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Centro Regionale Progettazione e Restauro

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SOM MARIO

38 PUNTERUOLO ROSSO DELLE PALMEbiologia e mezzi di controllo

41 PALME E PAESAGGIOl’abito urbano vegetativo

43 I PORTALI DELLA CITTÀarchitettura, trasformazioni e sovrapposizionistilistiche nel centro storico di Palermo

45 PERCORSI FORMATIVIobiettivi di studio per un’idonea fruizionee conservazione delle opere d’arte

47 TIROCINIO IN CHIESAL’ostensorio con gli Angeli del Carmine Maggiore

48 IL GRUPPO DEL COLOREsocietà italiana di ottica e fotonica

49 NEUTRONI E LASERper la ricerca di dipinti nascosti

50 SISTEMI BIOLOGICI E BENI CULTURALIIl convegno AIAr a Palermo

52 DESCRIZIONI, NOTE E REPERTORIUn fondo bibliografico seicentesco

54 I GIARDINI PERDUTIComunicare con gli alberi per non appassire la mente

35 NEWS

55 RASSEGNA LIBRI

2 TEMARIO

3 “ABUNA” MICHELE IN PALESTINAil profilo culturale di padre piccirillo

5 AREE ARCHEOLOGICHE E TEATRI ANTICHIProgetto Artea: un partenariato internazionale

6 SITI MADONITIper la mappatura del degrado entomologicodei manufatti di natura organica

10 L’ABATELLIS TRA CONTINUITÀE INTEGRAZIONEallestimento della galleria regionaledell’ala settecentesca

12 IL MUSEO DEL CORALLOcollezioni dell’ “Agostino Pepoli“

13 LO SCRIGNO DEI RICORDI “SOFFICI”Fibre, tessuti, taglio e taglie sartoriali

17 VIRGO LACTANSla madonna della Lavina di cerami

22 SPECIE LAPIDEEi marmi della villa del casale

25 CAMPAGNE DI SCAVITra ricerche, archeologia e restauro

29 LA SOLFATAZIONE DIFFUSAuniformità di un degrado chimico

31 ALGHE E CIANOBATTERIprevenzione e controllo dei microrganismifotosintetici

32 TESSERE, MUSCHI E LICHENIcolonizzazione lichenica e muscinale dei mosaicipavimentali e valutazione efficacia dei biocidi

internazionale

progetti

laboriando

dossier

recensioni

incontri & dibattiti

ricerche&contributi

formazione

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C.R.P.R in/forman. 7/8 Giuno-Dicembre 2009Rivista semestrale del Centro regionaleper la progettazione e il restauro e per lescienze naturali applicate ai Beniculturali ISSN 2035-8717

Direzione scientificaGuido Meli

Direttore responsabileAntonio Casano

Comitato di redazioneAntonio CasanoRita Di NataleMaria Di FerroRoberto GarufiElena LentiniGioacchino ManganoFerdinando MaurigiGuido MeliGiuseppa Maria Spanò

FotografieGioacchino Mangano, Ugo Nizza,Fabiola Saitta, Licia Settineri

Progetto graficoGioacchino Mangano

Immagine di copertina di Osama HamdanMosaico del VI° secolo dopo Cristo dellaCarta di Mabada - Mabada - (Giordania)

StampaPriulla s.r.l.via Ugo La Malfa, 6915 - 90134Palermo

Sede di amministrazione, direzioneredazione: Via Cristoforo Colombo, 5290142 Palermo

Registrazione Tribunale di Palermodel 9.2.2006 n°3

© Copyright 2007Regione Siciliana - Assessoratoregionale dei Beni culturali edambientali e della Pubblica istruzioneCentro regionale per la progettazione eil restauro e per le scienze naturaliapplicate ai Beni culturali

C.R.P R.informa

on linewww.centrorestauro.sicilia.it

TEMARIO

L’apertura di questo numero è affidata ad Osama Hamdan, fraterno amico del compiantoMichele Piccirillo –il Padre francescano scomparso poco più di un anno fa- nota e stimata altafigura intellettuale in Terra Santa, riconosciuta tale dalla comunità scientifica internazionaleanche per aver saputo coniugare l’impegno spirituale e la ricerca archeologica con unaWeltanschauung fondata sulla cultura come grimaldello per la coesistenza pacifica dei popo-li, imperniata sulla tolleranza e il riconoscimento reciproco della diversità, sia pur disposta inun piano di contaminazione su cui edificare una nuova koinè multiculturale. Osama Hamdan,uno dei massimi esponenti dell’intellighenzia palestinese -docente presso l’Università AlQuds di Gerusalemme e direttore del Mosaic Centre di Gerico- dall’alto del legame di soli-darietà umana ed affinità culturale ci detta un illuminate profilo che ci fa cogliere quale fossela straordinaria rilevanza della presenza di Abuna Michele in Palestina per il riannodo del dia-logo dal basso tra comunità divise dalle loro sovrastrutture ideologiche.Sulla Villa del Casale di Piazza Armerina è incentrato il dossier diagnostico: un resocontosintetico delle analisi scientifiche eseguite in situ o rielaborate in laboratorio. Inoltre presen-tiamo parte di un più ampio studio, condotto da Lorenzo Lazzarini dell’Università IUAV diVenezia, sulle specie lapidee collocate nel sito romano. Patrizio Pensabene dell’Università“La Sapienza” completa le pagine del dossier con un articolo sulle indagini archeologiche:un escursus storico-stratigrafico degli scavi che hanno interessato le ricerche intrecciate conle opere di restauro. Nella sezione progetti è consultabile il lavoro sulla mappatura del degrado entomologico deimanufatti di origine organica, posto in essere in alcuni centri del distretto madonita, riguar-dante importanti presidi culturali –chiese, musei, biblioteche ed altre istituzioni- insediatiall’interno della catena montuosa del palermitano. Mentre per le pagine della laboriandoproponiamo due interventi di restauro riguardanti la Madonna della Lavina di Cerami e gliabiti del “Pepoli” -con un contributo di Maria Luisa Famà, direttrice del museo, sulla carat-teristica espositiva principale dell’ente trapanese: i manufatti artistici in corallo. Da segnala-re inoltre, fra gli incontri&dibattiti, l’ampia argomentazione sui temi trattati negli appunta-menti autunnali svoltisi a Palermo promossi dalla Società Italiana di Ottica e Fotonica (VConferenza del Gruppo del Colore) e dalla Associazione Italiana di Archeometria(Convegno nazionale su Sistemi biologici e beni culturali)Infine si portano all’attenzione del lettore le pagine della ricerca che si avvalgono dei con-tributi di Stefano Colazza e Giuseppe Barbera della Facoltà di Agraria di Palermo, in meri-to alla vicenda del punteruolo rosso: il primo fa il punto sullo stadio raggiunto dalla speri-mentazione biologica e sui i possibili mezzi di contrasto per il controllo del devastante feno-meno entomologico che continua a provocare la moria delle palme; il secondo ci conducesulle tracce storiche del paesaggio urbano vegetativo, di cui la presenza della palma è unelemento imprescindibile nelle città siciliane. La tematica non è estranea all’interesse delCRPR, tanto che sull’argomento è in cantiere uno studio per definire un intervento specifi-co. Nella stessa sezione, in linea con la scelta editoriale della rivista di dare spazio a giova-ni ricercatori, ospitiamo il saggio di Lucia Carruba sui portali del centro storico di Palermo,nel quale vengono esaminati i processi di trasformazione e le sovrapposizioni stilistichesubiti nel tempo: un grido di allarme sul rischio di degrado a cui è sottoposto un “pezzo”fra i tanti del patrimonio storico architettonico.Chiudono, come di consueto, le recensioni e la rassegna libri. In particolare nella primarubrica Carlo Pastena, fra note e repertori, ci descrive un fondo bibliografico seicentescocurato da Rita Di Natale e Gabriella Cannata, ma soprattutto ci introduce su un tema che vaben al di là dei tecnicismi per soli addetti ai lavori, facendoci comprendere la valenza essen-ziale della costituzione di tali fondi per gli studiosi nella ricerca delle fonti documentali.

ISSN 2035-8725

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Abuna Michele, come ero abituato a chiamarlo e comeera chiamato degli Arabi dei paesi di Bilad al Sham

(Palestina, Libano, Giordania, Siria), me lo ricordo nella suastanza, nello Studium Biblicum Franciscanum dellaCustodia di Terra Santa a Gerusalemme, sempre immersonei libri e con il profumo di caffé proveniente dalla macchi-netta perennemente sul fornello elettrico, nel piccolo angolocucina che peraltro lo avevo aiutato a sistemare. Padre Michele Piccirillo ci ha lasciato il 26 ottobre, all’età di64 anni. Era nato a Casanova di Cerinola, in provincia diCaserta, e si era unito all’ordine francescano da giovanissi-mo e trasferito a vivere in Medioriente dal 1960, dividendo-si tra Gerusalemme, dove insegnava Storia e GeografiaBiblica e dove curava come Direttore il Museo archeologicoallo Studium Biblicum Francisanum nel Monastero dellaFlagellazione e il convento del Monte Nebo, in Giordania,dove svolgeva scavi archeologici durante l’estate. Come novizio aveva studiato allo Studium Biblicum

Franciscanum, aggiungendo agli studi teologici un dottora-to in archeologia biblica all’Istituto di Studi del VicinoOriente della Università La Sapienza di Roma. Aveva avvia-to i suoi primi lavori archeologici a fianco del suo maestro,padre Bellarmino Bagatti, e nel 1973 aveva diretto i lavori diconservazione del mosaico pavimentale del 536 d.C. nellachiesa dei Martiri Lot e Procopio, a Khirbet al-Mukhayyat,l’antico villaggio di Nebo, le cui rovine erano state esplora-te dai Francescani della Custodia di Terra Santa nel 1935 eimmediatamente coperte da una bella casa in muratura perproteggere e mostrare ai visitatori uno dei più bei mosaici diepoca bizantina mai ritrovati. Da allora aveva continuato a lavorare per la protezione deimosaici dell’area, in particolare nella Chiesa del Memorialedi Mosè sempre a Monte Nebo, dove nel 1976, dopo averdistaccato i mosaici pavimentali del VI secolo della cappel-la del battistero per un intervento di emergenza, erano emer-si i mosaici inferiori, realizzati dai mosaicisti Soel, Kaium e

Osama HamdanUniversità Al QudsGerusalemme

IL PROFILO CULTURALE DI PADRE PICCIRILLO

INTERNAZIONALEI“ABUNA”

MICHELE IN PALESTINA

Padre Michele Piccirillo con collaboratori in visita al Convento ortodosso di Ayn al Farah – Palestina

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Elia, come si leggeva nelle due iscrizioni che accompagna-vano lo splendido lavoro terminato nell’agosto del 530 d.C.al tempo del vescovo Elia di Madaba e dell’imperatoreGiustiniano. I nomi arabi rimandavano a mosaicisti dellavicina Madaba famoso centro dell’arte del mosaico nel VIsecolo. Il pavimento di mosaico rappresentava una spettaco-lare combinazione di scene di caccia e pastorizia e animaliesotici.Cercava sempre di utilizzare ogni suo cantiere di restauroper svolgere attività di formazione per i giovani locali fino aquando nel 1992 riuscì ad avviare, grazie ad un progetto dicooperazione italo-giordano, la Madaba Mosaic School cheancora oggi svolge attività di formazione come MadabaInstitute for Mosaic Art and Restoration e nel 1999 ilJericho Workshop for Mosaic Restoration. Da alcuni anniaveva avviato contatti per la creazione di una istituzionesimile anche in Siria. L’obiettivo di queste strutture nasceva dalla esigenza di for-mare giovani locali alla cura del patrimonio culturale inmosaici della regione. Le sue ricerche avevano reso eviden-te la storia comune del territorio e i problemi condivisi delpatrimonio culturale e l’avevano spinto dal 2000 a dare il viaad un incontro annuale di giovani e tecnici dell’area delLevante, il corso di formazione Bilad Al Sham. Giovani tec-nici ed esperti provenienti da enti governativi e non, siincontravano ogni anno per un periodo da uno a due mesi epartecipavano ai corsi di formazione e aggiornamento sullaconservazione dei siti archeologici con mosaici. Gli incontri,affiancati ad attività pratiche di conservazione, erano svoltiin Siria, Giordania e Palestina ed avevano come finalitàgenerale il sostegno ai giovani per renderli responsabili del-l’attività di conservazione. Padre Michele l’archeologo, l’uomo, il prete, attento a quel-lo che lo circondava, un archeologo di grande professionali-tà, ha trasformato anche lo scavo archeologico in un momen-to di incontro con la storia per i giovani che arrivavano datutto il mondo. Soprattutto la sera era un momento di forma-zione per questi giovani volontari che si incontravano tutte leestati a Monte Nebo, dopo la fatica di una giornata di lavorosotto il sole e la polvere delle rovine e le gioie dei ritrova-menti, si riunivano a cena e poi tutti a godere lo spettacolodalla terrazza a guardare la Palestina, le stelle in cielo, e adascoltare le parole e i racconti di Abuna Michele.Padre Michele Piccirillo l’archeologo che ha continuato pertutti questi anni a far riemergere alcuni dei più bei siti anti-chi della Giordania, dopo Khirbet al Mukhayyat e MonteNebo, nella città di Madaba, a Umm il Rasas, a Nitle e tantialtri con scoperte eccezionali e mosaici del periodo bizanti-no e primo islamico di tale bellezza ed importanza da farlodiventare lo studioso di mosaici più famoso del Medioriente.Recentemente alle scoperte in Giordania si erano aggiunti glistraordinari risultati dei lavori di pulizia e riabilitazione nellacittadina di Sabastiya, in Palestina.Il suo lavoro di archeologo non si è fermato alle scoperte, masin dagli anni 70 del secolo scorso si è affiancato ad una par-ticolare attenzione alla conservazione e valorizzazione deibeni culturali. Abuna Michele seguiva personalmente i lavo-ri di restauro, sempre affiancati ad attività di valorizzazioneche comprendevano l’organizzazione di mostre e pubblica-

zioni in varie lingue, prestigiose sia dal punto di vista deicontenuti che della forma. E’ stato uno dei primi e pochi stu-diosi a tradurre le sue ricerche e lavori anche in lingua araba.Abuna Michele non era solo un archeologo di profondacapacità professionale, ma anche un francescano di grandefede, semplice nella relazione con gli altri, umile nella suaconoscenza, attento ai problemi della gente e alle loro esi-genze. Era consapevole del valore delle sue capacità scienti-fiche, dell’importanza delle sue scoperte nel riscrivere la sto-ria del Medioriente e per la conservazione della memoria,mantenendo un profondo rispetto delle varie civilizzazioni eculture che si erano susseguite nel territorio, e tutto questo loinseriva nel contesto, con una costante attenzione ai benefi-ci che le popolazioni locali, in realtà così sofferenti, avreb-bero potuto trarre dallo studio e dalla conservazione delpatrimonio culturale, dal punto di vista sociale e soprattuttoeconomico.

Abuna Michele il prete francescano, un uomo di pace, sensi-bile verso tutte le religioni, aveva rapporti calorosi con colle-ghi e amici di religione musulmana, ebraica e cristiana dellevarie chiese, lavorava con comunità locali e in siti archeolo-gici espressioni di diverse culture, era un vero ponte tra levarie religioni, e lo faceva con grande serietà in un’area geo-grafica piena di odio e intolleranza. La sua azione scientificae culturale non si staccava mai da una analisi schietta ed acutadella realtà. Negli ultimi tempi aveva più volte denunciato leazioni irresponsabili che stavano cambiando profondamentela natura del patrimonio culturale locale. La sua vibrata con-trarietà alla costruzione del Muro, che aveva isolatoBetlemme ignorando il suo legame storico con Gerusalemmee la denuncia della arrogante unilateralità degli scavi archeo-logici israeliani nella città vecchia di Gerusalemme avevanovenato di amarezza i suoi ultimi scritti.

INTERNAZIONALEI

Padre Piccirillo a Sabastiya - Palestina

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Il 3 agosto, è stato presentato a Siracusa, il progetto ArTea-Teatri antichi ed aree archeologiche: conoscenza e valo-

rizzazione. ArTea, di cui il CRPR è ente attuatore e coordi-natore del partenariato costituito, con la Sicilia, dalle regio-ni Lazio e Calabria e dal governatorato di Jendouba per laTunisia, è un segmento del progetto integrato DIARCHEO,afferente la Misura 2.04 - Dialogo e Cultura relativa alProgramma di sostegno alla Cooperazione Regionale –Accordo Programma Quadro (APQ) Mediterraneo eBalcani, che si articola in sei sub progetti che interessano 4regioni di paesi transfrontalieri e 11 regioni italiane. Nell’ambito di tale progetto, la cui matrice è “La valorizza-zione del patrimonio archeologico come veicolo per il dialo-go interculturale” il sub-progetto ArTea affronta nello speci-fico il tema della conoscenza e valorizzazione dei teatri anti-chi, patrimonio comune a molti paesi del Mediterraneo.La presentazione di Siracusa fa seguito alla definizione, nelprimo semestre del 2009, dell’iter burocratico di aggiornamentoed approvazione del progetto DIARCHEO avviato nel 2006. Vihanno partecipato la regione Puglia, RUP del progetto, i partnersitaliani, l’Institut National du Patrimoine per la Tunisia e glienti di tutela. Grazie alla disponibilità della Soprintendenza diSiracusa, e del comune di Palazzolo Acreide, che ha accolto ipartners nel sito di Akrai, individuato per la realizzazione delprogetto in Sicilia, sono state illustrate le attività progettuali, cheimpegneranno un finanziamento di circa 863.000 euro, costitui-to da fondi FAS e cofinaziamenti regionali.Parte del consistente budget assegnato alla Sicilia, pari a circa449.000 euro, sarà investito nel paese partner estero per rea-lizzare, nel sito di Bulla Regia, le medesime attività previstedal CRPR in Sicilia, con l’obiettivo di generare, nel pienospirito degli accordi di cooperazione, un proficuo scambio diesperienze ed una ricaduta nei territori interessati. Il progetto ArTea, costruito nel rispetto delle raccomanda-zioni espresse nella “Carta di Siracusa“, prevede in sintesi la:

- Sistematizzazione e condivisione delle conoscenze e dellemetodologie relative all’utilizzo dei teatri antichi

- Valorizzazione dei siti attraverso la promozione di percor-si tematici relativi ai teatri

- Realizzazione di un processo di integrazione culturale nelMediterraneo attraverso il coinvolgimento delle scolare-sche per rappresentazioni teatrali.

- Costruzione di una banca dati dedicata ai siti con architet-ture teatrali antiche

- Costruzione di una rete di attori istituzionali e culturali peruna corretta gestione dei teatri

- Definizione di modelli condivisi di fruizione sostenibile- Realizzazione di percorsi tematici e didattici sul tema dei

teatri antichi

INTERNAZIONALEIAree Archeologichee teatri antichiPROGETTO ARTEAUN PARTENARIATO INTERNAZIONALEMaria Elena Alfano

Lo studio per la conservazione e l’uso dei teatri antichi è unobiettivo che il CRPR persegue da anni: si è concretizzato nel2004 con la realizzazione a Siracusa del convegno” Teatriantichi nell’area del mediterraneo” e con la redazione e condi-visione della “Carta di Siracusa per la conservazione, fruizio-ne e gestione delle architetture teatrali antiche”, significativodocumento di indirizzo redatto sulla base delle indicazionielaborate in quattro workshop tematici che hanno permesso ilconfronto della comunità scientifica internazionale .Già in quella sede era emersa la necessità, nei paesi chedetengono teatri antichi utilizzabili, di valorizzare tale risorsatrovando un giusto equilibrio tra la fruizione pubblica di spet-tacoli e la dignitosa ed attenta conservazione della testimo-nianza archeologica e del suo valore identitario-culturale.Tematica attuale, comune a molti paesi, che vede la Siciliadirettamente coinvolta per il notevole numero di teatri desti-nati ad eventi nell’isola (Siracusa Taormina, Tindari, Segesta,Morgantina, Akrai, Catania,) e per la potenziale fruizione, dialtri spazi teatrali antichi tra gli 11 portati in luce in Sicilia.Il progetto ArTea si fonda sulla consapevolezza, maturatadal confronto tra gli studiosi, che la problematica vadaaffrontata sulla base di criteri condivisi di studio e di valuta-zione dei rischi connessi alle possibili attività teatrali al finedi pervenire a protocolli per la conservazione integrata e unafruizione sostenibile di questo patrimonio, e sulla convinzio-ne che i teatri, ancor oggi deputati ad assolvere la loro fun-zione originaria, debbano essere consapevolmente vissutigarantendone la salvaguardia.Quattro teatri, Akrai in Sicilia, Ferento in Lazio, Scolaciumin Calabria e Bulla Regia in Tunisia saranno oggetto di studicondotti in sinergia, con percorsi metodologici condivisi eduniformati; l’obiettivo è valorizzare i teatri ed il contestoarcheologico di riferimento, regolamentarne l’uso e lagestione, divulgarne la conoscenza e costruire una rete direlazioni e di attività teatrali dedicate alle scolaresche checonsenta ai giovani di riappropriarsi, col doveroso rispetto,di un patrimonio che diviene strumento di dialogo, risorsageneratrice di sviluppo, testimonianza attuale ed attualizza-bile, a distanza di secoli, di una storia comune.

Bulla Regia - Tunisia

Coordinamento del progetto a cura della Direzione CRPRGuido Meli - coordinamento generale

Coordinamento tecnico-amministrativoM.P. SpanoElena LentiniAndrea Fasulo

Referenti tecnico-scinetificiMilena Alfano UO XRoberto Garufi UO IX

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PREMESSAI beni culturali soggetti a un degrado di natura entomologicasono essenzialmente tutti i manufatti di natura organica e,prevalentemente, quelli lignei e cartacei, in quanto fonte dinutrimento degli insetti xilofagi è la cellulosa, principalecostituente dei suddetti materiali. Sulla base di questa preli-minare considerazione è stato avviato dal Laboratorio diIndagini biologiche del CRPR il Progetto Mappatura deldegrado entomologico dei manufatti di natura organica,nell’ambito del quale si inserisce lo studio realizzato nel ter-ritorio madonita, oggetto del nostro articolo. L’indagine èstata condotta da Eleonora Di Gangi, che ha collaborato conil Laboratorio del Centro.Finalità del lavoro era indagare le problematiche sulla con-servazione di tutti quei manufatti che presentavano un degra-do di natura entomologica; lo studio, oltre al suo significatodi conoscenza e ricerca, ha avuto anche la finalità di segna-lare lo stato di emergenza di alcuni beni ai fini di un even-tuale loro recupero.Sono stati, dunque, ispezionati diversi ambienti, quali chie-se, biblioteche, musei e quant’altro custodiva al suo internobeni di natura organica; in totale sono stati mappati 14 siti,raccolti un numero considerevole di campioni, caratterizzatesei specie di insetti. Lo studio è stato articolato secondo unametodologia di prassi che ha comportato numerosi sopral-luoghi tecnici presso i siti, la raccolta di campioni biologici,la realizzazione di una documentazione fotografica dellealterazioni, gli esami di laboratorio, la preparazione e la suc-cessiva conservazione degli esemplari raccolti nelle scatoleentomologiche.

CAMPIONAMENTI E TECNICHE ADOPERATELo studio è stato condotto seguendo la metodologiaqui di seguito descritta.

ANALISI IN SITU- Nel corso dei sopralluoghi sono stateosservate le caratteristiche dell’ambiente di conservazionedei manufatti indagati, quali igiene ambientale, eventualepresenza di umidità, aerazione, fonti di calore e sostanzechimiche repellenti.Successivamente si è passati ad un attento esame visivo, conlente da campo, degli oggetti lignei e cartacei, al fine diaccertare la presenza di alterazioni di natura entomologica(fori di sfarfallamento e gallerie). Sono stati osservati i carat-teri diagnostici delle alterazioni, quali forma e misura deifori, l’andamento delle gallerie e la loro localizzazione sulmanufatto; inoltre, allo scopo di facilitare l’ulteriore fuoriu-scita di rosume dai fori, alcune opere lignee sono state per-cosse con martelletto, i libri battuti su un foglio di carta bian-ca, sempre per favorire la fuoriuscita di materiale biologico.

PROGETTIPSITI MADONITIPER LA MAPPATURA DEL DEGRADO ENTOMOLOGICODEI MANUFATTI DI NATURA ORGANICARosa Not

Scheda 1Nicobium castaneum (Olivier)

(Coleoptera, Anobidae)

Morfologia: 4-6 mm, nero-bruno. Sulle elitre siosservano delle bande striate create dalla peluriache le ricopre. La peluria è di due tipi: un tipo èdensa, giallastra, coricata e l’altro tipo è lunga,irta, più diradata. Le elitre sono ornate da grossipunti infossati, disposti lungo linee longitudinaliregolari. Il pronoto, anch’esso pubescente, è largoquanto le elitre ed è diviso in due da un setto. Gliocchi neri sono pubescenti.

Ecologia: attacca i libri e il legno lavorato di coni-fere e latifoglie, specialmente se umidi e attaccatida funghi.

Fenomenologia del danno: fori circolari di 2-3mm di diametro; escrementi fusiformi moltoallungati con una caratteristicacarenatura; gallerie hanno andamento irregolare.

Localizzazione: nella Civica Raccolta etno-antro-pologica (Geraci Siculo), nella Chiesa diSant’Antonio Abate (Polizzi Generosa) e nellaChiesa della SS. Trinità (Petralia Sottana).

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Con l’aiuto di un pennellino sono stati raccolti rosume, inset-ti e altri residui presenti nel manufatto o nelle vicinanze, econservati in provette codificate. Tutte le varie fasi delleanalisi in situ sono state documentate fotograficamente

ANALISI IN LABORATORIO- In laboratorio gli insettiritrovati nei vari siti sono stati lavati ed idratati in cameraumida per essere meglio osservati allo stereoscopio; succes-sivamente sono stati analizzati, misurati, fotografati edescritti nei loro caratteri morfologici fondamentali (dimen-sioni, larghezza del pronoto, antenne, peluria).L’osservazione di questi caratteri, insieme all’analisi dellamorfologia dei fori di sfarfallamento e all’aiuto di una chia-ve analitica dicotomica (Lepesme, 1944), ha permesso l’i-dentificazione di alcuni insetti, in particolare di quelli com-pleti di caratteri diagnostici, che sono stati sistemati in unascatola entomologica. Infine, sono state compilate schedesulla biologia delle specie caratterizzate e sulla loro localiz-zazione nei vari siti.

AREA DI STUDIO, SITI MONITORATI E MANU-FATTI INDAGATI: DESCRIZIONE DELLE ALTE-RAZIONILe indagini entomologiche sono state condotte in 4 comunidelle alte Madonie (Castellana Sicula, Geraci Siculo,Petralia Sottana e Polizzi Generosa), all’interno dei qualisono stati ispezionati 14 ambienti contenenti beni di naturaorganica, in particolare lignei e cartacei, quali archivi,biblioteche, chiese e musei. Quasi tutti i siti sono stati inda-gati più di una volta nell’arco dell’anno. Il monitoraggio hainteressato indistintamente tutti i manufatti sia lignei checartacei, di pregio e non, più facilmente raggiungibili; soloin un caso, nella Chiesa di San Giuseppe Nuova a CastellanaSicula, non sono stati riscontrati segni di degrado.

RISULTATI E CONSIDERAZIONI

In totale sono stati raccolti 70 insetti Coleoptera, il maggiornumero dei quali rinvenuto soprattutto nei sopralluoghieffettuati tra maggio e ottobre, periodo di sfarfallamentodegli insetti. Dalle analisi è emerso che su 70 esemplari, 65afferiscono alla fam. Anobidae, 3 alla fam. Dermestidae e 2alla fam. Curculionidae. La fam. Anobidae è maggiormen-te rappresentata dai generi: Nicobium con la specie N. casta-neum (Olivier), Anobium con la specie A. punctatum (DeGeer), Stegobium con la specie S. paniceum (L.) eOligomerus con la specie O. ptilinoides (Wollaston).Per quanto riguarda la fam. Dermestidae sono state ritrovatedue larve ed un insetto adulto, quale Anthrenus verbasci(L.); infine 2 esemplari della fam. Curculionidae non sonostati identificati per mancanza di parti anatomiche. Oltre ai

PROGETTIP

Scheda 2

GERACI SICULO

Tipologia dei manufatti: lignei e cartacei

BIBLIOTECA PADRE CARAPEZZA DI GERACI

La Biblioteca di Geraci siculo custodisce libri risa-lenti al 1500, la maggior parte dei quali prove-nienti dal convento dei Padri Cappuccini. Essi sitrovano in una stanza al primo piano, all’interno discaffalature metalliche munite di porte grigliate,dove dietro i libri è sta ritrovata naftalina, utilizza-ta come repellente per insetti. È stata, inoltre,riscontrata presenza di polvere nelle scaffalature esui libri. Sono stati indagati, a campione, circaquindici volumi.Libri: fori di sfarfallamento circolari sulle coperti-ne (1,5-2 mm) e fra le pagine dei libri (1-1,5 mm);gallerie che interessano buona parte dello spesso-re dei volumi, erosioni irregolari, presenza di gore.La maggior parte di queste alterazioni ha iniziodalla rilegatura dei volumi

CIVICA RACCOLTA ETNO-ANTROPOLOGICA

Ospitata al pianterreno del Convento dei PadriCappuccini; si tratta di un ambiente molto umido,freddo e poco illuminato.Tavolo: numerosissimi fori di sfarfallamento(grandi anche 4 mm), circolari e ovali, con bordoregolare e irregolare, diverse gallerie colme dirosume di diverso colore e granulometria, moltiinsetti morti dentro e fuori le gallerie.Braciere: fori di sfarfallamento circolari di 1-1,5mm, rosume fine e n. 2 insetti morti.Telaio: fori di sfarfallamento circolari (1-1,5 mm)e alcuni insetti morti.Tavolo falegname ed oggetti poggiati sopra: diver-si fori di sfarfallamento circolari (1,5-2 mm), rosu-me grossolano che fuoriesce dai fori ed insettimorti.Contenitore per la ricotta: fori di sfarfallamento(1- 2,5 mm) circolari, rosume di diversa granulo-metria e insetti morti.

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70 insetti Coleotteri, sono stati rinvenuti esemplari diPsocotteri ed Imenotteri, anch’essi non identificati.Sui manufatti lignei sono stati rinvenuti insetti xilofagiColeoptera (Anobidae, Curculionidae), ma la maggior partedelle alterazioni sono ascrivibili agli insetti Anobidii.Le alterazioni riscontrate, quali gallerie larvali e rosume,sono prodotte dallo stadio larvale di questi generi, in quantole larve essendo dotate di un’endobiosi intestinale, riesconoa digerire la cellulosa e dunque sono in grado di scavare tor-tuose gallerie all’interno del legno. Il risultato dell’erosionedella larva nel legno è il rosume, costituito da escrementi erosura, ovvero frammenti di legno. Il rosume è incoerente egranuloso, costituito da caratteristiche particelle fusiformi(Chiappini et al., 2001). Il foro di sfarfallamento circolare è,invece, praticato dalla fuoriuscita dell’insetto adulto e il suodiametro varia da 1 a 3 mm, a seconda della specie (Liotta eLeto Barone, 1990). Questi insetti praticano principalmentedanni estetici, strutturali se l’attacco è di grosse dimensioni.Tuttavia, le diverse alterazioni riscontrate sono il risultato diattacchi pregressi, in quanto non è stato ritrovato rosume, lacui presenza, invece, attesta l’attività xilofaga delle larve.

PROGETTIPAnobium punctatum è la specie più diffusa, rinvenuta nellachiesa di Sant’Antonio Abate (Polizzi Generosa), nellaCivica Raccolta etno-antropologica (Geraci Siculo), nellachiesa di San Francesco, nella chiesa di Maria SS. Assunta enella chiesa della SS. Trinità (Petralia Sottana).L’infestazione, in queste ultime due chiese è in atto perchésono stati rinvenuti degli individui vivi e nuovi cumuli dirosume. Possiamo ipotizzare che anche nelle chiese di SanGiuseppe e nella chiesa del SS. Crocifisso (CastellanaSicula) ci sia un attacco in atto per la continua fuoriuscita dirosume dai piccoli fori di sfarfallamento presenti sui manu-fatti.La specie Nicobium castaneum preferisce legni umidi eattaccati da funghi, ed è piuttosto diffusa perché gli edificiche ospitano le opere lignee analizzate sono particolarmenteumidi. Numerosissimi individui di N.castaneum sono statirinvenuti nella Civica Raccolta etno-antropologica (GeraciSiculo), altri nella Chiesa di Sant’Antonio Abate (PolizziGenerosa) e altri ancora nella Chiesa della SS. Trinità(Petralia Sottana). Tracce di un attacco di N. castaneum, cioècamere pupali ed escrementi fusiformi molto allungati con

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PROGETTIPuna caratteristica carenatura, sono state ritrovate anche nelleopere presenti nelle altre due chiese di Petralia Sottana(Chiappini et al., 2001).Oligomerus ptilinoides, è stato rinvenuto solamente nellachiesa di Maria SS. Assunta (Petralia Sottana); Stegobiumpaniceum sul crocifisso ligneo della biblioteca di PolizziGenerosa.Gli insetti appartenenti alla famiglia Curculionidae, ricono-scibili dal loro caratteristico rostro, erano presenti nellaCivica raccolta etno-antropologica di Geraci Siculo, dovesono stati ritrovati su legni umidi e attaccati da muffe. Sia lelarve che gli adulti sono xilofagi e praticano gallerie in tuttele direzioni (Chiappini et al., 2001).Il monitoraggio ha, inoltre, evidenziato, nella chiesa di S.Antonio (Polizzi Generosa) e della SS. Trinità (PetraliaSottana), oltre che nella Civica raccolta etno-antopologica(Geraci Siculo), un fenomeno di parassitismo a spese dellelarve e delle uova dei Coleotteri da parte di insetti apparte-nenti agli ordini Hymenoptera e Coleoptera (Dermestidae).Il fenomeno, che ai fini del degrado non ha alcuna rilevanzaperché non sono biodeteriogeni del legno, può tuttavia indi-carci la presenza di larve all’interno delle gallerie (Contarini,2000).A Castellana, nella cappella della Madonna della Catena,alcuni insetti appartenenti all’ordine Hymenoptera hannocostruito all’interno delle travi del soffitto ligneo dei nidipedotrofici.Per quanto riguarda i manufatti cartacei, negli ambientiarchivistici la maggior parte delle alterazioni riscontratesono pregresse ed ascrivibili ad insetti Coleoptera(Anobidae, Dermestidae) e Psocoptera.Sui volumi, le alterazioni più evidenti, come fori di sfarfal-lamento e gallerie larvali, sono state prodotte da Stegobiumpaniceum (Coleoptera, Anobidae) rinvenuti in quantità mag-giore nella biblioteca di Polizzi Generosa. Si nutrono diamidi e zuccheri, oltre che di lignina e cellulosa, e solita-mente il loro attacco sui libri parte dal dorso e dalle colle.(Gambetta et al., 2001)Due larve morte, appartenenti alla famiglia Dermestidae,sono state ritrovate nella biblioteca di Petralia Sottana. Essesi nutrono di sostanze organiche di origine animale (pelli,stoffe, pellicce, altri insetti morti) e possono danneggiare lepergamene, le copertine di pelle o le rilegature dei volumi(Caneva et al., 2002). Il rinvenimento di 2 singole larvemorte non fa pensare ad un attacco in atto.Le erosioni irregolari riscontrate nelle pagine dei volumipossono essere state prodotte da Lepisma saccarina o dainsetti appartenenti all’ordine Psocoptera. Quest’ultimisono insetti di piccole dimensioni (max. 2 mm di lun-ghezza), si ritrovano in ambienti umidi ma a secondadella specie possono svilupparsi anche ad umidità relati-ve del 60%. Si nutrono principalmente di residui disostanze organiche vegetali o animali e di funghi, alghe,licheni. In ambiente archivistico attaccano inizialmentele rilegature (attratti dalle colle) e poi erodono anche lepagine (Cesareo et al., 2006). Sono stati rinvenuti nelletre biblioteche.

ConclusioniQuesti dati rilevati nell’arco di un anno, seppur insufficientiai fini di una dettagliata conoscenza dello stato di conserva-zione dei Beni nel territorio in interesse, possono già consen-tire l’elaborazione di adeguati piani di intervento per mette-re in salvo alcuni manufatti, in particolare si segnalano: iltrittico di scuola siculo-marchigiana a Petralia Sottana, ivolumi della biblioteca di Polizzi ed i manufatti della civicaraccolta di Geraci Siculo, che versano in un avanzato stato didegrado. Tuttavia, per quanto riguarda gli altri manufattiindagati, bisognerebbe intervenire ugualmente per far si chenon si arrivi a situazioni irreparabili. Infatti, solo intervenen-do tempestivamente si può ridurre la gravità di un degrado el’invasività di un eventuale intervento di restauro.

BIBLIOGRAFIA

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Dopo due anni di lavoro è stata restituita al pubblico laGalleria regionale. Nel corso della presentazione alla

stampa dello scorso 11 novembre ampio spazio ha avuto l’il-lustrazione del nuovo allestimento dell’ala settecentesca.Progetto realizzato nel solco di quello redatto da CarloScarpa ed inaugurato nel 1954. Esso rappresenta ancora oggiuno dei capisaldi della moderna museografia. Com’è noto l’edificio, realizzato nella seconda metà del XVsecolo da Matteo Carnilivari, è una delle massime espressio-ni del gotico catalano presenti in Sicilia. Il complesso archi-tettonico ruota su due livelli attorno ad una grande corte cen-trale su cui si affaccia un elegante loggiato. La terrazza dicopertura conclude il fabbricato. Una seconda corte interna, residuo del grande cortile delConvento della Pietà, disimpegna i nuovi locali della galle-ria. Si tratta di un corpo di fabbrica rettangolare su tre eleva-zioni prospiciente il vicolo della Salvezza che collega viaAlloro con l’Oratorio dei Bianchi. Il primo livello ospita i laboratori di restauro della Galleriamentre gli altri due livelli ospiteranno la collezione cinque eseicentesca da sempre custodita nei depositi della Galleria.Si tratta di due grandi ambienti rettangolari, identici perdimensioni, lunghi 40 metri e larghi 8 metri ca. Una teoria dibalconi prospicienti la corte interna illumina gli ambienti,mentre il fronte sul vicolo della Salvezza presenta al terzolivello un unico grande finestrone.Il nuovo progetto si pone come ampliamento ed integrazio-ne della esistente Galleria. Pertanto, nel pieno rispetto del-l’allestimento scarpiano dell’ala quattrocentesca, il museo èstato integrato da una serie di nuovi servizi.Primo fra tutti è stato realizzato un percorso alternativo per iportatori di handicap. Una rampa inclinata è stata posta nellaseconda corte per superare il dislivello esistente tra il pianodel giardino e il primo livello; da qui un ascensore (il museone era sprovvisto) consente di raggiungere agevolmente idue livelli dell’ala settecentesca e, a ritroso, raggiungerel’ala quattrocentesca dove poter ammirare i capolavori asso-luti, posti al primo piano, quali l’Annunciata di Antonello daMessina o la visione spettacolare, dall’alto, del Trionfo dellamorte.Attorno all’ascensore panoramico si snoda il corpo scala checonduce alla terrazza dell’ala quattrocentesca, fino a ieriinterdetta al pubblico, da cui si gode una visione meraviglio-sa della città e in particolare di Monte Pellegrino.Come è noto ai frequentatori di Palazzo Abatellis la Galleriaera sprovvista di un impianto di illuminazione artificiale; inrealtà Carla Scarpa fece realizzare dei prototipi di lampadedi vetro soffiato da una vetreria veneziana (qualcuna ancoraesistente in deposito) e ci ha lasciato una serie di schizzi pro-

PROGETTIPL’ABATELLIS TRA CONTINUITÀE INTEGRAZIONENUOVO ALLESTIMENTO DELL’ALA SETTECENTESCADELLA GALLERIA REGIONALEErmanno Cacciatore

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gettuali su un’idea di impianto di illuminazione. Ma, perdiverse ragioni, l’impianto non venne mai posto in opera. Con la consulenza di Pietro Castiglioni ed EmanuelaPulvirenti è stato realizzato un sistema di illuminazionecompatibile con la costruzione quattrocentesca in coerenzacol piano-ScarpaUn primo obiettivo che ci siamo posti è stato quello di realiz-zare un percorso museale che si integrasse “naturalmente”con il precedente. Pertanto dove finiva il percorso scarpiano,ovvero alla cosiddetta Wunderkammer da cui, percorrendo aritroso lo scalone quattrocentesco, si tornava alla corte e quin-di all’uscita del Museo, è stata riaperta una vecchia porta dacui si raggiunge la zona “filtro” dei collegamenti orizzontalie verticali con la nuova scala e l’ascensore vetrato. Da qui,facilmente, si raggiungono i servizi igienici a piano terra, larampa per i portatori di handicap e, in alto, la terrazza.I materiali adoperati per la nuova ala sono volutamente dif-ferenti dai materiali usati da Carlo Scarpa, anche per identi-ficare facilmente l’inizio del nuovo percorso.Dal “filtro” si entra attraverso una porta vetrata nel primo dei duegrandi ambienti. Qui è ospitata la collezione cinquecentesca.Una prima difficoltà è stata rappresentata dalle dimensionidei dipinti. Si tratta, per massima parte, di pale d’altare altefino a 4 metri e larghe anche 3 metri. Appare evidente l’im-possibilità di una corretta lettura delle opere da una distanzaravvicinata. Si è pertanto progettata una quinta spezzata cheha consentito la realizzazione di coni visuali ben più lunghidegli otto metri consentiti dalla larghezza dei vani espositi-vi. Il lungo serpentone ha inoltre consentito la creazione disingoli ambienti di dimensioni ridotte che, pur mantenendoun itinerario prettamente cronologico del progetto museolo-gico, hanno permesso l’individuazione di momenti di sostasu opere che presentano particolari affinità (appartengonoallo stesso artista, o alla stessa scuola o presentano temi sucui si è ritenuto di far sostare il visitatore).Anche il livello superiore presenta la stessa filosofia proget-tuale. Il lungo serpentone, interrotto qui e là per consentirepercorsi personalizzati ogni volta differenti, si snoda lungol’asse maggiore dell’ambiente, creando momenti di sosta suisingoli temi espositivi e consentendo la creazione, quasioccasionale ma in realtà attentamente studiata, di quegliscorci per la visione a distanza delle grandi opere.Una particolare attenzione è stata posta per la realizzazionedella coloritura delle quinte. Sono stati scelti due colori (ilverde al primo piano e il rosso al secondo) in qualche modo“estratti” dalle tavolozze dei pittori dell’epoca e su cui si sta-gliano perfettamente, senza fenomeni di sotto e sovraesposi-zione, le opere che finalmente potranno essere ammirate daun pubblico speriamo attento e numeroso.

PROGETTIP

Progetto e direzione dei lavori a cura del CRPRGuido MeliErmanno CacciatoreRoberto Garufi

CollaboratoriAntonino CarusoSalvatore Zappalà

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IL MUSEO DEL CORALLOCOLLEZIONI DELL’“AGOSTINO PEPOLI”Maria Luisa Famà

Direttrice Museo Pepoli

Il Museo Regionale “Agostino Pepoli” di Trapani ha sedenel trecentesco ex convento dei Padri Carmelitani, ampia-

mente rimaneggiato tra il Cinquecento ed il Settecento. Essoè contiguo all’importante Santuario dell’Annunziata, dove èconservata e venerata la statua in marmo della Madonna diTrapani, opera concordemente attribuita a Nino Pisano(1380 ca.).Il Museo illustra, insieme alle collezioni di pittura e di scul-tura, lo svolgimento delle arti figurative nel territorio trapa-nese con particolare riferimento alle arti decorative ed appli-cate, nelle quali Trapani primeggiò soprattutto per quantoriguarda le opere in corallo.Il nucleo fondamentale delle collezioni del Museo trae origi-ne, nei primi del Novecento, dalla riunione in un unico isti-tuto della quadreria donata alla città natale dal GeneraleGiovan Battista Fardella, Ministro a Napoli dei re Borboni,delle opere pervenute allo Stato a seguito della soppressionedelle corporazioni religiose nonché delle raccolte artisticheprivate del conte Agostino Pepoli, ardente promotore dellafondazione del Museo che proprio da lui prende nome. Sisarebbero poco più tardi aggiunti i reperti archeologici con-cessi dal Regio Museo di Palermo, i cimeli storici provenien-ti dalla Biblioteca Fardelliana di Trapani, i materiali artisticidel locale Ospizio Marino “Sieri Pepoli” e nel 1922 i mate-riali del Museo Hernandez di Erice, assieme ad ulterioriincrementi dovuti ad acquisti da parte dello Stato o a doni edepositi da parte di enti e privati.La quadreria del Generale Fardella, è costituita principal-mente da dipinti del Cinquecento e del Seicento, acquistatidal Fardella tra il 1825-30. Le collezioni del conte Pepolisono invece eterogenee, includono infatti dipinti, gioielli,lapidi, bronzetti, riflettendo la cultura eclettica di stampoilluministico di questo straordinario intellettuale mecenate. In anni recenti Vincenzo Abbate, che ha diretto il museo peroltre un ventennio, ha acquisito numerose opere afferenti learti decorative ed applicate, che hanno notevolmente accre-sciuto le collezioni del museo, in cui prevalgono i manufattiin corallo. L’attività espositiva dell’ultimo ventennio si èindirizzata principalmente verso questa particolare categoriaartistica, offrendo all’attenzione del pubblico e degli studio-si opere che, se da un lato sono fortemente collegate al retro-terra storico-culturale della città, dall’altro riflettono, attra-verso numerosissime testimonianze, il percorso produttivoed artistico della scultura “maggiore” dei grandi maestri.Al corallo è fortemente legata la stessa immagine del museo,che pur comprendendo collezioni diverse quali, pitture sutela e tavola, sculture, presepi, gioielli, paramenti sacri, arre-di lignei e reperti archeologici, si contraddistingue per i suoipreziosi manufatti in corallo.Per brevità citeremo innanzitutto la Lampada, il Crocifissoed il Calice di Fra’ Matteo Bavera, artista nato a Trapaniprobabilmente intorno al 1580-81, che in tarda età si era riti-

rato come fratello laico nel convento di San Francescod’Assisi, da cui provengono le opere citate.La Lampada, firmata e datata dal maestro al 1633, costitui-sce un caposaldo di importanza fondamentale per la determi-nazione cronologica delle opere di questa categoria artisticain corallo, rame dorato e smalti, proprio per la presenza delladatazione, in genere infatti tali manufatti erano anonimi esolo raramente citati dalle fonti.Il Crocifisso, di grande potenza plastica ed espressiva per lostraordinario pathos del volto del Cristo, è una delle pocheopere in corallo note sin dal Seicento, anche per le sue note-voli dimensioni (h. cm 64 x 28).Infine, il Calice, è stato giustamente considerato dalla criti-ca una delle migliori opere in corallo della prima metà delXVIII secolo per la complessità ideativa e il suo particolarepregio estetico.Il Tesoro della Madonna di Trapani esposto in parte nel

Museo Pepoli ed in parte conservato nel contiguo santuario,costituisce uno dei più importanti e significativi nuclei dioggetti preziosi di Sicilia e le oreficerie, in particolare, testi-moniano la ricchezza ed il gusto, spesso molto ricercato, chele nobili trapanesi manifestavano negli ornamenti personali. Tra i gioielli del Tesoro, ex-voto per grazia ricevuta o sem-plicemente doni offerti alla Madonna di Trapani, figuranonaturalmente numerosi monili in corallo, che spiccano fra itanti per la loro particolare vivacità e luminosità. Gli orec-chini e i pendenti, spesso recano miniaturistiche figure disanti, mentre raffinate scene mitologiche, riproducenti lefatiche di Ercole, compaiono su un preziosissimo Braccialecomposto da dodici cammei ovali in corallo (forse opera diMatteo Bavera).

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LO SCRIGNO DEI RICORDIFIBRE, TESSUTI, TAGLIO E TAGLIE SARTORIALIRoberta Civiletto/Caterina Dessy

campana, moderatamente ampia, ma arricchita da balze el’uso di stoffe disposte a sbieco nel busto. L’accentuatodegrado molecolare del tessuto e delle decorazioni a merlet-to, nonché la vistosa presenza di precedenti restauri, condot-ti in maniera impropria, ha indotto ad un intervento conser-vativo molto complesso. Dopo avere svolto le necessarieindagini diagnostiche, utili a valutare anche quali e quantipossibili stress meccanici avrebbe potuto sopportare l’operadurante il trattamento, e avere elaborato una minuziosa azio-ne di rilevamento dati (rilievo fotografico e grafico dei dannie del taglio sartoriale), l’abito è stato parzialmente smontato.Successivamente alla pulitura ad aria, la vaporizzazione e lamessa in posa dei singoli elementi, si è proceduto alla fase diconsolidamento ad ago. Le ampie lacerazioni e le esteselacune, che occupavano la quasi totalità della veste, sonostate integrate totalmente mediante l’applicazione, sul retro,di un supporto in organza di seta, tinta in laboratorio nelcolore idoneo, utilizzando su ampie superfici la tecnica delpunto postato. Per garantire la necessaria consistenza al tes-

suto e al contempo proteggere la superficie, la fase di conso-lidamento è stata completata con la tecnica a sandwich,applicando a cucito, sul fronte dell’intera stoffa, un sottilevelo di Lione, anch’esso tinto in laboratorio, con una batte-ria di filze scansionate (punto pioggia). Si è dunque proce-duto alla delicata fase del riconfezionamento, seguendocome guida le tracce degli originari punti del cucito. A talfine sono stati fondamentali il rilievo sartoriale e i numerosiriferimenti bibliografici.Caso n. 2 - Abito femminile Andrienne, manifattura italiana(Sicilia) 1775-1778 ca. abito del tipo Andrienne originaria-

L’imminente apertura di una nuova sezione, all’internodel Museo “Agostino Pepoli” di Trapani, dedicata al

costume aulico, che verrà inaugurata con la mostra dal titoloPreziosi abiti tra rococò e romanticismo, è stata l’occasioneper sviluppare un lungo e complesso progetto di conserva-zione su alcuni abiti antichi, sinora custoditi nei depositi.Nella fase di ricerca e sperimentazione dell’intervento, aven-te carattere multidisciplinare, sono state coinvolte alcuneprofessionalità altamente specializzate provenienti da Istitutiesterni che, lavorando in perfetta sinergia con il team dellaboratorio, hanno consentito di completare l’azione di recu-pero morfologico, seguendo un’attenta ricostruzione filolo-gica. Inoltre con l’intento di ricreare una suggestiva ambien-tazione ed una fedele contestualizzazione storica, ottimiz-zando così le potenzialità comunicative degli abiti da espor-re, sono stati ideati e realizzati, dagli allievi dell’Accademiadi Belle Arti di Palermo, sotto la guida e la supervisione delLaboratorio di Restauro e dei docenti (il progetto didattico èstato condotto da Arianna Oddo affiancata da AlessandraTavella) alcune acconciature e copricapi di completamento,utilizzando svariati materiali compatibili con le norme diconservazione. I complessi interventi di restauro, numerosi ediversificati, hanno comportato caso per caso la valutazionee la risoluzione delle singole problematiche conservative.Per consentire una più agile comprensione delle particolari-tà degli oggetti e delle azioni di risanamento apportate, si èscelto di illustrare sinteticamente ogni intervento sviluppatoe di fornire alcune notizie storiche sulle opere trattate.

IL RESTAURO DEL NUCLEO DI ABITIED ACCESSORIO ANTICHI DEL MUSEO PEPOLICaso n. 1- Abito da ricevimento, manifattura italiana(Sicilia) 1845-1848: abito in tre pezzi in tessuto pékin, fondoin taffetas di seta giallo oro con motivi a composizione flo-reale disposti su nastri trinati, lungo strisce orizzontali, crea-ti da trame broccate e orditi supplementari (flotté). Bustinosteccato, sagomato a punta davanti, chiuso posteriormentecon ganci. Scollo a barca. Maniche lunghe a pagoda, drap-peggiate sulla spalla, decorate da nastro frangiato con minu-ti disegni floreali e merletto blonde in seta écru, con motivifloreali. Gonna a campana con fitta arricciatura in vita orna-ta da due balze, rifinite da largo nastro frangiato con minutidisegni floreali. Fisciù triangolare chiuso sul davanti daganci interni e decorato da nastro trinato e falsi bottoni rive-stiti in seta. L’abito è appartenuto alla famiglia dei BaroniCuratolo di Trapani. La delicatezza del colore, la raffinatez-za del tessuto, caratterizzato da decorazioni della seta tonosu tono, fanno pensare ad una veste nuziale, particolarmentevicina ad un’altra della Galleria del costume di Palazzo Pitti.Carattere tipico dei primi anni quaranta dell’Ottocento è ilmodello con busto attillato dalle spalle calate, la gonna a

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mente composto da due pezzi: sopravveste (manteau) e sot-tanino (juppe) oggi mancante. Tessuto in pèkin, fondo raso,con ordito a disposizione in più colori; effetti creati da unordito supplementare che descrive esili righe verticali incannellè simpletè e da trame broccate policrome che dise-gnano minuti tralci fioriti ad andamento ondulante e svilup-po verticale, che si succedono orizzontalmente. Sopravvesteaderente al busto con largo pannello posteriore che crea unleggero strascico, caratterizzato dalle tipiche pieghe a canno-ne. Il corpetto, con bustino interno, balenato sul dorso, scen-de a punta stondata sul davanti ed è chiuso con allacciaturaanteriore nascosta. Ampio scollo carré, decorato con appli-cazione di merletto ad ago, in seta avorio, con inserti di pic-coli fiori artificiali policromi. Maniche a palloncino rifiniteda delicato merletto ad ago. Lungo il bordo della sopravve-ste si sviluppa un ampio merletto ad ago, simile a quello chedecora scollo e maniche, arricchito da applicazioni di ruchese torchons sempre in merletto, fiocchi e corolle floreali sin-tetiche in tessuto, distribuiti su fasce parallele e orizzontali.L’ampia veste in origine era sostenuta da panier à conde. L’abito appartenuto alla nobile famiglia Bulgarella – Ponte, diTrapani, risponde alla caratteristiche morfologiche citate innumerosi inventari nobiliari, dove, in corrispondenza deibeni mobili, sono minuziosamente descritti anche abiti edaccessori vestimentari. Il modello della veste mostra la sin-tesi del gusto francese e di quello esercitato dalla modainglese; il primo individuabile nella presenza delle delicatedecorazioni a merletto sui pannelli anteriori della sopravve-ste, su scollo e maniche, l’altro evidente nel taglio del cor-petto unito, balenato, chiuso sul davanti. La confezione delcapo, di ottima fattura, potrebbe essere ascritta ad un ateliersiciliano, forse palermitano (secondo una consuetudine dellanobiltà trapanese, già riscontrata dalla consultazione didocumenti di archivio, di acquistare capi d’abbigliamento dasarti palermitani). L’intervento di restauro applicato sullaricca sopravveste è consistito prevalentemente nel ripristinodell’originaria morfologia del capo e nel recupero dei delica-ti merletti che lo ornano, interessati da un accentuato degra-do molecolare. A tale proposito, dopo aver svolto tutte leindagini diagnostiche preliminari agli interventi conservati-vi, e analizzato le qualità cromatiche del tessuto, mediantel’indagine colorimetrica, si è proceduto alle fasi di pulitura emessa in forma dell’opera. Un attento studio della foggiasartoriale, attraverso rilievo grafico, ha preceduto lo smon-taggio, la pulitura, il consolidamento dei merletti e la lororicollocazione secondo l’originario andamento sinuoso.Particolare attenzione è stata posta alla ridefinizione dellavolumetria del capo, raggiunta attraverso la messa in posadel tessuto su appositi supporti creati in laboratorio. Al finedi costituire una unità formale e visiva dell’abito, si sta pro-cedendo alla realizzazione di una replica del sottanino, conun tessuto in raso di seta su cui sarà eseguita una stampa seri-grafica che simulerà gli effetti decorativi e le cromie dellastoffa originaria. Per raggiungere tale esito si è svolto unmeticoloso studio delle decorazioni che caratterizzavano ilricco tessuto francese con il quale è stato realizzato il capo,attraverso l’analisi tecnica, merceologica e il rilievo graficodel modulo disegnativo. Per tale operazione si è rivelata difondamentale utilità l’indagine colorimetrica precedente-

mente svolta. La realizzazione della stampa sul tessuto e laconfezione del sottanino è stata affidata a tecnici esperti delsettore, docenti presso l’Istituto Statale d’Arte FilippoJuvara di San Cataldo (CL). Caso n. 3 - Abito femminile, Andrienne, manifattura italiana(Sicilia)1775-1778 ca.: abito del tipo Andrienne compostoda due pezzi: sopravveste (manteau) e sottanino (juppe).Tessuto in gros de Tours avorio, liseré, broccato in sete poli-crome con motivo ad esili tralci e rametti fioriti disposti sufile parallele verticali. Sopravveste aderente al busto conlargo pannello posteriore, che crea un leggero strascico,caratterizzato dalle tipiche pieghe a cannone. Il sottanino siallunga fino alle caviglie per lasciare in vista le scarpette,che dovevano essere in tessuto di seta operato o ornate daricami. Il corpetto, con bustino interno, balenato sul dorso,scende a punta stondata sul davanti, ed è chiuso con allaccia-tura anteriore nascosta. Ampio scollo ovale. Maniche stretteal gomito del tipo en sabo. L’ampia veste in origine erasostenuta da panier à conde. La veste, completa delle sueparti strutturali, ma giunta a noi priva degli éngageantes cheoriginariamente ornavano gli orli delle maniche, appartene-va ai Baroni Curatolo di Trapani. Il delizioso capo, confezio-nato probabilmente in un atelier sartoriale siciliano, è realiz-zato con un tessuto francese di tipico gusto fine Rococò, lecui principali caratteristiche sono i colori, dalle delicate tintepastello, una struttura tessile molto leggera e decorazioni

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simo filo di seta. Questo tipo di consolidamento, perfetta-mente reversibile, garantirà una facile ispezione del rovesciodel tessuto nonchè una valida integrazione strutturale e visi-va delle lacune. Infine, per restituire unità formale al model-lo sartoriale si sta procedendo alla realizzazione di replichedegli éngageantes, in organza di seta, da applicare in corri-spondenza dei gomiti.Caso n. 4 - Livrea del Senato, manifattura italiana (Sicilia)inizi del XIX secolo: livrea in panno di lana blu e fustagnocolor avorio, di linea leggermente svasata, con collo a fascet-ta verticale tagliato dritto, spalle rotonde e maniche aderenticon alti paramani in panno avorio ornati da gallone in vellu-to operato, cesellato a due corpi con motivi floreali. Mostreleggermente stondate, con quattro bottoni in metallo a moti-vi araldici, profilo segnato da un alto gallone in velluto ugua-le al precedente, chiusura interna con ganci. Tasche in pannoavorio a patta sagomata a tre punte ornate di alto gallone invelluto operato, cesellato a due corpi, profilati da tre bottonimetallici. Falde larghe squadrate e leggermente svasate chesi riuniscono posteriormente in doppi piegoni fermati da duebottoni metallici, con spacco centrale posteriore. Tutte lestrutture interne del capo sono delimitate da un galloneuguale a quello che definisce le bordure esterne. Fodera inflanella di colore avorio. La veste mostra la tipica standar-dizzazione del modello, tramandandosi per lungo temposenza grandi varianti nella foggia e nella gamma cromatica,riscontrabile in altri numerosi esemplari simili al nostro,ancora oggi custoditi presso collezioni pubbliche o private.Le caratteristiche formali della livrea, il colore blu del pannoe la tipologia del gallone inducono a pensare che il capofosse stato indossato dal personale del senato cittadino inoccasione di cerimonie ufficiali. L’abito era interessato daun accentuato degrado di tipo fisico e molecolare, caratteriz-zato dalla presenza di parziali scoloriture delle tinte e daldeperimento della struttura tessile con conseguente forma-zione di locali buchi e lacune, insieme a fenomeni di polve-rizzazione. Dopo le opportune indagini, si è passati alle fasidi pulitura, messa in forma, integrazione di lacune e genera-le consolidamento. Vista la robustezza della originaria strut-tura tessile, per l’integrazione ad ago si sono individuati deitessuti molto simili a quello originale, in fibra di natura ani-male, poi tinti in laboratorio per raggiungere le diverse cro-mie occorrenti. Caso n 5 - Livrea per la servitù., manifattura italiana(Sicilia) inizi del XIX secolo: livrea in panno di lana rossa, dilinea aderente, con collo a fascetta verticale tagliato alto edritto, spalle rotonde e maniche aderenti con paramani orna-ti da gallone in velluto operato, cesellato a due corpi conmotivi floreali. Mostre stondate, con otto bottoni fasciati ericamati a motivi geometrici, profilo segnato da un alto gal-lone in velluto uguale al precedente ma all’interno del qualeè incluso uno stemma (albero con leone rampante); chiusurainterna con ganci. Tasche a patta sagomata a tre punte orna-te di alto gallone in velluto operato, cesellato a due corpi eda bottoni. Falde squadrate e sfuggenti che si riunisconoposteriormente in doppi piegoni fermati da un bottone, conspacco centrale posteriore. Tutte le strutture interne del caposono delimitate da un gallone uguale a quello che definiscele bordure esterne. Fodera in flanella di colore marrone bru-

minute di tipologia floreale. L’Andrienne, con la sua partico-lare foggia connotata da larghe superfici, consentiva a chi laindossava di mostrare tutta la ricchezza del tessuto e dunqueanche di esibire il proprio stato sociale. Come per l’altraAndrienne, gli interventi di restauro hanno seguito l’impo-stazione metodologica che, partendo dallo studio tecnico,storico e diagnostico, hanno condotto all’azione di risana-mento. Il profondo degrado molecolare del tessuto, caratte-rizzato da fenomeni di polverizzazione, dalla presenza, sularga parte della superficie, di netti tagli longitudinali e lacu-ne sfrangiate, ha comportato, dopo la necessaria pulitura emessa in forma dell’opera, l’applicazione di un consolida-mento di tipo “totale”. La scelta del tessuto di supporto èstata oggetto di un’attenta riflessione: gli elementi sartorialidella veste, privi di fodera, consentivano di osservare age-volmente il rovescio della delicatissima stoffa operata atrame broccate. Questo aspetto costituisce un’importantecaratteristica della foggia e al contempo un importantissimodato tecnico per gli studiosi del settore e gli storici del tessu-to o del costume. Era dunque necessario custodire l’istanzastorica e tuttavia fornire al tessuto una valida struttura dibase che gli restituisse la necessaria tenuta meccanica. Si èallora optato per un tessuto in organza di seta, tinto in labo-ratorio nella nuance idonea, con caratteristiche di compattez-za e trasparenza, poi applicato ad ago (ago curvo di tipo chi-rurgico), mediante i punti “posato” e “pioggia”, con sottilis-

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ciato. La veste, caratterizzata da un taglio sartoriale cherisponde ai dettami della moda maschile in auge, si distingueper fasto ed eleganza. Se questo genere di capo, destinatoalla servitù di aristocratiche famiglie o ai dipendenti pubbli-ci, subisce la standardizzazione del modello, tramandandosipoi immutato per lungo tempo nella foggia e nella gammacromatica, il nostro esemplare è tuttavia l’esempio di come,a certi livelli, il prestigio e la ricchezza della nobiltà fosseroesibiti in occasione delle pompe sociali, anche attraversol’immagine esteriore del proprio personale di servizio.L’intervento di restauro ha seguito il consueto iter di pulitu-ra, messa in forma, e consolidamento.Caso n. 6 – Ventaglio, manifattura francese, 1840-45: stec-che (n. 16) in osso traforato, dorato, con doppia pagina incarta decorata a stampa, mediante tecnica litografica acque-rellata e dorata, sul verso e sul recto, raffigurante su un lato,una idilliaca scena campestre e sull’altro una scena concostumi ottocenteschi. Coronamento realizzato con piumecolorate e minute corolle artificiali. Decorazione con nappapendente in fili di seta ritorta e filato in ciniglia. Autore dellastampa litografica: Palamede De Viseontin. Il ventaglio, fon-damentale accessorio dell’abbigliamento femminile, divienenell’Ottocento oggetto anche di propaganda, divulgazione ditemi storici, patriottici, letterari e musicali. La tipologiastrutturale dell’oggetto, la tecnica di stampa utilizzata, ledecorazioni ed i soggetti raffigurati consentono di datare l’o-pera alla prima metà dell’Ottocento. La pulitura della strut-

tura in osso è stata eseguita ad aria e mediante l’uso di untensioattivo (Tween 20). Le pagine, interessata da numeroselacune, sono state integrate con polpa di carta e alcune zonesono state riequilibrate nei toni ad acquarello. Il consolida-mento è stato effettuato con nebulizzazione di CMC diluitocon acqua deionizzata. Caso n. 7- Scarpe (un paio), manifattura italiana (Sicilia)prima metà del XIX secolo: scarpe femminili piane contomaia in vitellino, tagliata in due pezzi, rifinita al bordo dafettuccia in taffetas di seta di colore marrone; fodera inter-na in pelle di capra allumata. Punta quadrata, lunghi laccilaterali in taffetas di seta, colore marrone. Fodera in pelledi capra allumata, suola in cuoio. La scarpa bassa iniziò adessere usata durante il periodo impero, quando era abbina-ta ad abiti di gusto neoclassico. Il suo uso continuò tuttaviacon lievi variazioni fino alla metà dell’Ottocento. Le nostrescarpette erano deformate, interessate da un marcato inari-dimento del cuoio e da uno spesso strato di polvere grassa.I lacci si mostravano pieni di grinze e pieghe, mentre lastruttura tessile presentava fragilità meccanica. Le calzatu-re sono state ripulite mediante pulitura ad aria con microaspiratore e pulitura meccanica attraverso l’uso di un ten-sioattivo (Tween 20). La morfologia delle scarpe è statariacquistata mediante un’idratazione controllata e l’inseri-mento di sostegni flessibili in cartoncino a lunga conserva-zione. I lacci sono stati puliti, messi in forma e consolidatiad ago.

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Le attività di conservazione sono statecondotte dai tecnici del laboratorio direstauro di manufatti di origine organicadel CRPR

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VIRGO LACTANSLA MADONNA DELLA LAVINA DI CERAMIChiara Caldarella/Alessandra Longo

La ricerca, condotta dall’Unità per i Beni Storico-artisti-ci, iconografici ed etnoantropologici e pubblicata nel

2006 in “U circu e a bannera. Le feste di San Sebastiano aCerami” - “I quaderni di Palazzo Montalbo”, è stata l’occa-sione che ha spinto i tecnici del CRPR a prendersi cura diuna tavola quattrocentesca raffigurante la Madonna dellaLavina, custodita nella chiesa abbaziale di San Benedetto aCerami in pessimo stato di conservazione. Il dipinto con laVergine assisa in trono in atto di allattare il Bambino tra dueangeli (Virgo Lactans) è un’opera poco conosciuta, che,come molte altre immagini sacre, ha svolto fin dall’antichitàun ruolo molto importante nell’immaginario collettivo, con-servando ancora oggi un inscindibile legame con la popola-zione locale. La denominazione della Madonna della Lavinaè infatti legata alla presenza di un piccolo torrente, in dialet-to u lavinaru, che scorre nelle campagne attorno a Cerami,dove sorge una piccola chiesetta, anticamente una cappellaannessa a un convento di suore benedettine, nella quale leg-gendariamente si trovava la tavola prima di essere trasporta-ta nel monastero annesso all’abbazia di San Benedetto, doveoggi è conservata1. La preziosità dell’opera e l’avanzatostato di degrado sono state le ragioni principali che hannospinto i tecnici del CRPR alla progettazione di un interventoconservativo, che, giunto finalmente alla conclusione, graziealla sinergia della ricerca di coloro che vi hanno collaborato,ha ridato splendore ad un’opera di sicuro pregio artistico. Perimpostare correttamente l’intervento di restauro e di conser-vazione è stato necessario conoscere esattamente la tecnicaartistica di esecuzione, definire i fenomeni del degrado erisalire alle loro cause. Per questo motivo il dipinto è statosottoposto ad un approfondito studio interdisciplinare basatosulle indagini diagnostiche sistematiche e complete, chehanno permesso di individuare correttamente le linee guidaper l’intervento e per la metodologia di conservazione. Gli accurati esami scientifici e lo studio sulla particolare tec-nica di esecuzione del dipinto, realizzato a tempera conimpiego di oro sulla tela, incorporata allo strato della prepa-razione della superficie pittorica, hanno aggiunto importantinotizie utili alla conoscenza dell’opera stessa e delle suecaratteristiche tecniche, sopperendo in qualche modo all’esi-guità delle fonti documentarie. Il risultato delle indagini chi-miche sulla tecnica ha infatti permesso di avanzare l’ipotesidi un intervento di un pittore esterno o di un pittore locale,condizionato da metodologie usate tradizionalmente in altriambiti culturali

2. Contestualmente, attraverso l’analisi stori-

co-artistica e filologica, si è cercato di ricostruire il climaculturale nel quale collocare l’opera, riconosciuta come unpregevole esemplare di quella corrente artistica, diffusa trail XIV e il XV secolo nell’Italia meridionale, sulla quale, suuna premessa di origine bizantina, si innestarono gli esitidella cultura occidentale con uno sguardo rivolto alla pittu-ra senese, agli elementi veneto-marchigiani e al decorativi-

Cerami, Abbazia di San Benedetto. Madonna della Lavina, prima del-l’intervento

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smo catalano3. La datazione dell’opera, basata principalmen-te sull’analisi stilistica, è stata supportata anche dai risultatidell’indagine dendrocronologica, che, attraverso il confron-to delle varie sincronizzazioni, ha presumibilmente colloca-to l’età della tavola nel periodo compreso tra il 1433 e il1486, individuando l’autore in un artista attardato che sem-bra abbia riproposto i caratteri della cultura di inizioTrecento rinnovandoli, con un modellare più fluido, non solonell’impostazione ma anche nell’adozione di un nuovo e ori-ginale partito decorativo.L’intervento sul dipinto ha avuto un notevole interesseanche ai fini della sperimentazione, che ha riguardatosoprattutto le fasi del consolidamento e della pulitura dellostrato pittorico, che si presentava molto lacunoso. L’attentaoperazione di pulitura, che ha consentito di rimuovere leridipinture estese riportando alla luce i colori originari, hasvelato elementi interessanti per quanto riguarda la tessitu-ra cromatica del film pittorico realizzata con colori squil-lanti stesi con pennellate corpose, entro il segno graficodegli ornati e le linee spesse del contorno dei volti, dellemani, che rievocano tendenze stilistiche di matrice spa-gnola, rintracciabili ad esempio nel grande retablo delMaestro di Arguis, ora al Prado, realizzato tra la fine delXIV e l’inizio del XV secolo. Riguardo all’iconografia della Virgo lactans, raffiguratanella tavola, è generalmente accettata l’opinione che l’imma-gine della Vergine allattante sia derivata dalla antica rappre-sentazione di Iside che allatta il dio pagano Horus. Il temacristianizzato della Madonna con Bambino, (avvenuto inEgitto e diffusosi dal 431, dopo il concilio di Efeso)4 fu recu-perato solo nel secolo XII e incontrò enorme successo a par-tire dal XIII secolo, stimolando una fiorente produzioned’immagini devozionali sia nella pittura che nella scultura,in coincidenza con la diffusione, promossa dai crociati, delleicone della Galactotrephousa, o Madonna allattante. Unatesi recente, formulata da Ludovico Rebaudo, riguardo all’o-rigine dell’iconografia della Vergine allattante, sostiene,invece, l’esistenza di una tradizione iconografica occidenta-le dello stesso tema connesso ab origine ad un’antica rappre-sentazione dell’Adorazione dei Magi, che prescinde dallaraffigurazione di Iside e precede la Galaktrophoùsai copta dioltre un secolo5. Il soggetto di Maria che allatta, che esprime nella delica-tezza dei tratti della figura della Madonna una connota-zione realistica e affettiva, fu variamente riprodotto nelXIV secolo soprattutto nella pittura iberica e indubbia-mente la circolazione dei modelli spagnoli nei territorisiciliani del regno aragonese condizionò profondamentegli artisti ed in generale i gusti della committenza, chetalora impose agli autori non solo scelte stilistiche maanche iconografiche. Anche l’attardata impostazionetardo-gotica della composizione, in cui l’unico movimen-to della figura statica della Vergine è affidato alla bandadorata spiraliforme, che sottolinea l’orlo del mantello omaphorion indossato sopra la tunica, sembra riproporremodelli graditi a maestri catalani italianizzanti, quali ilMaestro di S.Marco, il presunto Ramon Destorrents, oquello di Estopiñan, richiamati nella definizione dei trattifisionomici del Bambino e degli angeli, nello ricerca diuna espressività più calcata nello sguardo della Vergine e

nell’ombreggiatura degli incarnati. Ad ogni modo la pre-senza di particolari caratteri arcaici della Vergine ( iltaglio degli occhi, l’esile tratto delle sopracciglia, il nasoaffilato, l’inclinazione del volto, la lumeggiatura del visoe del collo, la posa del Bambino, la rigidità delle mani) sitrova similmente anche in alcune opere di artisti sicilia-ni, come il Maestro del Trittico di Santa Maria a Licata,vicino alla cerchia di Louis Borrasà, con un preciso rinvioalle opere degli spagnoli Ermanno e Pietro Serra, bennoti in Sicilia già alla fine del XIV secolo6. Anche neltendaggio decorato a ramages, steso dietro le spalle dellaVergine, o nel disegno del cuscino ai piedi, che consistein un tracciato di forme regolari come in una stoffa abroccato si possono rintracciare le tendenze decorative digusto valenzano che avvalorano l’ipotesi che gli aspetticaratterizzanti di questo dipinto risentano del gustoeclettico, rivestito di nuovo vigore, che circolava tra ipossedimenti della corona aragonese.

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Particolare della Vergine durante l’intervento.

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Nota di restauro

L’opera è composta da un dipinto a tempera su tavola(cm166 x 63 e cm2, circa, di spessore) e da una corni-ce lignea dipinta e dorata (circa cm30 di larghezza)entrambi cuspidati sulla parte superiore. Su tutta la superficie del supporto ligneo si trova unapreparazione bianca dove è stata applicata un’unica telaa trama fitta di colore chiaro; su di essa è stato steso unaltro strato di preparazione uguale alla sottostante cheaccoglie la pellicola pittorica. La cornice è stata ese-guita a foglia d’argento meccato sulle parti aggettanti edipinta in verde sulle modanature interne. Il manufatto, prima dell’intervento, si presentava moltooffuscato per la presenza di un film grigiastro, si nota-vano estese ridipinture e lacune della pellicola pittori-ca, della preparazione e della tavola ed erano presentifori e chiodi fissati sulla superficie dovuti all’applica-zione di oggetti devozionali e ornamentali in relazioneal culto dell’effige. Anche sulla cornice vi erano delleridipinture localizzate sulla zona inferiore e, diffusa-mente, erano presenti lacune e chiodi.La struttura lignea dell’opera si presentava in generalecompatta, ad eccezione di alcune zone che si mostrava-no indebolite da una pregressa infestazione di insettixilofagi, che era ancora in atto, sulla cornice, al momen-to dell’arrivo in laboratorio. Il metodo di disinfestazio-ne scelto è stato quello delle atmosfere modificate persottrazione di ossigeno, tramite sacchetti ermetici conte-nenti polvere di ferro; con questa operazione si è attiva-ta una collaborazione con i tecnici della GalleriaRegionale di Palazzo Abatellis Arabella Bombace,Tiziana Lorenzetti e Bianca Pastena, con le quali, pertutte le fasi successive, si è proceduto seguendo il prin-cipio del “minimo intervento”. Le indagini chimiche hanno permesso di individuarenella composizione dei due strati preparatori, insiemealla colla animale, l’inusuale presenza di gesso anidro,elemento molto solubile in acqua che ha determinato lafragilità del composto, che è da considerarsi tra le causeprincipali della caduta di colore. Una particolare attenzione, quindi, è stata rivolta alconsolidamento della preparazione e della superficiepittorica, che ha rappresentato l’aspetto più importantee problematico di questo studio. Insieme al restaurato-re Alberto Finozzi (CESMAR7) sono state eseguitenumerose misurazioni di forza su campioni precedente-mente preparati con diversi consolidanti in diversediluizioni. Avvalendosi dei risultati ottenuti dalla spe-rimentazione, sulla base del principio del minimo inter-vento e secondo la “necessità”del manufatto, è statoscelto il consolidante da utilizzare ed in quale percen-

tuale applicarlo.Per la scelta dell’intervento di reintegrazione pittoricaci si è avvalsi dell’elaborazione informatizzata di tavo-le virtuali su supporto digitale eseguite da M.FrancescaMulè e M.Rosalia Carotenuto. Al fine di una correttalettura del dipinto si è preferito reintegrare pittorica-mente le piccole lacune degli incarnati e trattare legrandi ed estese mancanze di colore con la tecnica della“tinta neutra” eseguita direttamente sulla tela.Tutte le operazioni sono state documentate con imma-gini fotografiche e sono state effettuate anche le map-pature dello stato di conservazione, dei prelievi e deipunti di misura delle indagini scientifiche. L’operainfatti è stata sottoposta nei laboratori del Centro adanalisi chimiche, fisiche, microbiologiche, entomologi-che, xilotomiche, dendrocronologiche e merceologicheper l’individuazione dei materiali costitutivi e sopra-messi e per la ricerca delle cause di degrado. A tal pro-posito è stato eseguito il monitoraggio microclimaticoall’interno della chiesa che ospita il dipinto.

Fase del consolidamento dello strato pittorico

Indirizzo metodologico fornito dal comitato scientifico all’uopo composto da Franco Fazzio, Antonio Rava, Lorella Pellegrino, Alberto Finozzi.Restauro della cornice laboratori di P. Abatellis. Si ringrazia la Dott.ssa Giulia Davì ed i tecnici del Gabinetto di Restauro della Galleria per lacollaborazione al restauro del dipinto e della cornice. Le attività di restauro sono state condotte dai tecnici del laboratorio di restauro materia-li di origine organica del CRPR - Gabinetto Tele e Tavole

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NOTE

V. Amico, Dizionario topografico della Sicilia, tradotto dal latino ed anno-tato da Gioacchino Di Marzo, 2 vol., Palermo 1855-1856, I, alla voce“Cerami”, pp. 319-320 “...[Cerami] II Monastero di monache è adorno deltitolo di Santa Maria di Lavina, sotto gli istituti di San Benedetto; eranoquelle un tempo fuori il paese; stanno oggi sotto il tempio principale emostrano un’antichissima tavola di Madonna, illustre per meravigliosi pro-digi.’’; G.Pitrè, Feste patronali in Sicilia, Palermo 1900, p.224. Il Pitrèriporta una notizia sulla tavola, collegata al cerimoniale della festa in suoonore a Cerami.Altri esempi di opere eseguite con la stessa tecnica sono: gli scomparti delretablo sottostante gli affreschi attribuiti al fiorentino Dello Delli nella cat-tedrale di Salamanca, la tavola con l’Ascensione (Palermo, GalleriaRegionale “Palazzo Abatellis”) e la tavoletta con la Madonna e il Bambino(Alcamo, Chiesa dei SS. Paolo e Bartolomeo) .A. De Bosque, La pittura italiana in Spagna, 1968 p. 112, figg. 113-124; L.Buttà, La pittura tardogotica in Sicilia: incontri mediterranei, Palermo,Kalòs, 2008. Già dalla prima metà del Trecento erano giunti in Sicilia dallaLombardia la Madonna dell’Umiltà di Bartolomeo da Camogli (1346) e allafine del Trecento dalla Toscana opere di Antonio Veneziano, la Madonnacol Bambino di Barnaba di Modena e altri dipinti della bottega di Nicolò daVeltri, Jacopo di Michele, Turino Vanni, Andrea Vanni e Taddeo diBartolo.Le prime immagini di Maria “Galactotrephousa” o “Madonna allattante”(così era chiamata in Oriente, mentre in Occidente veniva appellata “MariaLactans”) sono di origine copta e si trovano in una cella monastica di Banitin Egitto e in una caverna eremitica del Monte Latmos in Asia minore (risa-lenti ai secc. VI – VII) nonché a Roma in un frammento di scultura del sec.VI, rinvenuto nel Cimitero di San Sebastiano.L. Rebaudo, Fausta, Pietas e la Virgo Lactans: migrazione di un motivo, inSocietà e cultura in età tardoantica, Atti dell’incontro di studi (Udine 29-30 maggio 2003), Grassina (FI), 2004, p. 181-209.Tra le opere stilisticamente più vicine alla tavola di Cerami ed eseguite nellaprima metà del XV secolo si citano anche la Madonna del Latte ( Siracusa,Galleria Regionale di Palazzo Bellomo), la Madonna in trono che allatta ilBambino (Siracusa, Arcivescovado), l’affresco con la Madonna delleGrazie (Palermo, Chiesa di Sant’Agata) o ancora la tavola con la Madonnain trono che allatta il Bambino (Santa Lucia del Mela (Messina), Chiesadell’Annunziata).

Particolare del maphorion del mantello della Vergine durante la pulitura

Bibliografia

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L. Buttà, La pittura tardogotica in Sicilia: incontrimediterranei, Palermo 2008.

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DOSSIER

ANALISI E INDAGINIDIAGNOSTICHETRA ARCHEOLOGIAE RESTAURODOCUMENTAZIONE DI ALCUNE FASIDELLO STUDIO SCIENTIFICO IN ATTUAZIONEDEL PROGETTO DI RECUPERO E DI CONSERVAZIONEDELLA VILLA ROMANA DEL CASALEDI PIAZZA ARMERINA

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I marmi della Villa del Casale diPiazza Armerina sono stati in passatooggetto di attenzione e indagine daparte di vari studiosi, a iniziare dagliscavatori (Carandini et al. 1982 ), cheredassero un primo elenco, peraltromolto incompleto e con errori, dellespecie lapidee presenti, e continuandocon lo studio di Pensabene, anch’essonon esaustivo e con qualche impreci-sione, per finire poi con i due lavoridello scrivente (Lazzarini 2003 e2007) che riguardarono solamente imarmi e le pietre ancora in posto, e sibasarono solo su una identificazioneautoptica delle varie specie lapidee.Una recentissima indagine, sempre dichi scrive, estesa alle diverse decine dicassette di frammenti marmorei rac-colti nel corso dello scavo sia della

Basilica che del resto della villa, eopportunamente integrata da indaginiarcheometriche di laboratorio eseguitesu campioni prelevati principalmentedalla Basilica stessa, rende ora possibi-le la stesura di un elenco delle qualitàdi marmi presenti nell’edificio, che siritiene pressoché definitivo almeno perquanto sinora messo in luce e studiato,e una prima serie di considerazioni sul-l’impiego dei materiali lapidei diimportazione nella villa.L’elenco di quest’ultimi viene sintetiz-zato in tabelle suddivise per area geo-grafica di provenienza (vedi pag. 24), efornisce una valutazione semiquantita-tiva dei materiali e un’indicazionedelle tipologie d’uso. Per valutare laquantità, ci si è basati sul numero dicasse riempite per ciascuna specie, inparticolare:

da uno, sino a qualche decina di fram-menti, presenza in tracceda una a tre casse, presenteda tre sino a cinque casse, abbondanteoltre cinque casse, molto abbondante.Circa la tipologia d’uso, si sono facil-mente identificati gli elementi architet-tonici (principalmente cornici e loroframmenti, colonne e loro frammenti,capitelli e loro frammenti), nonché glialtri manufatti e loro frammenti (ad es.vasche), mentre si è assunto lo spesso-re delle lastre per distinguere i rivesti-menti pavimentali (spessore > di 1 cm)da quelli parietali (spessore ≤ di 1 cm).L’identificazione dei marmi colorati,come si è detto sopra è stata largamen-te basata su un riconoscimento autopti-co e per confronto con specifici atlantifotografici (Mielsch 1985; Borghini

1989; Dolci, Nista 1992; Pensabene,Bruno 1998) ma anche su studi mine-ro-petrografici al microscopio polariz-zatore di sezioni sottili di campionidelle specie lapidee di incerta prove-nienza, e di quelle sconosciute.L’identificazione dei marmi bianchi ebigi è invece da considerarsi ampia-mente ipotetica perché basata sulleloro caratteristiche macroscopiche(dimensioni della grana, colore, bril-lanza, etc.), salvo che per un numerosignificativo di campioni, prelevati perlitotipo e in modo rappresentativo, chesono stati identificati con una buonaprobabilità di esattezza del risultatomediante dettagliato esame petrografi-co in sezione sottile combinato ad ana-lisi degli isotopi stabili del carbonio edell’ossigeno, e tenendo conto dellarelativa banca dati più aggiornata tra

quelle attualmente esistenti (Gorgoniet al. 2002).Sui dettagli di tali identificazioni dilaboratorio, si rimanda allo specifico,recente rapporto scientifico redatto perla Soprintendenza ai BB.CC.AA. diEnna (Lazzarini 2009).Per informazioni storico-archeologi-che e archeometriche sulle varie specielapidee identificate, si consiglia la con-sultazione delle pubblicazioni di Gnoli(1988); Borghini (1989), con relativarecensione di L.Lazzarini (1990); DeNuccio, Ungaro (2002); Lazzarini(2004 e 2007). Come si desume dalle tabelle, sono imarmi di origine ellenica che preval-gono su tutti gli altri. In particolare, sipuò senz’altro affermare che siano ledue specie lapidee estratte dall’isola di

Sciro (ora, Skyros), e cioè la breccia disettebasi e il marmo sciretico bianco, apredominare. Della prima sono legrandi colonne del peristilio prospi-ciente il mosaico della grande caccia, emolti riquadri e cornici dell’opus secti-le della basilica; del secondo erano conogni probabilità molti dei rivestimentiparietali e pavimentali, sia della basili-ca che di altri spazi della villa. Vaanche notata la considerevole abbon-danza del verde antico, il cui uso e dif-fusione è, come noto, da datare a dopol’età adrianea, ma la cui massiccia pre-senza in contesti romani non è moltocomune.Dei marmi microasiatici, l’africanoappare il più usato, e solo per rivesti-menti, mentre i graniti sono presentispecie in colonne. Di questi, il piùabbondante è il misio, presente con

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SPECIE LAPIDEEI MARMI DELLA VILLA DEL CASALELorenzo Lazzarini

Università IUAV - Venezia

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non si può essere del tutto certi pertutte le lastre presenti anche negli altriambienti (Antonelli et al., 2009), chepotrebbero pure essere di provenienzamicroasiatica (proconnesia e/o efesi-na) vista l’ancora imperfetta conoscen-za sia archeologica, sia archeometricadelle varie facies denominate “grecoscritto”. Molto abbondante, per glistessi usi del litotipo precedente, è ilmarmo numidico. Da notare anche lapreferenza accordata alla sienite per ledue grandi colonne d’ingresso allabasilica, ciò che è da collegare a unmaggior prestigio mantenuto anche inetà tardo-antica da questo granitorispetto a quelli microasiatici.Dei marmi di origine italica, infine nonsi può che osservarne l’esigua presenza,con la parziale esclusione del marmo

lunense, molto usato per cornici e rive-stimenti, a conferma di una persistenzadell’impiego di materiali lapidei esoticiquali indicatori dell’elevato stato socia-le del proprietario della villa.Un’ultima considerazione va fattacirca la presenza nella basilica, perquanto in pochissimi, addirittura sin-goli, frammenti di alcune pietre moltorare, come il granito verde fiorito dibigio, la breccia rossa appenninica, labreccia di Aleppo, il semesanto, tuttedi grande pregio e caratterizzate da unimpiego che solitamente arriva al mas-simo sino all’età flavia, ciò che fareb-be supporre un reimpiego nei pavi-menti e pareti della grande sala ceri-moniale di materiali più antichi proba-bilmente portati a Filosofiana da altricentri romani dell’isola.

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numerosi fusti nel peristilio, dove sialterna al marmo lesbio e al grecoscritto, ma in origine anche in operasottoforma di lastre pavimentali nellabasilica. Meno usato è invece il grani-to della Troade, ma ciò è in linea conun progressivo sorpasso del granitopergameno su quello troadense avve-nuto verso la fine dell’impero romano,sorpasso che sembra essersi consolida-to all’inizio dell’era bizantina. Tra le poche specie litiche di prove-nienza africana presenti nella villa, è ilmarmo greco scritto che fa la parte delleone, sia per le colonne, sia in rivesti-menti pavimentali e parietali (special-mente negli zoccoli alla base dellevarie stanze della villa). Della sua ori-gine, che nel caso specifico della basi-lica sembra essere proprio africana,

BIBLIOGRAFIAAntonelli et al. 2009 - F. Antonelli, L.Lazzarini., S. Cancelliere, D. Dessandier, Minero-petrographic and geochemical characte-rization of “Greco Scritto” marble from Cap de Garde near Hippo Regius (Annaba, Algeria), in “Archaeometry”, 51, 2009.Borghini 1989 - G. Borghini (a cura di), Marmi Antichi, Roma 1989.Pensabene, Bruno 1998 - P. Pensabene, M. Bruno, Il marmo e il colore, guida fotografica. I marmi della collezione Podesti,Roma 1998. Carandini et. al 1982 - A. Carandini , A. Ricci., M. De Vos, Filosofiana. La Villa di Piazza Armerina, Palermo 1982.Dolci, Nista 1992 - E. Dolci, L. Nista (a cura di), Marmi Antichi da Collezione, Carrara 1992.Gnoli 1988 - R. Gnoli, Marmora Romana, Roma 1988.Gorgoni et al. - C. Gorgoni., L. Lazzarini., P. Pallante, B. Turi B., 2002, An updated and detailed mineropetrographic and C-Ostable isotopic reference database for the main Mediterranean marbles used in antiquity, in “ASMOSIA 5, InterdisciplinaryStudies on Ancient Stone” (J.J.Herrmann, N.Herz, & R.Newton eds.), London 2002, pp. 115-131. Lazzarini 1990 - L..Lazzarini L., in “Bollettino d’Archeologia”, 5-6, 1990, pp. 255-268Lazzarini 2003 - L. Lazzarini, I materiali lapidei e vetrosi delle tessere musive delle terme di Villa del Casale (Piazza Armerina),in Atti del Primo Convegno Internazionale di Studi La materia e i segni della Storia, I, “Apparati musivi antichi nell’area delMediterraneo”, I Quaderni di Palazzo Montalbo, Palermo 2003.Lazzarini 2004 - L. Lazzarini (a cura di), 2004, Pietre e marmi antichi: natura, caratterizzazione, origine, storia d’uso, diffusio-ne, collezionismo, Castenaso (Bo), 2004.Lazzarini 2007 - L. Lazzarini, Poikiloi lithoi, versiculores maculae. I marmi colorati della Grecia antica, Roma-Pisa 2007.Lazzarini 2007a - L. Lazzarini, Caratterizzazione dei materiali lapidei e vetrosi, In Progetto di recupero e conservazione dellaVilla Romana del Casale di Piazza Armerina

I RESTAURI IN CORSO ALLA VILLA DEL CASALE SONO DIRETTI DAL CRPRDIR. DEI LAVORI GUIDO MELIDIR. OPERATIVO PER IL SETTORE LAPIDEIRESTAURATRICE LORELLA PELLEGRINO

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NOME DEL MARMO E SINONIMI PROVENIENZA ABBONDANZA

RELATIVA

TIPOLOGIA

D’USO Marmor lucullaeum, africano Sigacik, Izmir +++ RPAV, RPAR

Marmor proconnesium. M. cyzicenum, m. greco

fetido

Saraylar, etc. , Isola di Marmara +++ RPAV, RPAR,

C, CAP, CO

Marmo misio, granito misio Kozak, Bergama +++ C, RPAV

Marmor sagarium, breccia corallina, breccia

nuvolata, brocatellone

Vezirhan, Bilecik +++ RPAV, RPAR

Marmor Carium, m.iassense, cipollino rosso,

africanone

Kiykislacik, Mylasa + RPAV

Marmor phrygium, m.docimenum, m.synnadicum, pavonazzetto

Iscehisar, Afyon + RPAV, RPAR

Marmor troadense, granito violetto Cigri Dag, Ezine + C

Bianco e nero tigrato ??, prob.prov. anatolica ± RPAV

Alabastro fiorito ??, prob.prov. anatolica ± RPAV

Marmi di origine microasiatica. Legenda: +++, molto abbondante; ++, abbondante; +, presente; ±, tracce; RPAV, rivestimenti pavimentali; RPAR,

rivestimenti parietali; C, Colonne; CAP, capitelli, CO, cornici; V, vasche.

NOME ANTICO DEL MARMO, E

SINONIMI MODERNI

PROVENIENZA ABBONDANZA

RELATIVA

TIPOLOGIA D’USO

Breccia di settebasi Isola di Skyros +++ RPAV, C, RPAR

M. thessalicum, lapis atracius, verde antico Chasabali (Larisa) +++ RPAV

Marmor lesbium, bigio antico Moria, Isola di Lesbo ++ RPAV, C

Marmor scyreticum, marmo sciretico bianco Kolones, Isola di Skyros ++ RPAR, RPAV, CO

Marmor chium, porta santa Latomi, Isola di Chio ++ RPAV

Marmor charystium, marmor styrium, cipollino

verde

Karystos, Styra, Isola Eubea ++ RPAV, RPAR

Rosso antico Penisola di Mani (Pelop.) ++ RPAV, RPAR, CO

M. lacedaemonium, serpentino, porfido verde

antico

Stefanià (Peloponneso) + RPAV

Marmor pentelicum Monte Penteli, Atene + RPAV, RPAR, CO

Marmor Thasium (due varietà) Isola di Taso + RPAV, RPAR

Marmor chalcidicum, fior di pesco Eretria, Isola Eubea ± RPAV, RPAR

Semesanto Isola di Skyros ± RPAV

Cipollino bigio Karystos, Isola Eubea ± RPAV

Breccia di Aleppo Kariés, Isola di Chio ± V

Marmi di origine ellenica. Legenda: +++, molto abbondante; ++, abbondante; +, presente; ±, tracce; RPAV, rivestimenti pavimentali; RPAR, rivestimenti parietali; C, Colonne; CAP, capitelli, CO, cornici; V, vasche.

NOME DEL MARMO E SINONIMI PROVENIENZA ABBONDANZA

RELATIVA

TIPOLOGIA

D’USO Marmor Lunense, marmo di Carrara (tutte le

varietà)

Alpi Apuane +++ RPAV, RPAR,

CO

Marmo rosso fiorito S.Marco d’Alunzio (Messina) + RPAV

Alabastro (siciliano ??) + RPAV

Breccia rossa appenninica Coregna, La Spezia ± RPAV

Marmi di origine italica. Legenda: +++, molto abbondante; ++, abbondante; +, presente; ±, tracce; RPAV, rivestimenti pavimentali; RPAR, rivestimenti parietali; C, Colonne; CAP, capitelli, CO, cornici; V, vasche.

NOME DEL MARMO E SINONIMI PROVENIENZA ABBONDANZA

RELATIVA

TIPOLOGIA D’USO

Marmor numidicum, giallo antico Chemtou, Tunisia +++ RPAV, RPAR

Greco Scritto, anche brecciato Cap de Garde, Algeria; altre

provenienze ignote

+++ RPAV, RPAR, C, CO

Lapis porphyrites, porfido rosso antico Gebel Dokhan, Deserto Orientale

Egiziano

+ RPAV, RPAR

Alabastro a Pecorella Oran, Algeria + RPAV

Granito verde fiorito di bigio Wadi Umm Balad, Deserto Orientale

Egiz.

± RPAR

Lapis pyrrhopoecilus, lapis thebaicus, sienite Aswan, Egitto ± C

Lapis alabastrites, alabastro cotognino Hatnub, etc. Egitto ± RPAV, RPAR

Marmi di origine africana. Legenda: +++, molto abbondante; ++, abbondante; +, presente; ±, tracce; RPAV, rivestimenti pavimentali; RPAR,

rivestimenti parietali; C, colonne; CAP, capitelli, CO, cornici;V, vasche.

TABELLE COI RISULTATI OTTENUTI

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PremessaNegli ultimi anni si sono verificatidue grandi eventi che hanno consen-tito di riprendere le ricerche sullavilla e gli immediati dintorni: ilprimo costituito dal finanziamentoPOR ottenuto dalla Soprintendenzadi Enna per il 2004-2005, riguardan-te lo scavo della zona a sud dellavilla ritenuta sede della pars rustica;il secondo dal restauro intrapreso dalCentro Regionale per il Restauro diPalermo che riguarda sia i mosaici,sia le strutture di copertura, che hacomportato una nuova campagna disaggi di scavo durante il 2008 e 2009per tutto il perimetro della villa e inmolte zone interne. A entrambe leimprese ha collaborato, per l’indagi-ne archeologica l’Università di

Roma “La Sapienza”. Sul campoerano presenti Enrico Gallocchio eEleonora Gasparini che hanno segui-to i saggi di scavo e stanno studiandoi materialiQueste nuove indagini archeologichesono state importanti perché gli scavidi Gino Vinicio Gentili negli anni‘50, pur nei risultati ottenuti, aveva-no lasciato alcune zone d’ombranella comprensione storica dellaVilla del Casale: prima di tutto sul-l’impianto precedente alla Villa tar-doromana, poi circa gli interventi direstauro e ricostruzione nella Villadurante il suo uso; erano rimaste nelcomplesso ignote anche le vicendeche nel periodo altomedievale, primabizantino e poi islamico, avevanoinvestito il sito della Villa; da ultimo

era limitata ai soli reperti ceramici laconoscenza di una fase arabo-nor-manna del sito in quanto le strutturemurarie relative erano state del tuttodistrutte o messe in pianta solo inmisura ridotta. In seguito, con gli scavi di De Miro edi Guzzardi negli anni ’80 del XXsecolo, si erano aggiunti tasselli diinformazione riguardanti proprio leproblematiche suddette anche sel’assenza o la concisione delle noti-zie pubblicate non aveva permesso ditenere conto del loro significato e ciha costretti a riesaminare le strutturegià scavate o a rimetterle in luce siaper metterle correttamente in pianta ,sia per sottoporle a nuovi esami allaluce di quanto da noi scavato succes-sivamente.

CAMPAGNE DI SCAVITRA RICERCHE, ARCHEOLOGIA E RESTAUROPatrizio Pensabene

Università La Sapienza - Roma

Particolare del mosaico parietale rinvenuto nel settembre 2009 nell’edificio termale fuori la villa difronte l’arco d’ingresso

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Strutture tardoantiche di imma-gazzinamento e di serviziTra i dati pubblicati degli scavi DeMiro risultava la presenza di ungrande ambiente sul lato ovest delpiazzale d’ingresso, definito provvi-soriamente stalla, e che in realtà sipresentava come una grande sala tri-partita da pilastri. Ma la revisionedegli scavi, questa volta inediti, diDe Miro ha poi portato all’individua-zione di un secondo grande ambientesituato subito a sud di questa sala tri-partita1. I due grandi ambienti, coin-volti nel nuovo percorso di accessoalla villa che li attraverserà per poipiegare verso l’arco d’ingresso, sisono rivelati essere magazzini per iprodotti agricoli (noti nella loro tipo-logia dalla descrizione di Columellae da una Villa nel suburbio di Roma

presso Tor Vergata2), e hanno porta-to all’identificazione della parterustica della Villa a sud della Villa:qui si può ipotizzare fossero colloca-ti le cucine e gli impianti produttivi(torchi e depositi per olio e vino)Infine nella nostra campagna discavo di questi ultimi due anni sonoemerse, sempre a sud della villa (nelsettore ovest dell’insediamentomedievale da noi ora messo in luce:cfr. infra), strutture tardoantichecostituite da un vano absidato convasca, che conserva anche la soglia eparte dell’intonaco di rivestimento, eda altri resti murari, tra cui una vascacon mosaico parietale, che sono dainterpretare come parte di un piccolostabilimento termale: esso pareorientato grossomodo con i magazzi-ni sopradetti e ci consente di delinea-

re un piazzale d’ingresso alla villacircondato da strutture di servizio. Possiamo ormai affermare anche perla Villa del Casale che non siamo difronte ad una sorta di villa suburba-na, a molti chilometri di distanza dagrossi centri urbani, ma di un’unitàresidenziale, amministrativa e pro-duttiva.

Strutture tardo antiche di secondafase e di epoca bizantinaIn precedenti pubblicazioni abbiamorilevato come l’acquedotto est, amuro pieno, i tamponamenti dellearcate dell’acquedotto nord e gli spe-roni di contrafforte dell’abside dellabasilica potessero essere attribuiti aduna seconda fase della villa caratte-rizzata da opere di rinforzo dellestrutture murarie, da recinzioni

Trincea XIII - Pozzo ad est della sala triabsidata - resti di uno scheletro umano

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difensive nelle quali erano inseriti gliacquedotti ( in un’arcata di quellonord venne inserito un portale d’ac-cesso di cui restano i cardini dellevalve) e da rifacimenti di alcunemurature e di alcuni rivestimentiparietali (v. le vasche del frigidariodelle terme e di alcuni ambienti del-l’appartamento del Dominus) e pavi-mentali (v. il mosaico delle palestriteche si sovrappone a quello geometri-co della fase originaria e i varirestauri dei mosaici nelle terme ealtrove): inoltre tutto il perimetroesterno della villa, compresi gli spe-roni di sostegno dell’abside dellabasilica, viene intonacato e dipintocon motivi geometrici in rosso sufondo bianco, ma anche figurati.A questa fase, probabilmente ancoradel IV secolo e forse da collocare inetà teodosiana, è da attribuire l’ag-giunta dello Xystus e della sala triab-sidata al nucleo principale basilica-grande ambulacro-peristilio. Già inpassato si era notato il collegamentopoco organico tra i due complessi,ipotizzando fasi diverse3 a cui oraaggiungiamo l’osservazione che irecenti scavi archeologici resisinecessari per le opere di restauro,hanno evidenziato una prima fasedirettamente sotto il pavimentodell’Xystus e sul retro: essa attestacome in età precedente vi fosserostrutture imperniate intorno ad unacorte rettangolare e dalle quali pro-vengono testimonianze monetariecostantiniane4. Ad una seconda fasecostruttiva rinvia anche il mosaicogeometrico dello spazio aperto delloxystus, che però si conserva in mini-ma parte (46b1). Per ciò che riguarda il primo periodobizantino rileviamo che la continuitàabitativa e l’esigenza di mantenerenella sua forma prestigiosa la villa sonoprovate dai continui restauri del mosai-co in particolare nell’Ambulacro della

Grande Caccia, nel braccio est del peri-stilio di fronte alle scale di accessoall’ambulacro (dove s’inserirono duefasce mosaicate con la probabile accla-mazione di un auriga, Bonifacius) enelle terme, anche se progressivamentesi può parlare più di rappezzi che diintegrazioni5. Si è anche proposto dimettere in relazione tale sforzo di man-tenimento con un’eventuale apparte-nenza della villa, in questo periodo, adun funzionario importante, richiaman-do il passo della Vita di S.GregorioAgrigentino, redatta dal presbiterobizantino Leonzio, che menziona unesarca residente presso Filosofiana6,dalla Cracco Ruggino però interpretatocome allusione al pretore romano cheavrebbe esercitato a Filosofiana la suaattività giudiziaria7.Certo, possiamo ora segnalare, inbase ai saggi stratigrafici da noi ese-guiti tra il 2008 e 2009 lungo il peri-metro della villa, interventi di raffor-zamento del muro perimetrale dellavilla, in quanto è ora possibile inte-grare in base a nuovi scavi nel setto-re subito a sud dello Xystus (SaggioXV) la ricostruzione proposta dalGentili -che limitava solo a tre gliambienti qui esistenti8- con dueavancorpi posti ai lati di questi checi restituirebbero l’immagine di unrecinto munito della villa, in quantodotato di piccole torri sporgenti infunzione difensiva. A questa fase nesegue una successiva in cui vienericavato un vano stretto e lungoattraverso la costruzione di un nuovomuro gettato tra i due avancorpi, conmuretti divisori che proseguonoquelli già esistenti nord-sud tra i treambienti: data la strettezza del vanoè possibile considerarlo l’alloggia-mento per un terrapieno con lo scopodi irrobustire il recinto in funzionedifensiva. Un breve tratto di un piùrobusto muro di recinzione è statoscoperto invece ancora più a sud ,

con frammenti ceramici che lo situe-rebbero nel VI secolo.9

E’ probabile che, in analogia a quan-to si verifica in Italia e in Africadurante il periodo bizantino, quandole attività produttive della campagnasi spostano per motivi difensiviall’interno fortificato delle città ,anche nel caso della Villa del Casaleci si trovi di fronte ad un processo dispostamento di tali attività all’inter-no del suo perimetro. Infatti in unsaggio (XIII) all’interno dello spaziodi risulta tra l’angolo sudovest dellaVilla10 e il ninfeo dello Xystus èemersa dal terreno la parte nord di unambiente rettangolare che inquadrauna struttura circolare, che era statamessa in luce dagli scavi di De Mironegli anni ‘8011 e di cui si conservasolo il primo filare di una muratura ablocchetti irregolari tenuti insiemeda malta terrosa e non da calce: poi-ché questa struttura riutilizza comelimite ovest il muro di recinto delpiazzale della villa, a cui si appog-gia, ne abbiamo dedotto l’esistenzadi una fase di occupazione deglispazi di risulta da ricollegare all’in-terno del periodo più tardo di vitadella villa. Più chiara è la funzione della struttu-ra venuta alla luce nel saggio (IX)del settore più a nord, denominatoda Gentili “cucina”, perché lo scavoha restituito un muro arcuato in cio-toloni e privo di calce che si ancoraad una piccola cisterna più a ovest,questa volta costruita in operacementizia, foderata internamentecon malta idraulica e provvista didue fori di adduzione e di scaricocostituiti da fistole plumbee. È possi-bile che tale struttura sia collegabilecon un ulteriore muro in blocchettiirregolari e senza calce da noi messoin luce sempre in quest’area, conandamento est ovest, che taglia lacanaletta e che a sua volta è interrot-

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to da una fossa di scarico medievalein cui è stato ritrovato il vago in orodi un orecchino. Saremmo di frontenuovamente a approntamenti produt-tivi inseriti all’interno del perimetrodella villa nel periodo bizantino,come già abbiamo visto a propositodel saggio XIII.

Il grande abitato medievalePer ciò che riguarda l’organizzazionedell’abitato medievale arabo norman-no che si sovrappose alla villa e inparte ne riutilizzò gli ambienti, abbia-mo rilevato la forte possibilità che ilsuo centro, in cui dimorava la partedella popolazione più abbiente, sia davedere nell’area corrispondente allavilla. Al momento in cui fu rioccupatadall’abitato nel tardo o alla fine del Xsecolo, la villa era per una buona parte,anche se non tutta, interrata12 per cuimolti degli ambienti medievali eranocostruiti sugli interri che ne coprivanoi resti murari: è inoltre in questa parteche si addensano i circa 30 pozzimedievali da noi ritrovati nei saggi discavo che hanno accompagnato il con-trollo dell’umidità dei muri di fonda-zione della villa. Il numero dei pozzista ad indicare che ogni unità delle abi-tazioni (obliterate durante gli scavidegli anni ’50) ne era dotata di uno, alcontrario del settore dell’insediamentoda noi scoperto a sud della villa inoccasione dell’intervento POR –prece-dente agli attuali restauri-, dove inveceessi mancano. I pozzi hanno restituito un abbondan-tissimo materiale ceramico prevalente-mente di X-XI secolo, oltre a scheletridi cavallo e umani.Si deve nuovamente sottolineare lapresenza di una rocca e/o nucleopalaziale, con pavimento in mattoni,riconoscibile negli spessi muri anordest dell’abside della Basilica, dicui erano riutilizzati i contrafforticome parte della muratura esterna.

NOTE BIBLIOGRAFICHE

1 C. Sfameni, L’insediamento medievale sulla villa del Casale: vecchi scavi,nuove considerazioni, in P.Pensabene, C.Bonanno, (a cura di),L’insediamento medievale sulla Villa del Casale di Piazza Armerina,Martina Franca 2008, pp 95-107.2 S. Musco, Intervento nell’area sud-ovest del suburbio di Roma in BCom,89, 1984, p.99, fig.42, dove è stato riconosciuto nella pars rustica unmagazzino di ampie dimensioni con numerosi pithoi ricostruibile a perime-tro rettangolare e con due file di pilastri (restano quelli iniziali) a dividerloin tre navate; a sud di questo, separati tramite una corte basolata (con baso-li di reimpiego) da altri ambienti più piccoli (nn.I, III, IV, V, VI, VIII, IX)destinati a magazzini per attrezzi agricoli, per derrate alimentari e forse stal-le; nell’ambiente V sul pavimento costituito da un battuto di terriccio eframmenti di cappellaccio vi è una serie di fori per i sostegni del tetto3 G. Lugli, Contributo alla storia edilizia della villa romana di PiazzaArmerina, in R.I.A., 19634 E. De Miro, in AA.VV., La Villa Romana del Casale di Piazza Armerina,Cronache d’Archeologia 19845A. Ricci, in Carandini Ricci, De Vos, Filosofiana. La Villa di PiazzaArmerina, Palermo 1982, pp.376-377; Sfameni, in Pensabene Bonanno,2008, pp.96-97.6 Leonzio, Vita di San Gregorio Agrigentino, PG 98, col.649 58-59; cfr. A.Ragona Il proprietario della villa romana di Piazza Armerina, Caltagirone1962, p.23.7 L.Cracco Ruggini La Sicilia tra Roma e Bisanzio, in AA.VV., Storia dellaSicilia, 3, Napoli, 1980, pp.66,85; Sfameni, in Pensabene Bonanno 2008,p.97.8 Sembrerebbe che al momento dello scavo il muro di fondo dei tre ambien-ti suddetti si conservasse soltanto tra cm 20 e 60 e, in quanto l’unico ricono-sciuto, sia stato ripreso per un’altezza di poco inferiore ai due metri: Lugli1963.9 Pensabene, in Pensabene Bonanno 2008, pp. 14, 21,22, figg.1, 10.10 L’angolo sud ovest della villa è costituito dall’estremità sud del muro chelimita a est il piazzale antistante l’arco d’ingresso e dal tratto di muro appar-tenente al lato sud del recinto che doveva circondare tutta la villa.11 De Miro E., 1984, p. 6112 Soprattutto la zona orientale (eccetto il settore est e l’abside della basili-ca), meno la zona occidentale dove le terme e alcuni ambienti tardo antichierano stati rioccupati al livello o poco sopra quello tardoantico: su un esamedegli ambienti della villa riutilizzati nell’abitato medievale v. Sfameni, inPensabene, Bonanno 2008, p.99 (negli ambienti 10, 13-13-15, 17, 18, 20, 23materiali arabo- normanni sono stati rinvenuti direttamente a contatto con ipavimenti, insieme a materiali tardoantichi; nell’ambiente 13 il mosaico èstato tagliato per inserire una fornace, nel 17 il mosaico è stato sostituito daun pavimento in pietre irregolari, mentre il 18 è stato diviso in due da unmuro poggiante direttamente sul mosaico; altri ambienti sono stati riulizza-ti solo creando un pavimento sopraelevato.

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Le indagini diagnostiche, avviate sindal 2003, sono state effettuate in unaprima fase nell’area delle terme dellaVilla ed, in particolare, nelle zonedenominate:

Preafurnia;Calidaria;Tepidarium;Sala delle riunioni;Frigidarium;Palestra.

Nelle zone su indicate sono state prele-vate, carote stratigrafiche costituitedalle malte di preparazione e dallemalte di allattamento delle tesseremusive. Sono stati, inoltre, campionatile efflorescenze saline giacenti sulletessere musive e sugli intonaci dellepareti, i residui dei fanghi dei condottidi deflusso delle acque e le acque difalda, ricadenti nella zona interessatadalla Villa.Le indagini eseguite sui campionihanno evidenziato che il degrado chi-mico di tutti i materiali costitutivi è daaddebitare alla diffusa solfatazione,come rilevata dalla diffrattometriaXRD, eseguita sui cristalli delle efflo-rescenze saline, e dalla cromatografiaionica, effettuata sugli estratti acquosidelle malte e sui campioni di acqua difalda, responsabili della solfatazione(vedi tabella).I campionamenti sono stati eseguiti neiseguenti ambienti: il Calidarium, ilFrigidarium, la Sala di Tito e Cassio,la Palestra, il Portico e il Triclinio. Irisultati delle indagini condotte tramitela diffrattometria XRD, le osservazionial microscopio ottico in luce riflessa,al microscopio polarizzatore in lucetrasmessa su sezioni sottili e al micro-scopio a scansione elettronica (SEM)con microsonda EDS, offrono spuntidi riflessione sulle eventuali erratemetodologie di intervento, di conser-vazione e di ordinaria manutenzioneattuate in passato e permettono, altresì,di programmare uno studio sistematicodelle tecniche costruttive, dei materiali

e del loro stato di conservazione.Successivamente, nel periodoluglio/novembre 2005, le indaginisono state estese a tutte le aree dellaVilla, utilizzando tecniche di spettro-scopia XRF portatile, caratterizzazionedei sali solubili con cromatografiaionica ed elettrochimica, diffrattome-tria ai raggi X (XRD), spettrofotome-tria FTIR e spettrofotometria UV/VIS.Inoltre sono state effettuate analisi dicaratterizzazione dei principali ele-menti chimici costitutenti i pigmentidei dipinti murali, tramite spettrome-tria XRF portatile. Per tali indagini èstata scelta la “sala dell’eros”, rappre-sentativa di tutte le diverse cromie pre-senti nella villa.Dalle successive correlazioni ed inter-pretazioni spettrali è risultato che i pig-menti presenti sono caratterizzatiessenzialmente da terre gialle, rosse everdi in diverse tonalità a differenzadell’azzurro, anch’esso presente indiverse gradazioni, che è risultato

LA SOLFATAZIONE DIFFUSA

UNIFORMITÀ DI UN DEGRADO CHIMICOCosimo Di Stefano

essere costituito da rame, confermandoil dato bibliografico che associa il pig-mento al blu egizio (silicato di rame).Dato l’elevato contenuto dell’elemen-to calcio presente negli spettri XRF,appare chiaro, inoltre, che il legantedei pigmenti murali risulta essere deri-vato dal latte di calce. Dalle indagini chimiche effettuate suc-cessivamente in quasi tutte le areedella villa è emerso che esse presenta-no tutte la stessa tipologia di degradochimico sulle malte, sugli intonaci esulle tessere musive.E’ emerso, altresì, che nelle malte ori-ginarie e nelle malte cementizie suc-cessive sono presenti notevoli quantitàdi sali solubili con prevalenza di solfa-to sodico Na2SO4 anidro (Thenardite)e quantità minime di solfato di calcioCaSO4 (Gesso) evidenziati in tabella.Analisi sulle malte cementizie, prove-nienti dai precedenti restauri, hannoevidenziato la presenza di prodotti didegrado da attacco solfatico (Ettringite

Alterazioni cromatiche ed efflorescenze salineDegrado delle tessere da solfatazione

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ANIONI E CATIONI CAROTATURA

(gr/Kg)

EFFLORESCENZE

SALINE (gr/Kg)

FANGHI

(gr/Kg)

ACQUA DI FALDA

(gr/Kg)

FLUORURI

CLORURI

NITRITI

NITRATI

SOLFATI

SODIO

AMMONIO

POTASSIO

MAGNESIO

CALCIO

0,08

1,27

0,13

0,032

1,1

1

0,47

1,66

0,35

9,06

0,04

3,33

===

0,52

163,79

67,28

0,51

1,2

0,325

10,34

0,05

1,96

===

0,33

9,46

1,26

0,95

0,68

0,48

12,1

===

66,97

===

2,47

176,49

49,26

===

10,07

24,92

110,14

Tabella: Caratterizzazione chimica dei sali solubili tramite cromatografia ionica

Perdite di cromie causata dalla solfatazione.

e/o Taumasite).Dai ripetuti esami di campioni diacque di falda, insistenti nel sottosuolodell’area del sito, è stata confermatal’abbondante presenza di ione solfato. I dissesti idrogeologici, con la conse-guente inefficienza dei condotti deideflussi delle acquee, hanno originatouna consistente risalita capillare, favo-rendo il contatto chimico tra le acqueedi falda solfatate e le strutture architet-toniche, gli apparati musivi e decorati-vi della Villa. Quanto rilevato è statoulteriormente aggravato dalla inidoneacopertura capace di generare stressanticondizioni microclimatiche, trasfor-mando il degrado chimico in fisico. Le indagini del Laboratorio di chimi-ca, inoltre, hanno riguardato i materia-li costitutivi della pavimentazionemusiva, consentendo la lettura strati-grafica necessaria alla individuazionedelle tecniche costruttive. Ciò ha per-messo di inquadrare i meccanismi didegrado solfatico che hanno causato ifenomeni più volte riscontrati, ovvero irigonfiamenti localizzati del rivesti-mento pavimentale con distacco di tes-sere (vulcanelli) ed esfoliazioni dellestesse come effetto dell’azione delleefflorescenze saline, nonché della dif-fusa formazione di patine bianchesuperficiali

Misura XRF portatile sul pigmento azzurro. Alterazione chimico fisica dei dipinti murali da umi-dità di risalita capillare

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IERALGHE E CIANOBATTERI

PREVENZIONE E CONTROLLO DEI MICRORGANISMI FOTOSINTETICIGiovanna Miceli

Patina sotto la tessera. Prima del trattamento.Dopo il trattamento con Biotin T.

Nel quadro degli interventi effettuati nelcantiere di restauro dei mosaici dellaVilla del Casale si inserisce la ricercacondotta dal Laboratorio di IndaginiMicrobiologiche del CRPR finalizzataalla definizione delle metodologie piùidonee per la prevenzione ed il controllodei microrganismi fotosintetici (ciano-batteri ed alghe).I fenomeni di degrado che questimicrorganismi hanno determinato sulpavimento musivo sono stati innescatidalle condizioni ambientali esistentiall’interno della Villa, in particolare dal-l’elevata umidità che rappresenta laprincipale causa di sviluppo microbico.Cianobatteri ed alghe sono i primi colo-nizzatori della pietra poiché necessitanosolo di luce, acqua e pochi compostiinorganici. Sono in grado di colonizzarei materiali lapidei esposti in ambientiesterni ed interni e la maggior parte diessi è incapace di crescere in assenza diluce. Alcune specie di cianobatteri tutta-via sono in grado di svilupparsi convalori di illuminamento molto bassi oaddirittura in assenza di luce. A tal pro-posito va riferito che sotto il pavimentomusivo sono state evidenziate patine dicianobatteri con una colorazione verdemolto intensa. Questa fenomenologia didegrado si è riscontrata anche dopo iltrattamento di disinfezione, e le analisihanno evidenziato una particolare resi-stenza dei cianobatteri al disinfettanteutilizzato anche dopo più applicazioni diimpacchi.La ricerca si è basata su una sperimenta-zione in situ e in laboratorio in cui sonostati analizzati campioni trattati con iprodotti biocidi utilizzati nell’interventodi restauro (Preventol R80 e Biotin Tsoltanto in alcune zone).In fase preliminare è stata eseguita l’os-servazione diretta, sulle aree trattate,delle modificazioni macroscopiche dellepatine, quindi sono state effettuate altreanalisi quali l’osservazione dei campio-ni al microscopio a fluorescenza e ladeterminazione della quantità di adeno-sintrifosfato (ATP) cellulare residuo.I risultati hanno dimostrato che, dopo

l’applicazione del biocida, la patina pre-sente sotto le tessere musive non era statadanneggiata, infatti appariva di coloreverde intenso. Questi risultati sono con-gruenti con quanto osservato in fluore-scenza, in quanto il prodotto sembra nonagire con grande efficacia sulle celluledei cianobatteri, che non perdono la fluo-rescenza rossa tipica delle cellule ancoravive e attive. Inoltre anche i valori diATP hanno evidenziato presenza di atti-vità microbica nei campioni esaminati.Nel corso del cantiere di restauro sonostati eseguiti diversi sopralluoghi e ulte-riori controlli. In laboratorio sono statiinoltre operati altri test applicando adimpacco, sotto una tessera, il Biotin T inalcool etilico al 2%. Dopo l’applicazio-ne del prodotto, trascorso il tempo diazione, si è osservato che la patina sub-iva una variazione drastica del colore,infatti da verde intenso assumeva unacolorazione bruna e la fluorescenzaappariva di un rosso attenuato.Le indagini svolte hanno consentito distabilire che i test operati in laboratoriosono più efficaci, questo molto probabil-mente perché in situ il trattamento sottole tessere musive risulta difficile. Inoltrebisogna sottolineare che le condizioniambientali durante l’intervento di disin-fezione continuavano ad essere favore-voli allo sviluppo microbico.Alla luce di quanto è emerso durantel’intervento conservativo e sulla basedei risultati delle indagini è possibileaffermare che la colonizzazione di cia-nobatteri presente sotto le tessere potràessere controllata allorquando sarà limi-tata la presenza dell’acqua all’internodella Villa. Questo si attuerà con la rea-lizzazione della copertura e degliimpianti per la canalizzazione e lo smal-timento delle acque meteoriche.E’ necessario comunque sottolineareche, se le condizioni ambientali doves-sero continuare ad essere favorevoli allacolonizzazione biologica, potrà essereeffettuato un trattamento di disinfezionenella fase finale dell’intervento direstauro ed eventualmente si potrannoprevedere applicazioni periodiche di

biocidi ripetute a intervalli opportuna-mente stabiliti.Infine è fondamentale condurre il moni-toraggio dello stato di conservazionedelle superfici musive che consentirà disegnalare l’eventuale necessità di unamanutenzione e permetterà di valutarela durabilità del trattamento.

BibliografiaM. Bartolini, S. Ricci, Rilascio dipigmenti fotosintetici da bioce-nosi epilitiche trattate con bioci-di, in “Kermes”, a. XVII,56Ottobre/Dicembre 2004.G. Caneva, M.P. Nugari, D. Pinna,O. Salvadori, Il controllo deldegrado biologico, Firenze 1996.G. Caneva, M.P. Nugari, O.Salvadori, La Biologia Vegetaleper i Beni Culturali, I,Biodeterioramento e Conser-vazione, Firenze 2005.M. Tretriach et al., Efficacy ofbiocide tested on selected lichensand its effects on their substrata,in “International Biodeterio-ration & Biodegradation”, 59,2007, pp. 44-54.

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TESSERE, MUSCHI E LICHENICOLONIZZAZIONE LICHENICA E MUSCINALE DEI MOSAICIPAVIMENTALI E VALUTAZIONE EFFICACIA DEI BIOCIDIRosa Not, Eloisa Guarneri, Enza Anna Passerini

PREMESSALe indagini biologiche condotte negliultimi anni dal Laboratorio del CRPRsui mosaici della Villa avevano riguar-dato principalmente l’area delleTerme, individuata come area campio-ne e comprendente ambienti sia interniche esterni. Tali indagini si riferivanoessenzialmente alla caratterizzazionedella florula lichenica, dominante suipavimenti musivi all’aperto, ed inminor misura delle fanerogame e brio-fite. Dai risultati era emerso che le spe-cie dirette colonizzatrici dei pavimentimusivi studiati erano: Aspicilia calca-rea (L.) Mudd, Caloplaca aurantia(Pers.) Hellbome e Verrucaria nigre-scens Pers. Le stesse, tuttavia, eranostate ritrovate anche sui substrati artifi-ciali (Not 2004). I muschi, invece,afferivano principalmente al genereTortula.Nell’ ambito dei lavori di restauroavviati nel 2007 ed attualmente incorso, il personale del laboratorio hacondotto un’altra campagna d’ indagini,questa volta estesa a tutti gli ambientidella Villa, al fine di fornire ulterioriconoscenze sul degrado biologico deimosaici e, contestualmente, di verifica-re l’efficacia del trattamento biocidaattraverso osservazioni in campo, pre-lievi e test della fluorescenza. Inoltre,sono state date anche indicazioni per ildiserbo delle piante superiori. Nel presente contributo si riferisconopertanto i risultati relativi alle indagi-ni effettuate.

MATERIALI E METODIL’osservazione macroscopica in situ ele analisi di laboratorio, corredate daun’ampia documentazione fotografica,hanno consentito la determinazione deitaxa più rappresentativi; le colonizza-zioni licheniche sono state osservatepreliminarmente in situ con lente dacampo e, successivamente, campiona-te con bisturi e conservate in appositeprovette codificate. I muschi sono statiprelevati e conservati in bustine di

carta. In laboratorio, talli lichenici ecuscinetti muscinali sono stati osserva-ti e studiati al microscopio ottico e ste-reoscopico, pervenendo con l’ausiliodi specifiche chiavi analitiche alladeterminazione delle specie; in parti-colare per i licheni ci si è avvalsi del-l’opera di Ozendà e Clauzade (1970),per i muschi di Cortini Pedrotti (2006).Infine, attraverso il test della fluore-scenza è stata verificata l’efficacia delbiocida applicato sui licheni.

RISULTATI E CONSIDERAZIONIDalle analisi condotte è risultato diparticolare interesse osservare la cre-scita di alcune specie licheniche sulletessere e di altre, invece, fra le tesseresulla malta. In totale sono stati deter-minati 23 taxa di cui 18 licheni e 5muschi (v. elenco); in particolare,Caloplaca teicholyta (Ach.) Steiner ècresciuta esclusivamente fra le tesseredel pavimento musivo del portico poli-gonale. Si tratta di un lichene nitrofilo,molto comune, cresce sui calcari e sututti i substrati artificiali ed è partico-larmente frequente in ambiente urba-nizzato. Sempre negli interstizi fra letessere sono stati ritrovati Toninia aro-matica (Sm.) Massal. e Candelariellaaurella (Hoffm.) Zahlbr che cresconocomunemente sulle rocce calcareearricchite di nutrienti, sulla malta e suimattoni, in generale in zone urbane,piuttosto raramente in quelle rurali,(Dobson 1992).Per quanto riguarda, invece, le speciedirette colonizzatrici delle tessere, alletre precedentemente ritrovate e citatein premessa, va aggiunta Caloplacaerythrocarpa (Pers.) Zw. anch’essacomunemente presente su diversi tipidi roccia calcarea, su superfici pocoeutrofizzate e spesso associata adAspicilia calcarea (L.) Mudd dellaquale è parassita, (Nimis, Pinna,Salvadori 1992). Tranne Xanthoriaparietina, Physcia sp. (Schreber)Michx. e Protoparmelia (cfr. badia,Hoffm.), licheni fogliosi ritrovati sulle

colonne del giardino del Peristilio qua-drangolare, per il resto le forme rinve-nute sono di tipo crostoso - epilitiche.I muschi, invece, sono cresciuti esclu-sivamente fra le tessere, in terra, inzone molto umide in corrispondenza dipercolazioni di acqua piovana.

MONITORAGGIO DELL’ INTER-VENTO DI DISINFESTAZIONE I trattamenti di disinfestazione suilicheni, presenti quasi esclusivamentesui mosaici pavimentali esterni, inminor misura negli ambienti semi con-finati, sono stati eseguiti con PreventolR80, la cui percentuale si è resa a volteanche necessaria al 4%, applicato apennello, con nebulizzatore a bassapressione e, in alcuni casi, ad impacco,secondo un calendario di interventicompreso tra marzo e maggio.

ELENCO SPECIE CENSITE

LicheniAspicilia calcarea (L.) MuddCaloplaca aurantia (Pers.) HellbomC. erythrocarpa (Pers.) Zw.C. flavovirescens (Wulfen) DT. &SarnthC. teicholyta (Ach.) SteinerCandelariella aurella (Hoffm.) Zahlbr.C. medians (Nyl.) A.L.Sm.Diploschistes interpedians (Norm.)Lecania turicensis (Hepp) Mull. Arg.Lecanora muralis (Schreb.) Rabenh.Physcia sp. (Schreber) Michx.Protoparmelia cfr. badia (Hoffm.)Rinodina subglaucescens ( Ach.)Rinodina tunicata (Ach.)Rinodina sp. ( Ach.) S.F.GrayToninia aromatica (Sm.) Massal.Verrucaria nigrescens Pers.Xanthoria parietina ( L.) Th. Fr.

MuschiBryum capillare HedwGymnostomum calcareum NeesTortula muralis Hedw.T. marginata Hedw.T. subulata Hedw

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Il trattamento di disinfestazione èstato monitorato attraverso osserva-zioni in campo e prelievi di campionidi licheni, trattati e non trattati, al finedi valutare l’efficacia del biocida che,agendo a livello cellulare sul processodella fotosintesi clorofilliana, bloccatale attività e, conseguentemente,determina la devitalizzazione degliorganismi. Preparati di sezioni sottili di talli diCaloplaca aurantia, Aspicilia calca-rea e C. erytrocarpa, sui quali eranostati eseguiti n. 4 trattamenti conPreventol, sono stati osservati almicroscopio a fluorescenza. Il testdella fluorescenza, che si basa sullacapacità della clorofilla contenutanelle cellule algali del lichene di fluo-rescere ad una determinata lunghezzad’onda (450 – 490 nm), ha rivelato

che le alghe dei licheni trattati mostra-vano una fluorescenza rossa, cioè unaforte vitalità e, dunque, una resistenzaal biocida (Caneva, 2005). Pertanto siè ritenuto opportuno procedere conaltre applicazioni fino alla perditatotale della fluorescenza algale. Aquel punto sono state effettuate le ope-razioni di spazzolatura, rimozione elavaggi con acqua deionizzata; inoltre,a scopo preventivo, è stato proposto diinoculare il biocida anche nelle risigil-lature del mosaico aggiungendolo all’acqua di scioglimento del legante.Infine, per le piante superiori, presentinelle lacune, in terra e fra le sconnes-sione delle mura perimetrali, è statoutilizzato un erbicida di traslocazionea base di glyphosate, al 2-3 %, appli-cato a spruzzo sulla biomassa foglia-re (Caneva 2005).

SPERIMENTAZIONE CON BIOCIDIIl monitoraggio prosegue ancora,infatti, a più di un anno dagli interven-ti di disinfestazione sui mosaici pavi-mentali della Villa, è stata avviata unasperimentazione in campo (con la col-laborazione del CTS che ha fornito iprodotti testati) finalizzata al monito-raggio post - emergenza del controllodella microflora lichenica. Si tratta diuno studio comparativo fra cinque bio-cidi al fine di individuare quale deiprodotti testati rallenti maggiormente,nel tempo, la ricrescita di questi orga-nismi. L’area scelta è stata quella deimosaici pavimentali del Portico poli-gonale, all’aperto, precedentementericoperta da una ricca colonizzazionelichenica. Su questi mosaici sono statieseguiti 5 tasselli 20 x 20 riquadraticon scotch, contrassegnati dalle lettere

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GLI AUTORI di questo numero

Maria Elena Alfano,Adalgisa Aloisi,Giuseppe Barbera,Maurizio Bombace,Ermanno Cacciatore,Chiara Caldarella,Lucia Carruba,Antonio CasanoGiacomo Cinà,Roberta Civiletto,Stefano Colazza,Caterina Dessy,Cosimo Di Stefano,Maria Luisa FamàTeresa Ferlisi,Eloisa Guarneri,Donatella Gueli,Osama Hamdan,Daniela La MattinaLorenzo Lazzarini,Alessandra LongoProvvidenza Lupo,Rosaria MerlinoGiovanna Miceli,Rosa Not,Franco Palla,Enza Anna Passerini,Carlo PastenaLorella Pellegrino,Patrizio PensabeneFernanda Prestileo,Francesca PulizziAlessandro Rizzi,Antonino Vitelli

dell’alfabeto A-E, ciascuna corrispon-dente ad un biocida. Modalità di appli-cazione è stata a pennello. Fra i bioci-di saggiati, quali Biotin T, Biotin R,New Des 50, Bioestel e TrigeneAdvance, quest’ultimo è un nanobioci-da, già testato, che ha dato buoni risul-tati per l’eliminazione di microorgani-smi; non è ad oggi, invece, disponibileletteratura circa la sua attività nei con-fronti dei licheni. Le nanoparticelle, inquanto vettori di principi attivi, rila-sciano il prodotto nelle microcavità,fessure o fenditure delle superfici dure,e migliorano l’efficacia dell’azionebiocida. Pertanto, i nanobiocidi, e piùin generale le nanotecnologie, rappre-sentano il futuro nel settore del restau-ro. Il monitoraggio, che avrà la duratadi un anno, potrà offrire utili indicazio-ni nella scelta del prodotto che, even-tualmente, andrà applicato, a scopopreventivo e nell’ambito di una manu-tenzione programmata, a tutti i mosai-ci pavimentali esterni.

BIBLIOGRAFIA

Dobson 1992F. S. Dobson, An illustrated guide to the British and Irish species.Richmond 1992.Caneva et al. 2005G. Caneva, M. P. Nugari, O. Salvadori, La Biologia vegetale per i BeniCulturali, I Biodeterioramento e conservazione, Firenze 2005.Cortini Pedrotti 2006C. Cortini Pedrotti, Flora dei Muschi d’Italia, Roma 2006.Nimis et al. 1992P.L. Nimis, D. Pinna, O. Salvadori, Licheni e Conservazione dei Monumenti,Bologna 1992.Not 2004R. Not, Le indagini scientifiche su alcuni mosaici pavimentali siciliani.Proposta di una metodologia di studio propedeutico all’ intervento di restau-ro, in Atti del I Convegno Internazionale di studi, La Materia e i Segni dellastoria. Apparati musivi antichi nell’area del mediterraneo (Piazza Armerina,9-13 aprile 2003), I Quaderni di Palazzo Montalbo 4, Palermo 2004.

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MINIERE STORICHE INSICILIA: SVILUPPI DEL-L’ATTIVITÀ DI RICERCA.MAPPATURA GEOREFE-RENZIATA PER LA CO-STRUZIONE DELLA CAR-TOGRAFIA TEMATICA

Concretamente attivata nel-l’aprile scorso, la conven-zione tra il CRPR ed ilCorpo Regionale delleMiniere del DipartimentoIndustria e Miniere. L’attod’intesa, stipulato nell’ambi-to della ricerca scientificasul patrimonio storico-mine-rario siciliano, riguarda losvolgimento di un program-ma di lavoro volto al com-pleto censimento delleminiere dismesse nel territo-rio regionale, all’accerta-mento dello stato giuridico-amministrativo e di conser-vazione dei vecchi siti diproduzione, allo sviluppo diazioni congiunte, volte allariqualificazione e valorizza-zione degli impianti d’inte-resse archeologico-indu-striale. I primi dati sono stati acqui-siti attraverso la consultazio-ne di inventari, registri stori-ci, decreti ministeriali relati-vi a concessioni e trasferi-menti di miniere cave e tor-biere alla Regione Siciliana.Tale attività ha restituitoimportanti informazionisoprattutto sulla distribuzio-ne delle antiche zolfare esulle condizioni di tuteladiscendenti da decreti ema-nati dall’Assessorato Regio-nale BB.CC.AA.. Altroaspetto della ricerca hariguardato la ricognizionedell’iconografia storica disettore che, effettuata pressogli archivi fotografici diIstituzioni pubbliche o diEnti privati, ha già consenti-

bibliografiche, oltre ad esse-re state sottoposte alle pro-cedure di catalogazioneinformatizzata tradizionale,sia descrittiva che semanti-ca, secondo standard nazio-nali ed internazionali, sonostate anche “tematizzate”.Quest’ultima procedura,innovativa e sperimentale,ha avuto come obiettivoquello di creare un nuovotipo di accesso semantico alcatalogo mediante un lin-guaggio di indicizzazionenaturale, avvalendosi diespressioni in uso e condivi-se nella comunità scientificadel settore della conserva-zione e del restauro delpatrimonio culturale, senzaquindi doversi piegare alrispetto dei rigidi canoni delsoggettario di Firenze, limi-tato ed insufficiente adesprimere taluni concettimoderni, i neologismi di set-tore, le categorie di pensierodegli addetti ai lavori, cioè lepresumibili forme in cui laricerca in un catalogo spe-cialistico si può concretizza-re. Parallelamente al lavoro dicatalogazione, è stata effet-tuata la digitalizzazionedelle parti identificative diciascun volume: copertina,quarta di copertina, secondae terza di copertina, serecanti informazioni utili,frontespizio, abstract, ovepresenti nelle pagine internedel volume, e indice. Il cata-logo consente di effettuare laricerca bibliografica tramitei parametri: Titolo/Parola dititolo; Autore/Contributi eanche Tema/Sottotema. Irisultati della ricerca sonostampabili. L'obiettivo èstato quello di fornire agliutenti del web, oltre ai daticatalografici, anche degli

to il rinvenimento di prezio-si documenti fotografici,molti dei quali inediti. I risultati ottenuti hannonotevolmente arricchito diinformazioni la banca dati,strutturata e curata dall’Uni-tà operativa per la Gestionedi problematiche geologicheconnesse alla conservazionedel patrimonio monumentaledella cavità ad uso antropicodel CRPR. Prossimo obietti-vo sarà quello di procederealla mappatura georeferen-ziata di tutti i gruppi minera-ri riscontrati nelle provincedi Enna, Caltanissetta,Agrigento, per la costruzio-ne di cartografia tematicache rappresenti, con comple-tezza, l’effettiva consistenzadel patrimonio storico-mine-rario della Sicilia.

Donatella Gueli

LA BIBLIOTECA TEMA-TICA DI CARTA DELRISCHIO. UN NUOVOTIPO DI ACCESSO SE-MANTICO AL CATALO-GO MEDIANTE UN LIN-GUAGGIO DI INDICIZZA-ZIONE NATURALE

La Biblioteca specializzata el' Unità Operativa per i benipaesistici, naturali, naturali-stici, architettonici ed urba-nistici e della Carta delRischio del CRPR hannorealizzato la BibliotecaTematica di Carta delRischio, nell'ambito delfinanziamento europeoP.O.R. Sicilia 2000/2006Asse II-Misura 2.02 AzioneB. I volumi, per complessive1060 unità, sono stati sele-zionati ed acquisiti in base acriteri di specificità ed atti-nenza agli argomenti ogget-to di ricerca ed attività dellaCarta del Rischio. Le unità

strumenti in più per valutarea distanza l'interesse e lapertinenza del testo alloscopo della propria ricerca.La possibilità di potere vir-tualmente prendere in manoil libro, scorrerne l'indice,cogliere la sintesi dell'ab-stract può fornire qualchedato in più per una valuta-zione esauriente del testo.Per accedere alla BibliotecaTematica di Carta delRischio ci si può collegareall' URL: HYPERLINK"http: / /www.cartadelr i -schio.sicilia.it/biblioteca"http://www.cartadelrischio.sicilia.it/biblioteca HYPER-LINK "http://www.cartadel-rischio.sicilia.it/biblioteca/".

G. Aloisi – T. Ferlisi

SEMINARIO SU TECNO-LOGIE DI GESTIONE EFRUIZIONE DI DATIGEOGRAFICI E GEOSPA-ZIALI PER LE APPLICA-ZIONI PER L'AMBIENTEE IL TERRITORIO

L’esigenza di rendere intelli-gibile e immediatamente uti-lizzabile una enorme moledi dati georeferenziati delpatrimonio monumentale,archeologico, ambientale epaesaggistico della Sicilia,frutto di una moltitudine diprogetti di catalogazione eschedatura dei Beni Cul-turali susseguitisi da ventianni a questa parte, rendealtresì impellente l’aperturadella Regione Siciliana atecnologie avanzate in gradodi aggiungere una nuovadimensione a questo patri-monio di conoscenze. Inquesta prospettiva, grandesuccesso di pubblico ha regi-strato l’evento del 29 set-tembre 2009, ospitato dalCentro Regionale Proget-

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tazione e Restauro, aventeper oggetto un seminariosulle applicazioni delle tec-nologie geospaziali per ilmonitoraggio e la gestionedegli incendi e delle emer-genze alluvionali e per l’uti-lizzo dei database topografi-ci. La manifestazione itine-rante, promossa da PlanetekItalia su scala nazionale, haavuto Palermo come tappainiziale e si concluderà aMilano il 2 Ottobre. Di grandeinteresse sono apparse leapplicazioni, implementatenel software Erdas, per il rile-vamento, praticamente intempo reale, delle coperture inamianto attraverso l’interpre-tazione di immagini satellitarimultispettrali e l’utilizzo dellestesse per l’aggiornamentodella cartografia a grandescala. L’evento, che trovaancor più significatività seinquadrato in una moltitudinedi iniziative e progetti recente-mente promossi dal Centroproprio nel settore dello stu-dio, protezione e prevenzionedel patrimonio dei Beni cultu-rali ed ambientali, ha eviden-ziato l’enorme salto tecnolo-gico a servizio del controllodel territorio ponendo l’accen-to sulle enormi possibilità digestione e utilizzo integratodelle informazioni territorialiprovenienti da sorgenti, sem-pre più accurate, di acquisi-zione di immagini della crostaterrestre. A partire da satellitiper l’osservazione dell’atmo-sfera sino a sensori ad elevatarisoluzione in grado di moni-torare il più piccolo cambia-mento del tessuto urbanistico,in qualsiasi parte della Terra,enormi sono le potenzialità diricognizione soprattutto inuna prospettiva di prevenzio-ne e protezione del nostropatrimonio culturale ed

ambientale dalle catastrofinaturali o da interventi antro-pici. L’opportunità, adesso acosti ragionevolmente bassi,di dotarsi di una infrastrutturainformatica in grado di gestireenormi quantità di dati temati-ci georeferenziati diventa ele-mento fondamentale non soloper una condivisione in temporeale, da e verso strutture dicontrollo (Protezione civile,unità di crisi, università, popo-lazione locale, etc..), degli“oggetti” del territorio in tra-sformazione ma offre spuntidi ricerca e implementazionedifficilmente ottenibili conaltri metodi.

Maurizio Bombace

SIMULACRI DA VESTI-RE. UN PATRIMONIOSICILIANO SCONOSCIU-TO – RECUPERO E CEN-SIMENTO DELLA TRA-DIZIONE DEVOZIONALEPOPOLARE

Presentato dall'unità per ibeni storico-artistici, icono-grafici ed etnoantropologici,il progetto si propone diavviare nella prima fase unostudio analitico sulle statuedi Madonne vestite, attraver-so un censimento di rileva-mento a livello regionale,con l'obiettivo di diffondernela conoscenza, favorirne lavalorizzazione, impedirne lascomparsa totale e recupera-re al contempo la tradizionepluricentenaria di devozionepopolare legata ad esse.La definizione “Madonne davestire” si riferisce alla strut-tura dei simulacri vestiti, chepoteva essere o rozzamentescolpita, ad eccezione diviso, mani e piedi che invecevenivano rifiniti con cura, ocompletamente modellatacon arti pieghevoli per age-

volarne la vestizione o costi-tuita da un corpo impagliatoo integrato con legni, tessutie cartapesta sul quale eramontata la testa, oppure for-mata da un manichino com-pletamente articolato in tuttele sue parti con una mecca-nica raffinatissima. Di solitole Madonne hanno linea-menti popolari di una bel-lezza tutta terrena, non idea-lizzata, il cui accentuato rea-lismo è dato non solo dall’u-so degli abiti sgargianti, rea-lizzati con ricami e tessutipreziosi, a carattere profano,ma anche dalla cura dedicataall'espressività del viso otte-nuta attraverso il coloritodell’incarnato, il verismodegli occhi in pasta vitrea, lefluenti parrucche di capelliveri. Tale genere di statuariaè in genere destinata all'usoprocessionale, perciò tra imaggiori committenti figu-rano le Confraternite, cheancora oggi fanno realizzarei simulacri soprattutto perfini processionali ed infatti ilmodello più diffuso è la sta-tua dell’Addolorata, chesfila come protagonistaassoluta nella processionedel Venerdì Santo. La critica d'arte fino a qual-che decennio addietro hacontribuito a screditare que-sto tipo di manufatto poli-materico, giudicandoloprivo di valore artistico eclassificandolo nell'ambitodel folclore popolare, sotto-valutando il crogiolo di atti-vità artistico-artigianali cheruotavano attorno alla crea-zione di tali simulacri: laqualità dei tessuti e dei rica-mi, la manifattura degliabiti, gli addobbi di merlettie passamanerie, i gioielli e,per finire, l'effige dei voltiintagliati talvolta anche da

artisti famosi.Il tema dei simulacri “davestire” investe, perciò,diversi ambiti di studio e pre-vede specifici approccimetodologici. Lo studiodella matericità dei simula-cri-manichini e dei loro cor-redi costituisce un immensocampo di ricerca, ma ancheun'occasione per allinearsialla tendenza, che in questiultimi anni hanno manifesta-to numerose ricerche condot-te su questo genere di statua-ria presente sul territorionazionale ed estero. In ambi-to nazionale, le testimonian-ze più considerevoli, reperitenegli inventari delle chiese,risalgono al XV secolo, ma,in numero rilevante sonostate trovate ampie docu-mentazioni nel Cinquecento,nel Seicento, nel Settecento,per tutto l’Ottocento e partedel Novecento. Sul territoriosiciliano questo tipo di ricer-ca archivistica non è ancorastata affrontata, se non percampionature esigue e perfinalità diverse.Il progetto prevede, quindi,in una prima fase la ricogni-zione dei beni esistenti inSicilia e degli eventualiinterventi effettuati nell'am-bito della conservazione edel restauro. Attraversoun’approfondita indagine sulcampo si porterà alla lucequanto resta di un patrimo-nio per lungo tempo assog-gettato a una sistematicadistruzione. Dopo il censi-mento occorrerà incrociare idati raccolti e metterli inrelazione con quelli prodottinel resto d'Italia, restituendoal fenomeno la sua dimen-sione nazionale e, successi-vamente, si avvieranno unaserie di interventi per favo-rire il recupero di una tradi-

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zione pluricentenaria arischio di estinzione. Va sottolineato che non è pos-sibile affrontare lo studio delpatrimonio ecclesiastico senon partendo dai lavori dischedatura, condotti dalleSoprintendenze e dagli ufficibeni culturali delle Curie conil coordinamento della CEI,che saranno completati e inte-grati attraverso le ricerchenegli archivi di Stato, delleCurie e delle Parrocchie.

Chiara Caldarella

PROGETTO DIAGNOSTI-CO PRELIMINARE SULROSTRO BRONZEO DIEPOCA ROMANA RIN-VENUTO IN LOCALITÀACQUALADRONI

A seguito dell’importanteritrovamento archeologiconello specchio di mare chefronteggia la località diAcqualadroni presso Mes-sina, il Laboratorio diChimica del Centro Regio-nale per la Progettazione e ilRestauro è stato chiamato, surichiesta della Soprin-tendenza del Mare per laSicilia, a condurre le analisipropedeutiche necessarie, alfine di elaborare il progettodiagnostico per il restauro delrostro bronzeo, arma strategi-ca di cui erano dotate le navida guerra di epoca romana. L'esame sistematico deglielementi costitutivi il manu-fatto e la relativa caratteriz-zazione consentiranno lavalutazione scientifica dellostato di conservazione delreperto e, quindi, la pianifi-cazione del conseguenteintervento di restauro e delprotocollo di manutenzione.La stesura del progetto dia-gnostico prevede l’esecuzio-ne di indagini di laboratorio

della Amministrazione regio-nale, esperti nel campo deiBeni culturali, in particolaredei beni mobili; le tematichetrattate sono state quelle rela-tive al ciclo vitale degli inset-ti xilofagi, principali biodete-riogeni dei manufatti di natu-ra organica, ai trattamenti didisinfestazione classici e alladisinfestazione in atmosferacontrollata e modificata conazoto, con dimostrazione pra-tica di quest'ultima. Il meto-do, basato sul principio dell'a-nossia, è assolutamente inno-cuo sia agli operatori che albene, e l'intervento può essererealizzato in situ. Si tratta diallestire con involucro plasti-co una bolla, di diversa gran-dezza a seconda degli oggettida trattare, all'interno dellaquale verrà sottratto ossigenoed immesso azoto. Il tratta-mento dura circa 21 gg.,durante i quali, all'internodella bolla, vengono conti-nuamente controllati i para-metri microclimatici, la quan-tità di ossigeno e di azoto.Trascorso il suddetto periodo,gli insetti in tutti i loro stadivitali risulteranno morti acausa della mancanza di ossi-geno. Presupposto imprescin-dibile per effettuare tale trat-tamento è che l'infestazionesia in atto.

Rosa Not

(2) INCONTRI TECNICI APALAZZO MONTALBO.NUOVI MATERIALI PERIL RESTAURO DI CAR-TA E TESSUTI

Lo scorso primo ottobre nelSalone delle Feste si è svoltoun incontro tecnico sul temarelativo all’aggiornamento suimateriali da utilizzare per ilrestauro della carta e dei tes-suti, organizzato in collabora-

sia sulla parte metallica siasulla componente lignea.Questa duplice composizio-ne materica diversifica ilrostro di Acqualadroni datutti gli altri precedentemen-te rinvenuti: caratteristicache richiederà un interventopiù complesso. Infatti per laprima volta si tenterà di sta-bilizzare due materiali con-viventi ma che non hannonessuna procedura conserva-tiva omologa. Allo scopo,per lo sviluppo del progettodiagnostico, s’è ritenutoopportuno coinvolgere im-portanti istituti di ricerca.Specificamente sono statiinteressati: l'Agenzia regio-nale per le Acque (ARPA), ilDipartimento di Chimica “F.Accascina” e il CentroGrandi apparecchiature UNINET Lab. dell'Università diPalermo, il Dipartimento ditecnologie, ingegneria,scienze dell'ambiente e delleforeste dell'Università dellaTuscia di Viterbo.

N. Vitelli / G. Cinà

(1) INCONTRI TECNICI APALAZZO MONTALBO.D I S I N F E S T A Z I O N EANOSSICA E ATMOSFE-RE CONTROLLATE

Il 30 settembre 2009 si è svol-to presso il CRPR un incontrotecnico sul tema disinfesta-zione anossica e atmosferecontrollate, promosso in col-laborazione con la CTS e laIsolcell. L'esigenza di realiz-zare questo incontro è nataallo scopo di fornire agli ope-ratori del settore una miglioree corretta conoscenza dellatecnica in questione, oltre chedella sua utilizzazione. Lagiornata ha visto un numero-so pubblico di tecnici erestauratori, sia privati che

zione con la CTS di AltavillaVicentina. L’importanza diconoscere e approfondirenuovi prodotti da utilizzarenel settore della conservazio-ne riveste un grande interesse,in special modo oggi, dove lascelta dei materiali si orientasempre più ad una riduzionedei rischi per le opere, per glioperatori e per l’ambiente.L’approfondimento hariguardato nello specifico: gliaddensanti, impiegati nellapreparazione dei gel acquosi,da utilizzare nelle operazionidi pulitura delle superfici diopere d’arte; i protettivi e/ofissativi, fra i quali il ciclodo-decano, da utilizzare in alter-nativa alle tradizionali resine,la cui principale caratteristicaè quella di sublimare (svanire)completamente non lasciandoalcun residuo da dover rimuo-vere; e infine sono stati pre-sentati dei nuovi polimeri peril consolidamento, comel’Aquazol, oggetto di speri-mentazione e di particolareinteresse per alcune qualitàcome, la termoplasticità, el’assenza di lucidità dellesuperfici trattate. In considerazione che ilbuon esito di un restauro èlegato anche all’uso miratoed equilibrato dei materiali,appare sempre più utile enecessario interloquire coni produttori del ramo, alfine di socializzare le speri-mentazioni effettuate, inne-scando così un processovirtuoso di interazione,mediante lo scambio dell’e-sperienza maturata daglioperatori del settore - inuno con la letteratura deiprotocolli di restauro con-solidati – utile allo sviluppodella ricerca per una mirataapplicazione dei materialisperimentati

Caterina Dessy

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RICERCHE &CONTRIBUTIRPUNTERUOLO ROSSO DELLE PALMEBIOLOGIA E MEZZI DI CONTROLLOStefano Colazza

Facoltà di Agraria - Università di Palermo

Il Punteruolo Rosso delle Palme, Rhyncophorus ferrugi-neaus, è un coleottero curculionide di origine asiatica,

giunto nel bacino del Mediterraneo nei primi anni ’90. InItalia, le prime segnalazioni risalgono alla metà del 2004.Durante questi 4-5 anni, l’insetto si è diffuso pressoché intutte le regioni italiane prospicienti il mare distruggendomigliaia di piante della specie Phoenix canariensis, la palmadelle Canarie. In questi anni si sono osservate infestazionianche a carico di altre specie di palme, ad esempioWashingtonia sp., P. dactyliphera, palma da dattero,Syargus romazoffiana, Jubaea chilensis e Livistona chinen-sis e Chamaerops humilis, palma nana del Mediterraneo, cherappresenta l’unica specie indigena per l’Italia.Gli adulti del Punteruolo sono di colore rosso-ferrugineo esono lunghi circa 31-33 mm e larghi circa 10 mm. Il capodell’insetto è caratterizzato dalla presenza del rostro, che neimaschi si presenta munito di una serie di fitte setole mentrenelle femmine si presenta glabro, più lungo ed arcuato. Lefemmine depongono le uova alla base delle foglie o dei gio-vani germogli, preferendo le zone affette da ferite o cicatri-ci. Il numero di uova che una femmina può deporre varia daalcune decine a svariate centinaia. Dopo 3-6 giorni le uova sischiudono e le giovani larve penetrano all’interno della pian-ta per dare inizio alla fase endofita con la formazione neltronco di gallerie e ampie cavità. Questo aspetto della biolo-gia rende molto difficile effettuare la diagnosi dell’attaccoprecocemente, fenomeno che è reso più evidente quando adessere colpite sono le palme delle Canarie. La pianta nonpresenta sintomi esterni evidenti della infestazione per mesi,in questo lasso di tempo si avvicendano più generazioni ecentinaia di larve hanno modo di svilupparsi a carico del tes-suto vegetale. Quando la sintomatologia dell’attacco appareevidente con le foglie apicali che si afflosciano su quelleinferiori, è spesso troppo tardi per poter intervenire efficace-mente.I mezzi disponibili per contenere le popolazioni di questoinsetto, che come abbiamo visto è per biologia e ruolo eco-logico di difficile controllo, hanno, sino ad ora, evidenziatoforse più i limiti che non le prospettive. Schematicamente imezzi per il controllo del Punteruolo Rosso delle Palme pos-sono essere raggruppati per comodità di esposizione in:legislativi, meccanici, biologici, biotecnici e chimici.Il mezzo legislativo, che, in ultima analisi, prevede il costan-te monitoraggio della diffusione del fitofago e la tempestivaeliminazione delle piante attaccate, è ragionevolmente il dis-positivo che meglio di tutti ha frenato e potrà frenare lo svi-luppo del Punteruolo rosso. Per il controllo delle infestazio-ni occorre fare riferimento alle “Disposizioni sulla lottaobbligatoria contro il Punteruolo Rosso delle palme R. ferru-gineaus” della GURI del 13.02.08 che recepiscono la deci-sione della Commissione 2007/365/CE. Le regioni italianeinteressate alle infestazioni del Punteruolo hanno emanato

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specifiche misure fitosanitarie; in particolare la RegioneCampania con il Decreto del 31.01.06 n. 33 e la RegioneSiciliana con il Decreto del 6.03.07 in forza al quale ilServizio Fitosanitario Regionale accerta e segnala l’ubica-zione delle palme infestate all’Azienda Foreste Demanialiche provvede all’abbattimento a alla distruzione delle palmecolpite seguendo adeguate procedure. Tuttavia, per zone in

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cui la presenza dell’insetto è segnalata da oltre 3 anni, ètempo di rivedere le disposizioni legislative e procedere adichiarare queste zone “zone di infestazione”. Negli ultimianni è stato messo a punto un metodo di risanamento dellepalme ai primi stadi di infestazione riadattando una tecnicacomunemente utilizzata nelle isole Canarie per l’estrazionedel guarapo, da cui si ricava il cosiddetto “miele di palma”.In pratica si tratta di asportare tutte le parti attaccate conl’ausilio di scalpelli ed altri attrezzi da potatura rimuovendonel contempo anche tutti gli insetti presenti. Questa tecnicadi dendrochirurgia è efficace solo quando i tessuti della pian-ta interessati dalla presenza del coleottero si trovano in unaposizione più alta rispetto alla gemma, condizione che puòessere verificata solo durante l’intervento. I costi onerosi diquesti interventi e il fatto che molte delle piante “risanate”attraverso questa tecnica siano state re-infestate rendonoquesto metodo poco pratico nell’applicazione su larga scala.Tuttavia esso può avere una certa rilevanza nel risanare quel-le palme dall’alto valore monumentale che si trovano inmolti parchi e giardini italiani. Riguardo alla possibilità diusare nemici naturali del Punteruolo Rosso delle Palme, non

sono stati ancora individuati nemici naturali specifici chepossano essere impiegati efficacemente. Infatti occasionaleo di scarso rilievo è l’attività di predatori e parassitoidi neiconfronti di R. ferrugineaus che si registra in campo. Tra imezzi di lotta biologica, i risultati più promettenti derivanodall’impiego di formulati insetticidi a base di nematodiappartenenti al genere Steirernema. I nematodi aggredisconoattivamente le larve e, in misura minore, gli adulti dell’inset-to nutrendosi e sviluppandosi internamente. Nel volgere dialcuni giorni l’insetto viene ucciso con la conseguente mortedel punteruolo portandole a morte. In laboratorio i risultatiosservati hanno registrato una mortalità prossima al 100%delle larve, in campo l’utilizzo di questi formulati ha deter-minato risultati meno buoni con una mortalità delle larveosservata che va dal 29% al 67%. L’importanza di questomezzo di lotta biologico non va comunque sottovalutata,anche in funzione del basso impatto ambientale derivantedall’utilizzo di questi formulati. Tra i mezzi biotecnici per ilcontrollo del Punteruolo si annovera il metodo della catturamassale. Questa tecnica prevede l’utilizzo di quantitativiconsistenti di trappole innescate con esche di natura chimica

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al fine di catturare il maggior numero possibile di adultidella specie da combattere. Le esche chimiche utilizzatenelle trappole adoperate per il Punteruolo Rosso delle Palmeattraggono l’insetto sia con stimoli sessuali (feromone diaggregazione, 4-metil-5 nonanolo) che alimentari (esteri chesi sviluppano dalle palme in fermentazione, come acetato opropinato di etile). Tale tecnica è stata recentemente utilizza-ta nel corso di uno studio del Dipartimento S.En.Fi.Mi.Zo.dell’Università di Palermo nel comune di Marsala (TP) conrisultati promettenti ed attualmente è stata ripetuta in scalapiù grande a Palermo. Nel capoluogo siciliano sono stateposte 500 trappole sparse in tutta la città, ognuna delle qualicattura una media di due individui al giorno. Al giorno d’og-gi questa biotecnologia entomologica si segnala tra le piùpromettenti nell’ambito del controllo del Punteruolo Rossodelle Palme. L’utilizzo di formulati insetticidi nei confrontidel Punteruolo Rosso delle Palme è oggi al centro di dibatti-ti all’interno della comunità scientifica a causa delle riper-cussioni che tale mezzo può avere negli ambienti urbani seapplicato senza i dovuti accorgimenti. Il Ministero dellaSalute ha autorizzato, per la prima volta nel febbraio 2008 esuccessivamente con una deroga nel giugno 2009, per moti-vi eccezionali, l’impiego di alcuni principi attivi. Tuttavia ilcontrollo e la prevenzione delle infestazioni del PunteruoloRosso delle Palme con mezzi chimici non è di facile attua-zione ed è importante che i trattamenti vengano effettuati dapersonale specializzato. Le difficoltà nella lotta chimica

derivano sia dal comportamento del coleottero, le cui larve sisviluppano ben protette all’interno della porzione apicaledelle palme, che dalla morfologia e fisiologia della palmastessa. Attualmente due sono i metodi di controllo chimicoprevalentemente utilizzati: endoterapia e aspersione. Essi sidifferenziano sia per i principi attivi somministrati che lemodalità di applicazione. L’endoterapia si avvale di insetti-cidi sistemici a base abamectina o imidacloprid. Questi prin-cipi attivi vengono applicati all’interno delle palme attraver-so delle “iniezioni” nel tronco. Se da un lato tale metodo hail vantaggio di avere un impatto ambientale relativamenteridotto, dall’altro spesso non ha mostrato un effetto tale dagarantire la completa mortalità dell’insetto e il conseguenterecupero della pianta infestata. Il metodo per “aspersione” siavvale di insetticidi di sintesi, come il chlorpyriphos, som-ministrati dall’esterno sulla chioma. Questa strategia sembradare qualche risultato positivo se usata in via preventiva.Tuttavia la necessità di reiterare i trattamenti per tutto ilperiodo di diffusione degli adulti e soprattutto gli elevatieffetti di inquinamento ambientale che comportano i tratta-menti rendono questo metodo poco sostenibile. In sintesi unaunica “soluzione” semplice ed economica per affrontare erisolvere i gravi problemi che hanno fatto seguito all’intro-duzione del Punteruolo Rosso delle Palme ancora non è statamessa a punto, pertanto la strada da percorrere è quella del-l’uso integrato dei mezzi disponibili, adattando la strategia divolta in volta a seconda del contesto in cui si opera.

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mentre, al di sopra di essi, s’innalza, a distanza irregolare,qualche palmizio e ondeggia con noncuranza un maestosociuffo africano”. Il paesaggio, per l’anarchico Elisee Reclus,delle “ville Belmonte e Pignatelli circondate da ameni giar-dini che sorridono…come dimore di fate. Fioriti gerani, allo-ri, palme, cedri si imboscano intorno alle aiuole tortuose”. Ilpaesaggio dove per il poeta russo Andrei Belyj, “le rigidepale della palma danzano…nel vento ballerino”.Il rilievo delle palme nelle città e nei giardini siciliani puòessere anche colto dal grande spazio che esse occupano nellecartoline postali della fine dell’Ottocento e degli inizi delNovecento e che di fatto sintetizzano il fascino della “vedu-ta”, spesso incorniciata dalla chioma elegante delle palmestesse. Alcune di queste foto ci rappresentano un “paesag-gio” ormai connaturato con le nostre città, ma che i gravidanni apportati dal punteruolo hanno compromesso. Forsenessuna parola o immagine può valere a testimoniare l’im-portanza delle palme nel paesaggio siciliano quanto quelledello zio del “Bell’Antonio” di Vitaliano Brancati che torna-to a Catania ,dopo aver vissuto a lungo a Parigi e Barcellonaesclama:“Come voglio bene a questa terra!...Che disgraziatorimanerne per vent’anni lontano!...Ecco qui la palma!...eccola palma con cui avrei cambiato tutti i giardini diVersaglia…”Che fare allora nei giardini storici, nelle piazze, nelle albera-ture stradali una volta che la gran parte delle palme delleCanarie saranno scomparse? Bisognerà ricordarsi che solodalla seconda metà del Ottocento (in Italia è presente dal1888) questa specie è diffusa nei nostri giardini e che moltealtre specie – nei giardini storici siciliani ne sono state rinve-nute ben 35 diverse- possono essere utilizzate al suo posto eche ad esse bisognerà rivolgersi se si vogliono restituire lestesse forme, le stesse strutture paesaggistiche oggi negatedal punteruolo. Naturalmente andranno evitate le specie chesi sono mostrate sensibili agli attacchi e comunque paesag-gisti e appassionati del verde dovranno ricorrere ad esse benconsci dei rischi che si corrono. Con molta prudenza, sullabase dei dati riportati dal rapporto su “La ricerca scientificasul punteruolo rosso e gli altri fitofaghi delle palme inSicilia” (a cura di S. Colazza, S. Longo, G. Filardo,Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana,2009) si dovrà ricorrere a Livistonia chinensis (1 caso segna-lato a Palermo), Sabal sp. (3 piante in piena terra colpite inun vivaio a Catania), Syagrus romnzoffiana (3 casi aCatania), Jubaea chilensis (1 caso a Catania), Howea forste-riana (2 casi a Giarre). Anche altre specie, prime tra tuttel’autoctona palma nana e la palma da datteri sono state col-pite, limitatamente ad alcuni esemplari, ma come rinunciaread esse? Va ricordato in ogni caso che l’abito vegetativo,cespuglioso per la presenza e l’emissione continua di nume-rosi polloni, della palma nana riduce fortemente la possibili-tà che la pianta venga uccisa dall’insetto e anche la sua appa-

Gli ultimi dati parlano di 14.000 palme abbattute, ma ladiffusa presenza di esemplari ancora in piedi, mortifica-

ti dal ciuffo appassito delle foglie, fa pensare che il numerosarà destinato a crescere fino a quando, finalmente, si capiràche non ci sono (o non sono sufficienti) scorciatoie chimicheo biologiche, trappole o repellenti, aspersioni o endoterapiefino in fondo efficaci e che la strada principale da percorre-re in ambiente urbano è quella della estirpazione di tutti gliindividui colpiti. Invece, in suoli pubblici o privati, lasciatecome gli appestati a diffondere il male, gli stipiti delle palmecontinuano ad allevare nei loro tessuti centinaia di punteruo-li pronti a completare l’opera distruttiva. Si prevede ormaiche l’infestazione troverà un punto di equilibrio, quando solopoche saranno le palme delle Canarie ( la sola specie signi-ficativamente colpita oggi in Sicilia) sopravvissute, quandoquindi il paesaggio urbano sarà stato fortemente modificatoe quello delle ville storiche e delle piazze e alberature monu-mentali definitivamente compromesso. Non c’è ad oggi unadiffusa consapevolezza sulle conseguenze dell’infestazionedel punteruolo rosso e i singoli cittadini, proprietari di giar-dini o semplici amanti del verde, appaiono molto più preoc-cupati e addolorati dei decisori pubblici, indifferenti (comemolti altri indizi concorrono a dire) alle sorti del giardinostorico siciliano e al paesaggio culturale dell’isola.Comunque vada, il paesaggio delle città siciliane si avvia acambiare sotto i nostri occhi. Dopo la cancellazione dei giar-dini di agrumi, degli orti e dei frutteti nelle cinte periurbane,dopo il degrado di tanta architettura antica e la proliferazio-ne della sciatta edilizia contemporanea, un‘altra parte dellaidentità paesaggistica siciliana, quella che la rendeva esoti-ca, diversa e perciò appetibile ai viaggi e ai ricordi dei visi-tatori e al piacere e al rimpianto della memoria, scompare.Molte piazze e giardini sono ormai stravolte e solo fotogra-fie ormai datate e vecchie cartoline ci rimandano al paesag-gio scomparso: quello dei viaggiatori del Grand Tour chenell’immaginario rimane indimenticabile. Per limitarsi aPalermo, è il paesaggio del giovane architetto tedescoHessemer che godeva la vista della “vallata…come di unparadiso terrestre; qua e là piccole case bianche affiancate dapalme svettanti tra il verde intenso degli altri alberi?”, il pae-saggio di Edmondo De Amicis che ammirava nella “stupen-da e strana Città dei Vespri e di Santa Rosalia” una “vegeta-zione magnifica che vi circonda nei giardini e nei parchi cit-tadini, dove si incrociano i viali fiancheggiati di oleandri e dirose, e s’affollano le palme, i platani, gli eucalipti, le più pre-ziose specie di tutte le flore”, quello dove Alexandre Dumasche scorgeva “le ville attorniate dai vigneti, i palazzi all’om-bra dei palmizi: tutto questo spettacolo metteva la gioia nelcuore e l’ammirazione negli occhi… Fino a Monreale lastrada è deliziosa; è quella che gli antichi chiamavano laConca d’Oro, ossia un grande bacino di un bel verde smeral-do, variegato dai mille colori degli oleandri, mirti e aranceti,

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PALME E PAESAGGIOL’ABITO URBANO VEGETATIVOGiuseppe Barbera

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renza estetica non ne viene fortemente alterata. Anche lapalma da datteri, colpita allo stipite e non nell’unica gemmaapicale, si presta ad una ulteriore diffusione nel paesaggio.Pur essendo di origine esotica fa parte più di ogni altra palmadel paesaggio tradizionale siciliano, non solo di quello urba-no ma anche di quello rurale dove la forma slanciata e lachioma svettante segnano storicamente gli insediamenti del-l’uomo. Con una certa cautela andrebbero invece diffuse leWashingtonie americane, molto apprezzate invece per larapida crescita e fino ad oggi per una buona tolleranza alpunteruolo (che ne ha pure colpito 8 esemplari), ma ancheperché incongrue alla classicità del paesaggio mediterraneoche banalizzano in molti viali lungomare, in molti giardinipartecipando ad un paesaggio globale che non ha qualità,distinzioni e confini.La scelta delle specie da diffondere al posto della palmadelle Canarie segue però sempre l’eliminazione delle cep-paie delle palme uccise (che rimangono, si è visto in molte

occasioni, rifugi per nuove generazioni di punteruoli) e ladisponibilità di progetti di impianto che in linea, con la sto-ria e il disegno dei giardini storici, diano corrette indicazio-ni. Si dovrebbero dotare i giardini siciliani – e non solo inragione dei danni del punteruolo- di piani di gestione.Questi, predisposti da competenti, attenti alla storia dei sin-goli giardini, alle problematiche che derivano dai diversiambienti colturali, all’assetto della vegetazione sono neces-sari a fornire indicazioni che non affidino solo al buon gustodel paesaggista o del giardiniere (figure professionali tral’altro trascurate a vantaggio di competenti dell’ultima ora,spesso senza alcuna qualifica) le scelte tecniche di impiantoe manutenzione e, con esse, le sorti dei giardini storici.Questi, ricordiamolo, sono “composizioni architettoniche evegetali che, dal punto di vista della storia o dell’arte, pre-sentano un interesse pubblico”, dice la Carta di Firenze chedovrebbe guidare anche in Sicilia ogni ragionevole interven-to di restauro o recupero.

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mento di mediazione tra la strada ed il cortile, in una inno-vativa soluzione di continuità che vede l’edificio aprirsiverso l’esterno ed inglobare al suo interno lo spazio urbano. Pertanto nell’edificio arabo-normanno, sia esso castello opalazzo, si riscontrano nella corposa e pesante volumetriadella muratura, semplici portali ad arco acuto, realizzati conconci di dimensioni regolari e privi di sporgenze o rincassi.La decorazione, a carattere quasi grafico, è generata dallamateria stessa mediante il colore delle pietre variamente dis-poste. Interessanti esempi, oltre al portale della chiesa di S.Giovanni degli Eremiti nel Mandamento Palazzo Reale,sono rappresentati dai portali della chiesa di S. Cataldo edella chiesa della Magione ubicati nel MandamentoTribunali (fig. 1). Con l’affievolirsi di tale concezione,comincia a delinearsi e ad affermarsi nei secoli successiviuna differente impostazione tipologica dell’edificio, che ini-zia ad essere maggiormente qualificato, nella propria indivi-dualità stilistica, proprio dalle aperture. La piena muratura,che rappresenta ancora elemento caratterizzante l’interaopera, è arricchita, nel XIII e XIV secolo, da portali medie-vali ad arco acuto dalle linee esaltate e maggiormente slan-ciate, sempre chiaroscurati attraverso il gioco degli accosta-menti policromi delle pietre (come a palazzo Sclafani, apalazzo Chiaramonte e nelle chiese di S. Francesco d’Assisie di S. Agostino). E per tutto il XV secolo da portali in cuiemerge una maniera più raffinata fatta di trafori nella mura-tura, di archi ribassati o depressi dalle straordinarie curve -appena descritti da raggiere di conci e definiti da cornici - edi eleganti e piccoli elementi decorativi inquadrati nel para-mento murario (chiesa S. Maria degli Angeli - Gancia,palazzo Ajutamicristo, palazzo Abatellis).Ed è sempre nel Quattrocento che il portale accresce il suoruolo rappresentativo dello status sociale della famiglia pro-prietaria, fattore quest’ultimo che ha generato, nei secolisuccessivi soprattutto nel Seicento, magnifici portali intesiquali piccole sculture e vere e proprie opere d’arte.Attraverso geometrie e decori, gli artisti del tempo hannodato lustro alla personale genialità spesso fondendo anchestili tra loro diversi. Il Cinquecento è caratterizzato nella prima metà del secolodalla fusione tra elementi rinascimentali ed elementi gotici emantiene l’impostazione quattrocentesca del portale conarco depresso, cornice gotica e peducci rinascimentali (fig. 2palazzo Filangeri). Successivamente, il linguaggio architet-tonico rinascimentale, e più specificamente manierista, pren-de il sopravvento e da qui l’impiego di colonne, capitelli,lesene, architravi, trabeazioni, timpani, tutti elementi dell’or-

Il centro storico di Palermo è caratterizzato da architettureche affondano le proprie radici in un passato millenario

che ha visto sovrapporsi e mescolarsi tradizioni, tecnichecostruttive e stili architettonici di diverse epoche.Camminarvi attraverso costituisce un vero e proprio viaggionella storia, i cui segni sono impressi e leggibili già nei pro-spetti degli edifici. In particolare, uno degli elementi checonsente l’immediata lettura del trascorso materiale, cultura-le ed artistico è il portale, significativo particolare architet-tonico che si presta a letture stilistiche, geometriche e tecno-logiche.Considerato quale elemento di passaggio tra l’esterno e l’in-terno dell’edificio, il portale assurge ad una duplice funzio-ne, quella decorativa del vano d’ingresso e quella emblema-tica dell’autorità e del prestigio della famiglia possidente.Per tali ragioni il portale ha da sempre rivestito un ruolo diprimaria importanza, suscitando studi e riflessioni sulla rela-tiva progettazione formale e decorativa. Tuttavia con l’evolversi dei secoli, tale ruolo è andato sem-pre più scemando, sino alla completa rimozione della figuraemblematica del portale nell’architettura contemporanea. Imoderni edifici il più delle volte presentano semplici apertu-re prive di ogni riferimento stilistico o ornamentale, in cuil’elemento predominante è raffigurato dalla pura esaltazionedel contrasto tra pieno e vuoto attraverso l’esclusiva lineari-tà dello schematismo formale dell’apertura. Questa nuovavisione ha, dunque, determinato la progressiva scomparsadei principi fondativi del portale, riscontrabili unicamentenelle numerose architetture storiche caratterizzanti vicoli estrade di molteplici centri urbani. Palermo, in quest’ottica, con i suoi quattro mandamenti, rap-presenta un’importante documento architettonico, in cui iportali richiamano l’attenzione, anche dell’osservatore menoattento, inducendolo spesso a fermarsi e ad osservare l’edifi-cio monumentale nel suo insieme. È dunque sembratoopportuno favorire la conoscenza di questo particolare archi-tettonico, ormai esclusiva testimonianza del passato, attra-verso una descrizione dei caratteri stilistici e formali e dellarelativa evoluzione nei secoli, ed alcuni rilievi dei più signi-ficativi portali del Mandamento Palazzo Reale di Palermo. Ciascun portale trasmette l’eredità storica che lo caratteriz-za, esprimendo in ogni epoca la somma di precise tradizionistilistiche e tecniche costruttive. Ma rappresenta anche lasintesi di ulteriori fattori, connessi ad esempio al rapporto traedificio e contesto o al grado di nobiltà del proprietario. Ilprimo fattore ha gradualmente rivoluzionato lo schematismoformale del portale, che da semplice varco è divenuto ele-

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I PORTALI DELLA CITTÀARCHITETTURA, TRASFORMAZIONI E SOVRAPPOSIZIONISTILISTICHE NEL CENTRO STORICO DI PALERMOLucia Carrubba

Dottore di Ricerca

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dine classico che esaltano la simmetria e la purezza dei volu-mi. La particolare decorazione di questo periodo vede l’uso ditrame a rilievo su grandi bugne poste a cornice dei portali etalvolta a marcapiano dei prospetti come nei rispettivi portalidi palazzo Oneto e di palazzo Castrone di S. Ninfa (fig. 2).La ricercatezza formale si protrae per tutto il Seicento, e algusto tardo rinascimentale si combina quello barocco sicilia-no ricco di decorazioni scultoree: il portale è caratterizzatoda un partito architettonico cinquecentesco ispirato all’arteclassica, con aggiunte alterazioni decorative barocche(fig. 3Palazzo Reale). L’arco poligonale sostituisce quello arcuatoe nasce al contempo un nuovo tema figurativo che troveràpiena affermazione nel secolo successivo. L’innovativoschema strutturale vede il legame tra il portale a piano terraed il primo ordine soprastante: accanto al portone e sul bal-cone è l’ordine architettonico con l’uso di colonne libere oappoggiate o incastrate o di lesene, a risolvere sulla sua tra-beazione il piano di affaccio, mentre la ricca mostra lateralesi conclude nel timpano a reggere gli stemmi nobiliari. Tra inumerosi esempi riscontrabili all’interno dei quattro manda-menti si riportano i portali di palazzo Ugo delle Favare e dipalazzo Alliata di Villafranca (fig. 3). Nell’ultimo trentennio del Settecento si avverte un’inversio-ne di tendenza, un ritorno cioè a forme pure con elementiripresi dall’architettura greca e romana, preludio delle ten-denze stilistiche neoclassiche confermate nei primi annidell’Ottocento, quando, con l’architetto Giovan Battista

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Filippo Basile nasce una nuova corrente stilistica che denotauna ricerca formale centrata soprattutto sul disegno e sui det-tagli ornamentali floreali (ghirlande, rami, foglie), il tuttorientrante tra lesene e capitelli classici, o marcatamenteliberty. Ogni singolo dettaglio è precisato con la massimacura, dall’arrotondamento degli spigoli, alla disposizione deiconci di rivestimento esterno, alla filigrana in ferro che defi-nisce tetti e guglie. La volontà di ostentazione mediante espressioni scenografi-che esasperate, in nome della pura e sola rappresentazionedel potere e della ricchezza nobiliare, genera, sino ai primianni del Novecento, un intenso eclettismo rappresentato dauna varietà stilistica di portali, localizzati nel centro storicoprevalentemente lungo l’asse di Via Roma, che esprimonocosì i vari linguaggi correnti: neoclassico, neogotico, liberty,rispettivamente rappresentati dai portali di palazzo Balsanodi Daina, palazzo Vaccarizzo e palazzo Napolitano (fig. 4).In conclusione, questa breve sintesi sull’evoluzione storico-stilistica del portale nel centro storico di Palermo, se da unlato documenta il valore che ogni singolo elemento architet-tonico storico riveste all’interno di un più ampio patrimonioculturale, dall’altro vuol contribuire a stimolare le Autoritàcompetenti verso la loro tutela. Gran parte di questi portali èinfatti caratterizzata da un elevato stato di degrado, e talvol-ta anche di abbandono, che richiederebbe una azione direstauro tempestiva affinché questo esclusivo documentonon vada perso nel tempo definitivamente.

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Fig.1 Esempi di portali XI - XII secolo: Chiesa di S. Giovanni degli Eremiti -Chiesa di S. Cataldo - Chiesa dellaMagione

Fig.2 Esempi di portali XVI secolo:Palazzo Filangeri - Palazzo Oneto -Palazzo Castrone di S. Ninfa

Fig.3 Esempi di portali XVII secolo:Palazzo Reale - Palazzo Ugo delleFavare - Palazzo Alliata di Villafranca

Fig.4 Esempi di portali XIX - XX seco-lo: Palazzo Balsano di Daina - PalazzoVaccarizzo - Palazzo Napolitano

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PERCORSI FORMATIVIOBIETTIVI DI STUDIO PER UN’IDONEA FRUIZIONEE CONSERVAZIONE DELLE OPERE D’ARTEFrancesca Pulizzi/Lorella Pellegrino

Tutor didattici - CdL Conservazione e Restauro dei Beni Culturali

fatti scultorei esposti lungo il percorso museale, affinché ilvisitatore non solo guardi ma veda, per coinvolgerlo emoti-vamente e razionalmente È, quindi, indispensabile l’avvio di una campagna di indagi-ni non invasive con l’ausilio di strumentazioni spettrofoto-metriche, multispettrali, in fluorescenza a raggi x, termogra-fiche e microgeofisiche per l’analisi preliminare di tutte leopere scultoree, che prende le mosse dal rilevamento micro-climatico e dal controllo del particellato ambientale, seguitoda una campagna di microprelievi per la determinazionedella natura della coprente coltre bruna, rilevata su tutte lesuperfici marmoree della collezione, e degli effetti deterio-ranti di questa sui manufatti. Inoltre, certi della presenza di differenti trattamenti superfi-ciali, attribuibili agli stessi artisti che, originariamente, defi-nivano la finitura di carnati e abbigliamenti o panneggi diun’opera, oltre che con stesure pigmentate anche con tonicromatici ottenuti con sostanze organiche di varia natura(oli, cere, vernici o collette animali), ci siamo prefissi con la

Nel corso di questi anni il CRPR è stato più volte chiama-to a eseguire interventi di restauro su opere di gallerie emusei della nostra regione, assumendo sempre più unruolo di riferimento per la complessa attività di recupero econservazione del patrimonio culturale, la quale richiedeuna pianificazione degli interventi sostenuta da studiapprofonditi e progetti articolati sia in fase diagnostica chetecnica Appare chiaro che lungo i percorsi espositivi spesso ci siconfronta con operazioni di salvaguardia su opere eteroge-nee, facenti parte della stessa collezione, che nel tempohanno subito interventi quasi mai dettati da unitarietà erazionalità metodologica conservativa. I laboratori di restauro di manufatti di origine inorganicadell’Istituto, sono, da tempo, dedicati alla didattica tecnico-pratica del Corso di Laurea interfacoltà di Conservazione eRestauro dei Beni Culturali che afferisce alla Facoltà diScienze Naturali e Naturalistiche dell’Università di Palermoe abilita alla professione di restauratore. Uno dei contenitorimuseali cui abbiamo fatto riferimento per la didattica duran-te l’anno accademico in corso - grazie alla sensibilità diGiulia Davì - è stato la Galleria Regionale di PalazzoAbatellis a Palermo; nel caso specifico sono state seleziona-te alcune delle opere marmoree esposte che presentavanotipologie di degrado rappresentative della problematica checon questo progetto intendiamo affrontare, anche per la reda-zione di tesi di Laurea Specialistica. É stata perciò possibile una proficua collaborazione di tutti iDocenti delle materie tecniche, scientifiche ed umanistiche,essenziale per affrontare la fase analitica preliminare agliinterventi di restauro. Scopo di questo progetto è l’avvio diindagini estensive sulle singole opere scultoree custodite,per la messa a punto di protocolli d’intervento da eseguirecon l’indispensabile contributo di tecnologie analitiche gui-date da un criterio metodologico il più possibile unitario.Tale studio si configura quale campione pilota per redigerela Carta del Rischio degli ambienti confinati che il CentroRestauro intende avviare.Il piano terra della Galleria è, quasi interamente, dedicato aimanufatti litici, un percorso museale ricco di sculture distri-buite secondo un criterio storico cronologico, realizzate sia abasso rilievo che a tutto tondo, di epoca medievale e rinasci-mentale. Le opere, il cui materiale costitutivo è il marmobianco microcristallino, sono caratterizzate da levigatissimesuperfici, che conservano ancora labili tracce di cromie edorature a foglia; il cuore di questa sezione è costituito dallasala dedicata ad “Eleonora D’Aragona”, insigne opera diFrancesco Laurana i cui differenti equilibri cromatici evibrazioni plastiche superficiali sono prodotti da singolaristrumenti di lavorazione adottati per la differenziazione ditrine e tessuti, e da residui di origine organica non più rimo-vibili. L’intervento mira a migliorare la fruibilità dei manu-

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FORMAZIONEF

fase diagnostica di tendere all’identificazione di tali diversitoni, oggi riconducibili a pallide diversificazioni, il più dellevolte non facilmente rilevabili a una buona misura occhio-metrica. Delicate superfici che hanno richiesto puliture selet-tive, pilotate da misure fisiche che garantiscono il controlloe la salvaguardia dei caratterizzanti valori cromatici, congrande padronanza e sicurezza anche su superfici che con-servano sottilissime pellicole tonali, specie in campiture untempo dedicate alla doratura a foglia o a pastiglia, oggi man-cante.Su tali aree infatti, l’assottigliamento dei depositi consente

di conservare anche solo la “memoria cromatica”, rarefattevalenze cromatiche, queste molto spesso sottovalutate e dis-trattamente affrontate fino a perderne totalmente la memoria.Tra le opere oggetto di restauro la testina di Dama, il Bustodi Giovinetto e l’Eleonora D’Aragona di FrancescoLaurana, la Natività e la Presentazione al Tempio diCostantino di autore ignoto esposte nella Sala del Laurana;la Madonna degli Anzaloni e la Madonna con Bambino diAntonello Gagini, i capitelli e le rispettive basi opera dellabottega dei Gagini esposti nella Sala dei Capitelli. Lo Stagepresso il Museo ha diverse valenze, innanzitutto didattichema anche di servizio verso una struttura della regione conte-nitore di opere di grande valore storico-artistico. L’obiettivodella didattica è di far comprendere il valore della manuten-zione ordinaria e straordinaria, ma anche quello di metteregli studenti a diretto contatto con opere preziose che espri-mono i più grandi valori che l’essere umano è in grado diprodurre e trasmettere a prescindere dal periodo o dal mate-riale. Dunque il rilievo, l’anamnesi del manufatto attraversola diagnostica, la pulitura selettiva, il trattamento di protezio-ne finale diventano per noi docenti, da un lato gli strumentiper raggiungere gli obiettivi didattici prefissati, dall’altro unmomento fondamentale per ricerche che solo un’istituzioneuniversitaria può garantire.

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FORMAZIONEFTIROCINIO IN CHIESAL’OSTENSORIO CON GLI ANGELI DEL CARMINE MAGGIOREProvvidenza Lupo

Tutor didattico - CdL Conservazione e Restauro dei Beni Culturali

genere paste abrasive) che nel tempo alterano e danneggianola composizione materica degli oggetti (argento, ottone,bronzo, rame etc.). Inoltre si sono riscontrate delle patinenerastre e gocce di cera solidificate anche negli interstizi. L’intervento volto alla rimozione dei prodotti di alterazionesi è articolato in varie fasi: - smontaggio dei singoli componenti, - pulitura con prodotti e attrezzature di laboratorio idonee,- protezione finale del manufatto con cere naturali.Infine, così come per tutti i reperti trattati nel corso del tiro-cinio, è stata redatta dagli allievi una scheda tecnica, corre-data da documentazione grafica e fotografica dell’interointervento, raccolta anche su supporto informatico in unospecifico power point, il quale è stato utilizzato a conclusio-ne dell’attività didattica come strumento di discussione col-lettiva per la valutazione e le considerazioni finali dell’iterformativo.

Nell’ultimo anno accademico 2008/2009, fra le attività diformazione svolte presso il CRPR, nel quadro del pro-

gramma del Corso di laurea in Conservazione e Restauro deiBeni Culturali della Facoltà MM.FF.NN, è stato dedicato untirocinio didattico al restauro dei manufatti in metallo eleghe, a cui hanno partecipato gli allievi del terzo anno.Le esercitazioni di restauro sono state eseguite sugli oggettiforniti dalla Chiesa del Carmine Maggiore, con la quale si èistaurato in questi anni un proficuo rapporto di collaborazio-ne, essendo un vero e proprio ed inesauribile “contenitore”data la ricca gamma di beni posseduti che necessitano diinterventi e che -di volta in volta- vengono proposti per losvolgimento dei “cantieri didattici” (così come si configura-no i vari tirocini di restauro), grazie ai quali è possibile recu-perarli con azioni mirate. Come è noto la chiesa del Carminesorge in uno dei più affollati e popolari rioni storici dellacittà: l’antico mandamento dell’Albergheria. Essa è unautentico gioiello di storia e d’arte, nonché uno dei primiesempi di architettura barocca palermitana. Varie e comples-se sono le vicende dei numerosi restauri a cui è stata sotto-posta, un tema che meriterebbe senz’altro uno spazio piùapprofondito di queste brevi informazioni.Tra la varia e preziosa oggettistica liturgica selezionata è dasegnalare il manufatto dell’argentiere palermitano SaverioMartinez: un bellissimo ostensorio, tra i più antichi rimasti,in argento massiccio dorato con fregi in rilievo e di stilerococò che sul piedistallo, decorato con foglie d’acanto evolute e grappoli d’uva, porta tre targhette decorative incise:una con lo stemma carmelitano di Sicilia; un’altra con laLuna (simbolo della Madonna); la terza, invece, riporta ladata di fattura: fecit 1762. Sull’estremo lembo della basesono incise le lettere: “R.P.M.A.R.F, 1813”, iniziali di:“Rev. P. Maestro Antonino Ragusa fece restaurare nel1813”. Il fusto, riccamente ornato da piccole volute e fogliedi vite e nella parte finale in alto da un delicato motivo aspiga di grano, sorregge la teca dell’ostia contornata da unaghirlanda formata da otto testine di puttini alati adagiati sunuvole lavorate a sbalzo -che viene riproposta anche neltergo- e dalla quale si diparte la splendida raggiera dorata eargentata con in cima la croce. L’intervento di restauro conservativo eseguito dagli allievidel corso, sotto l’attenta guida della docente LudovicaNicolai dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, è statopreceduto da una approfondita analisi sullo stato di conser-vazione del manufatto che -nel caso in specie- presentavaalterazioni dovute anche ad una non appropriata manuten-zione, effettuata perlopiù con prodotti poco idonei, comepurtroppo quasi sempre avviene nella custodia degli enti par-rocchiali: spesso per la pulitura delle suppellettili liturgichedi uso quotidiano ci si affida alla collaborazione di sacristi oparrocchiane volenterose che, cimentandosi in operazioni disola lucidatura, usano prodotti commerciali generici (in

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IL GRUPPO DEL COLORESocietà italiana di ottica e fotonicaFernanda Prestileo/Alessandro Rizzi*

Come si può controllare il colore. Colorimetria, fotome-tria, soglie di discriminazione dei colori, atlanti deicolori. Fenomeni dell’apparenza del colore, del metame-rismo. Il colore nella sua riproduzione secondo le varietecniche. Il colore digitale in relazione ai dispositivi perla sua gestione. Il colore nella comunicazione, nellavisualizzazione, nella duplicazione, nella stampa. Ilcolore nell’arte, nell’architettura, nell’arredo, nel restau-ro, nell’archeometria. Il colore nell’industria.

Come si può insegnare il colore. La didattica e gli ausi-li all’insegnamento del colore nelle scuole per la forma-zione industriale, terziaria e accademica. La storia dellascienza e della pratica del colore.Le finalità del Gruppo del Colore consistono nel:- promuovere lo studio del colore in tutti i suoi aspetti,compresi quelli della visione ad esso collegati; - creare opportunità di incontro, divulgazione e scambiodi idee tra persone collegate agli aspetti scientifici, indu-striali, estetici e didattici del colore;- favorire la formazione di standardizzazioni, specifiche,nomenclature e altri aspetti utili a favorire la ricerca nelcampo del colore;- favorire la disseminazione dei risultati della ricerca sulcolore ottenuti in Italia al resto del mondo e viceversa;- favorire la disseminazione della cultura del colore.

Come da prassi consolidata, la Conferenza di Palermo èstata introdotta, durante la prima giornata, da un ospiteinternazionale e da tutorial tenuti da esperti dei varicampi d’interesse del Gruppo del Colore.Specificamente Stephen Westland (University ofLeeds), nella sua relazione Color preference in context,ha trattato le problematiche correlate al color manage-ment. Claudio Oleari (Università degli Studi di Parma)ha presentato Il sistema OSA-UCS e le opponenze cro-matiche. Nicola Ludwig (Università degli Studi diMilano) nel suo intervento Dalla spettrometria in riflet-tanza alla colorimetria ha illustrato gli sviluppi applica-tivi nell’ambito dei beni culturali. Di due casi significa-tivi di Colorimetria nella conservazione dei beni cultu-rali ha parlato Marisa Laurenzi Tabasso (Universitàdegli Studi di Roma “La Sapienza”): gli affreschi diMichelangelo nella Cappella Sistina e le ThangkaTibetane della Collezione Tucci. Infine, Paolo De Roccodella Società Centrica di Firenze ha introdotto le Nuovetecniche di calibrazione colore di files RAW.Tali tutorial hanno rappresentato un momento di scam-bio di conoscenze ed hanno dato luogo ad un interessan-te dibattito, coinvolgendo tutti i partecipanti. I lavori nelle due giornate successive sono stati articola-ti nelle seguenti Sessioni: Percezione e Psicologia; Beni

INCONTRI & DIBATTITI

Il Gruppo del Colore (GdC) nasce nel 2004 come evolu-zione del Gruppo di Lavoro in Colorimetria eReflectoscopia, della Società Italiana di Ottica eFotonica (SIOF). In occasione del VII Convegno annua-le di Colorimetria, tenutosi presso l’Università degliStudi di Parma nel 2004, su iniziativa di Claudio Olearie Alessandro Rizzi, viene deciso di ampliare il Gruppodi Lavoro in Colorimetria e Reflectoscopia a tutte lealtre realtà che in Italia si occupano di colore, creandoun punto di aggregazione che in campo nazionale man-cava. Così come realtà analoghe esistenti in altri Paesi,il Gruppo ha l’obiettivo di favorire l’aggregazionemulti- ed interdisciplinare di tutti coloro (pubblici e pri-vati) che in Italia si occupano del colore e della luce daun punto di vista scientifico e/o professionale. A partire dalla sua creazione, il numero di esperti edoperatori del settore afferenti al gruppo è via viaaumentato, così come le attività scientifiche ed i proget-ti nati dalla collaborazione degli iscritti.La 1a Conferenza Nazionale del Gruppo del Colore èstata ospitata nel 2005 a Pescara dall’Università “G.d’Annunzio”. A questo primo momento di scambio econfronto hanno fatto seguito gli appuntamenti annualidi: Milano, presso l’Università degli Studi di MilanoBicocca (2006); Torino, presso l’Istituto Nazionale diRicerca Metrologica (2007); Como, presso il Politecnicodi Milano (Polo di Como) (2008). Quest’anno laConferenza, giunta alla sua 5a edizione, è stata ospitataa Palermo dal 7 al 9 ottobre dal Centro Regionale per laProgettazione e il Restauro, attivo nel Gruppo delColore fin dalla sua costituzione nel 2004.Gli aspetti tematici che il Gruppo considera e sviluppa,ispirandosi a quelli contemplati dalla AssociationInternationale de la Couleur (AIC), sono i seguenti:

Cos’è il colore. La natura fisica e psicologica del colo-re, i meccanismi della visione nei loro aspetti fenomeno-logici e teorici.

A cosa serve il colore. Ruolo del colore nell’industria,nella moda, nella cosmesi, nell’edilizia, nell’arte, nelrestauro, nell’architettura, nell’ambiente, nella grafica,nella cultura, nelle codifiche, ecc...

Come funziona il colore. Il colore in relazione alla illu-minazione, ai meccanismi della visione a colori, allafisiologia. Il colore in presenza di deficienze e anomalie,negli aspetti clinici e biologici. Il colore nei modellicomputazionali e nella visione artificiale. Il colore nellacostruzione di armonie, di illusioni, di preferenze, cro-matiche, nella memoria, nel trattamento dell’informa-zione.

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NEUTRONI E LASERPer la ricerca di dipinti nascostiR. Merlino/D. La Mattina

La giornata di studio organizzata il 21 Ottobre 2009 harappresentato un contributo del CRPR alla diffusione ditecniche diagnostiche innovative non invasive per la ricer-ca di dipinti nascosti. Le nuove tecniche sono state messea punto dai centri di ricerca ENEA di Casaccia e diFrascati in collaborazione con il Center ofInterdisciplinary Science for Art, Architecture andArcheology dell’Università di San Diego–California, l’University of Technology di Delft–Olanda e il NationalInstitute of Information and Communications Technology–Tokyo.Antonino Cosentino, Visiting Scholar dell’Università diSan Diego, ha aperto i lavori relazionando sulla tecnicaNNA–Nanosecond Neutron Analysis. I neutroni, attraver-sando consistenti spessori di materiali che nascondono ilcampione da analizzare, interagiscono con gli elementichimici (pigmenti pittorici) presenti nel campione e produ-cono una radiazione gamma che, rivelata in tempi ristret-tissimi (nanosecondi), permette di identificare gli stessielementi chimici. Gli esperimenti condotti hanno qualifi-cato la tecnica NNA per un suo futuro utilizzo nella loca-lizzazione del materiale pittorico utilizzato da Leonardoda Vinci per la realizzazione del dipinto della Battaglia diAnghiari, oggetto di studio dal 1975 di Maurizio Seracinidell’Università di San Diego. La tecnica NBS–Neutron Back-Scattering è stata illustra-ta da Roberto Rosa, Primo Ricercatore del CentroRicerche ENEA Casaccia (Roma). La tecnica utilizza neu-troni per la ricerca di dipinti occultati da muri. La collisio-ne dei neutroni con elementi leggeri come l’idrogeno, pre-sente nei materiali utilizzati per la preparazione dei dipin-ti ad olio, permette il ritorno (back-scattering) di una partedei neutroni che possono essere rivelati da dispositivi ingrado di localizzare le aree con maggiore concentrazionedi materiale idrogenato. Partendo dalla ipotesi che laBattaglia di Anghiari di Leonardo, realizzata tra il 1505 eil 1506, possa essere stata dipinta sulla parete est delSalone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze esuccessivamente nascosta da un muro di mattoni eretto dalVasari nel 1563 per l’esecuzione della sua opera, è statorealizzato, presso il Centro Ricerche ENEA Casaccia, unmodello che riproduce le condizioni strutturali della sud-detta parete sul quale è stata applicata la tecnica NBS. Giampiero Gallerano, Primo Ricercatore del CentroRicerche ENEA Frascati (Roma) ha infine relazionatosulla radiazione Terahertz e le sue applicazioni nella dia-gnostica non invasiva per i beni culturali. La tecnica diThz-imaging consiste nell’acquisizione di immagini a fre-quenze del THz che consente di rivelare dipinti coperti damateriali come gesso, calce o intonaco. La spettroscopiaTHz viene utilizzata invece per analizzare la composizio-ne dei pigmenti.

INCONTRI & DIBATTITI

Culturali: Restauro e Conservazione; Architettura eUrbanistica; Tinte/Pigmenti e Coloranti/ Superfici; Lucee Colore: misura ed elaborazione; Design eComunicazione.In chiusura della Conferenza, nel corso della riunioneannuale del Gruppo del Colore, Maurizio Rossi(Politecnico di Milano) è stato eletto Presidente delGruppo per il prossimo biennio.

(*) Dipartimento di tecnologie dell’informazioneUniversità Studi di Milano

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INCONTRI & DIBATTITI

SISTEMI BIOLOGICI E BENI CULTURALIIl convegno AIAR a PalermoFranco Palla

Facoltà di Scienze MM.FF.NN. - Università di Palermo

Palazzo Steri di Palermo, Il degrado Flos tectorii dellemalte da intonaco in Sicilia, La protezione della cartamediante trattamento antiossidante, La conservazione pre-ventiva nel Museo Diocesano di Palermo.Inoltre, è stata proposta la realizzazione di un Museo d’ArteCristiana dei Cappuccini di Palermo.L’innovazione tecnologica è stata sviluppata nelle comuni-cazioni relative a studi di Microbiologia, Biochimica eBiologia Molecolare, inerenti: Enzimi batterici utili per ilrestauro conservativo dei beni culturali lapidei, Enzimiproteolitici da organismi marini utili per la pulitura dimanufatti, Riparazione di carta invecchiata artificialmentee fotodegradata, La precipitazione batterica di carbonatodi calcio nella conservazione di substrati lapidei, La tecno-logia del DNA-microarray per l’identificazione di speciemicrobiche su superfici e nell’aerosol di ambienti confina-ti; oltre all’Applicazione della TC spirale multidetettoreallo studio di reperti scheletrici e corpi mummificati e allaDatazione EPR di conchiglie fossili.Il programma scientifico del convegno è stato arricchitodalla sessione poster, in cui sono stati presentati studiriguardanti: La dendrocronologia e giardini storici, dei par-chi delle dimore reali di Racconigi e Monza, I beni natura-li diventano beni culturali, 1793; L’identificazione dellegno nelle opere policrome in Sicilia; Analisi biometrica,morfometrica e strumentale di un campione di crani umani;La componente vegetale di ville storiche genovesi, tra con-servazione e lotta al biodegrado, Rivelazione e caratteriz-zazione di consorzi microbici in reperti lignei sommersi; Lacaratterizzazione della biodiversità della grotta dei Santi in

Licodia Eubea (Catania); Le specielegnose coltivate e spontanee in rap-porto alla conservazione nel cimiteromonumentale di Staglieno (Genova);La Rettoria di Casa Professa diPalermo le termiti sugli arredi ligneidella sacrestia; Prime indicazionisulle biocenosi associate alle mum-mie delle catacombe dei Cappuccinidi Palermo; La microscopia elettroni-ca (SEM, CLSM) per l’analisi deimicrosistemi biologici che colonizza-no i beni culturali; I servizi innovatividel gruppo Biores per i beni culturaliper la prevenzione e la cura dei dannida biodeterioramento di originemicrobiologica: diagnosi, monitorag-gi e sperimentazione sui materiali peril restauro, Nuovi dati e strategie dilotta su Gastrallus pubens(Coleoptera, Anobidae) rinvenuto nelfondo antico della Biblioteca

Nella splendida cornice dell’Orto Botanico di Palermo, il6 e 7 ottobre 2009 presso l’Aula Domenico Lanza, si è

svolto il Convegno Nazionale Sistemi Biologici e BeniCulturali, con un comitato scientifico composto da studiosied esperti provenienti da tutta Italia (Atenei di Palermo,Catania, Messina, Milano-Statale, Parma, Roma-TorVergata, Siena, oltre ad esperti del CNR-Firenze e dellaSoprintendenza Beni Archeologici della Liguria). IlConvegno, organizzato dall’Università degli Studi diPalermo (Dipartimento di Scienze Botaniche), dall’AIAr(Associazione Italiana di Archeometria), dal CRPR (CentroRegionale per la Progettazione e il Restauro, RegioneSiciliana) e con il concreto supporto della BioNat – Italia(Azienda di Ricerca e Sviluppo, Settore biotecnologie,Palermo) è stato rivolto a ricercatori, studiosi, restauratori ea tutti coloro che operano nel settore dei Beni Culturali. Inparticolare, ha proposto l’identificazione dei Sistemi Biologicome Beni Culturali (alberi monumentali, mummie moder-ne), come Causa di Degrado del patrimonio culturale (bio-deterioramento) e come Fonte di Macromolecole utili perinterventi di restauro (bio-pulitura); presentando innovazio-ni tecnologiche utili per uno studio integrale del bene cultu-rale, per l’esatta caratterizzazione degli organismi che necausano il deterioramento, per la realizzazione di un inter-vento di restauro conservativo, con un approccio multidisci-plinare. Dopo la presentazione delle finalità e il saluto aipartecipanti, rappresentati dall’organizzatore Franco Palla,da Roberto Boscaino (Preside Facoltà ScienzeMM.FF.NN.), da Mauro Bacci (Presidente AIAr-Associazione Italiana di Archeometria), da Guido Meli(Direttore CRPR-Centro RegionaleProgettazione e Restauro–RegioneSiciliana) e da Francesco MariaRaimondo (Direttore DipartimentoScienze Botaniche-Orto Botanico), ilavori sono stati aperti dallo stessocon la comunicazione Invasività eripercussioni su paesaggio e beniarchitettonici di Aailanthus altissima(Simaroubaceae).Nelle tre sessioni sono stati affrontatispecifici casi studio, attuati sia in sitiitaliani sia all’estero, inerenti: La con-servazione degli alberi monumentaliin Sicilia, La Paleogenetica e i beniculturali, Il complesso delle Latomiea Siracusa, Il deterioramento indottoda cianobatteri del tempio di Orissa(India), La diversità microbica inCatacombe pre e post trattamentocon biocidi, L’indagine fitosanitariadel soffitto ligneo della sala magna di

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Regionale di Catania; Studio del biodeterioramento algalenel ginnasio romano di Siracusa; Analisi della comunitàmicrobica intestinale di Reticulitermes lucifugus (Rossi)(Isoptera: Rhinotermitidae), Misura sperimentale dellacapacità antiossidante della lignina mediante voltammetriaciclica. Tra i fattori che hanno contribuito alla successo delConvegno è da annoverare l’Incontro tra Università-Centridi Ricerca-Imprese che operano, o intendono operare, nelcampo della conservazione/restauro/fruizione dei BeniCulturali ospitato nel pomeriggio del 6 ottobre da FrancescoCascio, Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana,presso la sala Gialla di Palazzo dei Normanni di Palermo.L’incontro, moderato da Ettore Artioli (Vice Presidente diConfindustria per il Mezzogiorno) ha visto la partecipazionedi Roberto Lagalla (Magnifico Rettore dell’Università degliStudi di Palermo), di Rosario De Lisi (Presidente Corso dilaurea in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali -Università degli Studi di Palermo), di Davide Fais (DirettoreIIRFRE, Istituto Italo Russo per la Formazione e le RicercheEcologiche) e dei già citati Mauro Bacci e Guido Meli, oltrea rappresentanti della BioNat-Italia di Palermo, della Algaedi Roma e di altre realtà imprenditoriali. Questo incontro èstato anche l’occasione per la presentazione della Sezionesiciliana della Società Italiana per il Progresso delle Scienze,che dal 5 ottobre ha sede a Palermo presso il Cerisdi. LaSIPS, rappresentata in questa occasione da SalvatoreLorusso, fu fondata a Roma nel 1873 su proposta diStanislao Cannizzaro e, come annunciato dal Presidentedella sede palermitana Adelfio Elio Cardinale, proprio a que-sto grande scienziato sarà intitolata la Sezione Siciliana. Laprima giornata del Convegno Sistemi Biologici e BeniCulturali si è splendidamente conclusa con la visita allaCappella Palatina, a cura di Vlado Zoric

v.

L’Organizzazione del Convegno, facendo propria l’attenzio-ne dell’AIAr per la crescita scientifica dei giovani, di con-certo con il Comitato scientifico e grazie al sostegno dellaBioNat-Italia, ha avuto l’opportunità di premiare quattrocomunicazioni presentate da ricercatori/operatori di età infe-

riore a 35 anni. In particolare sono stati premiati: ValeriaGargano (La tecnologia del DNA-microarray per l’identifi-cazione di specie microbiche su superfici e nell’aerosol diambienti confinati), Rachele Lucido (La conservazione pre-ventiva: il caso studio del Museo Diocesano di Palermo);Anna Pezzino (Studio del biodeterioramento algale nel gin-nasio romano di Siracusa); Agnese Zuccarello (DatazioneEPR di conchiglie fossili).Infine, a conclusione del convegno è stata presentata la pro-posta di formazione dell’area tematica Biologia eBiotecnologie all’interno dell’Associazione Italiana diArcheometria, accolta e sostenuta dai partecipanti alConvegno.

INCONTRI & DIBATTITI

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ecc.), un ricco apparato dinote sull’esemplare (pre-senza di note manoscritte,tipo di legatura, descrizionedei capitelli, presenza di exlibris, stato di conservazio-ne dell’esemplare, prove-nienza, ecc.) seguito dall’e-lenco dei repertori biblio-grafici che citano altriesemplari dell’edizione. Inappendice l’opera è arric-chita da 10 indici, cheimpreziosiscono lo studio:indice degli autori o titoli,coautori e curatori, indicedei dedicanti e dedicatari,indice dei tipografi e deglieditori, distinguendo traedizioni del XVI ed edizio-ni del XVII secolo.Seguono infine l’indicetopografico degli editori el’indice cronologico delleedizioni, divisi anch’essiper secoli.Nel prendere in mano que-sto elegante libro unadomanda sorge spontanea:“perché pubblicare a stam-pa un catalogo bibliografi-co, quando oggi esistono lebanche dati informatizza-te?”. In realtà, oltre l’indub-bio piacere di potere sfo-gliare le pagine di un libro,la scelta di stampare il cata-logo di un singolo fondobibliografico risponde aprecise esigenze scientifi-che. Quando si affronta unaricerca in una specifica rac-colta bibliografica, la con-sultazione di un catalogocartaceo fornisce informa-zioni diverse da quelle chesi hanno nel catalogo infor-matizzato, dove è necessa-rio applicare numerosi filtridi ricerca, per identificareesclusivamente le opere

provenienti da un unicofondo. Inoltre la consulta-zione di un volume a stam-pa è, a volte, più agevole diquella che si ha interrogan-do una banca dati informa-tizzata, specie quando sideve passare da una schedaall’altra, confrontando dueo più descrizioni; a testimo-nianza di ciò, basti citare lapresenza di un considerevo-le numero di cataloghi astampa, che continuano adessere pubblicati nelmondo. Nel caso specifico,questo catalogo ha anchealtri due pregi: il primo è ilricco apparato d’indici, ed ilsecondo è la scelta dellostandard descrittivo.Quest’ultimo, invece diadottare uno short title, che“accorcia” i titoli, descrivele opere secondo gliISBD(A) per SBN, che pre-vedono una riproduzionefedele del frontespizio,senza però dare una descri-zione di tipo “quasi facsimi-lare”. Così, se da un lato iricchi indici non fanno sen-tire la mancanza di un cata-logo informatizzato, dall’al-tro utilizzando questo stan-dard catalografico si rendepossibile il rapido inseri-mento di queste descrizionibibliografiche in SBN. Etutto senza bisogno diriprendere i volumi inmano, realizzando un per-fetto connubio tra la descri-zione bibliografica del cata-logo cartaceo e quella infor-matizzata. Proseguendo nella lettura diquest’opera, nella sua pre-messa Armida Batori ricor-da come “I libri antichi,posseduti dagli Archivi di

Stato, non provengono disolito da un fondo omoge-neo [...] sono piuttosto lega-ti a depositi di fondi archi-vistici diversi, ai quali siaccompagnano spezzoni dibiblioteche private o eccle-siastiche, più o menocasualmente uniti allecarte...”. Rita Di Natale ciintroduce così in un univer-so diverso da quello chesolitamente conosciamo,costituito da Biblioteche icui libri sono stati raccoltiin maniera più o meno orga-nica nel corso del tempo, dauna o più persone. I libriposseduti dagli Archivi diStato, rappresentano un“elemento estraneo” allecollezioni di vecchie carte,circostanza questa, cheporta al ritrovamento diopere ritenute scomparse, ovietate dall’Inquisizione.Queste ultime, conservateinsieme ad atti amministra-tivi per varie circostanze,sfuggendo alle furie icono-claste della censura checaratterizzano la storia del-l’uomo, sono pervenuteoggi a noi. Il fondo descrit-to in questo catalogo, non sisottrae a questa regola,come si può facilmentevedere anche da una letturasuperficiale di questo libro. Tra le numerose edizioniricche d’interesse, si posso-no citare, per le opere delXVII secolo, quella dellaVindicata veritas panormi-tana, opera ritenuta rara dalbibliografo palermitanoG.M. Mira, stampata aVenezia nel 1629. Inseritanell’Indice di libri proibiti,si conosceva solo un esem-plare presso la Biblioteca

RECENSIONI

DESCRIZIONI, NOTE E REPERTORIUN FONDO BIBLIOGRAFICO SEICENTESCOCarlo Pastena

Servizio Beni Bibliografici ed Archivistici

Soprintendenza BB.CC.AA. Palermo

Rita Di Natale, apprezzataautrice di numerose operebibliografiche, dopo la pub-blicazione di un primovolume relativo alle cinque-centine possedute dallaBiblioteca dell’Archivio diStato di Palermo edito nel2003, continua, insieme aGabriella Cannata, questaoperazione di “recupero” e“fruizione” del fondo anti-co. Questo secondo tomo,dedicato alle edizione delXVII secolo, è integrato conuna piccola appendice rela-tiva alle cinquecentinerecentemente ritrovate epromette a breve la pubbli-cazione di un terzo volume,relativo alle edizioni delXVIII secolo.L’opera raccoglie le descri-zioni bibliografiche di 33cinquecentine e di 117opere edite nel XVII secoloin Europa; ogni esemplare èdescritto con estrema curaed attenzione. E’ inserito,dopo la descrizione dell’e-dizione (autore, titolo, notetipografiche, paginazione,

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quasi tutte le 70 carte ditavole incise, molto spessomancanti negli esemplariche ci sono pervenuti. L’elenco delle rarità è lungo,e potrebbe continuare ancora,ma spostando l’attenzionesulle edizioni del XVI secolo,non inserite nel precedentevolume, si deve citare la cin-quecentina tedesca di S.Agostino, De Ebrietate vitan-da. Stampata a Dillingen nel1560 dal tipografo Sebald

Mayer, questo esemplarenon è presente nei repertorirelativi alle edizioni pubbli-cate in Germania nel XVIsecolo. Rita Di Natale, nonsi è però fermata ad unsuperficiale controllo, ed havoluto indagare ancora più afondo, confrontando questovolume con l’edizione del1559 conservato allaBiblioteca Vallicelliana. Hacosì riscontrato nei duevolumi una identica pagina-zione, segnatura dei fascico-li e impronta, ma notevolidifferenze nei contenutidelle due edizioni prese inesame. La descrizione diquesto esemplare è arricchi-ta da una appendice diGabriella Cannata sul tipo-grafo tedesco SebaldMayer, ricca di notizie sullasua attività tipografica edalla traduzione dal tedescodella stessa Cannata, di unlungo articolo tratto dallaBibliographie der deutschenDrucke des XVI Jahrun-derts, di Otto Bucher. Concludendo, questo volumerisulta ricco di notizie e parti-colarmente completo nelladescrizione degli esemplari,così oltre che per il recuperoe la fruizione del fondobibliografico dell’Archivio diStato, può proficuamenteessere impiegato come operadi riferimento e di esercizioper chi deve catalogaresecondo lo standard descritti-vo di ISBD(A) per SBN o piùsemplicemente catalogare unfondo antico.

a cura di Rita Di Natalee Gabriella Cannata

Le Seicentine della Bibliotecadell’Archivio di Stato di Palermocon un’aggiunta di Cinquecentine

Palermo, 2009, pp.235

RECENSIONI

drammaturgo Gauthier deCostes de la Calprenède.Stampata a Venezia nel1679 da Biagio Maldura,non figura nei repertoribibliografici consultati. Trale opere devozionali, vacitato invece il volumeIconologia della gloriosaVergine Madre di DioMaria protettrice diMessina, del gesuita PlacidoSamperi, stampata a Messinanel 1644, che conserva

nazionale di Roma. E anchela Istoria della vita e mortedi Santa Maria Maddalena,pubblicato a Napoli daltipografo Andrea Colicchianel 1679, di cui non si cono-scono oggi altri esemplari.Sempre tra i libri editi nelXVII secolo, presenti inquesto fondo bibliografico,si deve citare la Parte quin-ta del romanzo DellaCassandra originariamentein dieci volumi, scritta dal

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Il libro di Barbera attraversain lungo e in largo i campidel sapere, spaziando fra lescienze naturalistiche edambientali e gli ambiti delpensiero umanistico, nelreticolo dei vari campi eforme della sua partitura.L’abbraccio degli alberi siinvoca allo scopo di definirela sostenibilità ecologicanon solo dal punto di vistadell’arboricoltura e della sel-vicoltura (o della bellezzadei paesaggi), ma anche per-ché senza loro non sarebberoprobabili le strategie sia pureabbozzate a livello planeta-rio per intervenire sui granditemi critici della modernitàcausati dalla società delrischio, categoria chemutuiamo dalla sociologiadell’ambiente: dall’effettoserra e quello della desertifi-cazione -connessi all’ano-malia temporale dei cam-biamenti climatici- allaquestione “alimentare” e“della sete”, vera emergen-za e minaccia incombentesulla popolazione mondiale.“Piantarli e difenderli non è,quindi, solo affare degli arbo-ricoltori, ma di chiunqueabbia a cuore le sorti del pia-neta e delle generazioni futu-re. Tutte le risorse vannomesse in campo, non soloquelle della scienza e dellatecnica, ma anche quelle dellacreatività. Valorizzare lediversità culturali e biologi-che, approfittando di tutte lediverse funzioni che svolgo-no gli alberi, è la sola strada”.Nell’appassionante e docu-mentato solco tracciato dalsaggio, l’Autore riscoprequella fecondità dialettica

che originariamente amman-tava di sacralità il legamedegli uomini con gli alberi,ovvero di quella dimensio-ne religiosa e mitica elabo-rata nelle società premoder-ne, in cui la vitalità vegeta-le era parte costitutiva delpiano di immanenza esi-stenziale comunitaria: è conla separazione spirituale delsoggetto dal mondo e conl’affermazione della trascen-dentalità dell’Essere collo-cata fuori dallo spazio terre-no che viene inoculata lacesura antropocentrica chedegrada tutti gli essenti amera effettualità oggettuale.Non è un caso il ricorso diBarbera all’autorevolezza diun grande pensatore –Lévi-Strauss, padre dell’antropo-logia culturale recentemen-te scomparso- per metterein risalto la cesura tra uomoe natura: “L’umanità…daaperta che era un tempo…siè sempre più rinchiusa in sestessa. Tale antropocentri-smo non riesce a vedere, aldi fuori dell’uomo, altro cheoggetti. La natura nel suocomplesso ne risulta sminui-ta. Un tempo, in lei tutto eraun segno, la natura stessaaveva un significato cheo g n u n o … p e r c e p i v a .Avendolo perso, l’uomooggi la distrugge, e con ciòsi condanna”. Sostanzialmente il Nostroassume il rapporto tra l’uo-mo e gli alberi come para-digma progettuale -al tempostesso scientifico e sociale-,dentro cui l’umanità dovràsaper coniugare la cointeres-senza del regno animale emondo vegetale, consapevo-

le del limite esistenzialetranseunte e perciò stessoonerata non solo a conserva-re le condizioni della ripro-duzione per le nuove genera-zioni, ma a trovare ora, enon rinviando sine die, lachiave di riequilibrio cherestituisca al regno vegetalela sacralità perduta:“abbia-mo già tagliato almeno lametà delle foreste del piane-ta, nonostante i loro alberiabbiano reso il suolo fertile el’aria respirabile, mitigatogli eccessi del clima, fornitolegna, frutti, ombra, bellezzaper mille usi indispensabili epiacevoli”. Concludendo Barbera ci rac-conta degli alberi, del postoche di diritto “si sono conqui-stati nell’immaginario e nellearti”. Certo essi hanno subitonei secoli un progressivoattacco dall’era dell’homosapiens sino agli assalti fron-tali dell’homo tecnologicusdel nostro tempo. Epperò,paradossalmente, è proprioquest’ultimo a cui ci si dovràappellare per non sprofonda-re nell’aridità del desertomondano, facendo ricorso siaalla ricerca scientifica sia alcambiamento degli stili divita.

GIUSEPPE BARBERAAbbracciare gli alberi. Millebuone ragioni per piantarli e

difenderliMondadori, Milano, 2009,

pp.208

I GIARDINI PERDUTICOMUNICARE CON GLI ALBERI PER NON APPASSIRE LA MENTEAntonio Casano

RECENSIONI

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rassegna libricurata da A. Casano

LA COLLEZIONE COLLISANI ELA GROTTA DEL VECCHIUZZOMuseo Civico “Antonio Collisani” di PetraliaSottana, 2008, pp. 119

«Nella comunicazione su "La Sicilia e l'unitàd'Italia" tenuta in occasione del "CongressoInternazionale di Studi Storici sul RisorgimentoItaliano", mettevo in rilievo quello che a mioparere era l'episodio più significativo avvenutonel periodo compreso tra gli anni Trenta-Quaranta del secolo scorso, e cioè la scoperta,nel maggio 1936, della Grotta c.d. dei"Vecchiuzzo" sita nelle Madonie, nel Comune diPetralia Sottana.La scoperta, ad opera di Antonio Collisani, ungiovane poco più che ventenne, appassionato diarte e di storia, dava l'avvio ad un ricercaarcheologica programmatica ed ufficiale cherestituiva un ricchissimo giacimento preistoricoparticolarmente notevole, testimonianza di unapresenza umana nel lungo periodo compreso trail Neolitico e l'età del Bronzo.II giovane scopritore, nato a Petralia Sottana,era un esperto conoscitore della catena montuo-sa delle "sue" Madonie sia dal punto di vista geo-grafico che speleologico ed anche dei suoi abi-tanti e frequentatori: contadini e pastori o pro-prietari di appezzamenti agricoli soliti a trascor-rervi i mesi estivi nelle loro residenze di campa-gna. La passione del giovane Collisani era tota-le, volta alla bellezza di una natura selvaggia emaestosa ed al tempo stesso alla cultura ed allacreatività degli abitanti di questi luoghi; in que-sto ambiente egli cercava di raccogliere quantepiù testimonianze possibili in quanto per lui ognioggetto costituiva il coronamento dell’intelligen-za e della manualità dell'uomo. Sia pur da dilettante, ma dotato di una notevolepredisposizione allo studio e alla ricerca insenso globale, aveva un profondo senso delvalore scientifico della disciplina archeologica,tanto da affidarsi, spesso, a chi riconosceva piùesperto di lui in quanto conoscitore di metodolo-gie volte a distinguere il vero dal falso. Fu cosìche lo conobbi. Nel tempo, infatti, il suo interesse per gli ogget-ti e le opere d'arte del mondo classico era cre-sciuto notevolmente tanto da spingerlo a racco-gliere e ad acquistare tutto quanto gli fosse pos-sibile al fine di salvarlo dalla dispersione;temendo però di prendere qualche abbaglio col-lezionando dei falsi di nessun valore, era solitorichiamare la mia attenzione su oggetti di variotipo, fossero essi vasi o statuette, in genere pro-dotti della tecnica e della fantasia umana e cometali depositari di storia e cultura.Per lui ogni oggetto nasceva dall'idea di un artigia-no o dalla visione di un artista di cui riusciva a

cogliere le personalità e la differenza dell'uno o del-l'altro. Ricordo con nostalgia le lunghe visite allasua "Persiana", spesso in compagnia di mia moglie,e le lunghe conversazioni davanti ai quadri ed aglialtri oggetti d'arte contemporanea esposti secondoun programma artistico personale ben definito e cheda appassionato amatore offriva e sottoponeva conspirito critico alla osservazione di amici ed amatoridell'arte sollecitandone il loro giudizio.Il suo collezionismo appassionato, intelligenteed erudito tendeva a salvaguardare quanto rite-neva prezioso per il suo valore estetico e forma-le pensando alla collettività che un giornoavrebbe potuto esserne partecipe» (p.13)

(vincenzo tusa)

Shara PirrottiIL MONASTERO DI SAN FILIPPO DIFRAGALÀ (Secoli XI-XV). Organizzazione dello spazio,attività produttive, rapporti con il potere, culturaOfficina di Studi Medievali, Palermo-2008,pp.418

«Il monastero sorgeva in quel Val Demone, abi-tato da una popolazione prevalentemente grecae ortodossa come quella della quasi prospicien-te Calabria. Proprio con quest'ultima, d'altraparte, il medesimo Val Demone era in rapportiintensi e continui fin dall'epoca bizantina, fin dalX-XI secolo, come si evince dai più recenti studidedicati alla gelsicoltura e alla produzione ecommercio della seta. Si tratta di quel ValDemone che, a detta di Goffredo Malaterra, sto-rico delle epiche gesta dei due più ardimentosi efortunati conquistatori normanni, il duca e ilgranconte, cioè i fratelli Roberto il Guiscardo eRuggero d'Altavilla, aveva un'alta densità diabitanti cristiani anche sotto l'arabocrazia. Esignificativamente il monastero è posto sotto ilvocabolo di San Filippo, il santo nativo dellaprovincia di Tracia al quale era dedicato unmonastero nei pressi di Enna, ad Agira. Si trat-ta di un santo che ben si presta ad essere consi-derato il protettore del monachesimo greco diSicilia sotto la dominazione islamica. Tra IX e Xsecolo, infatti, il monastero di Agira avevaaccolto e formato personaggi destinati a irra-diare la spiritualità e l'ascesi monacali di matri-ce orientale e greca in direzione di Calabria,Basilicata e Campania fino a Roma (...).Il libro di Shara Pirrotti ha il pregio di utilizza-re intelligentemente una cospicua messe di fonti,non poche ancora giacenti inedite negli archivi,e di valersi criticamente dell’amplissima biblio-grafia degli studi al riguardo. All’Autrice variconosciuto il merito di far luce, in modo nuovo

ed esauriente, su questo monastero in tutte lefasi della sua lunga storia e di offrire perciòall’attenzione degli studiosi o dei semplici letto-ri un’opera destinata a durare come strumentoindispensabile alla ricerca e alla rivisitazionedelle memorie del passato» (pp. XIX-XX)

(filippo burgarella)

Anita Crispino/Agostina MusumeciMUSEI NASCOSTICollezioni e raccolte archeologiche a Siracusadal XVIII al XX secolo, Electa, Napoli-2008,pp. 184

«Nel corso del XVIII secolo lo studio delle anti-chità … si manifesta secondo principi e modali-tà paragonabili a quelli delle scienze naturali:l'obiettivo primo è la rappresentazione visivadegli oggetti di studio. Di qui il ruolo e l'impor-tanza crescente nel lavoro degli eruditi, sianaturalisti che antiquari, dell'illustrazione, delcatalogo e dell'uso delle copie. Grazie al colle-zionismo … e al metodo comparativo, si costitui-sce un immenso corpus di oggetti, una sorta dipre-museo immaginario che ingloba e censisceiconograficamente le iscrizioni, le monete, isigilli, tutti gli accessori della vita quotidianapubblica e privata e i grandi edifici religiosi ocivili. Il trasformarsi e mutarsi nel tempo degli interes-si collezionistici e del loro concretizzarsi museo-grafico non sono dovuti solamente a fattori digusto e di suggestione emotiva, ma sono la tan-gibile dimostrazione del modo di porsi, di stu-diare e di rintracciare l'antico, che corrispondeanche allo sviluppo della ricerca archeologica,intesa come disciplina autonoma, strumento diindagine storica. Nel XVIII secolo dunque, il progetto di demo-cratizzazione del sapere investe anchel'Antichità e trasforma l'antiquariato nellanuova scienza dell'archeologia. L'origineindividuale e privata del primo collezionismosi trasforma nel corso del Settecento, per lamediazione di Università e Accademie, inruolo didattico attivo, legato all'insegnamen-to: il museo d'arte esce dall'universo privatoper assumere un ruolo pubblico, ma ciò saràeffettivamente possibile solo dopo il travol-gente passaggio della Rivoluzione Francese.Con il 1789, infatti, prende tumultuosamenteavvio il più grande processo di appropriazio-ne di beni, allora per la prima volta definitiufficialmente «beni nazionali». Per assicura-re la salvaguardia di tante ricchezze, laRivoluzione saprà approfittare del museo,

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riscattandone l'origine aristocratica ed indi-viduale, trasformandolo in uno spazio neutrocapace di far dimenticare il significato origi-nario degli oggetti (religioso, monarchico efeudale), con l'attribuzione del valore unicodi Patrimonio. La stessa parola Patrimonio,adottata per la prima volta in senso pubblico,testimonia che il valore primario del tesorotoccato in sorte al popolo è in prima istanza,oltre che nazionale e quindi collettivo, ancheeconomico, come una vera e propria eredità.L'istituzione del Museo, inteso come spazio dicollettiva fruizione, non mette fine al fenome-no del collezionismo, che è continuato finoagli inizi del secolo scorso, con l'adornare isaloni delle case patrizie e della ricca bor-ghesia, con l'esposizione di manufatti anchedi rilevante valore storico-artistico, ma avul-si dal contesto d'origine, visti come oggetti dipuro ornamento. Tutto ciò è stato possibilefino a quando non è intervenuta la legislazio-ne a mettere ordine in merito. L'Italia affida,infatti, la protezione dei suoi beni ad unalegge speciale, la 1089 del 1939, che stabili-sce che tutte le cose, immobili e mobili, rinve-nute nel suo territorio che presentano interes-se artistico, storico, archeologico o etnogra-fico, appartengono allo Stato» (p.14)

(mariella muti)

Aurelio Angelini (a cura di)IL BATTITO D’ALI DI UNA FARFALLABeni comuni e cambiamenti climaticiEdizioni Fotograf, Palermo-2008, pp.685

«Il Rapporto Apat/OMS 2006 ha monitorato l'in-quinamento in 13 città italiane. I risultati indica-no che l'impatto sanitario è considerevole e sistima una media di 8.220 morti l'anno. I cambiamenti climatici rappresentano la puntadell’iceberg, hanno effetti quali malattie degene-rative causate dall’inquinamento e pongonoulteriori limiti fisici alle risorse necessarie:acqua, riso, mais etc., in un contesto in cui lapopolazione mondiale è in continua crescita e ilprogressivo impoverimento della biodiversitàdetermina una sequenza a catena. (…) Il suolosvolge funzioni essenziali per garantire l'equili-brio degli ecosistemi. In particolare, esercita:una funzione produttiva; una funzione protetti-va; una funzione regolatrice; una funzione natu-ralistica … conserva le testimonianze storiche eculturali dell'uomo negli immensi patrimonimonumentali e artistici dell'umanità .Il paesaggio, che rappresenta la ricchezza deiterritori, oggi è sempre più compromesso dalladeturpazione e dall'invadenza degli ambientiantropizzati anche in considerazione che le città

rappresentano il luogo in cui è concentrato ilmaggiore consumo e la maggiore trasformazio-ne delle risorse del pianeta.Questi problemi, - fra le tante questioni ambien-tali - ci pongono drammaticamente di fronte aduna realtà che richiede scelte difficili, che siriassumono nel cambiamento di stili di vita, nelripensare l'uso dello risorse e dello spazio,riconsiderare il nostro impianto produttivo eprocedere ad una sua trasformazione per arre-stare la prospettiva minacciosa che abbiamo difronte» (pp.10-11)

(aurelio angelini)

Rosalba Panvini/ Lavinia SoleLA SICILIA IN ETÀ ARCAICADalle apoikiai al 480 a. C. Contributi dallerecenti indagini archeologiche, CRICD,Palermo-2009. voll.2

«“La Sicilia in età arcaica. Dalle apoikiai al480 a. C.” è il titolo della Mostra inaugurata aCatania (ottobre 2006-gennaio 2007) nei localidel Monastero dei Benedettini dell'Università diCatania, dopo il successo riportato nella prece-dente esposizione svoltasi negli spazi del nuovoMuseo Archeologico di Caltanissetta (giugno-agosto 2006). (…) Si è trattato di un eventodagli altissimi contenuti scientifici, per la primavolta organizzato a livello internazionale, cheha permesso di vedere esposti circa 600 oggettitra elementi architettonici, sculture in marmo,ceroplastica, ceramiche, manufatti in metallo,monete (le prime emissioni delle colonie sicelio-te), iscrizioni, scelti tra gli oltre 1000 manufattiche sono stati analiticamente inseriti in questocatalogo stampato a cura del Centro RegionaleInventario, Catalogazione e Documentazione.(…) Il percorso espositivo è stato articolato inquattro sezioni dedicate rispettivamente all'VIII,al VII, al VI secolo e al tardoarcaismo, cioè aquella delicata fase di transizione dal periodoarcaico allo stile severo. Tale strutturazioneespositiva ha permesso di cogliere la nascita, lamaturazione e l'evoluzione dell'arte e dell'arti-gianato del periodo arcaico in Sicilia, unitamen-te alle innovazioni che caratterizzarono le mani-festazioni artistiche siceliote rispetto a quelledella madrepatria.I contatti fra i primi coloni greci e gli Indigeni diSicilia sono stati documentati dai manufattiesposti nell'ampia sala dedicata all’VIII secolo,comprendenti, oltre ad alcuni vasi della necro-poli della valle del Marcellino, nel retroterra diSiracusa, anche le più antiche importazioni diceramiche greche ritrovate in Sicilia, associatea ceramiche di produzioni indigena, nonché a

manufatti ceramici e metallici prodotti daSicani, Siculi ed Elimi, cioè le tre etnie indigene,con le quali i Greci si confrontarono nelmomento del loro arrivo nell'Isola» (pp.52/53)

(r. panvini / l. sole)

Patrizia Li Vigni Tusa (a cura di)LE VIE DEL MARE. Catalogo della mostra iti-nerante nel mediterraneo, Ass.to Reg.leBB.CC.AA.e P.I.-Museo Storia Naturale e MostraPermanente del Carretto Siciliano, Palermo-2008,pp.321

«La Rete dei Musei del Mare è nata, dall'esigen-za di approfondire la conoscenza del patrimonioinerente la cultura del mare sotto l'aspetto geo-logico, archeologico, naturalistico -evidenzian-done la biodiversità- e antropologico, per docu-mentare in particolare la cultura del mare edare rilievo al patrimonio subacqueo -che sol-tanto attraverso un attività di tutela in Rete- puòessere salvaguardato e studiato fornendo innu-merevoli spunti di ricerca. Ogni Museo ha, quindi, arricchito i propri per-corsi scegliendo i reperti dalle proprie collezio-ni, mantenendo inalterati sia il percorso museo-logico che gli aspetti scientifici legati ad esso.L'itinerario intrapreso ha rappresentato e rap-

presenta le fondamenta della cooperazioneeuropea instaurata che è stata ed è in grado diavvicinare i musei alla cooperazione stabilendol'ottimizzazione, secondo i nuovi concetti dimuseografia, dei percorsi espositivi e delle atti-vità collaterali. La Mostra ha rappresentato questa RETE chemetaforicamente racchiude nelle sue maglie itesori più affascinanti, i racconti del mare, lasimbologia delle decorazioni delle barche, la tra-dizione di un popolo che ha vissuto e vivebagnando la sua storia nel Mar Mediterraneo.Una rete che, attraverso i percorsi museali,lascia intravedere: reperti archeologici che testi-moniano il commercio nelle varie epoche; reper-ti storico artistici che dimostrano come l'uomo,raccogliendo dal mare i suoi tesori, ha creatoartefatti ed oggetti di inestimabile valore, in par-ticolare dipinti e immagini apotropaiche, mera-vigliose opere d'arte in corallo, atte a scongiura-re i pericoli del mare; documentazione delleprime forme di pianificazione per intraprendereil "viaggio" attraverso l'uso di carte nauticheriportanti rudimentali informazioni, descrizionidi carattere geopaleontologico e cartografiesulle profondità marine, sulle correnti, sullecoste; una raccolta diacronica di portolani chescorrono offrendo al visitatore un'informazioneesaustiva di rotte, porti ed approdi» (p.29)

(patrizia li vigni tusa)