Bookavenue n.4

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numero quattro settembre 2010 paese ospite: I’Irlanda

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La rivista di libri e culture letterarie

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numero quattro settembre 2010

paese ospite: I’Irlanda

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pag. Sommario 3 Editoriale Benvenuti in Irlanda

4 Speciale del mese: La letteratura in terra d’Irlanda6 Piccola guida alla letteratura irlandese contemporanea 10 La letteratura in terra d’Irlanda: Edana o’Brian12 Intervista: Quattro domande a Edna O‘Brian18 Ritratto di un irlandese: Oscar Wilde

20 Il libro del mese, Triste digitale y �nal. Libri al capolinea? la recensione di Alen Loreti al libro di Francesco Cataluccio

24 Reading Room Straniero alla mia storia Il viaggio di un �glio nelle terre dell’Islam. 29 Storie Le radici di Abdulrahman Zeitoun, Marco Crestani sul libro di Dave Eggers

Redazione

Paola CalvettiCarla CasazzaMarco CrestaniLayla El SayedMichele GenchiAlen LoretiValeria MerliniGeraldine MeyerFrancesca Schirone

U�cio StampaPaola Manduca

ColophonAgnese Trocchi

[email protected]

le foto di questo numero sono di: ©ancama_99, ©GoodMoon ©©da Flickr

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Benvenuti in Irlanda, l'isola verde nel nord-ovest dell'Europa, una terra magica avvolta di cielo e cir-condata di oceano dove si nascondono i lepricani, dove si gusta la birra più buona, dove ci si perde fra castelli e fantastiche scogliere, e dove ci si diverte ascoltando musica dal vivo nei pub color legno.

Una delle guide da viaggio più famose al mondo descrive l’Irlanda come un luogo che una volta vi-sitato non si potrà più dimenticare. Chi è stato in Irlanda, sa che è vero. L’Irlanda è terra di panorami incredibili, colorati di verde e blu intenso, dove il vento porta con sé la musica delle ballate ed evo-ca le storie dei cavalieri, magari in un antico pub, attorno a una birra, raccontate da vecchi canta storie. In Irlanda le antiche tradizioni, i miti, le leg-gende fanno da cornice al quotidiano, si sento-no, si odorano. Il futuro è fondamentantale ma ci si guarda sempre indietro per trarre ispirazione.

E Irlanda sia, dunque. Il numero è dedicato alla sua letteratura, alla sua

editoriale

cultura, ai suoi autori con i commenti e i testi di Giovanna, Francesca e l’intervista a Edna O’Brian di Michele. E un gradito articolo di Lorenzo.

In questo numero, pure, il meglio degli ultimi ar-ticoli e recensioni dal sito con Le storie di Mar-co, le ultime sono dedicate a Dave Eggers. Il li-bro del mese dedicato a Francesco Cataluccio è curato, come sempre, da Alen. Non perdetevi il Reading Room: la recensione è una sorpresa.

Buona lettura. La redazione

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speciale del mese

la letteratura in terra d’irlanda

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linguaggio universale, tanto che l’Irlanda è stata re-centemente definita “l’isola felice della narrativa contemporanea”. A guidare il novero degli autori ir-landesi di grande rilievo è Seamus Heaney, il mag-gior poeta contemporaneo di lingua inglese, pre-miato con il Nobel per la letteratura nel 1995. Come i grandi scrittori africani contemporanei ed il carai-bico Derek Walcoll, Heaney sceglie la lingua degli antichi padroni: è una sorta di riconquista non vio-lenta, ma tutt’altro che pacifica. L’inglese più raffina-to e duttile, oggi, è quello degli ex colonizzati; ha scritto il critico italiano K. Mussapi: “La più bella lin-gua inglese, oggi, non proviene dal centro ma dalle periferie o dai margini, a opera di poeti profonda-mente legati alla loro realtà culturale e mitica”. Nato nel 1939, in una fattoria della Contea di Derry (Irlan-da del Nord), primo di nove figli, Heaney riesce a completare gli studi di letteratura inglese all’univer-sità di Belfast; si dedica all’attività didattica, prima in una scuola media, poi in collegi universitari e paral-lelamente inizia a pubblicare le prime raccolte di poesie: I I Poems (1965), Death of a Naturalist (1966), Door into the Dark (edizione originale 1969, tradu-zione italiana Una porta sul buio, 1996), raffinata ce-lebrazione della sacralità della terra e del lavoro umano, e Wintering out (1972). Nel frattempo si ina-spriscono nell’Ulster le tensioni fra cattolici e prote-stanti e nel 1972 alcuni soldati inglesi sparano a Derry su una folla di manifestanti. È “Bloody Sunday” e Heaney abbandona definitivamente l’Irlanda del Nord per l’Eire. Nel 1975 esce la raccolta North (tra-duzione italiana Da “North A danne “a “North” 1997),

A partire dagli anni Sessanta l’Irlanda ha cominciato ad aprirsi agli influssi internazionali e ad abbando-nare il proprio provincialismo rurale. Le emozioni sessuali e le dinamiche profonde di intere genera-zioni di donne vengono progressivamente indagate e se la scrittura al femminile in Irlanda aveva già avuto illustri esponenti quali Elisabeth Bowen (1899-1973), autrice tra gli anni Venti e Cinquanta di ro-manzi e racconti ambientati in contesti alto-borghe-si della cui realtà si rivela attenta osservatrice, è con Edna O’Brian (1932), spesso considerata erede di Virginia Woolf, che acquista risonanza mondiale. La sua famosa trilogia Ragazze di campagna, La ragaz-za dagli occhi verdi e Ragazze nella felicità coniuga-le, scritta tra il 1960 e il 1964, la rivela come una del-le maggiori scrittrici in lingua inglese per raffinate qualità lessicali e per eleganza stilistica. Le donne, protagoniste di tutti i suoi romanzi e racconti, figure goffe e fragili che vivono e si dibattono sullo sfondo di un’Irlanda bigotta e rurale, cercano di sfuggire alla presa di un mondo costellato di uomini rozzi e violenti per costruirsi un destino differente da quel-lo delle proprie madri. Sebbene la scrittura di O’Brien sia pervasa da una vena di ironia che a tratti sfocia in vera e propria comicità, quelle che descrive sono fi-gure dai destini tragici e amari, che tuttavia non ri-nunciano mai a sperare, a credere e a illudersi che le cose possano davvero cambiare. Negli ultimi decen-ni i nuovi scrittori e poeti irlandesi, sicuramente pro-tagonisti di un secondo rinascimento, hanno dato voce a una letteratura che, pur mantenendosi salda-mente legata alle proprie radici irlandesi, parla un

letteratura in terra d’Irlandapiccola guida alla letteratura irlandese contemporanea

di Francesca Schirone

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in cui risuonano echi dei drammatici scontri in Ul-ster e nel 1979 la raccolta Field Work, che compren-de i Glanmore Sonnets (tradotti per la prima volta in italiano nel 1981). Nel 1984 gli viene assegnata la cattedra di retorica all’università di Harvard: due nuove raccolte di poesia sono date alle stampe: Sta-tion Island (edizione originale 1984, traduzione ita-liana 1992), d’ispirazione dantesca, e The Haw Lan-tern (1987). Il titolo della prima è tratto da un lungo poema purgatoriale, ambientato nell’isola delle sta-zioni penitenziali dove Heaney evoca l’incontro dantesco con i fantasmi di Joyce e Patrick Kavana-gh. La seconda raccolta contiene la sequenza Clea-rances (traduzione italiana 1995 in Radure) in me-moria della madre morta nel 1984. Tra il 1989 e il 1994, Heaney occupa la prestigiosa cattedra di poe-sia all’università di Oxford: durante questo periodo esce un’altra bellissima raccolta poetica, dal titolo Seeing Things (edizione originale 1991, traduzione italiana Veder cose 1997) che si apre con l’apparizio-ne del fantasma di Philip Larkin (il poeta morto nel 1985) e si chiude con la traversata di Dante e Virgilio sulla barca di Caronte. Scrittori irlandesi già afferma-ti da tempo sono WilliamTrevor, di cui sono apparsi in Italia Il viaggio di Fetida, Giochi da ragazzi (1996), Marionette del destino e Notizie dall’Irlanda (1998), John Banville, autore di La notte di Keplero, La spie-gazione dei fatti e Atena (1996), e Patrick McCabe (ll garzone del macellaio, traduzione italiana 1994, e Morte e usignoli, traduzione italiana 1997). I raccon-ti di Trevor, in particolare, ambientati in un’Irlanda descritta con intensità e insieme ironia, sviluppano

uno dei temi caratteristici dello scrittore, l’irrompere del dramma in esistenze dall’apparenza rassicuran-te, e ne confermano le doti narrative, la sottile capa-cità di analisi psicologica, l’abilità di stupire con fina-li a sorpresa e l’amore per i dettagli e le descrizioni coinvolgenti. Seamus Deane, poeta e storico della letteratura, è nato a Derry nel 1940 e lavora oggi come docente allo University College di Dublino. Dopo aver fondato alcune riviste (Threshold, Atlan-tis), nel 1981 entra a far parte della direzione della Field Day Theatre Company, accanto a Seamus Hea-ney, al drammaturgo Brian Friel, al poeta Tom Pau-lin, all’attore e scrittore Sthephen Rea e al regista David Hammond. Di Seamus Deane è stato tradotto il primo romanzo: Le parole della notte (traduzione italiana 1997), storia di come un conflitto sociale e politico si ripercuota con esiti drammatici su una fa-miglia oppressa dal peso di un segreto. Sullo sfondo Deane disegna un ampio orizzonte mitico che si nu-tre della ricchezza delle leggende popolari irlandesi e della suggestione di luoghi come il forte di pietra di Grianan, sede degli antichi guerrieri Fianna, e il Campo degli Scomparsi, tratto di mare mai sorvola-to da uccello alcuno. Diversi scrittori dell’ultima ge-nerazione, pur ispirandosi alla vita in Irlanda, hanno saputo interpretare il disagio di tutto il mondo gio-vanile contemporaneo in romanzi di grande succes-so, come sono stati Cal (1983) di Bernard MacLaver-ty (1942), Burning Your Own (1988) di Glenn Patterson (1961), e le opere di Roddy Doyle (Dubli-no, 1958), noto anche al grande pubblico per i film di successo tratti dai suoi romanzi. Tra di essi si ricor-

speciale irlanda

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dano Paddy Clarke ah ah ah! (edizione originale 1993, traduzione italiana 1994), vincitore del Booker Prize nel 1993, Bella famiglia (The Snapper) (edizio-ne originale 1993, traduzione italiana 1995), Due sulla strada (The Van) (1996), La donna che sbatteva nelle porte (edizione originale 1996, traduzione ita-liana 1997), The Commitments (edizione originale 1987, traduzione italiana 1998). Quest’ultimo ro-manzo è stato portato con successo sullo schermo da Alan Parker, mentre da The Van e The Snapper sono stati tratti due film, con la regia dell’inglese Stephen Frears. E’ diventato un film anche Le ceneri di Angela (Angela’s Ashes), dall’omonimo libro che è valso a Frank McCourt il Premio Pulitzer nel 1997. In esso, l’autore (nato in America da genitori irlandesi, cresciuto in Irlanda e poi tornato in America all’età di 19 anni) narra la sua infanzia “infelice, irlandese e cattolica” come il più atroce e ilare dei mondi possi-bili, mentre nel romanzo successivo, Che paese, l’America (‘Tis 1999) ci trasporta nell’America prole-taria del secondo dopoguerra. Voce affermata, ben-ché giovane, del panorama letterario irlandese con-temporaneo è Joseph O’Connor (1963), che ha esordito nel 1991 con il romanzo Cow-boys & In-dians (1991) e la raccolta di racconti I veri credenti True Believers), segnalandosi per il suo umorismo tagliente e dissacrante, e ha ottenuto un ottimo successo di critica e di pubblico nel 1996 con il terzo romanzo Il rappresentante (The Salesman). Insolito aspetto ai precedenti, è un libro dalla struttura più complessa, storia di una paradossale convivenza tra vittima e carnefice, con imprevedibili capovolgi-menti di ruoli. Tra le opere più recenti: Stella del mare. Addio alla vecchia Irlanda (Star of the Sea, 2003) e Dolce libertà. Un irlandese in America (Swe-et Liberty, 2005).

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©Francesca Schirone, BookAvenue 2010

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www.bookavenue.it...fa guinness da solo

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Quando si parla di letteratura irlandese non appare fuori luogo l'utilizzo del termine "esplosione", usato dallo scrittore dublinese Dermot Bolger nella sua in-troduzione al "Book of Irish Contemporary Fiction* ri-stampato in una edizione aggiornata di recente dalla casa editrice Picador. L'antologia propone una sele-zione di 46 autori, alcuni dei quali come Roddy Doyle ("The Commitments"), Colm Tòibin ("The South") e lo stesso Bolger ("The Journey Home"), protagonisti di un fenomeno letterario iniziato negli anni sessanta e che va assumendo dimensioni sempre più originali.Il 'new deal' si fa partire dal 1956, anno in cui John McGahern scrive il romanzo "The Dark", la storia di un ambiguo rapporto tra un vedo-vo e il figlio adolescente sullo sfondo dell'Irlan-da rurale, che verrà messo al bando nel 1966.

Pochi anni dopo, nel 1960, Edna O'Brien scrive il suo primo romanzo: "The Country Girls". Un racconto che, a una lettura superficiale, sembra racchiudere i soliti elementi classici del romanzo breve irlandese: l'ambientazione rurale, la grettezza dell'educazione cattolica, la morbosità dei rapporti sessuali e la ri-tuale fuga finale in Inghilterra. "The Country Girls", che sembra oggi un romanzo quasi innocente, seguì lo stesso destino di "The Dark" e fu messo all'indice dal governo di Dublino, come gli altri due roman-zi che ne compongono la trilogia: "Girl with Green Eyes" (1962) e "Girls in their Married Bliss" (1964), dove Edna O'Brien rompe l'ultimo dei tabù naziona-li e lascia sterilizzare la protagonista in una clinica londinese. Una provocatoria opera di dissacrazione

che, una volta iniziata, l'autrice porterà avanti con coerenza fino ai nostri giorni. Esemplare è il roman-zo del 1972, "Night" (tr. edizioni e/o), da molti rite-nuto uno dei suoi lavori migliori: la protagonista, Mary Hooligan (e il nome è già un programma) ha rotto i legami con la patria e la famiglia, ha abban-donato l'Irlanda e ha rifiutato i ruoli tradizionali di moglie, madre, figlia, come ogni altra forma di or-todossia femminile. Mary Hooligan vive ai margini delle altrui esistenze, si accampa in appartamenti di conoscenti, sperimenta il sesso. Ciononostante non riesce a trovare un vero amore e, nel suo esilio autoimposto, è sostanzialmente infelice. Alla ricer-ca di sé tenta di ricucire i legami con il suo passato, con i ricordi, di accettarsi figlia e madre. Una tema-tica che - con sottili variazioni - Edna O'Brien non ha mai abbandonato, come conferma il suo romanzo "Time and Tide" (1992) pubblicato anch’esso dalla e/o con il titolo "Le stanze dei figli". Nell, la prota-gonista, lavora per una casa editrice: nei manoscritti delle aspiranti scrittrici che deve esaminare cerca invano quello che ritiene un elemento essenziale per un buon romanzo: "the sacred breath of other-ness", il sacro respiro del distacco, la necessaria di-stanza tra autore e vicenda narrata. È una palese dichiarazione d'intenti dell'autrice, cosciente che solo questo "distacco" le permetterà di narrare la vertigine di sofferenze che aspettano la sua eroina, senza mai cadere nel patetico, nel sentimentalismo o addirittura nel ridicolo. Ne risulta una nuova sfac-cettatura del complesso mosaico di figure femminili che caratterizzano la sua opera narrativa, dal cita-

letteratura in terra d’irlandaEdna O’Brian

di Lorenzo Vecchioni

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to fulminante successo di "The Country Girls" fino all'ultima raccolta di racconti brevi "Lantern Slides" (1990). Come Kate e Baba della trilogia, anche Nell è una donna alla disperata ricerca di una felicità che la sorte sembra volerle precludere ad ogni costo.

La determinazione ad emanciparsi dai torbidi le-gami familiari, dalle imposizioni religiose e da un ottuso nazionalismo, si trasforma per le protagoni-ste dei romanzi della O'Brien in una sorta di pecca-to originale che saranno costrette a scontare per il resto della loro esistenza. La pena si presenta sotto la forma di una "strutturale" incapacità di stabilire rapporti con l'altro sesso e - più in generale - con la società. Il volontario esilio dalla patria: la "Mother Ireland" che non sembra essere mai stata in grado di garantire ai suoi figli libertà e tolleranza, deter-

mina quindi una irrepara-bile cesura dalla famiglia e dalle tradizioni culturali e religiose. Lo Radicamento da quello che - nei ricordi - resterà come il giardino http://catdubheire.virtua-le.org/stanzedeifigli.gif dell'Eden, anziché preclu-dere ad una rinascita, si rivela però un'irreversibi-le viaggio in una valle di lacrime: "Lei non ammi-se mai che quel che cer-

cava era la propria rovina. Non lo ammettiamo

mai" (p. 144) scrive Edna O'Brien una delle pagine più sofferte di "Le stanze dei figli", quando su Nell si abbatte un ennesimo fallimento sentimentale.Duncan, un regista irlandese, che era divenuto il suo amante dopo la separazione del marito, l'ha appena abbandonata. In lui aveva inutilmente cercato quel-la "Geborgenheit" che solo la propria terra d'origine può dare. Edda O'Brien, come prima di lei Oscar Wil-de, Shaw, Joyce, Beckett, e più tardi William Trevor, Brian Moore e John Mc Gahern, narra le ominose conseguenze del volontario esilio, della fuga da quel - seppur caldo e sicuro - soffocante seno materno.

Non deve stupire quindi che Edna O'Brien sia letta con un certo scetticismo da molte rappresentanti del movimento femminista, che non condividono que-sto risvolto "punitivo' la lotta per l'emancipazione.Al pari della O'Brian e di molte altre eroine dei suoi romanzi, Nell è un'irlandese che vive in Inghilterra. È una "ragazza di campagna" che crede di potersi libe-rare dagli stretti lacci della vita di provincia sposan-do un inglese, protestante: Walter Steadman. Come prevedibile il matrimonio si dimostra dopo pochi anni un disastro. Walter è una replica di cattivo gusto del Mr. Rochester di "Jane Eyre", un uomo crudele, brutale con lei come con i due figli nati nel frattem-po: Paddy e Tristan. Un impulso di autoconservazio-ne spinge finalmente Nell a chiedere il divorzio e, dopo mille difficoltà, a ottenere l'affidamento dei fi-gli, "i suoi unici amici". Il loro rapporto è esclusivo e si basa su una complicità ora ludica, ora morbosa che sottointende a un patto di solidarietà apparente-

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mente indistruttibile. Già i ricordi di un noioso viag-gio in Toscana o di lunghe vacanze estive trascorse in Irlanda nel cottage della nonna, lasciano però trasparire un'inquietudine che, col tempo, finirà per minare anche questo legame. Paddy, introverso e sognatore, e Tristan, intelligente e creativo, entrano infine in collegio e Nell, rimasta sola, si perde nella "swinging London" degli anni sessanta tra incontri con uomini sbagliati, orge di sesso e 'trips' di LSD. Nella sua totale incapacità di allacciare legami sen-timentali e ancor meno d'amicizia, Nell diviene sem-pre più dipendente dal rapporto con i figli. Paddy e Tristan comprendono invece che la fuga da que-sto onnivoro amore materno è premessa essenzia-le per la loro sopravvivenza. Per Paddy questa fuga assume tratti profondamente drammatici e passa attraverso le droghe pesanti e la follia. Nell non si lascia scoraggiare da questa nuova prova e tenta di aiutarlo, ma il ragazzo quando sembra aver ritrova-to un certo equilibrio perde la vita in un incidente. Tristan non riesce a venire a capo della nuova realtà, senza il fratello il rapporto sembra rotto per sempre, anche lui deve prendere le distanze, andare per la sua strada. Nell è ormai una "ragazza di campagna" di oltre cinquant'anni, la sua faccia sprigiona malin-conia e solitudine, eppure il silenzio delle stanze dei figli, della casa vuota, le infonde ora una quiete sco-nosciuta e un brivido che le ricorda di essere viva.

È ancora una volta la parabola dell'emigrante, il filo rosso che percorre tutta la letteratura irlandese contemporanea, non esclusi i suoi più giovani rap-presentanti come John Banville, Joseph O'Connor o Dermot Bolger, che diventa però metafora di una "Entfremdung" più universale e getta un ponte tra questi scrittori e quanti prima di loro hanno descritto l'alienazione come una condizione precisa dell'uo-mo moderno. In "Le stanze dei figli" le conseguenze dello sradicamento in una realtà cosmopolita, mas-sificata e spoetizzante non riguardano solo la perdi-ta di identità di Nell e la sua conseguente infelicità, ma anche la salute mentale del figlio, che finirà per condurre - non a caso - un'esistenza da 'borderli-ne' al confine tra la sanità e la follia. La vita di Nell è paragonabile ad una "Traverarbeit" senza fine, una lunga elaborazione del lutto. Il lutto per la perdita delle radici, della madre, del compagno, del figlio, di sé. Edna O'Brien riesce a rendere magistralmente le contraddizioni nascoste tra le pieghe della nostal-gia per l'"Irlanda-lontana" delle antiche ballate, che ritrova nelle cantilene e nei "Limerick" che punteg-giano il testo o nelle note struggenti di una canzone che il figlio le canta durante uno dei suoi improvvisi

ritorni. una nostalgia sempre negata da un elemento di repulsione, come nel suo amore/odio per la ma-dre, che associa con il forte odore di fenolo che lei usava per disinfettare la casa, un estremo, vano, ten-tativo di sterilizzare ogni cosa, anche i sentimenti.

Ora, mi si consenta di “chiudere” rivolgendo il mio feroce rimprovero alle case editrici e/o e FeltrinelliIl motivo lo capirete da soli: dell’opera di Edna O’Brian i soli libri in circolazione sono soltanto tre, ( in verità solo due se si tiene conto che il terzo, una raccolta di racconti irlandesi dal titolo, Elfi e Draghi è pubblicato da Einaudi ragazzi e destinato come tale alla letteratura per giovani e che in questo rim-povero non c’entra). Uno spendido isolamento per l’editore milanese e Le stanze dei figli, per quello romano, sono i soli titoli in commercio in questo momento. Vergogna.

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©lorenzo vecchioni, per bookavenue 2010

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In more than twenty books, Edna O’Brien has char-ted the emotional and psychic landscape of her na-tive Ireland. Often criticised in her own country for her outspoken stance, she has forged a universal audience; from a largest part of cultural commu-nities described her as ‘a worthy heir to the great Irish forebears in Irish literature’, while Le Figaro noted that ‘the breathlessness of her language is comparable to Faulkner’. Awards and prizes include the Irish PEN Lifetime Achievement Award, Writers’ Guild of Great Britain, Premier Cavour (Italian), American National Arts Gold Medal and Ulysses Medal 2006.

BA. You come from a country that many writers seem to leave. Is it better or easier to write about Ireland from outside?

EOB. My first book, "The Country Girls," was a sim-ple little tale of two girls who were trying to burst out of their gym frocks and their convent, and their own lives in their own houses, to make it to the big city. It angered a lot of people, including my own family. It was banned; it was called a smear on Irish womanhood. A priest in our parish asked from the altar if anyone who had bought copies would bring them to the chapel grounds. That evening there was a little burning. My mother said women fainted, and I said maybe it was the smoke. When I wrote my second book ("The Lonely Girls"), the

opinion was the first was a prayer book by compa-rison. My mother had gone though the book and inked out any offending words.So I was made to feel ashamed, made to feel I had done something wrong. It's hard enough to write a book at all; you have to dig and dig and dig into your unconscious, come up with some kind of sto-ry, and language, emotion, music. And you'd like a small amount of support from someone you knew. So if you have any degree of self-protection at all, you get out of that place, if you're going to keep writing.James Joyce lived all his life away and wrote obses-sively and gloriously about Ireland. Although he had left Ireland bodily, he had not left it psychically, no more than I would say I have. I don't rule out living some of the time in Ireland, but it would be in a remote place, where I would have silence and privacy. It's important when writing to feel free, answerable to no one. The minute you feel you are answerable, you're throttled. You can't do it.

BA. You write a lot about war -- war in the house, war in the land, war in the heart. Are the Irish more prone to that particular pastime?

EOB. I certainly think they're more turbulent. They're more turbulent by disposition and by language. And their history has made them suffer a hell of a lot. I have written about strife between mother and child, between husband and wife, and, in "House of Splendid Isolation," between two parts

Four questions for Edna O’Brian

We had the opportunity and the honor of being able to ask some questions Edna O’Brian.

by Michele Genchi

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of the same country.An IRA man told me once, "When you're shooting, you don't feel. But when you've shot him, you do feel, because half of you hopes you got him, and the other half hopes you didn't. Because we're all Irish under the skin." That to me was a story about war.War, whether it's between man and woman, or different parts of a country, or different nations, is always, always more complicated than just the two sides. It is that I want to write about. It's the dilem-ma and conflict within the obvious dilemma that matters. It would be impossible for a writer with any awareness at all about the human psyche and the human condition not to write about wars, wha-tever locale they are. Because people do disagree with each other; they do sometimes forgive one another, and then they re-disagree with one ano-ther. Life is not a placid pool, it's a raging, storming sea, which we're all in. And maybe I, being from the race I am, pay more attention to that than to the gentler aspects. But then, that's my fate.

BA. Is that the purpose, or the message of your writing?

EOB. I'm not sure I have a message -- Edvard Munch's "The Scream," perhaps. Purpose? It's a very hard question to answer. First and foremost for me is language. One of my greatest excitements in life is to hear a piece of language, a strip of a poem, like Wallace Stevens: "I don't know which to prefer more,/ the beauty of inflection or the beauty of innuendo,/ the blackbird whistling, or just after." I can't tell what the "purpose" of Wallace Stevens, of those three great lines, is. All I know is, when I heard them, they bestirred me.Language is an extraordinary thing. It is more ex-traordinary than any nuclear weapon. You can do anything with it. James Joyce did. You can turn it inside out. You can twist it, you can make a galaxy with it, and bring out in the reader emotion and excitement and an ecstasy the reader did not know he or she was capable of. I love even the vague possibility that I can be engaged in that trade or vocation.

BA. Which writers bestir you, influence you, the most?

EOB. It has to be James Joyce. It's not out of natio-nal feelings that I say such a thing. It is that simply

that when I was working in Dublin in a chemist's shop, I one day bought a book for four pennies called "Introducing James Joyce," by T.S. Eliot, and I opened it to a section from "Portrait of the Artist as a Young Man," the Christmas dinner scene, with the blue flame over the Christmas pudding. Up to then, I had been writing rather fancifully, with a lot of adjectives. When I read that, I realized one thing: that I need go no further than my own interior, my own experience, for whatever I wanted to write. It was truly, without sounding like St. Paul, an utter revelation to me.The other is William Faulkner. If there are two men in heaven, as I hope they are -- though Joyce would not want me to mention such a place -- if they are in the ether out there together, I hope they are drinking, and I drink to their greatness, to what they have given. It is massive what they have given to life. There are writers and writers. But there is Joyce and Faulkner, for me.

lastes worksByron in love 2010Haunted 2010next issu 2011 Saints and Sinners

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Quattro domande a Edna O’Brian

Abbiamo avuto il privilegio e l’occasione di porge-re a Edna O’Brian alcune domande

di Michele Genchi

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BA. Lei proviene da un paese che molti scrittori sembrano lasciare. E 'meglio o più facile scrivere sull' Irlanda da fuori?

EOB. Il mio primo libro, "The Country Girls", è stata una storia semplice: quella di due ragazze che stavano cercando di scappare con i loro abiti (tute) dalla palestra del loro convento, ma anche dalla loro vita e dalle proprie case, per correre nella grande città. Ha fatto arrabbiare un sacco di gente, compresa la mia famiglia. E' stato bandito e chia-mato come "una macchia sull'identità della donna irlandese". Un sacerdote della nostra parrocchia, chiese dall'altare se qualcuno avesse potuto com-prare delle copie e portarle nella cappella. Quella sera ci fu un piccolo ardente fuoco. Mia madre svenne, e io le ho detto che forse era per il fumo.

Quando ho scritto il mio secondo libro ("The Lonely Girls"), il parere è stato che il primo, era un libro di preghiere a confronto. Mia madre prese il libro e sottolineò tutte le parole incriminate.Così fece per farmi prendere atto della vergogna, per farmi sentire che avevo fatto qualcosa di sba-gliato. E 'già abbastanza difficile scrivere un libro: devi scavare e scavare e scavare nel tuo inconscio, trovare qualche tipo di storia, il linguaggio, l'emo-zione, la musica. E ti piacerebbe avere una piccola quantità di sostegno da qualcuno che conosci. Quindi, se avete qualche grado di (parentela) pron-ta alla protezione verso tutto, andate via da quel posto, se avete intenzione di continuare a scrivere.James Joyce ha vissuto tutta la sua vita lontano e ha scritto ossessivamente e gloriosamente sull' Irlanda. Anche se aveva lasciato l'Irlanda con il corpo, non l'aveva lasciata psichicamente, non più di quello che ho fatto io. Io non escludo che vivrei per qualche tempo in Irlanda, ma solo in un luogo remoto, dove avrei silenzio e privacy. E 'importante quando si scrive di sentirsi liberi, di non risponde a nessuno. Nel momento in cui ti senti rispondere, sei strozzato. Non si può fare.

BA. Lei scrive molto di guerra - la guerra in casa, la guerra nella terra, la guerra nel cuore. Pensa che gli irlandesi sono inclini a questo particolare passa-tempo?

EOB. Ritengo, anzi, che sono più turbolenti. Sono più turbolenti per una certa pre-disposizione e per

Con più di venti libri, Edna O’Brien ha tracciato il paesaggio emotivo e psichico della sua nativa Irlanda. Spesso criticata nel suo paese per il suo atteggiamento schietto, ha forgiato un pubblico universale; da moltissime comunità culturali è de-scritta come ‘una degna erede degli antenati della letteratura irlandese’, mentre Le Figaro ha osserva-to che’ il respiro del suo linguaggio è paragonabile a Faulkner’. Riconoscimenti e premi sono stati: gli irlandesi PEN Lifetime Achievement Award, Writers Guild ‘di Gran Bretagna, Premio Cavour (italiano), American National Arte, Medaglia d’Oro e Meda-glia d’Ulisse 2006.

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interwiev

la lingua. E la loro storia li ha fatto soffrire un infer-no. Ho scritto circa il conflitto tra madre e figlio, tra marito e moglie, e, in "House of splendid isolation (Uno splendido isolamento, tr. Feltrinelli UE), tra due parti di uno stesso paese. Un uomo dell’IRA mi disse una volta: "Quando fui colpito (a fuoco), non m’ importava. Ma quando gli ho sparato, si, perché la metà di voi spera che lui si salvi, l'altra metà che non ha speranze . Perché abbiamo l' Irlanda sotto la pelle. " Questa per me è stata una storia di guerra.La guerra, sia che si tratti tra l'uomo e la donna, o di parti diverse di un paese, o diverse nazioni, è sempre, sempre molto complicata. E' quello che voglio scrivere. E' il dilemma e il conflitto all'interno che conta. Sarebbe impossibile per uno scrittore con una consapevolezza circa la psiche umana e la condizione umana di non scrivere di guerre, qualunque sia: locale o più in larga scala. Poiché capita che le persone siano in disaccordo tra loro, a volte si perdonano reciprocamente, ma poi torna il re-disaccordo tra di loro. La vita non è una pisci-na piatta, è una tempesta, un mare in tempesta dove siamo tutti dentro. E forse io, in fuga da dove sono, devo prestare più attenzione a quello che agli aspetti più dolci. Ma, in fondo, questo è il mio destino.

BA. E' questo lo scopo, o il messaggio della sua scrittura?

EOB. Io non sono sicura di avere un messaggio - Edvard Munch con "L'urlo", forse. Lo scopo? E' una domanda molto difficile a cui rispondere. In primo luogo per me è il linguaggio. Una delle mie più grandi emozioni nella vita è di sentire un suono di lingua, una lingua di una poesia, come Wallace Stevens: "Non so quale preferisco di più, / la bellez-za dell'inflessione o la bellezza delle insinuazioni, o il fischio di un merlo». Non posso dire quello se lo "scopo" di Wallace Stevens, sia di queste tre grandi questioni. Tutto quello che so è che, quando le ho sentite, mi hanno turbata.La lingua è una cosa straordinaria. E' più straordina-ria di qualsiasi arma nucleare. Potete fare qualsiasi cosa con essa. James Joyce lo ha fatto. Si può girare dentro e fuori. È possibile torcersi con la parola, è possibile fare una galassia con essa e portare l'emozione e l'eccitazione di lettore all'estasi. Amo pensare anche la vaga possibilità che io possa esse-re impegnata in questa vocazione.

BA. Quali autori le affrettano il passo, chi la influen-

za di più?

EOB. Deve essere James Joyce. Non è fuori dai sentimenti nazionali che dico una cosa simile. E' che semplicemente quando lavoravo a Dublino in una farmacia, uno giorno ho comprato un libro per quattro soldi che si chiamava "Introducing James Joyce", di TS Eliot, e l'ho aperto nella sezione del "Ritratto dell'artista da giovane", la scena della cena di Natale, con la fiamma blu sopra il pudding di Natale. Fino ad allora, avevo scritto piuttosto fantasiosamente, con un sacco di aggettivi. Quan-do ho letto questo, ho capito una cosa: che avevo bisogno di non andare oltre la mia interiorità, la mia esperienza, per tutto quello che volevo scrive-re. E' stato veramente, senza sembrare St Paul, una rivelazione assoluta per me.L'altro è William Faulkner. Se ci sono due uomini in cielo, come mi auguro che ci siano - anche se Joyce non vorrebbe che io dia a questo una menzione di luogo - se sono lì insieme, spero che stiano a be-vendo e brindando alla loro grandezza e di quanto hanno dato. E' enorme quello che hanno dato alla vita. Ci sono scrittori e scrittori. Ma ci sono Joyce e Faulkner, per me.

Gli ultimi lavori dell’autriceByron in love 2010Haunted 2010di prossima uscita nel 2011 Saints and Sinners

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Per disarmare quanti si aspettavano di sentire dire a Wilde che cosa fosse la bellezza, egli citava Goethe, per sostenere che essa andava definita con esempi e non con cavillosità filosofiche. Inoltre sosteneva che:"L'estetismo è la rierca dei segni del bello. E' la scienza del bello, attraverso la quale gli uo-mini la correlazione fra le arti. E', per esse-re più precisi, la ricerca del segreto della vita"Tra i momenti privilegiati della conoscenza, per i decadenti, vi è soprattutto l’arte. Il poeta, il pitto-re, il musicista non sono solo abili artefici, capaci di adoperare magistralmente la parola, il colore, la nota, ma dei sacerdoti di un vero e proprio culto, dei veggenti, capaci si spingere lo sguardo la dove l’uomo comune non vede nulla, di attingere a di-mensioni nuove dell’essere, di rivelare l’assoluto. L’arte non è solo un’operazione intesa, attraverso il controllo razionale di certi strumenti espressi-vi, a produrre begli oggetti, che provochino sen-sazioni piacevoli, come pretendeva una secolare tradizione, ma voce del mistero che obbedisce a sollecitazioni profonde, suprema illuminazione. Per questo l’arte appare il valore più alto, che va col-locato al di sopra di tutti gli altri, anzi, deve assorbirli tutti quanti in se. Questo culto religioso dell’arte ha dato origine al fenomeno dell’estetismo. L'Estetismo vuol essere anche modello comportamentale, oltre che artistico. La vita stessa dell'intellettuale esteta deve essere coinvolta nell'arte, farsi arte essa stes-sa. L’esteta è colui che assume come principio rego-latore della sua vita non i valori morali, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, ma solo il bello, ed esclu-

sivamente in base ad esso agisce e giudica la realtà. Egli si colloca così al di là della morale comune, in una sfera di assoluta eccezionalità rispetto agli uo-mini mediocri. Gli atti quotidiani della sua vita sono trasformati in materiali per una vera e propria ope-ra d’arte (Ho messo l’arte nella mia vita, nelle mie opere solo il talento). Arte e vita per lui si confon-dono, nel senso che la seconda è assorbita intera-mente dalla prima. Tutta la realtà è da lui banditore di identità morali e civili: l’arte rifugge dalla rappre-sentazione della realtà storica e sociale (che era una prerogativa del realismo ottocentesco) e si chiude in una squisita celebrazione filtrata attraverso l’arte. Va costantemente alla ricerca di sensazioni rare e squisite, si circonda degli oggetti più prezio-si, quadri, stoffe, gioielli, libri antichi, prova orro-re per la banalità e volgarità della gente comune, che resta sorda alla rivelazione del Bello, di questa vera e propria religione. Arte vista l'unico rifugio, l'unica difesa dalla volgarità della vita normale.Ne consegue anche che il poeta rifiuta di farsi banditore di idealità morali e civili: l'arte rifugge dalla rappresentazione della realtà storica e so-ciale (che era una prerogativa del realismo otto-centesco)e si chiude in una squisita celebrazione di se stessa, depurandosi di tutti gli intenti pratici e utilitaristici; diviene cioè arte pura, poesia pura.Per Oscar Wilde il culto della bellezza e della forma sono considerati come valori fini a se stessi. L’arte non ha alcuno scopo educativo e morale; i vizi e le virtù sono una semplice “materia dell’arte”, ma non hanno nulla a che vedere con il significato estetico

letteratura in terra d’ Irlanda

ritratto di un irlandese:Oscar Fingal O’Flahertie Will Wilde

di Giovanna Primo

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dell’opera. In questo senso, la vera “arte è perfetta-mente inutile”. Di cui la definizione tautologica, se-condo cui “la cosa bella significa soltanto bellezza”; solo gli “eletti” possono capirla ed apprezzarla, costi-tuendo quindi il pubblico ristretto, particolarmente raffinato e selezionato, al quale si rivolge l’artista de-cadente. Rispetto all’opera lo scrittore deve rimane-re celato, non perché il suo punto di vista coincide con quello oggettivo della scienza (come accadeva nella poetica del romanzo naturalista), ma perché la sua vita, come punto di partenza soggettivo, si risol-ve completamente, sublimandosi e trasfigurandosi, nella compiutezza della creazione. A queste pre-messe, si ispira il principio decadente dell’arte pura, che vale di per se stessa, acquistando un significato assoluto, al di là di ogni contaminazione con la realtà. Si afferma anche, di conseguenza, un nuovo modo di impostare il rapporto arte-vita, nel senso, indica-to ancora da Wilde, secondo cui non è l’arte che imi-ta la vita, ma viceversa. Il carattere intellettualistico e riflesso di questo tipo di letteratura, che non ha nulla di immediato e spontaneo, presenta non po-chi elementi di contatto con l’esercizio della critica letteraria. Il critico è colui che collabora a far sprigio-nare i significati del testo, contribuendo allo stesso processo creativo che l’arte prolunga al di la di sé; l’interprete coincide con l’esteta, con il Dandy, raffi-nato, rientrando in una ristretta cerchia di “spiriti col-ti”. Anche in questo modo l’arte estende i suoi poteri sulla vita, contribuendo alla formazione di un nuovo costume, oltre che di un nuovo gusto e di una nuo-va sensibilità. Ne consegue il rifiuto della tradizione letteraria e delle sue tendenze dominanti, il “roman-ticismo” e il “realismo” perché dipendenti dalla realtà.

The Picture of Dorian Gray uscì sul “Lippincott’s Monthly Magazine” nel luglio 1890; la prefazione, in-titolata “A preface to The Picture of Dorian Gray”, uscì

a parte, su “The Fortnightly Review”, l’anno dopo, insub-biamente ispirata dalle po-lemiche che avevano http://giotto. ibs. i t/cop/copt13.asp?f=9788804516651 ac-colto il romanzo. Prefa-zione e testo furono riu-niti per l’usicta in volume, avvenuta nell’aprile del 1891.In questo suo unico romanzo,

Oscar Wilde creò la sconvolgente rappresentazione di un giovane esteta dell’ Inghilterra vittoriana di fine secolo distrutto da una vita malvagia e dissoluta.Mescolanza di elementi del racconto dell’ orrore e della letteratura decadente francese, la storia ha al centro un “patto col diavolo”: Dorian Gray sprofon-da in una vita delittuosa e di volgare sensualità ma il suo corpo conserva intatti il vigore e la bellezza di una gioventù perfetta, mentre un suo ritratto di gior-no in giorno si trasforma, corrompendosi, assumen-do la degradazione del suo corpo e della sua anima.

L’opera è un romanzo di carattere; doveva essere, nelle intenzioni dell’ autore, un nuovo Satyricon, le cui pagine avrebbero descritto tutti gli splendori pubblici e privati di quella società che per lui rap-presentava il massimo del saper vivere civilmente. E’ lui per primo a riconoscere nel suo romanzo quanto i membri della società-bene si prestino ad indossare le maschere tipiche della commedia di costume: “Perchè i canoni della buona società sono, o dovrebbero essere, uguali a quelli dell’ arte. La for-ma le è assolutamente essenziale. Dovrebbe avere la dignità di una cerimonia e, al tempo stesso, la sua ir-realtà, e dovrebbe abbinare la falsità di una comme-dia romantica all’ arguzia a alla bellezza che ci ren-dono cosi piacevole questo genere di commedia.”

La trama del “Dorian Gray” è molto esile:

Doryan Gray è un giovane bellissimo che della bel-lezza e del godimento ha un culto appassionato e turbato. Quando Basil Hallward, pittore suo amico, gli regala un ritratto che lo riproduce nel colmo della gioventù e della bellezza, Dorian sente il do-

Il ritratto di Dorian Gray

Oscar Wilde portò la dottrina estetica alle sue estreme conseguenze: sostenne la necessità, per l’artista, di godere della libertà assoluta, onde poter esprimere la sua arte in autentici capolavori. L’artista, egli sosten-ne, deve essere libero da ogni legame con la società, libero dai sentimenti, da ogni credenza poiché tutti questi obblighi limitano la sua capacità di ricerca del bello. Con tali teorie Wilde sfidò la società vittoriana e assestò un duro colpo ai suoi già fragili equilibri.

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lore per la rapidità con cui trascorre il tempo. Per la magia di un suo voto tutte le tracce della vita e degli anni non segneranno il volto vivo e perfetto di Dorian ma solo quello del ritratto. Sopraffatto dall’angoscia di avere un doppio volto, una dupli-ce vita, Dorian colpisce il ritratto con un pugnale e cade morto, come se avesse colpito se stesso. I servi accorsi vedono un ritratto del loro padro-ne bellissimo e giovane e sul pavimento un vec-chio appassito e rugoso con un pugnale nel cuore.

Il racconto si concentra tutta sulla metafora pro-tratta del “sosia”; lo scopo dell’ autore, come lui stesso ammise, era di “circondare Dorian Gray di un’ atmosfera di corruzione morale”, perchè cio “era necessario per lo sviluppo drammatico di que-sta storia”. Altrimenti la storia non avrebbe avu-to significato, nè la trama lo sbocco. Mantenere questa atmosfera vaga e indeterminata e meravi-gliosa era il fine dell’ artista che scrisse il racconto.Per più di un secolo ormai questa storia carica di su-spance, dal fascino ipnotico, ha avuto innumerevoli lettori. Giudicata “disgustosa” dalla critica vittoriana al suo apparire, è considerata oggi una delle ope-re maggiori di Wilde e un classico del suo genere.

Il ritratto di Dorian Gray è una storia di decadenza morale. Wilde non risparmia al lettore alcun parti-colare del declino del protagonista verso un abisso di corruzione. Il finale rivela una presa di posizione dell’autore contro la degradazione dell’individuo ma ciò non bastò ad evitargli l’accusa di immoralità.

fine

©2010 bookavenue.it

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L'eBook ucciderà il libro tradizionale? – "I libri non sono morti. Solo diventano digitali" così nel novem-bre del 2007 Newsweek annunciava la nuova era dell’industria editoriale: un sorridente Jeff Bezos, pa-dre di Amazon, nascosto dal primo lettore di eBook, il Kindle. Il giornalista Stephen Levy testando uno dei primi modelli fece capire "that will change the way readers read, writers write and publishers publish."

Sono passati tre anni da quel lancio entusiasman-te, l’eBook in USA ha conquistato circa il 5% del mercato. Ora la partita si gioca anche in Europa e quindi in Italia dove, nell’incertezza e nell’attesa di capire le regole del mercato (se ci sono!), gli edi-tori nostrani instaurano piccole e grandi alleanze preparandosi all'invasione delle scatolette... Non sappiamo ancora quanto tempo im-piegherà l’eBook a scalzare il libro analogico, ma conosciamo fin da ora le previsioni di vendita: entro la fine del 2010 circoleranno qualco-sa come 10 milioni di lettori digita-li (sommando iPad, Kindle, Nook e altri meno famosi). Allora è lecito chiedersi, che fine faranno i libri?

Preoccupazioni e contraddizioni – La domanda è sulla bocca di giorna-listi, blogger, editori e librai. Una ri-sposta si trova nel libro di Francesco Cataluccio Che fine faranno i libri? (Nottetempo, 6 euro la versione cartacea, 3 euro quella in formato

ePub). L’ex direttore di Bruno Mondadori e Bollati Boringhieri ha lavorato per 20 anni nell’editoria li-braria e meglio di altri può esprimere un giudizio articolato su questo mondo che, pur resistendo alla crisi economica, mostra forti contraddizioni.

Quella più evidente è questa: da un lato la sovrappro-duzione industriale (oltre 60.000 titoli stampati in un anno in Italia, 6 libri su 10 non vendono nemmeno una copia) e dall’altro i tassi di lettura fra i più bassi in Europa (appena 3,2 milioni di persone leggono un libro al mese: scarica il Rapporto AIE 2009 sullo stato dell'editoria). Dobbiamo prepararci all’apocalittica scomparsa dell’invenzione di Johann Gutenberg?

La scatoletta “nemica” – No. Sarebbe uno sbaglio considerare l’eBook un nemico, ci spiega Cataluccio. Senza giri di paro-le, evitando fatalismi, l’autore fioren-tino coniuga tutta la sua riflessione al futuro. Non c'è spazio per il condi-zionale né per le riflessioni sibilline. Il futuro dei libri è già scritto: sarà in for-ma di bit, una strada è stata aperta e bisogna scoprire dove condurrà. Per capire il destino dell'editoria analogi-ca è interessante immaginare come e quanto cambieranno gli scenari produttivi, distributivi e commerciali.

La rivoluzione elettronica digitale inciderà diret-tamente su tre fattori: l'azzeramento del supporto

il libro del mese

Triste, digitale y final. Libri al capolinea?il libro di Francesco Cataluccio nella recensionedi Àlen Loreti

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cartaceo, la riproducibilità tecnica dell'opera (senza scomodare Benjamin) e il nuovo ruolo del lettore-con-sumatore (nel 2008 ben 2,8 milioni di ordini e-com-merce con scontrini medi di 50 euro di cui tre quarti spesi in libri cartacei). Cataluccio invita tutti a tenersi pronti: mercato, professioni, regole e spazi saranno da ripensare, subiranno cioè un ridimensionamento.

Quanto mi costi? – L’affermazione e la penetra-zione commerciale degli eBook è scontata. La prova immediata viene fornita dalla stampa pe-riodica: sempre più quotidiani e magazine sono disponibili sulle nuove piattaforme. Questo biso-gno di informazioni potrà essere replicato nel bi-sogno di emozioni, cioè leggendo un romanzo? La porta che si apre lascia intravedere un sogno, un sogno il cui accesso sarà regolato dai costi.

Cataluccio ci fornisce dati interessanti. Attualmen-te passare da un libro tradizionale a quello in forma elettronica costa 1 euro da pagina cartacea e 2,5 euro da pellicola. Ma come dichiara immediatamente "il principale ostacolo alla diffusione in Italia degli eBook è che oggi sui libri cartacei si paga l'IVA al 4% e su quelli elettroni-ci al 20%. Ma mantenere quest'iniqua disparità, invece di rendere diffi cile la vita agli eBook, non fa che favorire la pirateria."

Se si parla di costi ine-vitabile la riflessione sulle figure professio-nali –già ben descrit-te dal direttore della Garzanti Oliviero Ponte di Pino nel suo I mestieri del libro, TEA, 2008)– che dovranno per forza mu-tare. Scompariranno magazzinieri, tipografi, ma compariranno sistemisti, newsmaker, redattori che masticheranno metalinguaggi. Variabile "indipen-dente" resterà il lettore che con le sue preferenze, le sue attenzioni, condividerà gusti e richieste alla velocità della luce sfruttando l'orizzontalità del web:

Fare libri costerà poco e anche nell'editoria sarà possibile venire incontro a una delle ten denze del nostro mondo ipermoderno: i consu matori diventeranno parte attiva della produ zione. Non è infatti più possibile pensare di te nere fuori dal mondo dei libri e dei giornali gli acquirenti-fruitori,

che vogliono essere sempre più coinvolti, perché la tecnologia li ha abituati a essere protagonisti, a creare contenuti. Nell'editoria odierna, nessuno è più difeso come prima e tutti debbono reinventarsi, soprat tutto dal punto di vista commerciale. Come so stiene Francesco Caio, uno dei padri della Om-nitel, internet ha spezzato il vincolo di integrazione verticale su cui si sono sempre basati i modelli di business tradizionali dei media, mentre ancora cin-quantanni fa chi produceva aveva il controllo qua-si totale della distribuzione con modelli inte grati.

L’idea del libro – La digitalizzazione delle biblio-teche pubbliche da parte di Google, le scelte di Amazon sulla distribuzione dei profitti, gli aspetti giuridici ed economici del copyright, la conserva-zione e riesumazione dei cataloghi editoriali, la gestione delle librerie e delle stesse biblioteche: Cataluccio ci fa capire che l’eBook offrendo un di-verso accesso alla conoscenza determina in modo graduale ma definitivo un punto di svolta. Cosa resterà del vecchio libro, allora? L’autore è chiaro:

Di fronte a una rivolu-zione radicale, che ren-derà i libri immateriali e per certi aspetti incerti, non più chiusi e defini-tivi, sarà bene badare a salvare l’idea del libro. Ed è perciò utile riflette-re sulla proposta di una sorta di “etologia della libro e della lettura” e riprendere le conside-razioni che il sociologo e filosofo Ivan Illich fece a partire da un libro ca-

pitale come il Didascalion (1128) del teologo e mi-stico Ugo di San Vittore, seguace di Sant’Agostino. In the Vinegard of the Text (1991; trad. it. Nella vi-gna del testo, Cortina, Milano 1994) mette a fuoco il momento nel quale, dopo secoli di lettura cristiana, improvvisamente la pagina scritta si trasformò, da partitura per pii borbottanti, in testo organizzato ot-ticamente ad uso di pensatori logici. Prima si legge-va in pubblico e a voce alta; poi, leggere consistette nel formare, in un ambiente isolato e silenzioso, la mente sulla base di regole e precetti tratti da libri. Trecento anni prima che entrassero in uso i caratteri mobili, la pagina scritta si trasformò da spartito in testo, permettendo di immaginarlo come qualcosa di distaccato dalla realtà materiale della pagina. Nac-

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que così il “modo libresco” di considerare gli scritti che per otto secoli è stato il fondamento e il titolo di legittimazione delle istituzioni scolastiche occi-dentali. Vent’anni fa Illich poteva già affermare che si era giunti alla conclusione dell’era del libro: “Oggi il libro non è più la metafora fondamentale dell’epo-ca; il suo posto è stato preso dallo schermo. Il testo alfabetico non è che uno dei tanti modi di codificare

qualcosa che viene ora chia-mato messaggio (…) Assi-stiamo alla dissoluzione della tecnica alfabetica nel mia-sma della comunicazione”.

Per salvare e salva-guardare l'Idea del Li-

bro c'è una sola cosa da fare: Qualità. Pun-tare sulla qualità significa offrire ottime traduzioni, impaginazioni pulite, lingue corrette, grammatiche rigorose e una solida autorevolezza.

E tra 2000 anni? – Quale oggetto soppianterà l’eBook in futuro? Chi può saperlo. Cataluccio ci parla dello Skiff "un foglio d’acciaio avvolto in un guscio di vetro flessibile, grandezza A4 e pesante meno di 500 grammi" (appena acquisito dal tyco-on autraliano Murdoch). Sembra fantascienza ma esiste già, e forse stiamo copiando il passato; non è curioso notare come questi e-reader assomi-glino per forma (e sostanza!) alle tavolette cerate usate in epoca romana? La coppia di Pompei che per vezzo si fece ritrarre con gli instrumenta stilo-grafica, a quanto pare di moda in età neroniana, ci racconta dopo 20 secoli una tecnologia semplice...

Il dittico che la moglie del fornaio regge con la mano insieme allo stilo in punta di labbra è chiaramente un iPad… mentre la pergamena che suo marito, Teren-tius Neo, stringe a sé davanti al viso è senza ombra di dubbio il dopo-iPad: un rotolino sottile, indistrutti-bile, sul quale leggeremo libri, vedremo film, scrive-remo articoli. Una tecnologia tascabile che pieghe-remo come un fazzoletto da naso, biodegradibile e che si ricaricherà al sole, come un panno. C'è una for-te emozione nei loro visi. Più li guardo, più mi con-vinco che l’oggetto libro sarà un "ritorno al futuro". "Habent sua fata libelli" (fonte) – All’inizio degli anni Novanta Luciano Mauri, storico patron di Messag-gerie, scomparso nel 2005 e padre di Stefano Mauri attuale Ad del Gruppo editoriale Mauri Spagnol, nel presentare un librino di Harbert R. Lottman (Dieci domande sui libri, Sellerio) nato da un seminario te-nuto alla scuola per librai di Venezia, non ebbe timo-

re a manifestare questo ottimismo, quasi una sfida:Se modi diversi di diffusione del libro sono ai loro confini alternativi, assieme tuttavia otten gono nuo-ve, inaspettate conquiste.[...] E se poi la minaccia venisse dai mezzi che diffon dono la «realtà» vir-tuale, che c'è di più virtuale della parola scritta?

©2010 Àlen Loreti, BookAvenue

FRANCESCO MATTEO CATALUCCIO

(1955, Firenze) Laurea in Filosofia morale all’Univer-sità di Firenze; dottorato presso l’Istituto di Studi Letterari dell’Accademia delle Scienze di Varsavia.

1989-1995: Feltrinelli, dal 1992 dirige le collane tascabili UE e I Classici.

1995-2005: Bruno Mondadori, direttore editoriale

2005-2009: Bollati Boringhieri, direttore editoriale e generale

Scheda: Nottetempo edizioni

Blog: Il Fatto Quotidiano

Intervista: Fahrenheit Rai Radio3

Donwload eBook: BookRepublic Store

© 2010 contenuto aggregato da Àlen Loreti per BookAvenue.

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Aatish Taseer è cresciuto da laico, in una India pluralista.Questa affermazione, che più di tale, sembra il ma-nifesto di un programma politico, spiega il resto di quest'articolo se avrete la pazienza di leggerlo.E vi conviene secondo me, perchè sto par-lando di una delle più belle esperien-ze di lettura che ho fatto quest'anno. Il libro è: Strange to history. A Son's journay throu-gh Islamic Lands (tr.Einaudi, Straniero alla mia storia Il viaggio di un figlio attraverso le terre dell'islam)

Le prime influenze che hanno formato l'auto-re, inclusa quella di sua madre vicina al Sikhi-smo, sono stati: un collegio cristiano, e i carto-ni animati di He-Man. Dietro questa fantasiosa abbondanza culturale, però, c'era un'assenza: quel-la di suo padre separato (già sposato e con un al-tra famiglia), il politico pakistano Salmaan Taseer. Straniero alla mia storia è in definitiva quel-lo che è già scritto nel sottotitolo in co-pertina: il viaggio del figlio verso il mon-do del padre. Ma anche verso il padre stesso.Ma andiamo con ordine.

Taseer jr è nato dall'incontro della madre gior-nalista-inviata indiana e l'uomo politico paki-stano. Taseer jr descrive l'imbarazzo, la frustra-zione e l'occasionale gioia di incontrare suo padre e i suoi fratellastri, sapendo pure di rivol-gersi ad una identità nazionale, quella del Paki-

stan, e culturale che lo esclude dolorosamente. Londinese di nascita, formatosi nelle migliori scuo-le, è giornalista free lance per il Time e, all'indo-mani delle tragiche stragi alla stazione metro di King Cross come pure in altri luoghi di Londra, ad opera di musulmani con passaporto britannico come la cronaca ricorderà successivamente, scri-ve un resoconto di quanto accaduto arricchito da un'analisi frutto di un'indagine presso i musulma-ni transnazionali di Beeston-Londra. Di qui una lettera molto dura del padre noto per la propria laicità e apertura che lo rimprovera di non rende-re un buon servizio all'"Islam culturale" e di non fare un buon servizio per il suo paese d'origine.

Intraprende, così, un viaggio da Istanbul alla Mec-ca fino all'Iran e al Pakistan, dentro la realtà islamica attuale, alla ricerca di risposte ai quesiti che lo assil-lano: che cosa vuol dire essere musulmani? perché i musulmani si sentono così minacciati dalla moder-nità?... Il giornalista anglo-indiano percorre le stra-de nelle terre dell'Islam fino alla casa di suo padre a Lahore, alla ricerca di un'identità che gli è estranea e nello stesso tempo gli scorre nelle vene. Sulla strada di questo doppio viaggio, tra sentimenti e cronaca, Taseer osserva il grave disordine della fede e la di-stanza che la politica ha messo tra le liturgie proprie del credere e l'imbarbarimento della vita sociale.

In Pakistan Taseer si concentra su diverse partico-larità, e qui la sua scrittura è particolarmente bella.Le sue descrizioni del mondo rurale Sindh come il

Reading Room

Aatish Taseer, Straniero allamia storia

di Michele Genchi

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proprietario terriero feudale tormentato che trova sulla strada verso la casa del padre a Lahore sono indimenticabili. Raffigurando le case abbando-nate dalla borghesia indù e il crollo dei santuari dove indù e musulmani hanno pregato insieme decenni prima, fa della separazione dei suoi ge-nitori una immagine della rottura della "partizio-ne": una delle due grandi pulizie etniche del 1947 i cui effetti sembrano esserci ancora per tutti. Un'altra assenza, che il viaggio aiuta a spiegare, è la diversità dell'Islam. La religione, nelle sue va-rie manifestazioni, è stata un tempo "tutto un si-stema di credenze completo con le idee della po-litica, il diritto e i codici comportamentali degli individui". Ciò che adesso osserva, e chi legge con l'autore, sia negli stati di polizia corrotti o nel "rivi-vere" i regimi islamici, è la perdita di tale vecchie società. La modernità islamica ha spesso portato una feroce omogeneizzazione della cultura e della fede. Taseer fa una diagnosi della perdita della tra-dizione e alcuni dei suoi sintomi - in realtà il libro è un lungo lamento di quanto è andato perduto.

Alcune riflessioni possono sembrare meno con-vincenti. Non sta certo a me spiegarle da letto-re, trovo però un pò una forzatura dell'autore la sua visione occidentale dell'Islam i cui codici non sono del tutto spiegabili anche per un figlio di quelle terre: la ricerca più astratta dell'identità islamica del suo viaggio sembra essere un limite.

Più a est sulla sua ricerca dell' Islam transanazionale, Taseer sfiora le diversità che esistono ancora. L'arrab-biato e poco riflessivo islamismo che incontra in Si-ria è solo un aspetto della vita multiculturale del pa-ese, e in nessun caso il solo aspetto della vita sociale e culturale di quel paese. Egli sembra presentare un quadro unidimensionale delle sue terre di transito, a volte al limite del paranoico. E' spesso "ricarbura-to" da ciò che sente, e salta a peggiori conclusioni. Ma che i siriani, gente che sa certamente come evi-tare i tabù politici, possa parlare di politica solo al chiuso della privacy di un automobile, sembra una forzatura anche per me e lontano dalla verità. Il Mufti siriano a cui è aggiudicato l'epiteto di "feroce", è una forzatura: Mufti Badr Hassoun è un liberale Sufi musulmano che ha condannato ripetutamente il terrorismo, il settarismo e ha sostenuto con forza le campagne contro l'omicidio "d'onore". E criticato ferocemente nel suo paese per le sue convinzioni.

Ironia della sorte, la prospettiva laica di Taseer trarrebbe beneficio da uno sguardo ulteriore verso quel mondo.

Tra gli incontri che l'autore compie a beneficio della sua ricerca si imbatte in personaggi che, cer-to, non lo aiutano a spiegare il mondo islamico: Un interlocutore in Iran spiega le cause della rivo-luzione islamica un pò troppo sbrigativamente: "non avevamo niente di meglio da fare", dice. Ma di contro, è lo stesso paese in cui si vede non rin-novare il suo permesso di soggiorno a causa delle domande poste alle persone sbagliate. Il sistema di polizia che governa i gangli della vita della gente e di come l'autore ne fa le spese in prima persona, è la riprova delle grandi contraddizioni che esistono. Come pure c'è, talvolta, un certa goffaggine a tro-vare per forza alcune definizioni del tipo: è un'os-sessione il problema dei musulmani verso negazio-ne della storia? Si sa qual'è l'atteggiamento diffuso da una parte dell'islamismo verso Israele e la Sho-ah. Ma è possibile separare le ragioni della nascita dello stato di Israele con la verità storica della tra-gedia occorsa al suo popolo? (Per capirci: il pre-sidente iraniano a più volte negato l'una e l'altra).Queste debolezze non aiutano il bisogno di sa-pere e o più semplicemente di conoscere l'Islam da parte di coloro che abitano a nord del Medi-terraneo e non fanno del bene all'editoria cono-sciuta. Dopo tutto, scrittori come Pankaj Mishra e William Dalrymple o, il molto tradotto Housseni, offrono spunti molto più interessanti sull'impat-to crudele della modernità sull'Islam tradizionale, ma il libro è decisamente più bello quando Taseer si concentra su ciò che conosce meglio: la cicatrici della storia nel subcontinente indiano, e le conse-guenze che arrivano fino a lui in tutto il suo cuore.

Quando giunge al termine del suo viaggio, a Laho-re, la notte dell'uccisione di Bénazir Bhutto, Taseer jr. racconta la storia della propria famiglia divisa e, come molti altri musulmani alla ricerca di un'identi-tà, il suo destino di giovane intento nella difficile im-presa di sbrogliare i fili della propria appartenenza culturale. E il Pakistan ha scelto con quel omicidio, l'essenza della religione che come tale incoraggia lo smantellamento delle forme esistenti della vita intel-lettuale fino al dettato costituzionale. L'urgenza della preghiera si sostituisce al panorama sociale facendo di esso una landa sconsolata priva di ogni pulsione.

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Se le condizioni favorevoli alla fede debbano pas-sare per l'iniquità dell'assenza di tutto il resto, come se da sola bastasse alle ragioni dell'esistere, è l'eter-na domanda con cui continueremo ad interrogarci.

fine

©2010 BookAvenue, Michele Genchi

Aatish Taseer è nato nel 1980. Ha lavorato come reporter per Time Magazine e ha scritto perl’edizione domenicale del Times , Prospect e India Today. E’ l'autore , oltre che di Straniero alla mia sto-ria del 2009 , di un acclamata traduzione di Manto: (una raccolta di racconti) uscito nel 2008. Il suo ultimo romanzo, The Temple-Goers (Il Tempio di frequentatori), è uscito quest’anno per dal Viking. Vive tra Londra e Nuova Delhi.

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Quando l’uragano Katrina colpisce New Orleans, Abdulrahman Zeitoun, un ricco siriano-americano (è nato a Jebleh, sulla costa mediterranea della Siria) padre di quattro figli, sceglie di rimanere per pro-teggere la sua casa e i suoi affari mentre la sua fa-miglia ha deciso di lasciare la città per precauzione. Nei giorni successivi viaggia per le strade allagate con una canoa di seconda mano, aiutando chi può.

Kathy, la moglie lo implora di lasciare la cit-tà per lei e per i suoi quattro figli, ma lui dice di no, qui hanno più bisogno. Un giorno la Guar-dia Nazionale lo accusa di essere un saccheg-giatore e lo mette in prigione. La storia cam-bia improvvisamente e da un’avventura umana diventa un dramma socio-politico raccapricciante.Una settimana dopo, il 6 settembre 2005, Zeitoun scompare improvvisamente.

Dave Eggers (che ha una laurea in giornalismo presso l'Università dell'Illinois) ci ha messo tre anni a scrivere questo libro per raccontare la sto-ria il più chiaramente e oggettivamente possibi-le, ma ne è valsa la pena. Forse perché è una sto-ria che si racconta da sola, un libro che ha fuso e combinato elementi di memorie, di storia orale e finzione, un potente, scomodo atto d'accusa.

Anche se Eggers non è stato un diretto testimone della devastazione dell'uragano Katrina, egli coglie l'esperienza attraverso gli occhi di Zeitoun e si avvicina con tenerezza al cuore del dramma. Ci dice che cosa

la gente pensava e come si sentiva, ma non giudica, consentendo al lettore di trarre le proprie conclusioni. In “Zeitoun” Eggers esplora le radici di Abdulrahman Zeitoun in Siria, il suo matrimonio con Kathy - un’ame-ricana convertita all'Islam - e dei loro figli, e cerca di capire che cosa gli è successo e come è stato possibile.

“Zeitoun” è la storia vera di gente comune alle pre-se con circostanze straordinarie. Una storia rac-contata con l’abilità di un maestro della narrativa. Una storia terribile che lascia il lettore ribollente di rabbia per tutte le ingiustizie che vi si verificano. Una lettura emotivamente difficile, ma importante.

Con questo libro Eggers traccia un ritratto indelebile di gestione delle crisi dell’era-Bush, imbottigliando, meglio di chiunque altro, la sensazione di dispera-zione che si è realmente respirata nel dopo-Katrina.

“Zeitoun” è un libro avvincente e sorprendente che

Storie

Le radici di Abdulrahman Zeitoun

di Marco Crestani

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mette in luce la bellezza della natura multi-culturale della società americana. Una grande opera ricca di fuoco e spirito, un instant classic scolpito con elo-quenza feroce e una inquietante sensibilità morale.

Dave Eggers, Zeitoun, Mondadori (collana Strade blu. Non Fiction), 2010, 311 p., brossura, traduzione di M. Colombo.

L'uragano Katrina è stato uno dei cinque più gravi uragani della storia degli Stati Uniti,il più grave in termini di danni economici, uno dei più gravi dal punto di vista del numero di morti. È stato il sesto più forte uragano atlantico mai registrato e il ter-zo più forte che abbia mai raggiunto le coste de-gli Stati Uniti. Katrina si è formato il 23 agosto du-rante la stagione degli uragani atlantici 2005 ed ha causato devastazioni lungo buona parte della regione che comprende gli stati confinanti con il Golfo del Messico, ovvero la Costa del Golfo degli Stati Uniti. Le maggiori perdite di vite e di danni alle infrastrutture sono avvenuti a New Orleans, in

Louisiana, che è stata inondata quando il sistema di argini si è rivelato catastroficamente inutile, in molti casi ore dopo che la tempesta si è spostata verso l'interno.L'uragano ha causato gravi distru-zioni attraverso l'intera costa del Mississippi e in Alabama, fino a 160 km dal centro della tempe-sta. Katrina è stata undicesima tempesta tropicale, quinto uragano, terzo uragano maggiore e secondo uragano categoria 5 della stagione atlantica 2005.Si è formato sopra le Bahamas il 23 agosto 2005, ed ha attraversato il sud della Florida come mo-derato uragano di categoria 1, causando alcuni morti ed allagamenti in quei luoghi prima di raf-

Katrina, un nome che fa ancora paura

©2010 Marco Crestani, Bookavenue

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forzarsi rapidamente nel Golfo del Messico e di-ventando uno dei più forti uragani mai registrati in mare. La tempesta si è indebolita prima di ad-dentrarsi come tempesta di categoria 3 il matti-no del 29 agosto prima nel sud della Louisiana e poi al confine di stato tra Louisiana e Mississippi.L'aumento del livello delle acque causato dall'onda di tempesta ha causato gravi danni lungo la Costa del Golfo degli Stati Uniti, devastando le città del Mis-sissippi Waveland, Bay St. Louis, Pass Christian, Long Beach, Gulfport, Biloxi, Ocean Springs e Pascagoula. In Louisiana, il sistema di prevenzione delle inonda-zioni non ha funzionato in più di 50 punti differenti. Quasi in tutti gli argini dell'area metropolitana di New Orleans si sono create delle brecce non appena l'ura-gano Katrina è passato ad est della città, inondando conseguentemente l'80% dell'area metropolitana e molte aree delle vicine Parrocchie per settimane.Almeno 1 836 persone hanno perso la vita a causa dell'uragano Katrina e per i conseguenti allagamen-ti causati, rendendolo il più grave negli Stati Uniti dal punto di vista del numero dei morti dopo l'ura-gano Okeechobee del 1928. Si stima che la tempe-sta abbia causato danni per 81,2 miliardi di dollari, diventando il più grave disastro naturale della storia degli Stati Uniti in termini economici. Il catastrofico fallimento della protezione contro le inondazioni a New Orleans ha portato a rivedere l'organigram-ma del corpo degli ingegneri dell'esercito, poiché questa agenzia era l'unica, per mandato del Con-gresso, ad avere la responsabilità della progettazio-ne e della realizzazione del sistema di protezione. Diffuse sono state anche le critiche alla reazione dei governi federali, statali e locali, che hanno por-tato ad una investigazione da parte del Congres-so degli Stati Uniti ed alle dimissioni di Michael D. Brown, direttore della Federal Emergency Mana-gement Agency. Al contrario, il National Hurricane Center e il National Weather Service sono stati lar-gamente encomiati per le loro previsioni accurate.

da Wikipedia

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Ottobrepaese ospite: Spagna

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