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5 I metodi di lavorazione del caffè DEFINIZIONE DI BARISTA: IL SOMMELIER DEL CAFFÈ Definire chi è il barista e che cosa fa non è affatto semplice. Il barista è quel professio- nista che opera in una caffetteria e che, nell’accezione tipicamente italiana, non si occupa solamente della preparazione del caffè espresso e delle bevande a base di caffè, ma ac- coglie anche i clienti all’entrata del locale, serve soft drink e alcolici, prepara e serve snack e panini, sa offrire sempre ai clienti affezionati un sorriso e un consiglio sugli argomenti più disparati. L’evoluzione di questa figura professionale è iniziata circa cento anni fa, quando il bari- sta era l’operatore alla macchina a vapore, una sorta di ‘macchinista’ dedito a preparare il caffè dietro al banco di lavoro. Oggi la figura del barista è molto diversa: egli deve essere considerato un professionista, un profondo conoscitore del caffè, capace di offrire cultu- ra e formazione ai propri clienti al pari dei migliori sommelier di vini. Al fine di incremen- tare le entrate della propria attività, il barista deve saper descrivere e suggerire i prodotti che prepara. Nel corso degli anni la caffetteria si è evoluta, le tecniche d’estrazione sono cambiate, le abitudini e le necessità del consumatore sono mutate: oggi è sempre più fa- cile trovare caffetterie dove si offrono caffè preparati con diversi metodi e dove i chicchi sono tostati direttamente in loco. Tutti questi cambiamenti e trasformazioni riguardano in primis la figura professionale responsabile di tutte le fasi di preparazione del caffè, ovvero il barista, che ha il compito di accogliere i clienti in modo formale con educazione e positività, essere pronto a preparare una bevanda con diversi metodi (espresso, filtro, metodi pour-o- ver ecc.) e servire tale bevanda descrivendo in anticipo la materia prima utilizzata e ciò che il cliente degusterà in tazza. Ecco una prima definizione: “Il termine bari- sta indica la figura professionale impiegata in un esercizio pubblico che si occupa della pre- parazione, estrazione e somministrazione delle bevande a base di caffè.” Probabilmente questa definizione riguarda le mansioni e le competenze del barista che ha ac- quisito un’elevata professionalità, fatta di nozio- ni, pratica e cultura. Il barista deve avere una co- noscenza teorico-pratica del caffè a 360°: deve conoscere il caffè verde, i paesi di provenienza, @foto4: foto di un barista alla mac- china espresso (usare una di Andrea Cremone?)

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    I metodi di lavorazione del caffè

    DEFINIZIONE DI BARISTA:IL SOMMELIER DEL CAFFÈ

    Definire chi è il barista e che cosa fa non è affatto semplice. Il barista è quel professio-nista che opera in una caffetteria e che, nell’accezione tipicamente italiana, non si occupa solamente della preparazione del caffè espresso e delle bevande a base di caffè, ma ac-coglie anche i clienti all’entrata del locale, serve soft drink e alcolici, prepara e serve snack e panini, sa offrire sempre ai clienti affezionati un sorriso e un consiglio sugli argomenti più disparati.

    L’evoluzione di questa figura professionale è iniziata circa cento anni fa, quando il bari-sta era l’operatore alla macchina a vapore, una sorta di ‘macchinista’ dedito a preparare il caffè dietro al banco di lavoro. Oggi la figura del barista è molto diversa: egli deve essere considerato un professionista, un profondo conoscitore del caffè, capace di offrire cultu-ra e formazione ai propri clienti al pari dei migliori sommelier di vini. Al fine di incremen-tare le entrate della propria attività, il barista deve saper descrivere e suggerire i prodotti che prepara. Nel corso degli anni la caffetteria si è evoluta, le tecniche d’estrazione sono cambiate, le abitudini e le necessità del consumatore sono mutate: oggi è sempre più fa-cile trovare caffetterie dove si offrono caffè preparati con diversi metodi e dove i chicchi sono tostati direttamente in loco. Tutti questi cambiamenti e trasformazioni riguardano in primis la figura professionale responsabile di tutte le fasi di preparazione del caffè, ovvero il barista, che ha il compito di accogliere i clienti in modo formale con educazione e positività, essere pronto a preparare una bevanda con diversi metodi (espresso, filtro, metodi pour-o-ver ecc.) e servire tale bevanda descrivendo in anticipo la materia prima utilizzata e ciò che il cliente degusterà in tazza.

    Ecco una prima definizione: “Il termine bari-sta indica la figura professionale impiegata in un esercizio pubblico che si occupa della pre-parazione, estrazione e somministrazione delle bevande a base di caffè.”

    Probabilmente questa definizione riguarda le mansioni e le competenze del barista che ha ac-quisito un’elevata professionalità, fatta di nozio-ni, pratica e cultura. Il barista deve avere una co-noscenza teorico-pratica del caffè a 360°: deve conoscere il caffè verde, i paesi di provenienza,

    @foto4: foto di un barista alla mac-china espresso (usare una di Andrea Cremone?)

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    le lavorazioni in piantagione, i principi base del processo di tostatura e di assaggio e deve saper gestire e controllare con grande padronanza l’attrezzatura per la preparazione del caffè, dal macinacaffè alla macchina espresso, passando per il metodo a filtro, i metodi pour-over, la moka e la napoletana. Il barista deve inoltre essere in possesso delle co-noscenze basilari dell’acqua e di come questa va trattata per la preparazione del caffè, e infine deve conoscere bene il latte e la sua lavorazione per preparare ricette a base di caffè e latte.

    Il barista opera con attrezzature di cui conosce perfettamente le caratteristiche, prov-vede alla loro pulizia e ordinaria manutenzione, e ovviamente conosce e applica le nor-me legislative e igieniche.

    Il barista è una persona cordiale, piacevole, capace di lavorare in team, capace di re-lazionarsi con il pubblico, di guidarlo verso l’assaggio del caffè per fargli comprendere e apprezzare al meglio la bevanda servita.

    Infine, il barista è un professionista che si prende cura del suo aggiornamento profes-sionale attraverso la partecipazione a corsi di formazione, barista campus, visite in pian-tagioni di caffè e in torrefazioni, e che si mette in gioco partecipando ai campionati baristi.

    È quindi ora possibile dare una più ampia definizione, ovvero:“Il barista è la figura professionale che opera in un esercizio pubblico e si occupa di

    tutto ciò che concerne il caffè e la preparazione delle bevande a base di caffè. Attra-verso la sua passione e il suo continuo aggiornamento professionale egli garantisce al cliente un’esperienza di qualità ed eccellenza.”

    @foto5: un barista che serve al cliente un caffè filtro o due baristi (uno che prepara un caffè, l’altro che degusta un bicchiere di vino)

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    LA STORIA DEL CAFFÈ

    Il caffè è una pianta che appartiene al genere Coffea, che fa a sua volta parte della fa-miglia botanica delle Rubiacee. La scoperta della pianta e del suo uso è piuttosto incerta e risale a epoche ancestrali. Secondo le ricerche bibliografiche condotte da numerosi esperti del settore, tuttavia, il caffè Arabica (una delle specie tutt’ora largamente coltivate) sarebbe stato portato in Arabia da invasori etiopi intorno al VI secolo d.C. Vi sono testimo-nianze scritte risalenti al XII secolo di un’estesa coltivazione di caffè nella penisola arabica, l’attuale Yemen. Si ritiene inoltre certa l’antica coltivazione della Canephora (l’altra specie di Coffea attualmente coltivata) nel continente africano e più precisamente in Uganda, dove i chicchi erano masticati e utilizzati come sostanza corroborante.

    Fu solo tra il XIII e XVI secolo che il caffè si diffuse nel mondo arabo sotto forma di bevanda ed ebbe ben presto un’ampia diffusione come energizzante e stimolante. La bevanda era usata per lo più duran-te i lunghi rituali religiosi poiché non andava con-tro i precetti del Corano (che proibiscono, invece, l’assunzione di qualsiasi bevanda alcolica). Nel XVII secolo il caffè giunse anche in Europa, dove ebbe una rapida diffusione tra gli aristocratici e i borghesi, che la utilizzavano non solamente come bevanda stimolante ma anche come segno di ricchezza e di appartenenza alle classi sociali più elevate. Il caffè era preparato come si fa ancora oggi in Etiopia, ov-vero facendo bollire il caffè tostato e frantumato in pentolini di metallo. Si otteneva così una bevanda densa e dal sapore forte che lasciava spesso in bocca residui di caffè.

    Grazie all’arrivo del caffè in Europa, le coltivazioni di caffè originarie del Corno d’Africa si diffusero in tutto il mondo. I commercianti olandesi, inglesi e spagnoli colsero fin da subito le potenzialità economiche della pianta e crearono ben presto molte piantagioni nelle nuove colonie acquisite in Asia e in Centro e Sud America. Nel corso del XVIII secolo le piantagioni di caffè videro una massiccia diffusione, approdando dapprima sull’Isola di Ceylon (Sri Lanka), poi a Giava, nelle colonie francesi di Martinica, Santo Domingo e Guadalupe grazie a Gabriel De Clieu e infine, dopo la scoperta delle Americhe, anche in Brasile per opera di Francisco de Melo Fameta. Le piantagioni allora iniziate sembrereb-bero derivare tutte dalle piante di caffè di varietà Tipica presenti nei giardini botanici in Amsterdam. Nel 1715 i francesi iniziarono una piantagione di caffè nell’Isola di Réunion – Bourbon, dove si sviluppò proprio la varietà Bourbon. Tra il 1860 e il 1870 la pianta fu esportata in Brasile e negli altri paesi del Sud Centro America.

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    LE ORIGINI: TERRA D’ORIGINE DEL CAFFÈ E LEGGENDE

    La terra natia della pianta di caffè, o Coffea, è il cosiddetto Corno d’Africa, ovvero la penisola oggi occupata dall’Etiopia. È un territorio dove ampi ed elevati altipiani offrono alle foreste equatoriali una terra particolarmente fertile e un clima adatto alla coltivazio-ne della pianta della specie Arabica. Ancora oggi è possibile trovare piante di caffè che crescono spontaneamente nelle foreste, di cui la popolazione indigena raccoglie i frutti maturi e li lavora al fine di ottenere i chicchi verdi da vendere ed esportare nei paesi di consumo.

    Proprio per questo motivo, l’Etiopia mantiene un particolare e antico rito del caffè, celebrato nei piccoli villaggi degli altipiani dove esso è coltivato. Secondo questo rituale, è compito della donna selezionare i chicchi in pergamino, depergaminarli e porli nella pentola in cui poi saranno cotti e tostati per essere pronti per la preparazione della be-vanda. Una volta che i chicchi sono tostati, la pentola viene tolta dal fuoco e l’aroma del caffè viene diffuso nell’aria per deliziare i presenti. Subito dopo i chicchi vengono fran-tumati in un mortaio e ridotti in polvere grossolana, che viene fatta bollire nella jabena, una caratteristica pentola posta su un braciere. Qui, l’acqua bollente estrae i composti aromatici e la caffeina, producendo una bevanda piacevole e pronta per il consumo. Tale rituale, ripetuto solitamente tre volte al giorno (al mattino, al pranzo e alla sera) rap-presenta il momento sociale e conviviale più importante nei villaggi etiopi e può durare anche più di un’ora. La jabena, generalmente in terracotta smaltata, ha una base sferica e un collo lungo chiuso da un tappo conico, un manico laterale che permette di maneg-

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    giarla e inclinarla e un piccolo beccuccio dal quale far fuoriuscire la bevanda quando è pronta.

    Tra le leggende che raccontano la scoperta del caffè, la più famosa è sicuramente quella del pastore Kaldi. La leggenda narra, appunto, che il giovane pastore, pascolan-do il suo gregge di pecore sugli altipiani, notò una particolare eccitazione tra le pecore che avevano brucato le foglie e le bacche di un certo arbusto. Queste pecore non dor-mivano la notte, continuavano a belare e vagavano agitate galoppando nei dintorni del pascolo. Fu così che Kaldi, incuriosito e stupito, raccolse le bacche rosse dell’arbusto e le portò in un monastero, dove furono assaggiate dai religiosi: proprio come il greg-ge di Kaldi, anch’essi subirono l’effetto eccitante dei frutti e rimasero svegli e agitati per un’intera notte. Credendo che le bacche avessero poteri malefici, i religiosi le gettarono nel fuoco del caminetto del monastero e dopo qualche minuto si propagò nell’aria un aroma e un profumo mai sentito prima: per la prima volta venivano tostati dei chicchi di caffè. Incuriositi, Kaldi e i religiosi raccolsero altre bacche, che questa volta furono cotte in una pentola e successivamente bollite in acqua: l’aroma e il gusto dell’infuso piacque-ro loro a tal punto, che iniziarono a usarlo come bevanda energizzante e corroborante.

    Una seconda leggenda racconta la scoperta del caffè in chiave religiosa. Si narra che l’arcangelo Gabriele scese dal cielo e apparve a Maometto per soccorrerlo mentre stava per essere vinto dal sonno durante le preghiere. A tale scopo gli portò dal cielo del caffè, con il quale il profeta poté preparare una bevanda energizzante. Secondo la leggenda, ne bevve pochi sorsi e si sentì talmente rinvigorito da riuscire a “disarcionare quaranta uomini e rendere felici quaranta donne”.

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    IL CAFFÈ ARRIVA IN EUROPA: VENEZIA, VIENNA, EDWARD LLOYD’S E TRIESTE

    Ben prima di giungere in Europa, il caffè era consumato in dosi massicce nel mondo ara-bo, contrapposto all’uso del vino che era invece proibito dalla religione islamica. L’effetto corroborante della caffeina contribuì infatti allo sviluppo di riti religiosi lunghi e fisicamente impegnativi ed ebbe quindi un forte impatto sulla cultura araba, tanto che nel XVI secolo vi fu un tentativo di bandire la bevanda che, però, fallì miseramente.

    Sin dalla sua comparsa in Europa agli inizi del XVII secolo, il caffè dimostrò ampiamen-te il suo benefico effetto anti-ubriachezza, ma la diffidenza nei suoi confronti continuò a lungo. Molti cattolici, infatti, lo consideravano un’invenzione diabolica, tanto da chiedere l’intervento del papa. Papa Clemente VIII (colui che mandò al rogo Giordano Bruno), però, assaporò il caffè e lo apprezzò a tal punto da ‘battezzarlo’, rendendolo così a pieno titolo una bevanda accettata dalla comunità cristiana. Federico il Grande di Prussia promulgò per-sino un editto in cui solo lo Stato poteva esercitare il diritto di comprare e torrefare il caffè.

    Forse non tutti sanno che fu anche grazie all’arrivo del caffè se il continente europeo uscì dal buio medioevale per entrare in un periodo di crescita economica, culturale e sociale noto come Illuminismo. A quanto pare, infatti, l’introduzione del chicco di caffè nella società europea segnò il passaggio da un massiccio consumo di birra, principale bevanda di allora, a una bevanda energizzante e stimolante come il caffè. L’Europa passò quindi da un diffuso stato di ubriachezza (la birra era uno degli ingredienti principali anche delle zuppe che costi-tuivano il pasto principale dell’epoca) a uno stato di lucidità mentale e creatività tipico di chi consuma caffè. Nasce così la classe borghese dei commercianti, l’Europa si trasforma e il caf-fè diviene una delle bevande più bevute. A quanto pare sarebbe stato proprio l’effetto ener-gizzante e positivo della caffeina a contribuire all’evoluzione della classe borghese europea e a svegliare la mente e lo spirito degli artisti che in quell’epoca hanno saputo produrre opere d’arte d’impareggiabile bellezza. È risaputo, ad esempio, che Mozart era un grande bevitore di caffè, che aiutava il giovane artista nelle lunghe veglie creative durante le quali il suo genio di compositore creò capolavori ancora oggi celebrati e apprezzati in tutto il mondo.

    Le prime, più importanti testimonianze dell’arrivo del caffè nel continente europeo ci portano nelle città di Venezia e Vienna, mentre le prime caffetterie, ovvero luoghi di con-sumo della bevanda, furono aperte a Costantinopoli e al Cairo, dove divennero luoghi di svago e ritrovo. A diffondere la conoscenza del caffè in Europa contribuirono viaggiatori, commercianti, studiosi e medici tra cui ricordiamo Prospero Alpini, che descrisse per la pri-ma volta la pianta di caffè nel suo famoso trattato botanico De Plantis Aegypti. In Italia, il caffè fu introdotto nel 1615 dai mercanti veneziani nella città di Venezia, dove divenne subito un rito diffuso nella classe aristocratica. Nel 1640, sempre a Venezia, si aprì la prima bottega del caffè e nel 1716 fu stampato il primo opuscolo pubblicitario sul caffè e sulle sue proprietà benefiche. Da allora si diffusero in tutta Europa i caffè, intesi come luoghi di preparazione e consumo: tra i primi ricordiamo il Caffè Florian di Venezia, il caffè Greco a Roma, il caffè Pedrocchi a Padova, il San Carlo a Torino e l’Antico Caffè San Marco a Trieste, che furono determinanti nell’attribuire alla bevanda caffè uno status di ‘bevanda intellettuale’.

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    ViennaL’arrivo del caffè a Vienna risale alla metà del Seicento, quando i Turchi assediarono la

    città nel tentativo di espugnarla e la lasciarono priva di rifornimenti per un lungo periodo. Nel 1693 l’esercito turco fu sconfitto con l’intervento di Carlo V duca di Lorena, che venne in soccorso dell’esercito viennese. Si narra che la vittoria fu assicurata grazie alle impre-se di Jerzy Franciszek Kulczycki, ortodosso soldato e spia, durante la grande Battaglia di Vienna. In cambio dei suoi servizi il nobiluomo ricevette in dono una considerevole quantità di caffè che i turchi avevano abbandonato noi propri accampamenti durante la ritirata e quindi ben presto aprì la prima caffetteria di Vienna. In questa caffetteria, il caffè servito era nero e bollente come da tradizione ottomana, ma il popolo viennese non vi era abituato. Fu così che al caffè fu aggiunto per la prima volta il latte, un abbinamento riuscito che con l’avvento dell’espresso si è trasformato nella popolarissima bevanda dal nome Cappuccino, la bevanda a base di espresso e latte oggi più consumata al mondo.

    LondraA Londra l’apertura della prima caffetteria avvenne in modo decisamente diverso ri-

    spetto a Vienna: nel 1687 Edward Lloyd aprì una caffetteria in Tower Street a cui fu dato il nome di Lloyd’s Coffeehouse. La caffetteria divenne fin da subito punto d’incontro di armatori e commercianti, che davanti a una tazza di caffè si scambiavano informazioni sui movimenti di navi e di bastimenti ricchi di spezie e droghe coloniali, tra cui anche i preziosi carichi di caffè verde. Ben presto queste voci furono annotate, trascritte e pub-blicate nel Lloyd’s news, a cui si iniziò poi a fare riferimento per raccogliere le scommes-se sull’arrivo a destinazione delle navi: fu così che nacque l’assicurazione. E fu così che alla fine del XVII la caffetteria Lloyd’s si trasformò nel più importante mercato assicurati-vo del mondo.

    TriesteLo sviluppo economico, mercantile e urbanistico di Trieste risale all’epoca degli

    Asburgo, quando la città giuliana era l’unico sbocco sul mare dell’Impero Austriaco e poi di quello Austroungarico. Grazie agli innumerevoli provvedimenti legislativi degli Asbur-go pensati per facilitare i traffici mercantili e alla creazione del Porto Franco di Trieste in seguito all’occupazione francese, i magazzini del porto si riempirono di numerose merci provenienti dalle varie colonie sparse per il globo, tra cui il prezioso chicco verde del caf-fè. Alla fine dell’Ottocento a Trieste vi erano più di dieci torrefazioni, più di sessanta ditte specializzate nell’importazione e commercializzazione del caffè verde e quattro nella la-vorazione del caffè. Trieste ha mantenuto il suo legame profondo con il caffè fino ai giorni nostri, conservando il primato del porto più importante per l’importazione del caffè in Italia. Il regime del Porto Franco ha accompagnato la nascita e lo sviluppo di aziende per la lavorazione del caffè molto importanti a livello internazionale come Pacorini Forwar-ding Spa, Sandalj Trading Co. Spa, Demus Spa, Illycaffè Spa e ha determinato il recente insediamento di laboratori chimici specializzati nel caffè presso l’Area di Ricerca Science Park di Padriciano come Demuslab Srl, DNA-Analytica Srl e illy Aromalab. Imprenditori

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    come Ernesto Illy, Vincenzo Sandalj e Alberto Hesse, così come le ricerche accademiche del Dottorato di ricerca presso l’Università di Trieste in Scienza, tecnologia ed economia nell’industria del caffè hanno contribuito sensibilmente allo sviluppo di una filiera locale del caffè e alla costituzione dell’unico distretto internazionale del caffè della provincia di Trieste. In città, l’antica cultura del caffè e del caffè letterario si respira ancora oggi nelle piccole torrefazioni di quartiere come la torrefazione Guatemala, la torrefazione Primo Aroma, la torrefazione Dino caffè e nei caffè storici come l’Antico Caffè San Marco e il caffè Tommaseo.

    LA CAFFEINA INIZIA UNA NUOVA ERA PER IL MONDO OCCIDENTALE

    Il continente europeo ha attraversato molte epoche complesse da un punto di vista economico, sociale, culturale e di progresso. Il Medioevo segue la caduta dell’Impero Ro-mano d’Occidente e precede la cosiddetta età moderna, che va dal V al XV secolo.

    L’inizio del Medioevo è segnato da numerosi conflitti e guerre tra le popolazioni del nord e dell’est europeo per la ricostruzione della struttura amministrativa, economica, giuridica e militare in seguito alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente. In quest’epo-ca tanto confusa fu la struttura feudale a permettere una certa stabilità sociale. In Italia il Medioevo segnò il passaggio verso la costituzione delle signorie cittadine che poi si tra-sformarono in stati regionali, ovvero gli ambienti in cui fiorirà il Rinascimento.

    Durante il Medioevo l’unica realtà in grado di creare una certa uniformità fu la comune radice religiosa del Cristianesimo, ereditata dall’ultimo periodo romano. In questa fase di stasi culturale che si trova tra la grandezza dell’Impero Romano, la rinascita umanistico-ri-nascimentale della civiltà europea e l’Illuminismo, si colloca l’introduzione del caffè in Eu-ropa. Fino al XII secolo tutto ciò che stava in Medio Oriente era perlopiù sconosciuto agli europei oppure oggetto di racconti e leggende sui traffici coloniali della via dell’incenso e della seta. Tra le leggende sui luoghi di origine delle merci più pregiate circolavano quelle del Paradiso terrestre in Estremo Oriente e leggende arabe confluite in raccolte come “Le mille e una notte”.

    Dall’Oriente arrivavano in Europa merci come oro e argento, dall’India spezie come il pepe, il chiodo di garofano, la noce moscata e la cannella, il sandalo ed essenze profu-mate come l’incenso.

    In questo panorama, l’arrivo del caffè a Venezia, Vienna, Amsterdam, Parigi e Londra segnò una svolta per la società europea, dapprima nei ceti aristocratici e poi in quelli bor-ghesi dei mercanti e dei commercianti, che poterono godere del consumo di una bevan-da piacevole, dissetante, dal gusto ricco che sostituì il consumo di birra.

    A causa della poca salubrità e dell’impurezza dell’acqua ferma, in quest’epoca le be-vande alcoliche si consumavano durante i pasti ma anche fuori da essi. All’epoca le be-vande alcoliche come il vino nel bacino del Mediterraneo e la birra nei paesi continentali e del nord erano considerate più nutrienti, favorivano la digestione e avevano la proprietà

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    di guastarsi meno facilmente rispetto all’acqua. Al pari del vino e della birra, si consuma-vano vini ottenuti dalla frutta disponibile sul territorio come il vino di sidro, di pere e di idromele. Da questa breve panoramica è facile capire lo stato di ebbrezza in cui si trovava la civiltà europea durante quei secoli e questo potrebbe essere uno dei motivi alla base della lunga crisi culturale di questo periodo.

    Il caffè, invece, grazie al suo alto contenuto di caffeina (soprattutto quando estratto per ebollizione in una pentola con acqua calda) permise di sostituire il consumo di vino e birra fuori pasto e a colazione, e in alcuni casi anche durante il pasto diurno, regalando all’uomo dell’epoca una nuova lucidità mentale, numerose ore di veglia produttiva e un aiuto apprezzato per la digestione.

    In Italia la fine del Medioevo viene fatta coincidere con la nascita di Firenze quale sede del casato dei Medici. Grazie alla sua grande ricchezza, questa famiglia diede un enorme impulso all’attività culturale e alla pubblicazione della “Divina Commedia” di Dante Ali-ghieri, che segnò l’inizio di una nuova coscienza della lingua italiana. Il capoluogo toscano fu un luogo privilegiato per la ricostruzione della storia del caffè: nella recente pubblica-zione anastatica del celebre discorso di Giovanni Domenico Civinini tenutosi al cospetto della Società Botanica Fiorentina, Raffaella Setti sottolinea come durante il periodo che va dal Cinquecento al Settecento viaggiatori, mercanti, diplomatici ma anche botanici e medici furono attratti dalle novità ‘esotiche’ provenienti dal Medio Oriente, prima fra tutti il caffè. La prima fonte bibliografica dell’epoca sul caffè risale al 1592, ovvero alla pubbli-cazione dell’opera di Prospero Alpini De Plantis Aegypti, che riferiva della bevanda pre-parata con i semi di caffè.

    Secondo la ricostruzione di Civinini, fu il Console d’Amsterdam e prefetto della Compa-gnia delle Indie Orientali Niccolò Virsen a portare la pianta del caffè in Europa e a donarne un esemplare all’Orto botanico di Amsterdam (ma altre fonti citano il mercante olandese Pieter Van der Broeke, che avrebbe portato in Olanda delle piante sottratte agli arabi), dove prosperò e dette origine ad altre piante. Alcune di queste furono portate al Giardino Reale di Luigi XIV a Parigi, altre a Pisa, dove il medico e botanico Michelangiolo Tilli intro-dusse l’uso delle serre per coltivare l’ananas e il caffè.

    Civinini è un sostenitore delle virtù medicali del caffè, che secondo lui sarebbe un buon solvente di grassi, capace di portare al sangue sostanze meglio disciolte, fluidificare gli intasamenti di fegato e viscere, lenire l’acidità e favorire la digestione.

    Con l’espandersi delle conoscenze geografiche inizia l’età del mercantilismo e di lì a poco la stagione dell’Illuminismo, che idealmente porta avanti i valori dell’Umanesimo e del Rinascimento, secondo cui l’uomo sfrutta le proprie capacità per formulare princi-pi scientifici e filosofici che gli permettano di superare i limitanti dogmi tipici della civiltà medievale. Sta maturando la modernità: si sviluppano con fervore arti e scienze, grazie anche a questa nuova bevanda corroborante e ai luoghi di animazione culturale chiamati caffè dove, mentre la si sorseggia, si discute delle meraviglie della natura e delle capacità dell’uomo.

    Da allora il continuo sviluppo delle arti e delle scienze non ha mai smesso di caratte-rizzare l’epoca moderna, accompagnato dal caffè e dal consumo quotidiano di caffeina.

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    L’UOMO CAFFEINATO POSTMODERNO E IL NUOVO RINASCIMENTO

    DEL CAFFÈ ITALIANO

    La caffeina è un alcaloide naturale presente nelle piante di caffè, cacao, tè, cola, gua-ranà e mate ed è la sostanza psicoattiva più consumata al mondo. La caffeina è presente nelle foglie e nei frutti delle piante di caffè e ha una funzione insetticida naturale con effet-to tossico per numerose specie d’insetti che le mangiano.

    Gli Stati Uniti d’America sono la popolazione con il più elevato consumo giornaliero pro capite di caffeina non solamente nel caffè, tè o altri infusi, ma anche nella cioccolata, nei prodotti contenti guaranà e nei soft drink energizzanti come per esempio la Coca Cola.

    I contenuti di caffeina nelle varie bevande sono:• 1 tazza di espresso contiene una quantità di caffeina che varia dai 40 ai 120 mg a

    seconda della specie botanica utilizzata e del volume della bevanda• 1 tazza di caffè solubile: 60 mg• 1 lattina di Coca-Cola (330 ml): 35 mg• 1 lattina di energy drink (Red Bull, 250 ml): 80 mg

    Nonostante le variazioni dovute al volu-me della bevanda, al caffè utilizzato, al tipo di miscela (Arabica o Robusta), alla macina-tura, alla temperatura dell’acqua e ad altri parametri, se consideriamo la quantità che se ne assume l’espresso contiene quantità di caffeina inferiori a quelle di un caffè a fil-tro. È per questo motivo che l’espresso è il metodo di preparazione del caffè che per-mette un maggior numero di atti consumo giornalieri.

    Il consumo giornaliero di caffeina ha contribuito allo sviluppo accelerato della società attuale rendendo l’uomo un abi-tante del pianeta Terra più attivo, sveglio, veloce, dinamico, creativo e sognatore. D’altra parte lo sviluppo accelerato delle nuove tecnologie e della globalizzazione spersonalizzata sta portando l’uomo a una cronica e depressa solitudine che lo rende, nonostante gli effetti positivi della caffeina, Ihic to que aliti quaessit molorer natiorsd

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    isolato e infelice. La ricerca della felicità abbinata al consumo di caffeina potrebbe essere uno dei temi attuali che rendono l’epoca che stiamo vivendo affascinante e ricca d’inte-ressanti sviluppi.

    Una risposta a questi mali in Italia è già arrivata: dal 2012 il ‘Nuovo Rinascimento del caf-fè italiano’, a opera di Francesco Sanapo e del sottoscritto, ha rivoluzionato la coscienza del consumo del caffè dando uno spazio culturale e professionale alla figura dell’appas-sionato di caffè e dell’operatore di settore, che attraverso la cultura dei caffè specialty ritrova il senso di una sua realizzazione umana e professionale che lo renda nuovamen-te degno dell’appellativo di uomo felice, proprio di chi ritrova in ciò che fa il senso del suo essere. L’evento “Io bevo caffè di qualità” ha saputo portare all’uomo della strada la cultura di qualità di una bevanda che, in Italia, a volte, viene spesso considerata quasi alla stregua di un ‘medicinale’, presa di fretta al bar dove viene richiesta al barista con un semplice “Un caffè, per favore” senza godere, la maggior parte delle volte, di alcuna esperienza sensoriale.

    Il caffè invece, non solamente per il suo contenuto di caffeina, ma soprattutto per l’e-norme quantità di composti chimici e aromatici, rappresenta nella sua massima espres-sione qualitativa una vera e propria esplosione per i nostri sensi che da esso vengono piacevolmente stimolati e che provocano nel cervello i segnali elettrici che si traduco-no in cosciente godimento e felicità. Il caffè di qualità è qualcosa da degustare e bere in compagnia, è un evento quotidiano da condividere non solamente con se stessi, ma con qualcun altro.

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    “Io bevo caffè di qualità” è un evento itinerante che offre ai clienti di una caffetteria lo stesso caffè specialty preparato ed erogato con diversi metodi di estrazione: in espresso, a filtro e in aeropress. Il partecipante ha così modo di scoprire le diverse caratteristiche organolettiche di ogni singola tazza e di scegliere alla fine del percorso non solamente il suo caffè preferito, ma anche il metodo di preparazione che più soddisfa i propri sog-gettivi canoni di piacevolezza. “Io bevo caffè di qualità” in fondo è un modo per rendere personale ciò che la società postmoderna ha in tutti i modi cercato di standardizzare cau-sando un appiattimento dell’uomo nella sua individualità e una massificazione sempre più estrema.

    Un altro fenomeno iniziato a Firenze nello stesso periodo, sollecitato dalla nuova com-munity di baristi nata dalle gare del circuito della Speciality Coffee Association of Europe (SCAE), è l’Umami Barista Campus, ovvero un luogo di incontro, formazione e condivi-sione dove appassionati di tutta Italia si riuniscono per approfondire temi legati al mondo del caffè con semplicità, convivialità e professionalità. Umami è il poco noto quinto gusto fondamentale percepito dall’uomo, assieme all’acido, il salato, il dolce e l’amaro.

    Ihic to que aliti quaessit molorer natiorsdSedi omnimet estrum ne simoluptas nus aborati

    @sesamo 3: logo umami barista campus

    + logo member di scae

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    I metodi di lavorazione del caffè

    Umami in Giapponese significa “saporito”. L’Umami Barista Campus è stato iniziato da un primo gruppo di esperti e baristi che includeva il sottoscritto in qualità di caffesperto, Simone Guidi (Authorized Scae Trainer, docente modulo barista), Andrea Matarangolo (AST, docente modulo barista e latte art), Davide Berti (AST, docente barista), Simona Rey (idrosomellier), Paolo Dalla Corte e Sergio Barbarisi. Dai primi incontri periodici e informa-li nacque l’Umami Barista Camp, un nuovo format di educazione e formazione sul caffè di qualità che mantiene lo spirito originario dei primi Coffee Campus integrandovi, però, la formazione del Coffee Diploma System della SCAE, ovvero percorsi formativi e profes-sionalizzanti personalizzabili sui temi del caffè verde, la tostatura, l’assaggio, l’espresso, il cappuccino, la Latte Art e i metodi di preparazione del caffè a filtro e pour-over. Nel 2015, durante la quarta edizione di Pausa Caffè Festival a Firenze, si è costituita l’Associazione Umami Area che ha raccolto l’eredità dei primi Umami Barista Camp facendoli divenire un format oramai consolidato e apprezzato che offre alla filiera del caffè espresso italiano nuove forme di crescita culturale.

    (Ulteriori informazioni si trovano sul sito: www.umamiarea.com).In questo processo non si può dimenticare un altro evento importante per la diffusio-

    ne della cultura del caffè in Italia, il Pausa Caffè Festival, il primo festival italiano intera-mente dedicato ai caffè di qualità che si tiene annualmente nel centro storico di Firenze su una superficie di 300 mq e che è in grado di riunire operatori di alta qualità che per tre giorni collaborano al fine di diffondere il caffè specialty anche attraverso eventi culturali ad esso correlati.

    (Ulteriori informazioni si trovano sul sito: www.pausacaffefestival.it) Dal 2012, anno della sua prima edizione, il festival ha ospitato eventi quali la finale del

    Campionato Italiano Assaggiatori Caffè e del Campionato Italiano Brewers in collabora-zione con SCAE Italia, il campionato Latte Art Challenge Dalla Corte, il campionato Coffee Triathlon e il campionato Coffee Sensory BUNN.

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    Un altro format degno di menzione è il Barista & Farmer Talent Coffee Show, che gra-zie all’inventiva di Francesco Sanapo, al supporto del sottoscritto, di Alberto Polojac, di Rebecca Atienza e di Rimini Fiera ridefinisce gli standard di conoscenza del mondo della piantagione di caffè, portando dieci baristi internazionali a vivere assieme e sperimentare il duro lavoro nella piantagione in ciascuno dei suoi passaggi fondamentali: la raccolta delle ciliegie, la pesatura e la spolpatura, la lavorazione del caffè con i metodi naturale, lavato e semi spolpato, la gestione di un vivaio e la selezione dei chicchi verdi secondo la classificazione qualitativa. Assieme al lavoro in piantagione, il format di Barista & Farmer offre ai partecipanti la formazione della B&F Academy con docenti di livello internazio-nale, che introducono gli argomenti legati al mondo del caffè verde e dell’assaggio del Coffee Diploma System della SCAE.

    Ulteriori informazioni si trovano sul sito: www.baristafarmer.com

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    I metodi di lavorazione del caffè

    IL MONDO DEL CAFFÈ VERDE

    LA PIANTA DEL CAFFÈ: CENNI DI BOTANICA E COLTIVAZIONE

    La pianta del caffè è un arbusto sempreverde che appartiene alla famiglia delle Ru-biacee e prospera nei climi tropicali. La sua altezza varia tra i 6 e i 12 metri a seconda delle specie, anche se l’arbusto coltivato viene di solito potato, per ragioni di praticità, a un’altezza massima di 2 metri in modo da agevolare la raccolta dei frutti, che sono detti bacche, drupe o ciliegie.

    Nella maggior parte dei paesi la fioritura della pianta avviene una sola volta l’anno e dura solo due-tre giorni; la lenta maturazione dei frutti si compie invece in circa nove mesi. In una piantagione ben condotta è di particolare importanza l’ombreggiatura che viene data alle piante con alberi ad alto fusto o da frutta come banani, aranci, limoni, papaya e avocado: questi permettono di creare un miglior microclima grazie alla ridotta esposizione al sole e a un’umidità ottimale, che portano a una produzione minore ma di maggiore qualità.

    Ci sono due specie principali usate a scopo commerciale: la Coffea Canephora (nota anche come Coffea Robusta, 22 cromosomi) e la Coffea Arabica (44 cromosomi), cui si aggiungono la Coffea Liberica e la Coffea Excelsa, che però contano per meno dell’1% nella produzione mondiale di caffè.

    Data l’importanza del caffè come merce, a partire dal suo utilizzo commerciale su larga scala (sin dalla metà del Seicento) numerose sono state le varietà coltivate (culti-var) della pianta, selezionate dall’uomo per rendere le piante più produttive o resistenti a parassiti e malattie. Tra le cultivar della Coffea Arabica più importanti oggi ricordiamo: Bourbon, Catuaì, Caturra, Maragogype, Pacas, Pacamara, Sumatra e Typica; i loro frutti sono in genere di colore rosso-violaceo, mentre le varietà Bourbon Yellow, Catuaì Yellow e Caturra Yellow, come è facile capire dal nome, danno frutti giallo-aranciati. La Maragogype invece si distingue per i chicchi più grandi, che hanno un maggior valore sul mercato.

    La Coffea Canephora o comunemente chia-mata Robusta è una specie più resistente e più ricca di caffeina, che in Brasile si trova nella varietà Conillon. La Canephora riesce a soprav-vivere nei climi tropicali ad altitudini inferiori, dove aumentano le precipitazioni, l’umidità e le temperature (tutti fattori che favoriscono Ihic to que aliti quaessit molorer natior-

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    malattie e parassiti). È dunque una spe-cie più semplice da coltivare, resistente alle malattie ed economicamente più redditizia.

    Il clima adatto alla specie Arabica è invece quello tropicale-montano, ovve-ro sopra i 900 metri sul livello del mare. Qui le temperature e le precipitazioni sono minori, ma aumenta l’escursione termica tra giorno e notte: il frutto ma-tura più lentamente, immagazzinando più zuccheri, che a loro volta permetto-no la formazione di sostanze chimiche aromatiche pregiate che danno al caffè Arabica una piacevole acidità e produ-cono una tazza pulita (clean cup) ricca di aromi.

    LA CAFFEINA

    La formula chimica di questa molecola che fa parte della famiglia degli alcaloidi è: C8H-

    10N

    4O

    2.

    I chicchi di Arabica e Robusta non si differenziano solo per forma, colore e diversa ri-sposta al processo di tostatura ma anche per il contenuto di caffeina, che è in media l’1,2% per l’Arabica e il 2,4% per la Robusta. Inoltre, l’Arabica possiede maggiori quantità di lipidi e trigonellina.

    La caffeina esercita nella pianta di caffè un’importante funzione antiparassitaria: la piccola percentuale contenuta nelle foglie e nei frutti è infatti tossica e letale per numero-si parassiti, che in questo modo non possono arrecare alcun danno significativo alla pianta. Per l’essere umano invece la caffeina, assunta in dosi minime, è soggettivamente ben tolle-rata e provoca numerosi effetti fisiologici inte-ressanti tra cui:

    l’aumento della concentrazione - la caffei-na, antagonista dell’adenosina, permette al fisico e al sistema nervoso di svegliarsi, essere più attivi e ricettivi. Con la produzione di blan-de quantità di adrenalina il cervello è in grado

    @sesamo 5: dettaglio dell’interno della ciliegia.

    @sesamo 6: grafica / foto della molecola della caffeina

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    I metodi di lavorazione del caffè

    di aumentare la concentrazione e la velocità dei riflessi;l’aumento della memorizzazione delle informazioni a breve termine;l’aumento delle prestazioni fisiche - la caffeina ha la proprietà di aumentare la cir-

    colazione sanguigna nei muscoli e nei vasi periferici migliorandone l’ossigenazione e le prestazioni muscolari. La caffeina agisce anche a livello conscio fornendo una maggiore sopportazione della fatica dovuta a sforzo fisico e aiutando così gli atleti nelle prestazioni agonistiche a ottenere risultati fisici migliori;

    una blanda azione analgesica grazie all’azione vaso-costrittiva della caffeina dei vasi sanguigni periferici; è ormai conclamata l’azione benefica della caffeina nei casi di emi-crania dovuta alla pressione del cervello contro la scatola cranica a causa dell’aumento del suo volume;

    una regolazione del ritmo veglia-sonno nel caso di assunzione regolare e di dosi co-stanti di caffeina durante le 24 ore.

    VITA IN PIANTAGIONE DURANTE L’ANNO

    La vita di una pianta di caffè inizia nel vivaio, ovvero nella coffee nursery, dove la propaga-zione della pianta avviene per germinazione del seme. I semi ancora in pergamino (il guscio che protegge il seme) vengono adagiati su un letto umido e sabbioso che nell’arco di 1-2 mesi permetterà alla pianta di germogliare. Subito dopo le piantine vengono trasferite in sacchet-ti o contenitori di plastica dell’altezza di circa 20 cm contenenti terra fertile e nel corso del successivo anno avranno prodotto radici suf-ficienti per poter essere poi trasferite in pian-tagione.

    Per avere il primo raccolto delle drupe sarà necessario attendere circa tre anni dalla messa a dimora del seme in pergamino e ci vorranno, invece, cinque anni affinché la produzione dia al coltivatore quantità di caffè economicamente redditizie.

    Generalmente in gran parte dei paesi produttori si ha una sola fioritura con un uni-co conseguente periodo di raccolta, che dura in genere quattro mesi. Fa eccezione per esempio la Colombia che, in alcune regioni, è caratterizzata anche da tre fioriture annuali e quindi due raccolti principali.

    La piantagione di caffè richiede il maggior impegno lavorativo durante la raccolta, che deve essere eseguita da personale addestrato ed esperto. Il caffè deve inoltre essere im-mediatamente lavorato al fine di evitare spiacevoli e indesiderati fenomeni che possono deteriorarne la qualità. Subito dopo la raccolta, quindi, le ciliegie di caffè vengono poste

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    su ampi piazzali esposti al sole, dove si asciugheranno e daranno luogo a caffè verdi na-turali o spolpati, che permetteranno poi di separare i chicchi in pergamino dalla buccia e ottenere i caffè lavati o semi-lavati.

    Nel periodo lontano dalla raccolta il lavoro in piantagione prevede la potatura degli alberi, la fertilizzazione e i trattamenti contro le malattie e gli insetti più devastanti per la pianta, la sostituzione degli alberi malati o troppo vecchi con piante giovani.

    Spesso i coltivatori sfruttano lo spazio a fianco delle piante di caffè per piantare alberi da frutta come aranci, limoni, mandarini, banani, mango, papaya, che forniscono l’ombra di cui le piante di caffè hanno bisogno; in India è tipica la coltivazione del caffè affiancata ad alberi ad alto fusto sui quali cresce la pianta del pepe. Altre colture ovviamente richie-dono al coltivatore molto lavoro, in particolare quando è il tempo della raccolta dei frutti o dei vari trattamenti di fertilizzazione o di applicazione degli antiparassitari.

    I METODI DI LAVORAZIONE DEL CAFFÈ

    La raccolta delle drupeQuando i chicchi del caffè sono maturi arriva il momento di raccoglierli. Inizia qui la

    lunga serie di processi che si concluderà con la tazzina dell’espresso e la sua degustazio-ne. Ogni fase di lavorazione comporta specifiche criticità, che vanno affrontate in modo corretto per garantire il miglior risultato: durante la raccolta bisognerà far sì che le migliori qualità chimiche dei chicchi vengano mantenute e che venga evitato il loro degrado, evi-tando quindi sia l’essiccazione del frutto sulla pianta sia l’innescarsi di una fermentazione incontrollata.

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    I metodi di lavorazione del caffè

    La raccolta ha inizio quando la maggior parte dei frutti del caffè di una piantagione è matura al punto giusto. Essa avviene in genere una sola volta l’anno e può prolungarsi an-che per qualche mese, proprio per garantire la completa maturazione dei frutti. I metodi di raccolta sono tre: il picking, lo stripping e il metodo meccanico.

    Il picking, o selezione manuale, è eseguito frutto per frutto da raccoglitori (pickers) che prelevano dalla pianta solo le drupe che reputano perfettamente mature. Per completa-re la raccolta sarà quindi necessario ritornare più volte presso ciascuna pianta. Questo metodo viene usato per produrre caffè lavati e naturali di elevata qualità, come vedremo qui di seguito.

    Il secondo metodo di raccolta è lo stripping: passando una mano a pettine dalla base all’estremità di un ramo si strappano tutte le bacche, assieme a foglioline e ramoscelli. Alla fine di questo tipo di raccolta, per assicurare la qualità di quanto raccolto andranno scartati i frutti troppo secchi e troppo verdi.

    Soltanto nelle zone pianeggianti e in piantagioni dove la maturazione perfetta dei frutti è praticamente simultanea è possibile utilizzare il terzo metodo di raccolta, ovvero quello meccanico. Le macchine raccoglitrici, alte più delle piante di caffè, sono dotate di spaz-zole che si muovono scuotendo l’albero e facendo cadere i frutti alla base della macchina stessa, dove poi vengono raccolti. L’unico paese nel quale la maggior parte del raccolto avviene tramite il metodo meccanico è il Brasile che grazie all’enorme estensione delle piantagioni e alla conformazione pianeggiante del terreno permette un esteso uso delle macchine che nel periodo della raccolta lavorano anche 24 ore su 24.

    La lavorazione delle drupeI frutti maturi appena raccolti devono essere lavorati subito, il giorno della raccolta, per

    evitare che s’inneschino processi di fermentazione che danneggerebbero la qualità del caffè prodotto. I metodi di lavorazione principali sono tre: a secco, in umido e semi-lava-to; a questi va aggiunto il metodo honey, tipico del mercato degli specialty coffee.

    La lavorazione naturale o a secco prevede che le ciliegie appena raccolte vengano essiccate al sole su aie o rastrelliere, oppure su un patio in cemento, portando così in tempi brevi l’umidità dei frutti intorno al 12%. Successivamente, macchine decorticatrici separano la buccia, la polpa e il pergamino dal chicco. Questo metodo di lavorazione è usato soprattutto per i caffè Robusta e per i caffè Arabica brasiliani.

    I chicchi trattati a secco avranno un colore verde-giallo e la loro tostatura risulterà meno uniforme rispetto a quelli trattati in umido; la pellicola argentea che rimane nel sol-co del chicco in fase di tostatura assumerà un colore marrone scuro. I caffè prodotti con questa lavorazione sono detti “naturali”.

    La lavorazione in umido prevede cinque fasi:• la separazione, dove le drupe secche e immature vengono individuate ed elimina-

    te con una macchina separatrice o attraverso l’ammollo in vasche d’acqua, dove le ciliegie troppo mature e secche galleggeranno, mentre quelle immature si ada-geranno sul fondo;

    • la spolpatura, che elimina buccia e polpa dal chicco in pergamino. Anche questa

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    fase viene svolta da una macchina che permette ai due chicchi di separarsi dalla polpa attraverso un leggero schiacciamento della drupa;

    • la fermentazione, che è un periodo di 6-72 ore in cui il chicco in pergamino riposa mentre microorganismi fanno fermentare la mucillagine presente sul pergamino, facilitandone la rimozione. Il tempo di fermentazione dipende dalle condizioni climatiche: temperature elevate accelerano i processi di fermentazione, abbre-viandoli;

    • il lavaggio, che avviene facendo scorrere acqua fresca sui chicchi disposti su ca-nalette di cemento e che permette di pulire i chicchi in pergamino e di selezionarli per densità;

    • l’asciugatura, che consiste nell’essiccazione dei chicchi in pergamino puliti al sole o tramite essiccatrici meccaniche.

    I chicchi lavorati in umido assumono un co-lore verde, verde-blu o verde-grigio, tostano in modo uniforme e, una volta torrefatti, presenta-no una pellicola argentea di colore giallo paglie-rino nel solco del chicco.

    I caffè prodotti con la lavorazione in umido sono detti “caffè lavati” e sono particolarmente indicati per produrre bevande a filtro e con mac-china espresso, perché questa lavorazione esal-ta l’acidità e le note aromatiche più pregiate quali quelle floreali e fruttate.

    Il metodo semi-lavato semplifica la lavorazio-ne dei caffè lavati poiché salta la fase di fermen-tazione. La rimozione della mucillaggine avviene in questo caso per via meccanica tramite lo sfre-gamento tra i chicchi, prodotto da getti di acqua sotto pressione.

    Un quarto metodo di lavorazione da menzio-nare è il cosiddetto honey o “pulped natural”, che si posiziona tra il metodo naturale e quello semi-lavato, ma più vicino al primo.

    Il metodo honey prevede la spolpatura delle drupe e l’essiccazione dei chicchi in pergamino, con parte della polpa e della mucillagine ancora attaccate, su patii in cemento o aie di asciuga-tura sopraelevate. In base alla quantità di polpa si avranno diversi gradi di honey. Si passerà da uno “yellow” a un “red”, fino a un “black” (molta mucillagine e parte di polpa residua ancora at-taccate al chicco in pergamino). Ihic to que aliti quaessit molorer na-

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    I metodi di lavorazione del caffè

    Questo metodo è raramente menzionato perché non rappresenta una scelta com-mercialmente diffusa ed è praticata nel mercato degli specialty coffees. Il procedimento honey è più difficile da eseguire rispetto al naturale o al lavato, in quanto l’umidità del pergamino è elevata e non garantisce una costanza del prodotto. Una delle maggiori dif-ficoltà è rendere l’asciugatura uniforme senza che si generino muffe o chicchi fermentati. Non è inoltre possibile mettere i chicchi negli asciugatori meccanici a meno che non siano già stati parzialmente asciugati al sole. Così facendo, infatti, si rischierebbe di far attaccare e bruciare la mucillagine e la polpa fresca all’interno dei tamburi asciugatori. I caffè honey portano in tazza degli aromi molto fruttati interessanti affiancati a una dolcezza compa-rabile ai caffè naturali ma hanno anche una piacevole e complessa acidità comparabile a quella di alcuni caffè lavati.

    Quale metodo scegliere?Tra questi quattro metodi non è possibile compiere una scelta a priori, stilare una clas-

    sifica o eleggere un vincitore. L’esistenza di così tanti procedimenti non è legata al grado di sviluppo dei paesi produttori, ma a esigenze climatiche. La quantità di piogge annuali, l’umidità e la disponibilità di acqua condizionano fortemente la scelta. Se nominassimo il metodo naturale in paesi come l’Indonesia, il Guatemala o la Colombia ci considerereb-bero folli poiché sono paesi che tradizionalmente trattano il caffè con il metodo lavato, avendo a disposizione grandi quantità di acqua fresca tutto l’anno e tassi di umidità così elevati da far ritenere impensabile essiccare le drupe di caffè al sole senza generare chic-chi fermentati e difettati. Ciò non significa che il metodo di lavorazione naturale sia meno valido e ciò viene dimostrato dai caffè naturali di alta qualità prodotti in Brasile e in alcuni paesi dell’Africa Orientale. Paesi caratterizzati da climi più asciutti e che non dispongono di fonti d’acqua sufficienti a processare il caffè in umido scelgono tradizionalmente il pro-cesso naturale.

    Dalla lavorazione delle drupe si ottengono i chicchi in pergamino asciugati con un’u-midità attorno al 12%: a questo punto è possibile la fase di eliminazione del pergamino. Il caffè verde così ottenuto, prima di essere tostato, va ulteriormente selezionato per eli-minare eventuali impurità di vario tipo (sassolini, legnetti, semi di altre piante e così via) e chicchi che presentano difetti visivi: chicchi neri, fermentati, tarlati, immaturi o scoloriti. I chicchi rimasti vengono quindi selezionati per dimensione facendoli passare attraverso dei crivelli. Solitamente per il caffè espresso vengono selezionati i chicchi più grandi, che corrispondono a crivelli di misura tra il 17 e il 20; non è solo questo, però, che garantisce la qualità in tazza, poiché chicchi più piccoli possono comunque produrre una tazza ec-cellente.

    Con la lavorazione dei chicchi inizia la complessa modificazione chimico-fisica che produrrà la sorprendente varietà di sapori e odori dei diversi tipi di caffè in tazza.

    In generale, un caffè naturale proveniente dalla pianta di Arabica ha una crema consi-stente e spessa, di colore nocciola con lievi striature di colore più scuro. Il sapore è poco acido con note dolci e amare, piuttosto corposo e ha un retrogusto che ricorda gli odori del pane e dei prodotti di pasticceria.

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    Un Arabica lavato produce invece una crema color nocciola chiaro, più striata e abba-stanza spessa ma non molto consistente. Il gusto acido è più accentuato, il dolce prevale sull’amaro, il caffè è poco corposo e ha un retrogusto floreale e fruttato.

    Un Robusta naturale dà origine a una crema di colore marrone non striata, consistente e molto spessa. L’equilibrio dei gusti viene meno, c’è una prevalenza dell’amaro e solo poche note dolci; è un caffè molto corposo, con un retrogusto che evoca odori di cioc-colato, terra e sottobosco.

    Un Robusta lavato produce invece una crema marrone chiaro, omogenea, spessa e consistente e uno scarso equilibrio gustativo, dove prevale l’amaro con note dolci e aci-dule, buon corpo e, nel retrogusto, aromi di tostato, legno e vegetale.

    Qualche parola in più va spesa per il gusto acido, di grande interesse nel mercato degli speciality coffee, nel Nord Europa e nell’America del Nord, e piuttosto gradito anche per la preparazione del caffè a filtro tipica di quei paesi. La sua presenza in tazza dipende dalla varietà botanica, dall’altitudine della piantagione, dal metodo di lavorazione e dal colore di tostatura. Nel caffè tostato sono presenti vari composti acidi, ciascuno dei quali gioca un ruolo nel determinare l’aroma caratteristico di una tazza: l’acido citrico ricorda gli agrumi, quello malico le mele, quello tartarico l’uva bianca e quello acetico l’aceto di vino. L’acido chinico e quello clorogenico, invece, (unitamente alla caffeina) danno un gusto amaro. L’acido clorogenico produce inoltre, assieme ad altri composti, una sensa-zione astringente al palato.

    I PAESI PRODUTTORI DI CAFFÈ

    I paesi produttori di caffè sono concentrati nella fascia tropicale, ovvero tra i due tropi-ci e a cavallo dell’equatore. I due paesi più importanti a livello mondiale sono il Brasile per la produzione di Arabica e il Vietnam per la produzione di Robusta. Nel continente ameri-cano vanno segnalati Colombia, Guatemala, El Salvador, Costarica, Nicaragua, Portorico, Cuba e Messico sia per la quantità che per la qualità prodotta. Nel continente africano è invece doveroso citare l’Etiopia, terra d’origine della pianta di caffè, che produce un’ot-tima qualità di Arabica lavato e naturale, e il Kenya. Altri paesi quali Ruanda, Tanzania, Uganda, Costa d’Avorio sono forse più conosciuti per la produzione di Robusta che di Arabica. Nel continente asiatico, India e Indonesia producono sia Arabica che Robusta di buona qualità.

    Ogni paese produttore di caffè è caratterizzato dalla coltivazione di Arabica e/o Robu-sta; vengono spesso utilizzate varietà più diffuse come la Bourbon, la Typica, la Caturra o altre varietà locali che si coltivano solamente in quel paese come per esempio la Kent dell’India, la SL 28 del Kenya, la Colombia della Colombia, Castillo e la Villa Sarchi del Co-starica. Quasi tutti i paesi che producono caffè fanno parte dell’International Coffee Or-ganization (ICO), la principale organizzazione intergovernativa che coordina programmi di cooperazione tra paesi produttori e paesi consumatori di caffè e dov’è rappresentato il 94% dei paesi produttori e il 75% di quelli consumatori.

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    I metodi di lavorazione del caffè

    Il caffè è basilare per l’economia dei paesi produttori, per molti dei quali costituisce il 50% o più delle esportazioni. La filiera del caffè occupa e offre sostentamento a oltre 125 milioni di persone ed è vitale soprattutto per i piccoli agricoltori, che riforniscono buona parte della produzione mondiale. Le 600 miliardi di tazze di caffè consumate ogni anno nel mondo danno l’idea di quanto sia esteso il suo consumo. Bastano questi pochi dati per capire il valore di un’organizzazione il cui obiettivo è rafforzare questo settore indu-striale e promuoverne uno sviluppo sostenibile in modo da fornire un vantaggio competi-tivo a tutte le componenti della filiera, anche al fine di ridurre la povertà nei paesi in via di sviluppo. L’ICO si occupa inoltre di raccogliere ed elaborare i dati di produzione, esporta-zione e importazione per ciascuno dei paesi membri e di calcolare un indicatore ICO del prezzo di mercato del caffè, che fornisce a operatori e governi una visione complessiva dell’andamento del mercato del caffè in tutto il mondo.

    Ulteriori informazioni si trovano sul sito: www.ico.org.I più importanti paesi produttori dei caffè Arabica utilizzati per la produzione delle mi-

    scele per l’espresso sono distribuiti in tutti i continenti. Il più importante, specialmente in termini di quantità, è il Brasile (più precisamente gli altipiani dell’area sud orientale). La tazzina di caffè brasiliano è corposa, dolce con note aromatiche di pan tostato, caramello e cioccolato.

    Etiopia e Tanzania sono due paesi produttori africani che producono chicchi di qualità adatti alla tostatura per l’espresso. In Etiopia ancora oggi la pianta di caffè cresce sponta-neamente nelle foreste tropicali all’ombra di alberi ad alto fusto. La raccolta delle ciliegie mature avviene a mano in piccole piantagioni o nei giardini di casa e produce un caffè

    @sesamo 7: inserire una planisfero in cui vengono evidenziati i pa-esi produttori secondo la tabella delle esportazioni di caffè scarica-bile dal sito www.ico.org inserendo qualche numero delle esporta-zioni, produzione e consumo globale, indicando la borsa di NY per gli Arabica e quella di Londra per i Robusta.

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    che in tazza è caratterizzato da aromi spiccati di agrumi e gelsomino, note fiorite con un gusto molto dolce e piacevolmente acido. In Tanzania le coltivazioni di caffè si trovano nella regione dei Grandi Laghi a nord ovest e sugli altipiani vulcanici a nord est. La tazza di espresso è dolce e acida, con note aromatiche di caramello, frutta fresca e agrumi.

    In India il caffè è spesso coltivato all’ombra di alberi ad alto fusto che accolgono produ-zioni di pepe, cardamomo, vaniglia e agrumi. I caffè indiani regalano in tazza un equilibrio gustativo amaro e dolce che lascia al palato sentori di cioccolato e biscotto.

    La regione del Centro America produce caffè di qualità in numerosi paesi, tra cui è ne-cessario citare in primis il Guatemala: il paese è particolarmente attento alla salvaguardia della biodiversità e della qualità della produzione, dove i suoi rilievi montuosi accolgono le piantagioni di caffè fino a raggiunge altitudini di 2.000 metri s.l.m.

    Il caffè del Guatemala in tazza è dolce, leggermente acido, corposo con note aroma-tiche di cioccolato, miele, caramello e agrumi. In El Salvador il caffè si produce a elevate altitudini e regala una bevanda dolce, acidula, con note aromatiche fruttate e di caramel-lo. In Costarica l’attenzione all’ecosistema e all’ambiente favoriscono pratiche agricole sostenibili ad altitudini elevate che producono caffè capaci di esprimere in tazza aromi spiccati di arancia, cioccolato, caramello, miele e vaniglia, assicurando sempre un perfet-to equilibrio gustativo e un discreto livello di corposità. Infine la Colombia, con le sue nu-merose regioni di produzione, produce caffè per quasi tutto il periodo dell’anno con un raccolto principale, uno secondario e a volte anche un terzo raccolto. La maggior parte della produzione deriva da varietà botaniche sviluppate nel paese che producono in taz-za un buon equilibrio acido-dolce-amaro, oltre che un buon corpo con note aromatiche di caramello, cioccolato, fruttato e frutta secca.

    I PAESI CONSUMATORI DI CAFFÈ

    Il caffè è una delle poche categorie merceologiche presenti in quasi tutti i paesi del mondo: ovviamente è coltivato, prodotto, esportato e consumato nei paesi produttori ma poi anche importato, tostato e consumato in pressoché tutti i paesi del globo. La sto-ria del caffè ci insegna che ovunque esso sia approdato (pensiamo ancora all’Europa del XVII secolo) si è velocemente diffuso, divenendo parte integrante della cultura di quel popolo fino a renderlo dipendente da esso. Nella storia recente sono da esempio i paesi asiatici come il Giappone, Taiwan e ancora di più la Corea del Sud, popoli storicamente e culturalmente legati al consumo del tè, che da poco più di un decennio sono passati al consumo di bevande a base di caffè preparate in diversi modi, dal solubile a quello per uso domestico, dal filtro fino all’espresso declinato nella ricetta del cappuccino.

    In cima alla lista dei più importanti paesi consumatori di caffè vi sono attualmente gli U.S.A., seguiti a breve distanza dal più rilevante paese produttore di caffè, il Brasile, che grazie a un’economia in crescita è risalito nella graduatoria dei principali paesi consuma-tori. Per quanto riguarda il consumo annuo di caffè pro capite va segnalato che i paesi del Nord Europa, ovvero quelli Scandinavi, fanno registrare un vero e proprio record, con

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    I metodi di lavorazione del caffè

    più di 12 kg annui consumati pro capite: un primato probabilmente determinato da fattori quali l’eccellente qualità di Arabica che viene importato e tostato, il massiccio uso del me-todo a filtro, la tostatura chiara che permette di ottenere una bevanda soave e delicata, nonché il basso tenore di caffeina degli Arabica di altura. L’Italia e i paesi del bacino del Mediterraneo si attestano invece su circa 5 kg annui pro capite, ovvero meno della metà del consumo nei paesi Scandinavi. Bisogna sottolineare, però, che i metodi di prepara-zione più diffusi nei paesi mediterranei, ovvero la moka e l’espresso, necessitano di una minore quantità di caffè per ogni tazza e che probabilmente se si prendesse in considera-zione il numero di consumazioni questi paesi salirebbero di certo in graduatoria.

    Un fenomeno recente da non dimenticare è inoltre il consumo domestico di caffè mo-noporzione, ovvero la diffusione ormai capillare in uffici e abitazioni di macchine espres-so compatibili con cialde in carta formato E.S.E., capsule Lavazza Point e Lavazza a Modo Mio, Nespresso, Caffitaly System e decine di altre, che hanno incrementato i consumi di caffè e limitato l’uso della moka e la pausa caffè al bar durante l’orario di lavoro.

    La decaffeinizzazione del caffèSono in molti a pensare che il caffè decaffeinato sia un

    prodotto alterato o di qualità inferiore rispetto a quello in-tero. Grazie ai procedimenti attualmente adottati, però, non è affatto così: un caffè cattivo non migliorerà, ma un caffè buono in partenza rimarrà buono anche dopo il processo di decaffeinizzazione. Vi sono varietà di caffè più o meno adatte al trattamento e ciò è ben noto ai produttori, che oggi puntano a fornire un prodotto di qualità e una nuova immagine al decaffeinato. Se correttamente preparati, un caffè normale e la sua versione decaffeinata avranno un sapore difficilmente distinguibile anche da un esperto. Provate a fare un test con i vostri amici, proponendo un buon decaffeinato come normale e vedrete che nessuno sarà in grado di notare la differenza!

    La storia del decaffeinato comincia a Brema, in Germania, all’inizio del 1900, quando la Kaffee HAG brevetta il primo metodo per rimuovere la caffeina dai chicchi crudi. Oggi si considera decaffeinato un caffè con un contenuto di caffeina che non supera lo 0,1% (0,3% per i caffè solubili). Per ottenere la rimozione di caffeina e mantenere un’elevata qualità nel caffè si possono adottare svariati metodi, che utilizzano ciascuno un solvente diverso:

    • il diclorometano, che dà un ottimo risultato in tazza e preserva le caratteristiche di tazza del caffè di partenza, permettendo anche di rimuovere le cere dal chicco;

    • l’acetato di etile, che lascia in tazza aromi residui “fruttati di mela verde” estranei al profilo aromatico del caffè;

    • l’acqua (Swiss Water Process) che oltre a rimuovere la caffeina solubilizza molti composti chimici del caffè diminuendo la qualità di tazza rispetto a quella origi-naria;

    @sesamo: inserire QD CODE video DEMUS

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    • l’anidride carbonica in stato supercritico, un processo particolarmente costoso ma che permette di mantenere un ottimo profilo di tazza.

    Va sottolineato che, oltre a rimuovere la caffeina, il diclorometano elimina anche le cere presenti sulla superficie del caffè verde, che possono provocare irritazioni e bruciori allo stomaco di persone particolarmente sensibili. Il processo industriale a diclorometa-no permette di produrre anche il caffè decerato, quello al quale vengono estratte le cere mantenendo la maggior parte della caffeina di partenza.

    Bisogna ricordare che la caffeina è particolarmente solubile in acqua e che la sua quantità in tazza dipende dalla quantità di acqua che attraversa la polvere di caffè tosta-to, il tempo di contatto tra acqua e caffè, e la temperatura dell’acqua. Nella preparazione dell’espresso si ha una resa di estrazione della caffeina tra il 75 e l’85% di quella contenuta nella polvere di caffè. Infine, un elemento che incide sul contenuto di caffeina in tazza è la specie e varietà botanica del caffè utilizzato: una tazzina di espresso Arabica conterrà 60 mg di caffeina, mentre una di Robusta circa 140 mg.

    LE CERTIFICAZIONI DEL CAFFÈ VERDE

    La certificazione biologicaDiverse società e organizzazioni offrono servizi di certificazione biologica che riguarda

    sostanzialmente la regolamentazione dell’uso di fertilizzanti e pesticidi chimici: i produt-tori che aderiscono alla certificazione biologica non possono utilizzare sostanze sinteti-che, che costituiscono la maggior parte dei pesticidi, erbicidi e fertilizzanti oggi in com-mercio. Le società di certificazione inviano i propri ispettori a visitare le aziende agricole per verificare e certificare gli standard previsti della certificazione biologica.

    Lo standard biologico garantisce al consumatore che il prodotto non contiene ingre-

    @sesamo dek: i quattro solventi di decaffeinizzazione

    Ihic to que aliti quaessit molorer natiorsdSedi omnimet estrum ne simoluptas nus

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    I metodi di lavorazione del caffè

    dienti chimici né additivi. Nelle piantagioni di caffè si riduce la quantità di erbicidi, pesticidi e fertilizzanti con il conseguente aumento della biodiversità locale e con la riduzione del fenomeno erosivo e dell’impoverimento del suolo.

    La certificazione biologica non è volta tanto a migliorare le condizioni di lavoro nei pa-esi produttori di caffè e non applica standard volti al miglioramento della qualità, quanto a salvaguardare la salute dei lavoratori e del consumatore e a preservare nelle piantagioni le condizioni naturali dell’ecosistema.

    I requisiti per la produzione di caffè biologico variano da paese a paese, e in genere comportano l’adozione di una serie di standard per la coltivazione, conservazione, lavo-razione, imballaggio e spedizione che includono le seguenti pratiche:

    • nessun uso di prodotti chimici e organismi geneticamente modificati;• uso di terreni agricoli dove non sono stati usati prodotti vietati per un certo nume-

    ro di anni (generalmente da un minimo di tre o più);• registrazione delle quantità prodotte e vendute per assicurare la massima trac-

    ciabilità;• mantenimento di una rigorosa separazione fisica tra prodotti biologici e prodotti

    non certificati.Un aspetto negativo del costo della certificazione colpisce molti piccoli produttori a

    conduzione familiare che sono biologici per necessità poiché non possono permettersi l’acquisto di pesticidi e fertilizzanti chimici, ma nemmeno sostenere il costo della cer-tificazione. Per norma il caffè non può essere etichettato come biologico a meno che le pratiche biologiche non siano iniziate almeno tre anni prima del raccolto che si vuole certificare.

    FairtradeFairtrade è un marchio etico internazionale che certifica tutti i prodotti che rispettano

    i parametri di produzione e commercializzazione della Fairtrade Labelling Organization International (FLO) con l’obiettivo di garantire il rispetto di adeguati standard sociali, eco-nomici e ambientali nell’intera filiera di un prodotto.

    L’obiettivo del marchio è quindi quello di migliorare le condizioni di vita dei produt-tori dei paesi in via di sviluppo e modificare il mercato globale sostenendo condizioni di scambio più eque.

    Gli standard Fairtrade sono rigorose norme internazionalmente condivise che tutti gli attori della filiera (produttori, trader, trasformatori e torrefattori) sono tenuti a rispettare.

    Per quanto riguarda lo specifico settore del caffè, va detto che il caffè certificato Fair-trade è coltivato da cooperative o da piccoli produttori nei paesi di origine e conta cir-ca 660.000 agricoltori in ben 30 paesi. Fairtrade International interviene imponendo un prezzo minimo del caffè (il Fairtrade Minimum Price) atto a garantire la sussistenza degli agricoltori. I produttori ricevono inoltre una somma di denaro aggiuntiva (il Fairtrade Pre-mium) che sarà investita in parte nel miglioramento della produttività e in parte in progetti sociali, educativi, formativi e di salvaguardia ambientale. Va sottolineato che la certifica-zione Fairtrade non prevede un controllo della qualità del prodotto, poiché è l’agricoltore

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    stesso che si impegna a migliorarne la qualità per poterne vendere quantità maggiori.Per aderire al marchio Fairtrade gli agricoltori devono attenersi a norme etiche ben

    precise che impongono loro di redigere piani di sviluppo economico e di aggiornarsi sui sistemi di agricoltura sostenibili. Tali norme proibiscono altresì qualsiasi tipo di discrimi-nazione e vietano il lavoro minorile e forzato, garantendo ai lavoratori la libertà di riunirsi in associazioni e la sicurezza di un contratto regolare.

    Coloro che si occupano della commercializzazione della materia prima sono invece tenuti a firmare e rispettare contratti vincolanti e trasparenti con i fornitori, prefinanziare i fornitori e creare con loro relazioni durature di sostegno reciproco, corrispondere la somma più alta possibile oltre il prezzo minimo Fairtrade e pagare un premio per svilup-pare attività a favore della comunità.

    Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito: www.fairtrade.it

    Rainforest AllianceÈ un’organizzazione internazionale per la salvaguardia della biodiversità e dell’am-

    biente che si pone l’obiettivo di limitare la coltivazione intensiva del caffè e impedire la creazione di piantagioni che causano la deforestazione e la distruzione dell’ecosistema locale. Le piantagioni di caffè certificate Rainforest Alliance garantiscono che il caffè è coltivato in armonia con la natura circostante, ovvero salvaguardando la qualità del terre-no e le fonti di acqua, riducendo e recuperando gli scarti e preservando l’habitat naturale della fauna locale e degli uccelli migratori. Le famiglie che gestiscono le coltivazioni di caf-fè certificati Rainforest Alliance usufruiscono di programmi economici, sanitari e formativi che garantiscono un prezzo giusto per il caffè venduto.

    Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito: www.rainforest-alliance.org

    4C – Common Code for the Coffee CommunityNel 2002 in Germania ha avuto inizio un progetto per la creazione di un codice etico

    per la produzione sostenibile e la commercializzazione del caffè. Protagonisti di questo progetto sono stati in primis il governo federale tedesco e l’associazione tedesca degli operatori del caffè, che hanno coinvolto l’industria del caffè tedesca, oltre che i produtto-ri di caffè e le organizzazioni del coffee trading.

    L’Associazione 4C determina e applica il codice di condotta detto “delle 4C”, che inclu-de 28 norme sociali, ambientali ed economiche che permettono la produzione sosteni-bile e regolano la lavorazione e la compravendita del caffè verde. Per quanto riguarda la commercializzazione del caffè, una “Unità 4C” nel paese di produzione può vendere solo caffè conforme al Codice 4C, ovvero prodotto rispettando una media minima di criteri da esso delineati.

    Il Codice 4C include inoltre dieci pratiche considerate inaccettabili che tutti i sogget-ti della catena di produzione e messa in commercio sono tenuti a eliminare per poter far parte dell’associazione o vendere/commercializzare il caffè come certificato 4C. Fra queste c’è, per esempio, lo sfruttamento del lavoro minorile e del lavoro sotto qualsiasi forma di costrizione e schiavismo, il traffico illegale di persone, l’appropriazione indebita

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    I metodi di lavorazione del caffè

    di terreni, l’assenza di standard minimi di igiene e comfort negli alloggi per i lavoratori, l’uso di pesticidi tossici, la deforestazione illegale, l’impossibilità di unirsi in sindacati e unioni di produttori, e l’adozione di pratiche commerciali illegali e riconducibili ad atti di corruzione.

    Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito: www.4c-coffeeassociation.org

    CSC – Caffè Speciali CertificatiÈ un’associazione italiana fondata nel 1996 da un gruppo di torrefattori esperti e ap-

    passionati per promuovere la cultura del caffè di qualità attraverso iniziative di ricerca e promozione sociale come aiuti alle comunità agricole dei paesi produttori di caffè. Per questo motivo, i soci possono acquistare qualsiasi caffè certificato Fairtrade e biologico che sia qualitativamente conforme agli standard imposti dall’associazione.

    CSC riconosce inoltre i criteri determinati da enti internazionali di certificazione come UTZ Certified, Rainforest Alliance, Fairtrade e SA 8000, e aderisce alla Specialty Coffee Association of Europe.

    L’alta qualità delle miscele messe in commercio dagli associati CSC è garantita da nu-merosi controlli eseguiti in tutte le fasi della filiera. Le procedure delineate dall’associazio-ne per fornire uno standard qualitativo comprovabile includono infatti tutte le fasi della produzione del caffè, dall’individuazione di piantagioni che rispondono a specifici requi-siti, alle verifiche presso le torrefazioni.

    Uno speciale bollino CSC certifica che la confezione sulla quale si trova contiene solo Caffè Speciale Certificato, che ciascun torrefattore proporrà in miscele diverse ma sem-pre di altissima qualità, e garantisce l’avvenuta esecuzione di tutte le verifiche.

    Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito: www.caffespeciali.it