"Candido" - Tyche magazine numero 2 Giugno 2015

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Questo nostro filosofeggiare su una parola ogni mese è una sorta di filo apparentemente invisibile, che crea un interessante legame con i nostri ospiti. Interviste, opinioni o semplici chiacchierate trovano poi l'incontro in questo termine, che sembra quasi farci scoprire il nostro interlocutore, fuori dalle domande più o meno interessanti che riusciamo a fare. Superata la prova del “come” del primo numero, ecco che arriva il “candido” di questo mese di giugno. Curiosando sul nostro sito o sul magazine cartaceo troverete tante risposte che, come nostra intenzione, possano indurre anche a te che leggi ad uscire dai luoghi comuni del pensare quotidiano. E siccome ora tocca a me, chiudo gli occhi e li riapro guardando il cielo e penso che: “Candido è quel grammo di lucida follia che permette di riappropriarmi di sensi, intuizioni e primitivo bisogno di libertà. Candido è il bisogno che ho dentro di me di agitarmi un po' prima di accendere il tollerante interruttore dell'intelletto”.

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Paoluzzi e Capponi affidano la voglia di scrivere al premio La Giara

Kruger AgostinelliDirettore responsabile

Salvatore Lattanzi

CANDIDO C ome candido anche se di candido nulla serbo.

Candido di neve e di nebbia mi riempio, anche se di candore non son degno.Candido come se dì viltà, e di con-sapevole ludibrio io fossi cosciente, mi ergo.Candido come pesce in mezzo agli squali il mio pensiero volge lo sguar-do a candide spiagge.Empio di nuove nozioni, che il mio intelletto volle creare, mi presento come spoglio arbusto in mezzo ad av-voltoi, che se anche salvo da appetiti voraci assisto a banchetti che non si potrebbero augurare.Come candido essere io rinnego ciò che sono, ma come mente pensante mi giudico perché di vero mi nutro.Ecco cosa avi e anime a me vicine vollero insegnare, ed io come molti-tudini stolte riuscii ad ignorare con-vinto che di nuovo e di vero avremmo avuto cielo.Così nudo e insolente sento di pre-sentarmi, verso giudizi a noi non concessi. Che se concepire posso il candido, nulla devo per mia discolpa verso il candido vero.Io penso, vivo e respiro ciò che can-dido mi presentarono, anche se capi-sco che di candido mai avrò nulla. Se non nel riconoscere a mia discolpa l’unica verità, che di candido si de-cora, che di candido si può anelare ma che di umano nulla si potrà mai comparare, con verità a lei dedicate.Perdono chiedo che di candido con-cepisco, ma che di vero nulla riesco a prospettare; ma capisco ora più che mai, che di utopia si tratta, se di can-dido vogliamo profetizzare in umana conoscenza.Innamorato più che mai di umana virtù, oggi concepisco che di candi-do nulla potrei trovare, se non il vero umano che in noi dimora.

È giunto alla quarta edizione il premio letterario “La Giara” bandito dalla

Rai. Un osservatorio sulla narrativa gio-vanile che, attraverso le sedi regionali, se-leziona i migliori romanzi (opere prime) di autori che hanno dai 18 ai 39 anni. Tre i gradi di giudizio prima di arrivare alla terna vincitrice. I romanzi semifinalisti per le Marche sono “L’innocenza del ger-moglio” di Irene Paoluzzi, 38 anni di Ci-vitanova, e “Il volo del nibbio” di Marco Maria Capponi, 21enne di Macerata.Irene Paoluzzi lavora per una società sve-dese di sviluppo software che recente-mente l’ha spedita a Manila, capitale delle Filippine. Ha lasciato la natia Civitanova

È il secondo termine protagonistache animerà TYCHE magazinesia in edizione cartacea che sul web

a 19 anni e vi fa ritorno di rado. L’ultima volta, però, vi è rimasta per di-versi mesi. Il motivo? Re-alizzare il sogno che col-tiva da quando aveva 20 anni: scrivere un romanzo “vero”.Marco Maria Capponi stu-dia Scienze internazionali

e diplomatiche a Forlì, sede distaccata dell’Università di Bologna. Ha creato un blog per un confronto su attualità, politi-ca, temi sociali. Quindi insieme ad alcuni amici ha dato alla luce “Vita Activa”, una rete associazionistica, e contestualmente scrive articoli per l’Università.‹‹L’innocenza del germoglio rappresenta due aspetti contrastanti della vita – spie-ga Irene Paoluzzi – quella che si impone in maniera prepotente, che rompe la cor-teccia. Il germoglio che nasce, sfidando gelo e terreni inadatti. Ma il germoglio è al tempo stesso fragile, inconsapevole, puro››.‹‹Il nibbio è il mio animale preferito – af-

Emanuele Pagnanini

Q uesto nostro filosofeggiare su una parola ogni mese è una sorta di filo apparentemente invisibile, che crea un interessante legame

con i nostri ospiti. Interviste, opinioni o semplici chiacchierate trovano poi l'incontro in questo termine, che sembra quasi farci scoprire il nostro interlocutore, fuori dalle domande più o meno interessanti che riusciamoa fare. Superata la prova del “come” del primo numero, ecco che arrivail “candido” di questo mese di giugno. Curiosando sul nostro sito o sul magazine cartaceo troverete tante risposte che, come nostra intenzione, possano indurre anche a te che leggi ad uscire dai luoghi comuni del pensare quotidiano.

E siccome ora tocca a me, chiudo gli occhi e li riapro guardando il cielo e penso che: “Candido è quel grammo di lucida follia che permette di riappropriarmi di sensi, intuizioni e primitivo bisogno di libertà. Candido è il bisogno che ho dentro di me di agitarmi un po' prima di accendere il tollerante interruttore dell'intelletto”.

Buona lettura di questo secondo numero di Tyche Magazine e ogni giorno cercheremo di curare la vostra curiosità sul web.

Kruger AgostinelliDirettore responsabile

ferma Marco Maria Capponi – è stato il mio nickname e anche il nome del primo blog. Ho visto che nel contesto della sto-ria riuscivo ad identificarmi con un perso-naggio. Mettendo il nibbio ho messo me stesso››.

approfondimento su tychemagazine.it

FATTI UN SELFIE E VINCI BIGLIETTI

PER I CONCERTI DI BREGOVIC,

ARBORE, PEZZALI E NEGRAMARO

T YCHE, nella mitologia greca, è la personificazione della fortuna, quindi dobbiamo rafforzare questa antica divinità. Come? Semplicissimo: stringi forte questo secondo numero di Tyche Magazine e inventati un selfie divertente, artistico o sem-plicemente originale. Leggi sulla nostra pagina Facebook (www.facebook.com/tychemagazine) le modalità e, mi raccomando, devi dire pure in quale punto di distribuzione hai trovato il nostro giornale, perché se vincerai sarà premiato anche lui: un ringraziamento, quest’ultimo, a chi ci ha permesso di far girare le nostre 30mila copie nelle Marche. In palio, per te e il tuo distributore di fiducia, biglietti omaggio per i nostri concerti. Premieremo infatti ogni settimana la foto che otterrà più LIKE e lo scatto più bello o simpatico.Buon TYCHE a tutti!

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GORAN BREGOVIC A CIVITANOVA: “VORREI ESSEREUN ITALIANO”

‹‹ Un progetto che ho voluto for-temente, un festival diverso da

tutti quelli esistenti››. Così Giorgio Felicetti inquadra “Rive”, manife-stazione di cui è direttore artistico giunta alla terza edizione. E’ in pro-gramma dal 3 al 5 luglio 2015, con appendice l’11 luglio quando l’area portuale ospiterà il concerto di Go-ran Bregovic. Attore teatrale, regi-sta, autore, sceneggiatore: Felicetti è un’anima poliedrica con un comune denominatore, il palcoscenico. ‹‹Rive è indirizzato alla condivisione con il pubblico. Non ci sono barriere tra la platea e gli ospiti, questi ultimi coinvolti nella città. L’edizione 2015 è un miracolo organizzativo. Siamo riusciti, in un momento di restrizio-ni, a portare Bregovic a Civitanova grazie alla collaborazione con Tyche Eventi. Rive si contraddistingue per le sue proposte coraggiose, create ad hoc per la manifestazione. Ogni artista è chiamato a concepire il suo intervento specificamente per Rive. Penso a Jacopo Fo che porterà le sue esperienze dalla “Libera Università di Alcatraz”; o a Mauro Ottolini con i Sousaphonix, che il 5 luglio ese-guirà un concerto dedicato ai porti del mondo. Ma soprattutto penso ad una proposta come “I ragazzi del ca-valcavia”, di Industria Indipendente, che racconta della tragedia di Ma-ria Letizia Berdini nella città dove è nata e davanti ai suoi amici e parenti. Un omicidio che è ancora una ferita aperta a distanza di 19 anni. Imma-gino Rive come una finestra che da Civitanova si apre sul mondo››.

Giorgio Felicetti:“Rive Festival, una finestrasul mondo”

Emanuele Pagnanini

G oran Bregovic è in giro con il suo tour da Mosca e Pietroburgo a

Barcellona, dove lo becchiamo in transi-to, per questa intervista esclusiva. Ritor-nerà in Italia sabato 11 luglio e proprio a Civitanova, in occasione del Rive Festi-val, ci sarà l’anteprima nazionale grazie a Tyche Eventi.

Goran cosa unisce culturalmente que-sto mare?‹‹Da sempre sono affascinato dalle conta-minazioni musicali, quelle presenti nella mia musica, soprattutto. La musica infat-ti, è il primo linguaggio, ha un valore uni-versale e arriva dove la lingua e la politica non arrivano. Non è un caso che la musica balcanica sia stata influenzata dalla tradi-zione musicale italiana, così come la mu-sica italiana, specialmente nel sud, rivela influenze della musica greca, albanese e di tutti i Balcani››.

KrugerAgostinelli

“L’ADRIATICO È UN MARE CHE APPARENTEMENTE

CI SEPARA, MA AL TEMPO STESSO

È UN MARE CHE CI UNISCE”

Goran, tu sei una bandiera della musi-ca etnica balcanica, pensi che si possa contaminare il tuo sound?‹‹Mi piace pensare ad una musica senza frontiere. Qualche anno fa, con la mia Orchestra per Matrimoni e Funerali, ac-compagnati dall’Orchestra della Notte della Taranta, abbiamo dato vita ad un progetto musicale originale in cui le due rive dell’Adriatico si sono mescolate. Ab-biamo cercato di coniugare la dimensione di festa. Una contaminazione allegra e coinvolgente tra due tradizioni che han-no diversi elementi in comune. Il senso? L’Adriatico è un mare che apparentemen-te ci separa, ma al tempo stesso è un mare che ci unisce››.Cosa ti piace dell’Italia?‹‹Mi piacerebbe essere italiano se potessi! Appena diciottenne ho suonato nei loca-li tra Napoli ed Ischia. Ora penso ciò che pensavo allora: è una grande fortuna es-sere italiano. So che pensate di avere pro-blemi, ma qualsiasi persona dei Balcani sarebbe felice di cambiare uno dei nostri problemi con cento dei vostri!››.Cresce l’attesa per il tuo arrivo a Civi-tanova. Ogni tuo concerto è una gran-de festa, lo sappiamo. Tu giri spesso in

tutto il mondo ma la reazione del tuo pubblico è sempre uguale? Ovvero si assomigliano i sorrisi della gente?‹‹Ci siamo esibiti dall’estremo ovest come Seattle, o all’estremo est come Seul, dal profondo nord di Tomsk in Si-beria al sud di Buenos Aires. Il posto più strano dove abbiamo suonato e con il più grande pubblico è stato a Dyarbakir, alla frontiera tra Turchia, Siria e Iraq, dove ci siamo esibiti davanti a 250mila curdi. Ma 250mila o 2.500 o persino 750 persone, io do sempre il massimo, poiché solo così posso divertirmi e così si diverte con me anche il pubblico. E per Civitanova? Con la mia musica, chi non diventa pazzo, non è normale!››.I biglietti, che hanno volutamente il prezzo più basso di tutte le date italiane (15 euro+pre-vendita), sono disponibili nel circuito TicketO-ne e Ciaotickets. Infoline, Teatri di Civitanova (0733 812936); Tyche Eventi (0733 817259).

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INTERVISTA IN ESCLUSIVA

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italo-francese (nato in Lussemburgo) che fino al 31 settembre 2015 porta i suoi scatti marchigiani al Festival di Photo de La Gacilly (Francia). Si tratta di una delle rassegne più prestigio-se d’Oltralpe, che quest’anno, in collaborazione con l’Expo di Milano, ha deciso di concentrarsi sulla fotografia italiana, coinvolgendo diversi suoi esponenti, tra i quali Scorcelletti. Immagini in bianco e nero dove si susseguono volti, movimen-ti, scorci di vita quotidiana nella nostra regione. Attimi capaci di raccontare una storia che a volte neanche noi marchigiani riusciamo più a vedere, accecati dalla quotidianità. ‹‹Fotografo le Marche per come le sento – ha spiegato Scorcelletti -, faccio vedere quello che provo. La fotografia è un appuntamento con me, uno scambio delle mie sensazioni con gli altri››. Legame stretto quello di Scorcelletti con questa terra, che ha dato i na-tali al padre (originario di Jesi) e che è stata mèta delle vacanze estive da giovanissimo. ‹‹Il mio sguardo è quasi da bambino, tutto mi sconvolge››. Le opere, frutto di una ricerca partita al-cuni anni fa, sono state realizzate in analogico. ‹‹E’ un modo di fare d’altri tempi – ha osservato - perché scattare e non guar-dare una foto ora risulta essere un po’ strano. Prima era la nor-malità. Oggi invece con il cellulare siamo tutti fotografi, ma l’atto fotografico deve rimanere qualcosa di importante. C’è una parte di noi stessi nelle foto che facciamo, una parte della nostra anima››.

Gli scatti marchigiani di Scorcelletti: “Catturo attimi di vita”

“SONO SENSAZIONI BREVI CHE PER FORTUNA RIMANGONO IMPRESSE IN UNA PELLICOLA. PER RICORDARCI UN’EMOZIONE PROVATA”

‹‹ Sono scatti fatti sull’attimo. A volte premiamo il pulsante senza saperne

il perché. Ma se invece ragioniamo sulle emozioni che ci spingono a quell’azione possiamo trovarci dentro qualcosa. Cattu-riamo così attimi di vita, sensazioni brevi che per fortuna rimangono impresse in una pellicola. Per ricordarci un’emozione provata››. Sono le incisive parole di Ema-nuele Scorcelletti, prestigioso fotografo

MicheleMastrangelo

EmanuelePagnanini

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N ell’orizzonte architettonico di un territorio c’è la propria identità;

il profilo di una città rappresenta il pro-prio modello culturale e sociale. Sergio Salustri, architetto, urbanista, per 40 anni docente della facoltà di ingegneria del Po-litecnico delle Marche, offre una disserta-

zione su alcuni aspetti del paesaggio che si apre a chi visita la regione. Borghi che si affacciano su valli lungo le quali sono rintracciabili le antiche vie di comunica-zione. ‹‹Ogni epoca trova una rappresen-tazione di sé stessa anche attraverso l’ar-

L’ORIZZONTE DEL BORGO? “RAPPRESENTA L’IDENTITÀDEL TEMPO”

chitettura – spiega – che, come tutte le arti, non è a sé stan-te. Edilizia ed urba-nistica rappresentano un modello cultura-le. Le Marche fanno parte di una fascia dell’Italia centra-le che comprende la Toscana, l’Umbria, parte del nord del Lazio e dell’Abruzzo, in cui è ancora ben ravvisabile il modello della città medioevale, basato sul com-mercio. E l’architettura ha seguito questo nuovo schema. Edifici e monumenti che poi sono entrati nell’immaginario colletti-vo ma nati come immagine identitaria del nuovo modello di città››. Il viaggiatore, fino ai nostri tempi, non aveva bisogno di navigatori satellitari per sapere dove si trovava. ‹‹Osservando lo skyline di un paese, nessun dubbio nel riconoscerlo.

Passando lungo la vallesina, nell’antica via Clementina (di cui mi sto occupando), ogni borgo era facilmente individuabile. Monumenti caratterizzanti, unici, ad indi-care la via. Lo stesso non può dirsi oggi all’interno di una periferia di una qualsia-si città. Perché, appunto, diventa una città qualsiasi, di qualsiasi parte del mondo. Facile smarrirsi all’interno di questi ag-glomerati››. Salustri cita Lewis Mumford, urbanista statunitense (scomparso nel 1990 a 95 anni) e il suo scritto “La cul-tura delle città” per spiegare il concetto.

Architettura ed urbanistica come “segna-li di riconoscibilità e di identità sociale e culturale”. ‹‹Con la globalizzazione c’è il tentativo di omogeneizzare tutto il mondo. Ma anche le opportunità date da nuovi materiali e tecnologie che necessitano, però, di es-sere ben governate››. Insomma, si aprono nuovi orizzonti che sono ancora da capire e da scoprire.

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“OGNI EPOCA TROVA UNA RAPPRESENTAZIONE DI

SÉ STESSA ANCHE ATTRAVERSO L’ARCHITETTURA

CHE, COME TUTTE LE ARTI, NON È A SÉ STANTE”

Torre di Palme nella foto di Scorcelletti

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O rmai anche la “casalinga di Voghe-ra”, tanto per usare una definizione

stereotipata, sa che la giornata in cui si vota è diventata election day; e nemme-no il più impacciato con l’inglese rimane interdetto davanti ad un trend. Sintomi di una raggiunta dimestichezza con la se-conda lingua che si cerca di insegnare sin dalle elementari? Non sempre, anzi quasi mai. Può essere il segnale di una lingua aperta che accoglie termini ormai inter-nazionali e non propri di un solo ceppo

È stato Gianni Vattimo a tenere a bat-tesimo Parole&Nuvole, un nuovo

ciclo di incontri pensato per creare dibat-tito nella sempre dinamica Porto Sant’El-pidio. Vattimo è stato intervistato dalla direttrice artistica del nuovo contenitore culturale, Oriana Salvucci, sul tema del-la verità. ‹‹Ogni volta che vengo nelle Marche trovo moltissime iniziative – ha esordito il filosofo - la vostra è una terra

Gianni Vattimo: “Troppe verità scelgono per noi Difendiamo le opinioni”

Emanuele Pagnanini

Michele Mastrangelo

“CANDIDO MI FA VENIRE IN MENTE IL

GIORNALE DI GUARESCHI, CHE

LEGGEVO DA PICCOLO. POI CANDIDO

MI FA VENIRE IN MENTE VOLTAIRE O UN

AMICO BRASILIANO GRANDE

MECENATE DELLA CULTURA. CANDIDO?

SIATE CANDIDI… COME COLOMBE E

ASTUTI COME SERPENTI”

linguistico. Ma anche la spia che l’italiano sia una lingua sotto asse-dio. Massimo Arcangeli, linguista affer-mato (docente all’Università di Cagliari, collaboratore della Treccani e curatore di una sezione del Futura Festival, tra le altre cose), spiega perché queste aggressioni all’italiano trovano terreno fertile. ‹‹Ci sono anglicismi necessari, cioè quel-li apparentemente non traducibili. Basti pensare al mondo della finanza, dell’e-conomia, dell’informatica. Poi, però, c’è l’importazione di termini che sostituisco-no il corrispettivo italiano. E quelli che, semplicemente, non sono tradotti. Questa importazione indiscriminata avviene per due vizi: pigrizia mentale ed eccessiva esterofilia. Ecco, da questi vizi bisogne-rebbe difendersi››.Arcangeli parla di ‹‹senso civico della lin-gua››, soprattutto in riferimento a perso-naggi pubblici (ma anche ai media). Inu-tile e dannoso propinare termini che non

virgolette?››. Quindi tutto ruota intorno ‹‹all’interpretazione, ma non tutte le in-terpretazioni valgono. Un’interpretazione è vera se nessuno può dirci nulla sopra. Se cioè le interpretazioni sono condivise e non problematiche››. E’ tutto un gioco di autorevolezza e al tempo stesso di strumenti in cam-po, in un’esisten-za dove ‹‹ci sono verità che non vogliono essere discusse››. E quin-di la “lotta” alla verità con la “V” maiuscola, ‹‹quel-la che pretende di saperne più di me, di decidere per me››, e la difesa dei pareri: ‹‹Ho l’impressione di dover difen-dere l’opinione e la libertà delle opinioni, con tutta la sua molteplicità››. E i social network, che si fanno spesso portatori di verità? ‹‹Sono portatori di un’altra forma

di comunicazione. Bisogna invece vede-re se quello che ci dicono corrisponde a qualche fatto››. Perché anche qui dobbia-mo imparare ‹‹a scrivere la verità con la “v” minuscola. Con la maiuscola è sem-pre una fregatura››. Tornando sul festival,

com’è nato? La ri-sposta della Sal-vucci: ‹‹E’ un ritor-no all’essenziale, al fondamento. Alla parola, nella sua centralità. Le paro-le del resto possono essere pietre o nu-vole. Noi abbiamo posto l’accento sul-le nuvole, un inno alla leggerezza

come la intendeva Calvino: “Leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”››.

Quando usare un anglicismo?Parliamo di contaminazioni con il noto linguista

sono di uso comune e, quindi, di difficile comprensione. ‹‹Avviene con gli anglici-smi ma anche con i tecnicismi di bandi pubblici o decreti legge››, osserva.Però la lingua, quando è parlata (e l’italia-no da Dante fino a dopo l’Unità era soprat-tutto scritta, sostituita nella quotidianità dai dialetti), necessariamente si “sporca”. Insomma, evolve, come successo a tutte le lingue. E nell’epoca della globalizza-zione, questo processo è accentuato.‹‹La contaminazione è un bene – continua Arcangeli – è un processo evolutivo ma anche un dialogo linguistico. Non deve spaventare, neanche l’inglese ne è immu-ne. Però l’italiano non deve cedere alla prepotenza dell’inglese››.Di sicuro, in Italia, non esiste lo sciovi-nismo linguistico di altre nazioni, dove si traducono anche termini internaziona-li come computer che in Spagna diventa

computadora e in Francia ordinateur. La lingua è forse l’aspetto più importante di un’identità nazionale. E in Italia, inu-tile nasconderlo, questo sentimento non è così forte. ‹‹Abbiamo sempre rincorso un’identità nazionale e non l’abbiamo ancora raggiunta, perché non è da essa che è scaturita l’Unità. Non abbiamo mai avuto una politica linguistica. Sarebbe il caso di pensarci perché è un investimento sulla cultura››. Parole da tradurre dall’in-glese ma anche da inventare. ‹‹E’ quello che proporremo a Futura Festival con il Twittabolario. Inventarsi il termine per qualcosa che c’è, esiste, ma non è ancora definito. Con il dono della sintesi, nei 140 caratteri di Tweet. Sarà il dizionario dei neologismi››.

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di vitalità culturale. Forse è così perché qui ci sono tanti borghi, castelli e tradi-zioni. Questa non centralità ha permesso una ricca esperienza››. Vattimo ha quindi posto le basi sul tema centrale, la verità, e sul fatto che questa parola ‹‹è piena di problemi. Se mi chiedete se qui ora vi sto dicendo la verità vi risponderei: vi sto dicendo cosa penso sia giusto dirvi››. La verità, al suo interno, porta una serie di incognite. ‹‹Come diceva Tarski “pio-ve” (tra virgolette) è vero solo se piove (senza virgolette). Ma chi toglie queste

“ECCO, NELL’ESTENSIONE DEL SIGNIFICATO DAL

LATINO ALL’ITALIANO DI CANDIDO, VEDO QUELLE

SFUMATURE CHE CI POTREBBERO PORTARE

A COLORARE IL MONDO. TINTE LINGUISTICHE

COME CHIAVE PER RESTITUIRE UNA VARIETÀ

ESPRESSIVA, UN CALEIDOSCOPIO DI PAROLE”

MASSIMO ARCANGELI:“L’ITALIANO? UNA LINGUA SOTTO ASSEDIO”

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Faini, l’autore dei big: “Da Renga a Fedez, quante emozioni”

MicheleMastrangelo

KrugerAgostinelli

MicheleMastrangelo

D ario Faini, ascolano classe 1976, è uno stimatissimo autore. La lista

delle sue collaborazioni è talmente lun-ga che, riportandovi l’elenco qui, questo articolo “rischierebbe” di assomigliare ad una pagina di Wikipedia, con una lunga

serie di esponenti di spicco del panorama musicale contemporaneo da mettere in fila. Oggi ne approfittiamo per riportarvi una bella chiacchierata che ci siamo fat-ti, in cui Faini ci ha anche parlato del suo ultimo e interessante progetto di pianista: Dardust.Lei è l’ideatore di questo ensemble d’eccezione.‹‹E’ un progetto pianistico che va ad incontrare sonorità ed atmosfere nordiche.

Sono partito da una scrittura pianistica e l’ho unita con un certo uso dell’elettroni-ca e con un trio d’archi. Credo che questa produzione sia la prima del suo genere in Italia e lo scopo è quello di mescolare in-sieme sound apparentemente diversi, cre-ando anche un’atmosfera direi cinemato-grafica. E’ come una colonna sonora di un film di fantascienza. E poi Dardust vuole anche essere un tributo a Ziggy Stardust nella sua componente spaziale, e al primo disco dei Chemical Brothers, riferendosi così alla parte elettronica››.Pianista e stimato autore, ha collabo-rato con tantissimi artisti. Come nasce un’idea?‹‹Quando scrivo il mio obiettivo è creare una canzone che innanzitutto testimoni un’emozione che in quel momento vivo personalmente. Bisogna essere onesti nella scrittura, senza fare il mestierante costruendo vestiti su misura. E’ un lavoro d’artigianato. Anche perché l’idea emo-tiva è soprattutto onesta, parto quando la sento vera. Poi inizia tutto un lavoro di cesellatura per adattarla a qualcuno. Ma

quest’ultimo passaggio in genere non lo faccio io. Se una canzone funziona, ed è bella, la possono cantare anche altri. Ci sono brani che ho scritto pensando a qual-cuno e che poi sono stati presi da un’altra persona. “Sempre sarai” non credevo po-tesse essere cantata da Moreno con Fio-rella Mannoia. Stesso discorso con Giusy Ferreri e “Ti porto a cena con me” o Noe-mi e “Se tu fossi qui”. Una canzone fa dei giri assurdi››.Certo ha un curriculum di tutto rispet-to. Tra le sue collaborazioni c’è pure Fedez, sicuramente l’artista del mo-mento. Ora le domandiamo: con chi vorrebbe collaborare in futuro? Qual-che aneddoto del suo lavoro di autore?‹‹Mi piacerebbe lavorare con Malika Aya-ne, ma non ci sono mai riuscito. Aneddo-ti? Con ognuno ho un ricordo particolare.

Ci sono canzoni che scrivo da solo e altre con l’artista. Mi ricordo che con France-sco Renga siamo andati due volte a Berli-no e lì abbiamo composto alcuni brani di “Tempo reale”. O quando siamo stati con Marco Mengoni in studio a comporre. Da ogni artista impari qualcosa››.Lei è la prova che nelle Marche c’è tan-to di buono nel panorama culturale. Ha qualcosa da segnalarci che non abbia-mo ancora intercettato?‹‹La Rua! Sono di parte, collaborando con loro, ma è una delle situazioni più forti perché sono i primi a portare in Italia l’ondata del nu-folk. Sono innovativi, tan-to che hanno trasportato la musica italiana in questo nuovo genere, strizzando anche l’occhio all’indie e al pop››.

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“INVERNO: IL MIO PRIMO INEDITO SCRITTO INTERAMENTE DA SOLO E CHE È STATO ANCHE IL PRIMO BRANO CHE ANNALISA HA PORTATO ALL’INIZIO DEL SUO PERCORSO AD AMICI”

S ta per entrare nel vivo la stagione li-rica 2015 dello Sferisterio di Mace-

rata. Il titolo scelto è “Nutrire l’Anima”, riferimento all’Expo. Parliamo di questo e di altro ancora con il direttore artistico del Macerata Opera Festival, Francesco Micheli.Lei ha fin da subito inserito anche lin-guaggi moderni all’interno dell’opera. Allora, come far avvicinare il grande pubblico? ‹‹Le nostre generazioni, o meglio le ge-nerazioni pre-internet, sono state allevate con linguaggi veloci come il cinema e la televisione, la cui fruizione è comprensi-bile a chiunque, senza bisogno di media-zioni, spiegazioni o introduzioni. Invece l’opera è la classica forma d’arte che ave-va bisogno di un padre, di un amico, di un parente o di un maestro che ti portava a vederla e te la spiegava. Questo passaggio di conoscenza si è estinto. Quindi bisogna innanzitutto tornare a raccontare le storie dell’opera. Chi come me prova a farlo è convinto che le nuove generazioni, più reattive, sono cresciute con i linguaggi cibernetici del computer e sono abituate a lavorare con un messaggio mediato. Di fronte ad un pc ci vuole una forte azio-

ne immaginativa e creativa. E’ lo stesso sforzo che un me-lomane deve fare quando ascolta l’or-chestra, assiste all’a-zione, al canto, alla recitazione››.Quando arriverà il tempo per avere po-sto per un’opera capace di inserire an-che elementi rock o comunque di altri generi?‹‹E’ un cammino di ricongiunzione non semplicissimo o immediato ma che va fatto. La grande musica e il grande teatro, verso inizio Novecento, hanno scelto al bivio due strade diverse, purtroppo o per necessità. Dopo la stagione Ottocentesca dell’opera verdiana e pucciniana, che era un’ottima mediazione tra comunicazione popolare e linguaggi colti, si è dovuto op-tare: o tenere il valore di impegno conte-nutistico e di complessità formale, o pun-tare alla musica di consumo, che va verso l’orecchiabilità, la fruizione immediata. Quest’ultima è la strada dell’operetta, del music-hall e poi della pop music. Adesso sono così lontani che questi due mondi sono difficili da avvicinare. Ma bisogna

provare a riunirli, lavorando sulla rappre-sentazione e sulla comunicazione dell’o-pera colta con forme più immediate, che magari mescolino anche generi diversi. Mi capita di fare conferenze in cui Verdi e Vasco Rossi raccontano la stessa storia. O Bjork e Rossini››.Che stagione ha in mente?‹‹Abbiamo sentito affini i temi di Expo, cioè collegare davvero le nostre grandi tradizioni con le esigenze del pubblico contemporaneo. Quindi da un lato pun-tando molto sui valori della nostra tradi-zione, che sono le declinazioni del melo-dramma con forme nuove, coinvolgendo artisti di talento e giovani. E, nel contem-po, rendendo tutta la città palcoscenico di festival››.

VERDI E VASCO NELL’OPERA DI MICHELI

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“Ho appena messo in scena Candide di Bernstein. Candide mi fa veramente sperare sul futuro dell’opera nuova, sulla possibilità di scrivere per il pubblico di domani”

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Una Eko per i Clash Mick Jones suona

(e firma) la chitarra marchigiana

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T anto tempo fa, quando ero anco-ra un’aspirante sceneggiatrice, sul

treno che mi portava a Roma per uno dei miei primi incontri di lavoro salirono due corpulente donne di colore, si sedettero una di fronte all’altra appoggiando a terra un secchio e, armate di cucchiaio, inizia-rono a mangiare un risotto. Io le guardai a occhi sgranati. Oggi mi comporto pratica-mente come loro.All’epoca, in veste di passeggera dilettan-te, a parte un libro o una rivista, i miei generi di conforto si limitavano a un pac-chetto di cracker e delle caramelle. Repri-

mevo la son-nolenza e mi beavo del paesaggio al di là del ve-tro. In segui-to, avendo ingranato col mestiere, mi sono trasfor-mata in una

cinica professionista del pendolarismo. Acquisendo ogni turpe abitudine di chi si sobbarca dieci ore (più o meno cin-que all’andata e cinque al ritorno, con-

ValentinaCapecci

VITA DA PENDOLARE SULLA TRATTA MARCHE-ROMA

Valentina Conti: archeologia della cultura? No grazieIl futuro significa giovani

I l libro in tempo di crisi. Tra difficoltà e prospettive future. Ne parliamo con

Valentina Conti, da sempre nome di spic-co dell’editoria marchigiana e titolare di Affinità Elettive, casa editrice anconetana nata nel marzo 2001.Valentina Conti, intanto partiamo dal suo impegno al Futura Festival di Civi-tanova. Lei è coordinatrice di sezione e

Michele Mastrangelo

ha curato lo spazio “Futura di Marca”. Cos’è per lei questo futuro?‹‹Il futuro significa “giovani”. Sono sem-pre interessata al loro lavoro e talento. Purtroppo oggi, molto spesso, si presta attenzione esclusivamente alla cultura antica. E’ giusto parlare dei grandi nomi del passato ma si tende a trascurare quello che è contemporaneo a noi. Non bisogna

tando coincidenze e ritardi) di spola ferroviaria alla setti-mana. Oggi, oltre a ignorare qualunque scenario scorra al finestrino, perché lo conosco a memoria in tutte le sue ver-sioni stagionali, se mi viene sonno dormo senza ritegno. Certo leggo sempre (fortuna il Kindle, santo subito!) ma più spesso scrivo, correggo co-pioni, telefono, guardo film al computer, invio e ricevo mail, all’occorrenza mi trucco, sono attrezzata per rammendare un orlo o riparare un accessorio, mi sgranchisco e mangio pa-sti caldi o freddi come a casa mia. Non sono al secchio di risotto ma credo di aver raggiunto di-screti risultati con le vaschette di pollo e patate e, addirittura, un ardito cartoccio di arrosticini. Nell’impervio obiettivo di ottimizzare una mezza giornata altrimenti sprecata. Ciononostante mi rompo le palle e quando scendo ho la schiena a pezzi e i piedi gonfi. Del resto, noi marchigiani non siamo particolarmente agevolati. Non è un caso, infatti, che le corriere della Ro-

ma-Marche passino per Teramo. Il tempo di percorrenza è leggermente inferiore e gli autisti sono cordiali e disponibili, ma vanno prenotate, costano di più e non puoi cambiare posto, cosa che in treno faccio regolarmente se mi capitano vicini chiassosi, bambini molesti o neonati dal pianto irrefrenabile, plotoni di boy-scout o, la più temibile delle seccature, quello che attacca discorso. Tuttavia, essere una

pendolare di provata esperienza mi con-sente di soccorrere neofiti e sprovveduti in caso di bisogno, dispensando consigli e ragguagli tecnici del tipo: come tentare di evitare una multa da capogiro se non si è obliterato il biglietto... (Il racconto intero sul nostro sito)

solo preservare “l’antico” ma anche guar-dare a quello che succede. Aprire gli occhi sul presente. L’archeologia della cultura da sola non basta. Ho accettato di segui-re una sezione perché penso che Futura, a differenza di tanti altri festival, sia una manifestazione intelligente, che punta al futuro prestando attenzione non solo al momento spettacolare, ma integrando il discorso con conferenze, approfondimen-ti, incontri con le scuole››.Lei è editrice. Che situazione sta viven-do questo settore?‹‹Una situazione drammatica. Il problema è che oggi esi-ste un’editoria industriale dei grandi nomi che guarda solo ai best-seller. E basta. Prima i ricavi prodotti dai libri di suc-cesso commerciale servivano, ad esempio, anche a pubblicare piccole collane di poesia. Ora non più. Per questo servono le case editri-ci indipendenti, ma queste ormai non rie-scono a sopravvivere in un Paese dove si legge sempre meno e senza aiuti pubblici. In altri Stati non è cosi. L’auspicio è che gli Enti sostengano la qualità e non solo l’intrattenimento fine a sé stesso››.C’è fermento tra gli autori marchigiani?‹‹Sono convinta che ci siano grandi ta-lenti. Il problema è riuscire a scovarli. Ci

sono concorsi che danno possibilità con-crete, penso a “La Giara” organizzato dal-la Rai e “Pagine Nuove” a Jesi. Ma sono soli in questo processo. Anche lo scouting dovrebbe essere seguito dall’Ente pub-blico. E comunque, l’unico modo per far conoscere i nuovi talenti è tempestare le città di incontri, eventi, presentazioni››.Il libro sarà sempre più telematico? O si stamperà ancora su carta?‹‹Sono stata la prima editrice nelle Marche a realizzare prodotti eBook. Esistono que-

ste tecnologie, quindi è bene per una casa editrice adeguarsi e cimentarsi in nuovi linguaggi. Ma in Italia i “libri elettronici” non hanno preso terreno e si registra un ritorno alla carta anche in Paesi come gli Stati Uniti. In Italia non è così diffuso l’e-Book, neanche tra i giovani. Il problema è creare un pubblico che legga››.

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“CANDIDO DI VOLTAIRE. LE PAROLE MI FANNO VENIRE IN MENTE I LIBRI. “LE PAROLE SONO TUTTO QUELLO CHE ABBIAMO, PERCIÒ È MEGLIO CHE SIANO QUELLE GIUSTE”, DICEVA RAYMOND CARVER”

Illustrazione di Roberto Mangosi

Page 8: "Candido" - Tyche magazine numero 2 Giugno 2015

Giugno 2015 / 8

CHEF TYCHE, LO ZAR NIKITA SERGEEV CONQUISTA LA CUCINA MARCHIGIANA

L a prima cosa che ci colpisce di Nikita Sergeev è che, riferendosi

all’evento del premio Chef Emergen-ti appena vinto, ci rivela di non sentirsi proprio giovanissimo. Solo per il fatto di aver partecipato per il secondo anno con-secutivo alla manifestazione. Eppure ha solo 26 anni. A dire la verità, come dargli torto? Vedendolo all’opera ci piace molto.

Ha una maturità sia filosofica che pratica nell’essere cuoco e, di conseguenza, nel saper costruire i suoi piatti con intuizioni che solo un fuoriclasse si può permettere. ‹‹Un vero chef si riconosce dal suo menu degustazione. E’ qui che si pesa il suo sa-per cucinare, la sua creatività e non sono concessi errori››, spiega seduto a tavola con noi nel suo ristorante, L’Arcade di

Porto San Gior-gio. Ma passiamo alla tavola, che abbiamo abbi-nato con tre vini di Montecap-pone, lo spumante Sauvignon, Tabano bianco e Verdicchio classico dei Castelli di Jesi. Ci sediamo e Leonardo Niccià, sommelier esperto e piacevole intratte-nitore per gli ospiti, ci serve nell’attesa degli stuzzichini in salsa finger food, con pane carasau con acqua di polpo e semi di senape. Poi tartelletta di pasta brisè con alici di Cantabrico e salsa di soia. Piccole esplosioni di sapori quando la “gelatina” di polpo si squaglia in bocca e rilascia tutto il mare, fortificato dal sale della sa-porita alice e dalla soia. Ci fermiamo già estasiati al quadro di colori che il piatto ci evoca, con Federico, il nostro fotografo, che sapientemente si prepara ad esaltarne i colori con la sua arte. E subito dopo il nuovo quadro si dipinge di rotondità, da quell’arancione di un carpaccio di carota adagiato su un’aringa candita che tanto ci

ricorda la Russia di Niki-ta, affiancata da una cial-da al mais. Ma da Mosca siamo subito riportati nel modenese, con una degustazione di aceto balsamico che contrasta i colori caldi del piatto, spruzzata da Leonardo per sconvolgere le sapi-dità. E arrivano altre ge-ometrie, quelle del pane, servite su un piatto deco-rato proveniente proprio da Mosca. Dicevamo, il pane rigorosamente fatto in casa. Dal grissino alla sfogliatina, dal panino con il lievito madre, alla pagnotta al nero di sep-

pia (una delle nostre preferite). Da spez-zare e inzuppare in un olio del frantoio Franci. E gli antipasti vanno avanti con gamberi dell’Adriatico in salsa Cognac (più che Adriatico, sangiorgesi doc) e vin-cisgrassi da “scoprire”, in un piatto che a prima vista sembra tutt’altro. Ma al palato ricorda la nonna e il miglior pranzo della domenica. Poi le pietanze si susseguono e si passa ad un polipo con crema di carote e cumino, con il sapore che viene ribaltato da piccole scaglie di roquefort da abbinare

a piacimento. Nikita gioca senza paura in un campo in cui può osare. Così le luma-che di vigna francese del prossimo piatto sono stemperate con crema di cavolfiore, liquirizia e amaranto croccante. Si conti-nua con i primi e con quel riso ai sentori di mare che Nikita ci mostra aprendo le porte della sua cucina. E carbonara ma-gistrale. Poi cambio, di nuovo. C’è un

tenero piccione e patata Robuchon, per stravolgere ancora le sensazioni e le carte in tavola. E’ tempo di “ripulirsi” la bocca. Nikita ha creato un “Gioco di freschezze” per sugellare il passaggio ai dolci. Palli-ne ghiacciate di frutta che scoppiettano in bocca con la polverina Frizzy pazzy. Geniale. E quindi arriviamo al “Soffrit-to all’italiana”, pietanza che lo ha reso celebre al concorso di Luigi Cremona e organizzato da Witaly. Sorprende sentire i sapori del sedano e della carota che di-

ventano freddi. E alla fine, l’arrivederci nella tradizione della pasticceria. Panna cotta, Crème légère al mandarino, cremo-so al cioccolato bianco e lingue di gatto. Che altro aggiungere? I sapori e gli odori ci sono tutti. Non poteva iniziare meglio lo Chef Tyche.

KrugerAgostinelli

MicheleMastrangelo

‹‹Un vero chef si riconosce dal suo menu degustazione. E’ qui che si pesa il suo saper cucinare, la sua creatività e non sono concessi errori››

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“SONO QUI IN TERRAZZO E VEDO QUESTE PIANTE DI GELSOMINO FIORIRE. QUESTO PROFUMO MI HA FATTO VENIRE IN MENTE COME PRIMA COSA PROPRIO IL GELSOMINO. CANDIDO E BIANCO”

Page 9: "Candido" - Tyche magazine numero 2 Giugno 2015

Giugno 2015 / 9

Tyche Live, ovvero quando una redazione prende vita

trasformandosi in un palco. Perché quando un progetto

editoriale non si limita a raccontare l’evento ma vuole crearlo,

allora le scrivanie fanno spazio agli strumenti musicali.

L’idea è ispirata dalle esibizioni più memorabili dei giganti

della musica, i Beatles e gli U2 che cantano sui tetti.

L’intento non è certo emulare ciò che è inarrivabile.

Però vista la posizione dell’edificio di corso Vittorio Emanuele

a Civitanova, orientata verso piazza XX Settembre, dove ha

sede la redazione, si è pensato di sfruttare la presenza non

solo di musicisti, ma anche protagonisti di qualunque forma

artistica da intervistare per farli esibire.

Tutti rigorosamente live sul sito tychemagazine.it.

Appuntamenti che avranno una cadenza quindicinale e di cui

saranno fornite, di volta in volta, tutte le informazioni.

www.tychemagazine. i t

Page 10: "Candido" - Tyche magazine numero 2 Giugno 2015

Giugno 2015 / 10

Page 11: "Candido" - Tyche magazine numero 2 Giugno 2015

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I MURR A CACCIA DELLO STILE MADE IN MARCHE PER RAI DUE

appassionati di fashion e lifestyle, i due sono molto attivi nel mondo dei social e la loro umiltà la si può vedere di continuo in tutti i commenti ai quali rispondono sem-pre personalmente. Consulenti di moda, ma anche personaggi tv: due in uno per un doppio unico inimitabile nel fashion

A ntonio e Roberta Murr non hanno un’unica definizione. E, forse, è

proprio questo il bello. Fashion consul-tant, personal shoppers, stylist: da oltre quindici anni i due creativi sono inseriti ai più alti livelli del mondo della moda e non si fermano un secondo. Seguitissimi dagli

world. Uno in due, due in uno, fatto sta che Antonio e Roberta sono un’unica en-tità inseparabile e fanno di sé stessi un marchio.Ebbene, recentemente la coppia nel lavo-ro e nella vita ha fatto un salto in quel di Civitanova. Look perfetto, accessori e oc-chiali impeccabili: nulla lasciato al caso nell’outfit scelto per l’incursione marchi-giana. Scopriamo insieme questi due pro-fessionisti della moda, facendo una piace-vole chiacchierata con Antonio.Da Milano a Civitanova? Cosa ci fanno Antonio e Roberta nelle Marche?‹‹Conosciamo bene questa regione, siamo nella moda da molto tempo e il vostro ter-ritorio è pazzesco in questo settore. Sia-mo qui perché da circa cinque anni stiamo cercando di far conoscere i prodotti di

eccellenza italiana come consulenti, ma anche collaborando alla realizzazione di alcune capsule collection. In questo modo creiamo dei canali per le aziende e le gui-diamo in un percorso che permette loro di strutturarsi e pensare a nuove strategie di comunicazione. I marchigiani sono dei grandissimi lavoratori, pieni di passione, ma molto spesso non hanno tempo di pen-sare a nuove logiche e a strutturarsi››.Siete dei consulenti, ma anche dei per-sonaggi tv a tutto tondo. Quali sono i vostri prossimi progetti televisivi?‹‹Vogliamo raccontare le aziende italia-ne attraverso le persone, fare storytelling emozionale. Perché le aziende sono fatte prima di tutto da persone e noi voglia-mo mostrare al nostro pubblico cosa c’è dietro quel prodotto e con quanto amore viene fatto. Nel nostro nuovo programma per Rai 2 faremo vedere ben sei eccellen-ze per ogni regione italiana e il distretto calzaturiero marchigiano ci interessa dav-vero molto per questo motivo››.Milano Vs. regione Marche.‹‹Noi siamo originari della Sardegna e della Liguria e per questo, appena arrivati, è stato bellissimo respirare aria di mare. A Civitanova, in particolare, è tutto a mi-sura d’uomo: la cordialità delle persone, i sorrisi, il clima, lo stile di vita. Milano è tutta un’altra storia: una città ormai non più italiana, ma cosmopolita con una ricca anima commerciale. Una città che ci aiuta nella nostra attività nel settore moda, ma che non ha più quei ritmi di vita che han-no i marchigiani››.

ValentinaCastelli

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ValentinaCastelli

Chef Barbieri veste di saporeMemory’s ltd

R iutilizzare per non dimenticare. Reinventare per tornare a sognare.

Questa la filosofia del brand marchigiano Memory’s ltd, nato in casa di Compagnia del Denim, in provincia di Ancona: un brand che dà una seconda chance anche ai tessuti utilizzati per gli equipaggia-menti militari e navali, a quelli usati per i rivestimenti dei mezzi di trasporto e a quelli adoperati nelle vecchie industrie metalmeccaniche. Dietro ogni centimetro di stoffa, dietro ogni dettaglio, si può as-saporare il fascino del vissuto arricchito dalla nuova reinterpretazione in chiave modaiola e in una serie esclusiva. Innova-zione che in questo caso fa rima con tradi-

zione e va ad unirsi al mondo della cucina e del recupero dei sapori del passato. Sì, perché in fondo la creatività, la ricerca e la qualità sono tra i fattori fondamentali sia nella moda che nella cucina. E allo-

ra perché non unirsi e concepire qualcosa di veramente unico? Nasce così la prima capsule “Barbieri per Memory’s ltd”, presentata in esclusiva a Pitti Immagine Uomo Magazzino 2 – Urban Panorama ed

esplosa dall’incontro tra Alessandro Mar-chesi ed il famoso chef Bruno Barbieri. Dieci è il numero prescelto: dieci capi realizzati per ridare alla natura, ai sapori genuini, alla qualità delle materie prime la giusta importanza, non relegandoli solo ai piaceri di una volta. Come un tempo, i capi venivano realizzati su misura e i piat-ti conservavano intatti i sapori dell’orto, così la capsule “Barbieri per Memory’s ltd” vuole tornare a regalare quelle sen-sazioni di genuinità e unicità, reinterpre-tandole però in chiave moderna e attua-le. Sulla scia di Expo 2015 e delle nuove tendenze che verranno decretate da un appuntamento importante come è il Pitti Uomo, in questa capsule profumi e colori ci fanno vivere la meravigliosa atmosfera dell’Oriente mentre dettagli e stile ci ri-portano alla sartorialità e manualità tipica del Belpaese. La cucina che aiuta la moda a comporre il suo outfit e noi non vediamo l’ora di vedere cosa ne verrà fuori.

ECLETTICI, COLORATI, MULTITASKING, MA, SOPRATTUTTO, SORRIDENTI

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Renato Serafini, il cappello di paglia molto più di un museo

“UN ANTICO METODO. I MAZZI DI PAGLIA

VENIVANO MESSI DENTRO UNA CASSAPANCA,

E IN UNA CIOTOLA SI ACCENDEVA DELLO ZOLFO

CHE BRUCIAVA. QUESTA FUNZIONE “CHELANTE”

DEL FUMO DELLO ZOLFO TOGLIEVA IL GIALLO

DALLA PAGLIA, CHE DIVENTAVA COSÌ DI UN

COLORE CANDIDO, QUASI TRASPARENTE”

EmanuelePagnanini

Giorgia Giustozzi

T ra i Borghi più Belli d’Italia, Mo-resco è uno dei Comuni promotori,

avendo preso parte all’atto costitutivo. E’ inserito nel ristretto club dall’11 set-tembre del 2002. Un castello perfetta-mente conservato nella fortificazione e negli edifici. Ma a rendere unico il pae-sino fermano è il suo orizzonte. Anzi, i suoi sette orizzonti. Quelli che si aprono salendo sulla sommità della Torre Epta-gonale. Uno per ogni lato, nessuno dei

quali è della stessa lunghezza dell’altro. Da lassù, 25 metri di altezza che partono dai 409 del colle dove sorge Moresco, si domina mezza regione: il monte Conero,

I Sibillini, i Monti della Laga e il Gran Sasso a far da cornice; ad est l’Adriatico; sotto tutta la Val-daso, dalla foce alla... Foce. Sì, perché la sorgente del fiume è a Foce di Montemonaco, tra il Vettore e la Sibilla. ‹‹C’è solo un’altra torre con sette lati in tutta Europa, mi pare in Spagna – dice il sindaco Massimiliano Splendiani – sulla funzione di torre di avvistamento non ci sono dubbi. Ma sul perché sia eptagona-le, ci sono tante teorie, compresa quella di rimediare ad errori architettonici. Ma a questa non crede quasi nessuno››. Costru-ita nel XII secolo, si pensa che sia sorta sulle rovine di una torre romana (c’è una base quadrata, rivestita poi dai sette lati che dopo pochi metri la innalzano). ‹‹C’è un documento del I secolo dc che nomi-na questo sito – continua il primo citta-dino – secondo alcuni studiosi, ognuno dei vertici era rivolto verso altre torri di avvistamento. Un sistema difensivo per le incursioni dalla costa, verso cui è rivolto uno degli angoli della base dell’eptagono,

I l Museo del Cappello di Massa Fer-mana è un gioiello che ci fa rivivere

le antiche attività di produzione divenute oggi una fiorente industria. Preziosi mate-riali d’epoca collezionati da Renato Sera-fini in lunghi anni. È lui l’artefice di que-sta spinta alla continua ricerca, necessaria non solo per la memoria storica ma anche per le aziende di oggi. Andiamo a scoprire insieme a lui le origini del copricapo che nasce dalla terra.Cosa l’ha spinta ad iniziare il prezioso la-voro di raccolta e collezione dei cappelli di paglia nelle campagne del Piceno?

‹‹A Montappone, prima ancora che io nascessi cioè più di 60 anni fa, di fronte casa mia, tutte le domeniche si svolgeva la fiera locale della paglia e delle trecce. Da ragazzo mi affacciavo alla finestra per guardare le casalinghe che dalla campa-gna arriva-vano a piedi nudi con in testa enormi canestri colmi di sporte per la spesa, trec-ce e mazzi di paglia da ven-dere. A parti-re dagli anni ‘70, per il fatto che con-veniva impor-tare le trecce dalla Cina, la coltivazione del grano da paglia iniziò a diminuire fino a scomparire definitivamente e gli attrezzi usati per la lavorazione della paglia finiro-no in soffitta o divennero legna da ardere. Ho maturato la passione a conservare la nostra memoria storica e culturale dopo la fine della manifattura della treccia, non

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“MI FA PENSARE PROPRIO A MORESCO. CANDIDA È RIMASTA LA VALLE SU CUI SI ERGE, CANDIDO IL TERRITORIO ATTORNO, CANDIDO IL PAESE, COSÌ COME CE L’HA CONSEGNATO LA STORIA”

MORESCO, IL BORGO DELLA TORRE EPTAGONALE DAI SETTE ORIZZONTIÈ uno dei Comuni promotori dei Borghi più belli d’Italia, avendo preso parte all’atto costitutivo dell’associazione

che chiude il centro del borgo, o meglio del castello. A Marina di Altidona si pensa che potesse sorgere un porto romano. Ma c’è anche una teoria esoterica, più affasci-nante. Il vertice dell’eptagono è rivolto precisamente verso il monte Sibilla, di cui sono note le leggende››. Al netto dei mutamenti urbanistici, l’orizzonte non è cambiato. Ma i punti di vista sì. Ed è sug-gestivo pensare a cosa vedessero, da quel-la torre, le antiche popolazioni. A noi è più che sufficiente ammirare un borgo per-fettamente conservato e viaggiare con la fantasia. ‹‹Una scelta vincente – aggiunge Massimiliano Splendiani – alla conserva-zione di un patrimonio architettonico, si aggiunge una ricaduta turistica su tutta la Valdaso. Facciamo parte di un’Unione che raggruppa sette Comuni. Tante abi-tazioni sono state acquistate da gente di fuori regione ma soprattutto stranieri, che

qui cercano pace e tranquillità. Abbiamo in progetto la ristrutturazione del Palazzo del Podestà per farne una residenza stori-ca per turisti. L’agricoltura della Valdaso non basta a trattenere i giovani. Occorre fare rete per incentivare il turismo››. Ogni angolo un gioiello: dalla tela di Vincenzo Pagani nella sala consiliare, alle chiese di Santa Maria dell’Olmo; dal Santuario della Madonna della Salute, alla Torre dell’Orologio, la cui porta era anticamen-te l’unico accesso al borgo. La parola di questo mese proposta da Tyche è CAN-DIDO. ‹‹Mi fa pensare proprio a Moresco – dice il sindaco – candida è rimasta la valle su cui si erge, candido il territorio at-torno, candido il paese, così come ce l’ha consegnato la storia››. Il borgo dai sette orizzonti.

per creare un archivio di testimonianze del passato (le quali molto spesso vengo-no dimenticate), ma per dare forza viva alla storia recente, fatta di aziende alla ricerca di innovazione per essere al passo con la moda››.

Come nasco-no i cappelli per le mondi-ne?‹‹I cappelli di paglia a falda larga per le mondine erano grezzi, veniva-no addirittura chiamati cap-pellacci e furo-no commissio-nati alle nostre

aziende dall’Enpi (Ente nazionale preven-zione infortuni) per risolvere il problema della elevata percentuale di insolazioni che avvenivano nel vercellese durante le lunghe lavorazioni del trapianto delle piantine del riso››.

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“IL COLORE DELLE MARCHE, NEL RICORDO

DELLE CARTE GEOGRAFICHE SU CUI SOGNAVO

DA BAMBINO, E ANCHE ADESSO, NELLA

REALTÀ DI QUESTO VIAGGIO, È MARRON”

S arebbe riduttivo descrivere in un racconto il percorso per la Grotta

della Sibilla, come in una specie di in-serto “viaggi”. Nella mia esperienza il monte Sibilla è un itinerario ragionato, dove bisogna confrontarsi con la storia di

“ Il colore delle Marche, nel ricordo delle carte geografiche su cui so-

gnavo da bambino, e anche adesso, nella realtà di questo viaggio, è ‘marron’. Mar-ron, il tono base: cui si accordano, sfuma-ture più chiare, tutti gli avana e i crema degli intonaci, degli antichi muri, dei tet-ti, tutti gli ocra, tutte le “terre” dei campi arati, e, completamente, tutti i verdi un po’ spenti delle colture”. Mario soldati, “Vino al Vino”.La prima volta che lessi i brani marchigia-ni di “Vino al vino” mi trovavo alla pre-sentazione di un convegno al teatro Anni-bal Caro di Civitanova, dal titolo “Mario

MicheleMastrangelo

MicheleMastrangelo

“CI SONO ARCHETIPI COMUNI, SINCRONICITÀ:

CIOÈ COINCIDENZE NON CASUALI.

SE CI SONO PEZZI DI MITI UGUALI, MITEMI,

CI DEVE ESSERE UN MOTIVO, CHE NON È PER

FORZA STORICO”

quell’antro, con le sue leggende. Tra le di-verse letture, mi colpì e incuriosì molto un intervento di Cesare Catà. Nato a Fermo, classe 1981, docente al liceo delle scienze umane e professore a contratto all’Uni-versità di Macerata. Lo incontrai la prima volta durante la presentazione del suo li-bro “Filosofia del Fantastico. Escursione tra i Monti Sibillini, l’Irlanda e la Terra di Mezzo”. Qui Catà collega le leggende dei Sibillini alla tradizione celtica. Ma come, il fantastico quindi ha un filo condutto-re storico unico? Vi riportiamo solo uno spunto dell’intervista che gli abbiamo fat-to, che potete vedere interamente sul no-

Soldati – Viaggio di un intellettuale”. C’è una descrizione di questa regione così forte che tutt’oggi mette i brividi. A quel convegno aveva partecipato anche Anna Cardini Soldati, nuora di Mario, respon-sabile culturale del comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita e fondatrice dell’associazione a lui dedicata. A distanza di alcuni anni riesco a rintracciarla telefonicamente per parlare del rappor-to di Mario Soldati con la nostra re-gione.P a r t i a m o intanto da “Vino al vino”. In questo libro c’è un lungo filo condutto-re, che abbraccia tutta l’Italia.‹‹Sì, quando Soldati racconta l’Italia del cibo e del vino trasmette al lettore un sen-timento d’italianità, oserei dire di felicità italiana. Soldati nel dopo guerra racconta l’Italia agli italiani con stile e coraggio evitando le insidie della retorica e infi-

stro profilo Youtube. ‹‹Ci sono archetipi comuni – spiega Catà - che Jung chiama-va “sincronicità”: cioè coincidenze non casuali. Se ci sono pezzi di miti uguali, mitemi, ci deve essere un motivo, che non è per forza storico ma molto spesso è filo-sofico. Nei Sibillini ci sono tante leggen-de che richiamano i miti celtici. Dall’eroe che va in un altro mondo per parlare con una dea, alla storia del Guerrin Meschino che va a cercare se stesso, storia che ha un epilogo proprio in Irlanda. I legami sono tanti, per non parlare delle creature ma-giche che sono parenti. Le fate in Irlanda sono pensate a metà tra donne e farfalla,

DALLA SIBILLA AI MAZZAMURELLI, VIAGGIO CON CATÀ ALL’OMBRA DEI CELTI

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Mario Soldati e le Marche: “Un amore nato dai versi di Leopardi”

schiandosene di andare contro corrente››.E il legame di Soldati con le Marche? Partendo da “Vino al vino”.‹‹C’era un legame forte che è immediata-mente riconoscibile nelle pagine di “Vino al vino” dedicate alle Marche. Nella pagi-na di Soldati si riflette l’esperienza sensi-bile: lo sguardo che coglie il paesaggio e gli uomini, osserva il nuovo ricordandoci la bellezza e l’importanza del passato; la

terra feconda di geni italiani Raf-faello, Rossini e naturalmente Leopardi››.Ci sono trat-ti comuni di quest’italianità.‹‹Soldati ha

scritto: ‘L’Italia è il paese più vario del mondo rispetto all’area’, ed è vero, ma questa varietà non è frammentazione. Il Belpaese esiste e non solo per gli innamo-rati dell’Italia d’oltralpe, ossia per i Mo-zart o gli Stendhal e i tanti altri, Soldati non fa altro che ricordarcelo e confermar-lo››.

Gli “speciali” compiti delle vacanze di prof Catà: “Ispiratevi dalla vita”

Poi c’è il legame con Leopardi.‹‹Forse è il punto più importante. Mario in una delle sue ultime interviste televisive teneva in mano un’edizione antichissima dei Canti leopardiani. Rivolto alla teleca-mera ha detto: “Sono sempre voluto ritor-nare qui”. Soldati nonostante sia un auto-re del Novecento ha sempre tenuto vivo il legame con Leopardi da lui venerato››.

(Nella foto Mario Soldati con il figlio Volfan-go a Cupramarittima. Per gentile concessione della famiglia e di Volfango Soldati)

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nei Sibillini, più rusticamente, come don-ne con zoccoli e polpacci di capra. Fan-ciulle con elementi zoomorfi. Stessa cosa per i folletti: in Irlanda sono elegantissimi e contano i soldi ai piedi dell’arcobaleno e sono parenti diretti di quelli che noi in dialetto maceratese chiamiamo “Mazza-murelli”, i folletti delle case di campagna. La differenza con l’Irlanda è che loro han-no tratto da queste leggende in un’identi-tà per far valere la propria indipendenza, mentre nelle Marche questo patrimonio è potenzialmente inespresso››.

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TRE CHEF GIOCANO CON I COLORI: CEDRONI, POMPILI E ULIASSI NEI RITRATTI DI MISSAGLIAC onosco Renato Missaglia da tempo.

Insieme abbiamo esplorato il mon-do dei pensieri a colori di grandi cuochi. Lui con i colori, quelli veri, e i suoi ritrat-ti. Io con la penna e le mie parole. Nella nuova collezione di Renato Missaglia, classe 1946, artista indiscusso ed ecletti-co, ora spiccano chef stellati e dinastie ga-stronomiche. Tra i volti di personaggi noti

che ha ritratto vi sono artisti, personaggi politici, capi di stato e pontefici tra cui Benedetto XVI e Papa Francesco. Per Re-nato un progetto artistico grande: “Expo

CarlaLatini

Milano 2015 con gli occhi dell’arte” che sarà esposto durante i sei mesi dell’evento nella sede dell’associazione Banche ita-liane in via Olona, a Milano. Ho scambia-to due parole con Moreno Cedroni, Lucio Pompili e Mauro Uliassi. Domande sui loro pensieri a colori.Il tuo/tuoi colori preferiti.Cedroni: ‹‹Il blu, più turchese che blu, e il bianco››.Pompili: ‹‹Sono quattro i colori che rap-presentano la mia filosofia di vita, i miei progetti e i miei obiettivi. Nella vita senti-mentale e nella vita professionale. Il rosso e tutte le sue declinazioni, dalla cucina al fuoco; dall’alba che è l’inizio, al tramonto che è la fine, con diverse sfumature di ros-so. Se penso al rosso penso al peperonci-no. Piccante, intrigante, dispettoso. Poi il verde che è tutto il mondo vegetale. Oltre

agli occhi di mia moglie Cristina. Penso allo smeraldo prezioso che si illumina e cambia a seconda della luce, al verde delle meravigliose colline marchigiane. Quindi il marrone che è la terra. Il ventre animale, fecondo. Ci sono i marroni dei nostri Appennini che cambiano di colore a seconda delle stagioni. Poi l’azzurro. Che è il cielo, il volo anche pindarico, l’acqua, il mare Adriatico. I nostri pesci. Gli occhi di una mia amica. Gli occhi di una donna sono l’entrata della sua anima. Più sono luminosi e più la porta è facile da varcare››.Uliassi: ‹‹Il rosso delle rose. Non mi ve-sto di rosso e lo uso poco nella vita quo-tidiana. Diciamo che il mio è un atteggia-mento mentale. Affronto la vita in rosso. Con passione. Vivo pensando in rosso. Un altro colore è il blu del mare che sta

vicino a me››.I colori nella tua vita.Cedroni: ‹‹Il blu ma non nelle scarpe! Non ho scarpe blu. Il blu è nella mia vita. E’ il mare davanti a me. Il blu lo trovo nei jeans che indosso quando lavoro e che sono diventati la mia divisa. Il bianco nella giacca da cuoco. Ecco nel mio quo-tidiano ci sono il blu jeans ed il bianco››.Pompili: ‹‹Ci sono tutti. Difficilmente mi vedrai vestito di nero. Sono molto colo-rato. Uso tutte le declinazioni di questi colori.››Uliassi: ‹‹Se fossi stato un musicista avrei composto in rosso. Con tanta passione. Se fossi stato un pittore forse avrei usato il rosso in tutti i miei quadri››.Il colore nei tuoi piatti?Cedroni: ‹‹La mia seppia blu. La ricerca continua del mare nei miei piatti. In 28 anni di cucina ci si evolve, si cambia e si vedono le cose da prospettive diverse. Ri-cordi il mio sushi a colori? Ora faccio an-che un piatto tutto bianco: baccalà, cocco, cipolla bianca, quinoa e daikon››.Pompili: ‹‹Sono una conseguenza natura-le. Pesci, animali, vegetali. Ci sono tutti. La mia vita è un tutt’uno. Non riesco a scindere i sentimenti dalla vita professio-nale››.Uliassi: ‹‹Il rosso c’è ma poco. Ogni tanto del pomodoro ma solo d’estate. Preferisco caricare i miei piatti di sapore e di pas-sione in modo che chi li mangia senta il colore rosso dentro di sé››.Un ingrediente, un frutto, un ortaggio che preferisci?Cedroni: ‹‹La mela rossa. Con la pink lady faccio la marmellata. Mi viene benis-simo anche quella con mele rosse e rose››.Pompili: ‹‹Il beccaccino in particolare, più in generale la cacciagione. La caccia è il mio terzo amore dopo la famiglia e il lavoro››.Uliassi: ‹‹Il pescato in tutte le sue specie e forme e il pomodoro rosso d’estate››.

GILBERTO GRAZIOSI, ANIMA DELL'ACCADEMIA

DELLO STOCCAFISSO ALL’ANCONITANA:

PROTEGGIAMO DA SEMPRE UNA RICETTA

CHE RAPPRESENTA LE NOSTRE TRADIZIONI

È l’anima dell’Accademia dello Stoc-cafisso all’Anconitana. Gilberto

Graziosi non è semplicemente il segreta-rio dell’associazione ma ne porta avanti la missione con passione, dedizione e pro-fessionalità. Tanto da renderlo, secondo me, un raffinato esperto enogastronomico.Cosa è oggi, dopo 18 anni di attività, l’Accademia dello Stoccafisso all’anco-nitana?‹‹L’Accademia protegge da sempre la ri-cetta dello stoccafisso perché rappresenta una parte della storia di Ancona. Intorno a questa ricetta girano e si intersecano ri-

CarlaLatini

cordi e tradizioni che non sono solo legati al cibo e al vino. La vita della città antica è conservata nella ricetta codificata; i suoi legami fra terra e mare, il porto, i conta-dini››.Leggo nel disciplinare i 7 codici che caratterizzano la ricetta. Dal pesce al metodo di rei-dratazione; dal tegame all’olio, fino alla pata-ta. Nel tempo poi avete per-messo l’intro-duzione di al-tri ingredienti che, però, non alterano la tipicità della ricetta base. Mi racconti?‹‹Dell’Accademia fanno parte professio-nisti qualificati. Uno è Aldo Roscioni, socio fondatore dell’Accademia e consi-derato il “Sindaco di Portonovo”. E poi ci sono sommelier, cuochi amatoriali, chef, storici commercianti di stoccafisso. Tut- approfondimento su tychemagazine.it

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Lo stoccafisso,il piatto della tradizione:una storia “anconitana”

ti possono farne parte. Una volta entrati li formiamo a dovere. La ricetta, quella base, è la stessa attribuita a Getullio Zac-caria, un oste famoso ad Ancona. Una ri-cetta non deve diventare un piatto fotoco-pia e questo ne ha determinato le diverse aperture. Le prime introduzioni di altri

ingred ien t i , nel tempo, sono state il latte, le alici, le olive, i cap-peri e l’alloro (la ricetta di Getullio pre-vede: stocca-

fisso Ragno, olio extravergine italiano, vino Verdicchio dei Castelli di Jesi, di Matelica o Cupramontana, patata a pasta gialla, aglio, carota, cipolla, maggiorana, origano, pepe bianco e nero, pomodoro, prezzemolo, rosmarino, sale marino, se-dano e timo). Proprio in questo periodo abbiamo rielaborato il nostro disciplinare

per renderlo più chiaro in funzione della Denominazione comunale. Poi abbiamo allargato i confini della conoscenza. Vo-glio ricordare la visita alla città di Svolva-er in Norvegia. dove, visitando un museo navale, abbiamo scoperto che il Cantiere Navale di Ancona aveva costruito quattro navi per quattro compagnie di navigazio-ne norvegesi: siamo alla fine degli anni ’40. Ed il Cantiere fu pagato, anche, con partite di giro legate allo stoccafisso››.

RENATO MISSAGLIA, ARTISTA INDISCUSSO ED ECLETTICO, HA CREATO IL PROGETTO ARTISTICO ISPIRANDOSI AD EXPO MILANO 2015

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