quali esprime che la vr è dovuta alla presenza di un campo di

pressioni entro il meato; la seconda mostra come la vp sia dovuta all'azione di trascinamento esercitata sul fluido dalla parete rotante.

La (4.47) permette di calcolare immediatamente il momento necessario a mantenere l'albero in rotazione uniforme. Se trascuriamo le azioni di attrito che nascono sulle pareti del pozzetto rispetto a quelle, molto più elevate, che nascono sulla corona circolare compresa fra i raggi R1 ed R2, il momento è dato dalla espressione:

drry

vM

hy

R

R

p 22

1

2=

∫ ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛∂

∂= πμ

Per la (4.47) si ottiene:

( )41

422

RRh

M −Ω

=πμ (4.48)

Per la soluzione completa del problema che ci siamo proposti dobbiamo

fare ricorso, come già abbiamo fatto nel paragrafo 4.2, all'equazione di continuità.

Dato che il fluido è incomprimibile e l'altezza del meato non varia nel tempo, la portata Q di lubrificante che viene introdotta attraverso il foro di adduzione al pozzetto è uguale alla portata che attraversa una qualunque superficie cilindrica, di altezza h, avente per perimetro di base un circuito compreso fra le circonferenze di raggio R1 ed R2. Si può scrivere dunque:

==∫ Qdyvrh

r0

2π costante (4.49)

35

Page 104: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Per la (4.46) si ottiene:

Qhdrdpr

=−6

3

μπ

dalla quale, integrando rispetto ad r:

CrhQp +−= ln63π

μ

La costante C viene determinata con la condizione: p-pa = 0 per r = R2. Si

ottiene in definitiva:

rR

hQpp a

23 ln6

πμ

−=− (4.50)

La pressione massima si ha per r = R1 e si ottiene dalla:

1

231 ln6

RR

hQpp a π

μ−=− (4.51)

Entro il pozzetto la pressione assume il valore p1 . In fig. 4.22 è rappresentata la distribuzione della sovrapressione secondo la

(4.50). La risultante ditale distribuzione vale:

( ) ( drpprppRPR

Raa ∫ −+−=

2

1

212

1 ππ )

Fig. 4.22 - Andamento della pressione in un cuscinetto reggispinta

a sostentazione fluidostatica.

Sostituendo a p e p1 le espressioni date dalle (4.50), (4.51) ed eseguendo

l'integrazione si ottiene, con qualche passaggio:

( ) ( )12

21

22

1 ln2 RRRRppP a

−−=

π (4.52)

36

Page 105: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

37

Perché un cuscinetto di date dimensioni R1 , R2 possa sopportare un carico P

el prodotto μQ si può facilmente calcolare il valore p0 della p

prestabilito, occorre dunque che entro il pozzetto la pressione assuma il valore che si ricava dalla (4.52). A sua volta, perché p1 abbia il valore così trovato, occorre che il prodotto μQ/h3 assuma il valore che si ricava dalla (4.51). Poiché l'altezza del meato non deve discendere, per un corretto funzionamento del cuscinetto, sotto un valore, da stabilire caso per caso, dipendente dalla finitura delle superfici che delimitano il meato stesso, la (4.51) permette di trovare il valore minimo del prodotto μQ, compatibile con un corretto funzionamento del cuscinetto. Per valori di μQ superiori a tale minimo, si ottengono, a parità di carico, valori più elevati di h, valutabili anco-ra con la (4.51).

Noto il valore dressione di alimentazione (2). A tale scopo occorre considerare le perdite di

carico nel condotto di alimentazione. Consideriamo solamente il caso che il moto del fluido sia di tipo laminare. Allora, se indichiamo con d il diametro del condotto e con I la sua lunghezza, si ha, per l'equazione di Poiseuille:

410128

dQlpp

πμ

=−

oto il valore di Q e scelto il lubrificante da impiegare nel cuscinetto, si può

c

o la potenza Pd dissipata in attriti entro il foro d'adduzione ed e

Nalcolare la portata Q. Tale calcolo richiede l’impostazione di un bilancio

energetico (v. paragrafo 4.7) che fornisce la relazione fra portata e temperatura raggiunta dal lubrificante entro il meato, ossia fra portata e viscosità.

Calcoliamntro il meato. La potenza dissipata nel foro vale Q(p0 - p1). Quella dissipata

nel meato si compone di due termini: la potenza spesa per vincere le azioni di attrito circonferenziali e la potenza spesa per vincere le azioni di attrito radiali. Il primo termine vale MΩ, il secondo Q(p1 - pa). Si ha, in definitiva:

( ) ( ) ( )aad ppQMppQMppQP −+Ω=−+Ω+−= 0110

) Si può dimostrare che per as cuscinetto una buona rigidezza, è consiglia-

(2 sicurare al b

elevata rigidezza, si fa ricorso all'alimentazione a

ile fare in modo che la caduta di pressione entro il condotto di alimentazione sia dello stesso ordine di grandezza di p1 - pa. Per ottenere una buona rigidezza si richiede altresì che l'altezza h del meato sia la più piccola possibile. L'altezza del meato non può ovviamente scendere al di sotto di un certo valore minimo, che dipende dalla rugosità delle superfici e dalle tolleranza di lavorazione.

Qualche volta, per ottenere cuscinetti di portata Q costante. In tal caso è bene che la caduta di pressione nel condotto di

alimentazione sia la più piccola possibile.

Page 106: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

38

L'incremento di temperatura del lubrificante nell'attraversamento del cuscinetto è dato dalla relazione, analoga alla (4.37):

( )ρQc

ppQMT a−+Ω=Δ 0

dove la potenza MΩ è espressa in W, p0 e pa sono espresse in N/mm2, mentre le unità di misura di c, Q, sono quelle citate nel paragrafo 4.7.

Questa ultima relazione fornisce, note le caratteristiche fisiche del lubrificante, un legame fra e Q; permette, quindi, di trovare il valore della portata. Possiamo infine calcolare il coefficiente di attrito del cuscinetto, che può essere definito come rapporto fra il momento necessario a mantenere l'albero in rotazione uniforme ed il prodotto della forza assiale per il raggio medio del cuscinetto. Poniamo, cioè:

( )21

2RRP

Mf+

=

Per le (4.48), (4.51), (4.52) si ottiene:

( ) ( )( )

32

122

2

212

222

21

3 RRQP

RRRRf+

−+Ω=

μπ

che permette di calcolare il coefficiente di attrito in funzione di grandezze direttamente controllabili dall'esterno del cuscinetto, una volta che sia noto il legame fra μ e Q.

4.13. CUSCINETTI PORTANTI A SOSTENTAZIONE

FLUIDOSTATICA Lo schema di fig. 4.23 rappresenta una soluzione molto comune per

cuscinetti portanti a sostentazione fluidostatica. Il perno, di raggio R1, al quale è applicato il carico P, è alloggiato entro una sede costituita da un cilindro cavo di raggio R2 entro il quale sono ricavati dei pozzetti (quattro in figura) comunicanti con l'esterno a mezzo di forellini. Attraverso questi è inviato dall'esterno lubrificante in pressione. La portata di lubrificante che giunge a ciascun pozzetto uguaglia a regime quella che sfugge dal pozzetto stesso; le fughe avvengono sia secondo l'asse del perno, sia in direzione circonferenziale (nella soluzione di fig. 4.23 fra í pozzetti sono scavati dei canalini, che comunicano con l'ambiente; attraverso di essi il lubrificante che sfugge circonferenzialmente dai pozzetti può liberamente scaricarsi all'esterno).

Page 107: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 4.23 - Schema di un cuscinetto portante a stentazione fluidostatica

Per semplicità supponiamo che il per non ruoti; è questa una condizione

limite di particolare interesse, perché mette in luce una delle più interessanti caratteristiche dei azione fluidostatica, ossia la loro attitudine a funzionare anche alle velocità più basse. Ed è anche una condizione cautelativa dal punto di vista del calcolo della capacità portante del cuscinetto perché all'aumentare della velocità angolare del perno si ovrappone all'effetto fluidostatico un effetto portante fluidodinamico, analogo

sì che la linea di azione del carico P passi per la mezzeria di un pozzetto. Questa ipotesi semplifica notevolmente lo studio del cuscinetto anche se, come sarà messo in evidenza dai diagrammi di fig. 4.25, c

considerazi llustrare il funzionamento del cuscinetto.

so

no

cuscinetti a sostent

sa quello studiato nel paragrafo 4.5, con conseguente aumento della capacità portante.

Supponiamo altre

onduce a risultati non sempre cautelativi. Prima di procedere alla trattazione analitica riteniamo opportuno fare alcune

oni qualitative atte ad iCominciamo con il notare che essendo i pozzetti relativamente profondi, si

può ammettere che la pressione si mantenga costante entro ciascun pozzetto. Ciò premesso, facendo riferimento alla fig. 4.23, osserviamo che perché il cuscinetto possa sopportare il carico P occorre che nel pozzetto 2 si sviluppi una pressione p2 superiore a quella p4 del pozzetto 4 (i pozzetti 1 e 3 intervengono soltanto per impedire spostamenti trasversali del perno). Notiamo poi che la pressione di alimentazíone p0 uguale per tutti i pozzetti e pure uguale per tutti questi è la pressione di scarico (pressione ambiente pa ). Pertanto per tutti i pozzetti è costante la caduta di pressione p0 -pa fra monte e valle. Questa caduta di pressione ha luogo, praticamente, soltanto in due resistenze poste in serie (v. fig. 4.24): la resistenza offerta dai forellini di alimentazione e la resistenza offerta dalle sottili intercapedini fra il perno e la

39

Page 108: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

40

sede di raggio R2. Affinché nel pozzetto 2 si sviluppi una pressione maggiore di quella che si sviluppa nel pozzetto 4 occorre che la resistenza complessiva

Fig. 4.24 - Schema del circuito idraulico del cuscinetto fluidostatico di fig. 4.23, alimentato a pressione costante. R0 è

la resistenza del piccolo condotto di alimentazione di ciascun pozzetto, R; è la resistenza dal pozzetto i all'esterno, p; è la pressione nel pozzetto i (i = 1, 2, 3, 4).

un

del circuito comprendente il pozzetto 2 sia maggiore di quella del circuito comprendente il pozzetto 4; in tal caso, infatti, la portata affluente al pozzetto 2 è minore di quella che affluisce al pozzetto 4 e di conseguenza la caduta di pressione P0 -P2 è minore di p0 -p4 . Ma ciò è proprio quanto accade quando, sotto l'azione del carico P, il perno si accosta al pozzetto 2, riducendo lo spessore dell'intercapedine attorno al pozzetto stesso.

Riassumendo: - sotto il carico P il perno si accosta al pozzetto 2, riducendo lo spessore

dell'intercapedine attorno al pozzetto stesso; - aumenta la resistenza del circuito comprendente il pozzetto 2 a valle

del pozzetto stesso (mentre diminuisce la corrispondente resistenza a valle del pozzetto 4);

- aumenta la pressione nel pozzetto 2 (e diminuisce la pressione in 4); si stabilisce così una posizione di equilibrio del perno entro la sede, l'accostamento del perno dipendendo dal valore del carico P.

Ciò premesso vediamo come si possa impostare lo studio di verifica di cuscinetto, ossia come, per una data geometria e per un dato valore della pressione di alimentazione p0, si possa trovare il valore del carico P e della portata di lubrificante Q. Dai risultati dello studio di verifica potremo dedurre diagrammi, di cui daremo esempio, molto utili anche per la soluzione di problemi di progetto.

Cominciamo con lo stabilire alcune notazioni. Siano: - h l'altezza del meato fra perno e sede cilindrica; - θ l'angolo che un raggio generico uscente da O2 (fig. 4.23) forma con il

raggio passante per O2 - 2γ l'angolo compreso fra due raggi uscenti da O2 e passanti per gli

spigoli di un pozzetto (fig. 4.25 a));

Page 109: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

41

- b la dimensione assiale di un pozzetto (fig. 4.25 b)); - B la dimensione assiale del cuscinetto.

In fig. 4.25 b) è riportata, sviluppata in un piano, la pianta di un pozzetto. Come risulta dalla figura si è posto:

a=2γR2, A=2ΓR2.

Osserviamo poi che, se adottiamo gli stessi simboli del paragrafo 4.5,

l'altezza h dell'intercapedine fra perno e cilindro cavo varia con la legge:

= δ(1 - χ cos θ)

Come si è detto, supponiamo di conoscere la geometria della coppia ed in

- 2Γ l'angolo compreso fra due raggi passanti per gli spigoli dei canalini di scarico;

h identica alla (4.33).

particolare, oltre alle quote costruttive sopra citate, anche il valore di χ. Vediamo come possa trovarsi il valore del carico P.

Fig. 4.25 - Sezione e pianta di un pozzetto.

prio in tale zona che a zetto, al valore pa .

ondo una direzione circonferenziale

Si è già osservato che la pressione si mantiene costante entro ciascun pozzetto. Essa poi raggiunge il valore pa sul contorno in comunicazione con l'ambiente (contorno a tratto spesso in fig. 4.25 b)). In corrispondenza della fascia compresa fra il contorno del pozzetto ed il contorno a pressione ambiente il perno è molto ravvicinato alla sua sede. Su tale fascia pertanto la pressione non si mantiene costante, ché anzi è pro

vviene la caduta di pressione dal valore p entro il poziLa pressione varia entro l'intercapedine con una legge che può desumersi

dalla (4.11), nella quale il secondo membro sia fatto uguale a zero, dato che il r o è supposto fisso. pe n Si vede subito che, poiché l'altezza h

dell'intercapedine non varia secondo l'asse del cuscinetto, la pressione varia lungo l'asse stesso con legge lineare. Sec

Page 110: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

si ha invece, sempre per la (4.11):

=3hdp costante dϑ

essendo h = h (θ); ma, dato che il tratto sul quale si manifesta la caduta di

pressione (di lunghezza (A-a)/2) è corto rispetto al raggio R2, Si può ammettere che nel tratto st ma e costante, pari a quello orrispondente alla mezzeria del tratto considerato; ossia si può ammettere

c5 b)

pressione pi esercita una forza che vale:

esso h assu un valorche la pressione vari linearmente anche in direzione circonferenziale. In definitiva sulla superficie piana rappresentata in proiezione in fig. 4.2

la

( )22

bBaAppN aii++

−= (4.53)

da un pozzetto non ha il valore espresso dalla (4.35); bensì - a meno di differenze trascurabili, che si hanno nelle fasce di larghezza (A - a)/2 - il valore che si ottiene proiettando la pressione pi – pa su di una superficie normale al piano di traccia O2 O (v. fig. 4.25). Si ha, cioè, indicando con P; tale forza:

Si osservi, peraltro, che la pressione esercita sul perno, punto per punto,

un'azione radiale. Così la spinta esercitata sul perno

( )( )2

sin2Γ+

+−=γRbBppP aii

ovvero anche:

( )( )

42

22 4

sinR

aARbBppP aii+

+−= (4.54)

D'altra parte (fig. 4.23) è P = P2 - P4; ossia:

( )( )2

242 4sin

RaARbBppP +

+−= (4.55)

la quale, noti p2 e p4, permette il calcolo di P.

Per il calcolo delle pi occorre determinare la portata di lubrificante affluente a ciascun pozzetto. Infatti se indichiamo con Qi tale portata, che giunge al pozzetto attraverso un foro di lunghezza l e di diametro d, si ha per la legge di Poiseuille (v. paragrafo 4.12):

40128 lQ

pp ii dπ

μ=− (4.56)

Page 111: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

43

er il calcolo di Qi osserviamo che si può scrivere una relazione che leghi la portata alla geometria della coppia. ottiene scrivendo il bilancio delle portate attraverso il pozzetto generico:

che lega pi a Qi . P

Tale relazione si

iciciai QQQQ "'2 ++= (4.57)

dove Qia è la portata che sfugge dal cuscinetto in direzione assiale, mentre Q’ic, Q”ic sono le portate che sfuggono in direzione circonferenziale sui due lati del pozzetto (Q’ e Q” sono fra loro uguali per simmetria, come 2 2 lo sono Q’4 e Q”4

Per la (4.9) si può scrivere:

( )( )∫ −

−=

i

ibB

dhppRQ ai

ia

"

'

3

2 6

ϑ

ϑ μϑ (4.58)

dove θ'i e θ"i sono (v. fig. 4.25) i valori di θ corrispondenti alle mezzerie delle

strisce comprese fra pozzetti e canalini. La (4.58) può anche scriversi, con buona approssimazione:

( ) 263 aAh

bBpp

Q imai

ia+

−−

(4.59)

con:

( )∫ −+

=i

i

dRaA

him

"

'2 cos12 ϑ

ϑ

ϑϑχδ

Per quanto riguarda le portate Q'ic e Q"ic si può scrivere, analogamente:

3

3

"2

212

1"

'2

212

1'

iai

ic

iai

ic

hbBaApp

Q

hbBaApp

Q

+−−

=

+−−

=

μ

μ

(4.60)

apedine per θ=θ’i e per θ”i

riessendo h’i ed h”i le altezze dell'intercspettivamente. Dalle (4.56), (4.57), (4.59), (4.60) si ha, in definitiva:

( ) Mp

Mipi +=+ 0 (4.61)

pp aa

Page 112: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

essendo:

3

33

3

3 "'33

2

aA

hhhkM iiim

δβ

δα

+⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ ++=

44

4

332d

k

aA

πδ

=

bBbB

β

α

+=

−=

χ e quindi siano noti him, h'i, h”i si può ricavare p la (4.61) fornisce il valore di pi .

La (4.56), ovvero le (4.57), (4.59), (4.60) permettono poi di calcolare la portata Qi e quindi la portata complessiva Q richiesta

Q = Q + Q + Q + Q

forza risultante P. mma (fig. 4.26)

lcuni interessanti risultati. In ordinate compare il rapporto P/R2Bpa , mentre in ascisse figura il numero d4/ lδ3. Ogni curva dun valore di p0 /pa .

Dalla (4.61) quando sia noto funzione di p0. Se pa è nota in

dal cuscinetto:

1 2 3 4 Infine la (4.55) permette di calcolare la Senza sviluppare i calcoli ci limitiamo a riportare in diagra

ael diagramma corrisponde ad

Fig. 4.26 - Capacità di carico di un cuscinetto portante a sostentazione fluidostatica (----------carico contenuto nel

piano di mezzeria di un pozzetto; carico nel piano di mezzeria di un canalino di scarico).

piccolo, specie alle basse velocità. Esso dipende, ovviamente, dalle azioni tangenziali che nascono nelle fasce di contorno dei pozzetti, dove ialle basse velocità sulle azioni tangenziali nvelocità di trascinamento (secondo termine della (4.5)), ma solo la componente parabolica della velocità. Questa componente sviluppa sui due bordi del pozzetto azioni tangenziali che almeno in parte si compensano.

Si osserva che il coefficiente di attrito della coppia è di norma molto

l meato è sottile; ed on influisce sensibilmente la

Page 113: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

45

ori dettagli si rimanda, comunque, ad opere specializzate. A conclusione di questo paragrafo osserviamo che cuscinetti reggispinta e

portanti a sostentazione fluidostatica possono essere alimentati anche con lubrificanti gassosi. L'impiego ditali lubrificanti è giustificato quando si presentino condizioni analoghe a quelle citate al paragrafo 4.10 ed in particolare quando il cuscinetto debba funzionare in onali di temperatura, quando si possano tollerare soltanto coefficienti di attrito molto bassi o quando, per un motivo qualunque, non si possano impiegare lubrificanti liquidi. Così cuscinetti fluidostatica a gas trovano impiego in giroscopi, in velocissimi piccoli mandrini di macchine utensili, in guide di macchine utensili a controllo numerico, in

BASSANI R., PICCIGALL0 Β., Hydrostatic Lubrication, Elsevier, 1992. C

Per maggi

condizioni eccezi

rotori di macchine funzionanti a bassissima temperatura, ecc.

BIBLIOGRAFIA

AMERON Α., Basic Lubrication Theory, Longman, London, 1970. CONSTANTINESCU V.N. ET AL., Sliding bearings, Allerton Press, New York, 1985. DOWSON D., HIGGINSON G. R., Elasto-hydrodynamic lubrication, Pergamon Press, Oxford,

1977. O' CONNOR J. J., BOYD J., AVALLONE Ε.Α., Standard handbook of lubrication engineering,

McGraw-Hill, New York, 1968. SZERI A.Z., Tribology. Friction, lubrication, and wear, McGraw-Hill, New York, 1980.

Page 114: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Capitolo 5 Richiami di cinematica del corpo rigido ed applicazioni ai meccanismi 5.1. RICHIAMI DI CINEMATICA DEL CORPO RIGIDO NEL

PIANO. GENERALITÀ Nello studio dei meccanismi piani avremo occasione di prendere in

considerazione traiettorie, velocità ed accelerazioni di punti dei membri dei meccanismi stessi.

Per quanto riguarda le traiettorie osserviamo che, qualora i punti considerati appartengano a membri accoppiati ai telaio con coppie elementari o comunque combacianti, la loro determinazione è immediata. Ma può accadere che si debba trovare la traiettoria descritta da un punto di un membro accoppiato al telaio con coppia rigida e non combaciante, oppure che si debba trovare la traiettoria di un punto appartenente ad un membro (biella) non adiacente al telaio (come ad esempio il membro 2 della fig. 1.1 a) e b)). In questi casi la ricerca della traiettoria diviene più complicata.

In ogni caso lo studio delle traiettorie, come quello delle velocità, come quello delle accelerazioni dei punti di un membro qualunque di un meccanismo piano, può essere eseguito utilizzando le note proprietà del moto piano di un corpo rigido, che sono richiamate nei paragrafi da 5.2 a 5.7.

5.2. CENTRO DI ISTANTANEA ROTAZIONE l moto piano istantaneo del corpo A sia individuato da una rotazione con velocità

angolare Ω intorno ad un asse ortogonale al piano del moto e dalla traslazione di un suo punto P con velocità vP . La velocità di un qualunque punto S del piano è da-ta da:

Fig. 5.1 - Centro di istantanea rotazione.

vS=vP+ΩΛPS

1

Page 115: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

cioè è la somma della velocità di P più la velocità relativa di S rispetto a P; quest'ultima ha direzione normale a PS.

Consideriamo un punto M sulla normale per P alla direzione di vp (fig. 5.1). La velocità di M, se d è la distanza PM, vale:

vM = vP + Ωd (essendo d > 0 se ΩΛPM ha il verso di vP). Esiste un punto, che indichiamo con C, sulla normale per P a vP per il quale vC=0. La distanza x=PC è data da:

Ω−= Pvx

Il punto C è chiamato centro di istantanea rotazione (come caso particolare

il punto C può essere fisso; in questo caso lo chiameremo semplicemente centro o polo di rotazione).

Quando sia noto il centro d'istantanea rotazione è nota la direzione della velocità di un punto S qualunque. È’ infatti vS=ΩΛCS. Inoltre, nota la velocità di un punto del corpo e noto il centro d'istantanea rotazione, si può facilmente calcolare la velocità di un punto qualunque del corpo stesso. Per tali proprietà del centro di istantanea rotazione la sua conoscenza è utile per il calcolo delle velocità ed anche per il tracciamento delle traiettorie.

Nello studio dei meccanismi si deve talvolta considerare il moto relativo di un membro rispetto ad un altro e può essere opportuno individuare il centro di istantanea rotazione nel moto relativo. Alcuni esempi chiariranno come si possa procedere per la ricerca dei centri di istantanea rotazione.

Consideriamo un quadrilatero articolato (fig. 5.2). I punti O1 ed O3 sono i centri di rotazione delle aste 1 e 3. L'asta 2 (biella) ha un moto di istantanea rotazione attorno al punto C24 (centro di istantanea rotazione del membro 2 ___

Fig. 5.2 - Quadrilatero articolato. nel moto assoluto, ossia rispetto al membro 4 fisso) che si trova semplicemente considerando che le traiettorie dei punti A e B della biella sono ortogonali rispettivamente ad O1A ed O3B. Può avere interesse trovare il centro di istantanea rotazione del membro 3 nel suo moto rispetto al membro

2

Page 116: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

1, punto C31; esso, con analoghe considerazioni, si trova nel punto di incontro delle rette per BA ed O1O3 (e coincide con il punto C13). A proposito dell'utilità della determinazione del punto C31, si osserva che mentre il punto C24 ha, nell'istante considerato, velocità nulla, nel punto C31 la velocità relativa dei membri 1 e 3 è nulla; può così scriversi, indicando con Ω1, Ω3 le velocità angolari dei membri 1 e 3:

Ω3O3C31 = Ω1O1C31

dalla quale si ottiene

313

311

1

3

COCO

=ΩΩ

che, noto C31, fornisce immediatamente il rapporto fra le velocità angolari dei membri accoppiati rotoidalmente al telaio. Le velocità angolari Ω1 ed Ω3 hanno segno concorde o discorde a seconda che il loro rapporto sia positivo o negativo, ossia che il punto C31 sia esterno od interno al segmento O1O3.

Come altro esempio consideriamo il meccanismo di fig. 5.3 nel quale funge da telaio la ruota 1. Il centro C21 si trova nel punto d'intersezione delle normali alle traiettorie dei punti O2 e M, ossia nel punto di intersezione della retta per O1O2 e della normale in M ai profili coniugati. Se ora passiamo a considerare il meccanismo che si ottiene tenendo fisso il membro 3, il punto C21 sopra trovato è il centro di istantanea rotazione nel moto del membro 2 rispetto al membro 1. E si ha:

212

211

1

2

COCO

=ΩΩ

Fig. 5.3 - Meccanismo con ruote dentate. ossia la conoscenza di C2, permette di trovare immediatamente il rapporto fra le velocità angolari delle due ruote 2 ed 1 (che , essendo C2, interno fra O1 ed O2 in figura, sono di senso discorde).

Se un membro non contiene due punti dei quali sia nota la direzione della velocità, la determinazione del suo centro di istantanea rotazione non è immediata. In questo caso si può procedere come indicato nell'esempio che segue. Si consideri il meccanismo di fig. 5.4. Per trovare il punto C26 conviene

3

Page 117: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

procedere come segue: osservato che è Ω26=Ω 24+ Ω46 (con Ωik si è indicato il vettore velocità angolare nel moto del membro i rispetto al membro k), e trovato C24 come intersezione delle rette C23C34 e C25C45, il punto C26 si trova sulla intersezione del prolungamento della retta C12C16 con la congiungente C24 e O4 (O4 coincidendo con C46). Infatti, per la relazione sopra scritta fra le velocità angolari, i punti C26, C24 e C46 debbono essere allineati.

Fig. 5.4 - Centri di istantanea rotazione in meccanismi complessi. 5.3. TRACCIAMENTO DELLE TRAIETTORIE Per tracciare la traiettoria di un punto di un membro di un meccanismo

conviene fare riferimento alle primitive del moto. Come è noto, queste due linee, rotolando una sull'altra, definiscono completamente il moto di un corpo rigido nel piano. Frequentemente, anziché il moto relativo fra due membri, capita di considerare il moto assoluto di un membro (che poi non è altro che il moto relativo del membro stesso rispetto al telaio del meccanismo). In questo caso alle due linee primitive si dà comunemente il nome di polari, distinguendole in polare fissa e polare mobile, appartenenti rispettivamente al piano fisso ed a quello mobile.

Ricordiamo che le primitive (o polari) sono i luoghi dei centri di istantanea rotazione tracciati su ciascuno dei due piani di cui si considera il moto relativo. Sulle modalità del loro tracciamento non ci soffermiamo, ché le riteniamo note.

Si considerino (fig. 5.5) due polari: la fissa σ0 e la mobile σ1 . Siano C0i , C1i punti corrispondenti sulle due polari, ossia punti che vengono fra loro a contatto a seguito del rotolamento della polare mobile sulla polare fissa. Indichiamo con C il punto di contatto nella posizione iniziale. Vediamo come, nota la forma delle polari, si possa trovare la traiettoria di un punto P appartenente al piano mobile.

4

Page 118: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Per tracciare la traiettoria di P basta riferire la posizione del punto stesso alla polare mobile e riportare, nelle successive posizioni da questa assunte, le coordinate di riferimento di P. Si voglia, ad esempio, trovare la posizione Pi del piano fisso nella quale viene a cadere il punto P allorché le polari sono a contatto nel punto C0i basta individuare la posizione di P rispetto alla polare mobile facendo riferimento al punto C1i, a mezzo di due coordinate, la distanza ρi=C1iP e l'angolo, che il raggio ρ forma con la normale in C1i alla polare mobile; e con gli stessi valori di ρi e φi individuare il punto Pi a partire dal punto C0i sulla polare fissa.

È ovvio, per definizione di centro di istantanea rotazione, che la normale condotta un punto Pi alla traiettoria di P passa per il punto C0i (fig. 5.5). Pertanto con la costruzione sopra spiegata possono essere individuati non soltanto tanti punti quanti si voglia della traiettoria di P, ma anche le tangenti alla traiettoria nei punti stessi.

Fig. 5.5 - Tracciamento della traiettoria del punto P. Qualche volta può essere necessario conoscere il raggio di curvatura della

traiettoria in corrispondenza dei singoli punti Pi . Esso può venire determinato qualora siano noti i raggi di curvatura delle polari in corrispondenza dei singoli punti Ci. In tal caso, infatti, è applicabile la formula di Eulero-Savary

ϕcos1111

10⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=−

CPCQRR (5.1)

nella quale R0 e R1 sono i raggi di curvatura delle polari, rispettivamente fissa e mobile, in corrispondenza di un generico punto di contatto C, P è il punto del quale si studia la traiettoria, la cui posizione è individuata dalla distanza CP e dall'angolo (sempre acuto) che la retta CP forma con la normale in C alle polari, Q è il centro di curvatura della traiettoria di P.

La (5.1) può essere facilmente ricavata. Supponiamo noti i raggi di curvatura delle polari in corrispondenza del punto C; sia dato anche il punto P. Si voglia trovare il punto Q. Facciamo rotolare la polare mobile sulla fissa, in modo che il punto di contatto fra le polari venga a cadere in C10 a distanza da infinitesima da C; corrispondentemente il punto P si sposta in P1 a distanza infinitesima ds da P. Il punto Q si trova nel punto di incontro delle normali alla

5

Page 119: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

traiettoria di P condotte per i due punti P e P1; si trova cioè nel punto di intersezione della retta passante per P e C con la retta passante per P1 e C10.

Possiamo scrivere (v. fig. 5.6):

dsd

dsCH

QPQC ϕσ cos

==

Fig. 5.6 - Teorema di Eulero-Savary Occorre trovare un'altra relazione fra dσ e ds; a tal fine si osserva che nel

passaggio del contatto da C a C10 la polare mobile ruota di un angolo pari all'angolo che, nella configurazione iniziale, formano fra loro í raggi uscenti da O1 ed O0 e passanti rispettivamente per C11 e C10. Si ha cioè:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=

01

11RR

dσε

D'altra parte, a meno di infinitesimi di ordine superiore, è anche:

ds=ε·CP. Si ottiene, così, una relazione fra ds e da:

σdRR

CPds ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=

01

11

6

Page 120: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

7

ostituendo nella prima relazione sopra scritta si ottiene: S

CPQCQP

RRϕcos11

01

=−

dalla quale discende subito la (5.1).

he cautela riguardo al segno dei singoli te

ig. 5.7 - Determinazione grafica del centro di curvatura della tr

La (5.1) permette, noti che siano i punti C, O0 , O, , di trovare il centro di c

H con la re

e facilmente dimostrata scrivendo le e

valida per φ=0. Esistono per questo caso altre c

L'impiego della (5.1) richiede qualcrmini. In particolare, una volta che sia stato scelto come positivo uno dei due

semipiani limitati dalla tangente comune alle due polari nel punto C, i segmenti CO0=R0, CO1=R1, CP, CQ debbono essere considerati come positivi se í punti O0, O1, P, Q cadono nel semipiano positivo, negativi in caso contrario; cos φ è sempre positivo.

Faiettoria del punto P.

urvatura Q della traiettoria di P. Per individuare Q si può, naturalmente, risolvere la (5.1) in via numerica; ma si può procedere anche graficamente, ad esempio con la costruzione indicata in fig. 5.7, che spieghiamo.

Si tracci la congiungente di P con O1 e se ne trovi la intersezionetta passante per C e perpendicolare a CP. Si tracci poi la congiungente di

O0 con H fino ad incontrare la retta passante per i punti C e P. L'intersezione di queste due rette è il punto Q cercato.

La validità della costruzione può esserquazioni delle rette HP e HQ rispetto agli assi x, y (v. fig. 5.6) ed imponendo

che i punti O1, O0 appartengano rispettivamente alla prima ed alla seconda retta. Così facendo si perviene ancora alla (5.1), verificando con ciò la validità della costruzione grafica.

La costruzione non è ostruzioni grafiche, sulle quali peraltro non ci soffermiamo.

Page 121: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

8

.4. LA CIRCONFERENZA DEI FLESSI E SUE APPLICAZIONI A

el paragrafo precedente si è fatto uso delle polari per il tracciamento della tr

forma complicata e non fa

ativo notevole ha la (5.1), cui si perviene attraverso la n

ig. 5.8). Si v

5LLO STUDIO DELLE TRAIETTORIE Naiettoria di un punto di un corpo rigido nel piano. Osserviamo ora che le polari hanno di regolacilmente esprimibile in forma analitica; il loro uso è pertanto scomodo, sia in

calcoli grafici, sia in calcoli numerici. Per questi motivi, se si escludono casi particolari nei quali abbiano forma semplice (rette, circonferenze), sui quali avremo modo di tornare, nello studio dei meccanismi non si fa quasi mai ricorso ad esse.

Interesse applicozione di polare, perché, come vedremo in questo stesso paragrafo, essa

può essere utilizzata anche senza che le polari siano conosciute, purché sia noto il punto C. Per il tracciamento di una traiettoria di solito si ricorre al disegno del meccanismo in diverse successive posizioni, integrando il procedimento con l'uso della (5.1), o di risultati da essa deducibili.

Consideriamo, per fissare le idee, un quadrilatero articolato (v. foglia trovare il centro di curvatura della traiettoria di un punto P della biella. II

centro di istantanea rotazione, C, è subito individuato (v. anche la fig. 5.2). Applicando la (5.1) ai punti A e B, le cui traiettorie (archi di circonferenze di centri rispettivamente O1 e O3) hanno raggi di curvatura noti, si può scrivere:

( αϕ

ϕ

±⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=−

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=−

A

A

CACORR

CACORR

cos1111

cos1111

110

110

) (5.2)

ig. 5.8 - Quadrilatero articolato.

F

Page 122: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

9

ove le incognite sono la quantità (1/R0 - 1/R1) a primo membro e l'angolo φA dche la retta CA forma con la normale alle polari del moto nel punto C; l'angolo φ che compare nella (5.1) - e quindi, in particolare, gli angoli φA e φA ± a delle (5.2) - è sempre compreso fra 0 e π/2. Risolvendo i l sistema delle (5.2) si determinano le incognite suddette; successivamente, per trovare il centro di curvatura Q della traiettoria di P, noto l'angolo γ che la retta CP forma con CA (v. fig. 5.8), basta riscrivere la (5.1) per i l punto P; si otterrà l'equazione:

( )γϕ ±⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−=− ACPCQRR

cos1111

10

alla quale è immediato ricavare l'unica incognita CQ.

ti presenta notevole in

a (5.1). Notiamo che se esistono punti del piano m

dPer lo studio delle proprietà delle traiettorie di punteresse anche la circonferenza dei flessi, che definiremo fra poco; essa può

pure venire utilizzata, fra l'altro, per trovare i l centro di curvatura di una traiettoria.

Consideriamo di nuovo lobile per i quali, in una data posizione del piano stesso, la traiettoria ha

curvatura nulla, la (5.1) applicata a tali punti (che indichiamo con F) diviene:

ϕcos111

10 CFRR=− (5.3)

Il luogo dei punti F è pertanto una circonferenza passante per il punto C,

con centro sulla normale alle polari nel punto di contatto e con diametro D dato dalla relazione:

01

111RRD

−= (5.4)

questa circonferenza si dà il nome di circonferenza dei flessi; i suoi punti

solto semplice: quello

d

CF; la ta

Atanno, infatti, su punti di flesso delle proprie traiettorie. Come immediata applicazione consideriamo un caso mi una circonferenza σ1 di raggio R1 e centro O1 che rotola su di una retta σ0

(fig. 5.9). Si ha, per la (5.4), D=R1 ; e la circonferenza dei flessi passa, oltre che per il punto C, anche per il punto O1 (risultato ovvio, giacché il punto O1 ha traiettoria rettilinea).

Un generico punto F ha traiettoria diretta normalmente alla retta ngente alla sua traiettoria passa quindi per il punto della circonferenza dei

flessi (polo dei flessi) diametralmente opposto al punto C.

Page 123: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 5.9 - Circonferenza che rotola su di una retta. Nel caso di fig. 5.9 il tracciamento della circonferenza dei flessi è immediato,

ma in generale è alquanto più laborioso; può essere eseguito considerando insieme le (5.1), (5.3). Dalle (5.1), (5.3) applicate a punti P, F allineati sulla stessa retta passante per C (fig. 5.10), si ha:

CFCpCQ111

−=− (5.5)

la quale, se sono noti P e Q permette di trovare F, e se sono noti P ed F permette di trovare Q.

La (5.5) può essere scritta anche in una forma diversa, di impiego più comodo. Posto: p=PC, q=PQ, f=PF, la (5.5) diviene:

p2 = qf (5.6)

Fig. 5.10 - Cerchio dei flessi e centro di curvatura della traiettoria di un punto. che si presta anche a semplici interpretazioni grafiche, sulle quali peraltro non ci soffermiamo.

La (5.5) o la (5.6) sono molto utili nella soluzione di problemi del tipo di quelli considerati all'inizio del presente paragrafo, che potevano essere risolti, ma piuttosto laboriosamente, con l'uso di equazioni come le (5.1), (5.2). Così se si vuole trovare il centro di curvatura della traiettoria del punto P di fig. 5.8, si procede nel modo seguente (v. la fig. 5.11):

- si applica una prima volta la (5.6) al punto A, scrivendo quindi p=AC, q = AO1; si trova il punto Fα della circonferenza dei flessi allineato con A ed O1;

- si applica una seconda volta la (5.6) al punto B e si trova il punto Fb

10

Page 124: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

della circonferenza dei flessi allineato con B ed O3; - si traccia la circonferenza dei flessi, della quale sono ormai noti tre punti:

C,Fa, Fb; - si applica la (5.6) al punto P, introducendo per f=PF Ia distanza letta

sul disegno; si ottiene il valore di q=PQ. Il problema è così risolto. Fig. 5.11 - Circonferenza dei flessi nel moto della biella di un

quadrilatero articolato.

5.5. CONSIDERAZIONI PRELIMINARI SUL TRACCIAMENTO DEI PROFILI CONIUGATI

Oltre che per il tracciamento delle traiettorie la conoscenza delle polari può

essere utile per il tracciamento dei profili coniugati. Questo problema sarà studiato nel cap. 8; in quella occasione vedremo come sia possibile, assegnate le primitive del moto di due ruote, trovare la forma dei profili degli elementi cinematici (ossia la forma dei denti delle ruote) che permette di realizzare il moto previsto.

In tale occasione faremo considerazioni di carattere generale; daremo, cioè, criteri per il tracciamento dei profili coniugati senza particolari limitazioni circa la forma delle polari. Avvertiamo però sin d'ora che nelle applicazioni non sempre conviene fare ricorso alle polari per il tracciamento dei profili coniugati. La convenienza è evidente quando, come accade per le ruote dentate, le primitive del moto hanno forma semplice; in altri casi, come ad esempio per le camme, di cui ci occupiamo nel cap. 7, la nozione di polare è invece di utilità pressoché nulla e noi non ne faremo uso.

11

Page 125: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

5.6. ACCELERAZIONE DEI PUNTI DI UN CORPO RIGIDO NEL PIANO

Nel paragrafo 5.2 abbiamo ricordato come si possano trovare le velocità dei

singoli punti del piano mobile. In questo paragrafo ricordiamo come si possa trovare la loro accelerazione.

Se di un corpo rigido animato di moto piano sono note la velocità angolare Ω e l'accelerazione angolare Ω istantanee, ed è pure nota la accelerazione aP di un suo punto P, l'accelerazione di un qualsivoglia punto S del corpo stesso può essere facilmente calcolata. Si può infatti scrivere (teorema di Rivals):

PSSPaa PS ΛΩΩ

++= 2 (5.7) II secondo e terzo termine a secondo membro rappresentano

rispettivamente la componente normale (centripeta) e la componente tangenziale dell'accelerazione del moto di S attorno a P. La risultante di queste due componenti (accelerazione relativa di S rispetto a P) forma con la congiungente SP un angolo α la cui tangente vale (fig. 5.12):

SPa

2tanΩΩα•

−=

(il segno - sta ad indicare che l'angolo α, misurato a partire dalla direzione

SP, ha verso opposto a quello di •

Ω . L'angolo α dipendendo soltanto da Ω e da

Ω è evidentemente lo stesso, in un dato istante, per tutti i punti del piano mobile.

Può avere interesse mettere in evidenza come esista sempre uno ed un solo punto del piano con accelerazione nulla (salvo il caso particolare in cui il _

Fig. 5.12 - Centro delle accelerazioni

12

Page 126: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

piano abbia moto traslatorio, nel qual caso tutti í punti del piano hanno

uguale accelerazione). Per mostrarlo si consideri ancora la fig. 5.12. Si tracci da P una semiretta formante l'angolo –α con aP e si prenda su

questa semiretta un punto M. L'accelerazione di M (aM = aP + aMP) è questa volta la somma di due vettori aventi la stessa direzione, ma verso contrario. D'altra parte l'accelerazione aMP, somma di due componenti - radiale e tangenziale - aventi entrambe intensità proporzionale alla distanza di M da P, ha anch'essa intensità proporzionale alla distanza MP. Esiste pertanto sulla semiretta uscente da P e passante per M un punto, ed uno solo, indichiamolo con K, per il quale:

aK=aP+aKP=0

Chiamiamo questo punto centro delle accelerazioni. Come corollario del teorema di Rivals si può quindi affermare che

l'accelerazione di un punto S del piano mobile vale:

KSSKaa PS ΛΩΩ•

++= 2 (5.8) ossia è uguale all'accelerazione nel moto di S attorno al punto K centro delle accelerazioni.

In conclusione per individuare l'accelerazione di un punto qualunque del piano mobile basta conoscere:

a) l'accelerazione di un punto qualunque P (che come caso particolare può essere il punto K), la velocità angolare Ω e l'accelerazione angolare

Ω ; si applicano in questo caso la (5.7) o la (5.8);

b) l'accelerazione di due punti qualunque P e S del piano mobile (in particolare uno dei due punti può essere il punto K); in questo caso (v. fig. 5.12) si individua subito aSP e si ricade nel caso precedente;

c) l'accelerazione di un punto P, la velocità angolare Ω, la direzione dell'accelerazione di un altro punto S; anche in questo caso la (5.7) permette di individuare aS. Si ricade nel caso precedente.

Nel cap. 6 faremo uso dei procedimenti b) e c) per individuare l'accelerazione dei punti della biella di sistemi articolati. Del procedimento a) diamo un'applicazione immediata.

Fig. 5.13 - Rotolamento di una ruota sudi un piano.

13

Page 127: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Consideriamo una ruota di raggio R che rotola sudi un piano (v. fig. 5.13). Se la velocità con cui avanza la ruota è costante il suo asse ha accelerazione nulla; il punto K centro delle accelerazioni coincide pertanto con O. Se V è la velocità del punto O, ogni punto S della ruota ha (per la (5.8)) accelerazione:

aS =2

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

RV SO

In particolare il punto C, centro di istantanea rotazione, ha accelerazione radiale orientata da C verso O che vale:

aC=V2/R L'accelerazione dei punti della ruota è quindi quella stessa che si avrebbe se la ruota ruotasse attorno all'asse O fisso con velocità angolare Ω = V/R. Se alla ruota viene impressa un'accelerazione angolare l'accelerazione del punto O è diversa da zero. Indichiamo con a0 l'accelerazione di O, che supponiamo nota. Se è nota anche la velocità V di O si ottengono subito (Ω=V/R) ed

Ω (•

Ω =a2/R). Dalla (5.7) si ottiene, poi, l'accelerazione di qualunque punto S della ruota (v. fig. 5.14). Si osservi che l'accelerazione del punto C è anche in questo caso radiale e vale ancora:

aC=V2/R

Fig. 5.14 - Accelerazione dei punti di una ruota. Infatti la componente tangenziale dell'accelerazione di C rispetto ad O

(OAOC) è uguale ed opposta ad a, (notiamo, per inciso, che l'accelerazione del centro di istantanea rotazione è sempre diretta secondo la normale alle polari nel loro punto di contatto). 5.7. MOTI RELATIVI In alcuni casi è necessario considerare il moto relativo di un punto M

rispetto ad un membro μ, a sua volta mobile rispetto al telaio. Il problema è quello di esprimere la velocità e l'accelerazione assoluta del punto M, noti

14

Page 128: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

che siano il moto assoluto del membro μ e il moto relativo di M rispetto a μ. Come è noto, la velocità assoluta v del punto M è uguale alla somma della

velocità di trascinamento vt (che è la velocità di M considerato solidale con μ) e della velocità relativa vr (che è la velocità di M nel suo moto rispetto a μ); si ha pertanto:

v=vt+vr (5.9)

Per quanto riguarda l'accelerazione assoluta a di M, essa è somma di tre termini: l'accelerazione di trascinamento at, l'accelerazione relativa a, e l'accelerazione complementare (o di Coriolis) ac. Il primo termine è l'accelerazione di M considerato solidale con μ, e si determina come visto in 5.6. L'accelerazione relativa è quella di M nel suo moto rispetto a μ. L'accelerazione complementare è pari al doppio del prodotto vettoriale della velocità angolare Ωt del moto di trascinamento per la velocità relativa vr di M nel suo moto rispetto a μ. Si ha pertanto:

a=at+ar+ac=at+ar+2Ωt∧vr (5.10)

Come risulta dalla sua espressione, l'accelerazione complementare è

sempre diretta normalmente a vr ed è nulla solo se è nulla la velocità angolare del moto di trascinamento o la velocità di M rispetto a μ.

Naturalmente, se è noto il moto assoluto del membro a cui appartiene M, la velocità e l'accelerazione di M si possono sempre valutare direttamente, senza passare attraverso la considerazione del moto relativo. Questo passaggio può essere però qualche volta egualmente necessario nello studio di meccanismi complessi; può capitare infatti che l'analisi cinematica debba essere condotta sfruttando sia le espressioni della velocità e della accelerazione assolute di un punto M appartenente ad un membro μ1 nel moto assoluto di μ1 stesso, sia - e contemporaneamente - quelle che derivano dalla considerazione del moto relativo di M rispetto ad un altro membro μ, pure mobile.

Come esempio, consideriamo il meccanismo di fig. 5.15. La velocità e l'accelerazione assolute del punto M, considerato appartenente alla manovella 1, si determinano direttamente senza difficoltà, se sono note la velocità e l'accelerazione angolare della manovella stessa. Per determinare

la velocità e l'accelerazione del glifo 3, 3Ω e 3

Ω , basta determinare la velocità di trascinamento, vt e la componente tangenziale, att,

dell'accelerazione di trascinamento di M; è infatti: 3Ω =vt /O3M, 3

Ω =att /O3M. Tale determinazione si può effettuare abbastanza facilmente osservando che il moto assoluto di M si può considerare anche come risultante del moto di trascinamento (moto di M considerato appartenente al glifo 3) e del moto relativo (moto del corsoio 2 rispetto al glifo 3).

15

Page 129: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 5.15 - Glifo oscillante.

5.8. RICHIAMI DI CINEMATICA DEL CORPO RIGIDO NEL MOTO SFERICO

Un corpo rigido è animato di moto sferico quando un suo punto è fisso. Tutti

i punti del corpo si muovono allora su superfici sferiche concentriche, il centro ditali superfici essendo il punto fisso (v. anche il paragrafo 1.2).

In questo corso ci occuperemo di alcuni meccanismi contenenti membri animati di moto sferico: nello studio di quadrilateri articolati spaziali (di cui considereremo in particolare un tipo, comunemente impiegato come «giunto di Cardano», nel quale un membro ha moto sferico) e nello studio di meccanismi contenenti ruote coniche, atte a trasmettere il moto fra alberi con assi concorrenti. A queste applicazioni si rimanda per lo studio di alcune importanti questioni di geometria e di cinematica (calcolo del rapporto di trasmissione nel giunto di Cardano e nelle ruote coniche, tracciamento dei profili coniugati nelle ruote dentate coniche, ecc.). in questo paragrafo ci limitiamo a ricordare brevemente alcune proprietà generali del moto sferico, che avremo occasione di utilizzare nello studio delle citate applicazioni ed in particolare delle ruote dentate coniche.

II moto sferico istantaneo di un corpo rigido può sempre ricondursi ad una rotazione istantanea attorno ad un asse passante per un punto fisso. Tale asse è chiamato asse di istantanea rotazione. Poiché l'asse di istantanea rotazione, pur continuando a passare per il punto fisso, modifica la sua orientazione a seguito dello spostamento del corpo, il luogo geometrico delle posizioni da esso occupate durante il moto del corpo è una superficie conica. II moto del corpo è completamente definito dal rotolamento su tale superficie di una seconda superficie conica, luogo geometrico degli assi di istantanea rotazione riferiti al corpo stesso. I due coni, superfici primitive del moto sferico, hanno in comune il vertice e si toccano in ogni istante lungo una 16

Page 130: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

17

generatrice, che coincide con l'asse di istantanea rotazione nell'istante considerato.

È ovvio che un moto piano può essere considerato come caso particolare di un moto sferico; basta che il punto fisso, vertice dei coni primitivi, divenga un punto improprio. In tal caso i coni divengono dei cilindri, dei quali le primitive del moto sono le sezioni eseguite con un piano ortogonale alle generatrici dei cilindri stessi.

Se consideriamo una qualunque sfera avente come centro il vertice dei coni primitivi, le linee intersezione dei coni stessi con la superficie della sfera vengono chiamate primitive sferiche (o polari sferiche) del moto. Esse sono tra loro a contatto in un punto, intersezione della superficie sferica con la generatrice di contatto delle superfici coniche. II moto del corpo mobile può essere definito dal rotolamento della polare sferica mobile sulla polare sferica fissa. Tale moto, come già si è osservato in altra occasione, può essere considerato anche come moto relativo fra due corpi (o membri di un meccanismo), a ciascuno dei quali sia legata una delle due primitive sferiche.

Ai coni primitivi (ovvero alle primitive sferiche) possono essere estese le proprietà che abbiamo richiamato a proposito delle primitive nel moto piano. In particolare notiamo che, indicata con Ω la velocità angolare con cui il cono primitivo mobile rotola su quello fisso, la velocità di un punto P qualunque del corpo mobile vale:

vp= Ω ∧OP essendo O un punto dell'asse di istantanea rotazione, ad esempio il vertice delle superfici coniche. Se, poi, indichiamo con S un altro punto del corpo rigido, si può scrivere ancora, come per il moto piano:

vs=vp+ Ω ∧PS

Si possono anche estendere al moto sferico le considerazioni a suo tempo svolte per il moto piano a proposito del tracciamento delle traiettorie; ma l'interesse pratico di tali estensioni è relativamente modesto. Notevole interesse hanno, invece, le estensioni al caso sferico dei procedimenti per il tracciamento dei profili coniugati; di essi ci occuperemo nel cap. 8 dedicato allo studio delle ruote dentate.

Page 131: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

18

5.9. RICHIAMI DI CINEMATICA DEL CORPO RIGIDO NEL MOTO GENERALE

In generale il moto istantaneo di un corpo rigido nello spazio può ricondursi

ad una rotazione istantanea attorno ad un asse e ad una traslazione istantanea lungo l'asse stesso. Tale asse è l'asse elicoidale del moto.

L'asse elicoidale del moto modifica in generale la sua posizione durante il moto del corpo. Il luogo delle posizioni da esso occupate rispetto ad un riferimento fisso è una superficie rigata (detta superficie assoide); su di essa rotola e striscia, secondo la direzione dell'asse elicoidale del moto, la superficie rigata luogo degli assi elicoidali vincolati al corpo mobile. Il moto della rigata mobile rispetto alla rigata fissa definisce completamente il moto del corpo nello spazio (o, se vogliamo, il moto relativo delle due superfici rigate definisce il moto relativo dei due membri, ciascuno dei quali si muove unitamente ad una delle due superfici assoidi).

Se indichiamo con Ω la velocità angolare istantanea dell'assoide mobile rispetto a quello fisso, con V la velocità con la quale I'assoide mobile striscia su quello fisso lungo l'asse elicoidale del moto, la velocità di un punto generico P del corpo mobile vale:

vp= V+Ω ∧OP

dove O è un punto qualunque dell'asse elicoidale del moto. Pertanto i punti del corpo mobile che giacciono sull'asse del moto sono quelli cui corrisponde la minima velocità di strisciamento (per fissare le idee si consideri un caso semplicissimo: la coppia vite-madrevite; in questo caso l'asse elicoidale del moto rimane inalterato durante il moto del membro mobile e le due superfici assoidi si riducono ad una retta, l'asse della coppia; vale comunque la relazione sopra scritta la quale, in particolare, esprime che la velocità di strisciamento fra vite e madrevite aumenta all'aumentare della distanza dei punti di contatto dall'asse della coppia).

In questo corso ci occuperemo di meccanismi contenenti membri animati di moto generale nello studio delle ruote impiegate nella trasmissione fra alberi con assi sghembi. In tale occasione riprenderemo í concetti qui esposti.

BIBLIOGRAFIA GRAFFI D., Lezioni di meccanica razionale, Zanichelli, Bologna, 1975. NOCILLA S., Meccanica razionale, Levrotto & Bella, Torino, 1982.

Page 132: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Capitolo 6 I sistemi articolati

6.1. GENERALITÀ Si chiamano sistemi articolati i meccanismi che contengono unicamente

coppie elementari. Rientrano in questa categoria alcuni fra i più comuni ed importanti meccanismi, come quelli rappresentati nella figure 1.1 a), b), 1.13, 1.14, 1.16, 1.17 e 1.19 (variante costruttiva del quadrilatero articolato).

Nei paragrafi che seguono affronteremo, per i meccanismi più comuni, alcuni problemi di sintesi e di analisi cinematica. Con tali termini si intendono aspetti diversi e - per così dire - reciproci dello studio dei meccanismi. Infatti, mentre l'analisi cinematica fornisce gli strumenti per la determinazione di posizioni, velocità ed accelerazioni (ed, eventualmente, di altre derivate temporali superiori), la sintesi individua i metodi per ideare meccanismi capaci di realizzare determinate prestazioni. Queste, in generale, si possono ricondurre a tre distinte categorie:

1) generazione di movimenti (guida di un corpo rigido); 2) generazione di traiettorie; 3) generazione di funzioni. Le prime due si riferiscono alla possibilità di fare compiere ad un membro o

ad un punto del meccanismo spostamenti attraverso un numero finito di posizioni. La terza consiste nel realizzare un legame tra le posizioni del membro di ingresso e di quello di uscita del meccanismo tale da soddisfare, in un numero finito di posizioni, una funzione prefissata.

6.2. IL QUADRILATERO ARTICOLATO PIANO E LE SUE

APPLICAZIONI Un quadrilatero articolato è rappresentato in fig. 6.1. AI telaio 4 sono

accoppiati rotoidalmente due membri, ciascuno dei quali si chiama manovella o bilanciere, a seconda che possa compiere una rotazione completa, o soltanto incompleta, attorno al proprio centro di rotazione O1 ed O3. II membro 2, non adiacente al telaio, è la biella del quadrilatero.

Fig. 6.1 - Il quadrilatero articolato piano.

Page 133: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Nelle sue più comuni applicazioni il quadrilatero articolato è usato per trasformare un moto rotatorio continua (il movente è una manovella) in un moto rotatorio alterno (il cedente è un bilanciere). In altri casi si richiede che punti della biella descrivano traiettorie prestabilite, avvero che segmenti collegati can la biella assumano posizioni successive prefissate. Cominciamo con il considerare questo ultimo caso e risolviamo alcuni semplici problemi di progetto (sintesi) ad esso relativi.

6.3. SEGMENTO DI BIELLA PER DUE O TRE POSIZIONI

PREFISSATE Si consideri un segmento AB e supponiamo che debba essere trasferito da

una posizione A'B' in una posizione A"B" ruotata dell'angolo γ rispetto alla precedente (fig. 6.2).

Il problema può essere risolto semplicemente facendo ruotare il piano contenente AB attorno ad O, punto di incontro degli assi dei segmenti A'A" e B'B" (fig. 6.2 a)); ma se tale soluzione non fosse conveniente, ad esempio per motivi di ingombro, si potrebbe fare uso di un quadrilatero articolato con l'unica condizione che i centri di rotazione O1 ed O3 cadano sugli assi dei segmenti A'A" e B'B" (fig. 6.2 b)). II problema ammette infinite soluzioni, che possono ridursi a quattro qualora siano poste altre condizioni; ad esempio, siano prefissate le lunghezze delle aste 1 e 3 (che non debbono essere inferiori alla metà dei segmenti A'A", B'B"). Le aste 1 e 3 ruotano di φA e φB mentre AB ruota di γ. Le quattro soluzioni si riducono ad una se si stabilisce su quali dei semipiani, individuati dalle rette passanti per A'A", B'B", debbono cadere i punti O1, O3.

Fig. 6.2 - Segmento di biella per due posizioni.

Page 134: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Qualora non abbia interesse che le estremità delle aste 1 e 3 cadano in A e B, si possono fissare arbitrariamente non soltanto le posizioni dei punti O1 ed O3 ma anche i valori degli angoli φA e φB descritti dalle aste 1 e 3. La soluzione, unica, è illustrata in fig. 6.2 c). I punti D ed E si trovano nei punti di incontro di semirette uscenti da O, e formanti angoli γ/2 con le direzioni OO1 , OO3 , e di raggi uscenti da O1 ed O3 e formanti angoli φA /2 e φB /2 con le direzioni stesse. Per rendersene conto basta osservare che, come nel caso di fig. 6.2 b), le posizioni iniziale e finale del corpo sono le stesse che esso assumerebbe per una rotazione rigida pari a γ attorno ad O; e per tale rotazione A'B' passa in A"B".

Consideriamo adesso il caso che un segmento AB debba occupare successivamente tre posizioni A'B', A"B", A'''B'''. Se supponiamo che gli assi delle coppie rotoidali della biella passino per A e B, il problema ammette una sola soluzione; trovati i centri delle circonferenze passanti per A'A"A''' e per B'B"B''' si pongono nei centri stessi i centri di rotazione delle aste 1 e 3 (fig.6.3 a)).

Fig. 6.3 - Segmento di biella per tre posizioni.

Se non si pone la condizione che gli assi delle coppie rotoidali passino per A

e B il problema ammette infinite soluzioni; la soluzione è ancora unica se si fissano le posizioni di O1 ed O3 (fig. 6.3 b)). Per individuare i punti D ed E occorre trovare punti della biella i quali, allorché il segmento AB occupa le tre posizioni prestabilite, si trovino su circonferenze rispettivamente di centro O1 e di centro O3. In fig. 6.3 b) è indicato come si è pervenuti ad individuare il

Page 135: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

punto D (per il punto E è stato seguito identico procedimento). Consideriamo il moto inverso rispetto a quello effettivo, ossia supponiamo che il membro 2 sia fisso ed il membro 4 mobile; e individuiamo le tre posizioni occupate dal punto O1 nelle tre configurazioni considerate. A tale fine riportiamo sul segmento A"B" i triangoli A'B'O1 , A'B"O1 ; si trovano i punti O1’, O1’’. Il punto D si trova sul centro della circonferenza passante per O1, O1", O1'. Analogamente, fissata la posizione del punto O3 si trova E, come centro della circonferenza descritta da O3 nel moto inverso rispetto a quello effettivo.

È anche possibile, mediante un quadrilatero articolato, far si che un segmento AB occupi successivamente nel piano quattro distinte posizioni. Occorre a tale scopo trovare punti del piano mobile tali che, nelle quattro posizioni considerate, si trovino su circonferenze nel centro delle quali collocare i punti O1 ed O3; ma per la soluzione di questi, come di altri problemi particolari, rimandiamo ad opere specializzate.

6.4. TRASFORMAZIONE DI UN MOTO ROTATORIO CONTINUO IN UN MOTO ROTATORIO ALTERNO

Come abbiamo osservato è questo il più comune impiego di un quadrilatero

articolato. Una delle due aste adiacenti al telaio funge da manovella, mentre l'altra funge da bilanciere.

Per individuare se un'asta si comporta da manovella o da bilanciere si può fare uso di una regola (detta di Grashof) che ci limitiamo ad enunciare: «indicate con a, b le lunghezze delle aste più lunga e più corta di un quadrilatero, con c, d le lunghezze delle aste intermedie, eseguiamo le somme a + b, c + d e confrontiamole; possono darsi i seguenti casi:

a+ b > c + d: il quadrilatero ha soltanto bilancieri; a+ b< c + d: il quadrilatero ha due bilancieri se funge da telaio il lato opposto

al più corto; ha due manovelle se funge da telaio il lato più corto; ha una manovella ed un bilanciere se funge da telaio un lato adiacente a quello più corto, essendo manovella il lato più corto;

a+ b= c + d: è un caso limite, che peraltro si verifica quando il quadrilatero diviene un parallelogrammo articolato (v. il paragrafo 6.8: il parallelogrammo articolato ha due manovelle)».

La regola di Grashof è utile soltanto per un primo approccio; per più complete informazioni occorre un esame più approfondito del quadrilatero, che può essere eseguito molto facilmente in via grafica. Così, in fig. 6.4 sono state individuate le posizioni di regresso del bilanciere O3B e le corrispondenti posizioni di punto morto della manovella O1A; per individuare il punto B' si è fatto centro in O1 con un compasso di apertura O1A + AB; per individuare il punto B" si è fatto centro in O1 con un compasso di apertura AB-O1A.

Page 136: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 6.4 - Trasformazione di un moto

rotatorio continuo in un moto rotatorio alterno mediante un quadrilatero articolato.

Dalla costruzione così eseguita si deduce immediatamente il valore della

escursione del bilanciere, nonché il valore dell'angolo descritto dalla manovella nelle due corse di andata e ritorno del bilanciere. Come risulta anche dalla figura, la manovella descrive angoli non uguali nelle due corse del bilanciere; dalla figura si desume che, se si suppone che la manovella ruoti in senso orario, essa nel passaggio da A' ad A" descrive un angolo un po' minore dell'angolo descritto nel passaggio da A" ad A'; come conseguenza, ammesso che la manovella ruoti con velocità angolare costante, il bilanciere ruota in senso orario con velocità angolare media un po' minore di quella con cui ruota nel senso opposto.

È possibile dimensionare un quadrilatero articolato in modo che il bilanciere oscilli entro un angolo prestabilito e nello stesso tempo che la manovella compia, nelle due corse del bilanciere, angoli tra loro in un rapporto prefissato. Sia dato, così, l'angolo β descritto dal bilanciere e l'angolo θ, differenza fra π e l'angolo descritto dalla manovella in una delle corse del bilanciere (fig. 6.4). Si voglia proporzionare il quadrilatero con tali condizioni. Dal punto O3 si tracci un raggio O3B' di lunghezza arbitraria (ad esempio unitaria nella scala scelta per il disegno). Si tracci poi un secondo raggio uscente da O3 formante con O3B' l'angolo β e si prenda sudi esso un punto B" tale che sia O3B"=O3B'. I due punti B' e B" sono posizioni di regresso di B. Da B' si tracci una retta qualunque e da B" una retta formante con quella uscente da B' l'angolo θ. Le due rette si incontrano in un punto che é il centro di rotazione O1 della manovella. Per trovare la lunghezza r della manovella basta osservare che, chiamando con l la lunghezza della biella AB, deve essere:

O1B' =l+r O1B"=l-r

per cui

211 BOBOr′′−′

=

È evidente che il problema ammette infinite soluzioni. In particolare (fig. 6.5)

i punti O1 che lo soddisfano sono tutti quelli che giacciono sulle circonferenze

Page 137: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

passanti per B', B" e aventi i centri sulla bisettrice dell'angolo β, da parti opposte rispetto al segmento B'B", e raggio R=O3B'(sen(β /2))/sen θ. Si può facilmente vedere che il punto O1 deve però essere esterno all'angolo di vertice O3 e apertura β; da ciò discende che si possono ottenere soluzioni solo se il rapporto fra gli angoli descritti dalla manovella in corrispondenza delle due corse del bilanciere non supera il valore (3 π + β)/(π – β).

Per definire il problema si può ad esempio fissare (entro i limiti fra i quali la soluzione è possibile) il valore del rapporto O1O3/O3B'. Talvolta può, invece, convenire definire il problema con condizioni di ottimizzazione circa il valore degli angoli di trasmissione (v. paragrafo 6.16); ma anche per questi problemi si rimanda alle opere specializzate.

Fig. 6.5 - Sintesi di υn guadrilatero articolato per 1a trasformazione di un moto rotatorio continuo in un moto rotatorio alternο. 6.5 SCELTA DEL QUADRILATERO IN BASE ALLE TRAIETTORIE

DEI PUNTI DELLA BIELLA Un altro tipico problema di progetto consiste nel ricercare le dimensioni di

un quadrilatero nel quale un punto della biella debba seguire una traiettoria prestabilita. La soluzione di un problema di questo tipo è di regola possibile soltanto in via approssimata; di solito si tollera che la traiettoria stessa verga contenuta entro usa striscia a cavallo della traiettoria teorica; in altri casi si impone che la traiettoria passi per un numero limitato (quattro, cinque) di punti, senza curarsi del suo andamento negli intervalli fra i punti stessi. Senza entrare nei dettagli del secondo tipo di problema ci limitiamo ad alcune considerazioni sul primo tipo. Cominciamo ad esaminare qualche problema

Page 138: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

nel quale abbia importanza la realizzazione di una traiettoria di biella di forma prestabilita.

È relativamente frequente che un punto di una biella debba seguire, almeno per un certo tratto, una traiettoria rettilinea; una condizione del genere è richiesta, ad esempio, nella gru da porto (fig. 6.6); in tal caso, infatti, il punto D di applicazione del carico deve muoversi press'a poco in un piano orizzontale sia per evitare spesa di energia nel trasferimento del carico, sia per limitare l'innesco di fenomeni oscillatori durante il trasferimento stesso. Un altro meccanismo in cui si richiede analoga condizione è quello rappresentato in fig. 6.7: una punta scrivente deve tracciare una traiettoria pressoché rettilinea.

Fig. 6.6 - Schema cinematico di una gru da porto. Il punto D, nell'intorno della posizione rappresentata, descrive una traiettoria approssimativamente rettilinea.

Fig. 6.7 - Quadrilatero articolato nel quale il punto P descrive, nell'intorno della posizione rappresentata, una traiettoria approssimativamente rettilinea.

Fig. 6.8 - Meccanismo a 6 membri nel quale il membro 6, nell'intorno

delta posizione rappresentata, viene a trovarsi in condizioni di sosta.

Page 139: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Un altro tipo di traiettoria che può essere richiesta è quella circolare. Essa può essere utilizzata, ad esempio, per realizzare meccanismi con membri che oscillano attorno ad un punto, mantenendosi in sosta in una posizione di regresso. Ciò è guanto accade nel meccanismo della fig. 6.8, ottenuto da un quadrilatero articolato con l'aggiunta delle aste O6E, ED, nel quale il punto D, nell'intorno della posizione raffigurata, descrive una traiettoria approssimativamente circolare con centro di curvatura in E. Per piccoli spostamenti nell'intorno della posizione considerata, il punto E resta praticamente fisso e, conseguentemente, l'asta O6E si trova in condizioni di sosta.

In altre circostanze può capitare che un punto della biella debba descrivere traiettorie particolari, ad esempio per l'aggancio di fili, o per altre operazioni nelle quali la biella debba comportarsi da dito meccanico.

Ciò premesso vediamo come si possa dimensionare un quadrilatero capace di realizzare determinate traiettorie di biella.

Nel caso in cui la traiettoria debba essere pressoché rettilinea esistono soluzioni particolari, ad esempio quelle di cui daremo cenno nel paragrafo 6.12; in altri casi si può imporre che il punto di cui si considera la traiettoria si trovi sulla circonferenza dei flessi. Con questo ultimo criterio è stato proporzionato il quadrilatero di fig. 6.7; il punto P viene appunto a cadere sulla circonferenza dei flessi della biella (v. anche le figg. 5.11 e 6.6); per ragioni di simmetria nell'intorno della posizione considerata la traiettoria di P presenta un contatto di almeno il terzo ordine con la sua tangente in P.

In ogni caso, anche per traiettorie pressoché rettilinee, ma soprattutto per traiettorie di altra forma, è conveniente fare uso di atlanti che forniscono direttamente, per un gran numero di casi (ciascuno dei quali è distinto da un particolare proporzionamento del quadrilatero e da una particolare scelta del punto di biella), la traiettoria del punto stesso. Dopo che il quadrilatero sia stato scelto sulla scorta dell'atlante potrà essere opportuno (ed in certi casi, ad esempio in quello illustrato in fig. 6.8, potrà essere indispensabile) controllare la posizione del centro di curvatura della traiettoria in qualche configurazione particolare; un tale controllo è possibile con l'impiego della circonferenza dei flessi (v. la costruzione di fig. 5.11).

Una volta che siano state determinate le proporzioni di un quadrilatero che permetta la realizzazione di una data traiettoria di biella, è sempre possibile trovare altri due quadrilateri che diano la stessa traiettoria. Ciò può essere dimostrato teorema del Roberts come tra poco vedremo; è una circostanza che può avere interessanti conseguenze pratiche, perché permette di scegliere il meglio proporzionato fra tre quadrilateri ugualmente idonei alla soluzione del problema considerato. La costruzione che permette di trovare i tre quadrilateri «equivalenti» è illustrata in fig. 6.9.

Page 140: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 6.9 - Quadrilateri articolati equivalenti ottenuti mediante

la costruzione del Roberts

Sia il quadrilatero originario quello costituito dai membri 1, 2, 3, 4; P sia il punto della biella 2 di cui si considera la traiettoria. I due quadrilateri «equivalenti» al primo sono quelli costituiti dai membri 4, 5, 6, 7 e 4, 8, 9, 10. Per la loro costruzione si sono tracciati i parallelogrammi O1MPA, O3NPB, QPRO7,8 , mentre i triangoli MQP e PRN sono simili al triangolo APB (anche il triangolo O1,O7,8,O3 risulta simile al triangolo APB, circostanza questa che permette di individuare subito il punto O7,8 ). In uno dei quadrilateri funge da biella il membro 6, nell'altro funge da biella il membro 9.

II punto P descrive la stessa traiettoria sia che lo si consideri appartenente al membro 2 del quadrilatero originario, sia che lo si consideri appartenente alle bielle degli altri due quadrilateri, i quali sono, in questo senso, equivalenti al primo. Per mostrarlo si consideri il sistema articolato con 10 membri di fig. 6.9, nel quale i membri 2, 6, 9 siano tra loro accoppiati rotoidalmente in P, e se ne determini il grado di libertà. Il numero delle coppie di categoria C1 (v. paragrafo 1.6), tenuto conto delle coppie rotoidali doppie nei punti P, O1, O3, O7,8, è 14. Per la (1.1) si ha l = 3·9-2·14 = -1, ossia il sistema è iperstatico. Svincolando dal telaio la coppia rotoidale fra i membri 7 e 8 risulta l = 1, ossia il sistema ha un grado di libertà. Per la particolare geometria del meccanismo risulta, peraltro, che l'asse della coppia rotoidale fra i membri 7, 8 è immobile quando il meccanismo stesso si deforma (la verifica potrebbe essere fatta ad esempio con i metodi seguiti ai paragrafi 6.8, 6.12); pertanto quest'ultimo meccanismo equivale a quello in cui il punto O7,8, sia fisso al telaio e che, in base alla (1.1), sembrerebbe supervincolato (v. quanto detto al paragrafo 1.6 a proposito dei vincoli apparenti). In definitiva il meccanismo di fig. 6.9 con tre punti fissi O1 , O3, O7,8 ha un grado di libertà. II vincolo in O7,8, superfluo se le tre bielle 2, 6, 9 sono vincolate in P, diviene essenziale se il vincolo in P viene tolto; i tre punti P appartenenti alle tre bielle descrivono ovviamente la stessa traiettoria.

Page 141: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

6.6. IL PARALLELOGRAMMO ARTICOLATO In fig. 6.10 è rappresentato un particolare tipo di quadrilatero articolato: il

parallelogrammo. Esso ha alcune interessanti proprietà. In particolare si osserva che la biella resta sempre parallela alla congiungente O1O3 e quindi trasla senza ruotare. È anche evidente che la velocità del punto B è in ogni istante uguale a quella del punto A; così anche le velocità di tutti i punti della biella sono tra loro uguali (a conferma del moto puramente traslatorio della biella), come pure le loro accelerazioni. È altresì evidente che le aste 1 e 3 ruotano con la stessa velocità angolare (e che, in partitolare, il meccanismo possiede due manovelle).

Fig. 6.10 - II parallelogrammo articolato. Il parallelogrammo trova impiego in diversi casi; ad esempio quando si

voglia imporre ad un corpo un moto del tipo di quello cui è sottoposta la biella (ciò che può richiedersi ad esempio in alimentatori a scosse); quando si voglia trasmettere da un albero ad un altro con assi (O1 ed O3) paralleli un moto con rapporto di trasmissione (rapporto tra le velocità angolari) unitario e velocità angolari di uguale segno; in strumenti per disegno ed in attrezzature di lavoro (come nei tecnigrafi e nei pantografi). Diamo notizie più dettagliate su queste ultime applicazioni, che sono le meno evidenti.

Fig. 6.11 - Schema cinematico di un tecnigrafo.

Page 142: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

In fig. 6.11 è rappresentato un tecnigrafo; esso è un sistema articolato, ottenuto dall'accoppiamento di due parallelogrammi articolati, con 7 membri ed 8 coppie rotoidali; ha pertanto due gradi di libertà (la sua configurazione è definita da due coordinate indipendenti; la posizione di un punto della biella 3 rispetto al telaio 1 e la posizione dell'asta 6 rispetto alla 3). In qualunque configurazione l'asta 6 resta ortogonale all'asta 1. Per tale proprietà, vincolando rigidamente all'asta 6 una riga da disegno, si possono tracciare, deformando il sistema, rette tra loro parallele.

In fig. 6.12 è rappresentato un pantografo; è questo un dispositivo usato come strumento da disegno o, più frequentemente, come attrezzatura di lavoro su macchine utensili (fresatrici) per la riproduzione di figure in scala diversa dall'originale.

Fig. 6.12 - Schema cinematico di un pantografo. Il pantografo è costituito da un parallelogrammo di cui un'asta è vincolata ad

un punto fisso; si hanno cioè 5 membri con 5 coppie rotoidali (e corrispondentemente due gradi di libertà, anche qui necessari perché i punti M, N possano raggiungere tutti i punti del piano di lavoro).

È facile rendersi conto che, se i punti O, M ed N sono allineati in una data configurazione, lo sono per qualunque altra configurazione del sistema (basta osservare che essendo OA/OB = AM/BN ed essendo gli angoli in A e B uguali, i triangoli OAM ed OBM sono simili). Pertanto i punti M ed N descrivono traiettorie omotetiche.

Un parallelogrammo articolato, nel passaggio attraverso una posizione di punto morto, può trasformarsi in un «antiparallelogrammo» (fig. 6.13), con inversione del senso di rotazione di una delle due manovelle.

Fig. 6.13 - L'antiparallelogrammo articolato.

Page 143: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Ad evitare che possa verificarsi una circostanza del genere e, comunque, ad evitare che in prossimità delle posizioni di punto morto l'angolo di trasmissione β (v. paragrafo 6.16) risulti troppo piccolo, è in molti casi necessario collegare rigidamente, sovrapponendoli l'uno all'altro, due parallelogrammi articolati con angoli di manovella sfasati, ad esempio di π/2.

6.7. SINTESI DEI MECCANISMI CON METODI ANALITICI In generale, i metodi di sintesi grafica, come quelli ora esposti, hanno il

pregio della semplicità, ma non sempre sono in grado di fornire risultati sufficientemente precisi, né si prestano a risolvere con rapidità problemi di ottimizzazione. È opportuno, in tali casi, ricorrere a metodi di sintesi analitica. Tra questi sono particolarmente adatti alla sintesi dei sistemi articolati piani i metodi che, nella modellazione del meccanismo, utilizzano vettori rappresentati mediante i numeri complessi.

Si consideri, ad esempio, il quadrilatero articolato della fig. 6.14. In esso la posizione P1 di un generico punto di biella, rispetto ad un sistema di riferimento fisso, può essere definita mediante i due vettori z1 e z2:

O1P1 = z1 + z2

Fig. 6.14 - Individuazione mediante vettori di un punto di biella nel quadrilatero articolato.

Dove

z1 = z1eiα1

z2 = z2eiβ1

Page 144: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Per una diversa posizione Pj del medesimo punto si avrà:

O1Pj = z1eiΦj +z2eiεj avendo posto

Φj = αj – α1 εj = βj – β1

Se le posizioni P1 e Pj sono note, è noto anche il vettore

dj = P1Pj = O1Pj - O1P1 per cui risulta

z1(eiΦj - 1) + z2(eiεj - 1) = dj (6.1)

In modo analogo, considerando i vettori

z3 = z3eiγ1

z4 = z4eiδ1

si perviene alla seguente equazione vettoriale, valida per la generica

posizione

z3(eiθj - 1) + z4(eiμj - 1) = dj (6.2) dove

θj = γj – γ1 μj = δj – δ1

Se si considerano n posizioni del punto P, le (6.1) e (6.2) rappresentano un

sistema di 2(n - 1) equazioni vettoriali - e quindi 4(n - 1) equazioni scalari - nelle variabili z1, z2, z3, z4, Φj, εj, θj e μj . La soluzione del problema, ossia la determinazione di z1, z2, z3 e z4, in generale, non è unica, ma dipende dal numero delle incognite. Se, ad esempio, si desidera realizzare il moto di un segmento di biella attraverso n posizioni prefissate, occorre assegnare n-1 valori di εj, che in questo caso sono uguali agli n-1 valori di μj (j = 2, 3, ... n). Si ottiene un sistema composto da due gruppi di equazioni indipendenti: n-1 equazioni vettoriali in z1, z2, Φj, e n-1 equazioni vettoriali in z3, z4, θj. Le incognite sono costituite dalle 8 componenti di z1, z2, z3, z4 e dai 2(n -1) valori di Φj e θj. Si ha, dunque:

8 + 2(n - 1) = 6 + 2n

Page 145: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

e, dato che le equazioni scalari sono 4(n-1), il sistema risulta determinato per n=5.

Esaminiamo, ora, il caso in cui n=3. Si ha:

z1(eiΦ2 - 1) + z2(eiε2 - 1) = d2 z1(eiΦ3 - 1) + z2(eiε3 - 1) = d3

Risolvendo il sistema con la regola di Cramer, si ottiene:

z1=[(eiε3 – 1) d2 - (eiε2 – 1) d3] / D z2=[(eiΦ2 – 1) d3 - (eiΦ3 – 1) d2] / D

con

D = (eiΦ2 – 1) (eiε3 – 1) – (eiΦ3 – 1) (eiε2 – 1) In questo caso le soluzioni sono infinite (∞2) in virtù delle possibilità di scelta

delle variabili Φ2 e Φ3. Considerazioni analoghe si possono fare a proposito di z3 e z4. Determinati z1, z2, z3 e z4, i vettori AB=z5 e O1O3=z6 si trovano

immediatamente:

z5 = z2 – z4 z6 = z1 + z5 – z3

Ritenendo di aver ormai trattato a sufficienza il problema della sintesi dei

sistemi articolati, passiamo a considerare questioni di analisi cinematica ad essi relative, che rivestono particolare importanza nei problemi di verifica.

6.8. VELOCITÀ ED ACCELERAZIONE DI UN PUNTO DELLA BIELLA NEL QUADRILATERO ARTICOLATO

Si consideri il quadrilatero articolato rappresentato in fig. 6.15. Se la velocità

angolare Ω1 della manovella 1 è nota, la velocità del punto A è pure nota e vale vA = O1 A·Ω1. La velocità degli altri punti della biella, ed in particolare del punto B, può essere determinata ad esempio previa determinazione del centro di istantanea rotazione C24.

Page 146: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 6.15 - Velocità di un punto di biella nel quadrilatero articolato. Ma di norma non è opportuno seguire tale via, perché porta a costruzioni

superflue e spesso scomode. Il procedimento che seguiremo consiste nella composizione grafica dei vettori velocità rappresentati in opportuna scala e con opportune convenzioni (in particolare ruotandoli di π/2 rispetto alla loro vera direzione).

Il rapporto tra la velocità del punto A ed Ω1 può essere rappresentato con un vettore uscente da O1 e di ampiezza O1 A; tale vettore viene riportato lungo la manovella in O1 A. La velocità vB di B è rappresentabile, nella convenzione adottata, con un vettore diretto parallelamente ad O3B. D'altra parte tale velocità può essere considerata somma vettoriale della velocità del punto A e della velocità del punto B nel moto della biella attorno al punto A. Si può cioè scrivere:

111 ΩΩΩBAAB vvv

+= (6.3)

La velocità di B nel moto attorno ad A è, nella vera direzione, ortogonale

ad AB e può, pertanto, essere rappresentata con un vettore diretto secondo AB. In definitiva la (6.3) viene risolta graficamente con la costruzione indicata in fig. 6.15 nella quale:

1ΩAv =O1 A

1ΩBv =O1 S

1ΩBAv =AS

La velocità di un punto qualunque della biella P può essere trovata con

ragionamenti analoghi. Si può cioè scrivere:

111 ΩΩΩPAAP vvv

+=

che permette di concludere che il vettore rappresentativo della velocità di P,

Page 147: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

uscendo da O1 , ha l'altro estremo sulla retta PA. Scrivendo poi:

111 ΩΩΩPBBP vvv

+=

si conclude che detto vettore ha il suo estremo anche sulla retta passante

per S e parallela alla PB; Pertanto la velocità di P ruotata di π/2 rispetto alla direzione vera è rappresentata dal segmento O1 N; si ha cioè:

1ΩPv =O1 N

Per la determinazione dell'accelerazione dei singoli membri del quadrilatero

ed in particolare dei punti della biella (indispensabile per la valutazione delle forze di inerzia che nascono durante il moto) si fa uso dei criteri espressi nel paragrafo 5.6. Di solito la velocità angolare della manovella può ritenersi costante (ed è quanto supporremo per semplicità). L'accelerazione del punto A, che ha la sola componente centripeta, vale:

aA=AO1·Ω1

2 Fig. 6.16 - Accelerazione di un punto di biella nel

quadrilatero articolata.

Il rapporto aA/Ω1

2 viene rappresentato (fig. 6.16) con un vettore applicato in A con l'altro estremo in O1; nella rappresentazione grafica delle accelerazioni i vettori vengono cioè disposti con direzione e verso effettivi.

L'accelerazione di B nel moto di B attorno al punto O3 ha due componenti; una normale o centripeta aBn, l'altra tangenziale aBt, (l'asta 3 ruota attorno ad O3 con velocità angolare non uniforme). Si può cioè scrivere:

aB = aBn + aBt (6.4)

La prima delle due componenti può essere facilmente individuata. Essa vale

infatti

Page 148: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

aBn=3

2

BOvB

Si ha cioè (fig. 6.15) ( )

3

21

21 BO

SOaBn =Ω

La aBn, è quindi rappresentabile con in vettore IO1 parallelo a BO3 di intensità

( )3

21

1 BOSOIO =

che può essere calcolata in via numerica od anche in via grafica1. La componente aBt, è nota soltanto come direzione (ortogonale a O3B);

pertanto il vettore aBt/Ω12; che la rappresenta giace sulla normale per I alla IO1

ed ha un estremo in I; ma la sua origine è ancora da individuare. Per determinarlo occorre esprimere l'accelerazione di B anche attraverso l'accelerazione di A, ossia mediante la relazione

21

21

21 ΩΩΩ

BAAB aaa+= (6.5)

essendo aBA l'accelerazione del punto B nel moto attorno ad A. Tale

accelerazione ha due componenti, una normale aBAn ed una tangenziale aBAt. Si può scrivere:

aB = aA + aBAn + aBat

La componente aBAn può essere calcolata come:

BAva BA

BAn

2

=

1 Una costruzione grafica è la seguente

(v. figura). Si prenda su O3B unsegmento O3H di lunghezza uguale aO1S. Si costruisca, utilizzando il 2°

teorema di Euclide, il segmentoLO3=(O3H)2/BO3 (in figura lacostruzione è stata eseguita tracciandouna semicirconferenza di diametro O3Bed intersecandola con un cerchio diraggio O3H). II segmento LO, viene poiriportato in IO1.

Page 149: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Ε’ cioè: ( )

BASAaBAn

2

21

La aBAn , è quindi rappresentabile con un vettore KA diretto secondo BA e di

intensità: ( )

BASAKA

2

=

Anche KA può essere calcolato in via numerica od in via grafica con

costruzioni analoghe a quella indicata nella nota (1). L'accelerazione aBAt è nota in direzione (è ortogonale ad AB); pertanto è

rappresentabile con un vettore avente come linea di azione la retta ortogonale in K alla AB e con un estremo in K.

Se indichiamo con M il punto di incontro della perpendicolare per K ad AB e della perpendicolare per I ad IO1 l'accelerazione del punto B è rappresentata dal vettore MO1 . Infatti le (6.4), (6.5) risultano entrambe soddisfatte. Si ha cioè:

121

MOaB =Ω

ed anche:

MIaBt =21Ω

, MKaBAt =21Ω

, MAaBA =21Ω

Per trovare l'accelerazione di un punto P della biella si osserva che essa

può esprimersi così:

aP = aA + aPA come pure con:

aP = aB+ aPB Inoltre nel moto della biella attorno ad un punto fisso (ad esempio ad A ed a

B) le accelerazioni dei suoi punti formano tra loro angoli uguali a quelli dei raggi uscenti dal punto fisso stesso e passanti per i punti considerati. Di conseguenza per individuare l'accelerazione di P basta costruire su MA un triangolo MAL simile al triangolo BAP. Si ottiene:

121

LOaP =Ω

, LAaPA =21Ω

, LMaPB =21Ω

Page 150: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

6.9. LA CATENA CINEMATICA CON TRE COPPIE ROTOIDALI ED UNA COPPIA PRISMATICA

Fra i sistemi articolati ha importanza rilevante la catena cinematica

rappresentata nella fig. 6.17 a), b). Essa è costituita da quattro membri binari, con tre coppie rotoidali e una prismatica.

II meccanismo più comune si ottiene facendo fungere da telaio il membro 4 (glifo). In questo caso mentre la manovella 3 ruota attorno al punto O fisso, il membro 1 (corsoio) trasla con moto alterno. Il meccanismo così ottenuto è chiamato manovellismo di spinta; nel caso della figura 6.17 a), in cui l'asse della coppia rotoidale che collega biella e corsoio si sposta secondo una retta passante per il punto O, si ha un manovellismo di spinta centrato; nel caso della fig. 6.17 b) il manovellismo di spinta è deviato o eccentrico.

Fig. 6.17 - a) Manovellismo di spinta centrato; b)

Manovellismo di spinta deviato. Il meccanismo che si ottiene tenendo fisso il membro 3 ha trovato impieghi

assai interessanti nei motori «a cilindro rotante»; attualmente è usato raramente. Trova impiego semmai nella versione in cui la lunghezza dell'asta 3 è maggiore di quella dell'asta 2 (fig. 6.18);

Fig. 6.18 - Meccanismo con glifo oscillante

Page 151: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

tale meccanismo realizza la trasformazione di un moto rotatorio continuo (dell'asta 2) in un moto rotatorio alterno (del glifo 4), con valori differenti della velocità angolare media nei due sensi del moto.

Gli altri due meccanismi, che si possono ottenere dalla catena cinematica fissando i membri 1 e 2, sono cinematicamente identici ai due sopra citati, anche se hanno forma costruttiva assai diversa; il loro impiego è comunque piuttosto raro.

6.10. IL MANOVELLISMO DI SPINTA. VELOCITÀ ED ACCELERAZIONE DI PUNTI DELLA BIELLA

La ricerca grafica della velocità e dell a biella in

suo tempo adottata. La velocità del punto B, esprimibile nella forma:

'accelerazione dei punti dellun manovellismo di spinta pub essere eseguita con gli stessi metodi che abbiamo applicato nell'analoga ricerca per il quadrilatero articolato nel paragrafo 6.8.

Si consideri la fig. 6.19 (ci riferiamo al caso di un manovellismo deviato, di cui il manovellismo centrato è un caso particolare). Sia Ω la velocità angolare della manovella. La velocità del punto A vale vA= Ω·OA ed è rappresentabile con un vettore OA ruotato di π/2 rispetto alla direzione effettiva, secondo la convenzione a

Fig. 6.19. Velocità di un punto di biella nel manovellismo dì spinta. L'accelerazione normale aBAn è anche in questo caso nota. Essa ha

intensità:

BAva BA

BAn

2

=

ed è rappresentabile con un vettore KA di intensità tale che:

( )BASAKA

2

=

Page 152: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Tale intensità può essere calcolata analiticamente o graficamente, ad esempio mediante una costruzione grafica analoga a quella spiegata in nota nel paragrafo 6.8.

Trovato il vettore KA, per individuare l'accelerazione di B basta chiudere il poligono delle accelerazioni con un vettore parallelo alla direzione del moto di B ed uno ortogonale alla direzione BA. Questo secondo vettore MK vale:

2ΩBAtaMK =

mentre il primo MO rappresenta l'accelerazione di B cercata:

2ΩBaMO =

Si ha, poi:

2ΩBAaMA =

L'accelerazione di P si trova in modo identico a quello seguito a proposito del quadrilatero articolato. Come allora, si conclude che basta costruire su MA un triangolo MAL simile al triangolo BAP. Si ottiene anche ora:

LOaP =2Ω

, LAaPA =2Ω

, LMaPB =2Ω

.11. LA CATENA CINEMATICA CON GLIFO A CROCE

ole interesse è q ella che comprende due coppie rotoidali e due coppie prismatiche con assi tra loro perpendicolari (fig. 6.21). Da essa discendono tre differenti meccanismi;

due che si ottengono facendo fungere da telaio il membro bro 4. Soffermiamoci anzitutto su questo ultimo meccanismo, che

presenta alcune interessanti proprietà cinematiche.

Fig. 6.21 - Catena cinematica con il glifo a croce.

6

n'altra catena cinematica di quattro membri di notevUu

i più comuni sono i2 ed il mem

Page 153: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

È facile vedere che le polari del moto del membro 2 sono due circonferenze. L in ogni posizione del meccanismo il punto C vede sotto un angolo retto il segmento A

ro O (v. paragrafo 1.6 e figg. 1.16, 1.17). Ogni altro punto P della biella AB che si trovi in un dato istante sulla σ1 descrive un diametro della σ0 (per rendersene conto basta osservare che sulla σ1 non esistono punti particolari; qualunque suo punto gode pertanto delle proprietà dei punti A e B, che descrivono traiettorie rettilinee).

iviene una circonferenza se il punto considerato coincide con M e degenera in un segmento di retta con sulla σ1.

a citata proprietà dei pum ccanismi che conferisco(v. paragrafo 6.5). Ad esempio nel m id ntico (v. anche la esattamente un segmento diretta. II le coppie prismatiche sono state sosti preferibili alle prime perché meno ingom m no costose a parità di tolleranza dimguidare il punto P secondo una traiettoria

a polare fissa σ0 è una circonferenza di raggio pari alla distanza AB (

B; quindi AOBC è un rettangolo con OC=AB). La polare mobile σ1 è una circonferenza passante, oltre che per C, anche per A e B (come può immediatamente dedursi considerando il meccanismo in cui è telaio il membro 2, ed osservando che la σ1 di fig. 6.22 non è altro che la polare fissa in questo nuovo meccanismo). Ne discende immediatamente che il punto M, centro della σ1, descrive una circonferenza di cent

Fig. 6.22 - Polari del moto relativo della biella AB

rispetto al glifo. Sarebbe anche facile mostrare che un punto qualunque N della biella AB

descrive una ellisse di semiassi NA ed NB; analogamente un punto S del piano della biella descrive una ellisse di semiassi SQ ed ST; tale ellisse, come si è detto, d

tato due volte quando il punto cade

nti che si trovano sulla σ1 permette di realizzare no un moto rettilineo ad un punto della biella

eccanismo di fig. 6.23, cinematicamentefig. 1.17) a quello di fig. 6.22, il punto P descrive

meccanismo di fig. 6.24, nel quale tuttetuite con coppie rotoidali (di norma

branti, più facilmente lubrificabili,ensionali e geometriche), permette di

solo approssimativamente

Le

e

e

Page 154: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

rettilinea, l'approssimazione essendo tanto migliore quanto più lungo, a parità delle altre dimensioni, è il segmento QA.

embro 2 (fig. 6.25 a)) si presta all'impiego come giunto articolato (imprimere una rotazione attorno al punto compie una identica rotazione attorno al punto

bile trasmettere un moto rotatoriil piano del disegno, ad un altro

A.

Applicando il teorema del Roberts (paragrafo 6.5) si possono, naturalmente,

trovare altri due quadrilateri che permettono di guidare un punto della biella secondo una traiettoria identica a quella descritta dal punto P nel quadrilatero di fig. 6.24.

Il meccanismo nel quale è fisso il m

Fig. 6.23 - Meccanismo equivalente a quello di fig. 6.22, nel quale il punto P descrive una traiettoria rettilinea passante per O.

Fig. 6.24 - Quadrilatero equivalente, nell'intorno della posizione raffigurata, al meccanismo della fig. 6.22.

giunto di Oldham). Se pensiamo di B al corsoio 1 anche il corsoio 3

A (v. fig. 6.25 b)); pertanto è o continuo da un albero, il cui asse

albero il cui asse, parallelo a possiincontri in B quello del primo, passi per

Fig. 6.25 - Schema cinematico del giunto di Oldham.

Page 155: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Le velocità angolari dei due alberi sono tra loro sempre uguali; il giunto di Oldham è pertanto omocinetico. La traiettoria del punto O, in cui si incontrano gli assi dei due bracci della croce, è una circonferenza passante per A e per B e quindi di centro M. Per una rotazione α di uno dei due corsoi il raggio OM ruota di 2α (angolo al centro che insiste sullo stesso arco dell'angolo alla circonferenza α); ciò significa che, se i corsoi ruotano con velocità angolare costante Ω, il punto O ha un'accelerazione centripeta

ao = (2 Ω)2 OM = 2 Ω2 AB.

L'accelerazione del punto O è pertanto proporzionale alla distanza fra gli

alberi collegati dal giunto. Se si considera che, per ovvie esigenze di dimensionamento, la massa del membro 4 aumenta all'aumentare della distanza AB, si comprende come la forza centrifuga su di esso agente cresca rapidamente all'aumentare della distanza stessa.

È questo uno dei motivi che rendono il giunto di Oldham poco adatto e con interassi relativamente grandi.

'analisi cinematica di un sere effettuata, oltre che c

o le relazioni vettoriali derivanti dal modello così generato. Se, ad esempio, i vettori formano un poligono chiuso, l'annullarsi della somma

c ord ma di riferimento fisso, si ottengono due equazioni scalari. e il sistema articolato è schematizzabile mediante n poligoni indipendenti si

all'impiego a velocità angolari elevate Anche la circostanza che contenga coppie prismatiche toglie al giunto di Oldham interesse applicativo di fronte a soluzioni tecnicamente più valide, come il doppio giunto di Cardano o come, per piccoli disassamenti, i giunti elastici.

6.12. ANALISI CINEMATICA DEI SISTEMI ARTICOLATI CON METODI ANALITICI

L sistema articolato può eson i metodi grafici finora visti, anche con metodi analitici, che, rispetto ai

primi, forniscono risultati di validità generale, sono più precisi e consentono l'impiego del calcolatore.

II problema, da un punto di vista generale, consiste nell'individuare la posizione di un generico membro del meccanismo rispetto ad un sistema di riferimento solidale con il telaio. È questa la cosiddetta «analisi di posizione», dalla quale, mediante successive derivazioni rispetto al tempo, si ottengono velocità ed accelerazioni (analisi di velocità ed accelerazione).

a) Sistemi articolati piani. Nel caso dei sistemi articolati piani risulta conveniente utilizzare una rappresentazione vettoriale del meccanismo. Si sostituisce, cioè, a ciascun membro un vettore opportunamente disposto e si e primons

vettoriale dei lati del poligono fornisce la cosiddetta «equazione di chiusura», ossia un'equazione vettoriale dalla quale, proiettando i vettori sui due assi

inati del sisteoS

Page 156: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

d

pio, il sistema articolato della fig. 6.26. Si possono s

evono scrivere n equazioni di chiusura, dalle quali derivano 2n equazioni scalari. La differenza tra il numero delle variabili in esse presenti ed il numero delle equazioni scalari fornisce i gradi di libertà del meccanismo.

Consideriamo, ad esemcrivere le due seguenti equazioni di chiusura:

Fig. 6.26 - Meccanismo piano schematizzabile con due anelli chiusi.

03 =0

553

1331

++++=+++

BODBEDEOOOOOBOABAO

(6.6)

Queste forniscono quattro equazioni scalari, che contengono le cinque

variabili θ1, θ2, θ3, θ5, θ6. Il meccanismo ha un grado di libertà; una delle cinque variabili è infatti indipendente.

Vediamo, adesso, come dalla prima delle (6.6) derivino due equazioni scalari e come queste si possano risolvere. La prima delle (6.6) rappresenta l'equazione di chiusura per il quadrilatero O1ABO3. Indicate con a1, a2, a3, a4 le lunghezze dei lati O1A, AB, BO3 e O1O3 e con θ1, θ2, θ3, gli angoli che i vettori O1A, AB e O3B formano con l'asse x del sistema di riferimento indicato in figura, si ha:

3342211

3342211

sinsinsincoscoscos

θθθθθθ

aaaaaaaa

+=++=+

(6.7)

Eliminando i termi 2 i θ1

e 3 del tipo

ni in θ tra le (6.7) si ottiene una relazione tra gli angol θ

CBA =+ 33 cossin θθ dove

(6.8)

Page 157: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

( )( ) 31431

22

24

23

21

1411

cos2 aaaaaaaaC θ

1sinB

Acos aaa θ

θ=−=

−+++=

Dalla (6.8), ricordando che

( ) ( )[ ]2tan12tan2sin 333θ θ + θ2= e

( )[ ] ( )[ ]2tan12tan1cos 32

32

3 θθθ +−= si ottiene

( ) ( )[ ]CBCBAA +−+±=3 arctan2θ (6.9)

La (6.9) fornisce due valori distinti per θ3, corrisconfigurazioni del quadrilatero (v. fig. 6.27). Noto θ3, dalla seconda delle (6.7) si può ricavare θ2:

222

pondenti alle due possibili

( )[ ]211332 sinsinarcsin aaa θθθ −= (6.10) Fig. 6.27 - Le due possibili configurazioni del

quadrilatero articolato

fine, le coordinate di un generico punto P del piano di biella, individuato d

Inal vettore AP, di modulo r, formante un angolo α con il vettore AB, sono date

dalle espressioni:

( )( 211

211

sinsincoscos

θαθ )θαθ

++=++=

rayrax

P

P

P

ati piani può essere effettuata anche olarmente adatto all'impiego del

nematica in corpi rigidi o nella fig. 6.28. In essa sono

(6.11)

La velocità e l'accelerazione del punto

derivazioni successive rispetto al tempo. L'analisi cinematica dei sistemi articol

con altri metodi. Uno di questi, particalcolatore, si basa sulla scomposizione della catena cie sottogruppi elementari del tipo rappresentat

si ottengono dalle (6.11) mediante

c

Page 158: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

ra ente, «diade» (fig. 6.28-a)), «corsoio oscillante» (fig. 6.28-b)) e «guida rotante» (fig. 6.28-e)). La diade è costituita da due membri

d una rotoidale. er ciascuno dei singoli gruppi è possibile trovare posizione, velocità ed

accelerazione del punto P3 note che siano posizioni, dei punti P1 e P2 (per la guida rotante, ancheaccelerazione angolare di uno dei due membri estremi).

ffigurati tre gruppi denominati, rispettivam

collegati da una coppia rotoidale, il corsoio oscillante da due membri collegati da una coppia prismatica e la guida rotante da tre membri, uno dei quali è collegato agli altri due mediante una coppia prismatica e

Pvelocità ed accelerazioni posizione, velocità ed

Fig. 6.28 - Scomposizione di una catena cinematica in sottogruppi elementari; a) diade; b) corsoio oscillante; c) guida rotante.

L'analisi cinematica del meccanismo si riduce, pertanto, a quella dei singoli sottogruppi e dei corpi rigidi risultanti dalla scomposizione.

Si consideri, ad esempio, il meccanismo piano rappresentato nella fig. 6.29. La manovella di ingresso 1, la cui posizione è definita dall'angolo θ1, è un corpo rigido e pertanto risulta definito il moto del punto A. I membri 2 e 3

ssivamente, mediante le relazioni valiuello del punto C. Analogamente si definiembro 7 si studia come caso partic

ome riferimento i punti D e O7 ed , si può determinare il moto del punto G. Risulta evidente come, disponendo solvano l'analisi cinematica dei sottogruppi elrogrammi per l'analisi cinematica di mecca

punti di interesse nel sistema di riferi

Fig. 6.29 - Sistema articolato piano scomponibile in sottogruppi elementari.

formano una diade e quindi si può determinare il moto del punto B e succe de per il moto dei corpi rigidi,

sce il moto del punto D. II moto del olare di corsoio oscillante, avendo preso

. Infine, essendo definito il moto dei punti C

di sottoprogrammi di calcolo che ementari, sia agevole costruire

nismi anche complessi. le espressioni delle coordinate dei

mento fisso con il telaio possono essere

qmcF

b) Sistemi articolati spaziali. In generale,

rip

Page 159: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

ocedimento risulta

c

x k, sono diretti secondo la retta di m

se z k. Gli a

1i

ras

ttenute mediante successive trasformazioni rispetto a sistemi di riferimento locali, solidali con i membri del meccanismo. Tale proonveniente nel caso dei sistemi articolati spaziali. Limitandoci, per il momento, a considerare membri binari con coppie

rotoidali, prismatiche, elicoidali o cilindriche, consideriamo un generico membro del meccanismo, indicato con k, e fissiamo su di esso due sistemi di riferimento scelti nel modo seguente (v. fig. 6.30). Assumiamo come assi z, indicandoli con zi

k e zjk, gli assi geometrici delle coppie cinematiche. Tali assi -

in generale sghembi - sono intersecati dalla retta di minima distanza, ad essi ortogonale, nei punti O ik e O jk che vengono presi come origini dei due sistemi di riferimento. Gli assi x, indicati con x i

k e j

inima distanza ed orientati secondo O ik O j

k. La distanza O ik O j

k viene indicata con ak, mentre viene indicato con αk l'angolo di cui l'asse zi

k deve ruotare con rotazione destrorsa rispetto a xi

k per sovrapporsi all'as j

ssi y ik e y j

k risultano individuati di conseguenza. I due sistemi di riferimento saranno indicati rispettivamente con S ik e S jk .

Considerato, ora, il membro adiacente l (v. fig. 6.3di esso, in modo del tutto analogo, i due sistemi dosserva che i sistemi S i

l e S jk hanno in comune

dell'asse z, mentre le origini O il e O j

k sono, in genecon slk la distanza O j

k O il e con Φlk l'angolo di cui l'

rotazione destrorsa rispetto a z jk per sovrapporsi all'a

Fig. 6.30 - Sistemi di riferimento

S ik e S jk sul membro k.

), si possono definire su riferimento S i

l e S jl. Si

la direzione e il verso ale, diverse. Indichiamo sse xlk deve ruotare con se x i

l.

Page 160: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 6.31 - Sistemi di riferimento S

il , S j

l , S ik e S j

k sui due membri adiacenti l e k.

jPoniamoci, ora, il problema di esprimere nel sistema S l le coordinate di un punto P solidale con il membro k e di posizione nota rispetto al sistema S jk.

Dobbiamo operare due trasformazioni di coordinate: la prima per passare dal sistema S j

k al sistema S il; la seconda per passare dal sistema S i

l al sistema S j

l. La prima trasformazione comporta una rotazione attorno all'asse z il dell'angolo Φlk ed una traslazione lungo il medesimo asse della quantità slk. Valgono, pertanto, le seguenti relazioni:

lkj

kil

lkj

klkj

kil

lkj

klkj

kil

szzyxy

yxx

−=

+−=

+=

ΦΦΦΦ

cossinsincos

od anche, utilizzando la notazione matriciale,

⎢⎢⎢

−−=

⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

10000cossin00sincos

lklk

lklk

il

il

il

szyx

ΦΦΦΦ

Al fine di ottenere una matrice di trasformaziintrodurre nelle (6.13) le coordinate quaterne di numeri x1, x2, x3, x4 che definiscono le c

(6.12)

(6.13)

on

omogenee. Esse sono costituite da oordinate mediante i

ra

⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

⎥⎥⎥

1

jk

jk

jk

lk

zyx

e quadrata, possiamo

pporti:

x=x1/x4 y=x2/x4 z=x3/x4

Page 161: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Se poniamo x4=1, le (6.13) diventano:

⎡⎤⎡ sincos lk

ilx Φ

⎥⎢ 1kz ⎥⎥⎥

⎢⎢⎢

⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

−−

=

⎥⎥⎥⎥

⎦⎢⎢⎢⎢

⎣ 1000100

00cossin00

1

j

jk

jk

lk

lklk

lk

il

il y

x

szy ΦΦ

Φ

(6.14)

ovvero in notazione compatta:

[ ] [ ][ ]jklkl

iji PMP = (6.15)

avendo posto [ ] [ ]

[ ] [ ]

⎥⎥

⎦⎢⎢ −

=

=

1000100

1

1

lk

Tjk

jk

jk

jk

Til

il

il

il

s

zyxP

zyxP

[ ] ⎥⎥⎤

⎢⎢⎡−

=00cossin00sincos

lklk

lklk

ijlkM

ΦΦΦΦ

La matrice [ ]ijlkM descrive il moto relativo nella coppia cinematica ed è

fu zione delle variabili del moto slk e Φlk. La trasformazione dal sistema S i

l al sistema S jl comporta una rotazione

dell'angolo αl attorno all'asse x il ed una traslazione al lungo il medesimo asse. Si

ha, pertanto:

n

lj

llj

ll

lj

llj

lj

l

lil

jl

zyzyy

axx

αααα

cossinsincos

+−=

+=

−=

jz

quanto visto in precedenza si ottiene la

ione: Procedendo in modo analogo

seguente relaza

[ ] [ ][ ]il

jil

jl PGP = (6.16)

dove

[ ] [ ][ ] [ ]Ti

lil

il

il

Tjl

jl

jl

jl

zyxPzyxP

11

==

Page 162: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

[ ]⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

=

10000cossin00sincos0

001

ll

ll

l

jil

a

Gαααα

La matrice [ ]ji

lG descrive la trasformazione tra due sistemi di riferimento solidali con il medesimo membro e pertanto dipende unicamente dalla geometria dello stesso.

Possiamo, ora, esprimere la trasformazione di coordinate dal sistema S jk al

istema S j nel modo seguente: s l

[ ] [ ][ ][ ]jk

ijlk Pji

lj

l MGP = (6.17)

, partendo da un sistema di riferimento iniziale - ad esempio quello solidale con il telaio - ritorni ad esso attraverso i vari sistemi di riferimento locali solidali con i diversi membri. 11 risultato della trasformazione deve essere, ovviamente, un’identità. Si consideri, ad esempio, il sistema articolato spaziale della fig. 6.32.

In presenza di un anello chiuso si può operare una trasformazione di

coordinate che

Fig. 6.32 - Sistema articolato spaziale ad anello chiuso con n embri.

La trasformazione dal sistema S i

1, solidale con il telaio, al medesimo sistema ottenuta passando attraverso i membri 2, 3, …, n, 1, è data da:

m

[ ] [ ][ ][ ][ ] [ ][ ][ ][ ] [ ]ijiijn

jin

ijnn

jiijjiiji PGMGMGMGMP 111,,133,222,11 .... == − (6.18) da cui risulta

[ ][ ][ ][ ] [ ][ ][ ][ ] [ ]IGMGMGMGM jiijn

jin

ijnn

jiijjiij =− 11,,133,222,1 .... (6.19) essendo la matrice identica. [ ]I

Page 163: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Uguagliando gli elementi della matrice prodotto al primo membro della (6

risoluzione del sistema permette di eseguire l'analisi di posizione del meccanismo. Per procedere all'analisi di velocità e di accelerazione, una volta effettuata quella di posizione, occorre derivare successivamente rispetto al tempo le equazioni del sistema.

Se il meccanismo presenta una catena aperta - come accade, ad esempio, nei manipolatori per robot - per effettuare l'analisi di posizione occorre conoscere la posizione del membro terminale della catena, ossia del sistema di riferimento ad esso collegato. Ciò equivale a conoscere la matrice di trasformazione dal sistema S j

n, solidale con l'ultimo membro della catena, al sistema S i

1, solidale con il telaio. Tale matrice ha la forma

.19) agli elementi corrispondenti della matrice identica si ottengono 12 equazioni, generalmente non lineari, nelle variabili del moto s lk e (si noti che i quattro elementi dell'ultima riga delle due matrici sono identici). Dalle 12 equazioni del sistema è possibile ricavare un numero di equazioni indipendenti pari al numero delle variabili (parametri del moto) meno il numero dei gradi di libertà dell'anello considerato. La

[ ] ⎥

= 24232221

14131211⎥⎢ ββββ

⎥⎥

⎦⎢⎢

⎣ 100034333231 ββββ

ββββ

B (6.20)

ne O j

n j

n j=1, 2, 3) sono i coseni S i

1. Con riferimento alla

del sistema Sdove β14, β24, β34 rappresentano le coordinate dell'origirispetto al sistema S i

1 e gli elementi βij (i=1, 2, 3; direttori degli assi del sistema S j

n rispetto al sistema fig. 6.33, si ha:

[ ][ ][ ][ ] [ ][ ] [ ]BMGM ijjiij (6.21)

MGG ijnn

jin

ji =−− ,113 ....3,222,1

Analogamente al caso dell'anello chiuso, la (6.21) fornisce un sistema di 12

equazioni, di cui solo alcune indipendenti, che permettono di risolvere l'analisi di posizione e, quindi, quelle di velocità e di accelerazione.

Fig. 6.33 - Sistema articolato spaziale ad anello aperto con n membri.

Page 164: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fi

dellamembri binari.

bbiamo considerato, finora, membri binari con coppie rotoidali, p

ue membri binari collegati da coppie rotoidali ad assi concorrenti, mentre le coppie piano su piano possono essere sostituite da due membri binari collegati da coppie prismatiche adparalleli e con una coppia rotoidale con asse ortogonale al piano definito dalle c

discosteranno al fine di conseguire maggiore semplic à ed immediatezza.

6.13. IL MANOVELLISMO DI SPINTA CENTRATO. ESPRESSIONI ANALITICHE DELLA VELOCITÀ E DELL'ACCELERAZIONE DEL CORSOIO

Nello studio della dinamica delle macchine alternative avremo la necessità

di utilizzare espressioni analitiche dellacorsoio di un manovelliuna derivazione.

g. 6.34 - Sostituzione della coppia sferica a) e coppia piano su piano b) con quattro

Arismatiche, cilindriche o elicoidali. La presenza di membri non binari implica

l'esistenza di più anelli o catene aperte, per ciascuna delle quali si applicano i procedimenti visti. Le coppie cinematiche di tipo sferico, poi, possono essere sostituite da d

assi complanari non

oppie prismatiche (v. fig. 6.34). Nei paragrafi che seguono daremo alcuni esempi di analisi cinematica di

sistemi articolati piani e spaziali con metodi analitici. In alcuni casi i procedimenti seguiti si potranno ricondurre a quelli ora illustrati; in altri se ne

it

velocità e dell'accelerazione del smo di spinta centrato. Di tali espressioni diamo qui

Fig. 6.35 - Manovellismo di spinta centrato.

Page 165: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Indichiamo (fig. 6.35) con sB lo spostamento del punto B (piede di biella) a partire dalla posizione di punto morto interno B' (nella quale il punto A si trova in A', allineato con B ed O, ed interno al segmento BO). Indichiamo con φ l'angolo che l'asse della manovella AO forma con il raggio OA'; con γ indichiamo l'angolo (equiverso con e) che l'asse BA della biella forma con l'asse del moto di B (γ = π nei punti morti). Indichiamo, infine, con r la lunghezza del segmento AO (raggio di manovella), con I la lunghezza del segmento AB (lunghezza della biella). Proiettando la spezzata BAO sulla direzione B'O si ha

ϕγ coscos rlrlsB −−+= (6.22)

roiettando la stessa spezzata sulla direzione normale alla precedente si P

ottiene poi: ϕγ sinsin rl =

lr=λossia, posto :

ϕλγ sinsin =

Si ha così: ϕλγ 22 sin1cos −−=

(occorre il segno - prima del segno di radice quadrata perché γ è > π/2). La (6.22) diviene perciò:

( )⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ −−+−= ϕλ

λϕ 22 sin111cos1rsB (6.23)

Per gli usi correnti questa espressione può essere semplificata. Infatti il

n colo rispetto ad 1 (dell'ordine di 0,1÷0,2); dal p

umero λ è quasi sempre picunto di vista delle applicazioni tecniche soltanto in via del tutto eccezionale

può avere senso non trascurare, rispetto ad 1, il numero λ innalzato ad un esponente maggiore di 2. Si può cioè scrivere, sviluppando in serie di Mac Laurin e fermandosi al secondo termine:

42cos11

2sin1sin1 2

2222 ϕλϕλϕλ −

−=−≅−

La (6.23) diviene pertanto:

( )⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ −−+≅ ϕλϕλ 2cos

4cos

41rsB (6.24)

Page 166: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Derivando la (6.24) rispetto al tempo si ottiene la espressione della velocità

vB del corsoio:

( )⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ +≅ ϕλϕΩ 2sin

2sinrvB (6.25)

Derivando una seconda volta rispetto al tempo si ha l'accelerazione di B, aB:

( ) ⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ +++≅

ϕλϕΩϕλϕΩ 2sin2

sin2coscos2 rraB

c ce all'espressione, di uso corrente: he per Ω = costante si ridu

( )ϕλϕΩ 2coscos2 +≅ raB

In qualche caso può essere comodo limitarsi a considerare per sB, vB, aB

e

(6.26)

spressioni di prima approssimazione, trascurando i termini contenenti a fattore λ rispetto ai termini che non lo contengono. Si ottengono le seguenti espressioni di prima approssimazione:

( )Ω

ϕ

ϕΩϕsin

cos1rvrs

BI

BI

=−=

cos2raBI =

(6.27)

otiamo che una valutazione grafica dell'errore che si commette

s dall'esame della fig. 6.19. In questa figura il porto vBI /Ω è dato invece dalla proiezione su OS

el segmento OA. Può essere comodo per la esecuzione di procedime

grafici, di cui faremo uso nello studio della dinamica delle macchine, utilizzare oltre alle relazioni sopra trovate, diagrammi che le rappresentino g

del corsoio in funzione delle posizioni occupate dal piede di biella.

Con le espressioni di prima approssimazione (6.27lunghezze vBI /Ω ed aBI /Ω2 ed in ascisse lo spostamento sBI si vede subito che

BI BI BI

con coefficiente angolare -1 che incontra l'asse delle ascisse in sBI = r. Si hanno cioè i diagrammi di fig. 6.36 a) e b).

Nostituendo vBI a vB si ha egmento OS vale vB /Ω; il raps

dnti di calcolo analitico-

raficamente; in particolare i diagrammi che danno la velocità e l'accelerazione

) riportando in ordinate le

la vBI /Ω(sBI) è una circonferenza di raggio r con il centro sull'asse delleascisse nel punto s = r; e che la funzione a /Ω2(s ) corrisponde ad una retta

Page 167: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

ell'accelerazione del corsoio nel manovellismo di Fig. 6.36 - Diagrammi di prima approssimazione della velocità e d

spinta centrato.

Fig. 6.37 - Accelerazione del corsoio nel manovellismo dl spinta centrato. Considerando le espressioni (6.24), (6.25), (6.26) si hanno diagrammi di

forma meno semplice. Il diagramma della vB /Ω(sB) ha, in particolare, un solo asse di simmetria, l'asse delle ascisse. Il diagramma della aB /Ω2(sB) (fig. 6.37) ha andamento che si presta bene ad una costruzione grafica; la curva rappresentativa è infatti una parabola. Ciò risulta facilmente dall'esame delle (6.24), (6.26). Queste possono scriversi:

ϕλϕΩ

ϕλϕλ

2coscos

2cos4

cos4

1

2+=

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ +−=⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ +−

rars

B

B

dalle quali si ottiene:

ϕΩ

λ

ϕλΩ

λ

cos43

441

2cos43

41

2

2

−=+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +−

=+⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +−

ra

rs

ra

rs

BB

BB

Page 168: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Osservando che: 1cos22cos 2 −= ϕϕ

si conclude che fra sB ed aB esiste una relazione parabolica del 2° grado. In

corrispondenza dei punti morti l'accelerazione vale

( ) ( )( ) ( λΩ

λΩ

πϕ

ϕ

−−=

+=

=

=

1

12

20

ra

ra

B

B )

a al punto morto interno. Risulta:

Pertanto la corda del segmento di parabola risulta spostata di rλ, secondo l'asse delle ordinate, rispetto al diagramma di prima approssimazione (fig. 6.37). Potrebbe facilmente mostrarsi che le tangenti condotte all'arco di parabola per i punti estremi si incontrano nel punto T di ascissa r(1+ λ) e di ordinata -3λr. Individuato il punto T l'arco di parabola può essere tracciato per tangenti.

Il valore massimo dell'accelerazione si h

( )λΩ += 12max raB

ERI ARTICOLATI SPAZIALI. IL GIUNTO DI CARDANO

Un sistema articolato con almeno quattro membri può essere impiegato per

trasmettere il moto fra due alberi con assi generalmente sghembi. II meccanismo deve avere, ovviamente, almeno un grado di libertà. In fig. 6.38 sono rappresentati alcuni quadrilateri; i primi due a) e b) hanno un sol grado

uò controllarsi applicando la (1.2); il meccanismo c) ha anche un secondo grado di libertà interno (la biella può ruotare attorno ad un

sse). Fra tali meccanismi ha particolare interesse il meccanismo di fig. 6.38 a

i concorrenti in un punto. ella disposizione consueta gli assi delle coppie rotoidali di uno stesso

membro formano fra loro angoli retti (fig. 6.39) e concorrono in un punto; pertanto il meccanismo è un quadrilatero «sferico trirettangolo». Nelle applicazioni tecniche si dà ad esso il nome di giunto di Cardano.

Di norma le coppie rotoidali di un giunto di Cardano sono dotate di s

6.14. QUADRILAT

di libertà, come p

a) che è l sistema articolato spaziale di gran lunga più diffuso. Esso viene

impiegato per trasmettere il moto fra alberi con assN

pallamenti, o comunque possono subire soltanto piccolissimi spostamenti assiali; sono cioè coppie di tipo R (v. paragrafo 1.4).

Page 169: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 6.38 - Quadrilateri articolati spaziali.

Fig. 639- 1/ giunto di Cardano

I vincoli sovrabbondanti che in tal modo rendono addirittura negativo (-2) il numero dei gradi di libertà del meccanismo calcolato con la (1.2) sono, in realtà, ripetizione di vincoli esistenti; in sostanza il meccanismo può funzionare correttamente in virtù dell'accuratezza dell'esecuzione (tolleranza geometriche relativamente piccole) e della presenza di giuochi.

Lo studio cinematico del giunto di Cardano ed in particolare il calcolo del rapporto fra le velocità angolari istantanee del cedente e del movente ha notevole interesse applicativo; passiamo ad effettuarlo.

Indichiamo con Ω1, Ω3, le velocità angolari dei due membri 1 e 3 (rispettivamente movente e cedente), con φ1, φ3, gli angoli descritti dagli assi OA ed OB (assi delle coppie rotoidali che collegano il membro 2 rispettivamente al membro 1 ed al membro 3), misurati a partire dalla posizione in cui QA è ortogonale al piano individuato dagli assi di rotazione dei membri 1 e 3, mentre OB giace sul piano stesso. E’ intanto:

, dt

d 33

ϕΩ =dt

d 11

ϕΩ = (6.28)

Per trovare il rapporto di trasmissione Ω3/ Ω1, basta trovare una relazione fra φ1 e φ3. A tale scopo si consideri la fig. 6.40. Durante la rotazione del membro 1 il raggio OA si mantien ll'asse di rotazione del membro 1. Il raggio OB si mantiene sul piano π3, ortogonale all'asse di rotazione del membro 3. Prendiamo una terna cartesiana di riferimento come indicato nelle figg. 6.40 a) e b): l'asse x coincidente con l'asse di rotazione del membro 1, l'asse z sulla intersezione dei piani π1 e π3, l'asse y ortogonale agli altri due e quindi giacente sul piano π1.

e sul piano π1, ortogonale a

Page 170: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Cerchiamo i coseni direttori dei raggi OA ed OB ed imponiamo la condizione di ortogonalità; avremo la relazione cercata fra φ1 e φ3. I coseni direttori di OA ed OB sono rispettivamente

333

11

sincoscossincoscossin0

ϕαϕαϕϕϕ

−−−

Fig. 6.40 - Sistemi di riferimento nel giunto di Cardano.

Per la condizione di ortogonalità si ottiene:

αϕϕϕϕ coscossinsincos 3131 =

ossia

αϕϕ costanta 1n 3 =

(6.29)

Derivando rispetto al tempo si ha per le (6.28):

12

1

32

3

coscos

cos ϕαΩ

ϕΩ

=

ossia

11 s2ϕ3

23

cocoscos ϕα

ΩΩ

=

Introducendo in quest'ultima relazione la (6.29) si ha

[ ]αϕϕα

ΩΩ

21

21

21

3

costan1coscos+

=

che esprime il rapporto di trasmissione in funzione della variabile

Page 171: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

indipendente φ1. Con qualche passaggio si ha anche:

αϕα

ΩΩ

21

21

3

sinsin1cos

−= (6.30)

Fig. 6.41 - Rapporto di trasmissione in fun one ente nel giunto di Carda .

e il rapporto di trasmissione varia

con φ1, oscillando, intorno ad un valore medio ovviamente unitario, tra due alori estremi che valgono 1/cosα e cosα. L'andamento corrispondente è

sentato in fig. 6.41. La differenza fra il valore massimo ed il valore trasmissione vale:

zinodella rotazione del mov

che è la relazione cercata. Essa esprime ch

vrappreminimo del rapporto di

αααα

tasincoscos

1=− n

Per angoli piccoli, quali sono di solito quelli che si incontrano nelle applicazioni α2, ossia è proporzionale al quadrato

golo formato dagli assi dei due alberi tra cui si trasmette il moto. Peri piccoli valori di α la (6.30) può essere ridotta a forma intera; basta

trascurare rispetto ad 1 i termini contenenti α con un esponente maggiore di 2. Si ottiene:

pratiche, tale differenza vale circa dell'an

11 2Ω

23 2cos1 ϕαΩ

−= (6.31)

che nella maggior parte dei casi sostituisce molto bene la (6.30). La (6.31) si

presta bene per lo studio dei fenomeni dinamici (oscillazioni torsionali forzate)

Fig. 6.42 - Il doppio giunto di Cardano.

che possono nascere in un sistema elastodinamico che sia trascinato da un giunto di Cardano.

Page 172: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Per ovviare agli inconvenienti che possono derivare dalla variabilità del pporto di trasmissione si può fare ricorso ad un doppio giunto di Cardano. i consideri il dispositivo di fig. 6.42, costituito da due giunti di Cardano ollegati in serie, con sei membri ed altrettante coppie rotoidali (con

zero, ma algono le stesse considerazioni fatte poc’anzi).

pettivamente 3 e 5. Indichiamo poi on α13 ed α35 gli angoli compresi fra gli assi dei membri 1,3 e 3,5. Si può scrivere per la (6.30):

raScsvpallamenti: il numero dei gradi di libertà calcolato con la (1.2) è

Calcoliamo il rapporto di trasmissione fra il cedente 5 ed il movente 1. Indichiamo con φ3’ e φ3” gli angoli che individuano la posizione degli assi delle coppie rotoidali che uniscono il membro 3 al membro 2 e rispettivamente al membro 4; gli angoli φ3’ e φ3” si misurano a partire dalla posizione nella quale gli assi delle coppie rotoidali sono ortogonali al piano contenente gli assi degli alberi 1 e 3 e risc

13

313

32

352

35

3

13

5

1

5

cossinsin1 αϕαΩΩΩΩ ′′−

=== 22 sinsin1cos1 ϕααΩΩ ′−

Se l’albero intermedio è disposto in modo che sia

, 33 ϕϕ ′′=′ 3513 αα =si ha

11Ω5 =

Ω

ca. La soluzione b) si comporta come un giunto di Oldham, ma è di regola

ossia la trasmissione diviene omocinetica

Fig. 6.43 - Trasmissioni omocinetiche realizzate mediante il doppio giunto di Cardano. Come caso particolare gli assi degli alberi 1 e 5 possono essere complanari,

incidenti o paralleli (fig. 6.43). La soluzione a) risponde alle stesse esigenze del semplice giunto di Cardano; è più elaborata e costosa, ma è omocineti

Page 173: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

d

ppio giunto di ero intermedio

suddiviso in due metà.

Nelle applicazioni del doppio giunto di Cardano l'albero inregola suddiviso in due parti tra loro accoppiate prismaticamente (v. fig. 6.44). Il meccanismo ha ora 7 membri ed ha un grado di libertà. È pertanto un meccanismo cinematicamente corretto, anche nei casi in cui le tolleranza g ne è molto interessante, p ti nel montaggio in opera della trasmissione sui supporti del telaio), sia anche deformazioni del telaio stesso in condizioni di esercizio.

s

ecisamente preferibile al giunto di Oldham per i motivi a suo tempo citati. Fig. 6.44 - Do

Cardano con alb

termedio è di

eometriche siano relativamente ampie. La soluziorché tollera sia errori di montaggio (assai frequene

Fig. 6.45 - I sistemi di riferimento

olidali con i membri del quadrilatero co.

articolato sferi

πα23

1 = , πα23

2 = , 23

πα = , αα =4

04321 ==== aaaa

04321 ==== ssss Applichiamo, ora, al giunto semplice di Cardano il procedi

cinematica per sistemi articolati illustrato nel paragrafo mento di analisi

6.12. Fissati i sistemi

Page 174: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

d . 6.45), si possono scrivere l

i riferimento S ik ed S j

k solidali con i singoli membri (v. fig[ ]ij [ ]ji

lkM e e matrici kG relative a ciascun membro. Si ottiene:

[ ]⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

⎡−

=

1000010000cossin00sincos

4141

4141

41

φφφφ

ijM [ ]⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

⎡−

=

1000001001000001

1jiG

[ ]⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

⎡−

=

1000010000cossin00sincos

1212

1212

12

φφφφ

ijM [ ]⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

⎡−

=

1000001001000001

2jiG

[ ]⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

⎡−

=

1000010000cossin00sincos

2323

2323

23

φφφφ

ijM

[ ]⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

−=

1000001001000001

3jiG

[ ]⎥⎥⎥⎥

⎢⎢⎢⎢

⎡−

=

1000010000cossin00sincos

3434

3434

34

φφφφ

ijM

i osservi che, date le caratteristiche del meccanismo (quadrilatero sferico), le matric hanno mpre guali a zero i primi tre elementi della quarta colonna, corrispondenti ai termini di traslazione.

Esprimiamo, ora, la trasformazione di coordinate relativa all'anello chiuso costituito dai membri 1, 2, 3 e 4 nella forma della (6.19). Si ottiene:

[ ]⎥

⎤⎢

=

100

000

4jiG

1

⎥⎥

⎢⎢⎢

− 0cossin00sincos0

αααα

0 S

i se u

[ ][ ][ ][ ][ ][ ][ ][ ] [ ]IGMGMGMGM ijijijijijijijij =434323212141 (6.32)

Eseguiti i prodotti, si perviene al seguente sistema di equazioni: C1C2C3C4+S1S3C4-C1S2S4=1 Cα C1 C2 C3 S4 - Sα C1 C2 S3 + Cα S1 S3 S4 + Sα S1 C3 + Cα C1 C2C4 = 0 Sα C1 C2 C3 S4 + Cα C1 C2 S3 + Sα S1 S3 S4 - Cα S1 C3 + Sα C1 S2 C4 = 0 -S1C2C3C4+C1 S3C4+S1 S2 S4=0

Page 175: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

-Cα S1 C2 C3 S4 + Sα S1 C2 S3 + CαC1 S3 S4 + Sα C1 C3 - Cα S1 S2 C4 = 1 -Sα S1 C2 C3 S4-Cα S1 C2 S3+ Sα C1 S3 S4-Cα 3-Sα S1 S2C4=0 -S2C3C4-C2S4=0 -Cα S2 C3 S4 + Sα S2 S3 + Cα C2 C4 = 0

α S2 C3 S4-Cα S2 S3+Sα C2 C4 = 1 avendo posto:

C1 C

-S

αααα φφφφφφφφφφ

cossincoscoscoscossinsinsinsin

344233122411

344233122411

==========

CSCCCCSSSS

Si osservi che le equazioni del sistem o solo 9, in quanto le 3 che si

otterrebbero uguagliando i termini di traslazione della (6.32) si riducono ad identità. Dalle equazioni del sistema si ricavano, dopo alcuni passaggi, 3 equazioni indipendenti nelle 4 variabili Φ41, Φ12, Φ23, Φ34:

a son

000

432

321

143

=+=+=−

TCTCTT

TCTS

α

α

C (6.33)

avendo posto:

411 tanφ=T ; 122 tanφ=T ; 3 tan 23φ=T ; 344 tanφ=T Dalle (6.33) si ricava, infine, la relazione tra ingresso e uscita del

meccanismo: T1T4 = Cα (6.34)

i riferimenti rispetto ai quali sono misurati gli Si ha, infatti, (v. fig. 6.46):

che è riconducibile alla forma (6.29) ove si tenga conto dei divers

angoli di cui ruotano i membri 1 e 3.

1411 tan1tan ϕφ −==

3344 tantan ϕφT −==T

per cui la (6.34) diventa

tan φ3=tan φ1 cosα.

Page 176: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 6.46 - Sistemi di riferimento per la misura delle rotazioni de

Cardano.

6.15. ESEMPIO DI ANALISI CINEMATICA DI SISTEMI ARTICOLATI IN CATENA APERTA: MANIPOLATORE

etodo esposto è applicabile anche per l'analisi cinematica di sistemi in catena aperta. Si consideri, ad esempio, il manipolatore per robot rappresentato nella fig. 6.47. Esso è costituito da 6 membri più il telaio, indicato con 0, accoppiati mediante coppie rotoidali: il

eccanismo ha, pertanto, 6 gradi di libertà. In questo caso, nota la posizione i deve scrivere la (6.21) nella quale compaiono le

matrici

i membri di ingresso e di uscita nel giunto di

PER ROBOT Come abbiamo visto, il m

mdel membro terminale 6, s

[ ]ij [ ]jilkM e kG

ali (v.determinate in base ad un'opportuna scelta dei sistemi di

riferime c fig. 6.48),nto lo e la matrice [ ]B , composta da termini noti. Si perviene al seguente sistema di 12 equazioni:

Page 177: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 6.47 - a) Manipolatore PUMA 560 della Unimation Inc.; b) schema cinematico del manipolatore.

Fig. 6.48 - Sistemi di riferimento per ί membri del manipolatore PUMA 560 della Unimation Inc.

β11 = C1 Cμ C4 C5 C6+C1 Sμ S5 C6+S1 S4 C5 C6 +C1 Cμ S4 S6 -S1 C4 S6 β12 = C1 Cμ C4 C5 S6+C1 Sμ S5 S6 + S1 S4 C5 S6 - C1 Cμ S4 C6 + S1 C4 C6 β13 = C Cμ C4 S - C1 Sμ C5 + S1 S4 S5 β14 = s34 C1 Sμ - a2 C1 C2 - s12 S1 β21 = -S1 Cμ C4 C5 C6 - S1 Sμ S5 C6 + C1 S4 C5 C6 - S1 C

1 5

μ S4 S6 - C1 C4 S6

22 = -S1 Cμ C4 C5 S6 - S1 Sμ S5 S6 + C1 S4 C5 S6 + S1 Cμ S4 C6 + C1 C4 C6 β23 = -S1 Cμ C4 S5 + S1 Sμ C5 + C1 S4 S5 β

Page 178: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

β24 = -s34 S1 Sμ + a2 S1 C2 - s12 C1 β31 = Sμ C4 C5 C6 - Cμ S5 C6 + Sμ S4 S6 β32 = Sμ C4 C5 S6 - Cμ S5 S6 - Sμ S4 C6 β33 = Sμ C4 S5 + Cμ C5 β34 = -s34 Cμ - a2 S2 avendo posto:

(i = 1, 2, …, 6) iiiS ,1sin −= φ ; iiiC ,1cos −= φ( )2312sin φφμ +=S ; ( )2312cos φφμ +=C

Da t

nelle incognite Φ01, Φ12, Φ23, Φ34, Φ45 e Φ56. Le variabili indipendenti sono rappresentate dai tre valori β14, β24 e β34, corrispondenti alle coordinate dell'origine del sistema di riferimento solidale con il membro 6, e da 3 dei coseni direttori βij ( i, j = 1, 2, 3) degli assi del medesimo sistema rispetto a quello fisso (si ricordi che solo 3 dei 9 coseni direttori sono indipendenti). Le equazioni risultanti sono:

lle 12 equazioni del sistema si possono estrarre 6 equazioni indipenden i

( ) ( ) 02/0

234222

22343

12124114

=−−+−

=++

asBAasSsCS ββ

( ) ( )[ ] ( ) 0/2/tan 12 =+++−− ACBDCBBDAAφ ( )πφπ <<− 12 ( ) 05 =−+− μμ MSFCC

( )[ ] 02tan 55534 =+− CSMSCGS μμφ ( )πφπ <<− 34 ( ) ( )[ ] ( ) 0/2/tan 56 =+−++− LSNRSNNRLLφ ( )πφπ <<− 56

dove:

;;;

;;

;;

2

4332334 β3343424114 β

==

μ==ββ

;; 3554123113 βββ μμ =−=−= RSCCCSNSCM−=−=

SSLCsC

FB

aSsDSCA

=S ;31β L' nali i cinetostatica di n ma s u eccanismo consiste nella determinazione delle

azioni motrici e di quelle che i membri si trasmettono mutuamente per effetto d derivano dal m v e o. L'analpreceduta dall'analisi cinemd altre eventuali azioni dipendenti dalla

elle azioni applicate dall'esterno, ivi comprese quelle cheo imento d l meccanism isi cinetostatica deve quindi essere

ne di poter valutare le azioni di inerzia, atica, al fiipendenti dall'accelerazione, ed

Page 179: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

v iderate come esterne ed il problema è trattato con i metodi dell i

ntetizzati nel modo s

apposizione (per via grafica o analitica); d b (analitico);

rtura della catena cinematica (analitico). metodo della sovrapposizione consiste nell'applicare le azioni esterne,

n o membro per volta e nel determinare, per via grafica o analitica, le corrispon denti azioni motrici e quelle scambiate tra membro e membro. I valori cercati delle incogn si ottengono relativi a ciascun membro.

metodo globale è di tipo analitico. Si considerano le azioni esterne note su tu

a sull'osservazione che per i meccanismi in catena aperta le equazioni esprimenti le condizioni di equilibrio si possono scrivere e risolvere membro per membro. II metodo procede aprendo la catena in corrispondenza di una generica coppia cinematica e sostituendo ai vincoli soppressi le corrispondenti reazioni, che possono essere determinate nel modo seguente. Si considera una delle due catene aperte in cui il meccanismo resta diviso e si esp quilibrio per l membro di estremità e per i gruppi to si posson formare aggiungendo, uno per volta e uno d i membri della atena considerata (prima il membro di estremità, poi questo insieme al

membro che lo precede e così via). Trovate le reazioni vincolari in c ndenza della coppia aperta, le altre incognite si determinano risolvendo, una per volta, le equazioni di equilibrio relative a ciascun membro.

Si consideri, ad esempio, il quadrilatero articolato piano della fig. 6.49 a), dove si è indicato con T1, l'azione motrice esterna, incognita, con F2, F3, T2, T3 le azioni esterne note sui membri 2 e 3. Le incognite del prob ema sono le reazioni vincolari nelle coppie rotoidali ed il valore dell'azione motrice T1 , che può essere una forza, una coppia o l'insieme delle due. Considerando le componenti delle forze nelle direzioni x e y si hanno in tutto 9 incognite.

elocità. Tali azioni sono consa stat ca.

dell'analI metodi isi cinetostatica possono essere sieguente: a) metodo della sovrb) meto o glo alec) metodo dell'apeIIote, ad un sol

ite sovrapponendo gli effetti

IItti i membri del meccanismo e si scrivono le equazioni di equilibrio di

ciascun membro. Si perviene ad un sistema di equazioni lineari simultanee che, anche per meccanismi relativamente semplici, può risultare complesso e richiedere metodi risolutivi relativamente lunghi e laboriosi.

Si può convenientemente ricorrere, allora, ad un metodo più semplice, quello dell'apertura della catena cinematica, che trova applicazione nel caso di catene cinematiche chiuse, composte da membri binari e staticamente d terminate. Esso si fonde

rimono le condizioni di e i di membri che con ques o

i seguito all'altro, c

orrispo

l

Page 180: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 6.49 - Analisi cinetostatica di un quadrilatero articolato piano con il metodo dell'apertura della catena

cinematica. Aperto il quadrilatero in corrispondenza della coppia rotoidale A (v, fig. 6.49

b)), si consideri la catena ABO3 costituita dai membri 2 e 3. Si possono scrivere le equazioni di equilibrio del membro 2 e dei membri 2-3 per rotazioni attorno a B e, rispettivamente, ad O3. Indicati con b2x, b2y i bracci di F2x, F2y rispetto a B, con c2x, c2y, c3x, c3y, i bracci di F2x, F2y, F3x, F3y rispetto ad O3 ,con b12x, b12y, c12x, c12y, i corrispondenti bracci di S12x, S12y, si ha:

S b - S b - F b + F b - T = 0 12x 12x 12y 12y 2 2x 2y 2y 2 S12x c12x + s12y c12y - F2x c2x - F2y c2y + T2 - F3x c3x - F3y c3y + T3 = 0 ovvero

00

312121212

12121212

=++

=+−

eOyyxy

eByyxx

TcScSTbSbS

avendo posto

( )( )3333322222

22222

3TcFcFTcFcFT

TbFbFT

yyxxyyxxeO

yyxxeB

−++−+−=

+−−=

Si ricava:

( ) ( )( ) ( )xyyxxeOxeBy

xyyxyeOyeBx

cbcbbTcTS

cbcbbTcTS

12121212121212

12121212121212

/

/

3

3

+−−=

++−=

Le altre incognite si determinano esprimendo le condizioni di equilibrio per

ciascun membro. In questo caso si hanno 7 equazioni non simultanee, ciascuna con una sola incognita.

Quando interessa determinare solo l'azione motrice, e non interessa invece determinare le forze che i vari membri si trasmettono fra loro, i metodi energetici (principio dei lavori virtuali, equazioni di Lagrange) permettono di affrontare il problema in modo generalmente più semplice. Su questo punto avremo modo di tornare quando tratteremo la dinamica delle macchine.

Concludiamo con l'analisi cinetostatica del quadrilatero articolato piano

Page 181: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

condotta per via grafica, nella quale viene messo in evidenza l'effetto dell'attrito nelle coppie rotoidali.

AI bilanciere O3B del quadrilatero di fig. 6.50 sia applicata una forza esterna Q di intensità e linea di azione note. Alla manovella sia applicata la forza motrice P la cui linea di azione è nota. Sono noti i raggi dei circoli di attrito delle coppie rotoidali. Si vuole trovare il valore di P capace di equilibrare la Q in presenza di attrito, in condizione di moto diretto.

Fig. 6.50 - Quadrilatero articolato piano.

I bilanciere 3 sono applicate le seguenti forze: la forza A Q, la forza S23 trasmessa dal membro 2, la forza S asmessa dal membro 4. Queste forze sono tangenti ai circoli di attrito de c r o r trovare da quale parte, ri c deriamo il moto relativo fra i singoli membri. Nella configurazione indicata l'angolo β tende a diminuire per uno spostamento orario della manovella; ciò significa che la reazione 32 del bilanciere contro la biella è tangente in B al circolo d'attrito inferiormente. L'angolo θ3 tende invece ad aumentare. Ciò significa che la forza S43 è tangente in O3 al circolo d ente.

Alla biella sono applicate due sole forze la S32 e la S12 . Questa seconda è tangente in A al circolo di attrito superiormente perché l'angolo α tende ad aumentare. Le forze applicate alla biella hanno quindi la linea di azione indicata i a). Si può ora trovare la linea di azione della S43.

ente si trova, per l'equilibrio della manovella, la linea di azione della S41.

L'angolo β (detto angolo di trasmissione) non deve essere troppo piccolo; altrimenti, a parità di Q, la forza S23 e quindi la P possono risultare molto g

43 trlle oppie ot idali. Pe

spetto alla direzione ideale, le forze interne sono tangenti ai rispettiviircoli di attrito, consi

S

i attrito inferiorm

n fig. 6.51 Analogam

randi. Di solito si cerca di mantenere l'angolo (β al disopra dei 30° per qualunque configurazione del quadrilatero. Su tale condizione sono basati criteri di ottimizzazione del quadrilatero cui si è accennato alla fine del paragrafo 6.4.

Page 182: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 6.51 - Analisi cinetostatica dì un quadrilatero articolato piano condotta per via grafica tenendo canto dell'attrito

nelle coppie rotoidali.

Si osserva che perché il telaio 4 sia in equilibrio occorre che i vincoli esterni

esercitino su di esso azioni che diano luogo ad una risultante che equilibri la ri , co e del resto è ovvio per l'equilibrio globale del sistema, una risultante che equilibri la risultante di P e di Q).

B

n, and the execution of prescribed trajectories, Part 1: Basic concepts, ASME Trans., J. of Mechanisms, Transm., and Autom. in Design, Vol. 197, pagg. 170-178, 1985.

MAGNANI P.L., RUGGIERI G., Meccanismi per macchine automatiche, UTET, Torino, 1986. PAUL B., Kinematics and dynamics of planar machinery, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, 1979. SUH C.H., RADCLIFFE C.W., Kinematics & mechanisms design, J. Wiley & S., New York, 1978.

sultante delle S14 ed S34 (ossia m

Se, invece delle forze Q e P, sono applicate al cedente ed al movente del quadrilatero delle coppie pure, i ragionamenti sopra esposti si semplificano; le forze S41, S21, formano fra loro coppia, come formano coppia le forze S23, S43; queste forze hanno quindi tutte la stessa intensità e sono fra loro parallele. Anche sul telaio si esercita dall'esterno una coppia pura, uguale in valore assoluto alla differenza fra le coppie motrice e resistente.

IBLIOGRAFIA

ERDMAN A.G., SANDOR G.N., Mechanism design: analysis and synthesis, PrenticeHall, Englewood Cliffs, 1984.

HAIN K., Applied kinematics, New York, McGraw-Hill, 1967. LITVIN F.L., PARENTI CASTELLI V., Configurations of robot's manipulators and

their identificatio

Page 183: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Capitolo 7 Meccanismi con camme 7.1. GENERALITÀ La camma è un organo meccanico atto a realizzare una determinata legge

di moto, il cui andamento dipende dalla forma della camma stessa. Esistono anche altri meccanismi con i quali si possono ottenere leggi di moto con determinate caratteristiche, ma nessuno permette di ottenere, in generale, leggi di moto anche complesse con la precisione e la relativa semplicità offerte dai meccanismi con camme. Ciò spiega la grande diffusione di questi ultimi, specialmente nelle macchine automatiche veloci.

Di solito, la camma è inserita in un meccanismo che comprende almeno tre membri (movente, cedente e telaio), con due coppie elementari e una coppia superiore (v.fig.1.15). La camma svolge comunemente la funzione di movente.

I meccanismi con camme possono essere classificati in base a diversi criteri, meglio specificati qui di seguito.

Un primo criterio di classificazione è quello di considerare il tipo del moto - rotatorio o traslatorio - della camma e del membro a contatto con essa attraverso la coppia superiore. II moto rotatorio può essere continuo o alternato, mentre quello traslatorio può essere solo alternato. Nei casi più frequenti, la camma è movente ed è dotata di moto rotatorio continuo, mentre il cedente è dotato di moto alternato; se la camma è traslante, essa prende anche il nome di sagoma (v. fig. 7.1 a)); se il cedente si muove di moto traslatorio, esso si dice punteria (v. fig. 7.,1 b)), mentre se il suo moto è rotatorio alterno, esso viene detto bilanciere (v. fig. 7.1 c)).

Page 184: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 7.1 - Meccanismi con diversi tipi di camme (1) e di cedenti

(2):a) sagoma traslante con punteria a rotella; b) camma piana con punteria a piattello curvo; c) camma piana con bilanciere a piattello piano.

Fig. 7.2 - a) Camma piana con punteria a rotella; b) camma

cilindrica con punteria a rotella.

Le camme si possono poi classificare in base alla loro forma. Esistono, così,

camme piane o a disco (v. fig. 7.2 a)), camme cilindriche (v. fig. 7.2 b)), ed altri tipi meno comuni (camme coniche, camme sferiche, camme spaziali o cammoidi, ecc.).

Si distinguono poi diversi tipi di cedenti, a seconda della forma che assume l'elemento cinematico a contatto con la camma. Si possono avere cedenti a spigolo vivo meglio, con raggio di curvatura molto piccolo), usati molto raramente e solo se le forze in gioco sono molto modeste (v. fig. 7.3 a)); cedenti a piattello (piano o curvo), impiegati in alcuni casi (motori endotermici alternativi) perché danno luogo a meccanismi compatti e robusti (v. fig. 7.3 b)); cedenti a rotella (v. fig. 7.3 c)), molto usati perché il contatto di rotolamento fra camma e cedente riduce l'attrito e l'usura.

Fig. 7.3 - Tipi di cedente: a) a

spigolo vivo; b) a piattello piano; c) a rotella.

Page 185: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

I meccanismi con camme si distinguono poi a seconda del modo in cui viene mantenuto il contatto fra la camma e il cedente. Se tale contatto è assicurato dall'azione di forze esterne applicate, di solito, mediante molle, si dice che l'accoppiamento – o il contatto - è di forza. (v. fig. 7.1);. invece è la geometria stessa dell'accoppiamento ad assicurare tale contatto, si parla di accoppiamento - o contatto - di forma, detto anche a comando positivo. Il comando positivo si realizza per esempio impegnando la rotella del cedente in un solco (v. fig. 7.4 a)), oppure (v. fig. 7.4 b)) utilizzando un doppio cedente (costituente un unico membro del meccanismo) impegnato su una doppia camma (in entrambi i casi, il raddoppio del contatto camma-cedente rende tale contatto bilaterale, senza alterare il numero dei membri o delle coppie cinematiche; si confronti il § 1.2).

Fig. 7.4 - Esempi di camme a comando positivo.

7.2. LA LEGGE DI MOTO DEL CEDENTE Si dice legge di moto del cedente la legge secondo la quale il cedente si

sposta, mosso dalla camma, in funzione del tempo. Indicando con y lo spostamento (lineare o angolare) del cedente, la legge del moto sarà un'espressione del tipo:

y=y(t). (7.1)

Di solito, però, interessa conoscere la posizione del cedente non tanto in

funzione del tempo, quanto, piuttosto, in funzione della posizione angolare della camma (o della posizione lineare, se si tratta di una sagoma). Se, come di solito accade, la velocità angolare della camma (o lineare della sagoma) è - o si può ritenere – cοstante, i due modi di assegnare la legge del moto sono del tutto equivalenti. Indicando con Ω la velocità angolare e con θ l'angolo di

Page 186: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

rotazione ( θ=Ω·t se Ω=costante) della camma, la legge di moto del cedente sarà un'espressione del tipo:

y = y (θ) =y(Ω·t) (7.2)

La velocità e l'accelerazione si otterranno derivando rispetto al tempo; se Ω=costante, si otterrà:

( )

( )ϑϑϑ

ϑϑϑ

yΩdtd

dydy

yΩdtd

ddyy

′′⋅=⎟⎠⎞

⎜⎝⎛=

′⋅=⋅=

••

22

2

2

Osserviamo che y(θ), y'(θ), y"(θ) dipendono solo dalla forma della camma,

mentre , , dipendono anche dalla sua velocità angolare. Nel caso di una sagoma, al posto dello spostamento angolare θ comparirà quello lineare, che indicheremo con x.

( )ty ( )ty•

( )ty••

La legge di moto del cedente comprende, in generale, quattro fasi (v. fig. 7.5): andata (A), sosta (S), ritorno (R), sosta (S); le due fasi di sosta, o una sola di esse, possono mancare. Indicheremo con β l'angolo di rotazione della camma corrispondente ad una determinata fase; la somma degli angoli β di tutte le fasi vale, evidentemente, 360°. Spesso, per comodità, si chiama legge di moto non la legge relativa a tutti i 360°, ma quella relativa ad una delle fasi attive (A o R), e si parla perciò di legge di moto dell'andata e legge di moto del ritorno.

Lo (spostamento totale del cedente in una fase attiva (spostamento lineare se si tratta di una punteria, angolare se è un bilanciere) si chiama alzata (o salto); nel seguito, lo indicheremo con H (v. fig. 7.5).

Fig. 7.5 - Fasi del moto del cedente: A = andata, S = sosta, R = ritorno. Le soste possono mancare. H è l'alzata.

Page 187: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

7.3. TRACCIAMENTO DI UNA CAMMA Supponiamo assegnata la legge di moto del cedente, nella forma y=y(θ), e

proponiamoci di disegnare la camma atta a imporre al cedente tale legge. Osserviamo che l'effettivo disegno della camma, una volta fase indispensabile per la sua costruzione, ha oggi scarso interesse, dato che le camme vengono di solito costruite con macchine utensili a controllo numerico, che non richiedono il preventivo tracciamento del contorno della camma da costruire. I procedimenti grafici che si impiegano per tracciare i profili delle camme aiutano però anche a comprendere le proprietà di queste, per cui riteniamo indispensabile farne cenno.

Se la camma da disegnare è una sagoma traslante e il cedente è una punteria a spigolo vivo, il contorno di tale sagoma (v. fig. 7.6 a)) coinciderà esattamente con la legge di moto del cedente, y=y(x) (v. 7.2). II profilo della sagoma dipende, oltre che dalla legge di moto, dalla sua velocità di traslazione (che supporremo costante) e dal tempo richiesto per lo spostamento totale H del cedente; la velocità e il tempo suddetti determinano infatti la lunghezza della sagoma. Osserviamo che quanto maggiore è tale lunghezza, tanto minore è l'inclinazione della sagoma (cioè l'angolo di pressione: si veda più avanti il § 7.6).

Fig. 7.6 - Tracciamento dì una sagoma: a) per punteria a spigolo vivo; b) per punteria a rotella.

Se si vuole disegnare il contorno di una sagoma che comanda una punteria

a rotella (v. fig. 7.6 b)), si procederà dapprima come nel caso precedente: si otterrà però, invece del contorno della sagoma, il luogo dei centri della rotella. Basterà allora, a questo punto, disegnare la rotella con il centro nei punti del luogo suddetto, per ottenere il contorno cercato come inviluppo delle circonferenze rappresentanti il contorno della rotella stessa. La sagoma potrebbe anche essere a comando positivo: in questo caso, i due contorni del solco entro cui si impegna la rotella saranno i due inviluppi delle circonferenze che rappresentano il contorno della rotella.

Page 188: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Per disegnare una camma cilindrica, è sufficiente disegnare la corrispondente sagoma piana, la quale va poi pensata «avvolta» sul cilindro. La lunghezza della sagoma piana sarà uguale a quella della circonferenza del cilindro. La pista della camma cilindrica avrà in realtà uno spessore radiale, di solito piccolo rispetto al raggio del cilindro; come cilindro di riferimento sul quale considerare avvolta la sagoma (al fine di determinare la lunghezza di questa) si assume di norma il cilindro medio. Se la sagoma di partenza ha una sola pista, la camma che si ottiene è detta anche «a bicchiere» (v. fig. 7.2 b)); se la sagoma è a comando positivo, si ottiene una camma cilindrica a comando positivo (v. fig. 7.7).

Nel tracciamento del profilo di una sagoma si è fatto uso del procedimento dell'inversione cinematica, che consiste nel disegnare il cedente nelle successive posizioni che esso viene ad assumere rispetto alla camma, considerata fissa (nel meccanismo cinematicamente invertito, pertanto, al telaio viene imposto un moto uguale ed opposto a quello compiuto dalla camma nel meccanismo reale). Tale procedimento, che nel caso delle sagome con punteria non ha bisogno di commenti, permette di disegnare anche i contorni delle camme piane, e può essere esteso ai casi di camme (sagome e camme a disco) con bilanciere. Noi ci limiteremo ad esporlo per i casi di camma piana con punteria a rotella, con punteria a piattello piano e con bilanciere a rotella, essendo priva di difficoltà l'estensione agli altri casi.

Fig. 7.7 - Tracciamento di una camma cilindrica a comando positivo con punteria a rotella.

Cominciamo a considerare il caso di una camma piana con punteria a

rotella (v. fig. 7.8 a)). Supponiamo per il momento che la punteria sia centrata, cioè che il suo asse incontri l'asse della camma. Fissato l raggio base R0 della camma e noto il raggio r della rotella, si trovi per prima cosa un punto O1 a distanza OO1 = R0+r dalla traccia O dell'asse della camma. Assunto quindi OO1 come riferimento, per un generico valore θi di θ si prenda una semiretta formante con OO1 un angolo θi, e su di essa si trovi il punto O1i a distanza OO1i = R0 + r + y(θi) da O. Il punto O1i è la posizione del centro della rotella rispetto alla camma, quando questa ha ruotato dell'angolo θi rispetto

Page 189: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

alla posizione iniziale; naturalmente, se la camma ruota in verso orario, l'angolo θi va preso in verso antiorario (e viceversa), in modo che il moto relativo fra la camma e il telaio rimanga lo stesso nel caso effettivo e nel meccanismo cinematicamente invertito. Ripetendo più volte la costruzione, per un sufficiente numero di valori dell'angolo θ, si trova il luogo dei centri della rotella (luogo che coinciderebbe con il contorno della camma, se il cedente fosse a spigolo vivo): tracciando adesso le circonferenze di raggio r con i centri nei punti O1i trovati, il contorno della camma si ottiene come inviluppo di tali circonferenze. Ovviamente, in corrispondenza delle fasi di sosta il contorno della camma è un arco di circonferenza di centro O, di raggio R0 per la sosta inferiore e di raggio R0 + H per la sosta superiore.

Se la punteria è eccentrica, cioè se il suo asse non incontra l'asse della camma, ma passa ad una distanza e (eccentricità) da esso, la costruzione precedente si modifica leggermente. Bisogna infatti tracciare innanzitutto una circonferenza di centro O e raggio e e calcolare la distanza

( ) 220 erRRa −+= (v. fig. 7.8 b)). Si tracciano poi le tangenti a tale

circonferenza e lungo queste, a partire dal punto di tangenza, si riportano le distanze Ra + y(θi) determinando così, anche in questo caso, i punti O1i. II resto del procedimento resta invariato.

Fig. 7.9 - Determinazione grafica del contorna di una camma piana

con punteria a piattello piano.

Se la punteria è a piattello piano (v. fig. 7.9), sulle semirette uscenti da O1i

riportano le distanze R0 + y(θi), e quindi per i punti così trovati si tracciano dei segmenti, rappresentanti il contorno inferiore del piattello: l'inviluppo ditali segmenti fornisce il contorno della camma.

Page 190: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 7.10 - Determinazione grafica del contorno di una

camma piana con bilanciere a rotella

Passiamo ora al caso del bilanciere a rotella (v. fig. 7.10). Supponiamo noti la distanza d fra l'asse della camma e quello del bilanciere, la lunghezza b di questo, e l'angolo Φ che il bilanciere forma con la retta passante per le tracce O e O2 degli assi di rotazione rispettivamente della camma e del bilanciere, nella configurazione iniziale (di sosta) del meccanismo. Rappresentiamo quindi quest'ultimo in tale configurazione, determinando anche la corrispondente posizione O1 del centro della rotella. Applicando il metodo dell'inversione cinematica, ruotiamo ora OO2 del generico angolo θi: il punto O2 cadrà in O2i, e il bilanciere formerà con OO2i l'angolo Φ + y(θi) (y è ora uno spostamento angolare). Questa osservazione permette di trovare facilmente il luogo delle posizioni occupate dal centro O1 della rotella, dalle quali, per inviluppo, si risale subito al profilo della camma.

7.4. ANALISI CINEMATICA L'analisi cinematica consiste nel determinare spostamento, velocità e

accelerazione del cedente, noti la forma della camma e il tipo di meccanismo. Tale problema si presenta raramente, perché di solito si conosce proprio la legge del moto del cedente e in base ad essa si determina la forma della camma. Non ci soffermeremo pertanto su questo problema, se non per esporre un metodo, utilizzabile per le camme piane, che peraltro serve anche a mettere bene in evidenza i legami fra legge del moto e forma della camma.

Consideriamo per primo un meccanismo con punteria a rotella (v. fig. 7.2 a)). E’ facile vedere che, nell'intorno di una sua qualunque configurazione, esso è cinematicamente equivalente ad un manovellismo di spinta avente per

Page 191: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

telaio lo stesso membro che è telaio nel meccanismo dato, per corsoio la punteria, la cui biella ha gli assi delle coppie rotoidali in corrispondenza dei centri di curvatura dei profili della camma e del cedente, e la cui manovella si muove solidale con la camma. Infatti, indicati con Q1 e Q2 i centri di curvatura dei profili rispettivamente della camma e della punteria nel loro punto di contatto, la distanza Q1 Q2 resta invariata per uno spostamento infinitesimo del meccanismo (o, se vogliamo, la distanza Q1 Q2 varia di un infinitesimo di ordine superiore. L'analisi cinematica del meccanismo camma-punteria può pertanto venire effettuata con i procedimenti grafici e analitici visti nel cap. 6 per il manovellismo di spinta. Naturalmente, per poter utilizzare tali procedimenti bisogna conoscere le effettive posizioni del centro di curvatura della camma: il metodo risulta pertanto di facile applicazione solo nel caso delle camme policentriche, il cui contorno è costituito da pochi archi di cerchio (di solito, due o tre per ogni fase attiva; si veda la fig. 7.11). Il procedimento può essere utilizzato anche in senso inverso, per trovare il centro di curvatura del profilo di una camma, conoscendo posizione, velocità e accelerazione del cedente.

Se la punteria è a piattello piano, il manovellismo cinematicamente equivalente ha biella di lunghezza infinita. La distanza L della normale ai due profili dall'asse della camma rappresenta, a meno di Ω, la velocità della punteria: ne segue che tale distanza (il cui valore massimo rappresenta la semilarghezza minima ammissibile per il piattello) ha l'espressione: L = y' (θ).

Fig. 7.11 - a) Camma policentrica con 4 archi (A-R-S) b) Manovellismo di spinta cinematicamente

equivalente per la posizione di figura.

Page 192: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Nel caso del meccanismo con camma e bilanciere, il sistema articolato cinematicamente equivalente è un quadrilatero articolato, la cui biella ha gli assi delle coppie rotoidali in corrispondenza dei centri di curvatura dei profili della camma e del bilanciere nel loro punto di contatto; il membro di ingresso (manovella o bilanciere) è solidale con la camma, mentre quello di uscita (che può essere, anch'esso, manovella o bilanciere, a seconda delle dimensioni dei vari membri: si veda il § 6.4) è solidale con il bilanciere del meccanismo di partenza.

7.5. ANALISI CINETOSTATICA Svolgiamo ora alcune considerazioni sulle forze che si trasmettono i membri

di un meccanismo con camma, con particolare riguardo al caso della camma a disco con punteria a rotella (v. fig. 7.12). Definiamo questo studio analisi cinetostatica, perché alcune delle forze in gioco (forza Q di fig. 7.12) possono essere originate da azioni d'inerzia (v. § 6.16).

Prescindendo dagli attriti, la forza di contatto fra camma e punteria è diretta secondo la normale ai due profili nel punto di contatto. L'angolo ci che tale direzione forma con l'asse del moto della punteria, chiamato angolo di pressione o di spinta, deve avere possibilmente valori piccoli in corrispondenza delle intere fasi attive. Per rendersene conto, basta osservare che, con le notazioni di fig. 7.12 (Q è la forza resistente utile), la forza S12 trasmessa dalla camma alla punteria e le reazioni R32a, R32b della guida prismatica hanno le espressioni:

Fig. 7.12 - Forze agenti sulla punteria. Si è indicato con φ

l'angolo d'attrito, supposto uguale per i due collari, e con α l'angolo di pressione.

Page 193: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

( )

( )( )

( ) ϕαϕαα

ϕαϕαααα

sinsin2coscossin

sinsin2coscossin

sin2cos

32

32

12

cbbQcbR

cbbcQR

cbfbbQS

b

a

+−+

=

+−=

+−=

dove f è il coefficiente d'attrito ( f=tgφ ) e c, trascurando l'effetto della

dimensione trasversale dello stelo della punteria, si valuta con l'espressione (v. fig. 7.12):

c = a - (R0 + r + y). In particolare, se l'angolo d'attrito φ è molto piccolo, la forza S assume

l'espressione approssimata:

S ≈Q/cos α da cui si desume che è sempre conveniente mantenere α al di sotto dei 40-

50° circa. Osserviamo poi che occorre evitare (e con ragionevole margine di

sicurezza) che la retta d'azione della forza S passi per il punto d'incontro K delle rette d'azione delle forze R32a e R32b. Infatti, se la retta d'azione della S passasse per K, una forza S12 comunque grande potrebbe sempre essere equilibrata dalle sole reazioni R32a e R32b. Per equilibrare la forza resistente Q occorrerebbe una forza S12 addirittura infinita. Se, poi, la retta d'azione della S12 passasse (con riferimento alla fig. 7.12) a sinistra del punto K, l'equilibrio della punteria potrebbe essere assicurato soltanto da una forza Q orientata verso l'alto. In tali condizioni il meccanismo si impunta, cioè non può, di fatto, funzionare.

Prescindendo (come di solito è lecito fare) dagli attriti nel contatto cammapunteria, la condizione limite sopra indicata si può esprimere con la seguente relazione:

( )cbfb

2tan

+≤α

dove i simboli hanno i significati indicati nella fig. 7.12. Questa relazione può

essere facilmente ricavata trovando il valore di α per il quale il modulo di S diventa infinito (e la retta d'azione della S passa per K).

Nel caso della punteria a piattello piano, l'angolo di pressione è nullo, il che costituisce un non trascurabile vantaggio di questa soluzione. II pericolo di

Page 194: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

impuntamento può ancora presentarsi, sia pure raramente, se il punto di contatto fra camma e piattello è molto discosto dall'asse della punteria.

Nel caso del bilanciere, la condizione di impuntamento non può praticamente verificarsi. Anche in questo caso, però, è opportuno che l'angolo di pressione (definito come angolo fra la retta d'azione della forza trasmessa fra camma e cedente, e direzione della velocità del centro della rotella) sia piccolo, affinché le forze trasmesse non raggiungano valori troppo elevati (come si é visto nel caso della punteria).

7.6. ANGOLO DI PRESSIONE Ricaviamo ora un'espressione che consenta di calcolare l'angolo di

pressione nel caso del meccanismo con camma piana e punteria a rotella. Si osservi a tal fine la fig. 7.13 a), nella quale si è disegnato anche lo schema del manovellismo di spinta cinematicamente equivalente. Prescindendo dagli attriti, l'angolo di pressione è l'angolo che la normale ai due profili nel punto di contatto forma con la direzione del moto della punteria. Mandiamo dal centro O della camma la normale all'asse della punteria, fino ad incontrare in S la normale ai due profili: la distanza OS rappresenta, come è noto (v. § 6.10), la velocità della punteria a meno di Ω, ed è perciò uguale (nella scala usata in figura per le lunghezze) a y'(θ). Dal triangolo OSQ2 si deduce allora l'espressione:

( )

yrRy

++′

=0

tan θα (7.3)

Fig. 7.13 - Determinazione dell'angolo di pressione per una punteria centrata (a) ed eccentrica (b).

Dalla (7.3) discende, in particolare, che l'angolo di pressione è tanto più

grande, quanto più piccola è la camma. Ciò costituisce uno dei più comuni

Page 195: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

vincoli di progetto: il raggio base della camma non può scendere al di sotto di un certo valore minimo, pena l'inconveniente di avere angoli di pressione troppo elevati.

Può succedere che la limitazione dell'angolo di spinta sia diversa per le due fasi attive, di andata e dì ritorno. Ciò non si verifica, di solito, se la camma è a comando positivo e la forza Q è dovuta prevalentemente alle azioni d'inerzia; può verificarsi, invece, se il contatto è di forza: infatti, se nell'andata la camma deve trasmettere alla punteria una forza che vinca l'azione della molla che assicura il contatto, nel ritorno tale azione diventa motrice, e dunque (dato che movente è ancora la camma) non ha importanza con quale valore - comunque alto - dell'angolo di pressione viene trasmessa la forza fra camma e punteria. Per questo motivo si ricorre talvolta, sia pure raramente, a punterie eccentriche, il cui asse passa ad una distanza e (detta, appunto, eccentricità; v. fig. 13.b)) dall'asse di rotazione della camma. Il sistema articolato cinematicamente equivalente è un manovellismo deviato, e l'espressione che fornisce il valore dell'angolo di pressione diventa:

( )

yrRey

++−′

=0

tan θα

Nella fase in cui e (che è una distanza affetta da segno, positiva nel caso di

fig. 7.13 b)) e y'(θ) hanno lo stesso segno, l'angolo di pressione può risultare più piccolo rispetto al caso della punteria centrata, mentre nell'altra fase è maggiore.

Tralasciamo per brevità di riportare l'espressione dell'angolo di pressione nel caso del bilanciere. Osserviamo peraltro che spesso il bilanciere spazza un angolo abbastanza limitato (dell'ordine dei 30°), per cui l'arco descritto dal centro della rotella non si discosta molto dalla sua corda (o meglio, da una retta intermedia fra la corda e la tangente all'arco nel suo punto dimezzo; tale retta viene spesso fatta passare per l'asse della camma). Per un tale meccanismo si possono allora applicare -in indagini di tipo qualitativo - le espressioni viste per la punteria.

7.7. SOTTOTAGLIO Riprendiamo in considerazione le fìgg. 7.8 e 7.10. Se il raggio di curvatura

del luogo del centro della rotella è minore, in valore assoluto, del raggio della rotella stessa, si verifica il cosiddetto sottotaglio (v. fig. 7.14), cioè una parte del contorno della camma viene distrutto durante la costruzione (si pensi di impiegare una fresa di diametro uguale a quello della rotella). Nel caso limite in cui i due raggi siano uguali, il profilo della camma presenterà uno spigolo vivo (v. fig. 7.14).

Page 196: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

L'espressione generale del raggio di curvatura del luogo del centro della rotella, nota dalla Geometria analitica, è la seguente:

( ) ( )[ ]( ) ( ) ( ) ( )θϑ

ϑρyyRyyR

yyR′′+−′++

′++=

022

0

23220

2 (7.4)

Il raggio di curvatura del profilo della camma si ottiene da ρ sottraendogli il

raggio r della rotella. Nel caso delle camme con solco per il comando positivo, il raggio di curvatura del secondo profilo si ottiene cambiando di segno a ρ e sottraendogli quindi r. Il raggio di curvatura risulta positivo nei tratti convessi, negativo nei tratti concavi.

Dalla (7.4) si può dedurre (ed è del resto abbastanza intuitivo) che, a parità di altre circostanze, il pericolo di sottotaglio (piccoli valori assoluti del raggio di curvatura) è tanto maggiore, quanto minore è il raggio base della camma. Da ciò deriva un'altra comune limitazione di progetto: esiste un valore minimo del raggio base, al di sotto del quale non si può scendere, pena il verificarsi del sottotaglio (o del profilo a spigolo vivo: v. la fig. 7.14). II valore ditale minimo dipende da H, da β e dalla legge di moto utilizzata.

Fig. 7.14 - Raggio di curvatura ρ del luogo del centro della rotella. Se r è il raggio della rotella, in A è ρ = r,

in B è ρ < r (con ρ < 0), in C è ρ < r (con ρ > 0); 1 è il luogo teorico, 2 è quello effettivo. In B il contorno della camma sarebbe realizzabile sola con una fresa di raggio minore di r. In C il contorno teorico (non realizzabile) presenta un «cappio».

Oltre all'angolo di pressione (7.3) e al raggio di curvatura (7.4), è possibile

Page 197: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

esprimere analiticamente, nei vari casi, anche le coordinate del luogo del centro della rotella e quelle del profilo della camma; esse servono sia per il tracciamento della camma (manuale o, più spesso, al terminale grafico di un calcolatore), sia per la fabbricazione della camma con una macchina utensile a controllo numerico. Su tali espressioni non ci soffermiamo, rimandando per esse ai testi specializzati.

7.5. LEGGI DI MOTO ELEMENTARI Una volta scelto il tipo di meccanismo in cui va inserita la camma, occorre

scegliere la legge di moto del cedente. In alcuni casi, tale legge è rigorosamente prescritta da motivi funzionali: ad esempio, se si deve guidare il cedente lungo traiettorie prestabilite, o in altri casi simili. Più frequentemente, sono imposti solo l'alzata H e il corrispondente angolo di rotazione β, mentre la vera e propria legge del moto può essere scelta dal progettista secondo propri criteri. Vediamo allora quali sono le leggi che vengono scelte nei casi più comuni.

Una legge molto comoda sarebbe quella a velocità costante (v. fig. 7.15 a)). Essa non è però adottabile, in quanto comporterebbe accelerazioni infinite all'inizio e alla fine, e quindi azioni d'inerzia inammissibilmente elevate (teoricamente infinite). Spesso vengono però adottate leggi che prevedono un tratto intermedio a velocità costante, raccordato all'inizio e alla fine con tratti a velocità variabile gradualmente (v. fig. 7.15 b)).

Una legge molto usata nel passato è quella ad accelerazione costante, detta anche parabolica (v. fig. 7.15 c)). Lo spostamento y ha le seguenti espressioni in funzione di θ:

y= 2 H(θ/β)2 ( per 0 ≤ θ ≤ β/2 ) y = H1 - 2[1 - (θ/β)]2 ( per β/2 ≤ θ ≤ β )

Questa legge ha il pregio di dare luogo al più piccolo valore possibile

dell'accelerazione massima; l'inconveniente più grave, che la rende sconsigliabile quando la velocità non è molto bassa, è quello di presentare delle discontinuità dell'accelerazione, che corrispondono all'applicazione istantanea di azioni d'inerzia finite; ciò è di solito fonte di vibrazioni (e di rumore), che disturbano il movimento e possono dare luogo ad accelerazioni effettive con valori reali molto superiori ai bassi valori teorici. Lo stesso inconveniente si presenta, naturalmente, nella legge di fig. 7.15 b), nella quale due tratti ad accelerazione costante raccordano, all'inizio e alla fine, il tratto centrale a velocità costante.

Le leggi polinomiali (alle quali appartiene anche la legge parabolica) Costituiscono una famiglia di leggi di moto abbastanza diffuse; una delle più comuni è quella che contiene solo i termini di potenza 3,4 e 5, per la quale

Page 198: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

l'espressione dello spostamento è:

y (θ) = [ 10(θ/β)3 - 15(θ/β)4 + 6(θ/β)5 ] H. Le leggi polinomiali sono spesso impiegate per raccordare fra loro altre

leggi, oppure prima e dopo un tratto a velocità costante. Raccordando un tratto centrale a velocità costante con due tratti di polinomiale 3-4-5 (anziché con due tratti ad accelerazione costante), si evita l'inconveniente delle discontinuità dell'accelerazione presenti nella legge di fig. 7.15 b).

Altre leggi contengono funzioni trigonometriche dell'angolo di rotazione θ. Fra le più note leggi trigonometriche è la cicloidale (v. fig. 7.15 d)), la cui espressione analitica è:

y (θ) = [(θ/β) - (1/ 2π) sin(2π θ / β)] H.

Questa legge è una delle migliori per camme veloci e cedenti relativamente

leggeri e cedevoli, quando le vibrazioni sono uno dei problemi più importanti.

Fig. 7.15 - Spostamento, velocità e accelerazione per alcune leggi di moto dì largo impiego 7.9. SCELTA DELLA LEGGE DC MOTO. LEGGI COMPLESSE

Page 199: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

In linea di massima, alla legge di moto si richiede: - di non presentare valori troppo alti di velocità (ai quali corrisponderebbero

anche valori elevati dell'angolo di pressione); - di non avere valori troppo alti di accelerazione (ai quali corrispondono

valori elevati delle azioni d'inerzia, che in molti meccanismi a camme sono le principali forze in gioco);

- di non presentare discontinuità nell'accelerazione (a cui corrisponde un possibile innesco di fenomeni vibratori).

Per soddisfare a tutte queste esigenze, e ad altre ancora sulle quali non ci soffermiamo, vengono comunemente impiegate molte leggi particolari, adatte ciascuna ad un determinato tipo di applicazione, in relazione alle velocità, alle masse in movimento, alle rigidezze, ecc. Una legge largamente impiegata è la cosiddetta trapezia modificata, la cui accelerazione (v. fig. 7.15 e)) presenta due tratti di valore costante raccordati da tratti di sinusoide. L'accelerazione massima è superiore solo del 22% a quella della legge parabolica, e non presenta discontinuità.

Quando è possibile o opportuno che i massimi positivi e negativi dell'accelerazione abbiano valori assoluti diversi, le leggi del moto possono venire rese «asimmetriche», scegliendo i due tratti (quello ad accelerazione positiva e quello ad accelerazione negativa) non entrambi uguali a β/2, ma uno più grande e l'altro corrispondentemente più piccolo (v. fig. 7.15 f)).

Se si adotta una camma policentrica, la legge di moto del cedente si può ottenere ricordando le relazioni valide per il sistema articolato cinematicamente equivalente, con le dimensioni dei vari membri opportunamente determinate, come abbiamo visto nel § 7.4, per ciascuno degli archi di circonferenza del contorno. Fra le camme di questo tipo, l'eccentrico circolare (disco circolare montato con una certa eccentricità e) conferisce ad una punteria a piattello piano una legge di moto di tipo armonico (risulta cioè: y = e senθ).

Spesso, il membro al quale si vuole conferire una determinata legge di moto non è il cedente direttamente a contatto con la camma, ma il membro di uscita di un sistema articolato, del quale il cedente suddetto costituisce l'entrata. In tali casi può essere necessario, una volta scelta la legge di moto da conferire al membro di uscita, trovare dapprima la corrispondente legge di moto del membro di ingresso del sistema articolato suddetto (cedente della camma), e determinare poi il contorno della camma in base a tale legge.

Osserviamo infine che qualche volta può essere opportuno fare in modo che il cedente non entri a contatto con la camma nelle fasi di riposo. Questa condizione viene di solito imposta in meccanismi con contatto di forza; una adatta battuta tiene in posto il cedente senza che esso tocchi la camma. Per svariate ragioni (tolleranza di lavorazione, usure, deformazioni termiche, ecc.) è praticamente impossibile imporre che il contatto fra camma e cedente si ripristini in una posizione prestabilita. E’ allora inevitabile che all'atto del contatto si abbia un urto; questo dovrà, peraltro, essere mantenuto entro limiti

Page 200: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

motto modesti (le velocità d'urto potranno essere di norma dell'ordine di 0,1 m/s).

BIBLIOGRAFIA CHELA F.Y., Mechanics and design of cam mechanisms, Pergamon Press, New York, 1982. MAGNANI P.L., RUGGIERI G., Meccanismi per macchine automatiche, UTET, Torino, 1986. NEKLUTIN CN., Mechanisms and cams for automatic machines, Elsevier, New York, 1969. ROTHBART H.A., Cams. Design, dynamics, and accuracy, Chapman & Hall, New York,

1956.

Page 201: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Capitolo 8 Ruote dentate 8.1. GENERALITÀ

La trasmissione di un moto rotatorio da un movente ad un cedente con un rapporto di trasmissione costante è uno dei problemi che più frequentemente si presentano nella progettazione delle macchine. Il problema viene comunemente risolto con l'impiego di ruote (sia di frizione, sia dentate) o di trasmissioni con organi flessibili.

Mentre queste ultime sono usate quasi esclusivamente per la trasmissione del moto fra assi paralleli (la trasmissione fra assi sghembi con cinghie è più una curiosità che un'applicazione di pratico interesse; quella con cavetti o cinghie a sezione circolare è impiegata solo in casi particolari), le ruote permettono la trasmissione di moto rotatorio sia fra assi paralleli, sia fra assi concorrenti in un punto, sia fra assi sghembi.

In questo capitolo trattiamo dell'applicazione delle ruote alla soluzione del problema sopra citato (volutamente trascurando, per il loro scarsissimo interesse applicativo, le ruote a primitiva non circolare, che realizzano rapporti di trasmissione variabili). Dopo alcune brevi considerazioni sulle ruote di frizione ci soffermiamo sui più importanti problemi di disegno e calcolo delle ruote dentate. 8.2. TRASMISSIONE DEL MOTO FRA ASSI PARALLELI CON

RUOTE DI FRIZIONE

Per poter trasmettere un moto rotatorio fra due alberi con assi paralleli mediante ruote di frizione si deve ricorrere ad un meccanismo con quattro membri rigidi (v. fig. 8.1).

Fig. 8.1 -Ruote di frizione su assi paralleli.

Page 202: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Il meccanismo deve infatti avere due gradi di libertà affinché le ruote possano essere premute l'una contro l'altra (da una molla in fig. 8.1); condizione questa necessaria perché le due ruote possano trasmettersi un'azione tangenziale.

Se almeno uno dei due membri, ad esempio una delle due ruote, può subire sotto carico sensibili deformazioni elastiche (come accade se una ruota è rivestita da uno spesso strato di gomma), il meccanismo può essere ridotto a tre soli membri, purché le ruote vengano montate pressate l'una contro l'altra.

Fig. 8.2 - Trasmissione di potenza meccanica con ruote di frizione.

Il moto relativo delle due ruote non è a rigore un moto di puro rotolamento,

giacché lievi strisciamenti locali nella zona di contatto sono ineliminabili. In molti casi si può prescindere da tali strisciamenti e si può ammettere che il punto di contatto fra le due circonferenze, che rappresentano le ruote, sia centro di istantanea rotazione nel moto relativo. Allora il rapporto di trasmissione (rapporto fra le velocità angolari del cedente 2, di raggio R2, e del movente 1 di raggio R1), che indicheremo con il simbolo τ, vale (v. paragrafo 5.2):

2

1

1

2

RR

=ΩΩ

Per comprendere il funzionamento di una coppia di ruote di frizione,

consideriamo l'equilibrio di ciascuna ruota, facendo riferimento alla fig. 8.2.

Page 203: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Sia data la coppia resistente M2, applicata alla ruota 2. Sia dato anche il valore del coefficiente di aderenza f nel contatto fra le due ruote. Si vuol trovare il minimo valore che la componente normale N della forza di contatto S può assumere, compatibilmente con l'esistenza dell'equilibrio sulla ruota condotta. Si vuol trovare anche il valore della coppia motrice M1

Scriviamo la condizione di equilibrio alla rotazione della ruota 2, prescindendo per semplicità dall'attrito nella coppia rotoidale. Si ha:

( )2122122 fRNbSM +−== δ

Il valore che la forza N=N12=N21 assume in condizioni limiti di aderenza è dunque:

2

2

fRMN+−

Il valore corrispondente della forza S è dato da:

2

22 1

cos fRfMNS

+−+

==δϕ

Se, come di solito accade, S/fR2<<1, la forza S può essere scritta nella

forma:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛++=

2

2

2

2 11fR

ffRMS δ

ovvero:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+=

22

2 1sin

1fRf

MS δϕ

Per l'equilibrio della ruota 1 si può scrivere:

( )1211121 fRNbSM +== δ

Si ha cioè:

2

121 fR

fRMM+−+

=δδ

(8.2)

Se δ/fR1<<1, δ/fR2<<1, la (8.2) può essere scritta:

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛++=

212

121

111RRfR

RMM δ (8.3)

Page 204: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Come abbiamo osservato, il valore di N dato dalla (8.1) è un valore limite, c

olla e

he si ha allorché la S forma l'angolo di aderenza φ con la N. Supponiamo adesso che la coppia M2 diminuisca di valore, e che invece la forza N venga mantenuta inalterata L'equilibrio alla rotazione della ruota 2 richiede che la forza tangenziale assuma un valore inferiore ad fN12 ; ossia che la forza S12 venga a formare con la N12 un angolo α minore dell'angolo di aderenza φ.

Affinché le due ruote si trasmettano una spinta S occorre che la mserciti sui membri 3, 4 una forza T il cui valore può essere calcolato

scrivendo l'equilibrio alla rotazione del braccio 3 attorno all'asse O. Con le notazioni di figura, supposti uguali a zero i raggi dei circoli di attrito in O ed in O2 , si ha:

csST =

Da quanto si è visto risulta l'opportunità che le ruote di frizione siano ri

eccettua il caso particolare, ma di enorme im

frizione vengono impiegate nella trasmissione di piccole coppie (s

.3. TRACCIAMENTO DEI PROFILI CONIUGATI NEL PIANO

ediamo come, noti che siano le polari del moto ed uno dei profili coniugati, s

vestite di materiale ad alto coefficiente di aderenza (ad esempio gomma). A parità di altre circostanze ad un elevato valore di f corrispondono valori relativamente piccoli di N e di S, e quindi sollecitazioni relativamente piccole delle ruote e dei loro supporti.

Le ruote di frizione, se si portanza, della coppia ruota-rotaia, non sono molto diffuse nelle costruzioni

meccaniche. Le ragioni della scarsa diffusione sono sostanzialmente due: non idoneità alla trasmissione di forze rilevanti; slittamento elastico della ruota motrice rispetto a quella condotta, dovuto alle deformazioni elastiche nella zona di contatto (come conseguenza il rapporto di trasmissione non è rigorosamente uguale al rapporto fra i raggi e varia al variare della forza trasmessa).

Le ruote di trumenti di misura, motorini per ciclomotori, ecc.), nella trasmissione di

moto sotto forze modeste ad organi di grandi dimensioni (betoniere, piattaforme orientabili) ed in altri casi particolari (ad esempio nelle macchine tessili, per mantenere in rotazione, a velocità periferica pressoché costante, una bobina durante il suo avvolgimento). 8

Via possibile, purché siano soddisfatte alcune condizioni di cui diremo,

Page 205: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

tracciare il secondo profilo. Un problema di questo tipo è già stato risolto nello studio delle camme, quando abbiamo supposto di conoscere la forma del profilo del cedente (a piattello, a rotella) ed abbiamo cercato la forma del movente capace di trasmettere al cedente un moto con legge prestabilita. In quel caso non si è fatto uso delle polari, ma avremmo potuto riferirci ad esse senza alterare la sostanza delle cose.

Nello studio delle ruote dentate si incontrano coppie superiori (contatto fra d

articolare e semplicissima forma delle primitive che ri

iamento d

tto metodo dell'inviluppo, consiste nel tracciare u

ig. 8.3 - Tracciamento di profili coniugati con il procedimento dell'inviluppo.

enti delle ruote dentate) i cui profili coniugati debbono essere disegnati in modo da realizzate, nel moto relativo fra i membri a contatto, un rapporto di trasmissione costante Le primitive del moto relativo sono pertanto in questi casi, due circonferenze.

È appunto per questa psulta comodo riferirsi ad esse nel tracciamento dei profili coniugati. Ciò premesso, osserviamo che nell'esposizione dei metodi di traccei profili coniugati faremo riferimento ad una polare fissa e ad una polare

mobile di forma qualunque; affrontiamo, cioè, un problema più generale, la cui soluzione non presenta tuttavia sensibili complicazioni rispetto al caso particolare di polari circolari.

Un primo procedimento, deno dei profili coniugati come inviluppo delle posizioni occupate dall'altro

supposto noto. Indicando ancora con σ0 e σ1 rispettivamente la polare fissa e la polare mobile, chiamiamo con s1 il profilo legato al piano mobile; esso è supposto noto (fig. 8.3).

F

isegniamo il profilo s1 nelle successive posizioni da esso occupate durante il

aragrafo 5.2), la normale c

D rotolamento della σ1 sulla σ2. A tal fine basta considerare le traiettorie di due

punti A e B del profilo s1 (tracciate con il procedimento già visto al paragrafo 5.3) e riportare ad esempio con una sagoma, il profilo s1 a passare per le posizioni successivamente occupate dai due punti. Tracciando l'inviluppo delle posizioni successivamente occupate da s1 si ottiene il profilo so coniugato di s1 (per definizione di profilo coniugato).

Come abbiamo già osservato in altra occasione (pondotta ai profili coniugati da un loro punto di contatto Mi passa per il centro

Page 206: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

di istantanea rotazione Coi corrispondente. Questa osservazione permette di individuare so ed s1 punti che, durante il rotolamento della σ1 sulla σ0 vengono fra loro in contatto; a tal fine basta condurre dai punti Coi e C1i le normali rispettivamente ad so e ad s1 . Così in fig. 8.3 si è condotta da C12 la normale a s1 e da C02 la normale ad s2 si è trovato il punto M12 di s1 che viene a coincidere con il punto M02 del profilo so quando le polari si toccano in C02 .

Da quanto abbiamo adesso osservato discende immediatamente un secondo metodo per il tracciamento dei profili coniugati: il metodo delle normali.

Fig. 8.4 - Tracciamento di profili coniugati con metodo delle normali.

onsiderando la fig. 8.4 notiamo che quando il punto C1i viene a contatto

c

ondizione necessaria perché una li

n p

Con i punto C0i, il punto M1i deve coincidere con M0i; perché ciò accada è

necessario che sia C1i M1i = C0i M0i e che l'angolo φi che la C1i M1i forma in C1i con la normale in questo punto alla σ1 sia uguale all'angolo che la C0i M0i forma con la normale in C0i alla σ0 . Pertanto, condotte dai punti C1i le normali ad s1, si trovano le distanze C1i M1i e gli angoli φi : ciò che permette di trovare, facendo riferimento ai punti C0i, i punti M0i .

Risulta da quanto si è detto finora che cnea s1 possa essere arbitrariamente scelta come profilo coniugato, è che le

normali condotte ad essa dai suoi punti incontrino la polare corrispondente. Finora si sono considerati procedimenti che permettono il tracciamento di urofilo, noto l'altro. Ma è possibile anche risolvere il problema di tracciare

entrambi i profili partendo dalle polari e stabilendo una legge di tracciamento. Si possono così tracciare profili di assortimento; ossia profili s0, s1 , ..., si che, generati partendo da primitive diverse (σ0, σ1 , ..., σi) con la stessa legge, presi due a due risultano fra loro coniugati nel moto definito dal rotolamento delle primitive corrispondenti. Su questo concetto è basato il procedimento che segue, il quale fa uso di una curva (epiciclo) che rotolando successivamente sulle due polari genera, con modalità prestabilite, i due profili coniugati.

Page 207: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 8.5 - Tracciamento di profili coniugati di assortimento. Facciamo riferimento alla fig. 8.5 dove con e si è indicato l'epiciclo

rappresentato tangente alle polari in C. Consideriamo una linea µ solidale con l'epiciclo e tracciamo le linee inviluppate da µ nel rotolamento di ε su σ1 e su σ0; tali linee, che indichiamo con s1 ed s0 sono, come è facile vedere, profili coniugati nel moto definito da σ0 e σ1.

Per dimostrarlo basta osservare che, assumendo σ1 come polare fissa ed ε come polare mobile, i profili s1 e µ sono fra loro coniugati (metodo dell'inviluppo sopra visto); indicando con Cεi e C1i punti corrispondenti, risulta C1iM1i=CεiMεi, φεi = φ1i . D'altra parte facendo rotolare ε su σ0 risultano profili coniugati µ ed s0 ; ed è (essendo C0i corrispondente di Cεi):

iiii MCMC εε=00 ii εϕϕ =0

Di conseguenza è anche:

iiii MCMC 1100 = ii 10 ϕϕ =

ossia s0 ed s1 sono profili coniugati.

Page 208: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

8.4. RUOTE DENTATE CILINDRICHE AD EVOLVENTE La quasi totalità delle ruote dentate cilindriche ha profili ad evolvente di

cerchio. Esistono ruote dentate con profili cicloidali e profili ad arco di cerchio derivati dai profili cicloidali con particolari correzioni; ma profili di questo tipo hanno applicazioni sempre più rare, limitate ormai alla meccanica fine (ruote dentate per orologi, contatori, ecc.), o a casi particolarissimi (ad esempio rotori nei compressori Roots); e noi non ne tratteremo.

La generazione dei profili delle ruote dentate ad evolvente può essere ottenuta facendo ricorso al metodo illustrato nel paragrafo 8.3 ed in fig. 8.5 (i profili coniugati sono ottenuti come inviluppo di una curva legata ad un epiciclo che rotola sulle primitive); tale metodo, come abbiamo veduto, permette di ottenere profili coniugati di assortimento. Nell'applicazione alle ruote dentate le polari sono circonferenze, mentre l'epiciclo ε e la linea µ sono due rette (fig. 8.6).

Se facciamo rotolare l'epiciclo ε su σ1 e σ2 , la retta µ inviluppa i profili s1 ed s2 fra loro coniugati. È facile rendersi conto che questi due profili sono evolventi di cerchio. A tale scopo consideriamo la fig. 8.7, nella quale abbiamo indicato con β l'angolo acuto compreso fra µ ed ε, con R il raggio della polare σ. Il punto M, nel quale la retta µ ed il profilo s si toccano, si trova sulla normale n condotta per C alla retta µ; tale normale risulta tangente ad una circonferenza di centro O e di raggio R senβ. Poiché tali proprietà si mantengono nel rotolamento di ε su σ, il profilo s viene a tagliare sotto un angolo retto le

Fig. 8.6 -Generazione del profilo ad evolvente. Fig. 8.7 -Generazione del profilo ad evolvente.

tangenti alla circonferenza di raggio Rsenβ; dunque il profilo s è la evolvente della circonferenza stessa. A questa circonferenza, evoluta del profilo s, si dà il nome di circonferenza base o di circonferenza fondamentale; tali denominazioni si giustificano in quanto essa è l'elemento geometrico fondamentale della ruota dentata, a ciascuna circonferenza fondamentale

Page 209: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

corrispondendo una ed una sola forma di profilo s. Può essere interessante osservare che la stessa cosa non può dirsi della

circonferenza primitiva. Infatti uno stesso profilo s può essere ottenuto scegliendo in modo arbitrario (purché più grande di quello della circonferenza base) il raggio della circonferenza su cui far rotolare la retta ε, come mostrato in fig. 8.8, dove uno stesso profilo s è generato per inviluppo da una stessa retta g nel moto di rotolamento di due distinte rette ε ed ε ' su due distinte circonferenze σ e σ '.

Ricordiamo che, come è noto dalla Geometria analitica, l'evoluta, che nel nostro caso è la circonferenza base, è il luogo dei centri di curvatura dell'evolvente, e che l'evolvente stessa si può ottenere anche come traiettoria di un punto M della retta n, nel rotolamento di questa sulla circonferenza base.

Fig. 8.8 - Generazione di profili ad evolvente.

Fig. 8.9 - Effetto della variazione d'interasse su ruote dentate ad evolvente.

Consideriamo adesso la fig. 8.9. I profili su di essa rappresentati sono

evolventi delle due circonferenze base di raggi ρ1=R1 senβ e ρ2=R2 senβ. La distanza fra gli assi delle due ruote (interasse) vale R1+R2 . Domandiamoci che cosa accade se le due ruote vengono montate con interasse maggiore (purché, naturalmente, il contatto fra i denti sia ancora possibile). Come risulta dalla fig. 8.9, allontanandosi gli assi delle due ruote si allontanano le circonferenze base e quindi di modifica (diminuendo) il valore dell'angolo β (β' è il nuovo angolo). Si modificano anche raggi delle primitive, che divengono:

Page 210: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

R’

1 = ρ1 /senβ', R’2 = ρ2 /senβ',

mentre il loro rapporto si mantiene costante:

2

1

2

1'2

'1

RR

RR

==ρρ

In conclusione, ad ogni ruota dentata corrisponde una ed una sola

circonferenza base, mentre ciò non pub dirsi riguardo alla circonferenza primitiva che risulta perfettamente determinata soltanto quando sia stato fissato l'accoppiamento della ruota stessa ad altra ruota. Vedremo nel § 8.9 come questa proprietà delle ruote ad evolvente abbia importanti conseguenze sia nel taglio, sia nell'impiego delle ruote stesse.

Se consideriamo le ruote come facenti parte di un meccanismo a tre membri con due coppie rotoidali ed una superiore, costituito dalle due ruote stesse e dal telaio, per quanto riguarda il rapporto di trasmissione si ha, come visto a suo tempo (§ 5.2):

2

1

1

2

RR

=ΩΩ

od anche:

2

1

ρρ

τ =

Questa ultima relazione mostra come il rapporto di trasmissione dipenda

soltanto dai raggi di base e quindi sia una costante per una data coppia di ruote, indipendentemente dal valore dell'interasse che, come abbiamo sopra osservato, può subire lievi modifiche in sede di montaggio.

Finora abbiamo considerato primitive circolari; facciamo ora qualche considerazione sulla dentiera o cremagliera. È questa una ruota dentata degenere, con primitiva rettilinea, che trova impiego quando si richieda la trasformazione di un moto da rotatorio in traslatorio, e che ha interessanti applicazioni nella fabbricazione delle ruote dentate (alcuni tipi di macchine dentatrici e rettificatrici usano come utensile una dentiera; v. paragrafo 8.8). Se applichiamo il procedimento di generazione illustrato in fig. 8.7 ad una dentiera, la retta ε viene a coincidere con la primitiva σ; la retta μ coincide con il profilo della dentiera.

Per quanto riguarda la circonferenza base essa, nel caso della dentiera, diviene una retta all'infinito.

Page 211: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 8.10 - Profili di una coppia pignone-dentiera In fig. 8.10 sono rappresentati i profili coniugati di una coppia pignone-

dentiera (si chiama pignone, o rocchetto, la più piccola delle due ruote di un ingranaggio; in particolare, si dà il nome di pignone - o rocchetto - alla ruota che ingrana con una dentiera. Con il termine ingranaggio si indica l'insieme di due ruote dentate che ingranano fra di loro).

Per un accoppiamento pignone-dentiera il rapporto di trasmissione risulta uguale a zero. In questo rotismo (con questa parola si intende qui indicare il meccanismo elementare costituito dal telaio, dal pignone e dalla dentiera) il rapporto di trasmissione perde quindi di significato. Acquista, invece, importanza il rapporto fra la velocità di traslazione della dentiera v e la velocità angolare del rocchetto Ω1 . Si ottiene subito, indicando con R1 il raggio primitivo del rocchetto:

11

Rv=

Ω Finora abbiamo fatto riferimento all'angolo β compreso fra le rette μ ed ε; nei

prossimi paragrafi faremo, invece, riferimento all'angolo α, complementare di β, compreso fra la tangente per C alla circonferenza base e la tangente in C alla primitiva. Questo angolo è chiamato angolo di pressione; tale denominazione è giustificata dalla circostanza che la spinta fra i profili è diretta, in assenza di attrito, secondo la normale ai profili stessi nel punto di contatto, ossia secondo la tangente comune alle due circonferenze base.

Page 212: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

8.5. PROPORZIONAMENTO DELLE RUOTE DENTATE CILINDRICHE

Dopo aver veduto come si generano i profili dei denti, ci soffermiamo sul

loro proporzionamento, dando nello stesso tempo alcune definizioni notevoli. Nella sua proiezione su di un piano ortogonale all'asse della ruota, un dente

è lateralmente limitato da due archi di evolvente, simmetricamente disposti rispetto ad un raggio. Poiché l'evolvente è tutta esterna alla circonferenza base, se il dente si prolunga all'interno di questa circonferenza il suo contorno in tale tratto è puramente una linea di raccordo, che non partecipa al contatto con il profilo della ruota coniugata.

Il contorno del dente è internamente interrotto dalla circonferenza di piede, concentrica con la primitiva, alla quale è raccordato.

Verso l'esterno il contorno del dente è limitato dalla circonferenza di testa, concentrica con la primitiva. Di solito il profilo ad evolvente non taglia la circonferenza di testa a spigolo vivo, ma è ad essa raccordato; ovvero è interrotto da uno smusso in prossimità della circonferenza di testa stessa.

La distanza radiale fra la primitiva e la circonferenza di testa viene chiamata sporgenza o addendum; la distanza radiale fra la primitiva e la circonferenza di piede viene chiamata rientranza o dedendum. La somma della sporgenza e della rientranza è l'altezza del dente. Mentre i denti di due ruote coniugate hanno la stessa altezza, le sporgenze e le rientranze possono essere diverse per le due ruote.

A ciascuna delle due superfici laterali di un dente si dà il nome di fianco. Il fianco è diviso in due porzioni dal cilindro primitivo (di cui la primitiva è proiezione su di un piano ortogonale all'asse della ruota); la porzione di fianco esterna al cilindro primitivo si chiama fianco addendum, quella interna fianco dedendum.

La citata nomenclatura è usata non soltanto per ruote esterne, ma anche per ruote interne, nelle quali peraltro l'addendum risulta interno alla primitiva ed il dedendum esterno (fig. 8.11).

Fig. 8.11 - Definizioni relative alle ruote dentate con dentature esterne e interne.

Page 213: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Passando a trattare del proporzionamento dei denti è opportuno premettere che prenderemo in considerazione due differenti tipi di ruote:

- ruote normali, nelle quali la sporgenza e la rientranza, uguali per le due ruote coniugate, hanno valori normalizzati;

- ruote corrette, nelle quali la sporgenza e la rientranza sono in generale diverse per le due ruote coniugate, e comunque non hanno valori normalizzati.

Delle ruote corrette e dei motivi che in moltissime circostanze ne consigliano o ne impongono l'impiego parleremo nel paragrafo 8.9. Adesso soffermiamoci sulle ruote normali.

Il dente di una ruota normale è dimensionato in base al modulo. Si definisce modulo m il rapporto fra il diametro primitivo 2R ed il numero dei denti z:

zRm 2

= (8.4)

In una ruota normale si adottano di regola i seguenti proporzionamenti:

addendum e = m dedendum i = 1,25 m altezza h = 2,25 m.

In corrispondenza della primitiva il dente di una ruota normale ha uno

spessore, misurato lungo la primitiva, uguale al vano, anch'esso misurato lungo la primitiva. Lo spessore ed il vano sono pari alla metà del passo. distanza fra due profili omologhi consecutivi misurata lungo la primitiva, espressa dalla relazione:

m

zRp ππ==

2

È evidente che due ruote coniugate debbono avere lo stesso passo.

Pertanto il rapporto di trasmissione può essere espresso, oltre che come rapporto fra R1 ed R2, anche come:

2

1

zz

Questa relazione vale in generale, sia per ruote normali, sia per ruote

corrette. Osserviamo che il rapporto di trasmissione, a rigore, può venire definito solo considerando un meccanismo, e non un semplice ingranaggio (v. § 8.4); perciò il rapporto fra i numeri dei denti (o, ciò che è lo stesso, fra i raggi di base o fra i raggi primitivi di lavoro) delle due ruote di un ingranaggio viene spesso chiamato rapporto di ingranaggio riservando il nome di rapporto di trasmissione al rapporto fra le velocità angolari del membro uscente e di

Page 214: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

quello entrante di un rotismo (v. cap. 9).

Fig. 8.12 - Proporzionamento normale del dente. In fig. 8.12 sono rappresentati i denti di una ruota normale. Anche la larghezza del dente di una ruota è legata al modulo, ma in senso

molto lato. Indicando con b la larghezza di un dente, valori comunemente impiegati del rapporto b/m sono compresi fra 5 e 40; i rapporti più piccoli sono comunemente adottati nelle costruzioni correnti, quelli più grandi nei riduttori per elevate potenze.

Il valore del modulo deve essere scelto fra i valori normalizzati e, preferibilmente, fra i valori seguenti, espressi in mm: 1; 1,25; 1,5; 2; 2,5; 3; 4; 5; 6; 8; 10; 12; 16; 20.

8.6. LINEA DI CONTATTO, ARCO DI AZIONE Consideriamo la coppia di ruote rappresentata in fig. 8.13. I profili dei denti

si toccano lungo una delle due rette (linee di contatto) tangenti alle due circonferenze base. In figura è stata tracciata una sola di queste rette, perché si è supposto che la ruota 1, motrice, ruoti in senso antiorario (il contatto avrebbe luogo sull'altra retta se la rotazione avvenisse in senso opposto, ovvero se fungesse da motrice la ruota 2).

Si chiama segmento di contatto, od anche segmento di azione, il tratto della retta di contatto compresa fra i due punti N ed N2 di intersezione della retta stessa con le due circonferenze di testa (supponiamo che il profilo attivo del dente inizi in corrispondenza della circonferenza di testa, prescindendo da eventuali raccordi o smussi di testa).

Si definisce arco di azione l'arco di cui le primitive rotolano l'una sull'altra mentre il contatto fra due profili descrive il segmento di contatto N1N2. L'arco di azione è suddiviso in arco di azione in accesso ed arco di azione in recesso. II primo corrisponde alla porzione di segmento di contatto compreso fra il punto N1 (in cui il contatto ha inizio) ed il punto C; il secondo al tratto CN2. Affinché la ruota 1 possa trasmettere alla 2 un moto continuo l'arco di azione deve essere maggiore del passo. Tale condizione assicura che, allorché il punto di contatto fra due profili raggiunge il punto N2, altri profili

Page 215: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

siano già in presa.

Fig. 8.13 -Arco d'azione.

Nel progetto di ruote dentate è interessante il calcolo dell'arco di azione,

non tanto per la verifica della condizione di continuità sopra citata, che è di norma soddisfatta con i dimensionamenti correnti, quanto perché tale calcolo permette di valutare il numero delle coppie di denti in presa. Vediamo come l'arco di azione possa essere calcolato quando si conoscano i raggi delle primitive, delle circonferenze di testa, e l'angolo di pressione.

Cominciamo con l'osservare che ciascuno dei punti estremi dell'arco di azione è individuato dalla intersezione di uno dei due profili, passanti per uno dei punti estremi del segmento di contatto, con la primitiva corrispondente. In fig. 8.13 sono stati tracciati entrambi i profili passanti per i punti N1 e N2 ,che sono stati prolungati fino all'intersezione con le corrispondenti primitive. L'arco di azione A1B1 preso sulla primitiva σ1, ha per definizione lunghezza uguale all'arco di azione A2 B2 preso sulla primitiva σ 2.

Fra le lunghezze del segmento di contatto e dell'arco di azione esiste una semplice relazione, che passiamo a ricavare. Con riferimento alla fig. 8.14 si calcoli il rapporto

Fig. 8.14 - Rapporto fra lunghezza del segmento di contatto e arco d'azione.

12 / CBCN

Page 216: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

in fase di recesso. A tale scopo tracciamo per C un profilo che si sovrapponga a quello passante per N2 e B1 a seguito di una rotazione della ruota attorno al proprio asse. Si può scrivere per la geometria dell'evolvente, con le notazioni di figura:

LHCN /2 D'altra parte si ha:

αρ cos1

==∩

RCB

LH

Si ottiene quindi:

αcos

1

2 =∩

CB

CN

(8.5) In definitiva la lunghezza dell'arco di azione è uguale alla lunghezza del

segmento di contatto divisa per cosa. Il calcolo dell'arco di azione si riduce, quindi, al calcolo del segmento di contatto.

Per il calcolo del segmento di contatto occorre calcolarne separatamente le due porzioni, in accesso ed in recesso. Consideriamo, ad esempio, il segmento di contatto in accesso. Per calcolarne la lunghezza basta risolvere il triangolo O2CN1 utilizzando la formula di Carnot. Si ottiene:

( ) αsin2 2

222

222 xRxReR ++=+

dove abbiamo indicato con x la lunghezza incognita del segmento CN1 . Risolvendo si ottiene:

αα sin2sin 222

221 xRxRRCNx +++−== Analogamente si può calcolare il segmento di contatto in recesso.

L'espressione che dà la lunghezza dell'arco di azione s è la seguente:

( )⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡+−⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛+++⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛++== ααα

ααsin2sin2sin

cos1

cos 212

2

2

222

1

1

1

121

21 RRRe

Re

RRe

Re

RNN

s

Se la ruota 2 è a dentatura interna, l'espressione dell'arco d'azione diventa

la seguente:

Page 217: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

( )⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡−−⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛++−⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛++= ααα

αsin2sin2sin

cos1

212

2

2

222

1

1

1

121 RR

Re

Re

RRe

Re

Rs

Nel caso particolare di ruote esterne uguali, di proporzionamento normale

(R1=R2=R, e1=e2=m), la espressione di s diviene:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛−⎟

⎠⎞

⎜⎝⎛ ++= αα

αsin114sin

cos2 2

zzRs

La condizione di continuità: s/p>1 può scriversi in questo caso:

( ) απαα cossin14sin 22 >−++ zzz dalla quale:

( )ααπαπ

cossin224cos22

−−

>z (8.6)

Per α=20° si ottiene: z>3. Questo risultato mette in evidenza come la

condizione di continuità sia soddisfatta da valori molto piccoli del numero di denti. Il rapporto s/p è comunque significativo, perché rappresenta il numero di coppie di denti mediamente in presa.

8.7. CONDIZIONE DI NON INTERFERENZA Le circonferenze di testa di due ruote coniugate non possono avere raggi

comunque grandi. Infatti i punti di intersezione e di tali circonferenze, con la linea di contatto debbono risultare interni al segmento K1K2 (fig. 8.13), essendo K1 e K2 i punti di tangenza della retta di contatto con le circonferenze base; altrimenti il contatto fra i profili non avviene regolarmente. Tale condizione impedisce l'adozione di numeri di denti molto piccoli, particolarmente per ruote normali. Infatti porre un limite superiore alla lunghezza del raggio di testa significa porre un limite superiore alla sporgenza e quindi, per ruote normali, al modulo. Ma porre un limite superiore al valore del modulo, dato che sia il raggio primitivo, equivale a porre un limite inferiore al numero di denti.

Vediamo adesso perché la citata condizione debba essere rispettata e come si possa calcolare, per ciascuna delle due ruote coniugate, il minimo numero di denti capace di soddisfarla.

Page 218: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 8.15 - Interferenza dei profili. Consideriamo la fig. 8.15 nella quale la circonferenza di testa della ruota 1

incontra la retta di contatto in un punto N2 esterno al segmento K1 K2. Due profili che siano a contatto nei tratto CK2 non possono mantenersi

coniugati oltre iI punto K2. Infatti, preso un punto M qualunque del tratto K2N2 e tracciati i due profili passanti per M, i profili stessi anno in M normali distinte e quindi si intersecano: il profilo appartenente alla ruota 1 ha come normale la retta MC, il profilo appartenente alla ruota 2 ha come normale la retta MT tangente alla circonferenza base della ruota 2.

Ciò significa che i denti di una coppia di ruote dentate, che siano stati costruiti con il proporzionamento di fig. 8.15, non possono toccarsi esternamente al segmento K1 K2 sulla retta di contatto. Il contatto fra i denti può invece avvenire sulla circonferenza base, se questa è esterna alla circonferenza di piede, o comunque in prossimità del piede del dente, laddove il contorno di questo non è più un'evolvente. Si può, cioè, avere contatto fra il profilo ad evolvente della ruota 1 ed il raccordo di piede del dente della ruota 2. Si tratta, comunque, di contatto irregolare, cui corrisponde un'alterazione del rapporto di trasmissione delle due ruote (il centro di istantanea rotazione C, intersezione della retta O1O2 con la normale ai profili nel punto di contatto, subisce degli spostamenti rispetto alla posizione corretta quando il contatto è esterno alla retta di contatto); la ruota 2 accelera rispetto alla velocità normale e pertanto il trascinamento della ruota 2 è effettuato dal dente della ruota 1 che si trova in fase di recesso oltre il punto K2, mentre il dente (o i denti) che seguono rimangono inattivi.

Page 219: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 8.16 - Individuazione della condizione di non interferenza. Ciò che abbiamo osservato a proposito del punto N2 vale ovviamente anche

per il punto N1; occorre dunque che i punti N1 , N2 siano interni al segmento K1K2. Tale condizione è nota come condizione di non interferenza; la denominazione, a dir vero poco felice, sta ad indicare che, se la condizione stessa è rispettata, conducendo due profili per un qualunque punto del segmento N1N2, i profili stessi non si intersecano.

Ciò posto passiamo al calcolo del numero minimo di denti. Siano dati i raggi primitivi delle due ruote (fig. 8.16) e l'angolo di spinta. Cominciamo a calcolare i valori massimi delle sporgenze delle due ruote compatibilmente con le condizioni:

CN1 ≤ CK1 CN2 < CK2 (8.7)

Giacché si ricerca un valore limite della sporgenza (addendum), nelle (8.7)

si prende il segno di eguaglianza. Scrivendo la formula di Carnot per il triangolo CN1O2 la prima delle (8.7) diviene:

( ) ααα 2

2122

122

122

2212 sin2sin2sin RRRRReR +++=+

nella quale è incognita e21, addendum limite della ruota 2. Estraendo la radice quadrata (il segno - non interessa) si ottiene:

( ) α2211

22221 sin2RRRRRe +++−= (8.8)

Analogamente la seconda delle (8.7) porta al risultato seguente:

( ) α2122

2111 sin2RRRRRe l +++−=

Nel caso che le sporgenze siano uguali per le due ruote, come accade nelle

Page 220: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

ruote normali, e sia R1<R2, qualora sia soddisfatta la prima delle (8.7) è soddisfatta arche la seconda. Infatti in tale caso è CK1<CK2 e, contemporaneamente. CN1>CN2. Dalla (8.8) si ottiene allora il valore limite della sporgenza, uguale per le due ruote. Indicando con e, tale valore limite, con τ il rapporto R1/R2, si trova:

( )τ

αττ 2

1

sin211 +++−=

Rel

Per ruote normali, con e=m, risulta:

l

l

zRe

11

2=

dove z1l è il valore limite del numero di denti della ruota 1. In definitiva si

ottiene:

( ) αττ

τ21

sin2112

+++−≥z

(8.9) Il numero dei denti del pignone, compatibile con il rispetto della condizione

di non interferenza, dipende dunque dal rapporto τ=R1/R2 e dall'angolo di pressione. È facile provare che, al crescere di α, z1 diminuisce. Da questo punto di vista è pertanto opportuno che l'angolo di pressione non sia troppo piccolo. D'altra parte validi motivi consigliano di non adottare angoli di pressione troppo elevati (all'aumentare di α aumenta la spinta che i denti si trasmettono, ossia, a parità di coppia trasmessa, aumenta la sollecitazione sui denti). Il valore α=20°, comunemente usato, è un valore di compromesso fra le opposte esigenze.

Dalla (8.9) risulta che z1 aumenta al diminuire di τ da 1 a 0 (coppia pignone-dentiera) e da 0 a valori negativi (pignone che ingrana con ruota dentata interna).

Per il caso della coppia pignone-dentiera la (8.9), utilizzata con l'ausilio della regola di De L'Hospital, dà il seguente risultato:

α21 sin2

≥z (8.10)

relazione che può essere ottenuta molto facilmente anche in via diretta. La seguente tabella dà i valori di z1 ottenuti dalla (8.9) per α=20° e per

diversi valori di τ: τ 1 1/2 1/4 0 -

1/4-

1/2z1 13 1 5 16 17 20 23

Page 221: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Avremo occasione di tornare su questo argomento nel paragrafo 8.9, quando ci occuperemo della correzione delle ruote dentate.

Osserviamo che nel caso delle ruote a dentatura interna possono presentarsi anche altri casi di interferenza oltre a quelli visti finora. In particolare, se la differenza z2-z1 fra i numeri dei denti della ruota e del pignone è troppo piccola, possono verificarsi: a) un'interferenza secondaria fra la testa del dente del pignone e quella del

dente della ruota, in punti esterni alla retta d'azione (v. fig. 8.17 a); per ruote con proporzionamento normale e angolo di pressione di 20°, questa interferenza si verifica se z2-z1<8)

b) un'interferenza radiale (nel montaggio o nel taglio) se il pignone (o il coltello Fellows) viene accostato radialmente alla ruota (v. fig. 8.17 b). Nel montaggio l'accostamento radiale può di solito venire evitato avvicinando assialmente il pignone alla ruota, ma nel taglio esso è inevitabile). Inoltre, poiché il profilo ad evolvente dei denti del pignone talvolta non giunge fino alla circonferenza base, può verificarsi interferenza fra il raccordo di piede del pignone e la testa del dente della ruota.

Fig. 8.17 - Interferenze particolari per ruote a dentatura interna: a) interferenza secondaria; b) interferenza nell'accostamento radiale.

8.8. CENNI SUL TAGLIO DELLE RUOTE DENTATE

CILINDRICHE Le ruote dentate vengono comunemente costruite con lavorazione alla

macchina utensile (sono poco comuni gli esempi di ruote dentate costruite per fusione, o per stampaggio, o per estrusione). La macchina utensile che esegue la modellatura dei denti (macchina dentatrice) di norma genera i profili per inviluppo, nel moto di mutuo rotolamento delle due superfici primitive di taglio. Non mancano, a dire il vero, esempi di procedimenti diversi, come la costruzione di denti di ruote dentate esterne con frese modulari e la costruzione di denti di ruote dentate interne per brocciatura; il

Page 222: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

primo di questi procedimenti non ha, peraltro, interesse industriale; il secondo trova impiego in casi particolari. Per tali motivi, in queste brevi note sul taglio delle ruote dentate, consideriamo soltanto il caso delle dentatrici che generano i denti per inviluppo nel senso sopra indicato.

II taglio delle ruote per inviluppo avviene secondo i principi illustrati nel paragrafo 8.3 (metodo di tracciamento dei profili coniugati per inviluppo). Tale procedimento di taglio può essere facilmente compreso nella sua essenza se si immagina che la ruota da dentare sia costituita da materiale modellabile per pressione (ad esempio plastilina), mentre la ruota generatrice è rigida (essa è costruita in acciaio da utensili). Facendo muovere le due ruote una rispetto all'altra con lo stesso movimento che avrebbero se la ruota da dentare fosse già tagliata e potesse ingranare con la ruota generatrice, questa ultima modella per inviluppo i denti della ruota in plastilina. II moto relativo delle due ruote può essere ottenuto facendo ricorso, ad esempio, ad una disposizione come quella indicata in fig. 8.18. In questa figura la ruota generatrice (utensile U) è una dentiera, che viene supposta fissa; la ruota da tagliare (pezzo P) è montata su di un cilindro con essa coassiale, sul quale si avvolgono due nastri N inestensibili, fissati ad una estremità sul cilindro stesso, all'altra estremità a due elementi fissi. Se i nastri sono tesi, il moto del cilindro rispetto ad essi è un moto di puro rotolamento; in questo moto la polare fissa è una retta (primitiva della dentiera), la polare mobile una circonferenza di raggio pari alla somma del raggio del cilindro e del semispessore del nastro. Tali polari definiscono il moto della ruota da tagliare rispetto alla dentiera utensile; sono le cosiddette primitive di taglio.

Fig. 8.18 - Taglio di una ruota dentata con utensile dentiera Nelle macchine utensili dentatrici oltre al movimento di generazione, di cui

abbiamo parlato, si hanno anche altri importanti movimenti. Ad esempio nella dentatrice schematizzata in fig. 8.18 sono di importanza fondamentale il moto di taglio, conferito alla dentiera, la quale trasla alternativamente secondo la direzione dell'asse dei denti, ed il moto di divisione, che viene impresso alla

Page 223: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

ruota in lavorazione per riportarla all'inizio della corsa dopo un parziale rotolamento della sua primitiva su quella della dentiera.

Le macchine dentatrici, per il cui studio dettagliato rimandiamo ai corsi che si occupano specificamente delle macchine utensili, possono essere suddivise in due grandi categorie: le dentatrici-stozzatrici, nelle quali l'utensile ha un moto di taglio traslatorio alternativo, come la macchina schematizzata in fig. 8.18, e le dentatrici con moto di taglio rotatorio continuo.

Le dentatrici-stozzatrici impiegano come utensile una dentiera, ovvero una ruota dentata (coltello Fellows); quest'ultima è il solo utensile in grado di generare per inviluppo ruote dentate interne.

Le dentatrici con moto di taglio rotatorio impiegano come utensile una fresa-vite (o creatore), i cui filetti, in una sezione eseguita con un piano assiale (o, più comunemente, in una sezione con un piano ortogonale all'elica media) sono trapezi isosceli. In tale sezione i filetti del creatore sono dunque assimilabili ai denti di una dentiera.

Lo studio del funzionamento di un creatore presuppone la conoscenza delle modalità di accoppiamento di due ruote cilindriche a denti elicoidali montate su assi sghembi (questo problema verrà trattato nel paragrafo 8.16). Un tale studio esula, peraltro, dalle nostre intenzioni.

L'unico problema connesso con il taglio sul quale intendiamo soffermarci riguarda l'interferenza di taglio ed i provvedimenti per evitarla. Per lo studio di questo problema, che affronteremo nel prossimo paragrafo, il taglio con dentatrice a creatore può essere assimilato al taglio con dentatrice-stozzatrice che impieghi un utensile dentiera. Il problema stesso può essere, dunque, studiato supponendo che la dentatrice sia in ogni caso una stozzatrice: con utensile dentiera ovvero con utensile Fellows.

L'utensile dentiera ha, d'altra parte, forma più semplice di un coltello Fellows. Per tale motivo è particolarmente comodo, nello studio che intendiamo svolgere, fare riferimento ad una dentiera. È ciò che faremo, avvertendo che i risultati che troveremo potrebbero essere estesi senza particolare difficoltà al caso del taglio con utensile Fellows; ed avvertendo, altresì, che le condizioni imposte da un utensile dentiera sono più restrittive di quelle imposte da un utensile Fellows.

8.9 L'INTERFERENZA DI TAGLIO E LA CORREZIONE DELLE

RUOTE DENTATE CILINDRICHE Nel paragrafo 8.5 abbiamo accennato alla classificazione delle ruote in

ruote normali e ruote corrette; ci siamo poi soffermati a trattare delle ruote normali. Vediamo adesso in quali casi sia necessario, o per lo meno opportuno, l'impiego di ruote corrette.

Distingueremo i due casi seguenti: - che la correzione venga effettuata per evitare interferenza nel taglio di

almeno una delle due ruote di una coppia, da parte di un utensile dentiera;

Page 224: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

- che la correzione venga effettuata in vista delle esigenze di funzionamento di una coppia di ruote in condizioni di lavoro.

Tali esigenze si riducono in pratica alle seguenti: a) evitare l'interferenza in condizioni di lavoro; b) migliorare la resistenza del dente sia nei confronti delle sollecitazioni di

flessione sia di quelle di tipo hertziano (risultato conseguibile con la riduzione della curvatura relativa dei profili in prossimità del piede del dente del pignone);

c) permettere il montaggio di ruote con interasse prestabilito. Cominciamo a vedere come si possa evitare l'interferenza durante il taglio. Facciamo riferimento alla fig. 8.19. In figura è rappresentata la cosiddetta

linea di riferimento della dentiera (linea LR). Questa taglia i denti della dentiera laddove lo spessore risulta uguale al vano. Essa divide l'altezza della dentiera in due porzioni, addendum e dedendum «di riferimento», aventi valori normalizzati (I'addendum uguale al dedendum e pari ad 1,25 m; in questo modo la dentiera può creare ruote normali con rientranza pari ad 1,25 m).

Qualora la primitiva di taglio coincidesse con la linea di riferimento, la dentiera taglierebbe una ruota di tipo normale (con e=m, i =1,25 m). Nel caso illustrato in fig. 8.19 le cose vanno diversamente: la ruota ha numero di denti troppo piccolo perché la primitiva di taglio possa coincidere con la linea di riferimento. Volendo evitare interferenza nel taglio occorre che sia CN1<CK1 e quindi che le primitive di taglio siano, ad esempio, quelle indicate in figura con tratto continuo. La sporgenza del rocchetto è maggiore di quella della dentiera, la rientranza del rocchetto è minore di quella della dentiera. Fig. 8.19 - Primitive di taglio con spostamento dalla

condizione di riferimento. La sporgenza della dentiera, che vale e0 in condizioni di riferimento, vale e in

condizioni operative. Affinché non si abbia interferenza deve essere

Page 225: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

α2sin/2 mez ≥

ossia 2sin 2αz

me≤

La prima delle due disuguaglianze è la generalizzazione della (8.10) per il caso e≠m; essa può ricavarsi, come la (8.10), molto semplicemente dalla condizione CN1<_ CK1.

Posto: x=e0-e (la x è >0 se lo spostamento della primitiva della dentiera ha il verso indicato in figura) si ha:

2sin 2

00 αzme

me

me

mx

−≥−= (8.11)

Indicando con z0 il minimo valore del numero di denti che possono essere

tagliati senza che si abbia interferenza in condizioni di riferimento, si ha:

α20

0 sin/2 me

z =

Il valore di z0 può, in pratica, essere fatto coincidere con il valore limite dato

per dalla (8.10). Infatti la porzione più esterna del dente della dentiera, per

un'altezza .nell'ordine di 0,25 m, è sagomata in modo da tagliare il raccordo di piede del dente della ruota e non è da mettere in conto ai fini della interferenza. Così per α=20° si può prendere z0=17.

La (8.11) diviene:

α20 sin2

zzmx −≥

(8.12) Questa relazione fornisce il valore limite dello spostamento x che assicura il

rispetto della condizione di non interferenza durante il taglio con dentiera. Vediamo ora quali accorgimenti si debbano prendere per il taglio di una

coppia di ruote dentate, destinate ad ingranare fra loro, quando almeno una delle due abbia numero di denti minore di z0.

Distingueremo due casi; che sia:

z1+z2≥2z0 ovvero che sia:

z1+z2<2z0

Nel primo caso la (8.12) dà:

Page 226: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

α2101 sin2

zzmx −

≥ ,

α2202 sin2

zzmx −

Se z1<z0 (x1 è >0), è z2 > z0 (e quindi x2 può essere <0). Sommando membro

a membro si ottiene:

( )α221021 sin

22 zzz

mxx +

≥+

(8.12) Dato che il secondo membro è ≤ 0, il primo può essere anche nullo. Tale

situazione, molto comune, è rappresentata in fig. 8.20. In figura sono chiaramente mostrate le primitive di taglio σ1 della ruota 1 e σ della dentiera, e le primitive di taglio σ 2 della ruota 2 e a della dentiera (le due primitive di taglio della dentiera coincidono). Le σ1 e σ 2 fungono anche da primitive di lavoro; pertanto la condizione di non interferenza, soddisfatta durante il taglio, è soddisfatta anche in condizioni di lavoro. L'interasse della coppia (distanza fra gli assi delle ruote 1 e 2 in condizioni di lavoro) è uguale alla somma dei raggi delle primitive di taglio σ1 e σ 2. L'angolo di pressione a di lavoro coincide con quello di taglio (pari alla semiapertura del contorno trapezio del dente della dentiera). Il dente della ruota 1 ha sulla primitiva di taglio spessore s1 uguale a:

Fig. 8.20 - Primitive di taglio per x2=-x1

απ tan22 11 xms +=

mentre il dente della ruota 2 ha sulla primitiva di taglio spessore s2

απ tan22 22 xms −=

Page 227: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

(m è ancora il modulo della dentiera). Nulla vieta, naturalmente, di scegliere x1 e x2 in modo che la loro somma sia

diversa da zero. Tale scelta è frequentemente adottata allorché si voglia soddisfare alle esigenze b) citate all'inizio del presente paragrafo, ed è la regola quando la correzione è adottata per soddisfare alle esigenze c), cioè per realizzare un interasse non altrimenti ottenibile con un modulo unificato. Valgono allora i risultati che troveremo esaminando il caso z1+z2<2z0; in particolare, valgono le relazioni (8.21) e (8.22).

Se z1+z2<2z0, , la quantità

mxx 21 +

è per la (8.13) necessariamente diversa da zero e positiva. In fig. 8.21 è rappresentata una tale situazione. Entrambe le ruote hanno numeri di denti z1 e z2 minori di z0. Gli spostamenti x1 e x2 sono entrambi positivi. Le primitive di taglio non possono fungere da primitive di lavoro. Pertanto l'angolo di pressione di lavoro α' è diverso da quello α di taglio e l'interasse a' di lavoro (a'=R1'+R2', essendo R1', R2' i raggi primitivi di lavoro) è diverso da quello a

Fig. 8.21 – Primitive di taglio per x, + x2 > 0

di taglio (a=R1+R2). Si osserva che l'interasse di taglio può essere espresso in funzione del modulo della dentiera e dei numeri dei denti delle due ruote:

( ) 2/21 zzma +=

Vediamo come sia possibile, in una tale situazione, risolvere il seguente

problema: siano dati i numeri di denti z1 e z2 delle due ruote, il modulo, l'angolo di pressione della dentiera e la quantità x1+x2 ; si vuol trovare il valore dell'interasse di lavoro a' e l'angolo di pressione di lavoro α'.

Page 228: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Cominciamo con l'osservare che lo spessore dei denti delle due ruote calcolato sulle primitive di taglio vale:

απ

απ

tan22

tan22

22

11

xms

xms

+=

+=

(8.14) In condizioni di lavoro la somma degli spessori dei denti s1 ed s2 delle due

ruote, calcolati sulle primitive di lavoro, deve essere uguale al passo di lavoro. Si ha cioè:

2

2

1

121

22zR

zR

ss′

=′

=′+′ππ

(8.15) Cerchiamo adesso di esprimere lo spessore di un dente di una ruota ad

evolvente in funzione del raggio. Indichiamo (fig. 8.22) con φ0 l'angolo compreso fra il raggio passante per il punto di origine dell'evolvente sulla circonferenza base e l'asse del dente. Lo spessore del dente sulla circonferenza base vale:

02ρϕ=bs (8.16)

Fig. 8.22 - Geometria dell'evolvente. Sulla circonferenza generica di raggio ρ+y lo spessore è dato, con le

notazioni di figura, da: ( )ϕρ ysy += 2 (8.17)

È poi:

( ) εϕρρ

εϕ +===+

0tan ADAB

(8.18) Se poniamo ρ+y =R (raggio primitivo di taglio), risulta φ+ε=α. E quindi:

( ) ϕϕαεϕ −+=+ 0tan Per le (8.16) (8.17) si ha poi:

Page 229: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Rssb

22tan 0 −=−=−

ρϕϕαα

(s è lo spessore sulla primitiva). La funzione tgα-α è nota come funzione dell'evolvente e viene indicata con il

simbolo inv(α). Si può scrivere dunque:

( )Rss

inv b

22−=

ρα

Se poniamo ρ+y =R’ (raggio primitivo di lavoro) si trova analogamente:

( )Rss

inv b

′′

−=′22ρ

α

Sottraendo membro a membro le due ultime espressioni otteniamo:

( ) ( )Rs

Rsinvinv

22−′′

=′− αα (8.19)

Riprendiamo adesso in esame la (8.15). Tenendo conto che:

ααρ ′′== coscos 111 RR , ααρ ′′== coscos 222 RR e quindi che:

αα

coscos

2

2

1

1 ′=′=′ R

R

R

R

(8.20)

la (8.15) per le (8.19), (8.14) diviene:

( ) ( ) ( ) ( )2121

tan2zzm

xxinvinv+

+=−′ααα

(8.21) L'interasse di lavoro a' è, poi, per le (8.20):

( )αα′

+=′+′=′coscos

2121 RRRRa

ossia:

αα′

=′coscosaa

(8.22) Le (8.21), (8.22) risolvono il problema che ci siamo posti. In particolare la

Page 230: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

(8.21) fornisce il valore dell'angolo di pressione di lavoro, mentre la (8.22) dà il valore dell'interasse di lavoro.

Le (8.21), (8.22) permettono, ovviamente, anche la soluzione del problema inverso a quello dianzi posto: dati i numeri dei denti z1 e z2, il modulo e l'angolo di pressione della dentiera ed assegnato il valore di a', trovare l'angolo di pressione di lavoro ed il valore di x1+x2 . Permette, cioè, la soluzione del problema citato al punto c) all'inizio di questo paragrafo.

L'adozione di uno spostamento porta in ogni caso ad alterare la forma dei denti, come è posto in evidenza nella fig. 8.23. In particolare, spostamenti positivi portano a denti a base più larga ed estremità più appuntita (a valori elevati di spostamento positivo possono corrispondere addirittura denti a punta), mentre a spostamenti negativi corrispondono denti a base più stretta (con valori negativi dello spostamento si presenta con maggiore facilità il pericolo dell'interferenza dei profili).

x=-0.6 x=-0.3 x=0 x=0.3 x=0.3 Z=14

Z=20

Z=50

Fig. 8.23 - Effetto dello spostamento sulla forma dei denti. Fino ad ora abbiamo preso in considerazione ruote dentate a dentatura

esterna. Per una coppia rocchetto a dentatura esterna - ruota a dentatura interna la (8.21) e ancora valida, purché lo spostamento x2, relativo alla ruota a dentatura interna, sia assunto come positivo se produce un aumento dell'addendum della ruota rispetto al valore di riferimento, e purché si ponga il segno - davanti a Z2. La (8.22) è ancora valida.

8.10. RENDIMENTO DELLE RUOTE DENTATE CILINDRICHE A

DENTI DIRITTI Concludiamo la trattazione delle ruote dentate cilindriche a denti diritti con il

calcolo del rapporto fra i momenti ad esse applicati in condizioni di regime e con una valutazione orientativa del loro rendimento.

Page 231: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 8.24 - Forze trasmesse fra due denti coniugati Consideriamo la fig. 8.24, nella quale è rappresentata una coppia di profili a

contatto in fase di recesso. La ruota 1 è motrice, mentre la ruota 2 è condotta. La coppia resistente M2 sia nota. Siano pure noti le dimensioni delle ruote ed il coefficiente di attrito nel contatto fra i denti. Riteniamo nulli i raggi dei circoli di attrito delle coppie rotoidali. Ci proponiamo di calcolare il valore della coppia motrice M1.

I profili a contatto hanno un moto relativo di rotolamento e di strisciamento. Il rotolamento avviene con velocità angolare Ω1 ± Ω2 (il segno + vale per ruote esterne, quello - per ruote interne). La velocità di strisciamento è data dalla relazione:

( ) CMw ⋅Ω±Ω= 21

valendo il segno + o il segno - a seconda che il punto C sia interno ovvero

esterno al segmento O1 O2 , ossia a seconda che le ruote siano esterne ovvero interne. A tale risultato si perviene immediatamente considerando che il moto relativo delle due ruote è una rotazione attorno a C con velocità angolare Ω1_±_Ω2. Soltanto quando M coincide con C il moto dei profili è un puro rotolamento.

Osserviamo per inciso che la velocità del punto M, considerato appartenente ad una delle due ruote, ha una componente diretta secondo la normale ai profili e una componente diretta secondo la loro tangente. Le due componenti normali sono evidentemente uguali fra loro, mentre quelle tangenziali sono diverse e la loro differenza è appunto w. Il rapporto tra w e la componente tangenziale relativa ad una ruota prende il nome di strisciamento specifico; per ciascuna ruota, esso è di regola massimo quando il contatto fra i profili avviene in prossimità della circonferenza di piede. Un elevato valore dello strisciamento specifico per una ruota indica che, in quel punto, un piccolo tratto di profilo del dente di quella ruota viene a contatto con un tratto più lungo del profilo del dente dell'altra ruota. Ne segue che le sollecitazioni di fatica superficiale (v. § 3.7.d)) sono tanto maggiori, quanto maggiore è lo

Page 232: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

strisciamento specifico. La forza di contatto fra denti ha linea di azione passante per un punto della

tangente comune ai profili spostato di δ (parametro dell'attrito volvente) rispetto alla linea di contatto CM. La forza di contatto può essere, poi, scomposta in una componente normale N ed in una componente tangenziale fN.

Chiamiamo con S21 la forza che la ruota 2 trasmette alla 1 (di componenti N21 normale ai profili ed fN21 tangente ai profili; questa ultima ha verso tale da opporsi allo strisciamento del profilo 1 rispetto al profilo 2). La ruota 1 reagisce sulla ruota 2 con una forza S12 uguale ed opposta alla S21.

Dal punto di vista quantitativo, il contributo dell'attrito di rotolamento è trascurabile rispetto a quello dell'attrito di strisciamento, nel calcolo del rapporto fra i momenti. Perciò supporremo che sia δ=0.

Passiamo a scrivere le condizioni di equilibrio delle due ruote alla rotazione attorno ai rispettivi assi. Per la ruota 2 si ha:

( )[ ]CMRfRNM −+= αα sincos 22122

Per la ruota 1:

( )[ ]CMRfRNM ++= αα sincos 11211 Indicando con s il segmento di arco di azione corrispondente al segmento

MC della linea di contatto, si ha (v. la (8.5)):

αcossCM = Si ottiene pertanto la relazione seguente:

( )( )ααα

αααcossincoscossincos

22

1121 sRfR

sRfRMM

−+++

=

che può scriversi anche:

( )( )2

1

2

121 /tan1

/tan1RsfRsf

RR

MM−+++

=αα

(8.23) Se, come di norma accade, f2 è moto piccolo rispetto ad 1, i termini del tipo

f2 tan2α, f 2(s/R)2, f2(s/R)tana possono essere trascurati rispetto ad 1. La (8.23) può in tal caso scriversi nella forma:

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛++=

212

121

111RR

fsRR

MM (8.24)

Page 233: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Se avessimo considerato un contatto in fase di accesso la (8.23) si sarebbe modificata nella seguente:

( )( )2

1

2

121 /tan1

/tan1RsfRsf

RR

MM+−−−

=αα

mentre la (8.24) rimane valida anche in questo caso. Le relazioni trovate esprimono il valore di M1 nell'ipotesi che una sola coppia

di denti partecipi al contatto. Soffermiamoci brevemente a considerare come in realtà vadano le cose.

Consideriamo la fig. 8.25. In figura è rappresentato l'arco di azione rettificato. Il tratto AC corrisponde alla fase di accesso, il tratto CB a quella di recesso. Si è supposto che il passo p abbia lunghezza di poco superiore alla metà dell'arco di azione. Di conseguenza mentre un profilo percorre l'arco AD (ed è in presa con il profilo di un dente della ruota coniugata lungo la corrispondente porzione del segmento di contatto), un altro profilo percorre l'arco EB in fase di recesso ed è in presa con il profilo di un altro dente della ruota coniugata. Allorché il primo profilo, spostandosi lungo l'arco di azione, viene a percorrere l'arco DE, il profilo che lo precedeva è già uscito di contatto. Quando il profilo che percorre l'arco DE giunge in E, un nuovo profilo _

Fig. 8.25 - Arco d'azione rettificato.

si presenta in A ed entra in contatto con il profilo di un nuovo dente della ruota coniugata. In conclusione, durante lo spostamento da A in B una coppia di profili sopporta carichi variabili: tutto il carico corrispondente alla coppia trasmessa dalla ruota nel tratto DE, solo parte del carico nei tratti AD ed EB (questa parte sarebbe uguale alla metà del carico totale se le due coppie di denti fossero ugualmente caricate; in realtà la ripartizione del carico fra le coppie di denti in presa dipende da molti fattori di difficile analisi: deformazione dei denti sotto carico, giochi, condizioni di lubrificazione, ecc.).

Considerazioni analoghe potrebbero essere svolte nel caso che il rapporto fra arco di azione e passo (detto anche fattore di ricoprimento) fosse maggiore di due. La determinazione della distribuzione dei carichi fra le coppie di denti in presa sarebbe ancora più difficile che nel caso precedente.

Non riteniamo sia questa la sede per sviluppare uno studio approfondito della distribuzione dei carichi fra le coppie di denti in presa. Pertanto riteniamo opportuno limitarci a considerare il caso limite, in cui sia in presa sempre e soltanto una coppia di denti; supponiamo cioè che l'arco di azione abbia lunghezza uguale al passo. Allora le formule sopra scritte conservano

Page 234: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

intera la loro validità. Passiamo adesso al calcolo del rendimento della coppia. Nel caso ideale il

momento motore M10 vale:

2

1210 R

RMM =

(8.25) Dividendo membro a membro la (8.25) e la (8.23) si ottiene:

( )( )1

2

1

10

/tan1/tan1

RsfRsf

MM

i ++−+

==αα

η

mentre dividendo la (8.25) per la (8.24), con gli stessi criteri di approssimazione sopra adottati si ottiene:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+−==

211

10 111RR

fsMM

iη (8.26)

Quando il contatto è in fase di accesso si ha:

( )( )1

2

1

10

/tan1/tan1

RsfRsf

MM

i −−+−

==αα

η

il cui valore risulta leggermente inferiore a quello che si ottiene in fase di recesso.

I rendimenti cosi calcolati sono funzioni di s, dipendono cioè dalla distanza del punto di contatto dal centro di istantanea rotazione. Si tratta, in definitiva, di rendi menti «istantanei», calcolati nell'intorno della posizione occupata, in un determinato istante, dalla coppia di profili in contatto.

Più del rendimento istantaneo ha interesse il rendimento «medio» della coppia di ruote dentate, inteso come rapporto fra il lavoro utile ed il lavoro motore corrispondente ad un rotolamento delle primitive pari ad un passo. Osserviamo a questo proposito che, a seguito del rotolamento di un passo, la configurazione iniziale di una coppia di ruote fra loro coniugate si ripristina, le coppie di profili in presa rioccupando le stesse posizioni già inizialmente occupate da altre coppie di profili. Per le stesse ragioni sopra esposte, ci limiteremo a considerare il rendimento medio nella situazione limite in cui l'arco di azione è uguale al passo.

Il lavoro resistente per un rotolamento delle primitive pari ad un passo vale:

22 R

pMLr =

Page 235: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

II lavoro motore corrispondente vale:

l'integrale essendo esteso ad un passo, ossia, in questo caso, a tutto l'arco di

∫= pm dsML 1

azione. Indicando con s1 ed s2 le lunghezze dell'arco di azione in accesso ed in recesso si può anche scrivere:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+= ∫∫

21

01

01

1 SS

m dsMdsMR

L

rendendo per Μ1 l'espressione semplificata data dalla (8.24) otteniamo: P

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡ +⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛++=

2111 2

221

2122

ssRR

fpR

MLm

o, con le stesse approssimazioni già utilizzate p

La espressione del rendimenter giungere alla (8.24), diviene:

2111

22

21

21

ssRR

fLL

m

r +⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+−==η

Posto:

, ( )ps ε−= 12 ps ε=1

ricordando la definizione di passo, si ottiene in definitiva: e

( )εεπη 221111 2

21

−+⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+−==

zzf

LL

m

r

uesta espressione del rendimento ha solo carattere orientativo non s

Qoltanto perché ottenuta in una condizione molto particolare (una sola coppia

di denti sempre in presa), ma anche perché nel calcolo del lavoro motore si è supposto che il coefficiente di attrito sia costante su tutto l'arco di contatto. In realtà le cose vanno diversamente: il contatto fra i denti di due ruote dentate avviene quasi sempre in presenza di lubrificante ed il coefficiente di attrito risente in misura notevole del valore della velocità di strisciamento; quindi varia sensibilmente con la distanza del punto di contatto dal centro di istantanea rotazione. La espressione del rendimento sopra trovata permette, tuttavia, di valutare l'influenza che sul rendimento stesso hanno alcune grandezze; in primo luogo, a parità di altre circostanze, il numero dei denti delle due ruote.

Page 236: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Terminiamo questo argomento osservando che, nel caso di contatto fra ru

.11. RUOTE DENTATE CILINDRICHE A DENTI ELICOIDALI

inora abbiamo considerato ruote dentate cilindriche a denti diritti, nelle q

F .26 - Generazione dei fianchi dei denti delle

essi tangente (lungo le rette K1 K1 , K2 K

egmento di retta MN appartenente al piano tangente ai c

ote interne, nell'espressione del rendimento comparirebbe la differenza, anziché la somma, dei reciproci dei numeri dei denti delle due ruote.

8 Fuali i fianchi dei denti sono superfici cilindriche ottenute facendo traslare i

profili secondo la direzione degli assi delle ruote stesse. Passiamo adesso a considerare le ruote dentate cilindriche a denti elicoidali. Queste presentano, come vedremo, alcune particolarità che in molte circostanze le fanno preferire alle ruote a denti diritti, nelle trasmissioni fra assi paralleli. In altro paragrafo (8.16) vedremo che le ruote cilindriche a denti elicoidali possono essere impiegate per trasmettere il moto fra assi sghembi. Per lo studio delle proprietà fondamentali delle ruote a denti elicoidali è opportuno fare riferimento alla fig. 8.26. In figura sono rappresentati i cilindri base delle

ig. 8

ruote a denti elicoidali.

due ruote coniugate ed un piano ad 2 ). Osserviamo che, se le ruote avessero denti diritti, le loro proprietà

geometriche potrebbero essere studiate, come abbiamo visto a suo tempo, considerando le circonferenze base (proiezioni dei cilindri base su di un piano ortogonale agli assi) e la retta K1 K2 ad esse tangente (quella, delle rette tangenti, su cui si sviluppa il contatto fra i profili). Passando a considerare ruote a denti elicoidali occorre, invece, fare riferimento ad una rappresentazione spaziale; pertanto passiamo a considerare i cilindri base ed uno dei piani ad essi tangenti (quello sul quale, come vedremo, si sviluppa il contatto fra i denti).

Consideriamo un silindri base ed inclinata dell'angolo βb rispetto agli assi delle ruote. Nel

rotolamento del piano tangente su ciascuno dei due cilindri base, ogni punto

Page 237: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

del segmento MN descrive una evolvente. Il segmento stesso genera, in ciascuno di questi due rotolamenti, fianco di un dente. Questa superficie si appoggia sul cilindro base corrispondente lungo un'elica, la cui tangente forma l'angolo βb con l'asse del cilindro stesso (è ovvio che se fosse βb=0 il segmento MN genererebbe un dente diritto).

I fianchi dei due denti delle due ruote coniugate, generati da. segmento di re

ano di contatto interessata dal contatto fra i denti è limitata d

me si sviluppa il contatto fra due denti s

ueste modalità d

llorché e

tta MN nei due moti di rotolamento citati, si toccano dunque lungo lo stesso segmento MN. Intersecando i fianchi dei denti con un piano ortogonale agli assi, si ha una coppia di profili coniugati ad evolvente che si toccano in un punto del segmento MN; in particolare sulle facce laterali delle due ruote si hanno coppie di profili a contatto in M ed in N. A seguito della rotazione delle due ruote attorno ai rispettivi assi, per le proprietà dell'evolvente i punti M, N si spostano lungo le rette K1 K2 con la stessa velocità (ricordiamo, con riferimento alla fig. 8.14 che, tracciando due profili ad evolvente da due punti della circonferenza base, i due profili intercettano sulla retta di contatto un segmento di lunghezza uguale all'arco di circonferenza base considerato; pertanto ad una rotazione uniforme della ruota, e quindi della circonferenza base, corrisponde uno spostamento uniforme del punto di contatto fra profili coniugati lungo la retta di contatto. La stessa cosa può dirsi, ovviamente, per tutti gli altri punti del segmento MN. Dunque, al progredire del moto, il contatto fra due denti ha luogo lungo un segmento di retta parallelo ad MN e appartenente al piano tangente ai due cilindri base. Questo è, pertanto, il piano di contatto.

La porzione di pialle intersezioni del piano stesso con i cilindri di testa, nonché dai piani

laterali delle due ruote; è quindi una superficie rettangolare. Tale rettangolo è suddiviso in due parti - una di accesso e una di recesso - dalla retta di tangenza dei cilindri primitivi, intersezione del piano di contatto con il piano passante per gli assi delle due ruote.

Passiamo adesso a considerare coul piano di contatto. All'inizio dell'imbocco due denti si toccano in un punto

(punto P in figura). A partire da tale situazione il contatto si estende ad un segmento di retta, di lunghezza gradualmente crescente fino al valore MN, che viene raggiunto allorché i profili appartenenti alla faccia delle ruote opposta a quella contenente il punto P, vengono fra loro a contatto in Q. In questa situazione il contatto fra i denti avviene sul segmento RQ, di lunghezza uguale a MN. II contatto fra due denti termina gradualmente, con modalità analoghe a quelle con cui il contatto stesso ha inizio.

Esaminiamo le principali conseguenze che discendono da qi imbocco. Cominciamo a calcolare la lunghezza dell'arco di azione. Consideriamo a tal fine i due profili che entrano in contatto in P. Assi si abbandonano in S i denti cui essi appartengono sono ancora in presa;

in particolare i profili sull'opposta faccia delle ruote si toccano ancora in T. II contatto fra i denti termina allorché questi ultimi profili si abbandonano in U.

Page 238: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Per tale motivo, dal punto di vista della durata dell'imbocco fra due denti, le cose vanno come se il segmento di contatto avesse una lunghezza PS+TU (ovvero PS+PR).

Se indichiamo con L la larghezza delle ruote il segmento TU=PR vale Ltgβb L'arco di azione, per la (8.5), riceve un incremento Δs dato dalla:

αβ

costan bL

s =Δ (8.27)

d un incremento dell'arco di azione corrisponde, a parità di altre

c

no a

ntatto si e

ori dovuti alla irregolarità dei carichi s

orre tenere conto che nel contatto fr

N = S cos βb

d in una componente T secondo l'asse stesso:

Aircostanze, un aumento del numero delle coppie di denti

contemporaneamente in presa e quindi una migliore distribuzione del carico fra i denti. È questa una caratteristica positiva delle ruote a denti elicoidali.

Le considerazioni sopra svolte sulle modalità dell'imbocco permettonche di comprendere per quali motivi le ruote elicoidali abbiano

funzionamento più regolare e meno rumoroso di quelle a denti diritti. Nelle ruote a denti diritti, allorché due denti entrano in presa, il costende subito su tutta la larghezza del dente. Sulla coppia di denti viene a

scaricarsi bruscamente una parte importante del carico totale; si ha un innesco di fenomeni vibratori, che sono tanto più evidenti quanto più pronunciati sono gli errori sul passo delle due ruote (dovuti ad errori di taglio o ad usure), e quanto più elevata è la velocità periferica. Fenomeni analoghi si manifestano allorché due denti si abbandonano. Nelle ruote a denti elicoidali, invece, il contatto fra due denti si inizia e termina gradualmente. La rigidezza del dente, allorché viene caricato in un solo punto (punto P di fig. 8.26), è relativamente modesta; come conseguenza il dente prende, all'inizio, una porzione modesta del carico totale. In definitiva i denti vengono a caricarsi ed a scaricarsi con gradualità.

Come conseguenza i fenomeni vibratono, nelle ruote elicoidali, meno accentuati che nelle ruote a denti diritti; con

vantaggi dal punto di vista della silenziosità di funzionamento, del rendimento, della durata dell'ingranaggio.

Quando si impiegano ruote elicoidali, occa i denti delle due ruote nasce una spinta assiale, che può richiedere

l'impiego di cuscinetti reggispinta. Osserviamo a questo proposito che, prescindendo dagli attriti, la risultante delle pressioni di contatto fra due denti è una forza S (v. la fig. 8.26) normale alla superficie dei denti e perciò contenuta nel piano di contatto. Tale forza è ortogonale ai segmento MN; quindi può essere scomposta in una componente N ortogonale all'asse delle ruote:

e

Page 239: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

T = S sen βb = N tan βb .

e indichiamo con M il momento su di una ruota e con R il raggio primitivo, s

Si ha:

αβα

costancos

RM

T

RMN

b=

=

(8.28)

a spinta assiale T può essere sopportata da un cuscinetto reggispinta, o

ig. 8.27 - Compensazione totale o parziale della spinta as

g. 8.28 - Contatto tra i fianchi dei denti del pignone e della dentiera el

assiamo adesso a considerare una particolare ruota elicoidale: la dentiera e

Lvvero da un cuscinetto misto, portante e reggispinta. In alcuni casi può

essere in tutto o in parte compensata. In fig. 8.27 sono rappresentate due soluzioni costruttive nelle quali si ha una compensazione totale o parziale della forza T. Nel primo schema ciascuna ruota della coppia di ruote coniugate è suddivisa in due ruote affiancate, aventi opposta inclinazione di elica; nel secondo schema, che illustra una trasmissione dall'albero motore 1 all'albero condotto 3, attraverso un albero intermedio 2, l'albero 2 è caricato da due forze assiali di verso contrario, che parzialmente si compensano.

Fsiale.

Fiicoidale.

Plicoidale. È facile rendersi conto che anche i denti della dentiera elicoidale,

come quelli della dentiera a denti diritti, hanno fianchi piani. Basta osservare (fig. 8.28) che il fianco di un dente di una dentiera è tangente lungo un segmento di retta (segmento MN) al dente della ruota coniugata e che in una sezione eseguita con un piano perpendicolare all'asse della ruota coniugata il profilo della dentiera è rettilineo e perpendicolare al piano di contatto.

In fig. 8.29 è rappresentata una dentiera elicoidale.

Page 240: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Consideriamo adesso una dentiera a denti diritti. Se ne stacchiamo una p

zione, sull'asse d

orzione, limitata da due piani fra loro paralleli ed obliqui rispetto alla direzione dei denti, otteniamo una dentiera elicoidale. Questa semplice osservazione fa comprendere come il taglio di un ruota a denti elicoidali possa essere eseguito impiegando un utensile dentiera identico a quello usato per il taglio di ruote a denti diritti (v. paragrafo 8.8). Il moto di taglio deve essere diretto, naturalmente, secondo gli assi dei denti.

Finora abbiamo fatto riferimento all'angolo βb, ossia all'inclinaella ruota, dell'elica intersezione del fianco del dente con il cilindro base. Nel

caso della dentiera il cilindro base è improprio. Questo è uno dei motivi, forse il principale, per cui in pratica, nel disegno e nel taglio delle ruote elicoidali, non si fa riferimento all'angolo βb, bensì all'angolo β, inclinazione sull'asse della ruota dell'elica intersezione del fianco del dente con il cilindro primitivo. Questo angolo è di immediato significato anche per una dentiera elicoidale (v. fig. 8.29).

Fig. 8.29 - La dentiera elicoidale

ra βb e β esiste una relazione che si trova facilmente: basta osservare che

le

ρ ctg βb = R ctg β da cui:

F due eliche, quella primitiva e quella di base, appartengono allo stesso

elicoide e pertanto hanno lo stesso passo. Si ha allora:

αβ

βρ

βcostan

tantan bb

R==

e (8.27), (8.28) possono quindi scriversi anche nella forma: L

βtanLs =Δ (8.27’)

βtanRMT =

(8.28’)

er quanto riguarda il proporzionamento dei denti di una ruota elicoidale o

Psserviamo che, anche in questo caso, possiamo distinguere ruote del tipo

normale e ruote corrette. Nel primo caso il dente viene proporzionato in base

Page 241: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

al modulo, come per le ruote a denti diritti. Adesso, però, il modulo cui si fa riferimento non è più definito dalla (8.4), rapporto fra diametro primitivo e numero dei denti, bensì è il cosiddetto modulo normale (nel senso di «ortogonale»). II modulo normale è definito come rapporto fra il passo normale e π; a sua volta il passo normale è la distanza fra due eliche primitive omologhe consecutive valutata lungo un'elica ad esse normale. Se facciamo riferimento ad una dentiera il passo normale può anche definirsi come distanza fra due spigoli omologhi di due denti consecutivi misurata secondo la perpendicolare agli spigoli stessi. Si ha, cioè, indicando con p il passo normale (v. fig.8.30):

pn = p cos β

bbiamo continuato ad indicare con p il rapporto 2πR/z).

pporto p/π si ha a

mn = m cos β

sso e

F one

ella sezione eseguita con un piano perpendicolare al piano primitivo ed

a

ed αn esiste la relazione:

tan αn = tan a cos β

e il dente di una ruota elicoidale è proporzionato in base al modulo n

metria dell'evolvente (ed in

(aIndicando con mn il modulo normale, con m il ranalogamente:

Fig. 8.30 - Relazione fra pa

. 8.31 - Relazione fra angolo di pressi

passo normale.

ige angolo di pressione normale.

Nlla direzione dell'asse dei denti l'angolo αn di semiapertura di un dente

trapezio di una dentiera elicoidale è diverso dall'angolo di pressione α. Chiamiamo αn angolo di pressione normale.

Risulta chiaramente dalla fig. 8.31 che fra α

Sormale (ad esempio con addendum = mn dedendum = 1,25 mn) uno stesso

utensile dentiera può essere usato per tagliare ruote elicoidali di qualunque inclinazione (e quindi anche ruote a denti diritti) che abbiano lo stesso modulo normale e lo stesso angolo di pressione normale (che si riducono al modulo ed all'angolo di pressione nel caso di denti diritti).

Per quanto riguarda le questioni relative alla geo

Page 242: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

p

.12. TRASMISSIONE DEL MOTO FRA ASSI CONCORRENTI C

bbiamo già studiato nel paragrafo 5.8 alcune fondamentali proprietà del m

mettere il moto dalla ruota 1 alla ru

Fig. 8.32 - Ruote di frizione coniche

articolare quelle riguardanti la condizione di non interferenza di taglio e di lavoro, la realizzazione di interassi di valore prestabilito, ecc.) valgono integralmente le considerazioni che abbiamo svolto nei paragrafi 8.7, 8.9. In particolare, per quanto riguarda la correzione delle ruote dentate elicoidali, valgono ancora le, (8.21), (8.22) dove le quantità α, α', m sono riferite ancora al piano frontale delle due ruote (è su questo piano, infatti, che sono state svolte le considerazioni che portano alle formule citate). Così, volendo correggere ruote dentate elicoidali, occorre introdurre in dette formule non αn, mn, bensì α, definito dalla relazione sopra scritta, ed m = mn/cosβ. Per quanto riguarda gli spostamenti x1 ed x2 occorre, naturalmente, tener presente che l'altezza del dente è riferita ad mn e non ad m.

8ON RUOTE DI FRIZIONE Aoto sferico. In questo paragrafo e nel successivo faremo alcune applicazioni

di tali proprietà allo studio di meccanismi atti alla trasmissione del moto, con rapporto di trasmissione costante, fra alberi aventi gli assi concorrenti in un punto. Cominciamo a vedere come simili trasmissioni possano essere effettuate con l'impiego di ruote di frizione.

Consideriamo la fig. 8.32. Si debba trasota 2. Come nei caso delle ruote di frizione piane (fig. 8.1), il meccanismo

comprende quattro membri (od anche tre soli membri, purché almeno uno di essi sia sensibilmente deformabile sotto i carichi di esercizio). Il membro 4 funge da telaio; il membro 3, premuto verso il 4 da una molla, può ruotare rispetto al 4 attorno ad un asse o34 passante per il punto O, nel quale si incontrano gli assi delle due ruote. L'asse o34 non deve giacere nel piano degli assi delle due ruote; anzi è opportuno che sia perpendicolare a questo piano, come in fig. 8.32.

La superficie attiva di ciascuna ruota è una porzione di cono circolare,

Page 243: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

li

izione cilindriche, anche in questo caso sono in

trasmissione τ può trovarsi considerando (fig. 8

Fig. 8.33 - Relazione fra le velocità angolari delle ruote di

Ω21 Ω2- Ω1

è diretto secondo la retta c21. Indichiamo con α1, α2 le semiapertura dei due

mitata da due piani perpendicolari agli assi. Il punto O, nel quale si incontrano gli assi o1 ed o2 dei due coni, è centro delle sfere sulle quali, nel moto relativo fra le due ruote, si muovono i singoli punti delle ruote stesse. Le due superfici sono fra loro a contatto lungo un segmento della retta c21 che, se il moto relativo delle due ruote è di puro rotolamento, è l'asse di istantanea rotazione del moto relativo.

Come per le ruote di frevitabili lievi strisciamenti locali nel contatto fra le ruote. Di solito si può

prescindere da tali strisciamenti (e quando non si potesse prescinderne non si potrebbe nemmeno fare ricorso all'impiego di ruote di frizione): si può, cioè, ritenere che le due superfici coniche coincidano con le superfici primitive del moto relativo delle due ruote.

In questo caso il rapporto di.33) che il vettore Ω21, velocità angolare nel moto relativo della ruota 2

rispetto alla ruota 1, definito dalla relazione:

frizione coniche.

=

coni. Risolvendo con il teorema dei seni il triangolo delle velocità angolari si ottiene:

2

1

1

2

sinsin

αα

τ =ΩΩ

= (8.29)

unque il rapporto di trasmissione dipende solo dagli angoli α1 ed α2. Dati gli

a

relativamente raro. Per esse v

go una g

Dssi delle due ruote, uno stesso rapporto di trasmissione può essere

realizzato sia con ruote di piccolo ingombro, sia con ruote di grande ingombro, purché abbiano la stessa apertura.

Le ruote coniche di frizione trovano impiegoalgono, infatti, le stesse limitazioni delle ruote di frizione cilindriche. Oltre alle ruote di frizione che vengono fra loro a contatto luneneratrice di un cono, si impiegano talvolta ruote di frizione con contatto

puntiforme. Le superfici attive delle ruote non sono allora superfici coniche, ma tali restano le superfici primitive. Il rapporto di trasmissione resta ancora espresso dalla (8.29), purché α1 e α2 siano le semiapertura dei coni primitivi. A soluzioni di questo genere si ricorre, ad esempio, quando si voglia realizzare un meccanismo che permetta la variazione continua del rapporto di trasmissione entro un certo intervallo (variatori meccanici di velocità

Page 244: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

angolare). A chiarimento consideriamo gli esempi delle figg. 8.34, 8.35. Nella prima

fi

τ = tan α1

e può essere modificato con continuità spostando la rotella 2 lungo il proprio

Fig. 8.34 - Meccanismo a disco e rotella

ig. 8.35 - Variatore continuo Wülfel-Kopp.

fig. 8.35 a) è rappresentato tr

fra i membri 1,2 e 2,3 sono di puro rotolamento, gli assi di is

gura è rappresentato il cosiddetto meccanismo a disco e rotella. Il disco 1 tocca la rotella 2 nel punto M. Se in M non si hanno strisciamenti fra le due ruote, la retta passante per O (punto di incontro degli assi delle due ruote e centro del moto sferico) e per M è l'asse di istantanea rotazione c21 . Se, come in figura, α1+α2= π/2, il rapporto di trasmissione vale:

asse. Questo dispositivo trova impiego in alcuni strumenti, in presse a vite edin qualche altro raro caso .

F

In il variatore continuo Wülfel-Kopp. La ruota 1 asmette il moto alla 2 che, a sua volta, lo trasmette alla 3 coassiale con la 1.

La ruota 2 ha forma sferica e gira attorno ad un asse orientabile (l'angolo β, fra l'asse di rotazione della sfera e gli assi delle ruote 1 e 3, può variare fra 0 e ±30° circa).

Se i contatti tantanea rotazione sono quelli indicati nella fig. 8.35 b). Il rapporto di

trasmissione Ω3 / Ω1 può essere trovato utilizzando la (8.29) ovvero, anche più rapidamente, osservando che nei punti M ed N le velocità relative dei corpi a contatto sono nulle; si può cioè scrivere, con le notazioni di figura:

,

MANQ

NBNQ

==ΩΩ

2

3 MPMA

=ΩΩ

1

2

e quindi:

Page 245: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

MPNQ

=ΩΩ

ΩΩ

=ΩΩ

=1

2

2

3

1

unque τ è funzione dell'angolo β.

o con principi analoghi. Non riteniamo, tu

.13. TRASMISSIONE DEL MOTO FRA ASSI CONCORRENTI

e superfici coniche rappresentate in fig. 8.32 possono essere interpretate

a

ei o denti curvi. C

DAltri variatori meccanici funzionanttavia, opportuno soffermarci ulteriormente su questi dispositivi, giacché il

loro campo di impiego, ormai piuttosto limitato, va sempre più restringendosi per i progressi che soluzioni di tipo elettrico, tecnicamente molto interessanti, hanno fatto negli ultimi anni.

8

CON RUOTE DENTATE

Lnche come superfici primitive di una coppia di ruote dentate coniche. In

questo caso, peraltro, il meccanismo di fig. 8.32 deve essere modificato, con la sostituzione di un unico membro rigido ai due membri 3 e 4.

Il rapporto di trasmissione è ancora espresso dalla (8.29). Le ruote dentate coniche possono avere denti rettilinominciamo a considerare il primo caso, nel quale il fianco di un dente è

ottenuto proiettando dal punto O, centro del moto sferico, uno dei profili coniugati disegnati su di una sfera di centro O.

Fig. 8.36 - Generazione dei fianchi dei denti delle ruote coniche a denti dritti.

i consideri la fig. 8.36. Su di una superficie sferica di centro O e raggio R s

ruote cilindriche, gli unici profili praticamente impiegati nelle ru

Sono disegnate le primitive sferiche σ1 e σ2, intersezioni della superficie sferica

con i coni primitivi. Note le primitive sferiche, si possono tracciare sulla sfera i profili coniugati delle due ruote, con procedimenti analoghi a quelli già trattati nel paragrafo

Come per leote coniche sono profili ad evolvente (o meglio, profili molto prossimi ad

evolventi sferiche). Questi profili presentano, infatti, le seguenti interessanti caratteristiche: i denti ad evolvente sono ben proporzionati dal punto di vista della resistenza meccanica e tollerano lievi errori sull'angolo degli assi in sede di taglio e di montaggio.

Page 246: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

L'estensione del procedimento illustrato nelle figure 8.5, 8.7 al caso sferico non porta, a stretto rigore, a profili ad evolvente sferica, ma a profili che, ai fini pratici, possono ritenersi coincidenti con evolventi sferiche. In fig. 8.36 è indicato come quel procedimento possa essere esteso al caso sferico. È stata tracciata una circonferenza massima ε tangente in C alle primitive sferiche; essa corrisponde alla retta ε di fig. 8.7.

Fig. 8.37 - Ruota piano-conica: a) generazione dei fianchi dei denti; b) ingranamento della ru ta piano conica con

le

na seconda circonferenza massima, la μ, solidale alla ε, corrisponde alla re

nte d

oruote coniugate 1 (a sinistra) e 2 (a destra). Utta μ della fig. 8.7. Nel moto di rotolamento della circonferenza ε sulle

primitive sferiche la circonferenza μ inviluppa i due profili coniugati s1 e s2. Sulla sfera il contorno di un dente è costituito da due profili simmetricameisposti rispetto ad un piano passante per O, e dalla circonferenza di testa. Il

contorno del dente si stacca dalla circonferenza di piede. Il dimensionamento di un dente è analogo al dimensionamento del dente di una ruota cilindrica. Di solito si fa riferimento alla superficie sferica di raggio massimo, entro la quale la ruota è tutta contenuta. Su questa superficie sferica si definiscono il passo e il modulo, con le stesse relazioni del paragrafo 8.5. I passi sono ovviamente uguali per due ruote coniugate. Vale pertanto ancora una volta la relazione:

2

1

1

2

zz

=ΩΩ

ome per le ruote cilindriche, si hanno ruote normali e ruote corrette. Per

q

o particolare, di notevole interesse soprattutto dal punto di vista del ta

Cuelle normali l'addendum ed il dedendum hanno ancora i valori e = m, i =

1,25 m. Un casglio delle ruote coniche, si ha quando delle due primitive sferiche diviene

circonferenza massima (ed il cono primitivo diviene un piano). Si ha allora la cosiddetta ruota piano conica. In questo caso (fig. 8.37) una delle due primitive, la σ2 in figura, coincide con la ε e quindi il profilo s2 è un arco della circonferenza. (così come il profilo di una dentiera è un tratto della retta μ v. la

Page 247: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

fig. 8.11). Proiettando dal centro O della sfera i profili sferici si ottengono i fianchi dei

d

i, i cui profili s

coniche (ad esempio il c

procedimento del T

onica sviluppabile ad una superficie s

enti della ruota; nel caso della ruota piano conica fianchi sono superfici piane. È questa una proprietà molto interessante della ruota piano conica, che, appunto per la semplicità della forma dei suoi denti, viene impiegata come utensile per il taglio di ruote coniche con il metodo dell'inviluppo, in stretta analogia con una dentiera nel caso delle ruote cilindriche.

Utilizzando per il taglio una ruota piano conica con fianchi pianferici non sono a stretto rigore evolventi sferiche, si ottengono ruote con

profili non rigorosamente ad evolvente; ma questi sono pur sempre profili di assortimento (e, ripetiamo, sono così prossimi ad evolventi sferiche che, ai fini pratici, si possono ritenere con esse coincidenti).

Lo studio delle proprietà geometriche delle ruote alcolo dell'arco di azione, la verifica della condizione di non interferenza)

viene di solito effettuato con procedimenti approssimati. Tali procedimenti facilitano anche il tracciamento dei profili coniugati nei rari casi in cui tale tracciamento è richiesto (ad esempio per il taglio di ruote coniche di dimensioni molto grandi con utensile guidato su sagoma).

Il procedimento comunemente seguito (noto come redgold consiste nel sostituire alla superficie sferica compresa fra le

circonferenze di piede e di testa, la superficie del cono (cono complementare) tangente alla sfera lungo la primitiva. In fig. 8.38 a) sono rappresentati entrambi i coni complementari relativi a due ruote coniugate. I vertici dei coni, V1 e V2, stanno sugli assi delle ruote.

La sostituzione di una superficie cferica non sviluppabile, permette di estendere ai profili sferici le

considerazioni fatte ed i risultati trovati per í profili piani.

Fig. 8.38 - Coni complementari.

Page 248: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Sviluppando in un piano i si ottengono due settori circolari (fig. 8.38 b)). Indichiamo con

R1=R tan α1 , R2=R tan a2 .

, essere:

β1R1=2π R sin a1 .

nitiva si ottiene:

β1 =2π cos a1

ogamente:

β2 =2π cos a2

R1, R2 possono essere trattate come ruote cilindriche ad evolvente di primitive * σ *

t

coni complementariR1, R2 i loro raggi, con β1 , β2 le loro

aperture. Dall'esame delle figg. 8.38 a), b) si ottengono subito le relazioni seguenti:

Deve, poi

In defi

e anal

Le due ruote di raggi

σ1 , 2 . Sui due settori di cerchio possono essere disegnati i profili piani dei denti; riavvolgendo i settori fino a ripristinare i coni complementari, le linee σ1

*, σ2* vengono a coincidere con le primitive sferiche;

i profili tracciati sui settori di cerchio vengono ad approssimare i profili sferici. I fianchi dei denti possono essere ottenuti proiettando tali profili dal centro della sfera.

La ruota cilindrica di raggio R1 contiene z1 denti su di un angolo β1 ; dal punto di vista delle proprietà geome riche dei denti la ruota equivale ad una ruota completa con numero di denti fittizio z1

*, dato dalla relazione:

1

11

* 2π z1 cosαβ

zz ==

R2 ha un numero di denti fittizio z2

*=z2/cos α2.

le

Analogamente la ruota di raggio Valgono per queste due ruote, e quindi per le ruote coniche corrispondenti, relazioni dei paragrafi 8.6, 8.7 nelle quali si introducano z *, z *, τ*=z */ z *, al 1 2 1 2

posto di z1, z2, τ. Anche le considerazioni relative alla correzione delle ruote cilindriche (v.

paragrafo 8.9) possono essere estese, con i criteri di approssimazione sopra visti, alle ruote coniche. La estensione è immediata, giacché nel procedimento approssimato la ruota piano conica, utensile impiegato nel taglio delle ruote coniche, equivale ad una dentiera (il cono complementare per la ruota piano conica diviene un cilindro; la primitiva σ* è dunque una retta, come per la dentiera).

Page 249: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Chiudiamo questo paragrafo dando qualche cenno alle ruote coniche a denti curvi (fig. 8.39). Queste ruote presentano, rispetto a quelle a denti diritti, v

ta piano conica, o

tagliare, i denti della ruota piano conica generano p

Ad esempio n

Fig. 8.39 - Ruote coniche a denti curvi.

antaggi analoghi a quelli che le ruote a denti elicoidali hanno rispetto alle ruote cilindriche a denti diritti: aumento dell'arco di azione, maggiore dolcezza di funzionamento, rendimento migliore. Per tali motivi trovano largo impiego, specie quando la velocità periferica raggiunga valori elevati.

La forma dei denti di una ruota a denti curvi viene definita da quella dei denti dell'utensile generatore. L'utensile è frequentemente una ruo

può a questa ricondursi. In fig. 8.40 sono schematicamente rappresentate in pianta due ruote piano coniche: le linee su di esse tracciate sono le intersezioni dei fianchi dei denti con i piani primitivi delle ruote piano coniche. Nella figura a) queste linee sono segmenti di rette non radiali, nella figura b) archi di cerchio. In entrambi i casi i profili dei denti sono, sulla sfera, archi di circonferenza massima.

Nel rotolamento delle primitive sferiche di una ruota piano conica, del tipo di fig. 8.40, e della ruota da

er inviluppo le superfici a doppia curvatura dei denti della ruota. Nella realizzazione pratica la ruota-utensile piano conica è sostituita da uno

o due dei suoi denti, ai quali viene dato anche il moto di taglio. ella dentatrice Gleason, forse la più nota fra le macchine per il taglio di ruote

dentate coniche a denti curvi, l'utensile è una fresa ruotante attorno ad un asse O' (fig. 8.40 b), c)); la fresa stessa non è altro che un dente della ruota piano conica di asse O, parallelo ad O'.

Fíg. 8.40 - Ruota piano conica per la generazione dei fianchi dei denti di ruote coniche a denti curvi.

Page 250: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

8.14. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL MOTO FRA

ipre iamole allo studio della trasmissione del moto

ASSI SGHEMBI CON RUOTE IPERBOLOIDICHE

ndiamo le considerazioni svolte nel paragrafo 5.9 ed applichRfra assi sghembi con rapporto di

trasmissione costante.

Fig. 8.41 - Trasmissione del moto fra assi sghembi.

er fissare le idee co ene trasmesso dalla

ruota di asse

distanza (retta a in figura) interno al segmento AB. Ci

a ruota 2 ri 1 è perciò individuato da un vettore velocità angolare

VB21 di modulo e direzione uguali al vettore vB1 , ma di verso opposto. Questo vettore può essere scomposto secondo la direzione di Ω

P nsideriamo la fig. 8.41. II moto vio1 alla ruota di asse o2. I vettori Ω1 ed Ω2 rappresentano le

velocità angolari. Supponiamo che le due ruote vengano fra loro a contatto in un punto della

retta di minima proponiamo di trovare la velocità relativa delle due ruote nel punto di contatto, di individuare l'asse elicoidale del moto relativo, nonché le superfici assoidi cui abbiamo accennato nel paragrafo 5.8.

Per comodità di ragionamento cominciamo a supporre che il punto di contatto fra le ruote stia sull'asse o ; coinc2 ida cioè con B. La rotazione della ruota 1, con velocità angolare Ω1 attorno all'asse o1, equivale ad una rotazione attorno all'asse o1', parallelo per B a o1, con la stessa velocità angolare, ed alla traslazione dei punti dell'asse o1', e quindi di B, con velocità

VB1 = Ω1 Λ AB.

Il moto relativo dell spetto alla ruota

Ω21 passante per B, dato da:

Ω21= Ω2 - Ω1 e da un vettore

21 , (componente v’B21) e secondo una direzione perpendicolare a quella (componente v”B21).

Page 251: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Supponiamo poi che il punto di contatto si sposti da B in M, interno fra A e B. II moto relativo della ruota 2 rispetto alla 1 è individuato ancora dal vettore Ω21 e

on γ l'angolo che -Ω1 forma con Ω2, con γ1, γ2 gli a

dal vettore vM21. Questo ultimo vettore ha componente v'M21=v'B21 secondo la direzione di Ω21 mentre la componente v”M21, perpendicolare alla prima, è diversa da v"B21 . Se sono soddisfatte alcune condizioni che preciseremo fra poco, esiste un punto P interno al segmento AB per il quale v"P21 risulta uguale a zero. Nel punto P la velocità vP21 si riduce alla componente v'P21 diretta come il vettore Ω21 ed ancora uguale a v’B21. L'asse elicoidale del moto relativo fra le due ruote passa appunto per P ed ha una direzione coincidente con quella di Ω21 e di v'P21 .

Ciò premesso, passiamo alla determinazione di alcune relazioni fondamentali. Indichiamo cngoli fra Ω21 e -Ω1, e fra Ω21 e –Ω2 (γ=γ1+ γ2). Dal triangolo dei vettori velocità

angolare, si ottengono le seguenti relazioni:

2

12 sinγ=

Ω

1 sinγΩ (8.30) ( )

2

21

1

21

sinsin

γγγ +

=ΩΩ

(8.31) La (8.30) permette di individuare la direzione

e gli angoli γ1, γ2 sono acuti, l'asse elicoidale del moto passa per un punto in

O1, O2 del punto generico M di c

del vettore Ω21. Sterno al segmento AB. Supporremo, come già accennato, che tale condizione sia soddisfatta.

Indichiamo con r1, r2 le distanze dagli assi ontatto fra le due ruote. Le velocità v’M21, v"M21 si ottengono molto

semplicemente. Si ha:

( ) 1211'

21'

21 sinγrrvv BM +Ω== (8.32)

od anche, per la (8.31):

( ) ( )21

212121

'21 sin

sinsinγγγγ

++Ω= rrvM

Si ha poi:

( ) 2211211'

21 cos rrrvM Ω−+Ω= γ e con semplici passaggi, utilizzando ancora la (8.31):

12

21' sinγ⎥⎤

⎢⎡

−Ω=rr

v1

121 tantan γγ ⎦⎣M

Page 252: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

La velocità vM21 forma dunque con la direzione di Ω21 un angolo ψ la cui tangente vale:

⎥⎦

⎤⎢⎡

−== 21'

"21 1tanψ

rrvM

⎣+ 212121 tantan γγrrvM

L'angolo ψ si annulla se è verificata la condizione:

2

11

tantan

γγ

=rr

2 (8.33) che individua il punto P intersezione de

l'asse elicoidale.

21

lla retta di minima distanza con

Il moto istantaneo della ruota 2 rispetto alla 1 è dunque perfettamente definito da una rotazione attorno all'asse elicoidale con velocità angolare Ω , data dalla (8.31), e da una traslazione secondo l'asse con velocità v'B21 data dalla (8.32).

La superficie assoide Σ1 , luogo degli assi istantanei del moto elicoidale solidali con il membro 1, ottenuta facendo ruotare l'asse elicoidale attorno all'asse o1, è un iperboloide rigato tondo, avente raggio di gola r1. La superficie assoide luogo degli assi istantanei del moto elicoidale solidali con il membro 2 è, analogamente, un iperboloide rigato tondo con raggio di gola r2.

I due iperboloidi sono fra loro a contatto lungo l'asse elicoidale del moto. Il moto relativo delle due ruote è dato dal rotolamento dei due iperboloide attorno alla retta di contatto e dallo strisciamento lungo la retta stessa con le velocità Ω21 e v'P21=v'M21.

Un caso particolare che per la sua semplicità può avere qualche interesse applicativo è costituito dalla coppia rocchetto-ruota piano iperboloidica. La superficie assoide del rocchetto è un cono circolare (r1=0); la superficie assoide della ruota piano-iperboloidica degenera nella superficie piana esterna alla circonferenza di raggio r2 (è γ2=π/2). Per le (8.30), (8.32) si ha:

12 sinγ=

ΩΩ

1

È appena il caso di osservare che Ω1r2 sen γ1 è la velocità di strisciamento fra

le due ruote in un qualunque punto del segmento di contatto (segmento PQ in fi

121'

21 sinγrvP Ω=

g. 8.42). Si può facilmente riconoscere che due superfici assoidi male si prestano ad

essere impiegate come superfici di frizione; e che la coppia rocchetto conico -ruota piano iperboloidica addirittura non può essere impiegata come coppia di frizione.

Basta osservare che l'azione di attrito, cui è affidata la trasmissione del

Page 253: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

moto fra le due ruote, è diretta secondo l'asse elicoidale e pertanto ha di norma momenti molto piccoli rispetto agli assi delle due ruote. Nel caso del rocchetto conico della coppia rocchetto-ruota iperboloidica il momento assorbito dal rocchetto è addirittura nullo; il rocchetto assorbe momento non

Fig. 8.42 - Coppia rocchetto-ruota piano iperboloidica

nullo soltanto se slitta rispetto alla ruota secondo una direzione diversa da

quella individuata dal caso perde il suo attributo di superficie assoide.

o usate, perché di difficile costruzione.

E

a coppia rocchetto conico-ruota ipoidale trova importanti applicazioni nella tr elle costruzioni automobilistiche, dove è adottata per la trasmissione del moto d

e ruote. P

1 ed O2 , siano fra loro a

olo φ2 con il piano π. Per O1 è stato tracciato un p

la generatrice di contatto, ma in tal

Per trasmettere il moto fra assi sghembi con ruote iperboloidiche occorrerebbe dunque dotare di denti le superfici assoidi. In pratica, tuttavia, ruote di questo tipo non vengon

8.15. LA COPPIA ROCCHETTO CONICO-RUOTA IPOIDAL Lasmissione del moto fra assi sghembi; è particolarmente diffusa n

all'albero longitudinale dell'autovettura alla scatola del differenziale. II rocchetto conico e la ruota ipoidale sono montati di solito su alberi con

assi a 90°; noi faremo riferimento a questa situazione. Prendiamo in esame la fig. 8.43. Siano o1, o2 gli assi delle durendiamo due coni circolari di assi o1 , o2 che siano tangenti, da bande

opposte, ad uno stesso piano π. I due coni, di vertici O contatto in un punto P. I due coni risultano quindi tangenti al piano π lungo

le generatrici passanti per P. In figura l'asse o2 appartiene al piano π2 che forma l'angolo π/2 - φ2 con un

piano perpendicolare a π. L'asse o2 è perpendicolare alla intersezione dei due piani π e π2; quindi forma l'ang

iano π1 perpendicolare all'asse 02. L'asse o1 giace su questo piano e coincide con la retta intersezione di π1 con il piano perpendicolare a π e passante per O1 P.

Page 254: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 8.43 - Relazioni fra gli elementi geometrici della coppia

rocchetto conico-ruota ipoidale.

on φ1 e φ2 sono state indidistanze del punto P da O1 ed O2ε

ometriche. In particolare si trova ( ) la relazione seguente:

he mostra, tra l'altro, come l'angolo φ1 + φ2 sia minore dell'angolo fra gli assi π/2.

'interasse a fra le due ruote, misurato sulla retta di minima distanza, è uno d

ad esempio, scrivendo le equazioni delle rette o1 ed o2, i cui coseni d

C cate le semiapertura dei due coni, con r1, r2 le

. Questi segmenti comprendono in P l'angolo . Dall'esame della figura si ottengono facilmente alcune interessanti relazioni

ge 1

tan φ1 • tan φ2 = cos ε

c

Lei parametri fondamentali per la progettazione della coppia. Può essere

calcolato,irettori sono di calcolo immediato con l'ausilio della figura, ed applicando

ben noti risultati della geometria analitica. Senza dilungarci nei relativi calcoli ne diamo l'espressione:

( ) 2

21

2221121 tantan1tantancoscos ϕϕϕϕϕϕ −+= rra

I due coni potrebbero essere usati come ruote per la trasmissione del moto

per attrito fra gli assi o1 ed o2. In pratica, come è ovvio, essi debbono essere sostituiti con ruote dentate, la cui generazione può essere fatta discendere d

a ruota piano conica come movente ed il rocchetto come c

ai coni stessi. Così il piano π ed il cono di asse o1 possono essere interpretati come

superfici primitive di una coppia ruota piano conica-rocchetto conico. Considerando ledente il rapporto fra la velocità angolare Ω1 del rocchetto e quella Ω0 della

ruota vale, per la (8.29):

12

1

sin1ϕ

=ΩΩ

Page 255: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Il piano π, ruotante attorno all'asse ad esso perpendicolare passante per O1, può essere pensato solidale con un membro che funge da movente anche per la ruota di asse O2 (ruota ipoidale). La trasmissione di questo movimento p

e superfici assoidi sono comunque perfettamente definite, una volta che sia stato fissato il rapporto Ω2 / Ω a valore diverso da 1 / sen φ2 la coppia assoide non è più costituita da un cono e da un piano, ma da due ip

afo 8

otrebbe avvenire, ad esempio, a mezzo di una coppia ruota piano iperboloidica-ruota conica (il punto O1 dovrebbe in questo caso stare sulla retta di minima distanza); allora il piano π sarebbe la superficie assoide della ruota piano iperboloidica, mentre il cono 2 sarebbe la superficie assoide della ruota conica. La velocità Ω2 varrebbe in questo caso (v. paragrafo 8.14):

Ω2 = Ω0 / sin φ2

L

0 . Se questo h

erboloidi non degeneri. In pratica il rapporto Ω2 / Ω0 è sempre diverso da 1/sin φ2: per motivi tecnologici ed anche per motivi di carattere funzionale.

La costruzione delle due ruote della coppia, rocchetto conico di asse o1 e ruota ipoidale di asse o2, avviene a mezzo delle stesse dentatrici che tagliano le ruote coniche a denti curvi, le quali, come abbiamo visto nel paragr

.13, usano come utensile una ruota piano conica con denti non radiali (ad arco di cerchio nella Gleason). Utilizzando questo utensile come generatore del rocchetto 1, questo diviene proprio una ruota conica a denti curvi. Impiegando lo stesso utensile per la generazione della ruota ipoidale occorre che l'utensile ruoti attorno all'asse perpendicolare per O1 al piano π e che la ruota 2 ruoti attorno all'asse o2. Nella generazione della ruota ipoidale il rapporto fra la velocità angolare della ruota 2 e della ruota-utensile deve essere quello stesso che le ruote avrebbero se ingranassero: cioè, volendo ottenere fra le ruote 1 e 2 un dato rapporto di trasmissione Ω2 / Ω1, durante la generazione della ruota ipoidale deve essere verificata la condizione:

11

2

0

2

sin1ϕΩ

Ω=

ΩΩ

(1) Prendiamo sul piano π il punto C, intersezione della retta passante per O1 e

perpendicolare ad AB con la retta passante per P e rallela ad AB. Sezioniamo il piano π con un piano ad esso perpendicolare e passante per CP. Consideriamo in questo piano i segmenti P

pa

CD e PS perpendicolari ad AP e con gli estremi D ed S sul piano π1. Si ha CD= S. Consideriamo poi i triangoli O1CD, O1PS. Si possono scrivere le relazioni:

CD=O1C cot φ2 PS=O1P tan φ1 O1C=O1P cos ε.

Da queste si ottiene:

tan φ1=cot φ2 cos ε

Page 256: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Nei confronti di una coppia fra ruote coniche a denti curvi la coppia dale vantaggi, che in molti casi la

impiegando ruote cilindriche a denti elicoidali. Studiamo le modalità dell'ingranamento di due ruote di

Fig. 8.44 - Ruote cilindriche a denti elicoidali su assi sghembi.

rocchetto conico-ruota ipoifa

presenta alcuninno preferire a quella, specie quando i denti delle ruote siano fortemente

caricati. I principali sono: maggiore libertà di proporzionamento per il progettista, non più vincolato alla condizione di complanarità degli assi delle due ruote; possibilità di sostenere entrambe le ruote su due appoggi, posti da parti opposte rispetto alle ruote stesse; minore ingombro di una coppia di ruote coniche a parità di momento trasmesso.

8.16. TRASMISSIONE DEL MOTO FRA ASSI SGHEMBI CON

RUOTE ELICOIDALI La trasmissione deI moto fra assi sghembi può essere effettuata anche

questo tipo facendo riferimento alla fig. 8.44.

Il fianco di un dente di una ruota elicoidale, di asse o1 con cilindro base di

ra l'angolo βb1 sull'asse o1 ha, in un punto

.

ggio ρ1 e retta generatrice inclinata delP, come piano tangente il piano γ, passante per AB e perpendicolare al

piano π1, tangente per P al cilindro di raggio ρ1 (quello dei due piani tangenti che ha generato il fianco del dente). Il piano γ può essere pensato anche come fianco di un dente di una dentiera coniugata alla ruota 1 (v. fig. 8.28).

Da P si mandi il piano π2 perpendicolare a γ e parallelo all'asse o2 di una seconda ruota elicoidale. Il piano π2 passa a distanza ρ2 dall'asse o2 e taglia γ lungo una retta contenente il segmento DE e formante l'angolo β con ob2 2.Lungo DE avviene il contatto fra il piano γ ed il fianco di un dente della seconda ruota. Anche in questo secondo contatto il piano γ può essere pensato come fianco di una dentiera coniugata con la ruota 2 (volendo dare un concreto supporto ai fianchi di queste dentiere immaginarie, che vengono contemporaneamente a contatto da bande opposte di uno stesso piano con i fianchi di due ruote, possiamo pensare che siano ottenute pieghettando un sottilissimo foglio di lamiera).

I due denti delle due ruote sono fra loro a contatto nel punto P. La normale

Page 257: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

ai due fianchi in P è anche normale in P al piano γ; ed il piano γ è perpendicolare per P sia al piano π1, sia al piano π2. Quindi la normale in P ai fi

cose vanno come se le due ruote ingranassero c

hi dei d

anchi dei due denti giace sia sul piano π1, sia sul piano π2 ; coincide perciò con la retta intersezione di questi due piani (retta che è anche tangente ai due cilindri base).

Su questa retta si sposta il punto di contatto durante la rotazione delle due ruote attorno ai rispettivi assi. Anche questa proprietà risulta evidente quando si pensi che leontemporaneamente con una doppia dentiera, i piani π1 e π2 essendo

ciascuno piano di contatto per uno dei due imbocchi pignone-dentiera. Il rapporto di trasmissione fra le due ruote si può trovare imponendo che la

velocità del punto P, sia che lo si consideri appartenente ad una ruota sia all'altra, abbia la stessa proiezione secondo la normale in P ai fianc

enti. Si trova facilmente:

22

11

1

2

coscos

b

b

βρβρ

=ΩΩ

(8.34) relazione che mostra come il rapporto di trasmissione dipenda soltanto da

elementi costruttivi delle due ruote, non dallae pertanto si mantiene costante durante il moto.

P della retta di contatto un n

posizione del punto di contatto;

II rapporto di trasmissione può essere espresso anche come rapporto fra i numeri dei denti delle due ruote. Per rendersene conto basta osservare che, ad ogni giro della ruota 1, passa per un punto

umero di denti uguale a z1 , sia che vengano contati i denti della ruota 1, sia che vengano contati quelli della ruota 2; ad ogni rotazione 2π della ruota 1, la ruota 2 compie quindi una rotazione 2π z1/z2. Si trova, cioè, ancora:

2

1

zz

=τ (8.35)

Finora non abbiamo fatto alcuna ipotesi sulla posizione, rispetto agli assi, della retta lungo la quale si sposta il pretta non incontra la retta di minima distanza. Tuttavia è sempre possibile d

R2, fra loro ta

unto di contatto. In generale questa

isporre le ruote in modo che le due rette si incontrino; in pratica le cose vanno pressappoco cosi ed è per questo che di regola si fa riferimento a tale situazione. Spesso lo studio delle relazioni cinematiche nel contatto fra i denti delle due ruote viene effettuato nell'ipotesi che il punto di contatto cada sulla retta di minima distanza. Ponendoci in questa condizione troviamo un'altra espressione, di impiego comune, del rapporto di trasmissione.

Si consideri la fig. 8.45. Le due ruote sono rappresentate in una proiezione ortogonale alla retta di minima distanza. Sono visibili in figura le eliche, intersezione dei fianchi dei denti con i cilindri di raggio R1 ed

ngenti nel punto di contatto P. Abbiamo indicato con t la traccia sul piano di

Page 258: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

figura del piano tangente in P ai fianchi dei due denti (o, se vogliamo, la _____

Fig. 8.45 - Ruote dentate elicoidali sui assi sghembi. tangente in P alle eliche sopra citate). La retta t forma con gli assi delle due

ruo rapporto di trasmissione può essere calcolato imponendo che in P la

v

te angoli β1 e β2. Ilelocità relativa delle due ruote sia diretta secondo la retta t. Si ottiene subito:

Ω1R1 cos β1 = Ω2R2 cos β2 da cui:

22

11

cos βτ

R=

cos βR

(8.36)

Per le (8.35), (8.36) si può anche scrivere:

2

22

1 zz=11 cos2cos2 RR βπβπ

ossia i passi normali calcolati sui cilindri di raggi R1 ed R2 sono uguali per le due ruote.

a componente, nel piano ortogonale alla retta di minima distanza, della v

ale componente è minima allorché il punto P cade sull'asse elicoidale del moto. In questo caso vale

Lelocità di strisciamento, vale poi:

vs = Ω1 R1 sen β1 + Ω2 R2 sen β2 T

la relazione (v. la (8.33)):

2

1

2

1

tantan

ββ

=RR

e quindi il rapporto di trasmissione diviene (v. la (8.30)):

2

1

sinsin

ββ

τ =

Page 259: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

mentre la velocità di strisciamento è data da (v. la (8.32)):

vs=Ω1 (R1+R2 ) sin β1 .

e espressioni che contengono i raggi R1 ed R2, in particolare la (8.36), vengono nella pratica preferite a quelle e la (8.34), contengono i raggi dei cilindri base, nonostante che queste ultime, a differenza delle prime, n

ione del moto fra ruote con numero di denti non molto d

E DEL MOTO FRA ASSI SGHEMBI CON LA COPPIA VITE-RUOTA ELICOIDALE

assi sg rapporto di trasmissione piccolo

sono la vite ad evolvente e la vite a

ella vite, è rispettivamente una evolvente di cerchio e

lla del fianco di un dente di una ruota elicoidale c

qualunque ruota elicoidale ad evolvente.

L

che, com

on contengano parametri che dipendono dalla posizione del punto di contatto. Il fatto è che, in pratica, può essere comodo fare riferimento a due cilindri, di raggi R1 ed R2, fra loro tangenti, e supporre che il punto di contatto fra i denti coincida con il punto di tangenza dei cilindri (come abbiamo supposto nella fig. 8.45); ciò soprattutto perché le due ruote possono essere proporzionate facendo riferimento a questi cilindri, cosi come le ruote cilindriche montate su assi paralleli vengono dimensionate con riferimento ai loro cilindri primitivi.

Per quanto riguarda l'impiego delle ruote elicoidali nelle trasmissioni fra assi sghembi, osserviamo che esso è relativamente raro ed è quasi sempre limitato alla trasmiss

iverso e con angolo fra gli assi pari a 90°. La circostanza che il contatto fra i due denti sia localizzato in un punto (in pratica su di una zona molto ristretta) limita l'impiego di queste trasmissioni ai casi in cui le forze in gioco sono relativamente modeste.

8.17. TRASMISSION

La coppia vite-ruota elicoidale è molto usata per la trasmissione del moto fra

hembi (ma, di regola, perpendicolari), con (compreso di solito fra 1/5 e 1/200).

Iniziamo lo studio della coppia prendendo in considerazione la vite, che ne è in ogni caso il movente.

Si usano in pratica più tipi di vite; i più noti spirale, così chiamate perché la sezione del loro filetto con un piano

perpendicolare all'asse dd una spirale di Archimede. La vite ad evolvente non è altro che una ruota elicoidale ad evolvente con

angolo di inclinazione βb dell'elica molto grande; la generazione del suo filetto può pertanto ricondursi a queon un angolo βb molto grande (compreso di solito fra i 70° e gli 85°). È

evidente per il modo stesso con cui la vite è generata, che tagliando il filetto con un piano ortogonale all'asse si ottiene una evolvente. Questo tipo di vite può essere tagliato con utensile Fellows od anche con creatore, come una

Page 260: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Le superfici elicoidali dei filetti di una vite a spirale sono generate dal moto elicoidale di una semiretta che si appoggia all'asse della vite. Pertanto in una sezione eseguita con un piano assiale i filetti della vite hanno forma trapezia. È facile mostrare che tagliando i filetti con un piano perpendicolare all'asse si ottengono spirali di Archimede. A tal fine tracciamo (fig. 8.46) due semirette generatrici, uscenti da due punti A1 ed A2 dell'asse della vite, che incontrano un piano perpendicolare per O all'asse, in due punti P1 e P2. Le distanze ρ1 e ρ2 dei punti P1 , P2 dall'asse della vite sono proporzionali ai segmenti A1O, A2O; questi a loro volta sono proporzionali alle rotazioni θ1, θ2. Si ha cioè:

2

1

2

1

ϑϑ

ρρ

=

Indicando con ρ la distanza da O di un punto generico P si può dunque scrivere: ρ=cθ con c=costante, che è l'equazione di una spirale di Archimede.

ig. 8.46 - Intersezione delle generatrici del fi-letto di una vite a spirale con un piano perpendicolare all'asse della vite.

a vite a spirale può essere tagliata al tornio impiegando un utensile di forma corrispondente al vano e disponendo i suoi taglienti in un piano assiale della vite (il taglio di una vite al tornio è tuttavia un procedimento di ripiego, data la sua scarsa produttività).

filo concavo verso l'esterno. Altri tipi

d

F

L

Oltre ai tipi citati, ne vengono comunemente usati anche altri: fra questi è assai nota la cosiddetta vite «Cavex» (nome depositato da una nota Casa costruttrice americana), i cui filetti, in una sezione eseguita con un pianopassante per l'asse della vite, hanno pro

i vite si avvicinano a quelli sopra citati, anche se non coincidono esattamente con essi; la forma del filetto dipende infatti dal procedimento tecnologico seguito nella costruzione della vite, non sempre questo rientra fra quelli cui già abbiamo accennato, che portano a forme di vite facilmente identificabili. Su scala industriale, oltre che con utensili Fellows e creatori, una vite può essere tagliata con frese a disco; e tutti questi utensili possono

Page 261: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

essere profilati in molti modi. Anche nel taglio con il tornio, usato soltanto su scala artigianale, si possono ottenere più forme di filetto, a seconda della forma e della disposizione dell'utensile rispetto al pezzo.

Frequentemente, poi, la vite è costruita in acciaio da cementazione; e dopo cementazione e tempera viene rettificata. In questi casi è l'operazione di rettifica che dà alla vite la forma definitiva. La rettifica può essere eseguita con mole di vario tipo. Con mole piane, le più comunemente usate, che la

che può ottenersi tagliando ed affilando il c

a quello della vite; valgono tutte le considerazioni s

quindi a soluzioni diverse.

7 a) (la sezione della s

to relativo che vite e ruota hanno in c

vorino frontalmente, si ottengono filetti ad evolvente; con mole a disco con sezione assiale trapezia si ottengono filetti di forma intermedia fra quelli ad evolvente ed a spirale; con mole a disco opportunamente sagomate si possono ottenere anche filetti concavi, come quelli delle viti «Cavex»; per ottenere viti a spirale si ricorre talvolta a mole a tazza di grande diametro, che lavorano sulla superficie cilindrica.

Qualunque sia il procedimento tecnologico adottato, la vite può essere accoppiata correttamente ad una ruota elicoidale se questa, come sempre avviene, è generata per inviluppo da un creatore che abbia forma identica a quella della vite; identità di forma reatore con procedimenti tecnologici analoghi a quelli usati per la

costruzione della vite. Passiamo ora a considerare la ruota elicoidale. Se la vite è ad evolvente, è cioè una ruota elicoidale ad evolvente, può

essere accoppiata ad altra ruota elicoidale ad evolvente montata su di un asse sghembo rispettovolte nel paragrafo 8.16. Un accoppiamento di questo tipo presenta peraltro alcuni inconvenienti:

primo fra tutti che il contatto fra un dente della ruota ed un filetto della vite è localizzato in un punto. Nelle trasmissioni in cui siano in gioco forze di contatto notevoli si ricorre

Negli accoppiamenti comunemente adottati le superfici di testa e di piede dei denti della ruota non sono cilindriche, ma superfici toriche che in una sezione eseguita con un piano perpendicolare all'asse della vite e contenente l'asse della ruota, si presentano come in fig. 8.4uperficie di piede è un arco di circonferenza con centro sull'asse della vite;

la sezione della superficie di testa è, di solito, un arco di circonferenza concentrico con il precedente; i due archi sono raccordati di solito da segmenti uscenti dall'asse della vite).

Ruote elicoidali di questo tipo sono ottenute, come già osservato, per inviluppo con un utensile di forma identica a quella della vite con la quale la ruota deve accoppiarsi in condizioni di lavoro; ruota ed utensile devono avere, durante il taglio, lo stesso moondizioni di lavoro.

Page 262: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 8.47 - Coppia vite-ruota elicoidale

Ciò premesso, passiamo con c i vite e ruota si asmettono il moto.

ato come differenza fra due moti: un moto elicoidale (q

ota, il moto relativo della dentiera e della ruota è definito dal ro

la dentiera trasla di una quantità pari al passo h della vite. Q

h =pi

La ruota, il cui passo nel piano me ncide ovviamente con quello della entiera, gira corrispondentemente attorno al proprio asse dell'angolo θ2

a considerare le modalità utr

Il moto della vite è una rotazione attorno all'asse della vite stessa. Tale moto può essere consider

uello che la vite avrebbe se si «avvitasse» sulla ruota supposta fissa) ed un moto traslatorio della vite secondo il proprio asse. Il primo di questi due moti non provoca nessun movimento della ruota: il filetto della vite scorre liberamente nel vano dei denti della ruota senza trascinarli in movimento. Il secondo dei due moti pone in rotazione la ruota. Se consideriamo la fig. 8.47 b), dove ruota e vite sono rappresentate in una sezione eseguita con il piano medio della ruota (piano perpendicolare all'asse della ruota e passante per l'asse della vite), il moto della vite che pone in rotazione la ruota è la traslazione, secondo l'asse della vite, della «dentiera» sezione della vite con il piano stesso.

Se indichiamo con V la velocità con cui trasla la dentiera, con Ω2 la velocità angolare della ru

tolamento della circonferenza di raggio R=V/Ω2 su di una retta. Circonferenza e retta possono pertanto essere considerate linee primitive del moto stesso.

Il rapporto di trasmissione può essere immediatamente calcolato. Ad ogni giro della vite

uesto, a sua volta, è uguale al prodotto del passo p della dentiera per il numero i dei principi della vite:

dio coi

d

Rpi

=2ϑ Indicando con z2 il numero dei denti della ruota si ha anche:

Page 263: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

22

2z

iπϑ =

rapporto di trasmissione vale dunque: il

21

2

zi

=ΩΩ

(8.37)

Risulta subito che con la coppia vite-ruota elicoidale si possono ottenere p

rafici e a

re il profilo dei denti della ru

lleli al piano medio della ru

no medio), il contatto fra i

in c

iccoli rapporti di trasmissione (dell'ordine di 1/50-1/100) adottando viti ad un solo principio e ruote con numero di denti non particolarmente grande.

La forma dei denti della ruota può essere studiata con procedimenti gnalitici partendo dalla forma del filetto della vite. Non ci dilunghiamo su

questo argomento, rimandando per approfondimenti ai trattati specializzati; ci limitiamo a fare alcune considerazioni orientative.

Cominciamo con il vedere come si possa trovaota nel suo piano medio. Durante la rotazione della ruota, i profili sezione

dei denti con il piano medio si mantengono coniugati con quelli della dentiera, sezione della vite nel piano stesso; il moto relativo essendo definito dal rotolamento della circonferenza di raggio R su di una retta parallela all'asse della vite. I profili dei denti della ruota nel piano medio possono dunque essere tracciati con i criteri visti nel paragrafo 8.3 (tracciamento di un profilo coniugato di altro profilo noto). Se la vite è a spirale, la dentiera ha denti trapezi, come la dentiera delle ruote ad evolvente; nel piano medio della ruota i profili di questa sono dunque profili ad evolvente.

Se eseguiamo sezioni della vite con piani paraota, si ottengono dentiere con profili di forma più o meno complicata, il cui

moto rispetto alla sezione della ruota eseguita con il piano corrispondente è ancora definito dal rotolamento di una circonferenza di raggio R=V/Ω2 su di una retta parallela all'asse della vite. E pertanto, dato il profilo dei filetti della vite in uno dei piani di sezione, il corrispondente profilo dei denti della ruota può essere tracciato con uno dei metodi sopra citati.

In ciascuno dei piani di sezione (ad esempio nel piaprofili si sposta durante l'ingranamento lungo una linea, la cui forma varia da

un piano di sezione all'altro (nel piano medio, se la vite è a spirale e la ruota ha quindi profili ad evolvente, la linea stessa è, come sappiamo, una retta).

Se, per una data posizione della coppia vite-ruota, si individuano i punti ui le linee di ingranamento incontrano la superficie del dente della ruota, o

del filetto della vite, si trova la linea di contatto fra dente della ruota e filetto della vite nella posizione considerata. Durante l'ingranamento la linea di contatto si sposta descrivendo la superficie di contatto. Questa, in una proiezione su di un piano perpendicolare alla retta di minima distanza, ha una forma a ferro di cavallo del tipo illustrato in fig. 8.48. Il contatto ha inizio, in

Page 264: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

___

Fig. 8.48 - Proiezione della superficie di contatto viteruota elicoidale.

ccesso, dalla parte in cui la superficie di contatto presenta una concavità

ote c

are alcuni altri aspetti del comportamento della c

vite e la coppia resistente M2 agente s

averso l'esterno; termina, in recesso, dalla parte convessa. È ovvio che la vite deve essere filettata per una lunghezza pari almeno a quella della superficie di contatto, in modo da utilizzare tutta la lunghezza di contatto disponibile.

Come nel caso di contatto fra un rocchetto ed una dentiera nelle ruilindriche ad assi paralleli, può accadere che nel piano medio della ruota, od

in piani ad esso paralleli, si manifestino interferenze fra i profili delle dentiere, sezioni dei filetti della vite, ed i profili dei corrispondenti rocchetti, sezioni dei denti della ruota. Queste interferenze si manifestano durante il taglio della ruota, giacché questa è tagliata con un creatore identico alla vite di lavoro; può quindi accadere che durante il taglio si abbia una riduzione delle dimensioni della superficie di contatto. Tali interferenze si manifestano raramente con viti ad evolvente, mentre con viti a spirale possono presentarsi anche con numero di denti z2 relativamente elevato (dell'ordine dei 36 denti se l'angolo di spinta della dentiera nel piano medio della ruota è di 15°). La interferenza di taglio può essere evitata con correzioni analoghe a quelle studiate nel paragrafo 8.9.

Passiamo ora a consideroppia vite-ruota elicoidale; in particolare accenniamo al calcolo del

rendimento della coppia, il cui valore dipende in misura molto sensibile da alcuni importanti parametri di progetto.

Fra la coppia motrice M1 applicata allaulla ruota esiste la relazione, che discende immediatamente dalla

definizione di rendimento:

2

21 z

iMM

η=

ul valore del rendimento dell'ingranaggio influisce in misura decisiva il re

uota è ancora e

Sndimento nel contatto fra filetti della vite e denti della ruota, giacché il

rendimento delle altre coppie (coppie rotoidali) è di norma molto elevato, specie se queste sono realizzate con cuscinetti a rotolamento.

Il rendimento nel contatto fra filetti della vite e denti della rsprimibile con la (3.11), che dà il rendimento per la coppia elicoidale; il moto

relativo fra vite e ruota è infatti un moto elicoidale. Nella (3.11), che

Page 265: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

riscriviamo:

( )'tantan

ϕααη+

= (3.11)

è l'inclinazione dell'elica media della vite su di un piano ortogonale all'asse, a

mentre φ' è dato dalla:

ϑϕ

cos'tan f≅

(3.12)

essendo O l'angolo che la proiezione, su di un piano passante per l'asse della

nte u

tan a=tan a/cos γ

osì le (3.11), (3.12) divengono:

vite, della normale al filetto lungo l'elica media, forma con l'asse della vite. Se facciamo riferimento a viti ad evolvente, che sono quelle comunemesate, è opportuno cambiare notazioni, in modo da evitare confusione con i

simboli adottati nella trattazione delle ruote dentate. Così indichiamo con γ l'inclinazione dell'elica media della vite, che possiamo ritenere coincidente con l'elica giacente sul cilindro «primitivo» (il cui raggio r è pari alla distanza dell'asse della vite dalla «primitiva» della dentiera contenuta nel piano medio della ruota). Indichiamo, poi, con a l'angolo di pressione normale, che vale comunemente 20°. L'angolo di pressione della dentiera, sezione della vite con un piano passante per il suo asse, è dato da:

C

( )'tantan

ϕγγη+

= αϕ cos/'tan f≅

e, per valori correnti di γ, tan φ’ ≈ f / cos an.

pressione semplificata: Correntemente nei manuali si trova la es

( )ϕγγη+

=tan

tan

ciò equivale a porre cos a=1; si commette così un lieve errore, tollerabile nel

uto che η aumenta al crescere di a fino a v

h/r = 2 π tg γ

calcolo del coefficiente di attrito. Nel paragrafo 3.6 abbiamo vedalori di a dell'ordine di 45°; e che η è già prossimo ai valori più elevati

allorché a raggiunge i 20°-30°. Perché la coppia vite-ruota elicoidale abbia un buon rendimento occorre, dunque, che γ sia piuttosto grande, e quindi che sia piuttosto grande il rapporto h/r, giacché vale la relazione:

Page 266: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Per ottenere un elevato valore cessario ricorrere a viti a più p

di h/r é nerincipi. La seguente tabella fornisce valori di γ per viti ad uno e più principi di

proporzionamento corrente

i 1 2 3 4 5η 8° 13° 17° 21° 23°

Sul rendimento ha, ovviamente, una influenza decisiva il valore del

coefficiente di attrito. Questo può variare moltissimo da caso a caso, a seconda del materiale e dello stato superficiale della vite e della ruota ed a seconda della efficacia della lubrificazione. Sulla efficacia della lubrificazione gioca, poi, un ruolo fondamentale la velocità di strisciamento fra vite e ruota. A titolo di esempio, si riporta in fig. 8.49 un diagramma che dà il coefficiente di attrito in funzione della velocità di strisciamento per una coppia con vite in acciaio rettificato e ruota in bronzo, lubrificata con olio minerale con viscosità cinematica dell'ordine dei 100 cSt a 60 °C.

Fig. 8.49 - Coefficiente di attrito in funzione della velocità di strisciamento fra vite e ruota elicoidale.

IBLIOGRAFIA

ASTELLANI G., ZANOTTI V., La resistenza degli ingranaggi, Tecniche Nuove, Milano, 1980.

94.

-Berlin, 1986.

B CHENRIOT G., Ingranaggi. Trattato teorico e pratico, Tecniche Nuove, Milano, 1993. LITVIN F.L., Gear Geometry and Applied Theory, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 19LORENZ V. GmbH, Utensili per dentare, Tecniche Nuove, Milano, 1979. NIEMANN G., Elementi di macchine, Vol. II, Est e Sprinter-Verlag, MilanoTOWNSEND D.P., Ed., Dudley’s Gear Handbook, McGraw-Hill, 1991.

Page 267: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Capitolo 9 Rotismi 9.1. GENERALITÀ Chiamiamo rotismi i meccanismi nei quali la trasmissione del moto avviene

a mezzo di ruote dentate. II più semplice esempio di rotismo è un sistema costituito da due ruote dentate coniugate (ingranaggio) e dal membro al quale le due ruote sono accoppiate rotoidalmente.

Distinguiamo i rotismi in ordinari ed epicicloidali. Nei primi gli assi delle ruote sono fissi. Nei secondi alcune ruote girano attorno ad assi mobili. Delle due importanti categorie di rotismi trattiamo nei prossimi paragrafi, soffermandoci su alcune importanti questioni connesse con la loro verifica ed il loro progetto, senza tuttavia entrare nei dettagli dei criteri di proporzionamento dei denti delle ruote dentate, che fanno oggetto dei corsi che trattano la costruzione delle macchine.

9.2. ROTISMI ORDINARI In fig. 9.1 a), b), c), d) sono rappresentati schematicamente alcuni esempi di

rotismi ordinari, di uso molto comune. Il primo tipo è il più semplice esempio di rotismo. È adatto alla trasmissione

del moto fra assi paralleli con rapporto di trasmissione compreso, di norma, fra 1/6 e 6. Un rotismo altrettanto semplice potrebbe, ovviamente, essere realizzato con due ruote coniche, per la trasmissione del moto fra assi concorrenti. Un altro tipo molto diffuso di rotismo a due sole ruote è quello con la coppia vite-ruota elicoidale, che trasmette il moto fra assi sghembi e, di norma, ortogonali fra loro.

Page 268: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 9.1 - Esempi di schemi di rotismi ordinari.

In fig. 9.1 b) è rappresentato un rotismo composto da più coppie di ruote dentate (treno di ingranaggi), che permette la trasmissione del moto fra assi sghembi comunque orientati (in figura gli assi sono complanari e ortogonali). II rotismo di fig. 9.1 c) permette la trasmissione del moto fra assi paralleli (n figura movente e cedente sono coassiali). Nel rotismo di fig. 9.1 d) la ruota 4 ingrana contemporaneamente con le ruote 3 e 5; la ruota 4 è detta «oziosa» per motivi che saranno chiariti fra poco.

In fig. 9.1 b) è rappresentato un rotismo composto da più coppie di ruote dentate (treno di ingranaggi), che permette la trasmissione del moto fra assi sghembi comunque orientati (in figura gli assi sono complanari e ortogonali). II rotismo di fig. 9.1 c) permette la trasmissione del moto fra assi paralleli (n figura movente e cedente sono coassiali). Nel rotismo di fig. 9.1 d) la ruota 4 ingrana contemporaneamente con le ruote 3 e 5; la ruota 4 è detta «oziosa» per motivi che saranno chiariti fra poco.

Il rapporto di trasmissione r di un rotismo ordinario, definito come rapporto fra la velocità angolare del cedente Ωn e del movente Ω1, ossia dalla relazione:

Il rapporto di trasmissione r di un rotismo ordinario, definito come rapporto fra la velocità angolare del cedente Ωn e del movente Ω1, ossia dalla relazione:

1ΩΩn=τ

può essere espresso attraverso i rapporti di trasmissione dei singoli

ingranaggi. Per mostrarlo indichiamo con 1,2 n le n ruote di un rotismo, seguendo l'ordine con il quale le ruote si susseguono dal movente al cedente. Si può evidentemente scrivere:

1

2

2

1

11

...ΩΩ

ΩΩ

ΩΩ

ΩΩ n

n

n

n

nn

==τ

Nei rotismi nei quali gli alberi intermedi portano ciascuno due ruote, come i

rotismi b), c), le velocità angolari delle ruote intermedie sono due a due uguali (ad esempio nel rotismo di fig. 9.1 b) è Ω2=Ω3, Ω4=Ω5). Quindi la precedente relazione si semplifica, risultando uguali ad uno i fattori con numero d'ordine pari. Per il rotismo di fig. 9.1 b) si ottiene:

1

2

3

4

5

6

1

6

ΩΩ

ΩΩ

ΩΩ

ΩΩ

==τ (9.1)

Page 269: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Si può concludere che, se gli alberi intermedi portano due ruote ciascuno, il rapporto di trasmissione è uguale al prodotto dei rapporti di trasmissione delle singole coppie di ruote coniugate.

Il rapporto di trasmissione si può esprimere, ovviamente, anche a mezzo dei numeri di denti delle coppie di ruote coniugate. Per il rotismo sopra considerato si ha:

246

135

1

6

zzzzzz

ΩΩ

=

Per i rotismi che contengono ruote oziose l'applicazione della (9.1) mostra

che le ruote oziose non influiscono sul valore assoluto del rapporto di trasmissione. Ad esempio per il rotismo di fig. 9.1 d) si ha:

1

2

3

5

1

2

2

3

3

4

4

5

1

5

ΩΩ

ΩΩ

ΩΩ

ΩΩ

ΩΩ

ΩΩ

ΩΩ

===τ

ed anche:

25

13

zzzz

II numero di denti della ruota 4 non compare, quindi, nella espressione del

rapporto di trasmissione, il quale assume lo stesso valore assoluto che avrebbe se la ruota 5 fosse direttamente accoppiata alla ruota 3; ciò giustifica, almeno in parte, il nome di ruota oziosa dato alla ruota 4. Anche se non dà contributo al valore assoluto del rapporto di trasmissione, la ruota 4 modifica il senso di rotazione della ruota 5, rispetto al caso di accoppiamento diretto della 5 con la 3; è questa una proprietà interessante delle ruote oziose.

Il rapporto di trasmissione realizzabile con una coppia di ruote dentate è di solito contenuto, come già abbiamo accennato, fra 1/6 e 6. Qualora si debbano realizzare rapporti di trasmissione esterni a tale intervallo si preferisce, di regola, fare ricorso a rotismi con più coppie di ruote; questa soluzione permette un miglior proporzionamento del rotismo, con riduzione di ingombro e di costo. Fa eccezione il caso di rotismi contenenti coppie vite-ruota elicoidale; questa coppia permette, come sappiamo, la realizzazione di rapporti di trasmissione relativamente piccoli (esistono in commercio rotismi costituiti da due coppie vite-ruota elicoidale disposte in serie, che danno rapporti di trasmissione dell'ordine di 1/5000).

Quando si debba realizzare un rapporto di trasmissione che richiede Ι'impiego di più coppie di ruote (ad esempio 1/18) si pone il problema di come il rapporto stesso debba essere suddiviso in più rapporti parziali (il rapporto 1/18 può essere suddiviso in due rapporti in molti modi: ad esempio nei rapporti 1/4, 1/4,5, oppure nei rapporti 1/3, 1/6) ed in quale ordine i rapporti

Page 270: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

stessi debbano essere posti. Il problema può essere risolto soltanto caso per caso, valutando il costo e gli ingombri delle varie possibili soluzioni. Di solito, tuttavia, risulta opportuno suddividere il rapporto di trasmissione totale in rapporti parziali fra loro non molto dissimili. Montando sugli alberi più veloci le coppie di ruote nelle quali il rapporto fra i numeri di denti della ruota e del rocchetto è più elevato. Adottando questi criteri si ottengono buoni proporzionamenti, sia dal punto di vista dell'ingombro delle singole ruote, sia dal punto di vista del peso complessivo delle ruote stesse; e quindi dal punto di vista del costo delle ruote, che di solito sono gli organi più costosi del rotismo.

Passando a considerare il rendimento di un rotismo ordinario, osserviamo che questo è un meccanismo composto da più meccanismi disposti in serie. Quindi il rendimento del rotismo è uguale al prodotto dei rendimenti dei singoli meccanismi che lo compongono (v. il paragrafo 2.3). In ciascuno dei meccanismi della serie si hanno perdite di potenza per l'attrito fra i denti delle ruote, per attrito nelle coppie rotoidali, per attrito fra le ruote ed il mezzo nel quale esse si muovono (spesso le ruote sono parzialmente immerse nell'olio lubrificante, il quale esercita sulle ruote una sensibile azione frenante). Il contributo che ciascuno di questi tre tipi di perdita porta alla perdita complessiva, dipende, per ciascun ingranaggio, dalle sue condizioni di funzionamento ed in particolare dal valore della forza di contatto fra i denti e dal valore della velocità periferica delle ruote. Se le coppie rotoidali sono realizzate con cuscinetti a rotolamento e le ruote non sono immerse nel lubrificante, la maggior parte della potenza perduta per attriti è quella spesa per gli attriti fra i denti; essa di solito è dell'ordine del 70-90% della potenza perduta complessiva. In questi casi il rendimento di ciascun meccanismo della serie non è molto minore di quello corrispondente al contatto fra i denti delle ruote, esprimibile con formule del tipo di quella che abbiamo ricavato nel paragrafo 8.10 per le ruote cilindriche a denti diritti.

Un elemento di fondamentale importanza per il funzionamento di un rotismo è la corretta lubrificazione delle coppie cinematiche, in particolare degli ingranaggi. II sistema più diffuso è la lubrificazione a sbattimento: l'olio contenuto nella scatola degli ingranaggi viene portato in circolazione da un anello, da un disco o dagli stessi ingranaggi, parzialmente immersi in esso. Per ingranaggi lenti si impiegano anche la lubrificazione a grasso e quella a goccia, mentre per ingranaggi veloci (oltre i 20 m/s di velocità periferica misurata sulle circonferenze primitive) è preferita di solito la lubrificazione forzata a getto d'olio.

II rendimento di un ingranaggio accuratamente costruito ed efficacemente lubrificato può raggiungere valori molto elevati, dell'ordine dello 0,98.

Esula da questo corso lo studio dei criteri di proporzionamento di un rotismo, che vengono trattati nei corsi che si occupano della costruzione delle macchine. Riteniamo, tuttavia, opportuno dare su questo argomento qualche elemento orientativo.

Page 271: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Dati di progetto sono, di solito, le velocità angolari del movente e del cedente (e quindi il rapporto di trasmissione totale), la potenza utile, la posizione relativa degli assi degli alberi movente e cedente. Con questi dati il progetto ha inizio con la scelta della soluzione costruttiva, del tipo di ruote da adottare (cilindriche a denti diritti o elicoidali, coniche a denti diritti o curvi, ecc.) e con la scelta dei rapporti di trasmissione delle singole coppie di ruote, sulla base dei criteri già esposti. Ci si riconduce, in definitiva, al progetto dei singoli ingranaggi, per i quali sono noti i seguenti elementi: rapporto di trasmissione, tipo di ruote da adottare, momenti applicati alle due ruote; talvolta è anche assegnato l'interasse. Si deve scegliere il materiale adatto a ciascuna delle due ruote (queste possono essere costruite con lo stesso materiale, o con materiale di caratteristiche meccaniche diverse), si debbono stabilire le dimensioni delle ruote (larghezza, diametro primitivo, modulo) e le eventuali correzioni.

Le dimensioni delle ruote vengono calcolate, di solito, in modo che siano verificate le condizioni di resistenza all'usura ed alla rottura del dente al piede per sollecitazione di flessione. La verifica della resistenza all'usura è di regola quella più gravosa; è quindi opportuno iniziare il dimensionamento di una ruota dalla condizione di resistenza all'usura. Si sceglie anzitutto un valore di tentativo per il rapporto fra diametro primitivo di una delle due ruote e larghezza (l'esperienza consiglia, caso per caso, il campo di valori entro i quali conviene mantenersi). Effettuata questa scelta, la verifica della resistenza all'usura porta ad individuare il valore minimo del diametro primitivo delle due ruote della coppia. La verifica della condizione di resistenza a rottura porta successivamente ad individuare il valore minimo da assegnare al modulo. Noti il diametro primitivo ed il modulo si trova il numero dei denti delle due ruote. Qualora questo numero non sia accettabile (ad esempio perché troppo piccolo) si può ripetere il procedimento modificando il valore del rapporto diametro primitivo/larghezza.

Se l'interasse delle due ruote è un dato di progetto, essendo noto anche il rapporto di trasmissione sono dati anche i diametri primitivi. In questo caso la verifica della condizione di resistenza all'usura porta ad individuare il valore minimo da assegnare alla larghezza della ruota. Il modulo viene ancora calcolato in base alla resistenza a rottura.

9.3. ROTISMI EPICICLOIDALI Il più semplice esempio di rotismo epicicloidale è rappresentato in fig. 9.2.

Esso è costituito da due ruote e da un terzo membro accoppiato rotoidalmente alle due ruote. La catena cinematica è quella stessa del meccanismo di fig. 9.1 a). Se teniamo fissa la ruota 1 e facciamo ruotare attorno ad O1 il membro 3, la primitiva della ruota 2 (polare mobile) rotola

Page 272: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

sulla primitiva della ruota 1 (polare fissa). La ruota 2 gira attorno al proprio asse mentre questo si sposta su di una circonferenza di centro O1.

Fig. 9.2 - Rotismo epicicloidale con due ruote. Un altro esempio di rotismo epicicloidale è rappresentato in fig. 9.3 a). Esso

è composto da quattro membri: tre ruote (una delle quali, la 3, funge da telaio) ed un quarto membro accoppiato rotoidalmente alle ruote 1 e 2. La ruota 1 è vincolata rotoidalmente ai membri 3 e 4 e con coppia superiore alla ruota 2; questa è vincolata rotoidalmente al membro 4 e con coppia superiore alle ruote 1 e 3; la ruota 3, infine, è vincolata con coppia superiore alla ruota 2 e con coppia rotoidale alla ruota 1. La catena cinematica è quella stessa del rotismo di fig. 9.3 b), nel quale funge da telaio il membro 4 (il rotismo è ordinario). Ciascuno dei due meccanismi di fig. 9.3 ha ovviamente un solo grado di libertà.

La ruota 1 sia il movente del rotismo di fig. 9.3 a). Essa ruotando pone in movimento la ruota 2. Il moto della ruota 2 può essere facilmente individuato osservando che la circonferenza primitiva della ruota 2 deve rotolare sia sulla primitiva della ruota 1, sia sulla primitiva (fissa) della ruota 3. L'asse della ruota 2 si sposta lungo una circonferenza di centro O1 trascinando in rotazione attorno ad O1 il membro 4, che funge da cedente.

Fig. 9.3 - Rotismo a tre ruote con una ruota interna: a) rotismo epicicloidale; b) rotismo ordinario.

Page 273: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Vedremo fra poco che non sempre in un rotismo epicicloidale esiste una ruota fissa: anzi in alcune fra le più importanti applicazioni i rotismi epicicloidali sono sistemi a due gradi di libertà. In ogni caso un rotismo epicicloidale contiene ruote con assi mobili vincolate rotoidalmente ad un membro rotante attorno ad un asse fisso; a ciascuna di queste ruote si dà il nome di satellite, mentre al membro al quale esse sono vincolate rotoidalmente si dà il nome di portasatellite.

Ciò premesso, vediamo come si possano trovare le relazioni cinematiche fondamentali per i rotismi epicicloidali. Indicheremo, al solito, con Ωi la velocità angolare della ruota i, mentre con Ωp, indicheremo la velocità angolare del portasatellite.

Si consideri un rotismo epicicloidale (ad esempio quello di fig. 9.3 a)). Si assuma come «prima» ruota del rotismo una delle ruote rotanti attorno ad un asse fisso; si individui la ruota con il numero 1. Le altre ruote siano individuate da numeri interi successivi, fino all'«ultima» ruota, che indichiamo con il numero n ( n = 3 in fig. 9.3 a)).

Siano Ω1 e Ωn le velocità angolari della prima e dell'ultima ruota; per generalità, le considereremo per ora entrambe diverse da zero.

Supponiamo di porre in rotazione tutto il rotismo attorno all'asse di rotazione del portasatellite, con velocità angolare -Ωp, uguale in valore assoluto ma di verso opposto a quella del portasatellite. In questo modo il portasatellite resta fermo. II rotismo diviene un rotismo ordinario. Le velocità angolari della prima e dell'ultima ruota divengono Ω1 – Ωp, ed Ωn – Ωp.

Indichiamo con τo il rapporto di trasmissione in questo rotismo ordinario; τo è dunque il rapporto fra la velocità angolare Ωn – Ωp dell'ultima ruota e la velocità angolare Ω1 – Ωp della prima ruota. Si ha cioè:

p

pn

ΩΩΩΩ

−−

=1

0τ (9.2)

Questa formula è nota come formula di Willis Abbiamo visto nel paragrafo 9.2 come in un rotismo ordinario il rapporto di

trasmissione si possa esprimere a mezzo dei numeri di denti delle singole ruote componenti il rotismo (e quindi anche a mezzo dei raggi primitivi, od anche, per le ruote coniche, a mezzo degli angoli di apertura dei coni primitivi). Pertanto il primo membro della (9.2) può essere scritto in una forma che contenga gli elementi costruttivi del rotismo. Occorre però fare attenzione al verso di rotazione che, nel rotismo ordinario, hanno la prima e l'ultima ruota: se i due versi di rotazione sono concordi, il primo membro della (9.2) deve essere assunto come positivo; come negativo in caso contrario. Tale precauzione è resa necessaria dalle modalità con cui è stata ottenuta la (9.2).

La formula di Willis può essere scritta in modo un po' diverso, per renderla di immediata applicazione nei problemi di verifica. Distinguiamo i tre casi: che

Page 274: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

sia fissa la ruota 1, che sia fissa la ruota n, che il rotismo abbia due gradi di libertà.

Nel primo caso si ha:

p

pn

ΩΩΩ

−−

=0τ

e quindi:

01 τ−=p

n

ΩΩ ,

011τ−

=n

p

ΩΩ

(9.3)

Nel secondo caso si ha:

p

p

ΩΩΩ−

−=

10τ

da cui:

0

01 1τ

τ −=

pΩΩ ,

10

0

1 −=ττ

ΩΩp (9.4)

Quando il rotismo ha due gradi di libertà la formula di Willis può essere

scritta nella forma:

11

1 00

01 −

−−

=ττ

τnp ΩΩΩ

A titolo di esempio applichiamo la formula di Willis ai due rotismi delle fig.

9.2, 9.3 a). Per il primo di essi si ha per le (9.3):

02 1 τ−=pΩ

Ω

con

2

10 z

z−=τ

(si indica, al solito, con zi il numero di denti della ruota i). II rapporto Ω2/Ωp fra la velocità angolare del satellite e quella del

portasatellite vale dunque:

2

212

zzz

ΩΩ

p

+=

Page 275: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

In particolare, se le due ruote hanno lo stesso numero di denti, la velocità angolare del satellite è doppia di quella del portasatellite. Per il secondo rotismo si ha per le (9.4):

10

0

1 −=ττ

ΩΩp

con

3

10 z

z−=τ

II rapporto Ωp / Ω1 fra le velocità angolari del cedente e del movente vale

dunque:

32

1

1 zzz

ΩΩp

+= (9.5)

Per il rotismo ordinario di fig. 9.3 b) il rapporto di trasmissione fra cedente

(ruota 3) e movente (ruota 1) vale, in valore assoluto:

3

1

zz

Dal confronto di questa relazione con la (9.5) risulta che il rotismo

epicicloidale di fig. 9.3 a) permette di realizzare un rapporto di trasmissione più piccolo del rotismo ordinario ottenuto dalla stessa catena cinematica. Altro vantaggio del rotismo di fig. 9.3 a) rispetto a quello di fig. 9.3 b) è rappresentato dalla circostanza che nel primo la ruota a dentatura interna è fissa e fa corpo con il telaio; ne risulta una costruzione più compatta.

Rotismi epicicloidali di struttura uguale o simile a quello di fig. 9.3 a) vengono adottati quando si richieda la coincidenza dell'asse di rotazione del movente e del cedente e quando il rotismo debba avere ingombro e peso limitato. È questo uno dei casi nei quali può essere conveniente l'impiego di rotismi epicicloidali anziché di rotismi ordinari.

I rotismi epicicloidali trovano conveniente applicazione anche per la soluzione di altri problemi, fra i quali citiamo i seguenti:

• dare moto ad organi meccanici che debbano ruotare attorno ad assi mobili;

• realizzare rapporti di trasmissione molto piccoli con piccolo numero di ruote;

• realizzare rotismi con due gradi di libertà (con un cedente e due moventi, ovvero con due cedenti ed un movente).

Gli esempi che seguono serviranno di chiarimento.

Page 276: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

In fig. 9.4 è rappresentato un rotismo nel quale movente è il portasatellite, cedente un satellite (coincidente con I’«ultima» ruota). La ruota 1 è fissa.

Fig. 9.4 - Rotismo epicicloidale a tre ruote esterne.

Dalle (9.3) si ha:

03 1 τ−=pΩ

Ω

dove

3

10 z

z=τ

Si ottiene:

3

133

zzz

ΩΩ

p

−=

Giocando sui valori di z1 e z3 si può ottenere un valore positivo, negativo o

nullo del rapporto Ω3/ Ωp. Se z1=z3 la ruota 3 trasla senza ruotare, mentre il portasatellite ruota attorno al punto O1.

Volendo realizzare rapporti di trasmissione molto piccoli si può fare ricorso a rotismi del tipo rappresentato in fig. 9.5. Movente 8 il portasatellite; cedente la ruota 1. Vale la relazione (9.4):

Fig. 9.5 - Rotismo epicicloidale a quattro ruote esterne.

Page 277: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

0

01 1τ

τ −=

pΩΩ

dove:

42

310 zz

zz=τ

Si ha cioè:

31

421 1zzzz

ΩΩ

p

−=

Affinché Ω1/Ωp sia molto piccolo occorre che z2 z4 / z1 z3 sia molto prossimo ad

uno. Ad esempio scegliendo z1=z3=50, z2=49, z4=51, si ottiene Ω1/Ωp=1/2500; con z1= z3=100, z2=99, z4=101 si ottiene Ω1/Ωp=1/10000.

Come sarà chiarito nel paragrafo 9.4, rotismi di questo tipo hanno un pessimo rendimento; essi sono quindi impiegabili soltanto quando si debbano trasmettere potenze molto modeste.

Fra i rotismi con due gradi di libertà sono molto usati i rotismi con un movente e due cedenti, chiamati anche rotismi differenziali. In fig. 9.6 sono rappresentati due differenziali, uno a ruote cilindriche, l'altro a ruote coniche, che dal punto di vista cinematico sono equivalenti. Nei due meccanismi è movente il portasatellite; cedenti sono la prima e l'ultima ruota.

Per il rotismo a ruote cilindriche vale la relazione:

52

310 zz

zz−=τ

Se z1=z2 e z3=z5, come in figura, risulta τ0= -1. Anche nel rotismo a ruote coniche è τ0= -1.

Fig. 9.6- Rotismi differenziali.

Page 278: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

In entrambi i casi per la formula di Willis, e quindi per la (9.5), si ottiene:

21 n

p

ΩΩΩ +=

Cioè la velocità angolare del portasatellite è media aritmetica fra le velocità

angolari delle due ruote. Se, come caso particolare, le due ruote estreme hanno la stessa velocità, ossia è Ω1=Ωn risulta che Ωp=Ω1=Ωn; cioè il portasatellite ruota con la stessa velocità delle ruote estreme ed il rotismo si comporta come un membro rigido. Se, come altro caso particolare, una delle due ruote estreme ha velocità nulla, l'altra ha velocità angolare doppia di q

olo; la s

o longitudinale dell'autovettura tr

ncora uguale ad Ωp. Per ulteriori chiarimenti rimandiamo al paragrafo 9.4.

uella del portasatellite. Rotismi differenziali come questi sono impiegati nelle costruzioni

automobilistiche per trasmettere il moto alle ruote motrici del veicoluzione con ruote coniche è quella quasi universalmente impiegata. In fig. 9.7 è rappresentato, in modo meno schematico che in fig. 9.6 b), un

differenziale per autovettura; è visibile il portasatellite che ha forma scatolata (scatola del differenziale); sono visibili i satelliti (di solito in numero di due, talvolta tre o quattro, ma cinematicamente equivalenti all'unico satellite di fig. 9.6 b)); è visibile la coppia conica, più spesso sostituita da una coppia rocchetto conico-ruota ipoidale, che dall'alber

asmette il moto alla scatola del differenziale. Allorché la vettura si sposta in rettilineo, le due velocità angolari delle ruote

motrici sono tra loro uguali; risultano pertanto uguali le velocità angolari Ω1 ed Ω3 delle ruote principali del rotismo. In curva la ruota motrice esterna tende ad accelerare, la ruota interna tende a decelerare, la semisomma delle due velocità angolari restando a

Fig. 9.7 - Differenziale per autoveicolo.

Page 279: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 9.8 - Rotismo combinatore.

satellite, sono utilizzati per mettere in rotazione un unico cedente, la ruota 4.

Si ha:

In fig. 9.8 è rappresentato un rotismo con due moventi ed un cedente

(rotismo combinatore). Due moventi, la ruota 1 ed il porta

42

310 zz

zz=τ

E per la (9.5): Ω4 = - (τ0 - 1)Ωp + τ0 Ω1

e prendiamo z2=2 z1, z3 = z4, è τ0 = ½, ossia:

S

21

4pΩΩ

Ω+

=

Un rotismo di questo tipo può essere usato anche come strumento da

calcolo (come sommatone), la rotazione del cedente potendo essere interpretata come semisomma delle rotazioni dei due moventi, che possono e

li organi principali del rotismo, come viene chiarito nel paragrafo seguente.

ssere prese proporzionali a due qualunque grandezze di entrata. Nello studio dei rotismi a due gradi di libertà, ed in particolare dei rotismi

differenziali, si presenta frequentemente il caso che una sola delle velocità dei tre membri principali del rotismo sia nota; in tale caso la sola formula di Willis non permette, ovviamente, la completa soluzione del problema cinematico del rotismo. II problema può essere risolto con lo studio delle relazioni esistenti fra i momenti applicati ag

Page 280: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

9.4. FRA I MOMENTI ESTERNI AGENTI SU DI UN ROTISMO

lle perdite di potenza dovute alle forze interne di attrito possiamo scrivere:

M Ω + M Ω + M Ω =0 (9.6)

mma algebrica delle p

cità angolare uguale ed opposta a quella del portasatellite. La (9.6) diviene:

M1 ( Ω1 - Ωp ) + M1 ( Ωn - Ωp )=0.

Da questa si ottiene:

RAPPORTI

Indichiamo con M1, Mn, Mp i momenti applicati dall'esterno alla prima,

all'ultima ruota ed al portasatellite (che diviene telaio se il rotismo è ordinario). Se prescindiamo da

1 1 n n p p Infatti, in condizioni ideali di assenza di attrito, la sootenze motrici e resistenti deve essere uguale a zero. Supponiamo ora di imprimere al rotismo una velo

01 τ−=nM

M (9.7)

icati alle ruote estreme d

scita cambiati di s

rto, infatti, dipende unicamente dalla geometria della c

relazione che esprime il rapporto fra i momenti appli un rotismo ordinario, nel caso ideale di attrito nullo. Applicando la relazione precedente al rotismo di fig. 9.1 a), in cui gli alberi

d'entrata e d'uscita hanno gli assi paralleli e ruotano con versi opposti, si vede che i due momenti applicati al rotismo dall'esterno hanno lo stesso verso; per l'equilibrio del meccanismo nel suo complesso, al telaio verrà allora trasmesso dall'esterno (attraverso il sistema di fissaggio al suolo) un momento di modulo pari alla somma dei moduli dei due momenti precedenti, e di verso opposto ad essi. Nel caso del rotismo di fig. 9.1 c), invece, i due alberi di entrata e di uscita hanno lo stesso verso di rotazione: il rapporto fra i momenti sui due alberi è sempre dato dalla (9.7), ma il momento trasmesso dall'esterno alla scatola (per equilibrare il momento risultante delle forze trasmesse dagli alberi ai supporti dei cuscinetti) avrà modulo pari alla differenza dei moduli dei due momenti precedenti. Nel caso di fig. 9.1 b), infine, il rapporto dei moduli dei momenti di entrata e di uscita è ancora dato dalla (9.7), ma per ottenere il momento applicato al telaio dall'esterno si deve esprimere esplicitamente la condizione di equilibrio dei momenti: esso sarà uguale alla somma vettoriale dei momenti di entrata e di uegno (ciò che, naturalmente, è vero anche negli altri casi). È evidente che anche in un rotismo epicicloidale il rapporto fra M1 ed Mn

vale –τ0, tale rappoatena cinematica.

Page 281: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Supponiamo, poi, di imprimere al rotismo una velocità angolare -Ωn. La (9.6) diviene:

M1 ( Ω1 – Ωn ) + Mp ( Ωp – Ωn )=0

alla quale si ottiene:

d

( ) 0

0

11

1

1 ττ−

=−−−

−=

−−

=pnp

pn

n

pn

n ΩΩΩΩΩΩ

ΩΩΩΩ

MM

Anche il rapporto fra M1 ed Mp dipende soltanto dalla geometria della catena

cinematica. La relazione trovata vale, pertanto, sia per rotismi ordinari (in questo ultimo caso Mp è il momento che deve essere applicato dall'esterno s

enti M1, Mn, Mp valgono dunque, in assenza di attrito, le relazioni seguenti:

ul telaio perché questo sia in equilibrio), sia per rotismi epicicloidali. Fra i mom

; 01

1τ−

−=

p

n

MM

01 τ−=nM

M ; 0

01

1 ττ−

=pM

M (9.8)

C i esempio, un differenziale a ruote coniche (fig.9.6 b)). Essendo τ0= -1, si ha:

onsideriamo, a titolo d

231pM

MM −==

I momenti sulle ruote estreme sono dunque fra loro uguali (a questo risultato

si perviene immediatamente anche considerando l'equilibrio alla rotazione, attorno al proprio asse, di un satellite). Così alle due ruote motrici di u

gnite. A chiarimento consideriamo il caso del d

uguali per le due ru

n'autovettura vengono trasmesse dal differenziale coppie motrici uguali. La conoscenza dei rapporti fra i momenti permette di completare lo studio

cinematico di un rotismo a due gradi di libertà, nei casi in cui due delle tre velocità Ωp, Ω1, Ωn siano inco

ifferenziale per autovettura. Durante la marcia in rettilineo le ruote motrici assumono la stessa velocità; è

questa una condizione di equilibrio stabile. Supponiamo, infatti, che una delle due ruote tenda ad accelerare rispetto all'altra; nascono fra ruote e strada slittamenti differenti per le due ruote; d'altra parte nel contatto fra ruota e strada la risultante delle azioni di attrito, per piccole velocità di strisciamento, aumenta all'aumentare della velocità stessa; nascono quindi momenti resistenti differenti; la ruota che ha accelerato incontra un momento resistente maggiore dell'altra, mentre i momenti motori sono

ote. Esse tendono quindi a riacquistare la stessa velocità. Allorché l'autovettura entra in curva le velocità angolari delle ruote motrici

tendono, per gli stessi motivi, a portarsi a valori diversi, fino a raggiungere

Page 282: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

una situazione nella quale i piccoli slittamenti esistenti fra ruote e strada sono uguali per le due ruote; in tale situazione, infatti, sono uguali i momenti resistenti applicati alle ruote.

.5. RENDIMENTO DEI ROTISMI EPICICLOIDALI

essimo, o addirittura negativo (nel qual caso il moto diviene im

ne permette una valutazione spedita del rendimento d

tismo epicicloidale, con η0 il rendimento d

a perdita di rendimento del rotismo epicicloidale può scriversi nella forma:

9 Nella progettazione di un rotismo epicicloidale occorre prestare particolare

attenzione al suo rendimento, giacché non è raro il caso che ad un rotismo ordinario di buon rendimento corrisponda un rotismo epicicloidale di rendimento p

possibile). Osserviamo che la potenza perduta per attrito in un rotismo epicicloidale è

identica, a parità di momenti esterni, alla potenza perduta per attrito nel rotismo ordinario ottenuto dalla stessa catena cinematica. Se i momenti esterni sono uguali, sono infatti uguali nei due casi le forze di contatto fra organi meccanici; le velocità relative fra gli elementi cinematica delle coppie sono poi le stesse nei due casi; dunque sono uguali le potenze spese per attrito. Questa osservazio

el rotismo epicicloidale. Indichiamo con η il rendimento del roel rotismo ordinario corrispondente. L

( )m

m

NN 0

011 ηη −=− (9.9)

e nel rotismo epicicloidale,

c

viceversa; che sia movente la ruota n e cedente il portasatellite, o viceversa).

dove abbiamo indicato con Nm la potenza motricon Nm0 la potenza motrice nel rotismo ordinario. Cominciamo a considerare un rotismo epicicloidale ad un grado di libertà.

Prendiamo separatamente in considerazione i quattro casi previsti dalla tabella (che sia movente la ruota 1 e cedente il portasatellite P, o

Caso Movente Cedente Nm 1 1 Ρ M1 Ω1 2 Ρ 1 Mp Ωp 3 n Ρ Mn Ωn

Ρ n Mp Ωp 4 Nei quattro casi la potenza motrice Nm ha l'espressione riportata nell'ultima

Page 283: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

cza motrice del rotismo ordinario può essere espressa nei modi

se nel rotismo ordinarlo è motrice la ruota 1:

Nm0 = M1 ( Ω1 – Ωp ) ovvero anche

olonna. La poten

seguenti: •

( )pnn

m ΩΩMN −−=0

0 η;

se nel rotismo ordinario è motrice la ruota n:

Nm0 = Mn ( Ωn – Ωp ) ovvero anche

( )pm ΩΩMN −−= 10

10 η

anno lo stesso segno; q

osse lecita occorrerebbe prendere valori numerici di η0 d

ti nella tabella. Se nel rotismo rdinario è motrice la ruota 1 la (9.9) diviene:

Delle due soluzioni va scelta quella in cui le forze di attrito sono equiverse con quelle del rotismo epicicloidale. Come conseguenza, nel rotismo ordinario ed in quello epicicloidale le potenze perdute h

uindi hanno lo stesso segno le perdite di rendimento. Nelle relazioni sopra scritte si è supposto che nel rotismo ordinario il valore

del rendimento rimanga lo stesso, sia che funga da movente la ruota 1, sia che funga da movente la ruota n; è una ipotesi quasi sempre verificata. Qualora l'ipotesi non f

iversi per i due casi. Esaminiamo il primo dei quattro casi previs

o

( ) ( ) ( )0

011

110 1

1111τ

ηηη−

−=−

−=−ΩMΩΩM p

Se nel rotismo ordinario è motrice la ruota n si ha invece:

( )1

111100

0

11

0

0

10 −

−=

−−=−

τηη

ηηη

ΩMΩΩM p

La prima di queste due relazioni vale per τ0 <1, la seconda per τ0 >1 (infatti

1

rviene con il procedimento indicato, con i loro campi di validità:

- η deve essere sempre >0, così come 1- η0). Senza entrare nei dettagli dell'esame dei quattro casi considerati in tabella,

riportiamo le espressioni di cui si peinsieme

Page 284: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

1°caso:

0

00

1 ττηη

−−

= per τ0< 1; nel rotismo ordinario é movente la ruota 1

( )11

00

00

−−

=τητηη per τ0> 1; movente la ruota

2° caso: )

(00

00

11

ητη τη−−

= per τ0< 1; movente la ruota n

00

0 1ητ

τη−−

= per τ0> 1; movente la ruota 1

3°caso:

11

0

00

−−

=ττηη per τ0≤ 0 e per τ0> 1; movente la ruota n

( )00

00

1 τητηη−−

= per 0 ≤ τ0< 1; movente la ruota 1

4°caso: )

(00

00 1ητ

τηη−−

= per τ0≤ 0 e per τ0> 1; movente la ruota 1

00

0

11

ηττη

−−

= per 0 ≤ τ0< 1; movente la ruota n

mi discendono subito interessanti

nte la prima o l'ultima ruota il moto diviene impossibile per

il moto è sempre possibile, ma al tendere

a per valori di τ0 prossimi ad uno, mentre negli altri casi è di norma superflua.

In fig. 9.9 sono tracciati, a titolo indicativo, gli andamenti di η(τ0) per i quattro

casi considerati. Dall'esame dei diagramconclusioni. In particolare si osserva che:

• se è moveη0≤τ0≤1/η0

• se è movente il portasatellitedi τ0 ad uno, η tende a zero;

• per τ0< 0 è sempre η > η0 . È appena il caso di osservare che, noto il valore di η, alle (9.8), ricavate nel

caso ideale, possono essere sostituite espressioni che tengano conto del rendimento; questa sostituzione è necessari

Page 285: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 9.9 - Andamenti del rendimento dei rotismi epicicloidali.

Passiamo adesso a considerare i rotismi epicicloidali a due gradi di libertà.

Per trattare questo caso adotteremo una semplificazione che permette di arrivare rapidamente a risultati, che sono validi purché η sia dell'ordine di grandezza di η0 e non molto lontano da uno; circostanza che in questi rotismi è verificata molto spesso (se fosse molto minore di uno occorrerebbe eseguire una indagine più accurata). La semplificazione consiste nell'ammettere che valga la (9.6).

Allora nella (9.9) può porsi a numeratore M1(Ω1-Ωp) ovvero, indifferentemente, Mn(Ωn-Ωp); espressioni da prendere in valore assoluto. A denominatore deve essere scritta la potenza motrice.

Supponiamo, ad esempio, che il rotismo sia di tipo differenziale e che il

Page 286: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

portasatellite funga da movente. Si ha:

( )( )

pp

p

ΩMΩΩM −

−=− 11011 ηη

Per le (9.8) si può scrivere:

( )0

010 1

11τ

τηη−

−−=−

p

p

ΩΩΩ

e quindi per la formula di Willis:

( ) ( ) ( )( )np

pnp

ΩΩΩΩΩΩΩ

−−⋅−

−=−1

1011 ηη (9.10)

Se il rotismo è combinatore ed ha come cedente il portasatellite e come

moventi la prima e l'ultima ruota si ha:

( ) ( )nn

p

ΩMΩMΩΩM

+−

−=−11

11011 ηη

Ma è: ppnn ΩMΩMΩM =+11

Quindi si ottiene ancora il risultato precedente. Analogamente si possono studiare gli altri casi. A titolo di esempio applichiamo la (9.10) al caso di un differenziale da

autovettura, con τ0= -1. Abbiamo già visto che in quel caso è:

21 n

p

ΩΩΩ +=

La (9.10) diviene:

( ) ( )( )n

n

ΩΩΩΩ+−

−=−1

10 2

11 ηη

Vale la pena di osservare che se Ω1=Ωn (autovettura in rettilineo) è η=1. Il risultato è ovvio, giacché in quel caso il differenziale si comporta come un unico membro rigido.

Chiudiamo questo paragrafo osservando che, noto τ0 e noti i momenti agenti sul rotismo epicicloidale (dati dalle (9.8) ed eventualmente corretti con la introduzione del rendimento), il progetto e la verifica di un rotismo epicicloidale procedono come se questo fosse un rotismo ordinario.

Page 287: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

9.6. TRASMISSIONE ARMONICA Un tipo particolare di riduttore ancora classificabile fra i rotismi è quello noto

con il marchio di fabbrica Harmonic Drive. Esso è costituito, nella versione più nota, da tre membri (v. fig. 9.10 a)): il generatore del movimento ondulatorio armonico (costituito da un cuscinetto volvente ellittico), un anello dentato flessibile di acciaio con dentatura esterna (deformato dal cuscinetto ellittico) e una corona rigida a dentatura interna.

Fig. 9.10 - a) Schema dell'Harmonic Drive: 1: perno ellittico; 2: ruota flessibile; 3: corona rigida. b) Riduttore in

configurazione generica. c) Riduttore in uni configurazione can il perno ellittico ruotato di 180° rispetto alla configurazione precedente.

I denti sono di forma particolare, di modo che l'anello flessibile e la corona

rigida possono ingranare correttamente fra di loro anche se la differenza fra i numeri di denti è piccola (si confronti a tale proposito quanto detto alla fine del § 8.7); più precisamente, la ruota deformabile - nella versione di fig. 9.10 - ha due denti in meno della corona a dentatura interna. L'ingranamento, che interessa contemporaneamente un certo numero di denti, avviene nelle zone corrispondenti all'asse maggiore dell'ellisse (v. fig. 9.10 b), c)). Quando il perno ellittico (che costituisce il membro veloce del riduttore) ruota, l'anello cedevole si deforma (la deformazione si sposta lungo l'anello stesso come un'onda); poiché le due ruote dentate hanno lo stesso passo, l'ingranamento interessa un ugual numero di denti di ciascuna di esse. Quando l'onda (cioè il cuscinetto ellittico) ha compiuto un giro intero, l'ingranamento avrà

Page 288: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

interessato tutti gli z3 denti della corona fissa, e avrà interessato altrettanti denti della ruota flessibile: ma, dato che questa ha un numero z2 di denti pari a z3 -2, essa sarà rimasta indietro di due denti. In altre parole, mentre il perno ellittico (albero veloce) compie z2 giri, l'anello cedevole (albero lento) compie z2-z3=-2 giri. In generale, il rapporto di trasmissione si può dunque esprimere nella forma:

2

32

zzz −

Questo rotismo permette di ottenere forti riduzioni (fino a 1:320 in un solo

stadio) con piccolo ingombro, piccola massa e rendimento relativamente elevato. Esso trova interessanti applicazioni nei casi in cui - come nei robot industriali - le caratteristiche suddette costituiscono vantaggi così essenziali, da renderne accettabile l'alto costo.

BIBLIOGRAFIA

LOOMAN J., Zahnradgetriebe, Springer-Verlag, Berlin, 1970. MERRITT H.E., Gear trains, I. Pitman & S., London, 1947. MÜLLER H.W., Die umlaufgetriebe, Springer-Verlag, Berlin, 1970. NIEMANN G., WINTER H., Elementi di macchine, VoI. III, Est e Springer-Verlag,

Milano-Berlin, 1986.

Page 289: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Capitolo 10 Applicazioni degli organi flessibili macchine di

sollevamento 10.1. GENERALITÀ Si chiamano flessibili gli organi meccanici che sono in grado di reagire

soltanto a sollecitazioni di trazione. Essi sono largamente impiegati nelle macchine di sollevamento e di trasporto e nelle trasmissioni di potenza; nastri di acciaio rivestiti di materiale ad alto coefficiente d'attrito sono impiegati nei freni a nastro. Rientrano fra gli organi flessibili le funi, le catene, le cinghie, í nastri, e altri ancora.

Esistono molti tipi di funi, realizzate sia in fibre tessili sintetiche o naturali (canapa), sia in acciaio. Le più impiegate nelle macchine di sollevamento sono le funi di acciaio a trefoli. Ogni trefolo è formato da più fili elementari di acciaio, avvolti ad elica - in uno o più strati - attorno ad un'anima centrale in fibra tessile, o anche metallica; una fune a trefoli (v. fig. 10.1 a)), a sua volta, è formata da più trefoli avvolti ad elica - in uno o più strati - attorno ad un'anima centrale, metallica oppure in fibra tessile. Le funi di acciaio sono largamente impiegate sia negli apparecchi di sollevamento e trasporto, sia come organi statici con funzioni portanti o di trazione.

Le catene si distinguono in catene ad anelli (v. fig. 10.1 b)), impiegate prevalentemente negli apparecchi di sollevamento, e catene articolate (v. fig. 10.2), impiegate sia nelle trasmissioni di potenza, sia negli apparecchi di trasporto. Fra le catene articolate, molto comuni sono le catene dei tipi Galle e Fleyer, le catene a rulli, le catene silenziose, le catene scomponibili a maglie; negli apparecchi di trasporto, oltre alle precedenti (spesso realizzate in versioni speciali) si impiegano anche apposite catene trasportatrici. Alcuni tipi di catene trovano pure largo impiego come organi statici di trazione.

Fig. 10.1 - a) Sezione di fune di acciaio a 6 trefoli (42 fili), con

anima tessile; b) catena ad anelli.

Page 290: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 10.2 - Catene di trasmissione: a) tipo Galle, b) tipo Fleyer; c) a rulli; d) silenziosa.

Fig. 103 - Cinghie di trasmissione: a) cinghia piatta; b) cinghia trapezoidale; c) cinghia dentina.

Le cinghie possono essere di vari tipi; tutte sono impiegate quasi

esclusivamente come organi per la trasmissione del moto. Le classiche cinghie di cuoio sono praticamente scomparse, sostituite dalle cinghie piatte (v. fig. 10.3 a)) in tessuto di fibre sintetiche ad elevata resistenza (nailon o altro), rivestito di materiale ad alto coefficiente d'attrito (cuoio al cromo o elastomeri). Molto diffuse sono pure le cinghie trapezoidali (v. fig. 10.3 b)), per lo più costruite in elastomeri, rivestite con tessuti resistenti all'usura e rinforzate da fili in materiale con elevata resistenza a trazione (nailon, acciaio o altro). Le cinghie dentate (v. fig. 10.3 c)), infine, dette anche sincrone, sono costitutivamente simili alle cinghie, ma nella trasmissione del moto si comportano in modo analogo alle catene, dato che si impegnano in ruote dentate, mentre le cinghie vere e proprie si avvolgono su pulegge lisce, piane (cinghie piatte) o a gola (cinghie trapezoidali). Tutte le cinghie vengono oggi costruite, di regola, ad anello chiuso, con un'ampia gamma di lunghezze prestabilite.

L'esame dettagliato delle macchine e degli impianti di sollevamento e di trasporto forma l'oggetto della trattazione di corsi specialistici, ed esula dai limiti di questo testo. Ci limiteremo, nei prossimi paragrafi, ad esaminare il

Page 291: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

comportamento degli organi flessibili (funi e catene) nelle macchine di sollevamento; fra queste, ci limitiamo qui a citare l'argano (che ha il compito di dare moto all'organo flessibile traente, avvolgendolo per lo più su un apposito tamburo) e il paranco (che è costituito, come vedremo meglio più avanti, da un bozzello fisso e da un bozzello mobile). L'argano e il paranco entrano spesso come componenti in impianti di sollevamento più complessi (ascensori e montacarichi, gru, ecc.).

Per quanto riguarda le trasmissioni di potenza con organi flessibili, per ulteriori informazioni di carattere generale rimandiamo al successivo cap. 11.

10.2. RIGIDEZZA DEGLI ORGANI FLESSIBILI Non esistono organi perfettamente flessibili. In pratica un organo flessibile

presenta sempre una sia pur modesta rigidezza al piegamento. Questa rigidezza può avere origini diverse. Così un nastro di acciaio, che può con buona approssimazione essere considerato organo perfettamente elastico, presenta al piegamento una rigidezza di tipo elastico che può essere definita come rapporto fra il momento flettente applicato alle due estremità di un nastro di lunghezza unitaria e la rotazione relativa delle sezioni estreme (la rigidezza del nastro è dunque data dal prodotto EI, dove E è il modulo di elasticità normale, I il momento di inerzia rispetto all'asse neutro).

La rigidezza flessionale del nastro di acciaio può essere quindi definita, prescindendo dal fattore 2, come l'energia necessaria per far ruotare le due sezioni estreme, poste alla distanza unitaria, dell'angolo unitario. L'energia spesa per la deformazione può essere un comodo indice della rigidezza anche nei casi in cui l'organo flessibile non sia perfettamente elastico.

Per le cinghie, costituite da materiale con elevato smorzamento interno, una quota non trascurabile della energia spesa per il piegamento è dissipata in attrito; la stessa cosa accade per le funi, nelle quali gli attriti si manifestano nello scorrimento relativo dei fili elementari all'atto del piegamento.

Per una catena, poi, la rigidezza è dovuta unicamente alle forze di attrito, che si oppongono alle rotazioni relative fra le maglie, quando la catena è tesa. Tutta l'energia spesa per il piegamento è dissipata in attriti.

In generale, dunque, la rigidezza di un organo flessibile è in parte di natura elastica, in parte di natura non elastica e dovuta a fenomeni di attrito, interno o esterno.

Ciò premesso, vediamo come si possa calcolare la spesa di energia dovuta

Page 292: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

alla rigidezza, allorché un organo flessibile si avvolge su di una puleggia. Fig. 10.4- Accoppiamento puleggia-organo flessibile.

In fig. 10.4 è rappresentata una puleggia libera di ruotare attorno ad un asse fisso. Il meccanismo è composto da una staffa, che funge da telaio, da una puleggia accoppiata rotoidalmente alla staffa e dall'organo flessibile, che si avvolge sulla puleggia (che deve avere forma adatta all'accoppiamento con l'organo flessibile; ad esempio se questo è una fune la puleggia presenta una gola, se è una catena la puleggia è dentata).

Se l'organo flessibile avesse rigidezza nulla, ossia potesse reagire soltanto a forze di trazione, si disporrebbe rispetto alla puleggia come in figura. La forza resistente Q e la forza motrice P avrebbero linee di azione equidistanti dall'asse di rotazione e tangenti alla circonferenza di avvolgimento (sulla quale si dispone l'asse dell'organo flessibile nel tratto in cui è a contatto con la puleggia).

A causa della rigidezza í due rami dell'organo flessibile tendono a porsi ad una distanza dall'asse di rotazione dal raggio R di avvolgimento, come è indicato in fig. 10.5 a) e b).

Il primo caso si presenta quando il rapporto fra diametro della puleggia e dimensioni radiali (spessore, diametro) dell'organo flessibile è relativamente piccolo, e quando la rigidezza dell'organo flessibile è prevalentemente elastica. In circostanze diverse si può presentare il secondo caso.

Fig. 10.5 - Effetto della rigidezza dell'organo

flessibile.

Page 293: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

In entrambi í casi la linea di azione della forza motrice P dista dall'asse di rotazione meno della linea di azione della forza resistente Q; ciò perché, mentre il ramo che si avvolge tende a mantenere la configurazione diritta, quello che si svolge tende a mantenere la configurazione curva.

Indichiamo con δP, δQ le distanze delle linee di azione delle forze P e Q dalla linea di azione che si avrebbe in assenza di rigidezza. Assumiamo queste distanze come positive se le linee di azione effettive sono esterne a quelle in assenza di rigidezza. Così in fig. 10.5 a) è δP >0, δQ >0; in fig. 10.5 b) è δP <0, δQ >0.

Consideriamo l'equilibrio alla rotazione della puleggia, prescindendo per ora dall'attrito nella coppia rotoidale. Si ha:

P(R + δP) = Q(R + δQ)

da cui:

P

Q

RR

QPδδ

++

= (10.1)

Il lavoro motore per uno spostamento s della forza P, corrispondente ad una

rotazione θ = s/R della puleggia, vale:

Lm=PRθ Il lavoro resistente è poi:

Lr=QRθ Il lavoro perduto per rigidezza vale:

LP = Lm -Lr = (P- Q ) Rθ Questa per la (10.1) diviene:

( )PQP

P RRQL δδδθ

−+

=

D'altra parte è δP /R<<1, per cui si può scrivere:

LP = Q θ [δQ - δP] (10.2) Risulta in particolare, che se δQ = δP (cioè se i due rami si dispongono

simmetricamente rispetto ad un piano passante per l'asse della puleggia), LP=0. A questo caso, puramente teorico, ci si avvicina nella pratica allorché si avvolge un nastro di acciaio su di una puleggia. In questo caso l'energia

Page 294: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

spesa nell'avvolgimento, data da Q δQ θ, viene immagazzinata sotto forma di energia potenziale elastica e completamente restituita allo svolgimento del nastro dalla puleggia. In pratica, come è ovvio anche dal punto di vista energetico, è sempre δQ > δP.

Se l'organo flessibile è una fune od una cinghia una valutazione teorica di δQ e δP è molto difficile. Si può fare ricorso a dati sperimentali; ma anche questi sono di non facile determinazione. Più semplicemente conviene, in via sperimentale, ricorrere ad una valutazione globale del lavoro unitario perduto per attrito LP / θ, e quindi del primo membro della (10.2); a tale scopo basta misurare la differenza P-Q. Noti che siano Q ed LP / θ, la (10.2) permette di trovare δQ - δP.

Nei calcoli che sviluppiamo in questo capitolo supporremo che l'organo flessibile si disponga rispetto alla puleggia come in fig. 10.6, con δQ = -δP = δ. In questo caso si ottiene dalla (102):

θδ

QLP

2= (10.3)

Fig. 10.6 - Schema della disposizione dell'organo flessibile per effetto della

rigidezza anelastica.

Che nella realtà í rami dell'organo flessibile si dispongano diversamente (con δP ≠ -δQ) non ha, evidentemente, nessuna importanza dal punto di vista del calcolo del lavoro perduto, e quindi del rendimento dei dispositivi che studieremo. E non ha importanza nemmeno dal punto di vista del calcolo della forza motrice, giacché è:

θRLQP P+=

Nel caso delle catene una valutazione di LP / θ può essere effettuata facilmente anche in via teorica. Basta considerare (fig. 10.7) che cosa accade

Page 295: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

in fase di avvolgimento: una maglia, la n, ruota rispetto a quella che la segue, la n + 1, per portarsi dalla posizione rappresentata in figura nella posizione che in figura è occupata dalla maglia n - 1. Indichiamo con Φ la rotazione relativa fra le maglie n ed n + 1 allorché la maglia n si adagia sulla puleggia a seguito della rotazione θ di quest'ultima. È evidente dalla figura che Φ = θ.

Per una rotazione θ della puleggia, la perdita di energia sulla maglia che si avvolge vale:

θθρ 11

1 2fdQQLPavv ≅=

(abbiamo indicato con ρ1 il raggio del cerchio di attrito nella coppia rotoidale fra due maglie della catena; d1 è il diametro del perno della coppia, f il coefficiente di attrito).

Allo svolgimento della catena dalla puleggia si ha analogamente una perdita

θ11

2fdPLPsvol =

In definitiva il lavoro perduto per attrito fra le maglie di una catena vale:

( ) θ11

2fdQPLP +=

Fig. 10.7 - Catena.

Facendo uso, come altre volte, dell'approssimazione consistente nel sostituire Q a P nel calcolo del lavoro perduto per i meccanismi ad alto rendimento, si ha:

LP = Q f1 d1 θ, e quindi, per la (10.2):

δQ - δP = f1 d1

od anche, per la (10.3):

211df

=δ (10.4)

Page 296: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

10.3. PULEGGE FISSE E MOBILI I più semplici meccanismi contenenti organi flessibili sono quelli

rappresentati in fig. 10.8. Nel primo caso (meccanismo con puleggia fissa) una puleggia, ruotante liberamente attorno ad un asse fisso, permette il sollevamento di un carico Q mediante una forza P equiversa con la Q. Nel secondo caso (meccanismo con puleggia mobile) l'asse della puleggia è mobile; è mobile anche la staffa, accoppiata rotoidalmente alla puleggia, alla quale è applicata una delle forze esterne (in figura la forza resistente Q).

Le due disposizioni sono comunemente impiegate, come vedremo fra poco, nelle macchine per il sollevamento di carichi.

L'organo flessibile è quasi sempre una fune (qualche volta una catena). Le funi hanno, infatti, una forma che permette loro di impegnarsi con sicurezza in pulegge a gole; possono, inoltre, essere fabbricate con materiale di elevata resistenza a trazione (le funi in acciaio ad alta resistenza hanno carichi unitari di rottura dell'ordine dei 1500 N/mm2).

Fig. 10.8 - a) Puleggia fissa; b) puleggia

mobile.

Studiamo l'equilibrio della puleggia fissa, tenendo conto anche dell'attrito nella coppia rotoidale. È noto il valore della forza Q. Sono noti il raggio R della puleggia ed il diametro d del perno; sono anche noti il coefficiente di attrito della coppia rotoidale e lo scostamento δ. Si vuol trovare la forza motrice P.

Se le forze P e Q sono parallele, come per semplicità supponiamo, la reazione della staffa sulla puleggia, tangente al circolo di attrito, è parallela a P e Q. L'equilibrio dei momenti attorno ad un punto della linea di azione di quella reazione si scrive:

ρδρδ

−−++

=RRQP

Page 297: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

( ρ è il raggio del cerchio di attrito della coppia rotoidale). Giacché di regola può ritenersi δ / R << 1, ρ / R << 1 si può scrivere:

( )⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ ++⋅=

RQP ρδ21

ossia, essendo ρ ≈ fd / 2:

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ ++⋅=

Rfd

RQP δ21

posto:

kRfd

R=++

δ21 (10.5)

si ha:

P = k Q La forza Po, forza motrice nel caso ideale, vale poi:

P0 = Q. II rendimento della puleggia fissa è dunque:

kPP 10 ==η (10.6)

Passiamo ad esaminare la puleggia mobile, cercando anche in questo caso

il valore della forza P necessaria per equilibrare la forza resistente Q. Indichiamo con T la forza di trazione che agisce sul ramo dell'organo flessibile fisso ad una estremità.

Per l'equilibrio alla traslazione della puleggia si ha:

T+P=Q. D'altra parte, per l'equilibrio alla rotazione si può scrivere:

P=kT Dalle due equazioni si ottiene:

kkQP+

=1

Page 298: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Nel caso ideale k =1. Così è P0 = Q / 2. II rendimento vale quindi:

kk

PP

210 +

==η

condizioni di accurata manutenzione valori medi di k sono compresi fra

1

0.4. PARANCHI E LORO RENDIMENTO

n paranco è una macchina costituita da un bozzello fisso, sul quale sono m

s

zello fi

ig. 10.9 - Paranco.

er l'equilibrio alla rotazione delle singole pulegge, fisse e mobili, possiamo

In,04 ed 1,1. In ogni caso k è maggiore di uno; ciò risulta evidente dalla sua

stessa definizione. 1 Uontate pulegge fisse, da un bozzello mobile sul quale sono montate

pulegge mobili, e da un organo flessibile (una fune) fissato ad una estremità ad uno dei due bozzelli (al bozzello fisso in fig. 10.9), libero all'altra estremità.

Supponendo noti la forza Q ed il fattore k (uguale per tutte le pulegge) e upponendo che tutti í rami della fune siano paralleli, calcoliamo la forza P

per un paranco del tipo illustrato in fig. 10.9 (con estremità della fune fissa al bozzello fisso e forza motrice di verso concorde con la forza resistente).

Indichiamo con T la forza di trazione nel ramo di fune vincolato al bozsso; con T1, T2, ..., Tn le forze negli altri rami, fino al ramo al quale è

applicata la forza P = Tn (n è allora uguale al numero delle pulegge). F

P

Page 299: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

sT1 = k T0

T 2 T0 (10.7)

er l'equilibrio alla traslazione del bozzello mobile si ha, poi:

T0 + T1 + … + Tn-1 = Q

quindi per le (10.7): T0 [ 1 + k + … + k n-1] = Q (10.8)

alle (10.7) (10.8) si ottiene :

crivere:

= k T1 = k....................... Tn = k n T0 = P.

P

e

D

1...1 −+++= n

n

kkQkP (10.9)

che può scriversi anche:

( )1

1−−

=n

n

kkQkP (10.10)

II rendimento può trovarsi anche ora come rapporto fra P0 e P. Per la (10.9),

in cui si faccia k = 1, è:

nQP =

i ha così: S

( ) n

n

kknk

PP

110

−−

==η (10.11)

facile vedere che all'aumentare di n il rendimento diminuisce rapidamente.

SÈi osservi, a tale scopo, che se k è molto prossimo ad uno, può porsi k = 1+ ε

con ε <<1. È allora k n ≈ 1 + nε. II rendimento (10.11) diviene quindi:

εη

n+=

11

onsideriamo adesso il moto retrogrado. Supponiamo, cioè, che al bozzello

m

paragrafo 3.4 che, nota l'espressione del rendimento nel moto diretto, si può trovare quella del rendimento nel moto retrogrado

Cobile sia applicata la forza motrice e che la forza resistente sia applicata al

capo libero della fune. Abbiamo veduto nel

Page 300: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

semplicemente scambiando numeratore con denominatore e cambiando segno all'angolo di attrito. Nel caso attuale nell'espressione del rendimento non compare l'angolo di attrito, ma il fattore k. Nell'espressione di k (10.5) í termini contenenti l'attrito cambiano disegno nel passaggio dal moto diretto al moto retrogrado. Indicando con k' il valore che k assume nel moto retrogrado si può scrivere:

Rfd

Rk −−=′

δ21

Pertanto, con le solite approssimazioni:

kk 1=′

Si può concludere affermando che in un paranco il rendimento nel moto

retrogrado si ottiene da quello nel moto diretto scambiando numeratore con denominatore e sostituendo a k, 1/k.

Dalla (10.11) si ottiene così, per il moto retrogrado:

( )( )kk

kn 1n 1−−

=′η

In modo analogo si possono studiare paranchi con disposizioni diverse da

quelle considerate (con una estremità fissa al bozzello mobile, con forza m

0.5. IL PARANCO DIFFERENZIALE

, con una soluzione costruttiva molto semplice ed economica, di ottenere rapporti molto piccoli fra la forza m

entate, di raggio R1 ed R2 fra loro solidali. Una p

otrice di verso opposto a quella resistente). 1 Una macchina di sollevamento che permette

otrice e la forza resistente, è il paranco differenziale di cui in fig. 10.10 è rappresentato uno schema.

Una staffa, che funge da telaio, è accoppiata rotoidalmente ad un membro costituito da due pulegge d

uleggia mobile è rotoidalmente accoppiata ad una staffa cui è applicata la forza resistente Q. Una catena chiusa si impegna sulle due pulegge dentate e sulla puleggia mobile. Ad un ramo della catena è applicata la forza motrice P. Si osserva che in questo caso è necessario l'impiego di una catena perché sui rami dell'organo flessibile agiscono forze differenti: in particolare uno dei rami (quello ondulato in figura) è scarico.

Page 301: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 10.10- Paranco differenziale.

ota la geometria della macchina e nota la forza P Con riferimento alle notazioni di figura, ed amm 0 1parallele, si possono scrivere, al solito, le seguenti relazioni:

da cui:

N Q si voglia trovare la forza

ettendo che T e T siano .

T1 = k T0 T1 + T0 = Q

kkQT+

=11

kQT+

=10 (10.12)

Scriviamo poi l'equilibrio alla ro zione del

superiori. Supponiamo fra loro uguali tutti gli scostamenti δ; indichiamo ancora con ρ il

ral gruppo delle due pulegge rispetto ad un punto della linea di

a

alle (10.12), (10.13) si ottiene:

ta gruppo delle due pulegge

ggio del cerchio di attrito del perno. Calcoliamo í momenti delle forze applicate a

zione della reazione, che è tangente al circolo di attrito del perno. Si ha:

T1 (R2 + δ + ρ) = T0 (R1 - δ - ρ) + P (R2 - δ - ρ) (10.13) D

( )⎥⎦

⎤⎢⎣+

=1 Rk

P⎡

−−−−

−−−++

ρδρδ

ρδρδ

2

1

2

2

RRRkQ

Page 302: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

da cui, con le solite approssimazioni

⎥⎦

⎤⎢⎡⎜⎜⎛ ++=

221kQP ρδ

⎣⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ ++

+−−⎟⎟

⎝+ 212

1

2

11 RRR

RRk

ρδρδ (10.14)

Nel caso ideale si ha poi:

2

120 2 R

RRQP −= (10.15)

La (10.15) mostra come sia possibile realiz

piccoli; basta scegliere opportunamente il rapporto (R2 – R1 )/R2. AI tendere di R

zare rapporti P0 /Q comunque

1 ad R2 il rendimento tende però a zero (è ovvio che con R1 = R2 il rendimento è nullo, essendo nullo il lavoro resistente); così per valori molto piccoli di (R2 – R1 )/R2 la forza motrice effettiva P risulta molto più grande di P0.

L'espressione del rendimento si ottiene, al solito, dividendo membro a membro la (10.15) e la (10.14).

Una espressione semplificata del rendimento può ottenersi scrivendo, in

luogo della (10.14), una espressione approssimata. Dato che R1 ed R2 non sono molto diversi fra loro si può porre R1 = R2 nei termini che, a secondo membro della (10.14), contengono í coefficienti di attrito. Inoltre si può ammettere che il fattore k del gruppo di pulegge fisse sia uguale a quello della puleggia mobile. In questo modo la (10.14) diviene:

⎟⎟⎞

⎜⎜⎛

−+

≅ 12 RkQP ⎠⎝ 21 Rk

Si ha infine:

212

2

120 12 RRk

kR

RRpP

−+−

≅=η

IBLIOGRAFIA

RNST Η., Les appareils de levage, Gauthier-Villars Eyrolles, Paris, 1961. sporti meccanici, Hoepli, Milano, 1970.

B EZIGNOLI V., Tra

Page 303: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Capitolo 11 Applicazioni degli organi flessibili Trasmissione

del moto fra due alberi Freni a nastro

11.1. TRASMISSIONE DEL MOTO FRA DUE ALBERI CON CINGHIE PIATTE

Per trasmettere potenza meccanica da un albero ad un altro parallelo al

primo si può fare uso di trasmissioni a cinghia. Consideriamo la trasmissione schematizzata in figura 11.1. Se indichiamo

con R1 , R2 i raggi delle due pulegge (comprendendovi anche il semispessore della cinghia), con T1, T2 gli sforzi di trazione nei due rami di cinghia, con M1 ed M2, il momento motore ed il momento resistente, possiamo scrivere per l’equilibrio alla rotazione della puleggia condotta, prescindendo dalle perdite di rendimento:

( T1 - T2 ) R2 = M2 (11.1)

II momento motore può essere calcolato scrivendo l’equilibrio alla rotazione

della puleggia conduttrice. Si ha:

M1=(T1 - T2 )R1 = M2 R1 / R2 (11.2) Affinché si possa trasmettere potenza fra le due pulegge è dunque

necessario che nei due rami della cinghia si sviluppino due forze di trazione fra loro diverse. Fra queste due forze la T1 è la maggiore.

Nei due rami di cinghia possono nascere due forze di trazione fra loro diverse soltanto se nella zona dl contatto fra pulegge e cinghia si sviluppano azioni tangenziali di attrito. Vediamo come ciò possa accadere.

Fig. 11.1 - Schema di una trasmissione α cinghie.

Page 304: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Osserviamo anzitutto che la cinghia è un organo deformabile, mentre le pulegge possono essere considerate corpi rigidi. Supporremo quindi che la cinghia si deformi elasticamente sotto gli sforzi di trazione ad essa applicati, e che le deformazioni delle pulegge siano invece di entità trascurabile.

Perché nella cinghia nascano, in condizioni di esercizio, due forze di trazione T1 e T2, è necessario che la cinghia venga tesa all’atto del montaggio sulle pulegge. In fase di montaggio almeno una delle due pulegge è libera di ruotare attorno al proprio asse. Pertanto in questa fase i due rami di cinghia sono tesi dalla stessa forza, che indichiamo con T0. All’atto del montaggio, un tratto di cinghia di lunghezza l a cinghia scarica, assume dunque la lunghezza:

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +

ESTl 01

dove abbiamo indicato con E il modulo di elasticità normale, con S la sezione normale della cinghia.

Ammesso che in condizioni di esercizio si stabiliscano nei due rami della cinghia forze di trazione T1 e T2 fra loro diverse, uno dei due rami, quello su cui agisce la forza T1, subisce un ulteriore allungamento, mentre l’altro, dovendo la lunghezza della cinghia restare immutata, si accorcia. Questa osservazione permette, intanto, di trovare una relazione fra T0, T1 e T2. Infatti, se prescindiamo da ciò che accade nelle zone di contatto fra cinghia e pulegge, la lunghezza della cinghia resta immutata, nel passare dalla situazione di montaggio a quella di funzionamento, purché sia:

T1 + T2 = 2T0 (11.3)

Consideriamo ora due tratti di cinghia, che a cinghia scarica abbiano la

stessa lunghezza l, e che quindi abbiano la stessa lunghezza l (1 + T0 / ES) in condizioni di montaggio. In condizioni di esercizio le due porzioni di cinghia assumono lunghezza l(1 + T1 / ES) ovvero l(1 + T2 / ES), a seconda che si trovino nel ramo più teso o in quello meno teso.

Ciò significa che, nel passaggio di un tratto di cinghia da un ramo ad un altro il tratto stesso si allunga o si accorcia, strisciando rispetto alle pulegge. È da questi strisciamenti che nascono le azioni di attrito fra cinghia e pulegge.

Esaminiamo più da vicino questo fenomeno. Cominciamo con l’osservare che la cinghia ha velocità diverse nei due rami;

lungo gli archi di contatto fra cinghia e pulegge la velocità della cinghia varia gradualmente, passando dall’uno all’altro valore.

Per il calcolo del rapporto fra queste due velocità consideriamo, sui due rami, due traguardi fissi con l’osservatore. Davanti a questi due traguardi deve transitare, in un dato tempo, la stessa quantità di materia. Se indichiamo con v1 e v2 le velocità della cinghia nei due rami più teso e meno

Page 305: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

teso, tale condizione porta immediatamente alla relazione seguente:

ESTEST

vv

/1/1

2

1

2

1

++

=

la velocità del ramo più teso è dunque maggiore della velocità del ramo meno teso.

Il rapporto fra la differenza delle due velocità e la loro media aritmetica vale dunque:

( )( ) ES

TTESTT

ESTTvvvv 21

21

21

21

21

/2/22 −

≅++

−=

+−

Questo rapporto ha valori relativamente piccoli, dell’ordine di 0,01. Se immaginiamo che un traguardo fisso con l’osservatore sia posto in

corrispondenza dell’arco di contatto fra la cinghia ed una delle pulegge, ed indichiamo con v la velocità in corrispondenza di quel traguardo, con T la forza di trazione nella stessa sezione, troviamo le relazioni:

ESTEST

vv

/1/1

11 ++

= , ESTEST

vv

/1/1

22 ++

=

Sarà meglio visto in seguito, ma è del resto intuitivo che:

T1 ≥ T ≥ T2; ne segue che:

v1 ≥ v ≥ v2. Consideriamo adesso l’equilibrio alla rotazione di una puleggia, ad esempio

di quella motrice. La coppia motrice è equilibrata dalla coppia risultante (T1 – T2)R1, delle azioni

elementari trasmesse dalla cinghia; coppia dovuta, in definitiva, alle azioni elementari di attrito. La coppia può assumere il suo valore massimo quando tali azioni so no distribuite su tutto l’arco di contatto fra cinghia e puleggia. Consideriamo questo caso.

Affinché nascano azioni di attrito fra cinghia e puleggia è necessario che questi due corpi striscino l’uno rispetto all’altro. Si possono avere strisciamenti globali, qualora la puleggia abbia una velocità periferica decisamente maggiore della velocità della cinghia; ma è un caso da evitare. Si possono avere strisciamenti locali, dovuti alla deformabilità della cinghia; è questo il caso corretto. È facile rendersi conto che non si può avere azione

Page 306: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

tangenziale fra un elemento della puleggia ed un elemento di cinghia che non strisci sulla puleggia, ma che sia ad essa aderente. Infatti un’azione tangenziale implica una variazione della forza T (come sarà meglio visto fra poco), ossia una dilatazione della cinghia, con conseguente suo strisciamento elastico sulla puleggia.

In definitiva una puleggia motrice trasmette la massima coppia quando cinghia e puleggia scorrono l’una rispetto all’altra su tutto l’arco di contatto. Perché ciò accada occorre che la velocità periferica della puleggia sia ovunque maggiore di quella della cinghia. La condizione che questo strisciamento sia di tipo elastico è verificata allorché la puleggia ha velocità periferica pari a v1, ossia quando la velocità periferica della puleggia coincide con la velocità del ramo di cinghia che su di essa si avvolge. A partire dal punto in cui ha inizio il contatto la velocità della cinghia diminuisce e nascono gli scorrimenti elastici che danno origine alle azioni tangenziali di contatto.

Se la puleggia dovesse trasmettere una coppia inferiore a quella massima, le azioni tangenziali sarebbero limitate ad una porzione dell’arco di contatto fra cinghia e puleggia. In questo caso su di una parte di questo arco (adiacente al ramo che si avvolge, per quanto già osservato) non si avrebbero azioni tangenziali, ossia non si avrebbero dilatazioni della cinghia; si avrebbe invece aderenza fra cinghia e puleggia.

Considerazioni analoghe si possono fare per il caso della puleggia condotta. Anche in questo caso la puleggia ha una velocità periferica uguale a quella del ramo di cinghia che su di essa si avvolge.

Le due pulegge, motrice e condotta, hanno in definitiva velocità periferiche diverse; queste due velocità coincidono, rispettivamente, con v1 e v2. Da tale differenza discende, ovviamente, una perdita di rendimento della trasmissione.

Fig. 11.2 - Equilibrio di un elemento di cinghia.

Passiamo adesso a calcolare i valori che le forze T1 e T2 debbono assumere affinché la coppia resistente Μ2 possa essere equilibrata. La (11.1) da sola non permette di trovare i valori delle due forze. Occorre un’altra relazione, che può essere trovata considerando l’equilibrio di un elemento di cinghia

Page 307: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

avvolto sulla puleggia condotta. Indichiamo con α l’angolo generico che un raggio uscente da O2 forma con il

raggio O2A, in corrispondenza del quale ha inizio il contatto fra cinghia e puleggia (fig. 11.2).

Consideriamo un elemento di cinghia limitato da due piani passanti per l’asse della puleggia e formanti fra loro l’angolo dα. Su questo elemento agiscono le forze seguenti:

• forze trasmesse all’elemento dai tratti di cinghia ad esso adiacenti. Queste forze se la cinghia è, come supponiamo, di sottile spessore, sono dirette normalmente alle superfici che limitano l’elemento. Indichiamo con T la forza agente sulla faccia posta in corrispondenza dell’angolo generico a, con T + dT la forza sull’altra faccia;

• forza centrifuga, data dal prodotto della massa dell’elemento per l’accelerazione centripeta cui la massa stessa è sottoposta. Se indichiamo con q la massa per unità di lunghezza della cinghia, la forza centrifuga vale:

qv2dα;

• reazione della puleggia sull’elemento di cinghia. In generale la reazione ha due componenti: una normale ed una tangenziale (quest’ultima si annulla però nella zona di aderenza fra cinghia e puleggia). Se indichiamo con p la componente normale della forza di contatto per unità di lunghezza, la componente normale della reazione vale pR2 dα. La componente tangenziale vale a sua volta f pR2 dα. La condizione di equilibrio dell’elemento alla traslazione radiale è:

( ) αααα dqvdpRddTTdT 222

sin2

sin +=++ (11.4)

Per l’equilibrio alla traslazione secondo la direzione perpendicolare alla

precedente si ha poi:

( ) ααα dfpRdTddTT 22cos

2cos =−+ (11.5)

Eliminando gli infinitesimi di ordine superiore al primo, le (11.4) (11.5)

divengono: T = pR2+ qv2 (11.4’) dT = f pR2 dα (11.5’)

Si ha cioè:

dT=f(T-qv2)dα (11.6)

Page 308: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

equazione differenziale che permette di trovare l’andamento della forza di trazione lungo l’arco di contatto fra cinghia e puleggia. Separando le variabili la (11.6) diviene:

αfdqvT

dT=

− 2

Da questa integrando si ottiene:

T – qv2 = C e fα (11.7) dove C è una costante. La (11.7) è valida sulla porzione di arco di contatto sulla quale si ha

strisciamento fra cinghia e puleggia. Nella zona di aderenza mancano le azioni tangenziali di attrito; la (11.6) diviene dT=0; quindi nella zona di aderenza è T = costante.

Supponiamo per ora che la (11.7) valga su tutto l’arco di contatto. Possiamo calcolare la costante C ponendo che per α = 0 sia T = T2. Allora si ha:

T2 - qv2= C

ossia: T-qv2=( T2 - qv2) e f α

Se indichiamo con α2 l’angolo di avvolgimento della cinghia sulla puleggia

condotta si ha:

T-qv2=( T2 - qv2) e f α (11.8) 2

Questa relazione è valida, come si è detto, nella ipotesi che su tutto l’arco di

contatto la cinghia strisci rispetto alla puleggia. Di norma, tuttavia, in corrispondenza della zona di entrata della cinghia sulla

puleggia esiste un tratto di aderenza. Quindi l’arco di strisciamento risulta più piccolo di quello di avvolgimento. Facendo riferimento alla fig. 11.2 supponiamo che si abbia aderenza sull’arco AB e strisciamento sull’arco BC. Allora la (11.7) è valida soltanto nel tratto BC, mentre nel tratto AB la forza T si mantiene costante ed uguale a T2. A partire dal punto B la forza T varia secondo la (11.7) e raggiunge il valore T1 in corrispondenza del punto C. Vale la relazione:

T-qv2=( T2 - qv2) e f β (11.9) 2

dove con β2<α2 si è indicato l’angolo formato fra i raggi O2B ed O2C. Le equazioni di equilibrio (11.4) e (11.5) possono essere scritte anche per

un elemento di cinghia avvolto sulla puleggia motrice. L’unica variante da introdurre riguarda il valore del raggio: R1 in luogo di R2. Ma questa

Page 309: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

sostituzione non modifica affatto le (11.6) (11.7), che valgono anche in questo caso.

In luogo della (11.8) si ha per la puleggia motrice:

T1 - qv2 = (T2 – qv2)e f α (11.10) 1

dove α1 è l’angolo di avvolgimento della cinghia sulla puleggia motrice. In luogo della (11.9) vale poi la relazione seguente:

T1 - qv2 = (T2 – qv2)e f β (11.11) 1

dove β1 è l’angolo corrispondente all’arco di strisciamento sulla puleggia motrice. È ovvio che il rapporto:

22

21

qvTqvT

−−

deve avere lo stesso valore, sia che si consideri la puleggia motrice, sia che si consideri la puleggia condotta. Ed è chiaro che le (11.8) (11.10) danno per tale rapporto lo stesso valore soltanto se fα1 = fα2, ossia, se i coefficienti di attrito sono uguali, soltanto se α1=α2. Quindi le (11.8). (11.10) possono essere valide soltanto se le due pulegge hanno lo stesso diametro. Con pulegge di raggio diverso può tutt’al più accadere che valga una delle due relazioni (11.8) (11.10): quella relativa alla puleggia di raggio minore. Per la puleggia maggiore esiste invece, in ogni caso, una zona di aderenza, giacché l’angolo di strisciamento deve essere lo stesso per le due pulegge. Per la puleggia maggiore vale quindi la (11.9) ovvero la (11.11), a seconda che la puleggia stessa sia condotta o motrice.

La situazione adesso prospettata è una situazione limite. La puleggia minore funziona senza alcun margine di sicurezza: come già abbiamo osservato, essa trasmette alla cinghia la massima coppia che questa può assorbire, ovvero riceve dalla cinghia la massima coppia che questa può trasmettere. Un sovraccarico porterebbe come conseguenza lo slittamento globale della cinghia sulla puleggia, con scarrucolamento e deterioramento della cinghia.

In condizioni corrette di funzionamento la trasmissione deve avere un certo margine di sicurezza. Pertanto occorre fare in modo che valgano le (11.9) (11.11), con β1 e β2 alquanto minori di α1 ed α2. Come ordine di grandezza si può imporre che sia β1 = β2 = π/2. Indichiamo con β il valore comune dell’angolo di strisciamento sulle due pulegge. Si ha così:

T1 - qv2 = (T2 – qv2)e f β (11.12)

valida per entrambe le pulegge.

Page 310: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Introduciamo la (11.12) nella (11.1). Osserviamo che quest’ultima può scriversi:

( )2

222

21 R

MqvTqvT =−−−

Si ottengono subito le relazioni seguenti:

2221

2222

1

1

qvee

RMT

qve

RMT

ff

f

+−

=

+−

=

ββ

β

(11.13)

che danno i valori delle forze di trazione nei due rami della cinghia. Affinché nei due rami possano svilupparsi le forze T1 e T2 sopra calcolate,

occorre che la cinghia venga tesa, all’atto del montaggio, da una forza T0 data dalla (11.3). Si ha cioè:

2220 2

11

qvee

RMTf

f+

+−

β

Secondo questa formula il valore di T0 dipende dal valore di v. In realtà

nel calcolo di T0 il termine in v2 può essere omesso, come se la cinghia funzionasse ad una velocità periferica pressoché nulla. Vediamo di spiegarne il perché.

Supponiamo che la velocità della cinghia sia molto piccola. In luogo delle (11.13) valgono le seguenti:

ββ

β

ff

f

ee

RMT

eRMT

1

122

10

2220

−=

−=

(11.14)

nelle quali abbiamo indicato con T20, T10 le forze T2, T1 per v = 0. Si potrebbe dimostrare che, all’aumentare della velocità della cinghia, le

forze centrifughe che nascono sui rami della cinghia, disposti sotto il proprio peso a catenaria (v. la fig. 11.3), tendono ad accrescere il valore delle forze di trazione nei due rami; e l’incremento che queste forze subiscono è dell’ordine di grandezza di qv2.

Pertanto in una cinghia, che sia messa in trazione al montaggio con una forza:

21

12222010

0

+−

=+

β

f

f

ee

RMTTT (11.15)

Page 311: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 11.3 - Forze centrifughe nei rami della cinghia.

all’aumentare di v aumentano i valori delle forze di trazione nei due rami, che passano dai valori iniziali ai valori:

T10 + qv2 e T20 + qv2

È quindi sufficiente che la forza T0 sia calcolata in base alla (11.15). Con

cinghie piatte si usa prendere:

T10 ≈ 2,5 M2 /R2 T20 ≈ 2,5 M2 /R2 (e quindi T0 ≈ 2 M2 /R2). Se f è, come di solito, dell’ordine di 0,3, ai valori sopra indicati

corrispondono valori di β dell’ordine di π/2. È evidente l’opportunità che il coefficiente di attrito assuma valori elevati.

Dalle (11.14) risulta, infatti, che al crescere di f β, a parità di Μ2/R2, T20 e T10 decrescono; come caso limite, al tendere di f all’infinito, T20 tende a zero e T10 tende a M2/R2 (come per le catene e per le cinghie dentate).

Nel prossimo paragrafo mostriamo come, con l’impiego delle cinghie trapezoidali, si possano ottenere valori molto elevati degli esponenti che figurano nelle (11.14).

11.2. CINGHIE TRAPEZOIDALI Una cinghia trapezoidale, o cinghia a V, è così chiamata per la forma della

sua sezione, che si presenta come mostrato in fig. 11.4. La cinghia è costruita in gomma vulcanizzata con armatura in cotone, in fili di nylon, od anche in fili di acciaio (v. fig. 10.3 b)). II materiale con cui la cinghia è costruita permette di raggiungere elevati coefficienti di attrito; ma è soprattutto il modo con il quale la cinghia esercita la sua azione sulla puleggia, che contribuisce ad accrescere l’esponente che compare nelle (11.14).

La cinghia trapezoidale viene a contatto con la puleggia sulle superfici laterali di una gola a V. La forza di contatto fra cinghia e puleggia si sviluppa, quindi, su queste superfici.

Page 312: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Fig. 11.4 - Cinghia trapezoidale

Se indichiamo ancora con pR2 dα la reazione elementare normale della puleggia contro una delle due facce laterali della cinghia, l’azione elementare di attrito su ciascuna delle due facce vale f pR2 dα. Le (11.4’), (11.5’) si modificano nelle seguenti:

T = 2pR2 senψ + qv2

dT = 2 f pR2 dα

dove ψ è la semiapertura della gola. La (11.6) diviene:

( ) αψ

dqvTfdT ⋅−= 2

sin

Valgono quindi tutte le relazioni del paragrafo precedente, in particolare

le (11.13), (11.14), purché si sostituisca ad f un coefficiente di attrito fittizio f ‘ dato da:

ψsinff =′

Dato che ψ è di regola dell’ordine dei 17°, è f ‘ ≈ 3,5 f. Come conseguenza le

forze di trazione nei due rami della cinghia possono essere mantenute a valori assai inferiori a quelli delle cinghie piatte. Si usa prendere:

T10 ≈ 1,5 M2 / R2, T20 ≈ 0,5 M2 / R2

Osserviamo che il perno sul quale è montata una puleggia è sottoposto ad

una forza uguale alla risultante delle azioni trasmesse dalla cinghia alla puleggia, ossa alla risultante delle forze T10 e T20, disposte lungo i rami della cinghia (e non alla risultante di T1 e T2, giacché la reazione della puleggia sulla cinghia, come risulta dalla (11.4’), è proporzionale a T - qv2).

È chiara la opportunità che la forza che sollecita il perni sia piccola. Da

Page 313: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

questo punto di vista le cinghie trapezoidali sono preferibili a quelle piatte. Altro pregio delle cinghie trapezoidali, rispetto a quelle piatte in cuoio, è la maggiore silenziosità di funzionamento. Per tali motivi le cinghie trapezoidali hanno quasi dovunque soppiantato le cinghie piatte; queste ultime trovano impiego soltanto in casi particolari, ad esempio nelle macchine tessili, dove peraltro vengono usate cinghie tessute. L’impiego delle cinghie piatte in cuoio è ormai molto raro.

11.3. CENNI SUL MONTAGGIO, SUL PROPORZIONAMENTO E SUL RENDIMENTO DELLE TRASMISSIONI A CINGHIA

Il progetto di una trasmissione a cinghia viene effettuato, in pratica, con

l’ausilio degli elementi forniti dalle Case costruttrici di cinghie; ciò dicasi in particolare per le cinghie trapezoidali, che per la loro stessa costituzione composita, non possono essere dimensionate senza la scorta di dati statistici che solo il costruttore può dare.

Riteniamo tuttavia opportuno dare qualche cenno ai problemi connessi con la progettazione ed il montaggio di una trasmissione.

Dati fondamentali di progetto sono, di norma, i valori delle velocità angolari delle due pulegge (e quindi il valore del rapporto di trasmissione) e la potenza da trasmettere.

Dato il rapporto di trasmissione, è assegnato anche il rapporto fra i raggi delle pulegge. Si ha infatti, ovviamente:

2

1

1

2

RR

ΩΩ

= (11.16)

dove R1 ed R2 sono, come già detto, i raggi delle pulegge aumentati del semispessore della cinghia piatta (ovvero i raggi medi delle gole, per le pulegge a gole usate con le cinghie trapezoidali).

Osserviamo a questo proposito che il rapporto di trasmissione deve essere contenuto entro certi limiti (come ordine di grandezza fra 1/6 e 6, come per le ruote dentate); altrimenti la trasmissione risulta sproporzionata. In particolare risultano molto diversi fra loro gli angoli α1 ed α2.

Qualora si debbano adottare rapporti di trasmissione molto diversi da uno, si può fare ricorso a «galoppini», pulegge folli attorno al proprio asse, che hanno lo scopo di aumentare l’angolo di avvolgimento sulla puleggia, ed eventualmente di accrescere la forza di trazione T nella cinghia. La fig. 11.5 mostra un galoppino montato, come di regola, sul ramo meno teso della

Page 314: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

cinghia.

Fig. 11.5 - Galoppino rendirore. Come abbiamo osservato nel paragrafo 11.1, non è possibile evitare piccole

differenze di velocità periferica fra le due pulegge. Pertanto la (11.16) non deve essere considerata come rigorosamente vera; è una relazione approssimata, la cui approssimazione è, peraltro, più che sufficiente per la maggior parte delle applicazioni. Qualora si dovessero realizzare, con organi flessibili, rapporti di trasmissione rigorosamente costanti (come ad esempio per il comando della distribuzione di un motore a scoppio), occorrerebbe fare ricorso alle catene, ovvero alle cinghie dentate che, avvolgendosi su pulegge ad impronte, non presentano slittamenti.

Un passo importante nel progetto della trasmissione consiste nella definizione dei diametri delle due pulegge. Si procede, come al solito, per tentativi, cercando di contenere la velocità della cinghia nei limiti consigliati dai costruttori (con le cinghie piatte non si superano di regola i 40-50 m/s, con le cinghie trapezoidali i 30 m/s) e di evitare che la puleggia minore abbia raggio troppo piccolo (al diminuire del rapporto fra il raggio della puleggia minore e lo spessore della cinghia aumenta la tensione normale di flessione cui la cinghia è sottoposta allorché è avvolta sulla puleggia; si veda la (11.17)).

Noti i diametri delle pulegge, si può scegliere la sezione trasversale della cinghia. Questa è sottoposta a sforzi di trazione e flessione. La tensione normale massima si ha sulla puleggia minore, in prossimità del ramo più teso. Indicando con σ la tensione normale, con s lo spessore della cinghia, con R il raggio della puleggia minore (gli altri simboli hanno significato già noto), si ha:

REs

ST

21 +=σ

ovvero:

REsqve

eRM

Sf

f 21/1 222 +⎥⎦

⎤⎢⎣⎡ +

−= β

βσ (11.17)

Si passa quindi al calcolo della lunghezza della cinghia. Questo calcolo è

necessario soprattutto nel caso che la cinghia sia ad anello chiuso, come sono le cinghie trapezoidali e le cinghie piatte non di cuoio. Anche se il

Page 315: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

calcolo è elementare, riteniamo valga la pena di affrontarlo.

Fig. 11.6 - Calcolo della lunghezza della cinghia. Siano dati i raggi delle pulegge e l’interasse a. La lunghezza l dell’anello può

essere espressa, con le notazioni della fig. 11.6, nel modo seguente:

⎥⎦⎤

⎢⎣⎡ ++=

∩∩∩

CDBCABl 2

con

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −=

=

⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ +=

απα

απ

2

cos2

2

1

RCD

aBC

RAB

essendo α l’angolo che un ramo della cinghia forma con la retta passante

per i centri delle due pulegge. È poi:

aRR 21sin −

Si ha, in definitiva:

( ) ( )⎥⎥⎦

⎢⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ −

−+−

−++=2

21212121 1arcsin

22

aRRa

aRRRRRRl π (11.18)

Un calcolo rigoroso della lunghezza della cinghia non è, tuttavia, quasi mai

necessario. Infatti per il montaggio delle cinghie ad anello chiuso, che sono la quasi totalità, è necessario che almeno una delle due pulegge sia montata su di un sostegno registrabile, che permetta piccole variazioni dell’interasse; ciò perché la cinghia possa essere posta in tensione e, qualora si tratti di cinghia

Page 316: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

trapezoidale, perché possa essere alloggiata entro la gola delle pulegge. Chiudiamo lo studio delle trasmissioni a cinghia con brevi considerazioni sul

loro rendimento. Abbiamo visto nel paragrafo 11.1 che lo slittamento elastico fra cinghia e pulegge è causa di perdita di potenza. Oltre a questa esistono altre cause di perdita, come:

• perdita per attriti interni della cinghia, nelle deformazioni che questa subisce all’avvolgimento ed allo svolgimento (rigidezza anelastica, di cui si è parlato nel paragrafo 10.2) e nelle deformazioni dovute a fenomeni vibratori, cui sono sottoposti i rami della cinghia;

• perdita per attrito nei perni; • perdita per effetto ventilante, dovuta alla resistenza che pulegge e

cinghia incontrano nel loro moto, da parte dell’aria. Queste perdite, per trasmissioni di buona esecuzione, sono

complessivamente dell’ordine di qualche percento della potenza motrice. II rendimento di una trasmissione a cinghie ben progettata può essere pertanto superiore a 0,95.

11.4. TRASMISSIONE DEL MOTO FRA DUE ALBERI CON CATENE ARTICOLATE

Per la trasmissione di potenza meccanica fra due alberi con assi paralleli si

usano spesso catene articolate (v. 10.1), che si impegnano su ruote dentate. Il rapporto di trasmissione è costante (non c’è, infatti, lo slittamento elastico dipendente dal carico che si verifica nelle trasmissioni con cinghie) e uguale all’inverso del rapporto dei numeri dei denti (e, ovviamente, dei diametri) delle due ruote dentate; ciò vale anche nel caso delle cinghie dentate, che appunto per questo sono dette anche sincrone.

Una particolarità di funzionamento delle trasmissioni con catene è costituita dal cosiddetto effetto poligonale (o effetto cordale). Per spiegarlo, si osservi (v. fig. 11.7) che la componente della velocità del centro del rullo parallela al ramo della catena varia fra un massimo vmax = ΩR nella posizione a) e un minimo vmin = ΩR cosθ nella posizione b). Con R si è indicato il raggio della circonferenza primitiva (circonferenza sulla quale vengono a trovarsi i centri dei perni della catena quando questa si impegna sulla ruota dentata), mentre

Page 317: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Ω (che supporremo costante) è la velocità angolare della ruota; dalla fig. 11.7 si vede poi che è θ = π/z, se z è il numero di denti della ruota. Si conclude che la velocità della catena subisce una fluttuazione relativa:

θcos1max

minmax −=−

vvv

In pratica, tale fluttuazione diventa del tutto trascurabile per z >25.

Fig. 11.7 - Effetto poligonale.

Un’altra conseguenza dell’azione poligonale è che il rapporto di

trasmissione può essere rigorosamente costante solo nel caso che valga 1 (cioè con ruote uguali); altrimenti, esso subisce piccole fluttuazioni, peraltro trascurabili se i numeri di denti non sono troppo bassi.

Da quanto detto sopra si deduce pure che i rulli della catena vengono a contatto con i denti della ruota con un urto, tanto più violento quanto minore è z.

I fenomeni legati all’azione poligonale (fluttuazione della velocità, contatto d’urto dei rulli sui denti, variazione del rapporto di trasmissione) sono cause di rumorosità. Essi non si presentano, o sono molto attenuati, nelle catene silenziose, per le quali il contatto ruota-catena è analogo a quello fra i denti di due ruote dentate vere e proprie.

La lunghezza della catena è ancora data dalla (11.18), e deve naturalmente essere uguale ad un numero intero (possibilmente pari per evitare di dovere introdurre «false maglie») di passi; di solito viene raccomandato che tale numero sia compreso fra 70 e 160. L’interasse degli alberi fra i quali si trasmette il moto deve normalmente essere compreso fra 30 e 50 volte il passo della catena, mentre il rapporto di trasmissione non dovrebbe essere inferiore a 1/6.

Page 318: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Per il buon funzionamento e la durata di una catena è indispensabile una corretta lubrificazione. La pratica più corrente è quella della lubrificazione a sbattimento (una parte della catena è immersa nel lubrificante); alle basse velocità il lubrificante può venire applicato saltuariamente a mano, mentre nei casi più impegnativi si ricorre alla lubrificazione forzata a getto. II rendimento di urta trasmissione a catena ben lubrificata è paragonabile a quello di un ingranaggio.

11.5. SCELTA DEL TIPO DI TRASMISSIONE Si dice trasmissione meccanica il complesso degli organi che servono per

trasmettere potenza da una entrata a una uscita. Alcuni di tali organi, come gli alberi, giunti e gli innesti, trasmettono la potenza senza variarne i fattori, cioè con rapporto di trasmissione costantemente uguale a uno. Fanno talvolta eccezione, fra gli organi sopra elencati, alcuni tipi di giunti (quali i giunti idraulici) e di innesti (quali gli innesti a frizione), il cui comportamento durante i transitori (di avviamento, di arresto o di passaggio da un regime ad un altro) è notevolmente più complesso. Tutti questi organi hanno di regola entrata e uscita coassiali.

Altri organi di trasmissione, invece, come gli ingranaggi, le cinghie e le catene. sono in grado di realizzare rapporti di trasmissione diversi da uno, a volte fissi, a volte variabili a gradini (cambi) o con continuità (variatori continui). La necessità di introdurre un rapporto (di riduzione o di moltiplicazione) può derivare da motivi funzionali: ad esempio, nei motori endotermici alternativi a quattro tempi l’albero a camme deve ruotare con velocità angolare pari alla metà di quella dell’albero motore. Molto frequentemente, trasmissioni con rapporto minore di uno sono necessarie per collegare un motore veloce ad un utilizzatore lento; infatti, è di solito conveniente (e talvolta necessario) che il motore sviluppi la sua potenza a velocità elevata e coppia (relativamente) bassa, mentre la velocità angolare dell’utilizzatore è imposta da necessità funzionali.

La scelta del tipo di trasmissione più adatto per ogni singola applicazione è dettata da numerose circostanze, quali l’interasse, l’ingombro, la potenza, la velocità, il rapporto da realizzare, le caratteristiche del motore e dell’utilizzatore, il costo, le esigenze di manutenzione, e altre ancora. A titolo puramente indicativo, la tab. 11.1 riporta i tipici campi di impiego delle più comuni trasmissioni meccaniche in grado di realizzare rapporti diversi da uno.

Page 319: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Tabella 11.1 - Campi di impiego tipici dei principali tipi di trasmissioni meccaniche

Trasmissione Rapporto minimo(1)

Velocità massima (2) (m/s)

Potenza massima (3) (kW)

Cinghie piatte semplici 1:8 25 – 100 300 Cinghie composte 1:8 25 – 100 4000 Cinghie trapezoidali 1:10 25 – 35 400 Cinghie dentate 1:15 50 – 100 80 Catene articolate semplici 1:6 15 – 25 200 Catene articolate multiple 1:6 15 – 25 700 ingranaggi cilindrici a denti dritti 1:10 20 – 50 750 Ingranaggi cilindrici esterni a denti elicoidali 1:10 120 50000 Ruote dentate coniche a denti dritti 1:8 20 1200 Ruote dentate coniche a denti cucci 1:8 20 15000 Vite -ruota elicoidale 1:100 20 300

(1) Rapporto di trasmissione minimo in un unico stadio. (2) Velocità lineare delle cinghie o delle calore, velocità periferica sulle primitive delle ruote dentate. (3) Potenza massima trasmessa in realizzazionì standard. Concludiamo l’argomento delle trasmissioni meccaniche facendo presente

che gli organi che le compongono (alberi, giunti, ingranaggi, cinghie, catene, ecc.), come tutti gli organi in movimento, possono risultare pericolosi per gli operatori, e pertanto per il loro impiego sono richiesti opportuni dispositivi di protezione (gabbie, scatole, e simili), in molti casi espressamente previsti e imposti dalle leggi riguardanti le norme di sicurezza.

11.6. FRENI A NASTRO Nei freni a nastro l’organo flessibile (un nastro di acciaio, solitamente

rivestito di ferodo) e impiegato, come nelle trasmissioni a cinghia, per trasmettere ad una puleggia forze tangenziali di attrito. Nei freni a nastro queste forze tangenziali sono utilizzate per produrre un momento frenante sulla puleggia.

Fig. 11.8 - Freno a nastro ordinario. In fig. 11.8 è rappresentato un freno a nastro. Esso è costituito da un telaio,

da una puleggia, da una leva e dal nastro. La leva è accoppiata

Page 320: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

rotoidalmente, come la puleggia, al telaio. Alla leva sono incernierate le estremità del nastro; l’asse di una cerniera coincide, nel caso di figura, con l’asse O’ della coppia rotoidale fra leva e telaio.

Le azioni applicate dall’esterno ai membri mobili del freno sono: una coppia M, che agisce sulla puleggia, e la forza P, che viene esercitata sulla leva per provocare l’azione frenante.

II freno può essere impiegato per due scopi: per frenare la puleggia in movimento, oppure per impedire che la puleggia passi dalla condizione di quiete a quella di moto. In ogni caso il nastro sta fermo: è questa una differenza importante rispetto al caso della trasmissione a cinghia, dove la cinghia è in movimento. Questa differenza si ripercuote sulla distribuzione delle azioni tangenziali di contatto fra organo flessibile e puleggia.

Ricordiamo, a questo proposito, che nel caso delle trasmissioni a cinghia le azioni di attrito fra cinghia e puleggia sono dovute a scorrimenti di tipo elastico e si manifestano, di regola, soltanto su di una parte dell’arco di avvolgimento. Nei freni a nastro le cose vanno diversamente; possono darsi due casi:

• che la puleggia sia in movimento. Allora la puleggia striscia globalmente rispetto al nastro; su tutto l’arco dì avvolgimento nascono forze tangenziali di attrito, di intensità uguale al prodotto del coefficiente di attrito cinetico per l’intensità delle componenti normali; • che la puleggia sia ferma. In questo caso fra nastro e puleggia non esiste moto relativo. Le componenti tangenziali delle azioni di contatto debbono avere intensità non superiore al prodotto del coefficiente di aderenza per l’intensità delle componenti normali. L’equilibrio della puleggia è possibile finché la coppia esterna non supera il valore per il quale il rapporto fra l’intensità delle azioni tangenziali e di quelle normali è uguale al coefficiente di aderenza.

Riteniamo opportuno osservare che nei due casi la coppia M può essere di diversa natura. Se la puleggia e in movimento l’equilibrio alla rotazione della puleggia e delle masse con essa rotanti può scriversi nella forma:

frm MdtΩdIMM =−−

dove abbiamo indicato con Mm, Mr le eventuali coppie, motrice e resistente, applicate dall’esterno alla puleggia, con I momento di inerzia, rispetto all’asse di rotazione, della puleggia e degli organi con essa rotanti, con Mf la coppia frenante prodotta dal freno. In questo caso alla puleggia del freno viene dunque applicata dall’esterno la coppia M, data dal primo membro della equazione precedente; nel caso particolare che si debba frenare una puleggia alla quale non siano applicate coppie, né motrici né resistenti, e che sia quindi folle sul proprio albero, è

Page 321: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Mf = -I dΩ/dt Nel secondo caso è, evidentemente:

Mf = Mm – Mr se Mf = 0, come spesso accade,

Mf = Mm Ciò premesso passiamo allo studio di verifica di un freno a nastro. Entrambi i casi sopra considerati possono essere studiati

contemporaneamente, con l’unica avvertenza che il coefficiente f che introduciamo nei calcoli, va considerato come coefficiente di attrito cinetico per il primo caso, e nel secondo caso come un coefficiente che può assumere un qualunque valore compreso fra zero e quello del coefficiente di aderenza (questa ultima situazione si verifica in prossimità dello slittamento della puleggia; la coppia M raggiunge allora il valore limite).

Ci proponiamo di risolvere il seguente problema: siano note le dimensioni del freno ed il coefficiente f; sia data la coppia M; della forza P sia nota la linea di azione. Si vuol trovare il valore della forza P, capace di far nascere sulla puleggia una coppia MJ, che equilibri la coppia M. Per le notazioni facciamo riferimento alla fig. 11.8.

Indichiamo con T1 la forza di trazione nel ramo di nastro più teso, con T2 la forza nel ramo meno teso. In figura abbiamo supposto che il ramo più teso sia quello vincolato alla leva in corrispondenza dell’asse O’, e che pertanto la coppia M abbia verso orario (come la velocità angolare della puleggia, se questa ruota).

Per l’equilibrio alla rotazione della puleggia si ha:

T1 – T2 = M/R (11.19) Per l’equilibrio alla rotazione della leva attorno all’asse O’ si ha poi:

Pb = T2 a2 (11.20) b ed a2 essendo i bracci delle forze P e T2. Una relazione fra T1 e T2 può trovarsi studiando l’equilibrio di un

elemento di nastro, in modo analogo a come abbiamo fatto nel paragrafo 11.1. L’unica differenza consiste nella circostanza che adesso è v=0.

Si ottiene la espressione seguente, che discende immediatamente dalle (11.8), (11.10):

T1 = T2 e fα (11.21)

Page 322: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

dove α è l’angolo di avvolgimento del nastro sulla puleggia. Dalle (11.19), (11.21) si ha:

1/

1/

2

1

−=

−=

α

αα

f

ff

eRMT

ee

RMT

analoghe alle (11.13). Dalla (11.20) si ha, poi:

( )12

−=

αfeRbMaP (11.22)

Se la coppia M avesse verso antiorario le forze T1 e T2 nei due rami del

nastro sarebbero scambiate ed invece della (11.22) varrebbe la seguente:

( )12

−=

α

α

f

f

eRbeMaP (11.23)

Dal confronto delle (11.22), (11.23) è evidente la convenienza che il ramo più

teso sia quello vincolato alla leva in O’, come in figura; in questo caso, infatti, a parità di M la forza P risulta più piccola che nell’altro caso.

Un freno a nastro può essere realizzato anche secondo lo schema di fig. 11.9, do ve nessuna delle due estremità del nastro è vincolata alla leva in corrispondenza di O’. Un fieno di questo tipo è detto «differenziale»; mentre al freno di fig. 11.8 si dà il nome di freno «ordinario».

Fig. 11.9 - Freno a nastro differenziale. Per un freno differenziale valgono ancorale (11.19), (11.21). Invece della

(11.20) vale la: Pb = T2 a2 – T1 a1

Invece della (11.22) si ottiene quindi:

( )( )1

12

−−

α

f

f

eRbeaaMP (11.24)

Page 323: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Dal confronto delle (11.22), (11.24) è evidente come un freno differenziale richieda una forza frenante inferiore a quella di un freno ordinario.

Dalla (11.24) risulta anche che è possibile dimensionare un freno differenziale in modo che esso intervenga spontaneamente, senza che sia necessario applicare alla leva una forza frenante. Se, infatti, facciamo in modo che sia

a2= a1 e fα dalla (11.24) risulta P=0. I freni ad azione spontanea sono raramente impiegati, e soltanto nel caso in

cui si voglia impedire che la puleggia si ponga in rotazione in un dato verso (funzionano allora come una ruota libera).

Volendo garantire il funzionamento di un freno ad azione spontanea occorre proporzionarlo in modo che sia:

a2 < a1 e fα (11.25)

In base alle (11.24), per mantenere ferma la puleggia, sarebbe allora

sufficiente una forza P addirittura negativa. La (11.24) è, d’altra parte, ricavata nella ipotesi che le azioni di contatto fra

nastro e puleggia stano inclinate, rispetto alla normale, dell’angolo di attrito (cinetico, ovvero di primo distacco). Nel caso che consideriamo le cose vanno diversamente: le azioni di contatto formano con la normale un angolo minore di quello di attrito ed il freno resta in equilibrio sotto una forza P = 0.

La (11.25) è soltanto una condizione necessaria. Infatti perché un freno ad azione spontanea possa funzionare correttamente, è necessario che si trovi in condizione di equilibrio stabile; che, in particolare, per una piccola rotazione della leva di senso concorde con la coppia M, dovuta al trascinamento del nastro da parte della puleggia, il nastro tenda a serrarsi, non ad allentarsi. Questa condizione è verificata se è a2 > a1.

BIBLIOGRAFIA

AM. CHAIN Ass., Chains for power transmission and material handling, M. Dekker, New York, 1982.

NIEMANN G., WINTER H., Elementi di macchine, Vol. III, EST e Springer-Verlag, Milano-Berlin, 1986.

Page 324: Funaioli Maggiore Meneghetti Meccanica Applicata Alle Macchine Vol

Bibliografia generale del primo volume BELFORTE G., Meccanica applicata alle macchine, Ing. Giorgio, Torino, 1984. CAPOCACCIA A.A., Meccanica applicata alle macchine, Di Stefano, Genova, 1959. FERRARI C., ROMITI A., Meccanica applicata alle macchine, UTET, Torino, 1966 GHIGLIAZZA R., GALLETTI U., Meccanica applicata alle macchine, UTET, Torino 1986. JACAZIO G., PIOMBO B., Meccanica applicata alle macchine, Levrotto & Bella, Torino,

1977. PANETTI M., Meccanica applicata alle macchine, Levrotto & Bella, Torino, 1952 PISTOLESI E., Meccanica applicata alle macchine, Vallerini, Pisa, 1950. PROSCIUTTO A., Elementi di meccanica applicata alle macchine, Pàtron, Bologna 1954. SCOTTO LAVINA G., Riassunto delle lezioni di meccanica applicata alle macchine. Siderea,

Roma, 1970. SESINI O., Meccanica applicata alle macchine, Casa Editrice Ambrosiana, Milano 1955. TADDEI M., Meccanica applicata alle macchine, Liquori, Napoli, 1981.