Diritto Amministrativo

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DIRITTO AMMINISTRATIVO – A.A. 2013/2014 – Prof. Ferrara NOZIONI INTRODUTTIVE Il diritto e le Pubbliche Amministrazioni Fin dall'epoca romana, lo Stato si è sempre dotato di apparati statuali-amministrativi, tecnicamente definiti come Amministrazioni Pubbliche (PP.AA.). Possiamo, quindi, dire che le PP.AA. esistono da circa duemila anni, così come da circa duemila anni esiste il diritto, nello specifico il diritto privato. Non possiamo, invece, dire che da circa duemila anni, esiste il diritto amministrativo. Il diritto amministrativo esiste da poco più di duecento anni. Questo non significa che fino a duecento anni fa (prima che sorgesse il diritto amministrativo), le PP.AA. non erano sottoposte a nessun diritto: le PP.AA. erano, infatti, sottoposte allo stesso diritto a cui erano sottoposti tutti gli altri operatori della società e del mercato. In sostanza, possiamo dire che le PP.AA. erano sottoposte al diritto privato, così come gli operatori privati (primariamente gli individui). Per riferirsi all'insieme degli strumenti e dei principi che interessavano le PP.AA. si parlava di diritto delle Amministrazioni Pubbliche. Ma non si poteva parlare di diritto amministrativo in senso stretto/tecnico; cioè di un diritto proprio delle PP.AA. e dedicato alle PP.AA. e non anche agli operatori privati. A partire dal 1800, poi, parallelamente alla conformazione degli Stati come Stati di diritto, nasce nella maggior parte dei Paesi dell'Europa continentale, il diritto amministrativo in senso stretto; cioè un diritto che prevede strumenti, istituti e principi tipici delle sole Pubbliche Amministrazioni. A partire dal 1800, quindi, le PP.AA. ottengono un “loro diritto emancipato dalle catene del diritto privato” (si esprimono grosso modo in questo senso giuristi come Otto Maier e Vittorio Emanuele Orlando). Possiamo sottolineare che nei sistemi di common law, ancora oggi, le PP.AA. non hanno un diritto proprio diverso da quello relativo agli operatori privati: va, però, rilevato che negli ultimi anni, soprattutto per via del processo di integrazione europea, i sistemi di common law subiscono sempre più influenze dai sistemi di civil law (vale ovviamente anche il viceversa) e tra queste influenze vi è anche la previsione di alcuni strumenti e istituti tipici per le sole Amministrazioni Pubbliche. A questo punto è necessario soffermarsi sulla nascita del diritto amministrativo in senso stretto nei Paesi dell'Europa continentale. Come già detto, il diritto amministrativo in senso stretto nasce e si sviluppa parallelamente all'affermazione dello Stato di diritto nel 1800. In quel periodo era ormai chiaro che le PP.AA. dovevano svolgere un'attività volta a garantire e tutelare gli intessi generali (i c.d. interessi pubblici). Si diceva anche che le PP.AA. avevano la missione di garantire la felicità dei cittadini. Affinchè le PP.AA. potessero operare al meglio per espletare questa loro missione, si iniziò a ritenere che le PP.AA. dovessero essere emancipate dalle regole del diritto privato e dovessero essere poste in una situazione di specialità e di privilegio: è così che nasce il diritto amministrativo in senso stretto con i suoi strumenti ed istituti tipici per le Amministrazioni Pubbliche. Era, infatti, chiaro che se le PP.AA. agiscono per perseguire l'interesse pubblico, mentre gli operatori privati agiscono per perseguire interessi individuali; le PP.AA. devono avere degli strumenti speciali e diversi da quelli degli operatori privati. Riconosciuta l'esigenza che le PP.AA. fossero in una situazione di specialità/di privilegio rispetto agli operatori privati, nella formazione dello Stato di diritto si è anche riconosciuta subito l'esigenza di limitare gli aspetti di questa condizione di specialità e privilegio delle PP.AA. che potessero essere odiosi e negativi nei confronti degli operatori privati e, quindi, di fatto dei cittadini. Nel 1800, con il processo di formazione degli Stati di diritto, era chiaro che le PP.AA. dovevano essere in una situazione di specialità (quindi essere sottoposte ad un diritto particolare) per operare al meglio nell'interesse pubblico di tutti i cittadini e non per operare contro e a discapito dei cittadini. In tutte le Costituzioni del 1800 (siano esse rigide o flessibili), allora, è inserito il principio di legalità; in virtù del quale vi è una supremazia della legge sugli atti delle Amministrazioni Pubbliche: ciò è necessario perchè le leggi sono adottate dai rappresentanti del popolo e nell'interesse del popolo stesso (cioè dei cittadini). 1

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DIRITTO AMMINISTRATIVO – A.A. 2013/2014 – Prof. Ferrara

NOZIONI INTRODUTTIVE

Il diritto e le Pubbliche Amministrazioni Fin dall'epoca romana, lo Stato si è sempre dotato di apparati statuali-amministrativi, tecnicamentedefiniti come Amministrazioni Pubbliche (PP.AA.). Possiamo, quindi, dire che le PP.AA. esistonoda circa duemila anni, così come da circa duemila anni esiste il diritto, nello specifico il dirittoprivato. Non possiamo, invece, dire che da circa duemila anni, esiste il diritto amministrativo. Ildiritto amministrativo esiste da poco più di duecento anni. Questo non significa che fino a duecentoanni fa (prima che sorgesse il diritto amministrativo), le PP.AA. non erano sottoposte a nessundiritto: le PP.AA. erano, infatti, sottoposte allo stesso diritto a cui erano sottoposti tutti gli altrioperatori della società e del mercato. In sostanza, possiamo dire che le PP.AA. erano sottoposte aldiritto privato, così come gli operatori privati (primariamente gli individui). Per riferirsi all'insiemedegli strumenti e dei principi che interessavano le PP.AA. si parlava di diritto delle AmministrazioniPubbliche. Ma non si poteva parlare di diritto amministrativo in senso stretto/tecnico; cioè di undiritto proprio delle PP.AA. e dedicato alle PP.AA. e non anche agli operatori privati. A partire dal1800, poi, parallelamente alla conformazione degli Stati come Stati di diritto, nasce nella maggiorparte dei Paesi dell'Europa continentale, il diritto amministrativo in senso stretto; cioè un diritto cheprevede strumenti, istituti e principi tipici delle sole Pubbliche Amministrazioni. A partire dal 1800,quindi, le PP.AA. ottengono un “loro diritto emancipato dalle catene del diritto privato” (siesprimono grosso modo in questo senso giuristi come Otto Maier e Vittorio Emanuele Orlando).Possiamo sottolineare che nei sistemi di common law, ancora oggi, le PP.AA. non hanno un dirittoproprio diverso da quello relativo agli operatori privati: va, però, rilevato che negli ultimi anni,soprattutto per via del processo di integrazione europea, i sistemi di common law subiscono semprepiù influenze dai sistemi di civil law (vale ovviamente anche il viceversa) e tra queste influenze vi èanche la previsione di alcuni strumenti e istituti tipici per le sole Amministrazioni Pubbliche. A questo punto è necessario soffermarsi sulla nascita del diritto amministrativo in senso stretto neiPaesi dell'Europa continentale. Come già detto, il diritto amministrativo in senso stretto nasce e sisviluppa parallelamente all'affermazione dello Stato di diritto nel 1800. In quel periodo era ormaichiaro che le PP.AA. dovevano svolgere un'attività volta a garantire e tutelare gli intessi generali (ic.d. interessi pubblici). Si diceva anche che le PP.AA. avevano la missione di garantire la felicità deicittadini. Affinchè le PP.AA. potessero operare al meglio per espletare questa loro missione, siiniziò a ritenere che le PP.AA. dovessero essere emancipate dalle regole del diritto privato edovessero essere poste in una situazione di specialità e di privilegio: è così che nasce il dirittoamministrativo in senso stretto con i suoi strumenti ed istituti tipici per le AmministrazioniPubbliche. Era, infatti, chiaro che se le PP.AA. agiscono per perseguire l'interesse pubblico, mentregli operatori privati agiscono per perseguire interessi individuali; le PP.AA. devono avere deglistrumenti speciali e diversi da quelli degli operatori privati. Riconosciuta l'esigenza che le PP.AA.fossero in una situazione di specialità/di privilegio rispetto agli operatori privati, nella formazionedello Stato di diritto si è anche riconosciuta subito l'esigenza di limitare gli aspetti di questacondizione di specialità e privilegio delle PP.AA. che potessero essere odiosi e negativi neiconfronti degli operatori privati e, quindi, di fatto dei cittadini. Nel 1800, con il processo diformazione degli Stati di diritto, era chiaro che le PP.AA. dovevano essere in una situazione dispecialità (quindi essere sottoposte ad un diritto particolare) per operare al meglio nell'interessepubblico di tutti i cittadini e non per operare contro e a discapito dei cittadini. In tutte leCostituzioni del 1800 (siano esse rigide o flessibili), allora, è inserito il principio di legalità; in virtùdel quale vi è una supremazia della legge sugli atti delle Amministrazioni Pubbliche: ciò ènecessario perchè le leggi sono adottate dai rappresentanti del popolo e nell'interesse del popolostesso (cioè dei cittadini).

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Il principio di legalità Si è detto che il principio di legalità serve in sostanza per sancire la superiorità della legge sugli attidelle Amministrazioni Pubbliche. Il principio di legalità fa sì che le PP.AA. non possano adottareprovvedimenti (c.d. provvedimenti amministrativi) se non sono legittimate a farlo da un atto delleassemblee legislative, rappresentative del popolo/dei cittadini. Le PP.AA. si conformano, dunque,come operatori dotati di uno spazio di specialità e privilegio, ma ciononostante soggetti alla legge,espressione del volere del popolo. Il principio di legalità espresso in tutte le Costituzioniottocentesche ha un antenato nel famoso principio “no taxation without rapresentation”, contenutonella Magna Charta del 1215, concessa ai baroni inglesi dal re Giovanni Senza Terra. Il termine“taxation” era in realtà un riferimento al provvedimento amministrativo (si era usato il termine“taxation”, perchè l'imposizione di tasse è considerato il più invasivo ed odioso dei provvedimentidelle PP.AA.) e, quindi, la Magna Charta nel 1215 aveva già sancito che non era possibile per lePP.AA. assumere provvedimenti senza la legittimazione delle leggi, elaborate dall'assemblearappresentativa del popolo (all'epoca dei soli baroni). In Italia, la legge 2248/1865 allegato E c.d. “legge abolitrice del contenzioso amministrativo”,all'art. 5 stabilisce che quando un giudice si trova davanti ad una controversia traun'Amministrazione Pubblica e un privato cittadino e per risolvere tale controversia dovrebbeutilizzare un provvedimento amministrativo che non è conforme ad una legge, il giudice non puòapplicarlo. La legge 2248/1865, nel prevedere ciò, si basava ovviamente sul principio di legalità(quindi sul primato della legge sugli atti amministrativi), che lo Statuto Albertino del 1848enunciava. Dopo lo Statuto Albertino, anche la nostra attuale Costituzione (entrata in vigore nel1948) ovviamente fa proprio il principio di legalità (all'art. 97). Dobbiamo rilevare che il principiodi legalità può essere inteso in due accezioni: legalità in senso formale e legalità in sensosostanziale. Il principio di legalità in senso formale implica che le PP.AA. possono adottareprovvedimenti solo se legittimate a farlo dalla legge che attribuisce loro un potere; mentre il poteredi legalità in senso sostanziale implica che la legge non solo deve attribuire un potere alle PP.AA. invirtù del quale esse possono assumere provvedimenti, ma la legge deve anche dire come questopotere può essere esercitato (stabilendone presupposti e modalità di esercizio). La dottrinaamministrativistica denomina “leggi o norme di relazione”, le leggi che si limitano ad attribuire allePP.AA. il potere di adottare provvedimenti; mentre denomina “leggi o norme di azione”, le leggiche, oltre ad attribuire il potere alle PP.AA., dicono anche come tale potere deve essere esercitato.Ci si è chiesti quale accezione del principio di legalità è accolta dalla nostra Costituzione? Larisposta a questa domanda non è univoca; in quanto la dottrina è molto divisa. La dottrinamaggioritaria e la Corte Costituzionale ritengono, però, che la nostra Costituzione accogliel'accezione del principio di legalità in senso sostanziale. Dobbiamo ancora sottolineare in questasede che tanto più la legge è invasiva nel dire come le PP.AA. devono esercitare il loro potere, tantomeno potere ed “autonomia di movimento”/“margine di manovra”/“spazio di gioco” le PP.AA.stesse hanno. Quando una legge non usa concetti chiari e precisi, le PP.AA. hanno evidentemente unpotere maggiore. La dottrina tedesca in relazione a questo tema ha parlato di concetti giuridiciindeterminati (empirici e normativi), clausole generali e norme in bianco: la dottrina tedesca hasostenuto che questi sono tre casi in cui la legge limita poco le PP.AA. che hanno, quindi, un poterepiù ampio. Sono concetti giuridici indeterminati quelli vaghi e non specifici ed in particolare sonoconcetti giuridici indeterminati empirici ad es. quello dell'intralcio alla circolazione, quellodell'indigenza/del benessere e quello del carattere epidemico di una malattia; sono concetti giuridiciindeterminati normativi ad es. quello dell'utilità sociale e quello della moralità pubblica; sonoclausole generali quelle norme che possono essere equiparate a principi comuni e fondamentalicome ad ad es. la buona fede e la parità delle armi; una norma in bianco è ad es. la nostra legge400/1988 nella parte in cui prevede i regolamenti di delegificazione.

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La discrezionalità della Pubblica Amministrazione (PA)Pur essendo sottoposta alla legge, l'attività della PA (volta alla cura degli interessi pubblici) ècaratterizzata per sua natura dalla discrezionalità. La discrezionalità connota il modo d'operare dellaPA. La PA ha sempre discrezionalità, ma questa discrezionalità può essere più o meno marcata:tanto più la legge attributiva del potere alla PA, utilizza concetti chiari e precisi (anziché concettigiuridici indeterminati e clausole generali), tanto meno la PA ha un “margine di manovra”, “unospazio di gioco”, un'ampia discrezionalità. In prima approssimazione, la discrezionalità della PApuò essere definitiva come la possibilità della PA stessa di scegliere tra due o più soluzioni, lasoluzione migliore per il caso concreto. Lo studioso francese Mendes ha addirittura affermato che“amministrare vuol dire scegliere”. La dottrina tripartisce correntemente la discrezionalità della PAin tre sotto-categorie:

• la discrezionalità pura, che (secondo una definizione di Giannini) consiste nel margine discelta che la legge rimette alla PA affinchè possa individuare, tra quelli consentiti, il modomigliore di operare; a seguito di una comparazione ed un bilanciamento tra l'interessepubblico da tutelare e gli eventuali altri interessi pubblici ed interessi privati in gioco. Nelscegliere il modo migliore di operare, a seguito del bilanciamento tra interessi, la PA devefarsi guidare dal principio di proporzionalità; in virtù del quale bisogna curare al megliol'interesse pubblico, con il minor sacrificio possibile degli altri interessi in gioco. La PAnello specifico deve individuare il modo di operare che le permette di massimizzare la tuteladell'interesse pubblico di cui la legge le assegna la cura (c.d. interesse pubblico primario),causando allo stesso tempo il minor sacrificio degli altri eventuali interessi pubblici (c.d.interessi pubblici secondari) e privati in gioco. Ad es. se un'Amministrazione deve elaborareil progetto di un'autostrada, l'interesse pubblico primario che deve perseguire (per specificaattribuzione della legge) è l'interesse alla viabilità. L'elaborazione del progettodell'autostrada, però, tocca anche altri interessi pubblici che quell'Amministrazione non ha ilcompito specifico di tutelare (i c.d. interessi pubblici secondari), quali l'interessedell'ambiente e l'interesse del contenimento della spesa pubblica, ed, inoltre, l'elaborazionedi tale progetto tocca anche interessi privati, quali gli interessi dei residenti nella zona dovesorgerà l'autostrada. A fronte di tutti questi interessi, l'Amministrazione incaricata dielaborare il progetto dell'autostrada, dovrà cercare di bilanciarli tutti (ad es. garantendo unbasso impatto ambientale dell'autostrada, prevedendo misure compensative per i residentidella zona ecc.) per, poi, elaborare un progetto che allo stesso tempo massimizzi la tuteladell'interesse pubblico primario alla viabilità. L'esercizio della discrezionalità pura incide su tre aspetti del provvedimento(rispettivamente: an, quid, quando): 1) la scelta di adottare o meno un certo provvedimento;2) la scelta di quale contenuto fare assumere al provvedimento; 3) la scelta di quandoadottare il provvedimento.

• la discrezionalità tecnica, che consiste nella possibilità che la legge rimette alla PA diaccertare e valutare un fatto alla luce di conoscenze tecnologiche e/o scientifiche.Normalmente la PA svolge questi accertamenti e valutazioni, avvalendosi di esperti. Ad es.un'Amministrazione può essere chiamata dalla legge a compiere valutazioni ingegneristichevolte ad appurare il grado di pericolosità di edifici colpiti dal terremoto oppure ancoraun'Amministrazione può essere chiamata dalla legge ad accertare il carattere epidemico diuna malattia. Una parte della dottrina critica la categoria della discrezionalità tecnica, perchèritiene che di fatto in essa manchi il carattere volitivo della scelta tipico della discrezionalità:in casi come quelli citati poco sopra, l'Amministrazione non è chiamata a fare una scelta, mapiuttosto a fare una valutazione sul fatto alla luce delle conoscenze tecnologiche e/oscientifiche.

• la discrezionalità mista, che consiste nella possibilità che la legge rimette alla PA diaccertare un fatto alla luce di conoscenze tecnologiche e/o scientifiche e, poi, di scegliere il

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modo migliore di operare in relazione a tale fatto per massimizzare la tutela dell'interessepubblico primario, bilanciandolo con gli altri interessi in gioco. Ad es. un'Amministrazionepuò essere chiamata ad accertare il carattere epidemico di una malattia e, poi,successivamente a scegliere uno tra i possibili rimedi per scongiurare i rischi dipropagazione della malattia stessa.

Le norme costituzionali sulla PALa Costituzione dedica espressamente alcune disposizioni alla PA:

• I primi artt. della Costituzione dedicate alla PA sono l'art. 24 primo comma e l'art. 28. • Poi alla PA la Costituzione dedica gli artt. 92-100 che compongono il titolo III della Seconda

Parte della Costituzione, che è il Titolo dedicato al Governo. Tale Titolo è diviso in treSezioni. La prima sezione è dedicata al potere esecutivo nella sua funzione di governo(quindi sostanzialmente la funzione di determinazione dell'indirizzo politicodell'amministrazione); la seconda sezione è intitolata proprio “La PubblicaAmministrazione” ed è dedicata al potere esecutivo nella sua funzione di amministrazione insenso stretto; la terza sezione è dedicata agli organi ausiliari del Governo.

• Infine alla PA sono dedicati gli artt. 103 e 113 che sono relativi a quella che Silvio Spaventaha chiamato “giustizia nell'amministrazione”.

Fin da subito dopo l'entrata in vigore della Costituzione, molti hanno affermato che le suddettedisposizioni che la Costituzione dedica alla PA non sono abbastanza, ma sono scarne edinsufficienti. Si ritenne che i padri costituenti scelsero di inserire in Costituzione poche disposizionisulla PA, per contrapporsi in maniera netta al modello fascista che, invece, aveva enfatizzato moltola PA, il suo potere e la sua disciplina. Uno dei padri costituenti, Costantino Mortati, però obiettòche la Costituzione non aveva poche disposizioni sulla PA, perchè le disposizioni della Costituzionesulla PA non sono solo quelle che espressamente sono dedicata alla PA stessa: per Mortati ognidisposizione della Costituzione è dedicata alla PA. Mortati riteneva ciò, perchè la Costituzionedelinea un modello di Stato sociale che interviene attivamente in molte sfere della vita del cittadino(l'economia, l'istruzione, la sanità ecc.) e che per farlo si serve della PA: quindi ogni disposizionedella Costituzione, postula l'esistenza della PA e si occupa più o meno espressamente della PAstessa. La nostra Costituzione delinea un modello di Stato sociale e, così facendo, si discosta dalloStatuto Albertino, che delineava un modello di Stato neutrale: la Costituzione fa ciò, perchè vuolesancire e garantire la tutela dei diritti sociali (o diritti di welfare o diritti di seconda generazione),dopo le atrocità compiute nel periodo fascista e nella seconda guerra mondiale, quando i dirittisociali (ma anche i diritti civili e i diritti politici) non erano assolutamente riconosciuti. Fatte queste considerazioni introduttive, dobbiamo ora occuparci delle disposizioni cheesplicitamente si occupano della PA. In questa sede ci occuperemo solo degli artt. 24, 28, 97 e 98;mentre all'analisi degli altri artt. dedicheremo appositi parafrasi in seguito.

Iniziamo dall'art. 24 comma 1, il quale afferma che “tutti possono agire in giudizio per la tutela deipropri diritti ed interessi legittimi”. Mentre il diritto soggettivo è la tipica situazione giuridicasoggettiva che si forma nelle relazioni tra privati, l'interesse legittimo è la tipica situazione giuridicasoggettiva che si forma nelle relazioni tra privato e PA.

Passiamo ora all'art. 28 che afferma che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblicisono direttamente responsabili, secondo le leggi civili penali e amministrative, degli atti compiuti inviolazione di diritti (e con la sent. 500/1999 la Corte di Cassazione ha affermato che sonoresponsabili anche per gli atti compiuti in violazione degli interessi legittimi: la Corte ha, infatti,affermato che vi è responsabilità per la violazione di ogni situazione soggettiva giuridicamenterilevante). Inoltre la responsabilità civile dei funzionari si estende anche alla PA (quindi la PA èsottoposta a responsabilità solidale con il funzionario): ciò vuol dire che un cittadino danneggiato da

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un funzionario dell'amministrazione può decidere di citare in giudizio (davanti al giudiceamministrativo, indipendentemente dal fatto che sia stato violato un diritto soggettivo o un interesselegittimo) il funzionario oppure la PA oppure sia il funzionario che la PA. Una volta che la PA ècitata in giudizio ed è chiamata a risarcire il cittadino del danno causatogli dal funzionario, la PApuò, poi, esercitare un'azione di regresso nei confronti del funzionario stesso (l'azione di regresso èesercitata innanzi alla Corte dei Conti). Ci sono, però, casi eccezionali (es. il caso dei magistrati) incui cittadino non può citare in giudizio sia il funzionario, sia la PA, ma può solo citare la PA, cherisarcirà il danno al cittadino e, poi, eserciterà l'azione di regresso sul funzionario. Ancora va dettoche nella prassi, il cittadino danneggiato dal funzionario tende sempre a citare in giudizio solo la PA(anche quando potrebbe citare il funzionario), per tre motivi: 1) la PA ha una patrimonio più ricco diquello del funzionario; 2) il funzionario è sottoposto a responsabilità, solo se ha causato il dannocon dolo o colpa grave, a differenza della PA che è sempre responsabile; 3) non sempre è facileindividuare quale è il funzionario che ha causato il danno. Possiamo a questo punto chiederci comesi giustifica dal punto di vista giuridico il fatto che la PA sia responsabile di un danno cagionatomaterialmente dal funzionario: la giustificazione consiste nel principio di immedesimazioneorganica del funzionario con la PA. In base a tale principio gli effetti dell'attività svolta dalfunzionario per conto della PA si imputano direttamente alla PA, come se fosse lei ad agire. L'art. 28 è una disposizione molto importante, perchè per molto tempo i funzionari della PA e la PAstessa non erano responsabili degli atti compiuti in danno ai cittadini. La previsione di unaresponsabilità dei funzionari della PA e della PA stessa verso i cittadini è sorta solo con l'affermarsidello Stato di diritto: prima la PA e i suoi funzionari non potevano essere sottoposti a responsabilità,perchè si riteneva che l'attività di tutela degli interessi pubblici (posta in essere dalla PA per mezzodei suoi funzionari) poteva giustificare anche la causazione di eventuali danni in capo ai cittadini. Approfondimento: si è detto poco sopra che la PA, chiamata a risarcire il cittadino, può esercitare ilregresso sul funzionario che ha materialmente danneggiato il cittadino. Ciò è possibile in quanto ilfunzionario è responsabile nei confronti della PA per i danni erariali causati: si ha danno erarialequando il funzionario, agendo con dolo o colpa grave, determina un decremento patrimoniale o unmancato introito nelle casse della PA. Nel caso della PA che risarcisce il cittadino, il danno erarialecorrisponde ovviamente alla somma del risarcimento che la PA deve versare a causa delfunzionario. Altri esempi di danno erariale sono: i danni arrecati dai funzionari ai beni della PA el'utilizzo da parte dei funzionari di denaro della PA per motivi estranei all'attività di servizio.

Dobbiamo ora occuparci dell'art. 97. Tale art. fino al 2012 aveva tre commi. Poi la leggecostituzionale 1/2012 ha aggiunto un comma in testa a tale art. 97. Tale comma aggiunto affermache “le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione Europea, assicuranol'equilibrio dei bilanci”. In tale sede, ci interessa, però, di più l'attuale comma 2 dell'art. 97 (quello che era fino al 2012 ilcomma 1), il quale afferma che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, inmodo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione”. Questadisposizione costituzionale contiene una riserva di legge rinforzata e relativa. La riserva di legge èrinforzata, perchè l'art. 97 non si limita a dire che l'organizzazione dei pubblici uffici deve esseredisciplinata dalla legge, ma indica anche come la legge deve disciplinare tale organizzazione (“inmodo che siano garantiti il buon funzionamento e l'imparzialità dell'amministrazione”). La riservadi legge è, poi, relativa, perchè (come ormai si ritiene pacificamente) in virtù dell'art. 97 la leggedeve disciplinare l'organizzazione dei pubblici uffici nei suoi aspetti generali, ma può demandare airegolamenti (che sono atti amministrativi) la disciplina di dettaglio. I regolamenti sono adottatiprimariamente dal Governo (che è correntemente visto come il vertice della P.A.), ma poi anche daogni ente pubblico (es. gli ente locali, l'INPS, gli enti parco). Ciò fa sì che la disciplina giuridicadella PA sia in parte imposta alla PA dalla legge ed in parte posta a sé stessa dalla PA attraversoregolamenti. Sappiamo che la riserva di legge è lo strumento con cui la Costituzione stabilisce che

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una determinata materia deve essere disciplinata dal Parlamento. La riserva di legge individua,quindi, una sfera in cui la legge deve intervenire. Ci si è chiesti se la nostra Costituzione contieneanche delle riserve di amministrazione; cioè delle sfere in cui deve intervenire la PA conprovvedimenti amministrativi (c.d riserve di provvedimento) o con regolamenti (c.d. riserve diregolamento). La risposta a tale domanda è stata data dalla Corte Costituzionale che ha affermatoche la nostra Costituzione non prevede riserve di amministrazione: ciò significa che la nostraCostituzione non individua mai materie/oggetti che devono e possono essere disciplinati solo daprovvedimenti amministrativi o da regolamenti. Proprio per questo la Corte Costituzionale hasempre ammesso l'esistenza delle c.d. “leggi provvedimento”, che sono quegli atti normativi chehanno la forma della legge, ma hanno di fatto un contenuto tipico da provvedimentoamministrativo; cioè un contenuto concreto e non astratto (pensiamo alle leggi di espropriazioni oalle legge che stanziano fondi per una specifica zona o per una specifica impresa o alle leggi chedesmanializzano porzioni di territorio o ancora alle leggi che assoggettano a vincoli singoli beni).Le leggi provvedimento, anche se hanno il contenuto tipico di un provvedimento amministrativo,avendo la forma delle leggi, sono sottoposti alla disciplina costituzionale prevista per le leggi: perquanto ci interessa in questa sede, possiamo rilevare che le leggi provvedimento, al contrario deiprovvedimenti amministrativi, sono suscettibili di essere sottoposte ad una questione dicostituzionalità, ma non sono sottoponibili al vaglio della giurisdizione amministrativa. La CorteCostituzionale ha ritenuto possibile nel nostro ordinamento l'esistenza delle leggi provvedimento,perchè ha affermato che la legge ha una funzione di disciplina generale ed illimitata e che alla leggenon può essere sottratto nessun ambito di operatività (quindi se vuole, la legge può assumere ancheun contenuto concreto). Per la Corte Costituzionale, dunque, la legge può spingersi a fare tuttoquello che vuole, senza alcun limite. Nell'affermare ciò, la Corte Costituzionale si è distaccata dalletesi di un importante costituzionalista austriaco del 1900 che è Hans Kelsen (il padre della teoriadella gerarchia tra le fonti del diritto), il quale riteneva che la legge deve avere una capacità diritrazione, tale per cui la legge stessa non deve intervenire per disciplinare determinati ambiti ooggetti, quando l'intervento disciplinare della legge non è necessario e/o è addirittura nocivo; inquanto in questi casi la legge deve lasciare spazio al regolamento. Sul tema della riserva diamministrazione ed in particolare sul tema della riserva di regolamento, va detto che anche se lanostra Costituzione non prevede tali riserve (e, quindi, non individua sfere di competenzadisciplinare esclusiva del regolamento), la legge di fatto ad oggi lascia sempre più spazio airegolamenti (c'è chi ritiene che ne lasci persino troppo). Conclusa l'analisi del comma 2 dell'art. 97, dobbiamo dar conto del comma 3 (quello che fino al2012 era il comma 2) che afferma che la legge stabilisce le sfere di competenza, le attribuzioni e leresponsabilità proprie dei funzionari che compongono gli uffici dei vari organi della PA. L'ultimo comma dell'art. 97 stabilisce che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accedemediante concorso, salvo rari casi stabiliti dalla legge. Il fatto che per entrare alle dipendenze dellaPA, sia necessario superare un concorso, dovrebbe garantire che la scelta degli impiegati/dipendentidella PA avvenga seconda le regole dell'indifferenza soggettiva (quindi senza preferenza epregiudizi su un certo soggetto); di modo che nelle file della PA entrino i soggetti più capaci emeritevoli. Sappiamo, però, che nella realtà pratica non è sempre così ed anche i pubblici concorsisono interessati da favoritismi, clientele e corruzioni.

Passiamo ora all'art. 98, che è diviso in tre commi. Il primo comma afferma che i pubblici impiegatisono al servizio esclusivo della Nazione. Non sono, quindi, al servizio di un partito (come lo eranonel regime fascista) o al servizio del Governo, ma sono al servizio del Paese. L'art. 98 dellaCostituzione sancisce la totale indipendenza dell'amministrazione rispetto alla politica e per farlodice che i pubblici impiegati sono al servizio della “Nazione”; usando un termine (“Nazione”) chein nessun altro art. della Costituzione è utilizzato, perchè era considerato dall'AssembleaCostituente come un termine che richiamava il nazionalismo tipico del fascismo, dal quale ci si

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voleva allontanare il più possibile. Alla luce del primo comma dell'art. 98, la Corte Costituzionaleha censurato più volte (senza mai annullare) un decreto legislativo del 2002 (c.d. decreto sullo spoilsystem) che prevede che il cambio di un Governo determina la cessazione dell'alta dirigenza (es. deicapi di dipartimento dei Ministeri) e la sua sostituzione con una nuova, che possa essere vicina alcolore politico del nuovo Governo. Gli ultimi due commi dell'art. 98 stabiliscono che i pubblici impiegati se sono anche parlamentarinon possono conseguire promozioni se non per anzianità e che la legge può prevedere limitazioni aldiritto di iscriversi ai partiti, per alcuni funzionari e dipendenti pubblici (come ad es. magistrati eagenti di polizia). Ad oggi, però, non sono mai state approvate leggi che prevedono tali limitazioni.

Gli organi ausiliariGli artt. 99 e 100 della Costituzione sono dedicati agli organi ausiliari del Governo che sono ilConsiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL), il Consiglio di Stato e la Corte dei conti. Il CNEL è composto da esperti e rappresentanti delle categorie produttive ed è un organo diconsulenza del Parlamento e del Governo (ai quali può rendere pareri facoltativi) ed ha il potere diiniziativa legislativa nelle materie dell'economia e del lavoro. Nella realtà pratica, il CNEL è unorgano sostanzialmente irrilevante che svolge raramente e con poca incisività i suoi poteri. Il Consiglio di Stato è un organo di consulenza tecnico-amministrativa del Governo ed ha anche unafunzione giurisdizione (è l'organo di appello della magistratura amministrativa). Il Consiglio diStato esiste in Italia fin dal periodo del Regno di Sardegna, dove è stato istituito sull'esempio delmodello francese (in Francia il Consiglio di Stato era stato creato da Luigi XIV, come massimoorgano di consulenza del sovrano). Originariamente in Italia il Consiglio di Stato era organizzato intre sezioni ed aveva solo funzioni di consulenza, poi nel 1889 è stata istituita una quarta sezione acui è stata attribuita la funzione giurisdizionale. Con il passare del tempo sono state aggiunte altresezioni con funzione giurisdizionale ed attualmente le sezioni giurisdizionali sono tre. In totale,quindi, ad oggi il Consiglio di Stato è costituito da sei sezioni: le prime tre svolgono la funzioneconsultiva e le ultime tre svolgono la funzione giurisdizionale (vi è la possibilità che, poi, anche laterza sezione consultiva si occupi della funzione giurisdizionale, quando i ricorsi in appello alConsiglio di Stato sono in eccesso). Nello svolgimento della sua funzione di consulenza, ilConsiglio di Stato emana pareri. Le attribuzioni del Consiglio di Stato nell'ambito della funzioneconsultiva sono assegnate al Consiglio stesso dalla legge (ad es. la legge 400/88 prevede che ilGoverno per adottare un regolamento, necessiti del parere del Consiglio di Stato). Normalmente ilConsiglio di Stato opera per mezzo delle singole sezioni, ma può anche operare in adunanzagenerale e in adunanza plenaria. Quando opera in adunanza generale, il Consiglio di Stato opera permezzo di tutte le sezioni, nei casi in cui è necessario rendere pareri per questioni di primariaimportanza. Quando opera in adunanza plenaria, il Consiglio di Stato opera per mezzo di dodiciconsiglieri, scelti dalle sezioni giurisdizionali (da ogni sezione sono scelti 4 consiglieri), nei casi incui vi sono su una stessa questione contrasti giurisprudenziali tra le singole sezioni giurisdizionali. La Corte dei conti esercita una funzione di controllo preventivo di legittimità degli atti del Governoche comportano spese ed, inoltre, controlla la gestione del bilancio dello Stato (compresi gli enti didecentramento periferico; quindi Regioni, Province e Comuni) e controlla anche la gestionefinanziaria di tutte le PP.AA. e degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria (quindi ad es.anche le Università). La Corte dei conti attua, quindi, controlli sia sugli atti, sia sull'attività dellePP.AA. (quando controlla la gestione finanziaria e del bilancio). I controlli della Corte dei contisugli atti sono in alcuni casi preventivi (es. sugli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali esui regolamenti) ed in altri casi successivi (es. sugli atti di notevole rilievo finanziario emanati daenti locali). Nei casi in cui la Corte fa un controllo preventivo su un atto, qualora l'esito delcontrollo sia positivo, la Corte concede il “visto” all'atto; altrimenti non lo concede. Normalmentesenza il visto l'atto non può assumere efficacia, ma vi sono eccezioni a tale regola. Quando la Cortedei conti effettua un controllo successivo sull'atto, può chiedere all'ente il riesame dell'atto. A

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seguito dei suoi controlli, la Corte dei Conti riferisce al Parlamento, al quale può anche renderepareri. Inoltre la Corte dei conti svolge una funzione giurisdizionale nelle materie di contabilitàpubblica e nelle altre materie previste dalla legge (ad es. la materia pensionistica): tale funzione èattribuita alla Corte dei Conti dall'art. 103 comma 2 della Costituzione. La Corte dei conti è divisain cinque sezioni (alcune svolgono la funzione di controllo ed altre la funzione giurisdizionale) edha, poi, poi delle articolazioni nelle singole regioni (i giudici contabili regionali). L'ultimo comma dell'art. 100 della Costituzione afferma che il Consiglio di Stato e la Corte deiconti sono indipendenti dal Governo: affinchè tale indipendenza possa essere effettiva, sia ilConsiglio di Stato, sia la Corte dei conti sono dotati di una sorta di organo di autogoverno (che sichiama in entrambi i casi Consiglio di Presidenza), che funziona sul modello del ConsiglioSuperiore della Magistratura (quindi si occupa dell'assegnazione degli incarichi e dei procedimentidisciplinari dei membri del Consiglio di Stato o della Corte dei conti), che è l'organo che garantiscel'indipendenza della magistratura ordinaria. Il Consiglio di Stato e la Corte dei conti, come organi giurisdizionali, sono delle magistraturespeciali: l'art. 102 della Costituzione vieta l'istituzione di nuovi giudici speciali, però la Costituzionemantiene esistenti le magistrature speciali già esistenti, quali erano il Consiglio di Stato e la Cortedei conti (ma anche le commissioni tributarie, che si occupano del contenzioso tra cittadini eamministrazione tributaria). Trattando degli organi ausiliari, è bene dire che accanto ai tre organi ausiliari previsti dallaCostituzione e da noi fin qui analizzati, vi è un ulteriore organo ausiliario che è l'Avvocatura delloStato: tale organo presta consulenze al Governo e patrocina la PA in giudizio. L'avvocatura delloStato è articolata nell'Avvocatura Generale, con sede a Roma, e nelle Avvocature Distrettuali situatenelle provincie capoluogo di regione, in cui hanno sede le Corti d'Appello.

Il GovernoAl Governo sono dedicati gli artt. 92-96 della Costituzione. Il Governo è un organo complessoformato dal Presidente del Consiglio e dal Consiglio dei Ministri. Il Governo è strutturato inministeri. Al vertice di ogni ministero c'è un ministro che determina l'indirizzo politico del ministeroe ne controlla l'esecuzione: alcune funzioni del ministro possono essere delegate ai sottosegretari,alcuni dei quali possono assumere la qualifica di viceministro (e, quindi, sostituire anche il ministroin Consiglio). L'esecuzione dell'indirizzo politico è posta in essere dai dirigenti che sono funzionariamministrativi. Per quanto riguarda la sua struttura amministrativa, ciascun ministero può esserediviso in dipartimenti (con al vertice un capo dipartimento) o in direzioni generali (con a capo undirettore generale): normalmente sono divisi in dipartimenti, i ministeri preposti ad una pluralità diambiti d'intervento (come ad es. il ministero degli interni e il ministero dell'economia e dellefinanze); mentre sono divisi in direzioni generali, i ministeri preposti ad ambiti di competenza piùcircoscritti ed omogenei. L'art. 95 della Costituzione afferma che il numero, l'organizzazionegenerale e le funzione dei ministeri sono stabiliti dalla legge: a fare ciò è attualmente il decretolegislativo 300/1999. L'organizzazione di dettaglio e la dotazione di ogni singolo ministero sono,poi, disciplinate da regolamenti governativi. Il decreto legislativo 300/1999 prevede l'esistenza ditredici ministeri con portafoglio, ma accanto ad essi la legge 400/1988 prevede la possibilità che ilConsiglio dei Ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, istituisca anche ministeri senzaportafoglio che svolgano funzioni delegate dal Presidente del Consiglio dei Ministri: tali funzionisono quelle che spettano ai dipartimenti della Presidenza del Consiglio dei ministri (es. rapporti conil Parlamento, rapporti con gli enti locali, rapporti europei, promozione delle pari opportunità,funzione pubblica, coesione territoriale). I ministeri possono avere delle strutture periferiche,normalmente a livello provinciale: ad es. il provveditorato agli studi (che è l'articolazioneprovinciale del ministero dell'istruzione) e la prefettura (che è l'articolazione provinciale delministero degli interni). Ancora va detto che alcune attività tecniche dei ministeri possono essereassegnate alle Agenzie che operano comunque sotto il controllo e la vigilanza del ministro. Tra le

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Agenzie possiamo ricordare ad es. l'Agenzia per la protezione dell'ambiente, l'Agenzia delle Entrate(che riscuote i tributi), l'Agenzia del demanio (che gestisce e valorizza il patrimonio dello Stato). Per concludere dobbiamo occuparci della Presidenza del Consiglio dei Ministri: essa si compone diuna serie di dipartimenti (tra cui il dipartimento per i rapporti con il Parlamento, il dipartimento peri rapporti con gli enti locali, il dipartimento per i rapporti europei, il dipartimento per la promozionedelle pari opportunità, il dipartimento per la funzione pubblica), a loro volta divisi in uffici. Allagestione delle risorse umani e strumentali della Presidenza del Consiglio è preposto il segretariogenerale che è nominato dal Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidenza del Consiglio ed è aquest'ultimo legato da uno stretto rapporto fiduciario.

La “giustizia nell'amministrazione”Per molto tempo quando un cittadino voleva lamentare un torto subito dalla PA (che aveva leso unsuo diritto soggettivo o un suo interesse legittimo), poteva avvalersi solo di mezzi che non glifornivano una tutela giurisdizionale; cioè di mezzi che non gli permettevano di rivolgersi ad unorgano di giurisdizione, quindi terzo rispetto alle parti della controversia (il cittadino e la PA), mache gli permettevano di rivolgersi ad un organo di amministrazione, quindi un organo non terzo, maformato da funzionari della PA che giudicavano la PA stessa. Era ad es. un organo diamministrazione (quindi un organo non terzo) il Consiglio di Stato di Luigi XIV che (oltre ad essereorgano di consulenza al sovrano) serviva per sottrarre i funzionari della corona al diritto comune,quando essi erano parte di una controversia con i sudditi. Anche in Italia fino al 1865 per lamentareviolazioni dei propri diritti soggettivi subiti dalla PA, i cittadini avevano a disposizione solo mezziche davano origine a procedimenti davanti ad organi amministrativi (e non giurisdizionali), quindinon in posizione di terzietà: era questo il c.d. “contenzioso amministrativo”. Quando vi era unacontroversia con la PA bisognava ricorrere al contenzioso amministrativo e non alla tutelagiurisdizionale, perchè in quel periodo esistevano solo i giudici ordinari e si consideravaimpossibile sottoporre un provvedimento della PA (quindi un provvedimento del potere esecutivo,nella sua funzione di amministrazione) al vaglio, con possibile annullamento, esercitato dai giudiciordinari, espressione del potere giurisdizionale, perchè farlo sarebbe stato contrario al principiodella separazione dei poteri. Questo, però, portava ad un grosso privilegio della PA rispetto alcittadino; visto che la PA nel contenzioso amministrativo era giudicata da un organo non terzo, maespressione della PA stessa: questo fu considerato inaccettabile nel 1865 quando fu emanata la legge2248 di quell'anno, la c.d. legge di abolizione del contenzioso amministrativo. Tale legge agli artt. 4e 5 ci dice che quando vi è una controversia tra cittadino e PA, nella quale il cittadino asserisce cheun provvedimento della PA è lesivo di un suo diritto soggettivo (civile o politico), il cittadino deverivolgersi al giudice ordinario (l'unico giudice all'epoca conosciuto) e, quindi, non ad un organoamministrativo. Il giudice ordinario a questo punto deve valutare se effettivamente taleprovvedimento amministrativo è lesivo di un diritto soggettivo del cittadino e se il provvedimentolo è, il giudice ordinario non può annullarlo (perchè il giudice ordinario esercita il poteregiurisdizionale che non può compiere un'interferenza nel potere esecutivo, quale sarebbel'annullamento di un provvedimento frutto del potere esecutivo stesso), ma può dichiararloillegittimo con una pronuncia incidenter tantum (cioè con efficacia solo tra le parti di quel giudizio)e come tale disapplicarlo; facendo sì che tale provvedimento non possa ledere il diritto del cittadino.Poteva, però, anche succedere che con un provvedimento amministrativo, la PA facesse un torto adun cittadino, non ledendo un suo diritto soggettivo, ma ledendo un suo interesse legittimo. In questocaso l'art. 3 della legge 2248/1865 stabiliva che il cittadino doveva rivolgersi alle autoritàamministrative (organi di amministrazione, quindi non in posizione di terzietà) che decidevanoemettendo decreti motivati, contro cui il cittadino poteva fare ricorso di secondo grado all'autoritàgerarchicamente sovraordinata. Ad es. se un cittadino si vedeva negato dal prefetto un permesso diapertura di un negozio, vedeva leso un proprio interesse legittimo (non un diritto soggettivo, comeinvece poteva essere il diritto di essere pagato che aveva un fornitore della Real Casa). Il cittadino

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non poteva rivolgersi al giudice ordinario, ma poteva fare ricorso allo stesso prefetto. Quest'ultimodoveva emettere un decreto motivato e se con il decreto il prefetto continuava a negare il permesso,il cittadino poteva fare ricorso all'autorità gerarchicamente sovraordinata al prefetto che era ilMinistero dell'Interno. Alla luce di ciò, è chiaro che la legge 2248/1865, pur riconoscendo tutelagiurisdizionale per la violazione dei diritti soggettivi da parte della PA, non riconosceva ancoratutela giurisdizionale per la violazione degli interessi legittimi da parte della PA. La tutelagiurisdizionale anche per gli interessi legittimi, viene riconosciuta nel 1889 quando (su spintasoprattutto di Silvio Spaventa) viene istituita la quarta sezione al Consiglio di Stato che ha funzionegiurisdizionale nelle controversie tra cittadini e PA, nelle quali si lamenta la violazione di interessilegittimi: compare per la prima volta, allora, nel nostro ordinamento un giudice amministrativo. Conil passare del tempo, poi, furono istituite anche altre due sezioni (la quinta e la sesta) con funzionegiurisdizionale. Ad oggi il Consiglio di Stato, per previsione dell'art. 103 comma 1 dellaCostituzione, ha giurisdizione per la tutela nei confronti della PA degli interessi legittimi e, inparticolari materie indicate dalla legge, ha giurisdizione anche per la tutela dei diritti soggettivi (inalcune materie, infatti, l'intreccio tra interesse legittimo e diritto soggettivo è così marcato chediventa irragionevole e contrario ai parametri utilitaristici, “spezzare” la giurisdizione tra Consigliodi Stato e giudice ordinario e così si lascia tutta la giurisdizione al Consiglio di Stato). Ad oggi, quindi, possiamo dire che contro i provvedimenti della PA, siano essi lesivi di dirittisoggettivi o di interessi legittimi, è sempre data la possibilità al cittadino di avvalersi di mezzi ditutela giurisdizionale: questa circostanza è anche esplicitata dall'art. 113 comma 1 dellaCostituzione che afferma che contro gli atti della PA è sempre ammessa la tutela giurisdizionale deidiritti soggettivi e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria oamministrativa. Il comma 2 di questo art. afferma, inoltre, che la tutela giurisdizionale non puòessere esclusa o limitata per determinate categorie di atti: non sarebbe ad es. possibile stabilire cheper gli atti di polizia non è riconosciuta la tutela giurisdizionale.

I SOGGETTI DELL'AMMINISTRAZIONE

I soggetti dell'amministrazione in senso stretto e i soggetti in senso ampio I soggetti dell'Amministrazione (o della PA, che dir si voglia) sono innanzitutto distinguibili in duemacro-categorie: i soggetti della PA in senso stretto o soggettivo e i soggetti della PA in sensoampio o oggettivizzato. I soggetti della PA in senso stretto sono i soggetti che hanno personalitàgiuridica pubblica; mentre i soggetti della PA in senso ampio sono i soggetti che, pur non avendopersonalità giuridica pubblica (in quanto aventi personalità giuridica privata o non aventipersonalità giuridica), perseguono nella loro attività degli interessi generali (pensiamo ad es. alleFerrovie dello Stato spa). Ai soggetti della PA in senso stretto si applica in modo pieno il dirittoamministrativo; mentre ai soggetti della PA in senso ampio si applica primariamente il dirittocomune, ma in via eccezionale è possibile applicare anche ad essi alcuni istituti del dirittoamministrativo quando ciò sia volto a garanzia dei cittadini coinvolti nell'attività di tali soggetti cheperseguono interessi generali (ai soggetti della PA in senso ampio si applica ad es. il codice deicontratti pubblici).A noi in tale sede interessano, però, principalmente i soggetti della PA in senso stretto, che hanno lapersonalità giuridica pubblica: tali soggetti sono detti correntemente “enti pubblici”. Ogni entepubblico si divide in organi che a loro volta si dividono in uffici. La legge 70/1975 ha stabilito chegli enti pubblici possono essere istituiti solo con una legge: possiamo considerare tale previsionecome un'espressione del principio di legalità di cui all'art. 97 della Costituzione. Quando una leggeistituisce un soggetto non è nemmeno necessario che la legge attribuisca a tale soggetto lapersonalità giuridica pubblica, perchè si presume comunque che tale soggetto ce l'abbia. Prima dellalegge 70/1975, invece, era possibile che un ente pubblico fosse istituito anche con fonti diversedalla legge: era ad es. frequente l'istituzione di enti pubblici per decreto ministeriale. Tra l'altro

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succedeva spesso che fosse istituito un soggetto, senza che fosse specificato se tale soggetto aveva ono la personalità giuridica pubblica: sapere se tale soggetto aveva la personalità giuridica pubblica(era un ente pubblico) oppure no, rilevava sia per sapere se a tale soggetto si applicava il dirittoamministrativo, sia per sapere se gli impiegati presso tale soggetto erano dei dipendenti pubblici,sottoposti all'apposita disciplina del pubblico impiego (oggi questo non sarebbe più molto rilevante,perchè la maggior parte del pubblico impiego è stato sottoposto alla stessa disciplina del rapporto dilavoro privato). Per sapere se un soggetto aveva oppure no la personalità giuridica pubblica, allora,in dottrina e giurisprudenza si erano individuati dei criteri/degli indici per individuare se unsoggetto era munito della personalità giuridica pubblica, anche nel silenzio della sua fonte istitutiva(si parlava in questo caso di “pubblicità reale”). I criteri individuati erano sostanzialmente tre (e ladottrina maggioritaria tendeva a ritenere che dovessero coesistere tutti e tre, per poter individuare lapersonalità giuridica pubblica del soggetto): 1. il fatto che il soggetto fosse sottoposto al controllocontabile dello Stato; 2. il fatto che il soggetto fosse amministrato e gestito da persone nominatedallo Stato; 3. il fatto che il soggetto perseguisse fini che potevano rientrare nell'interesse pubblico. I soggetti dotati di personalità giuridica pubblica hanno una capacità generale; cioè possono operaresia con strumenti di diritto pubblico, sia con strumenti di diritto privato: normalmente operano construmenti di diritto pubblico, ma la legge può autorizzarli od obbligarli in determinati casi adoperare con strumenti di diritto privato.

Gli enti territorialiEsistono diverse categorie di enti pubblici. La prima categoria che possiamo individuare è quelladegli enti territoriali. Gli enti territoriali sono quelli relativamente ai quali il territorio è un elementocostitutivo. L'ente territoriale per eccellenza è lo Stato i cui elementi costitutivi sono il territorio, ilpopolo, la sovranità. Gli altri enti territoriali presenti nel nostro ordinamento sono indicati all'art.114 della Costituzione e sono le Regioni, le Province, le Città Metropolitane (che entreranno infunzione solo a partire dal 2015), i Comuni. Gli elementi costitutivi di tali enti territoriali sono ilterritorio, il popolo, l'autonomia. Non, quindi, la sovranità; a differenza dello Stato: l'autonomia èun concetto che resta diverso dalla sovranità, perchè chi ha autonomia deve sempre rispondere inqualche modo a chi ha sovranità, giacchè è questo secondo soggetto che determina l'autonomia delprimo e ne stabilisce i limiti. Le Regioni, le Province, le Città Metropolitane e i Comuni sono glienti territoriali attraverso cui si perseguono le “esigenze di autonomia e decentramento” richiamatedall'art. 5 della Costituzione. Tutti gli enti territoriali sono caratterizzati da autonomia e autarchia.L'autonomia è la capacità di darsi delle norme, attraverso delle leggi o dei regolamenti o deglistatuti; mentre l'autarchia è la capacità di amministrarsi da soli. Ogni ente territoriale ha sempre unpotere statutario (quindi elabora uno statuto che regola la sua organizzazione e il suofunzionamento, esplicitando principi e valori che l'ente stesso vuole perseguire) ed un potereregolamentare (quindi può emanare regolamenti per disciplinare nel dettaglio il suo funzionamentoe la sua organizzazione e per disciplinare le materie in cui svolge funzioni). Lo Stato e le Regioni,poi, hanno anche un potere legislativo e, quindi, possono elaborare leggi che contengono normeprimarie. É bene fare in questa sede delle precisazioni sullo statuto degli enti territoriali.Innanzitutto va detto che il funzionamento, l'organizzazione e i principi seguiti dallo Stato sonoindicati in un atto normativo che è più propriamente definito oggi come Costituzione e non statuto.Il termine statuto si utilizza, invece, normalmente per gli altri enti territoriali (detti correntementeenti locali o enti minori). In confronto alla Costituzione dello Stato, lo statuti di tali enti vienespesso concepito come una “piccola Costituzione” di quell'ente. Lo statuto degli enti locali è unafonte atipica che nella gerarchia delle fonti del diritto è collocata ad un livello intermedio tra lalegge (fonte primaria) e il regolamento (fonte secondaria). Sul piano della tutela giurisdizionale, lostatuto degli enti locali segue il regime dei provvedimenti amministrativi. Si è detto che gli enti territoriali sono indicati all'art. 114 della Costituzione e sono lo Stato, leRegioni, le Regioni, le Province, le Città Metropolitane e i Comuni. Dobbiamo ora dire che la

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Costituzione, prima della riforma del 2001, all'art. 118 faceva riferimento anche ad “altri entilocali”. La dottrina si è chiesta quali fossero gli “altri enti locali” ed alla fine si è ritenuto che gli“altri enti locali” fossero quei soggetti dotati di personalità giuridica pubblica che sono radicati suun territorio, ma per i quali il territorio non rappresenta un elemento costitutivo, ma bensì “bacino dicompetenza”. A seguito della riforma del 2001, l'art. 118 della Costituzione non fa più riferimentoagli “altri enti locali” e la dottrina, una volta individuato cosa fossero questi “altri enti locali”, hasostituito l'espressione “altri enti locali” con l'espressione “autonomie funzionali”, per sottolineare ilfatto che tali enti sono enti che agiscono su un territorio, ma che sono caratterizzati più dallafunzione che svolgono, che dal territorio come elemento costitutivo. La dottrina considera“autonomie funzionali “/“altri enti locali” sostanzialmente le Comunità Montane (che sono unionidi Comuni montani, normalmente piccoli, che hanno la funzione di fornire servizi che il singolopiccolo Comune da solo non è in grado di fornire), le Camere di Commercio (che sono i collettoridelle informazioni del mercato che possono essere utili alle imprese di una certa provincia), leUniversità (che hanno lo scopo di diffondere l'insegnamento delle arti e delle scienze).

La potestà legislativa di Stato e RegioniSi è detto che, a differenza degli altri enti territoriali, lo Stato e le Regioni hanno la potestàlegislativa. La ripartizione di potestà legislativa tra Stato e Regioni è effettuata dall'art. 117 dellaCostituzione. L'art. 117 è stato riformato nel 2001 e, quindi, attualmente delinea una ripartizione dipotestà legislativa tra Stato e Regioni, diversa da quella delineata nella sua versione originale del1948. La versione originaria dell’art. 117 prevedeva l’esistenza di due tipologie di potestàlegislativa delle regioni ordinarie (visto che il Titolo V si riferiva e si riferisce ancora oggi alle soleRegioni ordinarie; mentre ciascuna Regione speciale è regolata sulla base del proprio statutospeciale adottato sotto forma di legge costituzionale, proprio per poter derogare le previsione dellaCostituzione):

• il primo comma sanciva la potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni in una serie dimaterie esplicitamente elencate. In tali materie lo Stato elaborava la cosiddetta “leggequadro o cornice” con cui venivano fissati i principi fondamentali della materia e, poi, laRegione disciplinava il dettaglio della materia stessa attraverso una propria legge,ovviamente nel rispetto dei principi fissati dallo Stato e senza contrastare l'interessenazionale e quello di altre Regioni. É evidente che la Regione non potesse legiferare in talimaterie in maniera autonoma, perchè i principi fondamentali fissati dallo Stato con la leggequadro rappresentavano un limite per la legislazione regionale.

• il secondo comma sanciva la potestà legislativa delle regioni cosiddetta attuativa-integrativaa quella dello Stato. In base a tale potestà delle Regioni, lo Stato poteva demandare alleRegioni l’elaborazione di una legge che attuasse-integrasse in alcuni aspetti il contenutodella legge che lo Stato stesso aveva emanato per regolare un’intera materia. É evidente chequesto tipo di potestà legislativa regionale poteva esplicarsi solo se il legislatore statalechiamava in causa la Regione per attuare una legge elaborata già da lui. Lo Stato potevaregolare l'intera materia in tutte quelle materie non citate dal primo comma dell’articolo, cherientravano, quindi, in una potestà legislativa esclusiva residuale dello Stato.

Oggi dopo la riforma del 2001, la situazione inerente alle ripartizione della potestà legislativa traStato e Regioni è sensibilmente cambiata in meglio per il legislatore regionale. L’art. 117 nel nuovotesto presenta due importanti elenchi di materie: il secondo comma elenca le materie di competenzalegislativa esclusiva dello Stato e il terzo comma elenca le materie di competenza concorrente traStato e Regioni. Il quarto comma, poi, prevede la potestà legislativa esclusiva residuale delleRegioni in tutte quelle materie che non rientrano negli elenchi di cui ai commi due e tre. Scompare,invece, in questa nuova versione dell’art. 117 il riferimento alla potestà legislativa regionaleattuativa-integrativa a quella statale. Secondo una parte della dottrina, però, il fatto che laCostituzione non lo preveda esplicitamente, non vuol dire che lo Stato non possa delegare alle

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Regioni il compito di integrare-attuare con una loro legge alcuni aspetti del contenuto di una leggestatale: quindi la potestà legislativa delle regioni attuativa-integrativa a quella statale potrebbeessere ancora esistente. Al di là di questo, il nuovo testo dell’art. 117 rappresenta un sostanzialepasso in avanti per la posizione del legislatore regionale; in quanto sono aumentate le materie in cuiquesto ha potestà legislativa concorrente e sono addirittura previste della materie in cui talelegislatore ha potestà legislativa esclusiva residuale. Ed è importante il fatto che la potestàlegislativa esclusiva residuale spetti alle Regioni ordinarie in tutte le materie non espressamenteattribuite allo Stato o alla competenza concorrenza nei commi precedenti (rovesciando la situazioneprevista dal vecchio testo dell'art. 117, in cui la competenza esclusiva residuale era quella delloStato), perchè ciò sembrerebbe dire che la Regione è il legislatore a competenza generale e che nonè lo è, dunque, lo Stato. Si sarebbe in sostanza davanti alla situazione tipica degli Stati federali incui lo Stato centrale (la Federazione) legifera in maniera univoca per tutti gli Stati membri solo inuna serie di materia specificatamente elencate in Costituzione e poi gli Stati membri hanno lapotestà legislativa in tutte le altre materie che sono la maggior parte. Nel sistema italiano,nonostante le parvenze della nuova formulazione dell'art. 117, in realtà non è così: è lo Stato di fattoil legislatore con competenza generale. Infatti:

• le materie spettanti alla competenza esclusiva dello Stato sono non solo moltissime, maaddirittura la maggioranza della materie immaginabili.

• sono attribuite allo Stato tutte le materie classicamente ricollegate alla sovranità e cioè lamoneta e la gestione di tutto ciò che attiene all’economia e alla finanza, la giustizia, la difesae l’ordine interno, la politica estera. Questo evidenzia quello che si è già dettoprecedentemente e cioè che è lo Stato l’unico ente territoriale sovrano tra tutti quelli previstidalla Costituzione.

• tra le materie spettanti allo Stato rientrano anche alcune cosiddette “materie non materie” o“materie trasversali” (che nello specifico sono la tutela della concorrenza, la tuteladell'ambiente e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritticivili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale in ugual modo) chenon fanno proprio riferimento ad un settore materiale facilmente individuabile (comepotrebbe essere ad esempio la moneta o la giustizia), ma a più settori e per questopermettono allo Stato di intervenire anche in materie che formalmente spetterebbero alleRegioni ordinarie; escludendo, quindi, la possibilità che queste ultime avrebbero dilegiferare.

L'art. 117 si occupa sostanzialmente della ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regione:però al comma 6 si occupa anche della ripartizione della potestà regolamentare tra Stato, Regioni,ed altri enti territoriali. La potestà regolamentare è ripartita nel seguente modo: lo Stato ha potestàregolamentare solo nelle materie di sua potestà legislativa esclusiva e le Regioni hanno potestàregolamentare in tutte le altre materie (quindi sia nelle materie di potestà legislativa esclusiva delleRegioni, sia nelle materie di potestà legislativa concorrente, possono emanare regolamenti solo leRegioni e non anche lo Stato). Inoltre le Regioni possono esercitare potestà regolamentare anchenelle materie di potestà legislativa esclusiva dello Stato se è quest'ultimo a delegarle a farlo. Infinehanno potestà regolamentare anche gli altri enti territoriali (Comuni, Province e CittàMetropolitane) nella materie in cui essi esercitano la funzione amministrativa.Tornando più strettamente alla ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni, dobbiamodire che la riforma del 2001 aveva due obiettivi: il primo obiettivo era quello di aumentare i poteridegli enti territoriali diversi dallo Stato (ed in particolare delle Regioni), perchè si era in unmomento di “criminalizzazione e sfiducia” verso lo Stato; mentre il secondo obiettivo era quello diridurre il contenzioso tra Stato e Regioni davanti alla Corte Costituzionale, legato dall'espansionelegislativa che lo Stato poneva in essere. Il secondo obiettivo della riforma del 2001 non è statoraggiunto, infatti a seguito di questa nuova conformazione della ripartizione della potestà legislativatra Stato e Regioni ordinarie, i contenziosi tra Stato e Regioni davanti alla Corte Costituzionale sono

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aumentati a dismisura (si stima che si siano addirittura quadruplicati). Essenzialmente il conflittoriguarda il più delle volte:

• l'individuazione di cosa è principio (e spetta allo Stato) e cosa è dettaglio (e spetta alleRegioni) nelle materie di competenza concorrente

• l'individuazione dell'estensione delle materie trasversali dello Stato• l'individuazione di cosa rientra in ogni materia attribuita all'uno o all'altro legislatore• l'individuazione delle materie di competenza esclusiva delle Regioni; visto che l'art. 117 non

riporta un elenco di esse.Per risolvere questo problema dell'enorme contenzioso, nel 2005 la maggioranza parlamentare dicentro-destra elaborò una contro-riforma (che in realtà riguarda molti aspetti della Costituzioneattinenti alla forma di governo e non solo il riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni), matale contro-riforma fu approvata dal Parlamento con la maggioranza assoluta (anziché con quelladei 2/3) e così fu sottoposta a referendum confermativo, ma il popolo la “bocciò”. Dopo ilfallimento del tentativo di contro-riforma del 2005, ancora oggi si continua a parlare di riformedella ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni.

La funzione amministrativa degli enti territoriali Dobbiamo ora occuparci delle funzioni amministrative svolte dagli enti territoriali: alla funzioneamministrativa è dedicato l'art. 118 della Costituzione, anch'esso riformato nel 2001. L'art. 118 nelsuo nuovo testo stabilisce che “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo che perassicurarne l'esercizio unitario sia necessario conferirle alle Province, alle Città Metropolitane, alleRegioni o allo Stato, sulla base del principio di sussidiarietà”. Il principio di sussidiarietà (verticale)è quel principio in virtù del quale le funzioni amministrative devono essere attribuite al livello digoverno che garantisce maggiori possibilità di efficacia ed efficienza nel raggiungimento delrisultato. Con le sue previsioni, il nuovo art. 118, rompe il parallelismo tra funzione legislativa efunzione amministrativa vigente prima della riforma del 2001: in virtù del parallelismo, l'ente cheaveva la funzione legislativa in una materia, in quella materia aveva sicuramente anche la funzioneamministrativa. É bene dire con più precisione cosa prevedeva l'art. 118 nella sua versioneoriginaria. Prevedeva che lo Stato svolgesse la funzione amministrativa nelle materie in cui aveva lapotestà legislativa esclusiva e le Regioni svolgessero la funzione amministrativa nelle materie dipotestà legislativa concorrente, ma che con legge lo Stato potesse attribuire funzioni amministrativea Province o Comuni, nelle materie che erano di interesse esclusivamente locale. Inoltre l'art. 118prevedeva che le Regioni esercitassero “normalmente” le loro funzioni amministrative delegandolealle Province o ai Comuni o agli altri enti locali o avvalendosi degli uffici di Province o Comuni oaltri enti locali. Come abbiamo già detto, dopo il 2001 non è più così: indipendentemente da chisvolge la funzione legislativa nella materia, le funzioni amministrative spettano sempreprimariamente ai Comuni (si dice in questo senso che il Comune è un ente “a finalità generale”), mapoi possono essere conferite a Province, Regioni o Stato. Quindi ad oggi potenzialmente unaRegione si potrebbe trovare a dover esercitare la funzione amministrativa in una materia in cui loStato esercita la funzione legislativa e viceversa lo Stato si potrebbe trovare a dover esercitare lafunzione amministrativa in una materia in cui la Regione esercita la funzione legislativa. In realtàciò non avviene, per effetto delle previsioni della sentenza 303/2003 della Corte Costituzionale(redatta da Carlo Mezzanotte) che ha introdotto l'istituto della cosiddetta “chiamata in sussidiarietàdella funzione legislativa”. In virtù di tale istituto all'ente a cui viene conferita la funzioneamministrativa in una materia, spetta anche la funzione legislativa in quella materia,indipendentemente dalle previsioni dell'art. 117 della Costituzione. Quindi se la funzioneamministrativa in una materia viene sottratta al Comune e conferita allo Stato, anche la funzionelegislativa dovrà spettare ad esso e, pertanto, se l'art. 117 la attribuisce alla Regione tale funzionelegislativa sarà sottratta alla Regione e attribuita comunque allo Stato. Ciò è stabilito dalla CorteCostituzionale, perchè non è possibile ammettere che le funzioni amministrative attribuite allo Stato

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possano essere disciplinate dalle Regioni in modo potenzialmente diverso da una Regione all’altra.Ecco che la funzione amministrativa conferita allo Stato “chiama a sè”/ “si porta dietro” anche lacorrispondente funzione legislativa. Analogamente se la funzione amministrativa in una materiaviene conferita alle Regioni, in quella materia le Regioni avranno anche la funzione legislativa,indipendentemente dalle previsioni dell'art.117. La sentenza 303/2003, quindi, ha in sostanzaristabilito il parallelismo tra funzione legislativa e funzione amministrativa che la riforma del 2001aveva eliminato (siamo tornati nella situazione vigente prima di tale riforma).

L'organizzazione dei Comuni e delle ProvinceL'organizzazione dei Comuni e delle Province è disciplinata dal Testo Unico sugli Enti Locali (decr.legislativo 267/2000), che lascia comunque ampio spazio di disciplina agli statuti, che poi a lorovolta possono delegare parte di disciplina ai regolamenti. Il fatto che parte della disciplinadell'organizzazione di Comuni e Province possa essere delineata dallo statuto del Comune e dellaProvincia stessa, porta potenzialmente ad una differenziazione nell'organizzazione da ente ad ente(anche se di fatto, poi, l'organizzazione di tutti i Comuni e di tutte le Province è pressocchèanaloga). L'organizzazione generale di Comuni e Province è comunque delineata dal Testo Unico. IlTesto Unico disciplina più analiticamente l'organizzazione dei Comuni; mentre per le Province silimita sostanzialmente ad estendere la disciplina già disposta per i Comuni: tale dato di fatto(aggiunto ai continui tentativi recenti del legislatore di sopprimere le Province) ci spinge adoccuparci espressamente in questa sede della sola organizzazione dei Comuni. I Comuni hannoorgani di governo (con compiti di indirizzo politico) ed organi burocratici (con compiti tecnico-amministrativi). Gli organi di governo sono tre: il sindaco, la giunta e il consiglio. Il consiglio e il sindaco sono elettidai cittadini comunali; mentre la giunta è nominata dal sindaco (che, poi, la dirige). Il sindaco è iltitolare della maggior parte dei poteri politici nel Comune e nomina i dirigenti del Comune. Lagiunta e il consiglio si dividono il potere regolamentare (il consiglio si occupa tendenzialmentedelle materie economiche). Il consiglio adotta, inoltre, lo statuto del Comune. L'attività delconsiglio e della giunta è coadiuvata e assistita dal punto di vista giuridico-amministrativo dalsegretario comunale: egli è nominato dal sindaco e si occupa di esprimere pareri, verbalizzare lesedute di consiglio e giunta, verificare la conformità degli atti comunali alle leggi allo statuto e airegolamenti (può, inoltre, assumere il ruolo di direttore generale per previsione dello statuto). Gli organi burocratici sono tre: il direttore generale, i dirigenti, il difensore civico. Il direttoregenerale è nominato dalla giunta e funge da raccordo tra gli organi di governo e i dirigenti (chedevono rispondere a lui): nel fare ciò, il direttore generale predispone il piano esecutivo di gestionedel Comune (sulla base di quanto stabilito dagli organi di governo) e sovrintende alla gestione delComune. I dirigenti sono a capo dei singoli uffici e sono coloro che gestiscono dal punto di vistatecnico, amministrativo e finanziario il Comune. I dirigenti sono nominati e revocati dal sindaco.Infine i Comuni, se vogliono, possono istituire il difensore civico che svolge compiti di garanziadell'imparzialità e del buon andamento dell'amministrazione comunale; potendo segnalare ritardi,disfunzioni ed abusi (anche su spinta dei cittadini).

Gli enti pubblici economiciOltre alla categoria degli enti pubblici territoriali, un'altra categoria di enti pubblici che vaindividuata è quella degli enti pubblici economici. Gli enti pubblici economici non sono presi inconsiderazione dalla Costituzione, ma sono una categoria di enti pubblici che è stata molto rilevantefino agli anni novanta del secolo scorso. Gli enti pubblici economici sono soggetti dotati dipersonalità giuridica pubblica, che operano nel mercato per conto dello Stato, svolgendo un'attivitàdi carattere principalmente imprenditoriale: tali enti, però, pur avendo la personalità giuridicapubblica, operano utilizzando normalmente gli strumenti di diritto privato ed ai loro dipendenti siapplica la disciplina del rapporto di lavoro privato (ciò ad oggi perde molto di significato, perchè

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sostanzialmente per tutti i lavoratori della PA vi è stata la privatizzazione del rapporto di lavoro apartire dal 1993). Gli enti pubblici economici ad oggi hanno perso un po' di rilevanza e di diffusionee sono diventati quella che potremmo definire una categoria residuale: a partire dagli anni novantadel novecento, infatti, in Italia si è assistito ad un processo di privatizzazioni (su spinta dell'UE oper libera scelta dello Stato allo scopo di fare cassa) che ha ridotto il numero di enti pubblicieconomici, trasformando la maggior parte di loro in società per azioni (quindi soggetti di dirittoprivato), seppur con il mantenimento delle quote di controllo di tali società nelle mani dello Stato(la c.d. “golden share”). Erano enti pubblici economici ad es. l'ENI, l'ENEL, l'IRI, le Ferrovie delloStato, le Poste Italiane. A seguito delle privatizzazioni, ad oggi restano in vita pochi enti pubblicieconomici: i principali sono le Aziende Sanitarie Locali – ASL (che sono istituite con leggiregionali e sono organizzate sulla base di un atto aziendale di diritto privato adottato dal direttoregenerale) e le Aziende Speciali di Trasporto di alcuni Comuni (come ad es. l'ATAC romana, ma nonanche la GTT torinese che è una spa).

Gli enti pubblici strumentaliUna terza categoria di enti locali da menzionare è quella degli enti pubblici strumentali (o entiparastatali) che sono soggetti dotati di personalità giuridica pubblica (enti pubblici) posti al serviziodi un altro ente pubblico che li istituisce e li regola, allo scopo di far loro svolgere determinateattività che l'ente che li istituisce dovrebbe svolgere. Sono esempi di enti strumentali dello Stato:l'INPS (che gestisce il sistema pensionistico) e gli Enti Parco Nazionali. La legge 400/1988prevede, poi, l'istituzione delle Agenzie, che sono enti strumentali particolari, perchè sono posti alservizio dei Ministeri che sono organi di un ente pubblico (che è lo Stato) e non enti pubblici. Nonsolo lo Stato può istituire enti pubblici strumentali, ma possono farlo anche le Regioni (esistono ades. gli Enti Parco Regionali).

Gli enti pubblici associativiTra le categoria di enti pubblici, si è solito citare anche quella degli enti pubblici associativi, che èuna categoria molto ristretta di enti pubblici che sono esponenziali di categorie o di gruppi dicittadini che, appunto, si associano tra loro. Quella degli enti pubblici associativi è una categoriaradicata nella storia che ha come antenato le corporazioni medioevali: oggi, però, questa categoriaha perso quasi di significato. Basti pensare al fatto che gli associati dell'ente normalmente nonpartecipano neanche al governo democratico dell'ente stesso ed anche al fatto che l'ente stessonormalmente non svolge funzioni rilevanti. Sono ad es. enti pubblici associativi l'ACI (automobilclub Italia), il CAI (club alpino italiano) e il CONI (comitato olimpico nazionale italiano).

Le Autorità IndipendentiUna categoria recente di enti pubblici è quella delle Autorità Indipendenti. Oggi le AutoritàIndipendenti sono moltissime ed hanno un'importanza crescente, ma esse non sono preseespressamente in considerazione dalla Costituzione. Alla fine degli novanta la CommissioneBicamerale presieduta da D'Alema voleva inserire nella Costituzione una disposizione relativa alleAutorità Indipendenti, ma il progetto non è andato in porto. Le Autorità Indipendenti sono degli entipubblici che operano in settori c.d. sensibili (es. la tutela del risparmio, la tutela della privacy, ilpluralismo dell'informazione) per garantire in maniera rafforzata la tutela dei valori costituzionaliimplicati in tali settori. Le Autorità Indipendenti operano con un alto grado di tecnicità e sonoindipendenti dal potere esecutivo. Hanno normalmente un costante rapporto con il Parlamento (manon dipendono da esso), al quale rendono proposte e consulenze ed inviano una relazione annuale.Le Autorità Indipendenti sono formate da un presidente e da membri nominati normalmente dalParlamento, anche se spesso su proposta del Governo. Una volta nominati, però, il presidente e imembri delle Autorità Indipendenti non possono essere direttamente revocati dal Parlamento o dalGoverno. L'organizzazione e il funzionamento delle Autorità Indipendenti è disciplinato dalle loro

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leggi istitutive, ma per garantire una maggiore autonomia di tali Autorità, la legge che le istituiscespesso lascia spazi di autoregolazione alle Autorità stesse. Ad oggi le Autorità Indipendenti sono moltissime, sia perchè operano in settori che richiedonoun'alta conoscenza tecnica che spesso la politica non ha, sia perchè l'UE raccomanda agli Statimembri di far gestire determinati settori da Autorità appunto tecniche, con le quali l'UE (che è adoggi sostanzialmente un'autorità tecnico-burocratica, piuttosto che politica) riesce ad interfacciarsimeglio. Tra le principali Autorità Indipendenti possiamo ricordare:

• la Banca d'Italia, che è la più risalente tra le Autorità Indipendenti, in quanto è stata istituitanel 1893. Oggi ha un ruolo ridimensionato, a vantaggio della Banca Centrale Europea, ma sioccupava in passato del governo della moneta nazionale (che oggi non esiste più) e dellapolitica del credito e del risparmio. Ad oggi l'unica funzione che di fatto rimane alla Bancad'Italia è la funzione di vigilanza sulle singole banche (che ad es. devono essere autorizzatedalla Banca d'Italia per svolgere la loro attività e sono sottoposte al controllo della Bancad'Italia stessa per particolari operazioni e possono essere anche da essa sanzionate).

• il Consorzio Nazionale Società e Borza (CONSOB), che è stata istituita nel 1974 e vigila sulfunzionamento del mercato dei valori mobiliari.

• l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (anche detta Antitrust), che è stataistituita nel 1990 e vigila sul rispetto della normativa in materia di concorrenza e puòsanzionare il mancato rispetto di tale normativa.

• l'Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, che è stata istituita nel 1996 e vigilasul rispetto del Codice sulla protezione dei dati personali, sia da parte dei privati sia da partedegli altri soggetti pubblici (potendo anche sanzionare il mancato rispetto del codice stesso).

• l'Autorità Garante per le Comunicazioni (AGCOM), che è stata istituita nel 1997 e si occupadi regolare e vigilare nel settore della telefonia, di internet, dei media (televisione, radio,stampa). Inoltre garantisce la regolarità e il rispetto della par condicio nelle campagneelettorali.

• l'Autorità dei Trasporti, che è stata istituita nel 2012 per regolare il settore dei trasporti.

Gli organi degli enti pubbliciSi è già detto che ogni ente pubblico si divide in organi, a loro volta divisi in uffici. L'organo è,quindi, una parte di ente pubblico che, però, è capace di adottare provvedimenti che vincolanol'intero ente, sulla base di una legittimazione che è data all'organo stesso dalla legge istitutivadell'ente. Ogni organo è formato da persone fisiche ed opera attraverso di esse. Le persone fisicheche compongono l'organo non manifestano la loro volontà, ma quella dell'organo stesso: ciò fa sìche le singole persone fisiche non contino e vengano “incorporate” dall'organo. La dottrinaottocentesca parlava a proposito di “immedesimazione organica della persona fisica nell'organo”.Possiamo dire che a sua volta l'organo subisce un'immedesimazione organica nell'ente; visto che ilprovvedimento adottato dall'ente vincola l'ente e ad esso si riferisce. Degli organi degli enti pubblici è possibile operare più classificazioni:

1. organi necessari e organi non necessari. Sono organi necessari quelli la cui esistenza èprevista come obbligatoria dalle legge che disciplina l'ente; mentre sono organi nonnecessari quelli la cui esistenza non è prevista come obbligatoria dalla legge che disciplinal'ente. Ad es. un organo non necessario del Comune è il difensore civico; mentre un organonon necessario dello Stato sono i Ministeri senza portafoglio. É, invece, un organonecessario del Comune il sindaco; mentre sono organi necessari dello Stato i Ministri conportafoglio.

2. organi costituzionali, organi non costituzionali, organi di mero rilievo costituzionale. Gliorgani non costituzionali sono quelli la cui esistenza non è prevista dalla Costituzione;mentre gli organi costituzionali e gli organi di mero rilievo costituzionale sono quelli la cui

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esistenza è prevista dalla Costituzione. Pur avendo entrambi legittimazione nellaCostituzione, gli organi costituzionali e gli organi di mero rilievo costituzionale hanno unadifferenza: gli organi costituzionali sono quelli il cui venir meno e la cui alterazioneprofonda, determinano l'instaurazione di fatto di un nuovo sistema costituzionale che superaquello dato; mentre gli organi di mero rilievo costituzionale sono quelli il cui venir meno ela cui alterazione profonda, non determinano l'instaurazione di fatto di un nuovo sistemacostituzionale. Sono organi costituzionali ad es. il Parlamento, il Governo, il Presidente dellaRepubblica; mentre sono organi di mero rilievo costituzionale il CNEL, il Consiglio diStato, la Corte dei conti, il CSM (il CSM è considerato un organo di mero rilievocostituzionale; in quanto l'indipendenza e l'autonomia della magistratura possono esseregarantite in astratto anche con modalità diverse rispetto al CSM).

3. organi politici e organi burocratici. Gli organi politici sono quelli che pongono l'indirizzopolitico (cioè quelli che dichiarano i fini che l'amministrazione deve perseguire e gliinteressi pubblici da soddisfare); mentre gli organi burocratici sono quelli che dannoesecuzione tecnica all'indirizzo politico per soddisfare concretamente l'interesse pubblico.Gli organi politici sono normalmente degli organi rappresentativi, direttamente oindirettamente, del popolo. Gli organi politici e gli organi burocratici sono chiamati acooperare continuamente tra loro, intervenendo di fatto l'uno nella funzione dell'altro. Ad es.all'interno di un Ministero il ministro dovrebbe limitarsi a porre l'indirizzo politico e ildirettore generale dovrebbe limitarsi a dare esecuzione a tale indirizzo politico: in realtànella pratica il ministro partecipa sempre, in maniera più o meno marcata, all'esecuzionedell'indirizzo politico (anche per verificare che tale esecuzione avvenga nel modo giusto) e ildirettore generale concorre sempre alla determinazione dell'indirizzo politico.

4. organi centrali e organi periferici. Gli organi centrali sono quelli che hanno competenza sututto il territorio; mentre gli organi periferici sono gli organi che rappresentano l'ente in unadeterminata zona geografica ed hanno competenza solo relativamente a quella zona. É ad es.un organo centrale il Ministero degli Interni; mentre è un organo periferico il prefetto.

5. organi ordinari e organi straordinari. Gli organi ordinari sono quelli che svolgono unafunzione corrente per un tempo indeterminato; mentre gli organi straordinari sono quelli chesvolgono una funzione particolare per un tempo determinato. É ad esempio un organoordinario il Ministro degli Interni; mentre è un organo straordinario il commissariostraordinario per la lotta alla criminalità oppure il commissario straordinario per laricostruzione de L'Aquila.

6. organi esterni ed organi interni. Gli organi esterni sono quelli che adottano provvedimenti arilevanza esterna; cioè attraverso i quali l'ente opera nei confronti degli altri soggettidell'ordinamento (manifestando, quindi, all'esterno la propria volontà). Gli organi interni,invece, sono quelli che adottano provvedimenti a rilevanza endo-procedimentale; cioè attiche hanno solo una rilevanza interna all'organo e sono propedeutici all'adozione diprovvedimenti a rilevanza esterna.

7. organi individuali e organi collegiali. Gli organi individuali sono quelli composti da una solapersona; mentre gli organi collegiali sono quelli composti da più di una persona. Sono ad es.un organo collegiale la commissione di concorso e il Consiglio dei Ministri; mentre sonoorgani individuali il Presidente della Repubblica e il sindaco. Non vi sono norme codificateche stabiliscono un numero minimo e massimo di componenti degli organi collegiali: ilnumero minimo e il numero massimo sono, però, individuati da norme di saggezza. Nellospecifico, si ritiene che sia opportuno che un organo collegiale non abbia meno di trecomponenti (perchè se i componenti fossero due e fossero in contrasto tra loro, l'organocadrebbe nella paralisi decisionale, non avendo la possibilità di assumere decisioni amaggioranza) e che un organo collegiale non abbia più di otto membri (perchè altrimentil'organo sarebbe difficilmente gestibile). Affinchè gli organi collegiali possano prendere

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validamente decisioni devono essere rispettati due quorum: il quorum costitutivo, cheimpone che siano presenti alla seduta decisionale almeno un certo numero di componenti(normalmente la metà più uno dei componenti, ma nel caso dei c.d. “collegi perfetti” ènecessaria la presenza di tutti i componenti), e il quorum deliberativo, che impone che sianofavorevoli alla decisione almeno un certo numero di presenti alla seduta (normalmente lametà più uno dei presenti).

8. organi attivi, organi consultivi e organi di controllo. Gli organi attivi sono quelli cheadottano provvedimenti e/o pongono in essere attività materiali; gli organi consultivi sonoquelli che esprimono proposte e pareri tecnico-giuridici agli organi attivi; mentre gli organidi controllo sono quelli che controllano l'operato degli organi attivi. Un organo attivo è ades. il Consiglio dei Ministri, un organo consultivo è ad es. il Consiglio di Stato, un organo dicontrollo è ad es. la Corte dei Conti.

LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE AVVERSO LA PA

L'interesse legittimoQuando la PA esercita la propria attività, sostanzialmente adottando provvedimenti, la PA stessa sirelaziona necessariamente con i privati cittadini, nella cui sfera giuridica ricadono gli effetti delprovvedimento amministrativo frutto dell'attività della PA. Il rapporto che intercorre tra la PA e ilcittadino è definito rapporto giuridico amministrativo. In tale rapporto il cittadino può essereportatore di due situazioni giuridiche soggettive: la prima è il diritto soggettivo e la seconda èl'interesse legittimo. Come già detto, la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi spettanormalmente al giudice ordinario; mentre la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi spetta algiudice amministrativo. Il fatto che per avere tutela di un diritto soggettivo sia necessarionormalmente adire il giudice ordinario, mentre per avere tutela di un interesse legittimo sia semprenecessario adire il giudice amministrativo; fa sì che sia rilevante distinguere quando la situazionegiuridica soggettiva del cittadino è un diritto soggettivo e quando è un interesse legittimo. I criteri didistinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo sono sostanzialmente due:

1. in presenza di un potere discrezionale della PA, la situazione giuridica soggettiva delcittadino è qualificata come interesse legittimo; mentre in presenza di un potere vincolatodella PA, la situazione giuridica soggettiva del cittadino è qualificata come dirittosoggettivo. Il potere della PA è vincolato quando in presenza di determinati presupposti,individuati dalla legge, la PA non può non esercitarlo e non ha margini di scelta circa lemodalità di esercizio del potere stesso: pensiamo ad es. al potere di rinnovo di un documento(quindi al potere di rinnovo del documento da parte della PA, corrisponde il dirittosoggettivo del cittadino al rinnovo del documento). Possiamo dire che una parte delladottrina ritiene che la distinzione tra potere discrezionale e potere vincolato sia unadistinzione in realtà non esistente, costruita un po' forzatamente solo per poter trovare uncriterio di distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo: tale parte di dottrinaafferma ciò perchè (come abbiamo già visto) la PA nella sua attività ha sempre un marginedi discrezionalità, che può essere anche minimo, ma tendenzialmente non manca mai.

2. in presenza di una norma di relazione che si limita ad attribuire un potere alla PA, al poteredella PA corrisponde un diritto soggettivo del cittadino; mentre in presenza di una norma diazione che attribuisce un potere alla PA e stabilisce anche le modalità del suo esercizio, alpotere della PA corrisponde un interesse legittimo del cittadino.

A questo punto dobbiamo dire che la categoria dell'interesse legittimo è una categoria che esistesolo nell'ordinamento italiano e in quello spagnolo (parte della dottrina ritiene che qualcosa disimile esista anche nell'ordinamento francese); mentre non esiste in nessun altro ordinamento.Anche nel nostro ordinamento ci sono state, però, difficoltà nel definire cosa sia un interesselegittimo. La dottrina più recente tende a definire l'interesse legittimo come la situazione giuridica

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soggettiva che attribuisce al cittadino suo titolare la pretesa a che il potere della PA sia esercitato inmodo legittimo e conforme alla legge e, quindi, che tale potere non sia esercitato in modo tale daledere la pretesa del cittadino all'acquisizione o alla conservazione di un bene della vita.Nell'interesse legittimo c'è una compenetrazione tra l'interesse generale/pubblico perseguito dallaPA e l'interesse individuale perseguito dal cittadino: quando si tutela l'interesse legittimo lo si fa pertutelare primariamente e direttamente l'interesse generale e solo in maniera mediata ed indiretta situtela/si soddisfa l'interesse individuale del cittadino. Per capire questo concetto possiamo ricorrereall'esempio dell'interesse legittimo al regolare svolgimento dei concorsi pubblici. Pensiamo al casodi un ente pubblico che bandisce un concorso per avere accesso ad un posto di lavoro. Sonoammessi a partecipare al concorso i laureati in giurisprudenza, i laureati in scienze politiche e ipossessori di titolo equipollenti. Si presentano al concorso un laureato in giurisprudenza, unlaureato in scienze politiche ed un laureato in statistica. Il concorso viene vinto dal laureato instatistica. Il laureato in giurisprudenza, che ha perso, ritiene che il laureato in statistica, che havinto, non poteva in realtà partecipare al concorso, perchè la laurea in statistica non è un titoloequipollente alla laurea in giurisprudenza o in scienze politiche. Così il laureato in giurisprudenzaimpugna davanti al giudice amministrativo la graduatoria che ha assegnato il posto al laureato instatica ed impugna anche il provvedimento di ammissione di tale laureato al concorso. Il giudiceamministrativo dà ragione al laureato in giurisprudenza; cioè riconosce che la laurea in statisticanon è un titolo equipollente alla laurea in giurisprudenza o in scienze politiche: ciò fa sì che ilconcorso, essendosi svolto in maniera irregolare, debba ripetersi. Il laureato in giurisprudenza puòcosì ritentare il concorso; sperando questa volta di vincerlo. La tutela dell'interesse legittimo alcorretto svolgimento di un concorso pubblico non è stata, però, messa in atto direttamente perpermettere al laureato di giurisprudenza di ritentare il concorso, quanto piuttosto per tutelarel'interesse dell'ente pubblico ad assegnare il posto di lavoro ad un soggetto effettivamentepossessore delle conoscenze e delle competenze necessarie per svolgere la mansione: quindinell'interesse legittimo vi è compenetrazione di un interesse generale (avere dipendenti pubblicicapaci e competenti) ed un interesse privato (l'interesse del laureato in giurisprudenza di parteciparead un concorso che si svolge correttamente e magari di vincerlo) e tra questi due interessi vienetutelato direttamente quello generale e indirettamente quello individuale. Gli interessi legittimi possono essere suddivisi in due categorie:

• interessi legittimi oppositivi. L'interesse legittimo oppositivo è l'interesse legittimo che sorgein capo al cittadino in correlazione ad un potere della PA il cui esercizio determina laproduzione di un effetto giuridico che incide negativamente sulla sfera giuridica delcittadino stesso. L'esercizio di tale potere della PA si sostanzia tipicamente con l'emanazionedi un provvedimento che estingue un diritto soggettivo del cittadino: quando ciò avviene ilcittadino diventa titolare dell'interesse legittimo oppositivo ed in forza di ciò si può rivolgereal giudice amministrativo, dopo che la PA ha adottato il provvedimento che estingue ildiritto soggettivo, e il cittadino lo può fare per chiedere al giudice amministrativo diannullare tale provvedimento, per fare sì in questo modo che il diritto soggettivo delcittadino stesso “risorga”. Alla luce di ciò una parte della dottrina definisce l'interesselegittimo oppositivo come un “diritto affievolito”; cioè come un diritto soggettivo che aseguito di un provvedimento amministrativo si “degrada” ad interesse legittimo. Il tipicointeresse legittimo oppositivo è quello dell'interesse legittimo che sorge nel momento in cuila PA adotta un provvedimento di espropriazione di un bene di un cittadino. Con l'adozionedel provvedimento di espropriazione, il diritto di proprietà del cittadino sul bene si estinguee lascia spazio all'interesse legittimo alla legalità dell'espropriazione: in virtù di taleinteresse legittimo, se l'espropriazione non è conforme alla legge, il cittadino può chiederel'annullamento del provvedimento di espropriazione e se la richiesta di annullamento vienesoddisfatta, il diritto di proprietà del cittadino sul bene “ritorna in vita”.

• interessi legittimi pretensivi. L'interesse legittimo pretensivo è l'interesse legittimo che sorge

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in capo al cittadino in correlazione ad un potere della PA il cui esercizio determina laproduzione di un effetto giuridico che incide positivamente sulla sfera giuridica del cittadinostesso. Il cittadino titolare dell'interesse legittimo pretensivo, allora, si rivolgerà al giudiceamministrativo affinchè spinga la PA ad esercitare il potere (quindi sostanzialmente adadottare un certo provvedimento) che produce l'effetto positivo nella sfera giuridica delcittadino. Ovviamente il cittadino titolare dell'interesse legittimo pretensivo si deve rivolgereal giudice amministrativo quando la PA non ha esercitato il potere e non quando lo ha giàesercitato (a differenza di quanto avviene per l'interesse legittimo oppositivo). Un esempiodi interesse legittimo pretensivo è quello all'ottenimento di un'autorizzazione per svolgereuna certa attività.

Gli interessi di mero fatto L'interesse legittimo non va confuso con gli interessi di mero fatto o interessi semplici, che sonopretese per le quali l'ordinamento non offre una tutela giurisdizionale, ma offre al massimo inqualche caso la possibilità al cittadino di rivolgere alla PA segnalazioni e petizioni oppure ancora lapossibilità al cittadino di intraprendere campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Sonoad es. interessi di mero fatto o semplici, l'interesse al contenimento dei livelli di spesa, l'interesse alraggiungimento di buoni standard qualitativi dei servizi. Gli interessi di mero fatto o semplici sidistinguono dall'interesse legittimo sulla base di due criteri, che sono tra loro strettamente legati: ladifferenziazione e la qualificazione. In virtù del criterio della differenziazione, vi è interesse legittimo quando la posizione in cui si trovail cittadino rispetto alla PA è in qualche modo differenziata rispetto alla posizione della generalitàdegli altri cittadini: normalmente per considerare la posizione di un cittadino differenziata rispettoalla posizione della generalità dei cittadini, ci si basa sull'elemento del radicamento fisico-spazialedel cittadino in un determinato luogo. Ad es. tutti i cittadini hanno la pretesa di avere una vistapanoramica, ma tale pretesa è un interesse di mero fatto che non è di per sé suscettibile di tutelagiurisdizionale; mentre il cittadino che ha una villa vista mare in una zona nella quale si devecostruire un palazzo di sei piani, è titolare di una pretesa differenziata da quella della generalità deicittadini e, quindi, è titolare di un interesse legittimo che è suscettibile di tutela giurisdizionale. In virtù della criterio della qualificazione, vi è un interesse legittimo quando la posizione in cui sitrova il cittadino rispetto alla PA attribuisce a tale cittadino una pretesa che una norma (sia essacostituzionale o legislativa o regolamentare), esplicitamente o implicitamente, qualifica comesuscettibile di tutela giurisdizionale. Per tornare all'esempio precedente: il cittadino che ha la villafronte mare, potrà impugnare davanti al giudice amministrativo il permesso di costruzione delpalazzo di sei piani, se il piano regolatore vieta la costruzione in quella zona o permette lacostruzione solo di palazzi con meno di sei piani. Come già detto, il criterio della differenziazione e il criterio della qualificazione sono tra lorostrettamente legati e quasi compenetrati: infatti tanto più un interesse risulta differenziato, tanto piùè probabile che esso venga anche ritenuto da una norma come tutelabile in via giurisdizionale. Un tema rilevante a questo punto è quello degli interessi o pretese superindividuali. Le pretesepossono essere individuali (cioè essere radicate in capo ad uno specifico soggetto) oppuresuperindividuali (cioè appartenere a più soggetti). In linea generale, fino agli anni settanta-ottanta, siera spinti a ritenere che tutte le pretese superindividuali non fondassero un interesse legittimo,perchè non erano rispettose del criterio della differenziazione, e che, pertanto, non fosserosuscettibili di tutela giurisdizionale. A partire dagli anni settanta-ottanta, però, la giurisprudenza e illegislatore hanno iniziato ad individuare tra le pretese superindividuali, la categoria degli interessidiffusi e degli interessi collettivi, che sarebbero suscettibili di tutela giurisdizionale.

• Gli interessi collettivi sono gli interessi che fanno capo ad uno specifico gruppo o categoria(un'associazione sindacale, un partito politico, un ordine professionale) e che possono esseretutelati giurisdizionalmente. Gli interessi collettivi non fanno capo ad una singola persona

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fisica, ma ad un gruppo, però sono comunque radicati in capo ad un soggetto unico (ilgruppo) e, quindi, il criterio della differenziazione può considerarsi rispettato. Un casopratico in cui la giurisprudenza ha rilevato l'esistenza di un interesse collettivo ed haprevisto la possibilità di tutelarlo giursdizionalmente, è stato il caso di un ordineprofessionale a cui è stato concesso di impugnare davanti al giudice amministrativo unprovvedimento della PA che legittimava soggetti diversi dagli iscritti all'ordine ad esercitareun'attività rientrante nelle prerogative dell'ordine stesso. Gli interessi collettivi non vanno confusi con gli interessi individuali omogenei, che sonointeressi individuali radicati in capo ad un soggetto che, però, sono comuni ad una pluralitàdi soggetti. É un interesse individuale omogeneo ad es. l'interesse degli utenti del servizioelettrico a ricevere la fornitura dell'energia elettrica: tale interesse è radicato in capo alsingolo utente (quindi è un interesse individuale), ma è comune a più soggetti, perchè gliutenti del servizio sono più di uno. Per gli interessi individuali omogenei è ovviamente datala tutela giurisdizionale, come per tutti gli interessi individuali; solo che per gli interessiindividuali omogenei la tutela può essere attivata sia dal singolo soggetto, sia da unrappresentante di tutti i soggetti per conto di tutti loro (si parla in questo caso di “azione diclasse o class action”). Normalmente il ricorso ad un'azione di classe può essere piùconveniente, perchè attraverso ad essa vi è per i singoli soggetti un risparmio dei costi dellagiustizia ed una maggiore probabilità di vedersi dare ragione dal giudice amministrativo.

• L'interesse diffuso è un interesse che fa capo potenzialmente a tutti i cittadini, ancheappartenenti a gruppi sociali diversi (l'interesse diffuso è, quindi, diverso dall'interessecollettivo). Una parte della dottrina ha parlato degli interessi diffusi come “pretese di tutti edi nessuno”. Sono ad es. interessi diffusi la tutela dell'ambiente e la tutela del patrimonioartistico. Gli interessi diffusi sono molto vicini agli interessi pubblici ed è per questo chenon sono considerati interessi legittimi e tradizionalmente non erano considerati suscettibilidi tutela giurisdizionale. A partire dagli anni ottanta, però, in settori particolari la legge haattribuito a determinati soggetti, appositamente istituiti, una speciale legittimazione aricorrere al giudice amministrativo per chiedere tutela di un interesse diffuso. La prima voltache ciò è avvenuto, è stata nel 1986 quando la legge ha previsto la figura delle associazioniambientaliste riconosciute che possono impugnare davanti al giudice amministrativo unprovvedimento della PA lesivo dell'ambiente (tali associazioni sono riconosciute dalMinistero dell'Ambiente se presentano una dimensione nazionale o sono presenti almeno in5 regioni, hanno un ordinamento interno democratico, hanno una continuità di azione).Queste associazioni ambientaliste riconosciute possono, quindi, ricorrere al giudiceamministrativo per avere la tutela giurisdizionale di un interesse diffuso (quelloall'ambiente).

Una situazione giuridica particolare: il diritto di accesso ai documenti amministrativiIl diritto di accesso ai documenti amministrativi è una situazione giuridica particolare in relazionealla quale è sorto un dubbio sulla sua qualificazione giuridica; cioè ci si è chiesti se tale situazione èqualificabile come interesse legittimo oppure come diritto soggettivo. Originariamente lagiurisprudenza considerava il diritto di accesso come un diritto soggettivo (così come suggerito dalsuo nomen iuris), ma poi ha cambiato indirizzo ed a partire dal 2006 (anno di un'importantesentenza elaborata dal Consiglio di Stato in seduta plenaria su tale questione) considera il diritto diaccesso come interesse legittimo. Questo nuovo indirizzo giurisprudenziale può anche essereconfermato dal fatto che tutte le controversie in materia di diritto di accesso sono attribuite allagiurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Le generalità del diritto di accesso. La disciplina del diritto di acceso ai documenti amministrativi ècontenuta nel capo V della legge 241/1990 (artt. 22-28). Il diritto di accesso ai documentiamministrativi è una situazione soggettiva che permette al suo titolare di prendere visione e di

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estrarre copia dei documenti amministrativi; cioè di tutti quegli atti con qualunque forma (cartacea oinformatizzata) che sono formati e detenuti da un soggetto della PA in senso stretto o in senso ampioe che concernono un'attività di pubblico interesse. La legge 241/1990 non riconosce il diritto diaccesso a tutti i cittadini, ma solo a quelli che sono titolari di un diritto soggettivo o di un interesselegittimo o di un interesse diffuso che può essere maggiormente tutelato qualora il cittadino che ne ètitolare conosca il documento collegato a tale diritto soggettivo o interesse. Vi sono, però, delleleggi specifiche che riconoscono il diritto di accesso a tutti i cittadini, ad es. il Testo Unicodell'ambiente del 2005 (in attuazione della Convenzione di Orus) riconosce a tutti il diritto diaccesso ai documenti in materia ambientale; mentre il decreto legislativo 33/2013 (c.d. decreto sullatrasparenza) riconosce a tutti il diritto di farsi trasmettere dalla PA i documenti che la PA stessaaveva l'obbligo di pubblicare sul proprio sito o con altre modalità, ma non ha pubblicato (il decretolegislativo 33/2013 parla a proposito di “accesso civico” ai documenti). Il diritto di accesso è considerato dalla legge 241/1990 come un “principio generale dell'attivitàamministrativa volto ad assicurarne la trasparenza” ed, inoltre, è considerato rientrante tra i livelliessenziali della prestazioni dei diritti civili (a cui fa riferimento l'art. 117 comma 2 lett. M dellaCostituzione). Ciononostante l'art. 24 della legge 241/1990 prevede dei casi in cui il diritto diaccesso ai documenti può essere escluso. In particolare tale diritto è escluso:

1. per i documenti coperti da segreto di Stato2. per i documenti relativi a procedimenti tributari, normativi o volti ad assumere atti

amministrativi generali (cioè direttive, circolari, atti di pianificazione e programmazione) 3. per i documenti che contengono informazioni di carattere psico-attitudinale di terzi e che

sono relativi ad una procedura selettiva4. in altri casi previsti eventualmente da regolamenti governativi qualora dalla divulgazione del

documento amministrativo possa derivare un danno alternativamente: a) alla sicurezza e alladifesa nazionale; b) alla sovranità dello Stato; c) alle relazione internazionali (è questo ad es.il caso dell'esclusione del diritto di accesso in relazione ai documenti che riguardanol'accoglimento di basi militari straniere sul suolo italiano); d) alla politica monetaria; e) allaprevenzione e repressione della criminalità organizzata; f) alla riservatezza di personefisiche oppure persone giuridiche oppure associazioni. Relativamente all'esclusione deldiritto di accesso per salvaguardare la riservatezza, va precisato che tale limitazione nonopera quando l'accesso ai documenti non è solo utile ad una maggiore tutela del dirittosoggettivo o interesse del cittadino, ma bensì è necessario per la maggiore tutela del dirittosoggettivo o dell'interesse del cittadino che richiede l'accesso ai documenti: in altri terminise l'accesso ai documenti è necessario per la tutela del diritto soggettivo o dell'interesse delcittadino, l'accesso stesso può avvenire anche se pregiudica la riservatezza di altri soggetti.Alla luce di ciò si dice correntemente che il diritto alla riservatezza è recessivo rispetto aldiritto di accesso. In ogni caso, però, se il diritto di accesso pregiudica la riservatezza di datic.d. “sensibili” legati alla salute e alla vita sessuale, il diritto di accesso stesso può essereesercitato solo se vi è l'autorizzazione del Garante della Privacy.

L'art. 24 precisa comunque che in tutti questi casi, il diritto di accesso non può essere esclusoquando per la PA è sufficiente (al fine di garantire la tutela degli interesse pubblici ed il propriobuon andamento) solo differire/posticipare il diritto di accesso: ad es. la PA potrebbe consentirel'accesso ai documenti di una procedura selettiva, però solo a partire dalla conclusione dellaprocedura stessa (quindi in questo caso il diritto di accesso non è escluso, ma è solo differito neltempo). Le modalità di esercizio del diritto di accesso. Le modalità di esercizio del diritto di accesso sonodisciplinate dall'art. 25 della legge 241/1990 e da un regolamento attuativo del 2006. Taleregolamento distingue due modalità di esercizio del diritto di accesso e cioè il c.d. “accessoinformale” e il c.d. “accesso formale”. L'accesso informale si può seguire solo qualora non esistanosoggetti c.d. “contro-interessati” che vedrebbero pregiudicata la loro riservatezza a seguito della

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conoscenza del documento da parte del cittadino richiedente: in tale ipotesi, il cittadino puòpresentare verbalmente e senza formalità alla PA la richiesta di prendere visione e/o di estrarre copiadel documento e, ricevuta la richiesta, la PA senza formalità acconsente o nega l'accesso aldocumento. L'accesso formale, invece, deve essere seguito qualora vi siano soggetti “contro-interessati” ed impone il rispetto di maggiori formalità sia da parte del cittadino che da parte dellaPA. Innanzitutto, il cittadino deve effettuare alla PA una richiesta scritta e motivata (nella quale devedimostrare di essere legittimato ad esercitare il diritto di accesso; in quanto titolare di un dirittosoggettivo oppure di un interesse collegato ai documenti a cui chiede accesso). Dopodichè la PAdeve comunicare ai contro-interessati la richiesta di accesso che ha ricevuto dal cittadino e deveconcedere ai contro-interessati stessi un termine di 10 giorni per presentare un'opposizione motivataall'accesso del cittadino richiedente ai documenti. Poi entro 30 giorni dalla richiesta del cittadino, laPA deve rispondere al cittadino stesso elaborando un provvedimento motivato che nega o cheacconsente l'accesso ai documenti (per negare l'accesso la PA deve tipicamente fare riferimento alleesclusioni previste dall'art. 24 della legge 241/1990). Se entro 30 giorni dalla richiesta, la PA nonrisponde al cittadino, la richiesta di accesso si considera respinta (è questo un caso di silenzio-rigetto). Contro il respingimento espresso o tacito della richiesta, il cittadino può fare ricorso algiudice amministrativo o in alternativa alla Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi,che è appositamente istituita presso la Presidenza del Consiglio: sia il giudice amministrativo, sia laCommissione per l'accesso possono imporre alla PA di consentire l'accesso ai documenti al cittadinorichiedente.

IL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO

Il concetto di provvedimento amministrativoIl provvedimento amministrativo è una statuizione concreta, assunta da un soggettodell'amministrazione in senso stretto nell'esercizio della sua capacità di diritto pubblico, che hal'effetto di modificare unilateralmente, anche in peggio, il patrimonio giuridico del propriodestinatario a prescindere dal consenso di quest'ultimo. Sono ad es. provvedimenti amministrativi lemulte per del codice della strada e il riconoscimento o il diniego di un permesso per costruire. Dalla PA, oltre ai provvedimenti amministrativi, possono provenire anche altri atti. Innanzitutto gliatti assunti dai soggetti dell'amministrazione in senso lato oppure ancora gli atti assunti dai soggettidell'amministrazione in senso stretto, ma nell'esercizio della loro capacità di diritto privato. Perquanto ci interessa maggiormente in tale sede, però, dobbiamo rilevare che i soggettidell'amministrazione in senso stretto possono assumere atti diversi dal provvedimento, ancheesercitando la loro capacità di diritto pubblico. Questi atti diversi dal provvedimento sono:

1. le proposte e i pareri (spesso indicati con l'espressione “meri atti interni”); che sono attipreparatori di un provvedimento i quali non incidono direttamente sul patrimonio giuridicodi un cittadino. Pensiamo ad es. al parere reso dalla commissione edilizia primadell'adozione da parte di un organo attivo della PA del provvedimento che riconosce o negail permesso di costruire: ciò che incide sul patrimonio giuridico del cittadino è ilprovvedimento dell'organo attivo della PA, ma non già il parere. Le proposte e i pareri,proprio perchè inidonei ad essere direttamente lesivi del patrimonio giuridico del cittadino,non possono essere impugnati davanti al giudice per avere tutela giurisdizionale.

2. l'atto politico, che è un atto emesso da un organo politico della PA. La categoria degli attipolitici è una categoria variegata: vi sono, infatti, diverse tipologie di atti politici. Una primadistinzione da operare in relazione agli atti politici è quella tra atti politici che fissanol'indirizzo politico (cioè i fini che la PA persegue e gli interessi pubblici da curare) e attipolitici che non fissano l'indirizzo politico. Sono atti politici che fissano l'indirizzo politicoad es. il programma di Governo e le leggi; mentre sono atti politici che non fissanol'indirizzo politico la nomina di un giudice costituzionale e la nomina di un senatore a vita

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da parte del Capo dello Stato. Una seconda distinzione da operare in relazione agli attipolitici è quella tra atti politici normativi ed atti politici non normativi. Gli atti normativisono quelli che pongono norme generali ed astratte e che sono in grado di innovarel'ordinamento: per questo tali atti assumono il rango di fonte del diritto. Questi atti sono lalegge e il regolamento. Come visto, la categoria degli atti politici è varia e, pertanto, ilregime giuridico di tale categoria è vario, ma possiamo riassumerlo in tre casi:

◦ la legge è in grado di incidere direttamente sul patrimonio giuridico dei cittadini,però non è un provvedimento amministrativo e, quindi, avverso ad essa non sonodati i mezzi di tutela giurisdizionale dati per il provvedimento. Avverso alla legge sipuò, però, sollevare la questione di costituzionalità, se essa è lesiva delle garanziecostituzionalmente riconosciute.

◦ il regolamento è in grado di incidere direttamente sul patrimonio giuridico deicittadini e, pur non essendo definibile come un provvedimento (perchè è in grado diinnovare l'ordinamento e perchè normalmente non contiene statuizioni concrete),segue il regime giuridico del provvedimento e, quindi, avverso del regolamento sipuò ricorrere alla stessa tutela giurisdizionale data per il provvedimento.

◦ gli altri atti politici non sono in grado di incidere direttamente sul patrimoniogiuridico del cittadino e, quindi, sono insindacabili ed avverso ad essi non vi sonomezzi di tutela giurisdizionale.

3. l'atto di alta amministrazione, che è un atto “di cerniera” tra l'attività della politica e l'attivitàdell'amministrazione e, quindi, tra l'attività di fissazione dell'indirizzo politico e l'attività diesecuzione dell'indirizzo politico. Sono atti di alta amministrazione ad es. le delibere delCIPE. Pur non essendo definibili come provvedimenti, gli atti di alta amministrazioneseguono il regime giuridico dei provvedimento e, quindi, avverso ad essi sono riconosciutigli stessi mezzi di tutela giurisdizionale riconosciuti per il provvedimento.

4. gli atti amministrativi generali, che sono atti che pur non essendo atti normativi (cioè purnon essendo in grado di innovare l'ordinamento), come gli atti normativi e a differenza delprovvedimento hanno un contenuto non concreto, ma bensì generale ed astratto; cioè sirivolgono in modo indifferenziato a categorie più o meno ampie di soggetti (anziché ad unsoggetto singolo) e sono suscettibili di essere applicati ad una serie ripetuta di casi simili(anziché ad un caso singolo). Gli atti amministrativi generali normalmente non sono in grado di incidere direttamente sulpatrimonio giuridico del cittadino. La categoria degli atti amministrativi generali è unacategoria ampia e variegata che ricomprende principalmente:

◦ gli atti di pianificazione e di programmazione, che sono atti che prefissano obiettivi,limiti, priorità ed altri criteri che presiedono all'attività della PA. Sono atti dipianificazione e di programmazione ad es. il piano nazionale delle frequenze radio-televisive, il piano urbanistico del traffico, il piano paesaggistico. Un particolare casodi atto di pianificazione e programmazione è, poi, il piano regolatore: esso ha unanatura duale; in quanto è in parte un atto normativo (in grado di incidere direttamentesul patrimonio giuridico del cittadino) e in parte un atto amministrativo generale(non non in grado di incidere direttamente sul patrimonio giuridico del cittadino).

◦ le direttive e le circolari, che sono atti che stabiliscono ed indicano il funzionamentointerno e il raccordo delle varie unità operative di un'amministrazione. Direttive ecircolari contengono, quindi, quelle che vengono definite “norme interne”; cioènorme che valgono all'interno di una determinata amministrazione e non valgonoper orientare i comportamenti di soggetti esterni. Direttive e circolari non sonoproprio sinonimi: correntemente si usa il termine direttiva per riferirsi all'atto chestabilisce le norme interne; mentre si usa il termine circolare per riferirsi all'atto cheè utilizzato per comunicare oppure per spiegare ed interpretare le norme interne.

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La struttura del provvedimento amministrativoOgni provvedimento amministrativo è normalmente chiamato ad aderire ad una strutturapredeterminata, che è costituita da:

1. intestazione, che indica l'ente o l'organo di provenienza del provvedimento (es. Prefettura diTorino).

2. preambolo, che indica una succinta narrazione/una cronistoria dei fatti che si pongono allabase del provvedimento (es. vista l'istanza di Tizio e sentite le parti interessate).

3. dispositivo, che è la statuizione concreta del provvedimento (es. è concesso il permesso).4. motivazione, che indica, in relazione alle risultanze dell'istruttoria, i presupposti di fatto e le

ragioni giuridiche che hanno spinto la PA a prendere una certa decisione contenuta nelprovvedimento. L'art. 3 della legge 241/1990 stabilisce che la motivazione in unprovvedimento non può mancare, a pena di annullabilità. La motivazione è ancheconsiderata dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE come una delle componenti deldiritto del cittadino ad una buona amministrazione: la motivazione permette, infatti, alcittadino di comprendere ed interpretare meglio il provvedimento e rende tra l'altro piùagevole ed incisivo l'eventuale controllo giurisdizionale sul provvedimento stesso. Lamotivazione deve essere presente in tutti i provvedimenti, ma assume particolare importanzanei provvedimenti discrezionali nei quali deve essere particolarmente chiara ed analitica (neiprovvedimenti vincolati, la motivazione può limitarsi ad elencare i presupposti legali chegiustificano l'esercizio del potere). La motivazione può anche essere una motivazione perrelationem; cioè una motivazione che si sostanzia in un rinvio al contenuto di un altro atto(come per es. un parere) che è stato acquisito nel procedimento di emanazione delprovvedimento e del quale il provvedimento stesso fa proprie le ragioni. Ci si è chiestiperchè i provvedimenti amministrativi devono essere motivati; mentre gli atti politici, gli attinormativi e gli atti amministrativi generali non devono necessariamente esserlo: la rispostapredominante è che gli atti politici, normativi, generali sono atti che pongono o sonodirettamente espressione dell'indirizzo politico, il quale è libero nella determinazione deisuoi fini e conseguentemente non richiede di essere motivato.

5. sottoscrizione di chi ha materialmente reso il provvedimento. Il Consiglio di Stato haaffermato che la sottoscrizione non può mancare nel provvedimento (a pena di nullità), mapuò anche essere non perfettamente leggibile.

Gli elementi del provvedimento amministrativoGli elementi del provvedimento amministrativo si dividono in elementi essenziali ed elementiaccessori: gli elementi essenziali sono quelli la cui mancanza determina la nullità delprovvedimento; mentre gli elementi accessori sono quelli la cui mancanza non incide sulla validitàdel provvedimento (sono, quindi, elementi eventuali che possono esserci o non esserci). Glielementi essenziali del provvedimento sono:

• il soggetto da cui il provvedimento proviene (che, come già detto, deve essere un soggettodell'amministrazione in senso stretto)

• la causa o volontà; che è il fine che il provvedimento deve perseguire per previsione dellalegge.

• l'oggetto; che è la cosa, l'attività o la situazione a cui il provvedimento si riferisce (ad es. ilterreno nel provvedimento di espropriazione). L'oggetto del provvedimento deve esseredeterminato o quanto meno determinabile.

A tali elementi essenziali, per alcuni provvedimenti amministrativi, assume il ruolo di elementoessenziale anche una forma specifica richiesta dalla legge (es. la forma scritta, la forma telematicaecc): ciò accade solo nei c.d. provvedimenti a forma vincolata, che dovrebbero però essereun'eccezione nel nostro ordinamento che è basato sul principio di libertà della forma (in realtà nellapratica, la maggior parte dei provvedimenti ha forma vincolata).

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Gli elementi accessori del provvedimento sono:• il termine, che può essere iniziale o finale. Quando il provvedimento ha un termine iniziale,

gli effetti del provvedimento stesso sono prodotti solo a partire dal verificarsi di un eventocerto o a partire da una data prefissata; mentre quando il provvedimento ha un terminefinale, gli effetti del provvedimento stesso cessano di essere prodotti al verificarsi di unevento certo o al sopraggiungere di una data prefissata.

• il modo, che richiede al cittadino interessato dal provvedimento, di sopportare undeterminato onere (es. l'onere del cittadino miope di portare gli occhiali da vista, per poterusufruire legittimamente della patente di guida).

• la condizione, che può essere sospensiva o risolutiva. Quando il provvedimento ha unacondizione sospensiva, gli effetti del provvedimento stesso sono prodotti solo a partire dalverificarsi di un evento futuro ed incerto; mentre quando il provvedimento ha unacondizione risolutiva, gli effetti del provvedimento stesso cessano di essere prodotti alverificarsi di un evento futuro ed incerto. In passato la dottrina ha molto discusso lapossibilità o meno di un provvedimento amministrativo di essere sottoposto a condizione; inquanto una parte di dottrina riteneva che ciò non fosse possibile, perchè attraverso iprovvedimenti amministrativi la PA cura gli interessi pubblici ed essi devono essere curatiincondizionatamente. Ad oggi, però, la dottrina ritiene pacificamente che sia possibile cheun provvedimento amministrativo abbia una condizione ed, infatti, ciò nella pratica avvienemolto spesso. Pensiamo ad es. ad un permesso di costruire, che sia sottoposto allacondizione di rinunciare ad un precedente permesso incompatibile o alla condizione di farsicarico dell'allacciamento alla rete fognaria dell'edificio da costruire.

I caratteri del provvedimento amministrativoI caratteri del provvedimento amministrativo sono:

1. l'imperatività; che fa sì che il provvedimento amministrativo sia un provvedimentounilaterale che manifesta la sola volontà della PA e che nel farlo incide sul patrimoniogiuridico del cittadino, senza una precedenza trattativa con tale cittadino sugli effetti delprovvedimento stesso.

2. l'esecutorietà; che è un carattere che alcuni provvedimenti hanno per espressa previsionedella legge (in mancanza di una specifica previsione legislativa, il provvedimento non èesecutorio) e fa sì che, a fronte di un provvedimento efficace ed esecutivo, la PA possaprocedere all'esecuzione coattiva del provvedimento in caso di mancata cooperazione delcittadino obbligato, senza doversi preventivamente rivolgere ad un giudice per ottenerel'esecuzione forzata. Possiamo fare due esempi dell'esecutorietà: 1) se il proprietario di unbene espropriato non coopera all'esecuzione del provvedimento di espropriazione, la PA puòprocedere direttamente ad apprendere il bene con l'uso della forza; 2) se vi è un ordine diabbattimento di un edificio e il proprietario non procede, può procedere la PA con la forza.Come si è accennato, l'esecutorietà di un provvedimento presuppone che il provvedimentosia efficace ed esecutivo: il provvedimento è efficace quando è stato terminato il suoprocedimento di adozione (e, nel caso in cui sia un provvedimento restrittivo, è stato anchecomunicato al destinatario); mentre è esecutivo quando può e deve essere portato adesecuzione (in virtù dell'art. 21 quater della legge 241/1990, salvo diversa previsione dellalegge, il provvedimento è esecutivo non appena è divenuto efficace). Va precisato chel'esecutorietà del provvedimento ha come fondamento la “presunzione di legittimità delprovvedimento”; in virtù della quale il provvedimento si ritiene, fino a prova contraria,conforme alla legge e, quindi, è possibile per la PA anche dargli immediata esecuzione,senza passare dal giudice. In ultimo è bene dire che il riferimento normativo al caratteredell'esecutorietà è l'art. 21 ter della legge 241/1990, introdotto nel 2005: tale art. afferma chenei casi previsti dalle legge, la PA può (previa diffida) imporre coattivamente l'adempimento

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degli obblighi derivanti da un provvedimento, qualora il destinatario di tali obblighi nonottemperi.

3. la tipicità e la nominatività; che sono caratteri del provvedimento che rappresentano uncorollario del principio di legalità (in virtù di tale principio ogni potere della PA deve averefondamento nella legge). La nominatività è il carattere per cui ogni provvedimento deveavere una qualificazione giuridica/un nomen iuris e un regime giuridico che sono stabilitidalla legge. La tipicità è il carattere per cui ogni provvedimento deve perseguire un fineindicato dalla legge (il quale consiste sostanzialmente nella cura di un interesse pubblico). Inossequio al principio di legalità, ogni provvedimento dovrebbe essere nominato e tipico:nella pratica, però, assistiamo sempre di più all'esistenza di provvedimenti a cui di fatto laPA ricorre, senza che essi siano nominati e tipicizzati dalla legge. Tali provvedimenti sonodefiniti, allora, come provvedimenti innominati e atipici. La dottrina ha tardato a riconoscerela loro esistenza, ma poi ha dovuto arrendersi all'evidenza per cui nella pratica essi sonopresenti. I provvedimenti innominati e atipici esistono perchè la legge non può essere ingrado di prevedere tutte le possibili situazioni che si possono realizzare nella realtà pratica e,quindi, tutti gli interessi pubblici che possono richiedere tutela: conseguentemente la leggenon può prevedere tutti gli eventuali provvedimenti che la PA deve adottare per curare inconcreto detti interessi pubblici. Se una certa situazione ed un certo interesse e, quindi, uncerto provvedimento non vengono previsti dalla legge, non è possibile che la PA non adottiun provvedimento per curare quel certo interesse ed, allora, la PA ricorrerà ad unprovvedimento non previsto dalla legge che, pertanto, sarà innominato ed atipico. Una leggedel 1904 ha per la verità espressamente previsto la possibilità della PA di ricorre aprovvedimenti innominati ed atipici: la PA può farlo quando è necessario curare un interessepubblico, in relazione al quale vi è una lacuna legislativa (cioè la legge non ha previstol'interesse e il provvedimento per curarlo), ma l'interesse deve essere tempestivamentecurato perchè altrimenti vi è un grave pericolo di danno (c.d. “periculum in mora”) e,pertanto, non è possibile attendere l'elaborazione di una legge che riconosca esistentequell'interesse e preveda un provvedimento per curarlo. La legge del 1904 si riferisce aiprovvedimenti innominati ed atipici adottati dalla PA in questi casi, utilizzando l'espressione“ordinanze contingibili ed urgenti”. Oggi la PA ricorre alle ordinanze contingibili ed urgentiin maniera sempre più estesa. Non essendo previste dalla legge, le ordinanze contingibili edurgenti hanno un contenuto libero, ma ad oggi si ritiene che tale contenuto non possa esserein contrasto con i valori costituzionali e del diritto europeo. Va, infine, sottolineato che leordinanze contigibili ed urgenti non vanno confuse con le c.d. “ordinanze contingibili edurgenti in deroga” (di recente comparsa nel mondo del diritto); che vengono assunte peraccelerare la realizzazione di grandi opere ed assumono un contenuto libero e derogatoriodella legge anche se intervengono in situazioni regolate dalla legge. Nel caso delle ordinanzecontigibili ed urgenti in deroga, la legge disciplina la situazione e l'interesse, ma lo fa in unmodo tale per cui la realizzazione dell'opera sarebbe rallentata ed, allora, con l'ordinanza sideroga alla legge.

Le classificazioni dei provvedimenti amministrativiE' possibile operare diverse classificazioni dei provvedimenti amministrativi:

1. provvedimenti vincolati e provvedimenti discrezionali. I provvedimenti vincolati sono quelliadottati nell'esercizio di un potere vincolato; mentre i provvedimenti discrezionali sonoquelli adottati nell'esercizio di un potere discrezionale. I provvedimenti vincolati incidonosui diritti soggettivi dei cittadini; mentre i provvedimenti discrezionali incidono sugliinteressi legittimi dei cittadini.

2. provvedimenti ampliativi e provvedimenti restrittivi. I provvedimenti ampliativi sono quelliche producono effetti che ampliano la sfera giuridica del destinatario (quindi hanno effetti

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positivi per il destinatario); mentre i provvedimenti restrittivi (detti anche limitativi oablatori) sono quelli che restringono la sfera giuridica del destinatario (quindi hanno effettinegativi per il destinatario). I provvedimenti ampliativi sono adottati dalla PA normalmentea seguito di procedimenti avviati su istanza di parte; mentre i provvedimenti restrittivi sonoadottati dalla PA a seguito di procedimenti avviati d'ufficio. I provvedimenti ampliativi sonocorrelati ad un interesse legittimo pretensivo; mentre i provvedimenti restrittivi sonocorrelati ad un interesse legittimo oppositivo. I provvedimenti restrittivi sono:◦ l'espropriazione, che spoglia il cittadino di un diritto di proprietà su un bene (trasferendo

di fatto tale diritto in capo alla PA), in cambio del riconoscimento al cittadino di un equoindennizzo (che non può essere irrisorio, ma non deve necessariamente esserecorrispondente al valore di mercato del bene espropriato).

◦ gli ordini e i divieti, che impongono al cittadino di fare qualcosa (ordini) o di non farequalcosa (divieti). Gli ordini e i divieti sono diffusamente emanati dalle autorità dipubblica sicurezza ed, inoltre, sono previsti in gran numero dal codice della strada. Gliordini e i divieti previsti dal codice della strada hanno tra l'altro la particolarità dipresentare una forma per certi versi originale; nel senso che non è condivisa con nessunaltro provvedimenti amministrativo: gli ordini e i divieti del codice della strada sono,infatti, espressi con la forma della segnaletica stradale (verticale e orizzontale) e dellasegnaletica manuale dei vigili urbani. Una particolare categoria di ordine da citare è, poi,quella degli ordini emanati all'interno degli organi della PA strutturati gerarchicamente:in tali strutture, il superiore gerarchico emana ordini all'inferiore gerarchico, che deverispettare l'ordine. L'inferiore gerarchico non può sottrarsi dal rispetto dell'ordine,nemmeno se tale ordine è palesemente illegittimo (cioè contrario alla legge): in questocaso l'inferiore gerarchico deve fare rimostranza al superiore gerarchico, con la quale fapresente l'illegittimità dell'ordine, e il superiore gerarchico può decidere di revocarel'ordine oppure di rinnovarlo in forma scritta. Se il superiore gerarchico rinnova l'ordine,l'inferiore gerarchico deve eseguirlo, però è esonerato da responsabilità per l'illegittimitàdell'ordine. Ad oggi pochi organi della PA sono organizzati sulla base di rapporti digerarchia (lo sono ancora l'esercito e qualche ministero): infatti la maggior parte degliorgani della PA è organizzata sulla base di rapporti di direzione, per cui all'interno di essiil soggetto che dirige adotta direttive, dalle quali i soggetti subordinati possonodiscostarsi, se motivano il perchè lo fanno.

◦ le sanzioni, che puniscono il cittadino per aver compiuto un illecito amministrativo. Lesanzioni hanno una duplice valenza: una valenza afflittiva (perchè puniscono chi hacompiuto un illecito amministrativo) ed una valenza dissuasiva (perchè, minacciando lapunizione, spingono il soggetto a non compiere illeciti amministrativi). Le sanzionipossono essere pecuniarie, disciplinari (tra esse le principali sono l'ammonizione, lasospensione, la radiazione) o ripristinatorie. Meritano una precisazione le sanzioniripristinatorie: esse sono le sanzioni che hanno lo scopo di reintegrare l'interessepubblico leso dal comportamento illecito, riportando la situazione allo stato precedentealla tenuta del comportamento illecito (ad es. la sanzione che impone la demolizione diun edificio costruito abusivamente).

I provvedimenti ampliativi sono:◦ l'ammissione, che è un provvedimento espressione di un potere vincolato (o comunque

caratterizzato da una discrezionalità quasi inesistente) che ammette il cittadino a goderedi una prestazione, a fronte dell'esistenza di presupposti individuati dalla legge.Pensiamo per es. all'ammissione degli studenti all'università o all'ammissione deipazienti al ricovero ospedaliero.

◦ l'autorizzazione, che è un provvedimento con cui la PA rimuove un limite/ostacolo

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all'esercizio di un diritto del quale il destinatario del provvedimento stesso è già titolare.L'autorizzazione è richiesta dal cittadino ed è rilasciata dalla PA dopo una verifica dellaconformità dell'esercizio del diritto agli interessi pubblici (più tecnicamente si parla aproposito di “controlli conformativi”). Una parte della dottrina ha affermato che i dirittiinteressati dalle autorizzazioni sono “diritti in attesa di espansione” che esistono in capoai cittadini, ma per essere esercitati concretamente e pienamente richiedono la rimozionedi ostacoli da parte della PA attraverso l'autorizzazione. Le autorizzazioni nella realtàpratica possono essere indicate anche con i termini “licenze”, “permessi”, “nullaosta”:possiamo dire che tutti questi termini sono sostanzialmente sinonimi. Sono esempi diautorizzazioni la licenza commerciale per l'apertura di un supermercato (che rimuovel'ostacolo all'esercizio del diritto di libertà economica) e il permesso edilizio (cherimuove l'ostacolo all'esercizio del diritto di costruire o ius edificandi, correlato al dirittodi proprietà del fondo su cui si vuole costruire). Le autorizzazioni sono necessarie soprattutto per lo svolgimento di attività economiche.A partire dagli anni novanta, però, molte attività economiche (imprenditoriali,commerciali, artigiane) sono diventate attività libere sottoposte ad un regime dicomunicazione preventiva: cioè sono attività che per essere esercitate non richiedonouna previa autorizzazione da parte della PA, ma contestualmente ad averle iniziate, ilcittadino deve darne avviso alla PA. Più precisamente, il cittadino deve effettuare lasegnalazione certificata di inizio attività (SCIA) con la quale avvisa la PA di averiniziato l'attività e autocertifica il proprio rispetto dei presupposti eventualmente previstidalla legge per lo svolgimento di quell'attività (potendo, però, autocertificare soltanto ilrispetto di requisiti effettivamente rispettati, con la conseguenza che la falsacertificazione di requisiti non posseduti fa sorgere una responsabilità penale in capo alcittadino stesso). Ricevuta la segnalazione, la PA ha 60 giorni di tempo per verificareeventualmente l'effettivo rispetto dei presupposti previsti dalla legge e in caso dimancato rispetto, la PA può richiedere al cittadino di conformarsi ai presupposti entroun certo termine e se la conformazione non avviene, la PA stessa può emanare unprovvedimento motivato di divieto della prosecuzione dell'attività. Inoltre va detto cheanche oltre i 60 giorni dal ricevimento della segnalazione, la PA può adottareprovvedimenti interdittivi nei confronti del cittadino, qualora ciò sia necessario pertutelare l'ambiente, il paesaggio, il patrimonio artistico-culturale, la salute e la sicurezzapubblica. Attualmente la SCIA è disciplinata dall'art. 19 della legge 241/1990. Quindinelle attività economiche libere sottoposte a comunicazione preventiva, la PA non deveemanare un'autorizzazione ex ante (cioè prima che si inizi lo svolgimento dell'attività),ma può emanare un divieto ex post (cioè dopo si è iniziato lo svolgimento dell'attività).Sono attività libere sottoposte alla comunicazione preventiva ad es. l'attività di piccolocommercio al dettaglio, l'attività di affittacamere, l'attività di distribuzione di carburante.

◦ la concessione, che è un provvedimento con cui la PA attribuisce ex novo o trasferisce alcittadino la titolarità di una posizione di vantaggio. Se la PA attribuisce ex novo alcittadino una posizione di vantaggio (es. un'onorificenza), la concessione è dettaconcessione costitutiva; mentre se la PA trasferisce al cittadino un diritto o un potere delquale la PA è titolare, la concessione è detta traslativa (es. la concessione dell'uso di unaspiaggia per installarci uno stabilimento balneare). Le concessioni traslative sonocertamente le più frequenti e le più rilevanti. Un'ulteriore classificazione delleconcessioni può essere fatta in base al loro oggetto. Sotto questo punto di vista, sidistinguono:▪ le concessioni di beni, che sono quelle che hanno ad oggetto l'attribuzione o il

trasferimento di diritti d'uso su beni demaniali (es. la concessione dell'uso di unaspiaggia per installarci uno stabilimento balneare o la concessione dell'uso di un

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pontile per installarci un attracco per le imbarcazioni); ▪ le concessioni di servizi, che sono quelle che hanno ad oggetto il trasferimento della

gestione di un servizio pubblico (come ad es. la distribuzione dell'energia o l'attivitàfarmaceutica) e con le quali la PA realizza le c.d. “esternalizzazioni”;

▪ le concessioni di lavori, che sono quelle che hanno ad oggetto l'attribuzione alcittadino della costruzione e della gestione di un'infrastruttura o di un'altra operapubblica (es. la costruzione e la gestione di un'autostrada o di un inceneritore) che ilcittadino deve realizzare e gestire a proprie spese, applicando poi un prezzo perl'utilizzo dell'infrastruttura o dell'opera da parte di terzi, di modo che da tale prezzo ilcittadino possa trarre un guadagno (pensiamo ai pedaggi autostradali pagati dai terziche utilizzano l'autostrada).

La concessione viene rilasciata dalla PA al cittadino a seguito di una richiesta delcittadino: con il rilascio della concessione si instaura tra PA e cittadino un rapportogiuridico amministrativo nel quale la PA è detta concedente e il cittadino è dettoconcessionario. In tale rapporto giuridico amministrativo, la situazione giuridicasoggettiva del cittadino nei confronti della PA può essere tendenzialmente qualificatacome un interesse legittimo. Nei confronti dei terzi, invece, il cittadino concessionariovanta una situazione giuridica soggettiva che va qualificata come un diritto soggettivo.Ciononostante tutte le controversie correlata alla concessione, rientrano nellagiurisdizione del giudice amministrativo; sia quelle relative all'interesse legittimo, siaquelle relative al diritto soggettivo. Nelle concessioni più delicate (per via della durataper un tempo significativo e/o per via del loro oggetto), il rapporto tra PA e cittadino èanaliticamente disciplinato da una convenzione che accede alla concessione (ed è dettanormalmente capitolato di concessione) e che regola i casi e le modalità di revoca dellaconcessione ed indica i diritti e i doveri di PA e cittadino (tra cui ad es. vi sono l'obbligodel cittadino di pagare un canone, l'obbligo della PA di effettuare investimenti persostenere il cittadino, il diritto della PA all'informazione e alla verifica sull'attività delcittadino). In relazione alle concessioni interessate da questo rapporto, una parte didottrina parla di “concessioni-contratto”. Possiamo dire che l'UE spinge gli Stati membri a ridurre il ricorso alle concessioni perprivilegiare il ricorso alle autorizzazioni: le concessioni, infatti, sono provvedimenticaratterizzati da un maggior tasso di discrezionalità della PA rispetto al tasso presentenelle autorizzazioni e l'UE vuole limitare il più possibile la discrezionalità degli Statimembri per garantire la primazia dell'UE stessa e del suo diritto.

L'invalidità del provvedimento amministrativoIn prima approssimazione, il provvedimento amministrativo può dirsi valido o legittimo quando èconforme al paradigma normativo che lo disciplina (contenuto in leggi e regolamenti, ma ancheCostituzione, norme europee ed eventuali norme di enti locali); mentre il provvedimentoamministrativo può dirsi invalido o illegittimo quando non è conforme al paradigma normativo chelo disciplina. Un provvedimento valido è perfettamente efficace; mentre un provvedimento invalidonon è efficace oppure potrebbe perdere la propria efficacia (a seconda dei casi). La dottrina hasempre suddiviso l'invalidità del provvedimento amministrativo in più forme. Le formetradizionalmente e pacificamente riconosciute sono due: la nullità e l'annullabilità. Tali forme sonoanche riconosciute e disciplinate dalla legge 241/1990 rispettivamente agli articoli 21 septies e 21octies (entrambi aggiunti nel 2005). Parte della dottrina, però, ha anche individuato come forme diinvalidità del provvedimento, l'inesistenza e la mera irregolarità. Entrambe queste forme diinvalidità non hanno, però, una rilevanza pratica apprezzabile: infatti l'inesistenza produce le stesseconseguenze della nullità; mentre la mera irregolarità non produce di fatto alcuna conseguenza.Dell'inesistenza ci occuperemo più avanti, quando parleremo della nullità; mentre è bene fin da ora

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definire la mera irregolarità: la mera irregolarità sarebbe un difetto minimo e sanabile delprovvedimento che lo rende difforme dal suo paradigma normativo, ma non lo rende lesivo degliinteressi pubblichi tutelari dal suo paradigma normativo e, pertanto, non produce nessunaconseguenza sul provvedimento stesso (un es. di mera irregolarità potrebbe essere la mancanza delbollo su un provvedimento da notificare oppure un altro esempio potrebbe essere l'errore nella datadel provvedimento). Escludendo, quindi, la considerazione della mera irregolarità e rimandando adaccenni successivi per l'inesistenza, possiamo ora concentrarci sulle due forme riconosciute diinvalidità, che sono quelle considerate anche dalla legge 241/1990 e cioè la nullità e l'annullabilità.La nullità è la forma di invalidità più radicale che fa sì che l'atto non possa mai produrre alcuneffetto, indipendentemente dal fatto che la nullità sia rilevata o meno con una sentenza del giudice.L'eventuale sentenza del giudice che rileva la nullità (sentenza che tra l'altro può sempre arrivare,perchè l'azione per far rilevare la nullità non è sottoposta a termini) sarà, quindi una sentenza convalenza meramente dichiarativa, che non costituisce una nuova situazione giuridica, ma prende attodi una situazione giuridica già esistente e cioè la situazione in forza della quale il provvedimentonullo non è in grado di produrre alcun effetto. L'annullabilità è, invece, una forma di invalidità piùtenue che fa sì che il provvedimento, pure se invalido/illegittimo, possa comunque produrre effetti,ma che tali effetti entro un certo tempo possano essere rimossi e che, contestualmente allarimozione degli effetti prodotti, sia pure eliminato il provvedimento, di modo che esso non possaneanche più produrre effetti nuovi. L'eliminazione del provvedimento e degli effetti da esso giàprodotti avviene attraverso l'annullamento, che può essere effettuato dalla PA d'ufficio oppure da ungiudice su istanza del cittadino che ne abbia interesse; in questo secondo caso il giudice annullerà ilprovvedimento attraverso una sentenza che ha una valenza costitutiva di una nuova situazionegiuridica (quella nella quale il provvedimento e i suoi eventuali effetti già prodotti vengono menodal mondo del giuridicamente rilevante). Come già accennato, però, la possibilità di mettere indiscussione il provvedimento annullabile è comunque circoscritta nel tempo e decorso tale tempo, ilprovvedimento non è più “attaccabile” e diventerà stabilmente produttivo di effetti, anche se viziatoe, quindi, “nato male ”. Normalmente il cittadino per impugnare davanti al giudice il provvedimentoannullabile, per ottenerne l'annullamento, ha 60 giorni di tempo dalla comunicazione delprovvedimento stesso (è questo il c.d. periodo di decadenza dal potere di impugnazione), ma visono casi particolari in cui il cittadino ha un tempo più lungo per impugnare davanti al giudice (c.d.periodo di prescrizione del potere di impugnazione) ed infine vi sono casi in cui il cittadino haanche un tempo di 120 giorni per fare un ricorso straordinario al Capo dello Stato perl'annullamento del provvedimento annullabile. Si è accennato che l'annullamento di unprovvedimento può essere effettuato (oltre che dal giudice a seguito di ricorso) anche dalla PAstessa di propria iniziativa ed in questo si parla si parla di annullamento d'ufficio. L'annullamentod'ufficio può essere effettuato dallo stesso organo che ha adottato il provvedimento oppuredall'organo a lui gerarchicamente superiore. La PA può annullare d'ufficio un provvedimento soloentro un termine ragionevole e specificando le ragioni di interesse pubblico che la spingonoall'annullamento stesso. Dopo aver visto le diverse conseguenze della nullità e dell'annullabilità, dobbiamo ora vedere lecause dell'una e dell'altra forma di invalidità; così come indicate rispettivamente agli articoli 21septies e 21 octies della legge 241/1990. Le cause di nullità del provvedimento sono:

1. la mancanza di un elemento essenziale dell'atto e, si ritiene anche, la mancanza di unelemento di struttura indispensabile come il dispositivo e la sottoscrizione.

2. il difetto di attribuzione, che si ha quando il provvedimento è assunto da un soggetto a cui lalegge non attribuisce il compito e la possibilità di assumere quel provvedimento. Un caso discuola di difetto assoluto di attribuzione è quello del Governo che emana una sentenza; inquanto così facendo il Governo esercita un'attribuzione che spetta alla magistratura e non alui. Nella pratica sono comuni i casi di difetto di attribuzione da parte degli organi dello

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Stato centrale che adottano un provvedimento amministrativo di attribuzione delle Regioni eviceversa di organi regionali che adottano un provvedimento amministrativo di attribuzionedello Stato. Proprio in riferimento al difetto di attribuzione, una parte della dottrina haelaborato la categoria dell'inesistenza del provvedimento. Per farlo la dottrina ha distinto ildifetto di attribuzione che porta alla nullità, dalla carenza di potere che porterebbeall'inesistenza. La carenza di potere si avrebbe quando un soggetto della PA assume unprovvedimento che non solo la legge non attribuisce a lui, ma non attribuisce neanche anessun altro soggetto della PA. In altri termini, il provvedimento assunto con carenza dipotere (e, pertanto, inesistente) sarebbe un provvedimento totalmente privo di una baselegislativa e, quindi, non previsto tra le attribuzioni di nessun soggetto della PA (e non solonon previsto tra le attribuzioni del soggetto della PA che lo ha assunto). Un provvedimentoinesistente non potrebbe produrre nessun effetto, indipendentemente dal fatto che unasentenza rilevi o meno la sua inesistenza. Un caso pratico in cui una parte di dottrina haparlato di inesistenza di un provvedimento per carenza di potere, è stato il caso di alcuniComuni che all'inizio degli anni settanta avevano diviso il proprio territorio in circoscrizionied avevano istituito organi di governo delle singole circoscrizioni, senza che nessuna leggeprevedesse tale possibilità (poi tale possibilità fu prevista qualche tempo da una legge del1976): il provvedimento di istituzione delle circoscrizioni comunali fu indicato comeinesistente, perchè emanato in carenza di potere; in quanto privo di una base legislativa cheprevedesse un'attribuzione di tale tipo di potere in capo al Comune o ad un altro soggettodella PA. Dato che le conseguenze dell'inesistenza sono le stesse di quelle della nullità(impossibilità di produrre qualunque effetto) e dato che la legge 241/1990 non fa riferimentoall'inesistenza (né fa riferimento ad essa qualche altra legge), la dottrina maggioritaria nonprende in considerazione tale forma di invalidità come una forma ulteriore rispetto allanullità. Allo stesso modo può essere considerato inutile distinguere tra difetto di attribuzionee carenza di potere: in entrambi i casi il provvedimento è assunto da un soggetto che non neaveva l'attribuzione e, pertanto, il provvedimento non produce mai alcun effetto.

3. violazione o elusione di giudicato, che si ha quando un provvedimento è assunto a seguito diun giudicato su un provvedimento precedente e nell'assumere tale nuovo provvedimento, laPA contrasta direttamente il giudicato oppure lo ottempera solo formalmente (mentresostanzialmente lo contrasta o comunque non lo rispetta). É bene precisare che con iltermine giudicato ci si riferisce ad una sentenza che non può più essere impugnata, perchèsono già stati esperiti i mezzi di impugnazione dati oppure perchè tali mezzi non sono statiesperiti, ma il tempo per farlo è decorso.

4. altri casi espressamente previsti dalla leggeLe cause di annullabilità del provvedimento sono:

1. l'incompetenza, che si ha quando il provvedimento è assunto da un soggetto che ha unambito di operatività ben individuato e circoscritto dalla legge, ma nell'assumere ilprovvedimento fuoriesce da tale ambito. L'ambito può riguardare un territorio, una materia oun grado e, quindi, conseguentemente l'incompetenza può essere per territorio, per materia oper grado. Un es. di provvedimento viziato da incompetenza per territorio può essere quellodel provvedimento assunto da un prefetto, ma che riguarda anche il territorio della prefetturaattigua. Esempi di provvedimenti viziati da incompetenza per materia possono essere,invece, quello di un provvedimento che riguarda lo sviluppo economico, ma è emanato dalMinistro dell'Economia oppure ancora quello di un provvedimento emanato dall'Antitrust,ma che riguardava la concorrenza del mercato mobiliare (e, quindi, rientra nella competenzadella CONSOB). Un discorso più preciso merita, invece, l'incompetenza per grado cherileva nel caso degli enti e degli organi della PA che sono organizzati sulla base di unastruttura gerarchica. In tali casi il superiore gerarchico incorpora in sé le competenze proprieed anche quelle dell'inferiore gerarchico e, quindi, può sempre avocare a sé la possibilità di

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assumere legittimamente un provvedimento che rientrerebbe nella competenza dell'inferioregerarchico. Non vale, invece, il viceversa; nel senso che l'inferiore non può adottare unprovvedimento che rientra nella competenza del superiore gerarchico e se lo fa, quelprovvedimento è viziato da incompetenza per grado. L'incompetenza per grado può, però,essere sanata dal superiore gerarchico attraverso la ratifica del provvedimento; con la qualeil superiore gerarchico riconosce il provvedimento come se l'avesse correttamente assuntolui.

2. l'eccesso di potere, che è un vizio che riguarda solo i provvedimenti discrezionali e puòassumere diverse forme di manifestazione. Esse sono:

a) lo sviamento di potere. Lo sviamento di potere è la forma di manifestazioneprincipale di eccesso di potere (potremmo dire: il prototipo dell'eccesso di potere) esi ha quando il provvedimento viene assunto per perseguire un fine diverso da quelloattribuito al provvedimento dalla legge. Si è già detto che, in virtù del carattere dellatipicità (corollario ed espressione del principio di legalità), quando la leggeattribuisce alla PA il potere di assumere un provvedimento, deve anche indicarequale è il fine per perseguire il quale la PA deve servirsi di quel provvedimento(ovviamente il fine consisterà nella cura di un certo interesse pubblico). Quando laPA utilizza il provvedimento per un fine diverso da quello per il quale dovrebbeessere utilizzato quel provvedimento per previsione della legge, si realizza losviamento di potere: pertanto il provvedimento sarà annullabile. Va sottolineato chesi ha sviamento di potere quando la PA assume il provvedimento per perseguire unfine diverso da quello individuato dalla legge, indipendentemente dal fatto che ildiverso fine perseguito sia un fine privato oppure un altro fine pubblico. Le altre forme di eccesso di potere che si affiancano allo sviamento di potere sonostate definite dalla giurisprudenza come “non delle vere e proprie forme di eccesso dipotere, ma come delle forme sintomatiche dell'eccesso di potere”.

b) l'insufficienza, l'ambiguità, la contraddittorietà, l'apoditticità della motivazione delprovvedimento. Abbiamo già detto che l'art. 3 della legge 241/1990 stabilisce cheogni provvedimento deve avere una motivazione che indica i presupposti di fatto e leragioni giuridiche che hanno spinto la PA ad assumere la decisione contenuta nelprovvedimento: pertanto la mancanza totale della motivazione determinata il viziodella violazione di legge (in particolare del menzionato art.) da parte delprovvedimento (che è anch'esso una causa di annullabilità). Invece la presenza di unamotivazione che sia, però, insufficiente e/o ambigua e/o contraddittoria e/o apoditticadetermina il vizio dell'eccesso di potere. Bisogna dire che prima della legge241/1990 anche la mancanza totale della motivazione poteva comportare perdeterminati provvedimenti il vizio di eccesso di potere. Vediamo di spiegare ilperchè. Prima della legge 241/1990 non vi era una norma generale che stabiliva cheogni provvedimento doveva essere motivato, ma vi erano norme specifiche cheprevedevano che singoli provvedimenti dovessero essere motivati. Lagiurisprudenza, però, aveva sempre richiesto una motivazione (quantomeno succinta)di ogni provvedimento. La motivazione, infatti, permette al destinatario delprovvedimento e agli eventuali terzi toccati dal provvedimento di conoscere leragioni che hanno sorretto la decisione della PA e, quindi, di poter eventualmenteimpugnare in modo consapevole e potenzialmente più incisivo il provvedimentostesso, qualora siano da esso danneggiati. Quindi anche prima della legge 241/1990di fatto tutti i provvedimenti dovevano avere la motivazione; solo che alcunidovevano avere la motivazione per specifica previsione della legge, mentre altridovevano avere la motivazione per previsione generale della giurisprudenza: quandoun provvedimento che doveva essere motivato per previsione specifica della legge

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non aveva la motivazione, il vizio da cui era affetto il provvedimento era quello diviolazione della legge; mentre quando un provvedimento che doveva essere motivatoper previsione generale della giurisprudenza non aveva la motivazione, il vizio dacui era affetto il provvedimento era quello dell'eccesso di potere. Comunque ad oggi(visto che la legge prevede per tutti i provvedimento l'obbligo di motivazione) lamancanza di motivazione è sempre un vizio di violazione della legge (in particolaredell'art. 3 della legge 241/1990); mentre la insufficienza e/o ambiguità e/ocontraddittorietà e/o apoditticità della motivazione presente è un vizio di eccesso dipotere. É bene specificare che la motivazione è: insufficiente, quando non èabbastanza analitica nell'indicazione dei presupposti e delle ragioni della decisione;ambigua, quando non è chiara; contraddittoria quando non corrisponde al dispositivoo quando non è coerente con sé stessa; apodittica quando si limita ad indicare lenorme che il provvedimento ha applicato, senza indicare le ragioni della scelta dellenorme da applicare.

c) il difetto di istruttoria, che si ha quando il provvedimento è adottato dalla PA senzaporre in essere l'attività di istruttoria; cioè quell'attività volta ad accertare i fatti e glielementi rilevanti per l'adozione del provvedimento.

d) l'errore o il travisamento sui fatti, che si ha quando il provvedimento è adottato dallaPA basandosi su un'istruttoria che ha accertato male alcuni fatti. Ciò tipicamenteavviene quando la PA considera esistente un fatto che in realtà non esiste o viceversaquando la PA considera insistente un fatto che in realtà esiste.

e) l'ingiustizia e la disparità di trattamento, che si ha quando la PA adotta unprovvedimento che tratta in maniera diseguale casi analoghi. Secondo un parte delladottrina tale vizio dovrebbe essere considerato non come eccesso di potere, ma bensìcome violazione di legge; in quanto esso può esse considerato come un vizio che sisostanzia nella violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione.

f) la violazione delle norme interne che regolano il funzionamento interno della PA(tipicamente le direttive e le circolari). Il vizio della violazione delle norme interne èconsiderato eccesso di potere anziché violazione di legge, perchè il vizio dellaviolazione di legge si ha quando il provvedimento viola una norma contenuta in unafonte del diritto e le norme interne non sono considerate fonti del diritto.

É bene dire che il sindacato del giudice su un provvedimento viziato da eccesso di poterepuò di fatto portare il giudice a sindacare il provvedimento stesso non solo dal punto divista dei vizi di legittimità (cioè dei vizi fin qui indicati come vizi causanti la nullità ol'annullabilità), ma anche dal punto di vista dei vizi di merito. Il sindacato sul merito delprovvedimento sarebbe normalmente precluso al giudice: infatti il giudice può solosindacare la legittimità del provvedimento; mentre il merito può essere sindacato solodall'Amministrazione stessa. A questo punto è bene dire cosa sono i vizi di merito: essisono le difformità del provvedimento dalle regole extragiuridiche di buonaamministrazione. Tali regole sono sostanzialmente il principio di equità e giustizia, ilprincipio di proporzionalità e ragionevolezza, il principio di efficienza o economicità(che impone alla PA di raggiungere il maggior risultato con il minor numero di mezzi), ilprincipio di efficacia (che impone alla PA di raggiungere i propri obiettivi).

3. la violazione di legge, che è una categoria residuale nella quale rientrano tutte le difformitàdel provvedimento dal suo paradigma normativo, le quali non siano rappresentatedall'incompetenza o dall'eccesso di potere (e non siano neanche tali da causare la nullità).Nell'espressione “violazione di legge”, il termine “legge” non va inteso come “legge insenso formale”, ma bensì come “qualunque tipo di norma sul provvedimento che siacontenuta in una fonte del diritto”. Pur essendo una categoria residuale (che, quindi, di persé non è suscettibile di essere sviscerata con un elenco), possiamo dire che nella prassi il

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vizio della violazione di legge viene evocato soprattutto in due casi: il primo caso è (comegià detto) quello della mancanza totale di motivazione nel provvedimento; mentre il secondocaso è quello del provvedimento adottato da un organo collegiale senza rispettare il quorumcostitutivo e/o il quorum deliberativo fissato dalla legge.

IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

Il concetto di procedimento amministrativoIl procedimento amministrativo è l'insieme degli atti e delle attività posti in essere dalla PA peremanare un provvedimento amministrativo. Gli atti e le attività che compongono il procedimentosono, quindi, accomunati da un legame funzionale; nel senso che sono tutti volti alla stessa funzioneche è quella di portare all'emanazione del provvedimento. Il procedimento a sua volta ha un legamestrumentale con il provvedimento; nel senso che è posto in essere al fine di portare alprovvedimento. Il procedimento amministrativo è attualmente disciplinato dalla legge 241/1990(che è stata, poi, più volte modificata): tale legge è stata elaborata da una commissione di esperti,presieduta da Nigro, ed è stata ispirata dalla legge federale tedesca sul procedimento amministrativorisalente al 1976. Prima dell'approvazione della legge 241/1990 non vi era una legge che regolassein maniera generale il procedimento amministrativo: vi erano solo leggi che regolavano singoliprocedimenti in maniera specifica (ad es. vi era la legge che regolava il procedimento diespropriazione e la legge che regolava il procedimento disciplinare verso i dipendenti pubblici). Lagiurisprudenza, però, aveva nel tempo elaborato delle regole generali per tutti i procedimenti(basandosi spesso sulle leggi relative a procedimenti specifici). Molte delle regole elaborate dallagiurisprudenza sono, poi, confluite nella legge 241/1990. E' bene sottolineare che la legge 241/1990al suo ultimo articolo (che è l'art. 29) indica il suo ambito applicativo. Nel farlo, l'art. 29 comma 1afferma che la legge 241/1990 è applicabile ai procedimenti amministrativi posti in essere dagli entipubblici nazionali e dai soggetti della PA in senso ampio: non anche, quindi, ai procedimenti postiin essere dagli enti pubblici locali (Regioni, Province, Comuni), che per altro nella realtà praticasono ormai la maggioranza dei procedimenti. Ciò potrebbe significare che i procedimenti posti inessere dagli enti locali possano essere disciplinati da norme locali che possono ignorare leprevisioni della legge 241/1990. In realtà, però, non è così; in quanto ai commi dal 2 al 2 quater,l'art. 29 della legge 241/1990 precisa che alcune disposizioni della legge stessa si applicano anche aiprocedimenti posti in essere da enti locali (ad es. le disposizioni sugli accordi conclusivi delprocedimento) e che le altre disposizioni (ad es. quelle sulla partecipazione al provvedimento,quelle sul silenzio significativo e quelle sulla conferenza di servizi) sono comunque inderogabili inpeggio dagli enti locali; in quanto rientranti nei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili(cioè connessi allo stato di cittadinanza) ex art. 117 comma 2 lett. M della Costituzione. Alla luce diciò, possiamo concludere che di fatto le disposizioni della legge 241/1990 sui procedimentiamministrativi valgono per tutti i procedimenti indipendentemente dal fatto che essi siano posti inessere da enti pubblici nazionali o da enti pubblici locali.

La struttura del procedimento amministrativoIl procedimento amministrativo ha una struttura divisa in fasi e sottofasi, che è stato messa in lucenegli anni quaranta da Sandulli. Le fasi del procedimento sono:

1. la fase preparatoria, che a sua volta si divide in due sottofasi e cioè la sottofase dell'iniziativae la sottofase dell'istruttoria. La sottofase dell'iniziativa è quella in cui vi è l'avvio formaledel procedimento. A seconda dei casi, il procedimento può essere avviato su decisionespontanea della PA (c.d. avvio d'ufficio) oppure su richiesta o istanza di parte. La sottofasedell'istruttoria è quella in cui la PA accerta i fatti, gli interessi e le norme rilevanti per ilprocedimento. I fatti possono essere semplici oppure complessi: sono semplici quandoconsistono in un unico accadimento; mentre sono complessi quando consistono in una

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pluralità di accadimenti connessi.2. la fase costitutiva o conclusiva, che è la fase nella quale viene presa la decisione che sarà

contenuta nel provvedimento e, quindi, viene assunto il provvedimento. Il provvedimento aquesto punto si dice che è perfetto. In alcuni casi il provvedimento a questo punto è ancheefficace; mentre in altri casi il provvedimento è efficace solo a seguito di una terza fase cheè la fase di integrazione dell'efficacia.

3. la fase di integrazione dell'efficacia, che è una fase eventuale nella quale il provvedimentoassunto viene sottoposto ad una certa attività che è necessaria per renderlo efficace. Ad es. invirtù dell'art. 21 bis della legge 241/1990 tutti i provvedimenti restrittivi della sfera giuridicadel destinatario, una volta assunti, non sono immediatamente efficaci, ma necessitano diessere portati a conoscenza legale del destinatario (tramite comunicazione o notificazione):la fase in cui si porta il provvedimento a conoscenza del destinatario è, quindi, la fase diintegrazione dell'efficacia. Un altro comune caso di fase di integrazione dell'efficacia èquello relativo ai procedimenti che portano all'assunzione di un provvedimento che peressere efficace deve essere sottoposto al controllo di un apposito organo della PA, il qualevaluta in maniera preventiva la legittimità del provvedimento stesso (ed ovviamente se ilprovvedimento supera il controllo, diventa efficace).

Le classificazioni del procedimento amministrativoE' possibile operare diverse classificazioni dei procedimenti amministrativi:

1. procedimenti avviati d'ufficio e procedimenti avviati su istanza di parte. I procedimentiavviati d'ufficio iniziano sulla base di un'iniziativa della PA; mentre i procedimenti avviatisu istanza di parte iniziano sulla base di una richiesta di un cittadino. Possiamo dire inquesta sede che (in virtù dell'art. 10 bis della legge 241/1990) nei procedimenti avviati suistanza di parte, nei casi in cui a seguito della sottofase istruttoria, la PA ritiene di doverrespingere l'istanza (e, quindi, di assumere un provvedimento negativo per il cittadino), deveprima di respingere effettivamente l'istanza (quindi prima di assumere effettivamente ilprovvedimento negativo) comunicare al cittadino i motivi che la spingerebbero a respingerel'istanza e permettere al cittadino di presentare entro 10 giorni osservazioni e/o documentiche possano spingere la PA a non respingere l'istanza. Per spingere la PA ad accoglierel'istanza (e, quindi, ad assumere un provvedimento positivo), le osservazioni e/o i documentipresentati dal cittadino possono muoversi in due direzioni: o modificare l'istanza per farvenir meno i motivi indicati dalla PA come ostativi dell'accoglimento dell'istanza stessa onon modificare l'istanza e cercare di convincere la PA che i motivi da lei indicati comeostativi dell'accoglimento dell'istanza sono in realtà infondati.

2. procedimenti a carattere contenzioso e procedimenti a carattere non contenzioso. Iprocedimenti a carattere contenzioso sono quelli nei quali vi è un contraddittorio tra la PA eil cittadino che esprimono i loro punti di vista tendenzialmente opposti. Sono procedimenticontenziosi tipicamente i procedimenti basati sul ricorso di un cittadino in viaamministrativa (cioè rivolgendosi ad un organo della PA, anziché ad un giudice) per ottenerela tutela di una situazione giuridica soggettiva per la quale non è data la tutelagiurisdizionale oppure per la quale è data alternativamente la tutela giurisdizionale e latutela in via amministrativa. Vi sono, poi, anche altri procedimenti contenziosi, come ad es.il procedimento disciplinare verso i dipendenti pubblici. I procedimenti amministrativicontenziosi sono dei procedimenti che si avvicinano molto ai processi: pertanto ci si èchiesti se vale anche per tali procedimenti un principio analogo a quello del giusto processo.In dottrina e in giurisprudenza si è discusso per molto tempo su tale problema (ma la tesipredominante, soprattutto in giurisprudenza, tendeva ad essere quella dell'inesistenza di unsimile principio), fino a quando non è stata elaborata nel 2000 dall'UE la Carta di Nizza (poiincorporata nel Trattato di Lisbona del 2007) che prevede il principio del due process of law

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che è sostanzialmente il principio del giusto procedimento amministrativo: il procedimento èconsiderato giusto quando il cittadino è informato del suo inizio e del punto di vista dellaPA; il cittadino ha la possibilità di replicare alla PA, facendo valere il proprio punto di vistaopposto; il cittadino ha diritto a ricevere, al termine del procedimento, un provvedimentomotivato. Il principio del due process of law contenuto nella Carta di Nizza ha valore nelnostro ordinamento, perchè è contenuto in una fonte di diritto originario dell'UE che, quindi,si colloca al massimo livello del nostro sistema delle fonti.

3. procedimenti di primo grado e procedimenti di secondo grado. I procedimenti di primogrado sono quelli che portano all'assunzione di un provvedimento amministrativo. Una voltache è assunto, il provvedimento può, poi, essere sottoposto ad un riesame da parte della PA etale riesame è svolto attraverso un procedimento di secondo grado (così chiamato perchè èun procedimento che si basa su un provvedimento già assunto in un precedenteprocedimento). Il riesame di un provvedimento può essere effettuato dalla PA di propriainiziativa oppure su istanza di parte e può portare all'annullamento del provvedimento daparte della PA stessa (che per essere distinto dall'annullamento ad opera del giudice, èdefinito “annullamento d'ufficio”), alla revoca del provvedimento, alla rettifica delprovvedimento, alla riforma del provvedimento. La revoca e l'annullamento d'ufficio sonodisciplinati rispettivamente dagli articoli 21 quinquies e 21 nonies della legge 241/1990, chesono stati aggiunti nel 2005. La rettifica e la riforma del provvedimento, invece, non sonodisciplinate da nessuna norma, ma sono ipotesi elaborate dalla dottrina sulla basedell'osservazione della realtà pratica. Ai noi interessa soprattutto analizzare la revoca el'annullamento d'ufficio, ma è bene prima indicare cosa sono la rettifica e la riforma: larettifica del provvedimento consiste nella modifica del provvedimento nei suoi elementiformali o minori; mentre la riforma del provvedimento consiste nella modifica delprovvedimento nei suoi elementi sostanziali di merito. A questo punto possiamoconcentrarci sulla revoca e sull'annullamento d'ufficio. Sia la revoca, sia l'annullamentod'ufficio devono essere motivati e devono avvenire con il minor sacrificio possibile degliinteressi privati dei cittadini ed in particolari con il minor sacrificio possibiledell'affidamento che i cittadini stessi avevano maturato circa l'esistenza e l'efficacia delprovvedimento. Al di là di questi due punti comuni, la revoca e l'annullamento d'ufficio sidifferenziano relativamente a:

◦ le conseguenze da loro comportate. In particolare l'annullamento d'ufficio impedisceal provvedimento di produrre nuovi effetti e fa venire meno gli effetti già prodotti;mentre la revoca impedisce al provvedimento di produrre nuovi effetti, ma non favenir meno gli effetti già prodotti (tra l'altro se la cessazione della produzione dieffetti del provvedimento a seguito della revoca, danneggia un cittadino, la PA èobbligata ad indennizzare tale cittadino).

◦ i presupposti che li giustificano. In particolare l'annullamento d'ufficio può esseredisposto, entro un termine ragionevole dall'adozione del provvedimento, quando ilprovvedimento stesso presenta un vizio previsto dall'art. 21 octies della legge241/1990 come fondante di un annullamento del provvedimento già da parte delgiudice; mentre la revoca può essere disposta quando sopravvengono nuovi interessipubblici diversi da quello su cui si fonda il provvedimento oppure quando si effettuauna diversa valutazione dell'interesse pubblico sul quale si fonda il provvedimentooppure quando vi è un mutamento della situazione d fatto che era esistente almomento dell'assunzione del provvedimento.

4. procedimenti semplici e procedimenti complessi. I procedimenti semplici sono quelli neiquali opera una sola amministrazione che è chiamata a svolgere un'istruttoria circoscritta peradottare un provvedimento che incide su uno o comunque su pochi interessi pubblici. Invecei procedimenti complessi (come ad es. quelli per l'approvazione dei progetti di costruzione

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di grandi opere pubbliche; quali strade, ferrovie, centrali) hanno quattro caratteristiche: a) inessi operano più amministrazioni che devono raggiungere intese e concerti, che devonoemanare pareri, che devono emanare nullaosta o assensi variamente denominati; b) essiincidono su un fascio ampio di interessi pubblici; c) la loro sottofase istruttoria è “ampia epesante” ed in essa può succedere che operi più di una tra le amministrazioni coinvolte nelprocedimento; d) dopo l'apporto di tutte le amministrazioni coinvolte, l'adozione delprovvedimento finale avviene ad opera di un'unica amministrazione (che è detta“amministrazione procedente”), ma tale provvedimento a seconda dei casi può essereaffiancato anche da altri atti idonei a produrre effetti giuridici esterni e che sono adottatidurante il procedimento da altre amministrazioni tra quelle coinvolte (una parte delladottrina in questo ultimo caso ritiene che non si possa parlare più di un unico procedimentocomplesso, ma si debba parlare di più procedimenti autonomi collegati dal raggiungimentodi un risultato unitario). Va rilevato che i procedimenti complessi pongono il problema del coordinamento delle varieamministrazioni che operano nei procedimenti stessi. La legge 241/1990 cerca di risolveretale problema attraverso lo strumento della conferenza di servizi (disciplinata agli artt. 14-14quinquies). La conferenza di servizi consiste in una o più riunioni dei rappresentanti delleamministrazioni coinvolte nel procedimento che sono chiamate a confrontarsi e araggiungere le intese e i concerti necessari, a rilasciare i pareri e gli assensi richiesti; dimodo che in un unico momento e con coordinazione siano svolti tutti gli adempimentinecessari per permettere all'amministrazione procedente di assumere il provvedimentofinale. Alla conferenza di servizi possono anche partecipare i cittadini interessati alprovvedimenti da assumere o portatori di interessi che possono essere pregiudicati dalprovvedimento da assumere; però tali cittadini, pur potendo partecipare alla conferenza, nonhanno un diritto di voto e, quindi, di fatto non possono influenzarla più di tanto. Laconferenza di servizi viene convocata dall'amministrazione procedente quando lo ritienenecessario e comunque obbligatoriamente quando essa abbia fatto richiesta dei pareri e degliassensi e tali pareri e assensi non le siano ancora stati rilasciati dopo 30 giorni dallarichiesta. Nei procedimenti complessi che hanno ad oggetto l'adozione di un provvedimentoautorizzativo per l'avvio di un'attività, la conferenza deve anche essere convocatadall'amministrazione procedente quando ne faccia domanda il cittadino che ha richiesto ilprovvedimento autorizzativo stesso. Durante la conferenza, le varie amministrazionicoinvolte esprimono le loro posizioni che vengono riportate in un verbale, che sostituiscetutti i pareri e gli assensi richiesti e sulla base del quale l'amministrazione procedente deveadottare il provvedimento conclusivo del procedimento. Se un'amministrazione coinvoltanel procedimento non si presenta alla conferenza, la sua assenza determina un effetto disilenzio assenso in relazione al parere o all'assenso che essa doveva rilasciare. Cosa succede,invece, se un'amministrazione coinvolta nel procedimento partecipa alla conferenza edesprime un dissenso? Fino al 2005, il dissenso di anche solo un'amministrazione coinvoltacomportava l'impossibilità dell'amministrazione procedente di assumere il provvedimento.Oggi non è più così: è, infatti, stabilito che l'amministrazione procedente può adottare ilprovvedimento anche con il dissenso di alcune amministrazioni coinvolte; in quanto perl'adozione del provvedimento non è necessario il consenso unanime delle amministrazionicoinvolti, ma è solo richiesto un consenso prevalente. A tale regola vi un'eccezione checonsiste nel fatto che se il dissenso è espresso da amministrazioni che sono preposte allatutela dell'ambiente e paesaggio, del patrimonio storico-artistico, della salute, dellaincolumità pubblica, allora l'amministrazione procedente non può adottare il provvedimento;a meno che il dissenso di quelle amministrazioni non sia superato dal Governo. Inoltre, se ildissenso è stato espresso in conferenza da un ente locale, il Governo deve cercare entro 30giorni di trovare un'intesa con quell'ente per superare il dissenso e se, poi, l'intesa non è

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trovata, il Governo può decidere da solo se superare o meno il dissenso. In conclusione va specificato che la conferenza di servizi di cui si è fin qui parlato (c.d.“conferenza di servizi decisoria”) non va confusa con la conferenza dei servizi c.d.“preliminare”. Quest'ultima conferenza può essere convocata su richiesta motivata di uncittadino interessato a realizzare un progetto di insediamento produttivo o un altro progettodi particolare complessità. In particolare, il cittadino può chiedere la convocazione di taleconferenza prima di presentare il progetto e lo può fare per chiedere alla conferenza dieffettuare uno studio di fattibilità sul progetto e di indicargli quali sono le condizioni perottenere il consenso al progetto; di modo che egli possa presentare il progetto stesso allaluce di tali condizioni.

L'istruttoriaCome si è già detto, l'istruttoria è la sottofase della fase preparatoria in cui la PA accerta i fatti(semplici e complessi), gli interessi e le norme rilevanti per il procedimento, volto ad emanare ilprovvedimento. In tale fase la PA fa rilievi ed accertamenti; acquisisce documenti, dichiarazioni ecertificazioni, reperendoli autonomamente o facendoseli consegnare dai cittadini (va sottolineatoche in virtù dell'art. 18 della legge 241/1990 la PA non può richiedere ai cittadini e, quindi, devereperire autonomamente i documenti dei quali è già entrata in possesso per qualunque motivo, ades. per un procedimento precedente); richiede pareri e valutazioni tecniche. In tale sede è bene fare alcune precisazioni sui pareri e sulle valutazioni tecniche (a cui sonodedicati gli artt. 16-17 della legge 241/1990). Come si è già detto, gli organi della PA possonoessere distinti tra organi di amministrazione attiva ed organo consultivi: i primi sono gli organi cheadottano i provvedimenti; mentre i secondi sono quelli che elaborarono pareri sui quali gli organi diamministrazione attiva possono o devono basarsi per l'adozione dei provvedimenti. I pareri possonoessere obbligatori o facoltativi: sono obbligatori quando la legge impone all'organo diamministrazione attiva di richiedere all'organo consultivo l'emanazione dei pareri stessi; mentresono facoltativi quando la legge non impone all'organo di amministrazione attiva di richiederel'emanazione dei pareri stessi, ma l'emanazione di tali pareri è richiesta liberamente evolontariamente dall'organo di amministrazione attiva (va precisato che l'organo di amministrazioneattiva può richiedere l'emanazione di pareri facoltativi solo se essi sono strettamente necessari perl'istruttoria; in quanto l'art. 1 comma 2 della legge 241/1990 sancisce il principio per cui ilprocedimento non può essere aggravato se non per straordinarie e motivate esigenze istruttorie). Nelcaso in cui l'organo di amministrazione attiva è obbligato a richiedere un parere, la mancatarichiesta del parere stesso determina un vizio nel procedimento e, quindi, di conseguenza un viziodel provvedimento eventualmente adottato al termine del procedimento. Se, invece, il parereobbligatorio è stato richiesto, il procedimento e il provvedimento saranno perfettamente validi.Nella maggior parte dei casi, inoltre, anche se la richiesta del parere è obbligatoria, il parere non è,poi, vincolante; nel senso che, una volta che lo ha richiesto, l'organo di amministrazione attiva puòanche non conformarsi a tale parere nell'elaborazione del provvedimento. Anzi, una volta effettuatala richiesta del parere obbligatorio, l'organo di amministrazione attiva può anche elaborare ilprovvedimento senza attendere l'elaborazione del parere da parte dell'organo consultivo, nel caso incui l'organo consultivo stesso non abbia ancora elaborato il parere dopo che sono trascorsi 20 giornidall'effettuazione della richiesta del parere da parte dell'organo di amministrazione attiva: ciò nonvale solo nel caso in cui siano in gioco la tutela dell'ambiente, del paesaggio, del territorio, dellasalute (in tali casi, quindi, l'organo di amministrazione attiva dovrà attendere il parere dell'organoconsultivo, anche oltre i 20 giorni dalla richiesta). Come accennato, oltre a richiedere pareri, nellasottofase istruttoria gli organi di amministrazione attiva possono o devono anche richiederevalutazione tecniche (es. una valutazione geologica o una valutazione di impatto ambientale), chedevono essere, poi, effettuate da soggetti esperti e dotati di particolari conoscenze tecnico-scientifiche. Una volta che l'organo di amministrazione attiva ha richiesto la valutazione tecnica ad

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un soggetto, se tale soggetto non effettua la valutazione entro 90 giorni, l'organo di amministrazioneattiva stesso può decidere di affidare la valutazione tecnica ad un altro soggetto: ciò non vale solonel caso in cui siano in gioco la tutela dell'ambiente, del paesaggio, del territorio, della salute. Concluso l'approfondimento su pareri e valutazioni, dobbiamo tornare a concentrarci sulla sottofaseistruttoria in generale. La fase istruttoria è affidata alla figura del responsabile del procedimento(disciplinata agli artt. 4 - 6bis della legge 241/1990). Il responsabile del procedimento vieneindividuato dal dirigente di ciascuna amministrazione e se il dirigente non individua espressamenteun responsabile del procedimento, tale ruolo spetta a lui stesso. Se il responsabile per ilprocedimento individuato dal dirigente si trova in una posizione di conflitto di interesse nellosvolgere l'istruttoria (perchè egli è portatore di un interesse privato contrastante con l'interessepubblico da perseguire), il responsabile del procedimento deve astenersi dallo svolgere i propricompiti (la legge non indica, però, le modalità concrete di astensione che, quindi, sono stabilitediscrezionalmente da ciascuna amministrazione). Il nominativo del responsabile del procedimentodeve essere comunicato al cittadino interessato al procedimento (cioè sostanzialmente aldestinatario del provvedimento da assumere con il procedimento) ed, inoltre, deve essere resoconoscibile da chiunque ne abbia interesse; per far fronte a tale ultimo scopo normalmente ilnominativo del responsabile viene indicato sul sito e/o nelle bacheche dell'amministrazione. Ilresponsabile del procedimento è l'interlocutore del cittadino interessato al procedimento e ciò fa sìche il rapporto tra il cittadino e la PA sia più “umanizzato”. Il responsabile del procedimento,inoltre, svolge i compiti indicati dall'art. 6 della legge 241/1990 e cioè: a) valuta la correttainstaurazione del procedimento; b) accerta i fatti, chiede dichiarazioni ed adotta tutte le misureidonee all'adeguato svolgimento dell'istruttoria; c) indice le conferenze di servizi; d) cura lecomunicazioni e le pubblicazioni relative al procedimento ed in particolare la comunicazione delprovvedimento; e) trasmette gli atti dell'istruttoria all'organo competente per l'adozione delprovvedimento (sempre che il responsabile del procedimento non sia lui stesso già competente adadottare il provvedimento). La fase istruttoria è aperta alla partecipazione di soggetti diversi dalla PA e, quindi, tipicamente aicittadini. La partecipazione al procedimento (disciplinata agli artt. 7-10 della legge 241/1990)svolge una duplice funzione: la prima è quella di permettere al cittadino di far conoscere alla PA ilproprio punto di vista per far sì che la PA possa tener conto di esso nell'assunzione della decisione(c.d. funzione della tutela anticipatoria); mentre la seconda è quella di permettere alla PA diassumere tramite il cittadino informazioni che da sola non avrebbe potuto avere e, quindi, diadottare una decisione migliore, perchè informata e consapevole (c.d. funzione di collaborazione ofunzione di rimozione delle asimmetrie informative). Alla luce delle due funzioni svolte, possiamodire che la partecipazione è certamente un elemento utile per il procedimento (in quanto lo rendetrasparente e potenzialmente in grado di portare ad una decisione migliore); però dobbiamo rilevareche la partecipazione ha anche l'effetto collaterale di appesantire e rendere meno celere ilprocedimento. Il meccanismo di attivazione della partecipazione è la comunicazione dell'avvio del procedimentoche la PA deve effettuare nei confronti: 1) del destinatario del provvedimento finale; 2) dei soggetti(che pur non essendo i destinatari del provvedimento) possono subire dal provvedimento deipregiudizi (perchè sono soggetti che si trovano in una posizione collegata a quella del destinatariodel provvedimento); 3) di altri eventuali soggetti che per legge devono intervenire. Ad es. l'avvio diun procedimento espropriativo dovrà essere comunicato al proprietario del fondo da espropriare(che è il destinatario del provvedimento di espropriazione), all'eventuale conduttore del fondo eall'eventuale titolare di una servitù di passaggio sul fondo (che sono soggetti che subisconopregiudizi dal provvedimento di espropriazione, pur non essendone i diretti destinatari). Lacomunicazione di avvio del procedimento deve indicare l'amministrazione competente, l'oggetto delprocedimento, il responsabile del procedimento, il termine finale del procedimento, l'ufficio pressoil quale si può prendere visione degli atti del procedimento. La comunicazione deve essere fatta

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personalmente ai soggetti che la devono ricevere, ma se il procedimento è un procedimento dimassa che interessa un numero ampissimo o indeterminato di soggetti (es. il procedimentoespropriativo di una zona molto estesa ai fini della costruzione di una ferrovia che attraversoun'intera regione) la comunicazione del procedimento può non avvenire personalmente a tutti isoggetti interessati, ma mediante forme di pubblicità di massa stabilite dalla PA (es. lapubblicazione su un quotidiano, su un sito internet, sull'albo pretorio del Comune). Ciò che èimportante, è che la comunicazione di avvio del procedimento ci sia sempre: infatti la mancatacomunicazione dell'avvio del procedimento comporta che il provvedimento assunto alla fine delprocedimento sia annullabile per violazione di legge (in particolare per violazione dell'art. 7 dellalegge 241/1990). A tale regola generale vi sono, però, due eccezioni; in virtù delle quali ilprovvedimento non è annullabile: 1) se la mancanza della comunicazione di avvio del procedimentoè imposta da particolari esigenze di celerità del procedimento (es. si deve allestire una tendopoli perfar fronte ad un terremoto); 2) se la PA dimostra che il provvedimento assunto è un provvedimentovincolato, il cui contenuto non poteva essere diverso a seguito della partecipazione dei cittadini chedovevano ricevere la comunicazione dell'avvio del procedimento per potervi potenzialmenteprendere parte. Come detto, la comunicazione di avvio del procedimento è il meccanismo di attivazione dellapartecipazione dei cittadini nel procedimento; in quanto chi riceve la comunicazione di avvio delprocedimento è legittimato a partecipare al procedimento stesso. Va, però, rilevato che possonoessere legittimati a partecipare al procedimento anche soggetti a cui la PA non deve darecomunicazione dell'avvio del procedimento, ma che sono comunque titolari di interessi collettivi odiffusi costituiti in associazioni oppure sono titolari di interessi pubblici che possano esserepregiudicati dal provvedimento: la legge 241/1990 si riferisce a tali soggetti con l'espressione“intervenienti” (pensiamo ad es. alle associazioni dei consumatori e degli utenti, alle associazioniambientaliste, alle associazioni di imprenditori, ai Comuni, alle sede locali dei partiti). A questo punto dobbiamo chiederci in cosa consiste la partecipazione al procedimento: tutti isoggetti che partecipano al procedimento (indipendentemente dal fatto che abbiano ricevuto lacomunicazione obbligatoria o che siano intervenuti senza aver ricevuto la comunicazione) possonoprendere visione degli atti del procedimento e presentare memorie e documenti che la PA hal'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento.

La conclusione del procedimentoLa legge 241/1990 dedica alla conclusione del procedimento il quasi mastodontico art. 2 formato difatto da tredici commi (va, infatti, fino al comma 9 quinquies). Tale art. si apre con il dire che la PAdeve chiudere il procedimento con un provvedimento espresso. In realtà il procedimento puòchiudersi anche con un silenzio significativo oppure con un accordo tra PA e cittadino: di queste dueeventualità, però, parleremo nel dettaglio fra poco. Ora è necessario dire che il procedimento deveconcludersi (in un modo piuttosto che in un altro tra quelli possibili) entro un certo termine, che èappunto detto termine finale del procedimento. L'art. 2 della legge 241/1990 pone una disciplinagenerale del termine finale del procedimento; nel senso che tale disciplina si applica laddovemanchino disposizioni legislative specifiche per il singolo procedimento. L'art. 2 stabilisceinnanzitutto che, in mancanza di una espressa previsione dell'amministrazione che si occupa delprocedimento, il termine finale di ogni procedimento è di 30 giorni dal momento in cui ilprocedimento è stato avviato d'ufficio o dal momento in cui la PA ha ricevuto l'istanza di avvio dalcittadino. L'art. 2, però, attribuisce a ciascuna amministrazione la possibilità di aumentare questotermine finale, tramite propri atti di regolazione: in caso di aumento comunque il termine finale nondeve di regola superare i 90 giorni. Tuttavia il limite massimo per il termine finale diventa di 180giorni, nei casi in cui la natura degli interessi pubblici e la complessità del procedimento lorichiedano. Durante il procedimento, il decorso del termine può essere sospeso una volta sola e perun massimo di 30 giorni, quando l'amministrazione debba acquisire specifiche informazioni o

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certificazioni. Il termine finale, salvo diversa previsione della legge, non è comunque un termineperentorio e, pertanto, il suo spirare non fa venire meno il potere-dovere della PA di portare aconclusione il procedimento. Tuttavia l'inosservanza del termine fa sorgere nei confronti della PAl'obbligo di risarcimento del danno nei confronti del cittadino. Il cittadino per ottenere ilrisarcimento deve rivolgersi al giudice amministrativo. La PA, dopo aver risarcito il danno alcittadino, può esercitare l'azione di regresso sul funzionario che è stato materialmente autore delmancato rispetto del termine finale. In caso di mancato rispetto del termine finale da parte delfunzionario, inoltre, il cittadino può rivolgersi al soggetto apicale rispetto al funzionario (talesoggetto è normalmente un dirigente) per chiedergli di concludere il procedimento entro un nuovotermine pari alla metà di quello originariamente previsto. La chiusura del procedimento con il silenzio significativo. Come detto, il provvedimento espressorappresenta la normale conclusione di un procedimento amministrativo. Può, però, accadere che laPA non concluda un procedimento con l'emanazione, entro il termine finale, di un provvedimentoespresso: si pone in questo caso la questione del silenzio della PA. Per molto tempo il silenzio dellaPA era considerato il frutto di un'inerzia della PA che non aveva rispettato il termine di emanazionedel provvedimento espresso a seguito di un'istanza di un cittadino e, pertanto, si parlava di“silenzio-inadempimento”: la PA era inadempiente al proprio obbligo di concludere il procedimentocon un provvedimento espresso (di accoglimento o di rigetto dell'istanza) e, pertanto, poteva esseresottoposta a responsabilità per il danno cagionato al cittadino che confidava nell'emanazione delprovvedimento entro il termine prestabilito (fermo restando il fatto che la PA aveva comunquesempre il potere-dovere di emanare il provvedimento espresso e, quindi, poteva farlo anche dopo iltermine). In anni più recenti sono stati previsti dei casi in cui il silenzio della PA diventasignificativo, nel senso che assume di fatto il valore di un provvedimento tacito: tali casi sono i casidi “silenzio-assenso” e di “silenzio-rigetto”. Nei casi di silenzio-assenso, se la PA entro il terminefinale non emette un provvedimento espresso circa la richiesta del cittadino, la richiesta delcittadino si intende accolta; mentre nei casi di silenzio-rigetto, se la PA entro il termine finale nonemette un provvedimento espresso circa la richiesta del cittadino, la richiesta del cittadino si intenderigettata. I casi di silenzio-assenso e i casi di silenzio-rigetto devono essere tassativamente previstidalla legge. Vi sono varie leggi specifiche che prevedono tali casi, ma in relazione al silenzio-assenso è fatta anche una previsione generale dall'art. 20 della legge 241/1990. Tale art. delinea lecaratteristiche fondamentali del silenzio-assenso e sostanzialmente stabilisce che esso non può maioperare in determinati casi (quelli in cui sono in gioco l'ambiente, il paesaggio, il patrimonioartistico-culturale, la salute, la sicurezza pubblica) e che in qualunque momento successivoall'operatività del silenzio-assenso, la PA può sempre annullare d'ufficio o revocare il tacitoaccoglimento della richiesta del cittadino, ove sia necessario. Per concludere il discorso sullachiusura del procedimento tramite il silenzio significativo, va detto che essa non è prevista in alcuniordinamenti giuridici (come ad es. la Germania e l'Inghilterra) che, quindi, prevedono comechiusura del procedimento alternativa all'emanazione del provvedimento espresso, solo quellatramite accordo. La chiusura del procedimento tramite accordo. La chiusura del procedimento tramite accordo èprevista dall'art. 11 della legge 241/1990. Quando il procedimento si chiude con un accordo,anziché con un provvedimento, la PA offre al cittadino una soluzione il cui contenuto è frutto di unamediazione con il cittadino stesso. L'accordo può sostituire soltanto i provvedimenti discrezionali,ma non anche i provvedimenti vincolati: per i provvedimenti vincolati, infatti, non c'è spazio dimediazione; in quanto alla presenza dei presupposti legali che fondano il provvedimento,quest'ultimo non può che essere emanato con il contenuto previsto dalla legge. L'accordo vienenormalmente proposto dal cittadino. Una volta che viene concluso l'accordo, però, la PA può semprerecedere unilateralmente da esso, se ciò è reso necessario da sopravvenuti motivi di interessepubblico (la PA deve comunque indennizzare il cittadino per eventuali danni che egli ha subito aseguito del recesso). L'accordo deve essere stipulato per iscritto e deve essere motivato. Se l'accordo

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chiude un procedimento che tradizionalmente sarebbe da chiudere con un provvedimento dasottoporre ad un qualche controllo, anche l'accordo deve essere sottoposto al controllo. Lecontroversie relative all'accordo rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo. É benespecificare che finora si è fatto riferimento all'accordo come sostituto del provvedimento: oltre agliaccordi sostitutivi del provvedimento, però, la PA e il cittadino possono anche concludere accordiintegrativi dei provvedimenti; cioè accordi che non chiudono il procedimento prendendo il posto delprovvedimento, ma che anticipano e concordano in tutto o in parte il contenuto di un successivoprovvedimento che chiuderà formalmente il procedimento. Sugli accordi tra PA e cittadino vannoancora fatte due precisazioni. La prima precisazione è che secondo una parte della dottrina taliaccordi sarebbero corrispondenti alla figura dei “contratti di diritto amministrativo” (cioè contratticonclusi tra la PA e un cittadino sulla base dei principi del diritto privato, ma con una posizione disovraordinazione della PA rispetto al cittadino): la figura dei contratti di diritto amministrativo èstata elaborata per la prima volta alla fine del 1800 da Mayer ed è entrata, poi, a far partedell'ordinamento giuridico tedesco, francese ed inglese. La seconda precisazione da fare è che l'art.11 della legge 241/1990 prevede la possibilità generale di chiudere il procedimento con un accordoanziché con un provvedimento, ma già prima della legge 241/1990 vi erano leggi specifiche cheprevedevano per singoli procedimenti la possibilità di chiudere i procedimenti stessi con unaccordo. Ciò era ad es. frequente nei procedimenti inerenti al diritto amministrativo urbanisticooppure al procedimento di espropriazione. Possiamo citare un caso pratico di accordo nell'ambito diun procedimento di espropriazione che si è verificato nella prima cintura di Torino. Tizio possedeva200 particelle catastali e la PA voleva espropriarne 100. Tizio aveva, però, l'indefettibile necessità dimantenere per sé almeno 130 particelle catastali, che erano necessarie per il buon svolgimento dellasua attività industriale. Così Tizio si è accordato con la PA, affinchè la PA stessa espropriasse 70particelle catastali su 200 (anziché 100 su 200) di modo che Tizio potesse mantenere 130 particelle,ma che per le 70 particelle catastali espropriate la PA non versasse alcun indennizzo a Tizio stesso. Infine va precisato che gli accordi tra PA e cittadino non devono essere confusi con gli accordiintercorrenti fra due o più amministrazioni tra loro. Questi ultimi accordi sono stipulati tra due o piùamministrazioni per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune:possiamo pensare ad es. ad un accordo tra due Regioni per gestire la navigazione di un fiume che leattraversa. Tali accordi sono molto diffusi nel nostro sistema che è basato su una ripartizione delpotere su più livelli di governo (Stato, Regioni, Province e Comuni). La norma generale sulla qualesi fondano tali accordi è l'art. 15 della legge 241/1990, ma poi vi sono diverse leggi specifiche cheprevedono ipotesi particolari di accordi: ad es. gli accordi di programma tra Regioni, Province eComuni per la programmazione e l'attuazione di opere che richiedono l'azione integrata di tali enti, iprotocolli d'intesa, i contratti di programma (ai quali possono prendere parte, oltre alleamministrazioni, anche i privati). Gli accordi tra amministrazioni hanno le seguenti caratteristicheprincipali: 1) devono essere, a pena di nullità, stipulati per iscritto e sottoscritti con forma digitale;2) ad si applicano, ove non diversamente previsto, i principi del diritto privato; 3) nessunaamministrazione può recedere unilateralmente da essi; 4) le controversie relative ad essi rientranonella giurisdizione del giudice amministrativo. Possiamo concludere dicendo che il Consiglio diStato, in un parere elaborato in adunanza generale, ha affermato che gli accordi tra amministrazionisono “accordi organizzativi con i quali le amministrazioni autolimitano a monte il loro poteredecisionale, vincolando a valle le loro decisioni future relative ad una determinata attività” (che èl'attività di interesse comune).

IL PERSONALE, I BENI E I SERVIZI DELLA PA

Il personale Per svolgere la propria attività, la PA ha la necessità di dotarsi di personale. I soggetti checompongono il personale della PA sono soggetti che intrattengono con essa un rapporto di impiego,

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che può essere definito come un rapporto giuridico che ha per contenuto il complesso dei diritti edegli obblighi reciproci tra dipendente e datore di lavoro. Per molto tempo in Italia, il rapporto diimpiego dei dipendenti della PA era un rapporto di tipo pubblicistico e, quindi, non era disciplinatodalle comuni regole del diritto del lavoro che riguardano i rapporti di lavoro privati. Agli inizi deglianni novanta, però, è stato avviato un processo di riforme che ha portato a ricondurre la maggiorparte dei rapporti di impiego con la PA nella sfera di applicazione della disciplina dei rapporti dilavoro privato: si è parlato a proposito di “privatizzazione del pubblico impiego”. Ad oggi non tuttele categorie di dipendenti della PA sono in realtà sottoposte alla disciplina di diritto privato: restanosottoposti ad una specifica disciplina pubblicistica ad es. le forze dell'ordine, i magistrati, iprofessori universitari e i diplomatici. Va, poi, anche detto che le categorie di dipendenti della PAprivatizzate non sono in realtà sottoposti tout court alla disciplina dei rapporti di lavoro privato, masono sottoposti ad una disciplina contenuta nel decreto legislativo 165/2001 (poi modificato nel2009 e nel 2012) che al suo secondo art. afferma che a tali dipendenti si applica la disciplina dellavoro privato contenuta nel cod. civile e nelle leggi ad esso complementari, “fatte salve ledisposizioni contenute nel decreto stesso”: ciò vuol dire che alle categorie privatizzate di dipendentidella PA si applica la disciplina dei rapporti di lavoro privato con alcune specificità. Tra questespecificità possiamo ricordare:

• la modalità di assunzione. In ossequio all'art. 97 della Costituzione, il decreto legislativo165/2001 stabilisce che l'assunzione nella PA avviene mediante concorso, salvo che per ilpersonale con bassa qualificazione professionale (cioè per i lavoratori a cui non è richiestoun titolo superiore alla scuola dell'obbligo) che viene assunto mediante avviamento deicentri per l'impiego. A seguito del concorso, tra il lavoratore e la PA viene, poi, sottoscrittoun contratto di lavoro individuale. La necessità del concorso comporta a sua volta altrespecialità nella disciplina del rapporto di lavoro dei lavoratori privatizzati della PA: ad es.nei rapporti di lavoro in cui il datore è un privato, se vi sono patologie nel contratto a tempodeterminato, il rapporto si converte automaticamente in un rapporto a tempo indeterminato;mentre nei rapporti di lavoro con la PA, se vi sono patologie nel contratto a tempodeterminato, il lavoratore ha diritto ad un risarcimento del danno, ma non vi è la conversionedel rapporto in rapporto a tempo indeterminato, perchè (come impone l'art. 97 Cost.) peressere assunti a tempo indeterminato nella PA è necessario superare l'apposito concorso.

• il regime delle sanzioni disciplinari. Per i lavoratori privatizzati della PA ci sono particolariipotesi di illeciti disciplinari previsti dal decreto legislativo 165/2001 (ad es. l'assenzagiustificata da una certificazione medica falsa, il rifiuto del trasferimento, il silenzio circainformazioni che riguardano gli illeciti altrui). Anche le sanzioni sono previste dal decretolegislativo 165/2001 (censura verbale, sospensione del servizio, sospensione dello stipendio,licenziamento disciplinare). Infine il decreto legislativo 165/2001 disciplina anche ilprocedimento disciplinare per irrogare le sanzioni: la PA deve formulare al dipendente unacontestazione degli addebiti entro 20 giorni, poi vi è una fase di contraddittorio (scritto oorale) nella quale il dipendente può fare delle deduzioni a propria difesa, dopodiché ilprocedimento si conclude con l'archiviazione oppure con l'irrogazione della sanzione.

• l'obbligo di esclusività del dipendente, che si esprime nel senso che il dipendente della PAdeve esercitare tutte le proprie energie lavorative nei confronti e nell'interesse della PA e nonpuò esercitare nessun'altra professione né come lavoratore né come imprenditore.

Alcune differenze tra disciplina dei lavoratori del settore privato e dei lavoratori privatizzati dellaPA sono, poi, legate al fatto che i contratti collettivi per i lavoratori privatizzati della PA sonodiversi dai contratti collettivi per i lavoratori del settore privato. La contrattazione collettiva per ilavoratori privatizzati della PA ha tre livelli:

1. il contratto collettivo nazionale quadro, che disciplina istituti che riguardano tutti i lavoratoridel pubblico impiego (indipendentemente dal loro comparto).

2. il contratto collettivo di comparto, che predetermina la disciplina del rapporto individuale di

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lavoro di tutti i lavoratori di un certo comparto del settore pubblico privatizzato. I compartidel settore pubblico privatizzato corrispondono sostanzialmente alle categorie del settoreprivato. I comparti sono individuati dal contratto collettivo nazionale quadro su delega dellalegge. Esempi di comparti sono il comparto scuola, il comparto sanità, il comparto entilocali.

3. il contratto collettivo decentrato o integrativo, che corrisponde grossomodo al contrattoaziendale del settore privato e predetermina la disciplina del rapporto individuale di lavorodei lavoratori di una certa unità della PA (ad es. di uno specifico ospedale o di una specificascuola).

I contratti collettivi per i lavoratori privatizzati della PA sono sottoscritti per conto della PAdell'ARAN (che è l'agenzia per la rappresentanza negoziale dell'amministrazione pubblica) e perconto dei lavoratori dai sindacati dei lavoratori (che rispettino un requisito di rappresentatività noninferiore al 5% sul piano nazionale).

Il concorso per l'assunzioneCome già detto, l'assunzione nella PA avviene normalmente mediante concorso. A seguito delconcorso, i vincitori vengono assunti mediante la stipulazione di un contratto individuale di lavoro(se rientrano nelle categorie di lavoratori privatizzati) o mediante un provvedimento di nomina (serientrano nelle categorie di lavoratori non sottoposti al regime privatistico). Le fasi del concorsosono le seguenti:

• la PA avvia il procedimento, attraverso un provvedimento di indizione del concorso e lapubblicazione in Gazzetta Ufficiale di un bando che indica i requisiti per partecipare alconcorso, le modalità e i termini di presentazione delle domande, la tipologie delle prove.

• gli interessati al concorso presentano le domande e la PA, dopo aver esaminato talidomande, ammette al concorso gli interessati che rispettano i requisiti. La mancataammissione al concorso è impugnabile davanti al giudice amministrativo dal candidato nonammesso.

• si svolgono le prove che sono, poi, valutate da una commissione di esperti. • viene elaborata una graduatoria dei vincitori che è, poi, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.

Il provvedimento che approva la graduatoria può essere impugnato davanti al giudiceamministrativo dai candidati non vincitori.

I beniPer svolgere la propria attività, la PA necessita, oltre che di personale, anche di beni immobili emobili. Il codice civile dedica un intero Capo ai beni della PA e li divide in due macro-categorie,ciascuna delle quali è divisa a sua volta in due sotto-categorie. In ogni categoria il cod. civileinserisce un elenco di beni che non sono inseriti in una categoria piuttosto che in un altra sulla basedi criteri sostanziali, ma in virtù di una pura scelta discrezionale del cod. civile stesso. Le categorie di beni della PA sono le seguenti:

• beni demaniali; che sono beni inalienabili, imprescrittibili (quindi non soggetti adusucapione) e non aggredibili dai creditori della PA. Tali beni, infatti, possono formareoggetto di diritti reali solo in capo alla PA. Tuttavia la PA può concederli in concessione aicittadini o può trasferirli a società completamente pubbliche che li utilizzano e li valorizzano(pensiamo alla Patrimonio dello Stato spa e alla ANAS spa). I beni demaniali si dividono aloro volta in:◦ beni del demanio necessario; che sono quelli che possono appartenere solo alla PA,

perchè sono in grado di soddisfare solo interessi pubblici. Sono beni del demanionecessario ad es. le spiagge, i fiumi, i laghi, le rade, i porti.

◦ beni del demanio incidentale; che sono quelli che possono appartenere sia alla PA sia aiprivati, perchè sono in grado di soddisfare sia interessi pubblici sia interessi privati.

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Ovviamente tali beni diventano demaniali solo se appartengono alla PA. Sono beni deldemanio accidentale ad es. le strade, le ferrovie, gli acquedotti, i musei, le biblioteche.

• beni patrimoniali; che sono beni alienabili dalla PA e sono sottoposti alle norme di dirittoprivato, salvo alcune specificità. I beni patrimoniali si dividono a loro volta in:◦ beni patrimoniali indisponibili; che sono quelli che sono alienabili dalla PA, ma non

possono essere sottratti dalla loro destinazione d'uso. Sono beni patrimonialiindisponibili ad es. le miniere, le foreste, le caserme. In alcuni casi previsti dalla legge,però, il vincolo di destinazione può essere rimosso con un apposito provvedimento dellaPA (come nel caso delle caserme).

◦ beni patrimoniali disponibili; che sono quelli liberamente alienabili dalla PA e, quindi,sono totalmente sottoposti alle regole di diritto privato (tanto è vero che una parte delladottrina afferma che tali beni sono pubblici sono in senso soggettivo-formale). Sono ades. beni patrimoniali disponibili gli immobili nei quali la PA colloca i propri uffici.

Nel 2007 fu istituita una commissione governativa presieduta da Rodotà che aveva il compito dielaborare una proposta di modifica della classificazione dei beni della PA operata dal cod. civile, mala proposta della commissione non fu, poi, mai tradotta in una riforma concreta.

I servizi pubbliciCon l'espressione servizio pubblico si intende un'attività tesa a soddisfare un bisogno di interessegenerale. Fino agli anni novanta l'erogazione dei servizi pubblici era assicurata per la sua quasitotalità dalla PA. Ciò avveniva per due motivi: il primo motivo era che in molti casi i privati nonavevano interesse ad erogare il servizio perchè farlo comportava ingenti investimenti e non portavaad altrettanti profitti; mentre il secondo motivo era che, anche qualora i privati fossero stati dispostiad erogare il servizio, era ritenuto più conveniente che il servizio fosse erogato dalla PA che loavrebbe fatto con una maggiore attenzione all'interesse generale. Quando la PA eroga un servizio lopuò fare attraverso un ente pubblico economico, un'azienda speciale (o municipalizzata, che dir sivoglia), una società in house (la società in house è una società collegata strutturalmente edorganizzattivamente alla PA, tanto da poter essere equiparata ad un suo ufficio). Negli anni novanta,poi, (sia su spinta dell'UE, sia allo scopo di ridurre le spese dello Stato) vi è stata una massicciaprivatizzazione dei servizi pubblici; cioè si è attribuito in molti casi ai privati il compito di erogarequesti servizi. Tale attribuzione è avvenuta normalmente mediante concessioni oppure mediante lacostituzione di società a partecipazione mista di Stato e privati. Nei casi in cui l'erogazione deiservizi pubblici viene affidata ai privati, l'attività dello Stato relativamente a tali servizi non vienedel tutto meno, perchè lo Stato continua a mantenere il compito di regolare i servizi e la loroerogazione; allo scopo di far sì che tale erogazione, anche se affidata ai privati, continui ad avvenirecon livelli quantitativi e qualitativi conformi all'interesse generale. In particolare la regolazione deiservizi è volta a dar corpo e concretezza a cinque importanti principi:

• il principio di doverosità; in virtù del quale il servizio teso a soddisfare il bisogno diinteresse generale non può non essere assicurato

• il principio di continuità; in virtù del quale (proprio perchè doveroso) il servizio non puòessere interrotto

• il principio di universalità; in virtù il servizio deve essere garantito a tutti• il principio della parità di trattamento; in virtù del quale tutti i cittadini devono poter

accedere in maniera paritaria al servizio e devono poter fruire di prestazioni di ugualequalità

• il principio della abbordabilità; in virtù del quale il servizio deve essere fornito ai cittadini aprezzi accessibili

Per concludere la trattazione dei servizi pubblici, va ancora detto che essi sono suscettibili didiverse classificazioni:

1. servizi a rilevanza economica e servizi a rilevanza non economica. I servizi a rilevanza

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economica sono suscettibili di essere esercitati in forma imprenditoriale e sono quelli chevengono normalmente affidati ai privati. I principali servizi a rilevanza economica sono itrasporti, le telecomunicazione e la distribuzione dell'energia e del gas. I servizi a rilevanzanon economica, invece, non sono suscettibili di essere esercitati in forma imprenditoriale evengono, quindi, mantenuti in capo alla PA che per finanziare la loro erogazione ricorre allafiscalità generale. I principali servizi a rilevanza non economica sono la sanità, la scuola,l'assistenza sociale per anziani, disabili, orfani, tossicodipendenti ed altre categoriedisagiate. Tutti e tre questi servizi sono accomunati da due caratteristiche: la prima è chevengono erogati sulla base di una collaborazione tra Stato, Regioni e Comuni; mentre laseconda è che trovano fondamento nella Costituzione (rispettivamente agli articoli 32, 33 e38).

2. servizi a fruizione collettiva e servizi a fruizione individuale. I servizi a fruizione collettivasono quelli che se sono disponibili per uno sono disponibili per tutti: sono, infatti, serviziche quando vengono erogati, vengono necessariamente utilizzati da tutti, spesso anche senzaaverne la consapevolezza. Sono servizi a fruizione collettiva ad es. l'illuminazione dellestrade e la sicurezza. I servizi a fruizione individuale, invece, sono quelli che pur essendomessi a disposizione a tutti, non è detto che siano fruiti da tutti. Pertanto, visto che solo ilcittadino che fruisce il servizio ne trae un vantaggio, tale servizi solo finanziati in partericorrendo alla fiscalità generale ed in parte ricorrendo a forme di partecipazione alla spesa acarico dei cittadini che fruiscono del servizio. Ad es. sono servizi a fruizione individuale, ilservizio sanitario e il servizio del trasporto ferroviario, nei quali è richiesto rispettivamente ilpagamento del ticket e il pagamento del biglietto.

I CONTRATTI PUBBLICI

Il codice dei contratti pubbliciLa PA gode di una capacità generale in virtù della quale nella sua attività può utilizzare, oltre aglistrumenti tipici del diritto amministrativo, anche gli strumenti di diritto privato e cioè i contratti.Quando la PA stipula un contratto per l'acquisto di beni o servizi oppure per l'esecuzione di lavori,però, deve seguire lo stesso delle regole speciali di natura pubblicistica (salvo che per alcunicontratti come ad es. quelli di acquisito e vendita di strumenti finanziari, di beni immobili o dienergia). In virtù di tali regole pubblicistiche, la PA non è pienamente libera di scegliere la propriacontroparte contrattuale: nello specifico tali regole prevedono che la formazione della volontànegoziale della PA e la scelta della controparte contrattuale debbano avvenire sulla base di unprocedimento ad evidenza pubblica che è trasparente e competitivo (sia a livello nazionale, sia alivello europeo). Alla luce di ciò possiamo, dunque, dire che l'attività contrattuale della PA è rettadalle regole del diritto privato comune solo nella fase di esecuzione del contratto (salvo alcuneeccezioni); mentre nella fase di formazione del vincolo contrattuale, tale attività è retta dalle regoledel diritto amministrativo. Tali regole sono oggi contenute nel decreto legislativo 163/2010, che èdetto “codice dei contratti pubblici” ed è sostanzialmente frutto nel recepimento a livello nazionaledi due direttive europee del 2004 (in particolare la numero 17 e la numero 18 di quell'anno). In sede di formazione di un vincolo contrattuale, sono tenuti a rispettare il codice dei contrattipubblici non solo i soggetti della PA in senso stretto, ma anche i soggetti della PA in senso ampio(che sono chiamati dal codice “organismi di diritto pubblico”); cioè quei soggetti che, pur nonavendo personalità giuridica pubblica, perseguono nella loro attività interessi generali e sonosottoposti ad un'influenza dominante da parte della PA, che possiede la maggior parte delle loroquote azionarie e/o li finanzia. Sono ad es. organismi di diritto pubblico le Ferrovie dello Stato spa,le Poste Italiane e la RAI. L'applicazione del codice dei contratti anche ai soggetti della PA in sensoampio è stabilita a garanzia dei cittadini coinvolti nell'attività di tali soggetti che perseguonointeressi generali.

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Il procedimento per la formazione del vincolo contrattualeIl codice dei contratti pubblici disciplina in modo dettagliato il procedimento che la PA deve seguireper individuare la sua controparte contrattuale e stipulare il contratto. Come detto, taleprocedimento è un procedimento ad evidenza pubblica che è volto a garantire la concorrenza e lapar condicio tra i possibili contraenti nazionali ed europei. Tale procedimento è denominato dalcodice “procedura di affidamento”. Le fasi del procedimento sono le seguenti:

1. La PA deve avviare il procedimento attraverso la c.d. delibera a contrarre e lapredisposizione di un bando di gara. La delibera a contrarre è un atto unilaterale con il qualela PA individua gli elementi essenziali del contratto, il sistema di selezione dei partecipanti(tra i possibili sistemi previsti dal codice) e i requisiti che devono essere rispettati daipartecipanti. Tutto il contenuto della delibera a contrarre deve essere, poi, riversato nelbando che deve indicare anche i tempi per presentare le richieste di partecipazione e leofferte: una volta predisposto, il bando deve essere pubblicato; di modo che tutti i possibilipartecipanti possano conoscerlo. Il bando viene elaborato sulla base di modelli predispostidall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.

2. A questo punto gli operano economici interessati a diventare contraenti si presentano alla PAed inizia la seconda fase che è quella della selezione da parte della PA dei partecipanti allaprocedura. Il codice attribuisce alla PA la facoltà di scegliere tra due possibili sistemi diselezione. La scelta della PA deve essere effettuata con la delibera a contrarre e deve essereindicata nel bando di gara. I possibili sistemi di selezione sono il sistema aperto e il sistemaristretto. Nel sistema aperto ciascun operatore economico (che ne faccia richiesta) èammesso a partecipare alla gara e può presentare la propria offerta. Nel sistema ristretto,invece, ciascun operatore economico interessato può fare richiesta di partecipare, ma poi laPA ammette effettivamente alla partecipazione solo quegli operatori che in base ad unavalutazione preliminare (detta anche “prequalifica”) sono considerati i più idonei. I criteriutilizzati dalla PA per la valutazione preliminare devono essere oggettivi e ragionevoli edevono essere indicati nel bando di gara: ad es. la PA potrebbe usare come criterio quello diammettere alla partecipazione tra tutti gli operatori richiedenti quelli che operano per piùtempo nel settore o quelli che hanno un fatturato maggiore.

3. Si apre, poi, la terza fase che è la fase della valutazione delle offerte. In tale fase la PAindividua tra i partecipanti alla gara quello che sarà la controparte contrattale; cioè quellocon cui la PA stipulerà il contratto. In tale fase ciascun partecipante propone la propriaofferta (cioè sostanzialmente il prezzo del bene, del servizio o del lavoro) che deve essereinserita in una busta chiusa e deve essere spiegata. L'offerta è valutata da una commissionegiudicatrice che è composta da funzionari dell'amministrazione e da esperti esterni. Valutatetutte le offerte, la commissione individua quale è l'offerta migliore; in quanto comporta ilprezzo più basso rispetto alla base d'asta ed ha i migliori elementi dal punto di vistaqualitativo (es. il pregio, le caratteristiche estetiche e funzionali, l'impatto ambientale, ilconsumo).

4. La fase che si apre a questo punto è la fase dell'aggiudicazione. A conclusione dei proprilavori, la commissione giudicatrice formula una graduatoria e viene, quindi, dichiaratal'aggiudicazione provvisoria a favore del miglior offerente. La PA a questo punto deveverificare che il miglior offerente rispetti effettivamente i requisiti che ha dichiarato di averequando ha presentato la richiesta di partecipazione: se il miglior offerente presentaeffettivamente i requisiti, l'aggiudicazione diventa definitiva.

5. Dopodichè la PA e l'operatore economico che si è aggiudicato il ruolo di contropartecontrattuale possono stipulare il contratto. La stipula non può, però, avvenire prima chesiano trascorsi 35 giorni dalla comunicazione dell'aggiudicazione agli altri operatoripartecipanti. Tale periodo di tempo è detto “standstill period” e serve per far sì che gli

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operatori “sconfitti” possano impugnare davanti al giudice amministrativo gli atti dellaprocedura di affidamento per farle eventualmente annullare, prima che il contratto siastipulato e produca effetti. Se gli atti della procedura vengono impugnati, la stipula delcontratto non può avvenire fino alla decisione del giudice amministrativo.

Fino ad ora abbiamo parlato dei partecipanti alla procedura, utilizzando l'espressione “operatorieconomici”. Quali sono, però, gli operatori economici che possono partecipare alla procedura?Innanzitutto possono partecipare imprenditori e società. Inoltre nel caso dei contratti perl'esecuzione di lavori possono partecipare alla procedura anche consorzi stabili di almeno treimprese ed anche raggruppamenti temporanei di imprese che si uniscono per raggiungere insiemerequisiti fissati nel bando, che singolarmente non potrebbero raggiungere. Con il raggruppamentotemporaneo, le imprese non danno vita ad una nuova entità giuridica: infatti le imprese restanodivise, ma legate da una regolamentazione pattizia e rappresentate da un un'unica impresa (detta“capofila”) che si rapporta con la PA e presenta l'offerta.

L'esecuzione del contrattoAlla fase di esecuzione del contratto, è preposto per conto della PA un funzionario che esercitafunzioni di controllo tecnico, contabile ed amministrativo dell'esecuzione stessa. Come si èaccennato, la fase di esecuzione del contratto avviene sulla base delle regole del diritto privato,salvo alcune eccezioni. Il codice dei contratti pubblici stabilisce, infatti, delle regole che sono voltead evitare che il contratto in fase di esecuzione subisca eccessive variazioni, che avrebbero laconseguenza di modificare radicalmente l'oggetto e la struttura del contratto; facendo, quindi, sì chela gara si sia svolta di fatto per un contratto diverso da quello eseguito. Alla luce di ciò, il codicevieta: 1) la variazione dei prezzi, se non per recuperare il tasso di inflazione e/o per accadimentieccezionali (il contratto, però, può contenere una clausola di revisione periodica dei prezzi cheopera a seguito di un'istruttoria della PA); 2) le varianti dell'esecuzione dell'opera, nel caso dicontratti per l'esecuzione di lavori; a meno che non ci siano cause impreviste, errori nel progettoiniziale o mutamenti normativi; 3) la cessione del contratto dall'operatore aggiudicatario ad un altrooperatore (tuttavia, entro certi limiti, è ammesso il subappalto; cioè l'affidamento da partedell'operatore aggiudicatario di parte della prestazione ad un altro operatore di sua fiducia cherispetti i requisiti indicati nel bando di gara: l'operatore aggiudicatario, però, può ricorrere alsubappalto solo se lo aveva dichiarato al momento della presentazione dell'offerta). In fase di esecuzione, la PA può recedere in ogni momento dal contratto; pagando, però, allacontroparte contrattuale un indennizzo e le prestazioni già eseguite. In caso di graveinadempimento, irregolarità o ritardo di una delle parti, il contratto si risolve e la controparteinadempiente o ritardataria deve risarcire l'altra. In fase di esecuzione del contratto, le controversie tra le parti possono essere risolte sia con mezzi ditutela giurisdizionale, sia con mezzi di tutela non giurisdizionale. La tutela giurisdizionale è offertadal giudice amministrativo, davanti al quale in materia di contratti pubblici si instaura un ritoprocessuale speciale che è accelerato e può portare anche all'annullamento dell'aggiudicazione e/o(se non è contrario all'interesse pubblico) alla dichiarazione di inefficacia del contratto (che puòoperare retroattivamente o irretroattivamente). I mezzi di tutela non giurisdizionale, invece, sono: 1)la transizione tra le parti; 2) l'arbitrato davanti ad un'apposita camera arbitrale istituita pressol'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici; 3)la richiesta all'Autorità di vigilanza sui contrattipubblici di emanare un parere non vincolante contenente un'ipotesi di soluzione (tale mezzo ditutela è, però, possibile solo per le questioni inerenti lo svolgimento della gara).

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