Bollettino (I/2009)

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ANNO LXI BOLLETTINO UFFICIALE DELL'ARCIDIOCESI METROPOLITANA DI PESCARA-PENNE MMIX - 1

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Il semestrale di documenti ufficiali dell'arcidiocesi di Pescara-Penne. Anno 2009, I semestre

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ANNO LXI

BOLLETTINO UFFICIALEDELL'ARCIDIOCESI METROPOLITANA

DI PESCARA-PENNE

MMIX - 1

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Periodico della Diocesi di PescaraAnno LXI - N° 1

Presidente:S. E. R. Mons. Tommaso VALENTINETTI

Direttore:Dott.ssa Lidia [email protected]

Direttore Responsabile:Dott. Ernesto GRIPPO

Amministratore:Can. Antonio DI GIULIO

Editore:Curia Arcivescovile Metropolitana Pescara-Penne

Sede Legale:

Curia Arcivescovile Metropolitana Pescara-Penne

Piazza Spirito Santo, 5

65121 PESCARA

Fotocomposizione e Stampa:

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65016 MONTESILVANO (PE)

Rivista Diocesana

C.C.P. n° 16126658

Periodico registrato presso il Tribunale di Pescara

al n° 11/95 in data 24.05.1995

Spedizione in abb. postale 50% PESCARA

CURIA METROPOLITANAPiazza Spirito Santo, 5 - 65121 Pescara - Tel. 085-4222571 - Fax 085-4213149

ARCIVESCOVADOPiazza Spirito Santo, 5 - 65121 Pescara - Tel. 085-2058897

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LA PAROLA DEL PAPA

Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace1° Gennaio 2009 ................................................................................................................. pag. 6

Omelia nella solennità di Maria S.S.ma Madre di DioXLII Giornata Mondiale della Pace ....................................................................................... “ 16

Omelia nella solennità dell’Epifania del Signore .................................................................... “ 21

Omelia nella festa del Battesimo del SignoreSanta Messa e Battesimo dei Bambini ................................................................................. “ 26

Omelia per la XIII Giornata della Vita Consacrata .............................................................. “ 29

Messaggio per la XVII Giornata Mondiale del Malato ....................................................... “ 32

Lettera sulla revoca della scomunica ai vescovi Lefebvriani .............................................. “ 36

Messaggio per la Quaresima 2009 ....................................................................................... “ 42

Messaggio per la XXIV Giornata Mondiale della Gioventù ............................................... “ 47

Messaggio all’Arcivescovo de L’Aquilain occasione del rito di suffragio per le vittime del terremoto .............................................. “ 53

Omelia nella Santa Messa del Crisma ............................................................................................. “ 55

Omelia nella Messa della Cena del Signore ................................................................................... “ 61

Omelia della Veglia Pasquale nella notte Santa ............................................................................ “ 66

Messaggio Urbi et Orbi - Pasqua 2009 ........................................................................................... “ 72

Omelia della domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore ............................................ “ 76

Visita alle zone terremotate dell’Abruzzo - 28 aprile 2009 ........................................................ “ 78

Messaggio per la XLVI Giornata Mondiale di Preghiera per le vocazioni ............................ “ 84

Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali ............................... “ 89

Lettera per l’indizione dell’anno sacerdotale in occasionedel 150° Anniversario del “Dies Natalis” di Giovanni Maria Vianney ................................... “ 94

Omelia per l’apertura dell’anno sacerdotalenel 150° Anniversario della morte di San Giovanni Maria Vianney ........................................ “ 106

Preghiera per l’anno sacerdotale......................................................................................................... “ 111

SOMMARIO

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VITA DIOCESANA

NOMINE E DECRETINomine ........................................................................................................................................... “ 114Indulgenza Plenaria per l’anno Paolino ................................................................................... “ 116Elenco degli alloggi per sacerdoti pensionati ......................................................................... “ 117

VARIENecrologi(Sac. A. Pintori, Sac. G. Battisti, Sac. B. Cicconetti, Sac. C. Sisto Romiti)...................... “ 120

AMMINISTRAZIONEResoconto missionario in cifre (Anno 2008) ........................................................................... “ 128Questue Imperate - Ove (Anno 2008) ....................................................................................... “ 144

SOMMARIO

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LA PAROLA DEL PAPA

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MESSAGGIO PER LA CELEBRAZIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2009

COMBATTERE LA POVERTÀ, COSTRUIRE LA PACE

1. Anche all'inizio di questo nuovo anno desidero far giungere a tutti ilmio augurio di pace ed invitare, con questo mio Messaggio, a riflettere sultema: Combattere la povertà, costruire la pace. Già il mio venerato prede-cessore Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la Giornata Mondiale dellaPace del 1993, aveva sottolineato le ripercussioni negative che la situazionedi povertà di intere popolazioni finisce per avere sulla pace. Di fatto, la po-vertà risulta sovente tra i fattori che favoriscono o aggravano i conflitti, an-che armati. A loro volta, questi ultimi alimentano tragiche situazioni di po-vertà. « S'afferma... e diventa sempre più grave nel mondo – scriveva Gio-vanni Paolo II – un'altra seria minaccia per la pace: molte persone, anzi, in-tere popolazioni vivono oggi in condizioni di estrema povertà. La disparitàtra ricchi e poveri s'è fatta più evidente, anche nelle nazioni economicamen-te più sviluppate. Si tratta di un problema che s'impone alla coscienza del-l'umanità, giacché le condizioni in cui versa un gran numero di persone so-no tali da offenderne la nativa dignità e da compromettere, conseguente-mente, l'autentico ed armonico progresso della comunità mondiale » [1].

2. In questo contesto, combattere la povertà implica un'attenta conside -razione del complesso fenomeno della globalizzazione. Tale considerazioneè importante già dal punto di vista metodologico, perché suggerisce di uti-lizzare il frutto delle ricerche condotte dagli economisti e sociologi su tantiaspetti della povertà. Il richiamo alla globalizzazione dovrebbe, però, rive-stire anche un significato spirituale e morale, sollecitando a guardare ai po-veri nella consapevole prospettiva di essere tutti partecipi di un unico pro-getto divino, quello della vocazione a costituire un'unica famiglia in cui tutti– individui, popoli e nazioni – regolino i loro comportamenti improntandoliai principi di fraternità e di responsabilità.

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In tale prospettiva occorre avere, della povertà, una visione ampia ed ar-ticolata. Se la povertà fosse solo materiale, le scienze sociali che ci aiutanoa misurare i fenomeni sulla base di dati di tipo soprattutto quantitativo, sa-rebbero sufficienti ad illuminarne le principali caratteristiche. Sappiamo,però, che esistono povertà immateriali, che non sono diretta e automaticaconseguenza di carenze materiali. Ad esempio, nelle società ricche e pro-gredite esistono fenomeni di emarginazione, povertà relazionale, morale espirituale: si tratta di persone interiormente disorientate, che vivono diverseforme di disagio nonostante il benessere economico. Penso, da una parte, aquello che viene chiamato il « sottosviluppo morale » [2] e, dall'altra, alleconseguenze negative del « supersviluppo » [3]. Non dimentico poi che,nelle società cosiddette « povere », la crescita economica è spesso frenatada impedimenti culturali, che non consentono un adeguato utilizzo delle ri-sorse. Resta comunque vero che ogni forma di povertà imposta ha alla pro-pria radice il mancato rispetto della trascendente dignità della persona uma-na. Quando l'uomo non viene considerato nell'integralità della sua vocazio-ne e non si rispettano le esigenze di una vera « ecologia umana » [4], si sca-tenano anche le dinamiche perverse della povertà, com'è evidente in alcuniambiti sui quali soffermerò brevemente la mia attenzione.

Povertà e implicazioni morali

3. La povertà viene spesso correlata, come a propria causa, allo sviluppod e m o g r a f i c o. In conseguenza di ciò, sono in atto campagne di riduzionedelle nascite, condotte a livello internazionale, anche con metodi non rispet-tosi né della dignità della donna né del diritto dei coniugi a scegliere re-sponsabilmente il numero dei figli [5] e spesso, cosa anche più grave, nonrispettosi neppure del diritto alla vita. Lo sterminio di milioni di bambininon nati, in nome della lotta alla povertà, costituisce in realtà l'eliminazionedei più poveri tra gli esseri umani. A fronte di ciò resta il fatto che, nel1981, circa il 40% della popolazione mondiale era al di sotto della linea dipovertà assoluta, mentre oggi tale percentuale è sostanzialmente dimezzata,e sono uscite dalla povertà popolazioni caratterizzate, peraltro, da un note-vole incremento demografico. Il dato ora rilevato pone in evidenza che le ri-sorse per risolvere il problema della povertà ci sarebbero, anche in presenzadi una crescita della popolazione. Né va dimenticato che, dalla fine della se-conda guerra mondiale ad oggi, la popolazione sulla terra è cresciuta di

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quattro miliardi e, in larga misura, tale fenomeno riguarda Paesi che di re-cente si sono affacciati sulla scena internazionale come nuove potenze eco-nomiche e hanno conosciuto un rapido sviluppo proprio grazie all'elevatonumero dei loro abitanti. Inoltre, tra le Nazioni maggiormente sviluppatequelle con gli indici di natalità maggiori godono di migliori potenzialità disviluppo. In altri termini, la popolazione sta confermandosi come una ric-chezza e non come un fattore di povertà.

4. Un altro ambito di preoccupazione sono le malattie pandemiche quali,ad esempio, la malaria, la tubercolosi e l'AIDS, che, nella misura in cui col-piscono i settori produttivi della popolazione, influiscono grandemente sulpeggioramento delle condizioni generali del Paese. I tentativi di frenare leconseguenze di queste malattie sulla popolazione non sempre raggiungonorisultati significativi. Capita, inoltre, che i Paesi vittime di alcune di talipandemie, per farvi fronte, debbano subire i ricatti di chi condiziona gli aiu-ti economici all'attuazione di politiche contrarie alla vita. È soprattutto diffi-cile combattere l'AIDS, drammatica causa di povertà, se non si affrontano leproblematiche morali con cui la diffusione del virus è collegata. Occorre in-nanzitutto farsi carico di campagne che educhino specialmente i giovani auna sessualità pienamente rispondente alla dignità della persona; iniziativeposte in atto in tal senso hanno gia dato frutti significativi, facendo diminui-re la diffusione dell'AIDS. Occorre poi mettere a disposizione anche dei po-poli poveri le medicine e le cure necessarie; ciò suppone una decisa promo-zione della ricerca medica e delle innovazioni terapeutiche nonché, quandosia necessario, un'applicazione flessibile delle regole internazionali di prote-zione della proprietà intellettuale, così da garantire a tutti le cure sanitarie dibase.

5. Un terzo ambito, oggetto di attenzione nei programmi di lotta alla po-vertà e che ne mostra l'intrinseca dimensione morale, è la povertà dei bam -bini. Quando la povertà colpisce una famiglia, i bambini ne risultano le vit-time più vulnerabili: quasi la metà di coloro che vivono in povertà assolutaoggi è rappresentata da bambini. Considerare la povertà ponendosi dallaparte dei bambini induce a ritenere prioritari quegli obiettivi che li interes-sano più direttamente come, ad esempio, la cura delle madri, l'impegno edu-cativo, l'accesso ai vaccini, alle cure mediche e all'acqua potabile, la salva-guardia dell'ambiente e, soprattutto, l'impegno a difesa della famiglia e della

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stabilità delle relazioni al suo interno. Quando la famiglia si indebolisce idanni ricadono inevitabilmente sui bambini. Ove non è tutelata la dignitàdella donna e della mamma, a risentirne sono ancora principalmente i figli.

6. Un quarto ambito che, dal punto di vista morale, merita particolare at-tenzione è la relazione esistente tra disarmo e sviluppo. Suscita preoccupa-zione l'attuale livello globale di spesa militare. Come ho già avuto modo disottolineare, capita che « le ingenti risorse materiali e umane impiegate perle spese militari e per gli armamenti vengono di fatto distolte dai progetti disviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri e bisognosi di aiuto. Equesto va contro quanto afferma la stessa C a rta delle Nazioni Unite, cheimpegna la comunità internazionale, e gli Stati in particolare, a “promuove-re lo stabilimento ed il mantenimento della pace e della sicurezza interna-zionale col minimo dispendio delle risorse umane ed economiche mondialiper gli armamenti” (art. 26) » [6].

Questo stato di cose non facilita, anzi ostacola seriamente il raggiungi-mento dei grandi obiettivi di sviluppo della comunità internazionale. Inol-tre, un eccessivo accrescimento della spesa militare rischia di accelerare unacorsa agli armamenti che provoca sacche di sottosviluppo e di disperazione,trasformandosi così paradossalmente in fattore di instabilità, di tensione e diconflitti. Come ha sapientemente affermato il mio venerato PredecessorePaolo VI, « lo sviluppo è il nuovo nome della pace » [7]. Gli Stati sono per-tanto chiamati ad una seria riflessione sulle più profonde ragioni dei conflit-ti, spesso accesi dall'ingiustizia, e a provvedervi con una coraggiosa autocri-tica. Se si giungerà ad un miglioramento dei rapporti, ciò dovrebbe consen-tire una riduzione delle spese per gli armamenti. Le risorse risparmiate po-tranno essere destinate a progetti di sviluppo delle persone e dei popoli piùpoveri e bisognosi: l'impegno profuso in tal senso è un impegno per la paceall'interno della famiglia umana.

7. Un quinto ambito relativo alla lotta alla povertà materiale riguardal'attuale crisi alimentare, che mette a repentaglio il soddisfacimento dei bi-sogni di base. Tale crisi è caratterizzata non tanto da insufficienza di cibo,quanto da difficoltà di accesso ad esso e da fenomeni speculativi e quindi dacarenza di un assetto di istituzioni politiche ed economiche in grado di fron-teggiare le necessità e le emergenze. La malnutrizione può anche provocare

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gravi danni psicofisici alle popolazioni, privando molte persone delle ener-gie necessarie per uscire, senza speciali aiuti, dalla loro situazione di po-vertà. E questo contribuisce ad allargare la forbice delle disuguaglianze,provocando reazioni che rischiano di diventare violente. I dati sull'anda-mento della povertà relativa negli ultimi decenni indicano tutti un aumentodel divario tra ricchi e poveri. Cause principali di tale fenomeno sono senzadubbio, da una parte, il cambiamento tecnologico, i cui benefici si concen-trano nella fascia più alta della distribuzione del reddito e, dall'altra, la dina-mica dei prezzi dei prodotti industriali, che crescono molto più velocementedei prezzi dei prodotti agricoli e delle materie prime in possesso dei Paesipiù poveri. Capita così che la maggior parte della popolazione dei Paesi piùpoveri soffra di una doppia marginalizzazione, in termini sia di redditi piùbassi sia di prezzi più alti.

Lotta alla povertà e solidarietà globale

8. Una delle strade maestre per costruire la pace è una globalizzazione fi-nalizzata agli interessi della grande famiglia umana [8]. Per governare laglobalizzazione occorre però una forte solidarietà globale [9] tra Paesi ric-chi e Paesi poveri, nonché all'interno dei singoli Paesi, anche se ricchi. Ènecessario un « codice etico comune » [10], le cui norme non abbiano soloun carattere convenzionale, ma siano radicate nella legge naturale inscrittadal Creatore nella coscienza di ogni essere umano (cfr R m 2,14-15). Nonavverte forse ciascuno di noi nell'intimo della coscienza l'appello a recare ilproprio contributo al bene comune e alla pace sociale? La globalizzazioneelimina certe barriere, ma ciò non significa che non ne possa costruire dinuove; avvicina i popoli, ma la vicinanza spaziale e temporale non crea diper sé le condizioni per una vera comunione e un'autentica pace. La margi-nalizzazione dei poveri del pianeta può trovare validi strumenti di riscattonella globalizzazione solo se ogni uomo si sentirà personalmente ferito dal-le ingiustizie esistenti nel mondo e dalle violazioni dei diritti umani ad esseconnesse. La Chiesa, che è « segno e strumento dell'intima unione con Dioe dell'unità di tutto il genere umano », [11] continuerà ad offrire il suo con-tributo affinché siano superate le ingiustizie e le incomprensioni e si giungaa costruire un mondo più pacifico e solidale.

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9. Nel campo del commercio internazionale e delle transazioni finanzia -rie, sono oggi in atto processi che permettono di integrare positivamente leeconomie, contribuendo al miglioramento delle condizioni generali; ma cisono anche processi di senso opposto, che dividono e marginalizzano i po-poli, creando pericolose premesse per guerre e conflitti. Nei decenni succes-sivi alla seconda guerra mondiale, il commercio internazionale di beni e diservizi è cresciuto in modo straordinariamente rapido, con un dinamismosenza precedenti nella storia. Gran parte del commercio mondiale ha inte-ressato i Paesi di antica industrializzazione, con la significativa aggiunta dimolti Paesi emergenti, diventati rilevanti. Ci sono però altri Paesi a bassoreddito, che risultano ancora gravemente marginalizzati rispetto ai flussicommerciali. La loro crescita ha risentito negativamente del rapido declino,registrato negli ultimi decenni, dei prezzi dei prodotti primari, che costitui-scono la quasi totalità delle loro esportazioni. In questi Paesi, per la granparte africani, la dipendenza dalle esportazioni di prodotti primari continuaa costituire un potente fattore di rischio. Vorrei qui rinnovare un appelloperché tutti i Paesi abbiano le stesse possibilità di accesso al mercato mon-diale, evitando esclusioni e marginalizzazioni.

10. Una riflessione simile può essere fatta per la finanza, che concerneuno degli aspetti primari del fenomeno della globalizzazione, grazie allosviluppo dell'elettronica e alle politiche di liberalizzazione dei flussi di de-naro tra i diversi Paesi. La funzione oggettivamente più importante della fi-nanza, quella cioè di sostenere nel lungo termine la possibilità di investi-menti e quindi di sviluppo, si dimostra oggi quanto mai fragile: essa subiscei contraccolpi negativi di un sistema di scambi finanziari – a livello nazio-nale e globale - basati su una logica di brevissimo termine, che perseguel'incremento del valore delle attività finanziarie e si concentra nella gestionetecnica delle diverse forme di rischio. Anche la recente crisi dimostra comel'attività finanziaria sia a volte guidata da logiche puramente autoreferenzia-li e prive della considerazione, a lungo termine, del bene comune. L'appiat-timento degli obiettivi degli operatori finanziari globali sul brevissimo ter-mine riduce la capacità della finanza di svolgere la sua funzione di ponte trail presente e il futuro, a sostegno della creazione di nuove opportunità diproduzione e di lavoro nel lungo periodo. Una finanza appiattita sul breve ebrevissimo termine diviene pericolosa per tutti, anche per chi riesce a bene-ficiarne durante le fasi di euforia finanziaria [12].

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11. Da tutto ciò emerge che la lotta alla povertà richiede una cooperazio-ne sia sul piano economico che su quello giuridico che permetta alla comu-nità internazionale e in particolare ai Paesi poveri di individuare ed attuaresoluzioni coordinate per affrontare i suddetti problemi realizzando un effi-cace quadro giuridico per l'economia. Richiede inoltre incentivi alla crea-zione di istituzioni efficienti e partecipate, come pure sostegni per lottarecontro la criminalità e per promuovere una cultura della legalità. D'altraparte, non si può negare che le politiche marcatamente assistenzialiste sianoall'origine di molti fallimenti nell'aiuto ai Paesi poveri. Investire nella for-mazione delle persone e sviluppare in modo integrato una specifica culturadell'iniziativa sembra attualmente il vero progetto a medio e lungo termine.Se le attività economiche hanno bisogno, per svilupparsi, di un contesto fa-vorevole, ciò non significa che l'attenzione debba essere distolta dai proble-mi del reddito. Sebbene si sia opportunamente sottolineato che l'aumentodel reddito pro capite non può costituire in assoluto il fine dell'azione politi-co-economica, non si deve però dimenticare che esso rappresenta uno stru-mento importante per raggiungere l'obiettivo della lotta alla fame e alla po-vertà assoluta. Da questo punto di vista va sgomberato il campo dall'illusio-ne che una politica di pura ridistribuzione della ricchezza esistente possa ri-solvere il problema in maniera definitiva. In un'economia moderna, infatti,il valore della ricchezza dipende in misura determinante dalla capacità dicreare reddito presente e futuro. La creazione di valore risulta perciò un vin-colo ineludibile, di cui si deve tener conto se si vuole lottare contro la po-vertà materiale in modo efficace e duraturo.

12. Mettere i poveri al primo posto comporta, infine, che si riservi unospazio adeguato a una c o rretta logica economica da parte degli attori delmercato internazionale, ad una corretta logica politica da parte degli attoriistituzionali e ad una corretta logica partecipativa capace di valorizzare lasocietà civile locale e internazionale. Gli stessi organismi internazionali ri-conoscono oggi la preziosità e il vantaggio delle iniziative economiche del-la società civile o delle amministrazioni locali per la promozione del riscat-to e dell'inclusione nella società di quelle fasce della popolazione che sonospesso al di sotto della soglia di povertà estrema e sono al tempo stesso dif-ficilmente raggiungibili dagli aiuti ufficiali. La storia dello sviluppo econo-mico del XX secolo insegna che buone politiche di sviluppo sono affidatealla responsabilità degli uomini e alla creazione di positive sinergie tra mer-

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cati, società civile e Stati. In particolare, la società civile assume un ruolocruciale in ogni processo di sviluppo, poiché lo sviluppo è essenzialmenteun fenomeno culturale e la cultura nasce e si sviluppa nei luoghi del civile[13].

13. Come ebbe ad affermare il mio venerato Predecessore Giovanni Pao-lo II, la globalizzazione « si presenta con una spiccata caratteristica di ambi-valenza » [14] e quindi va governata con oculata saggezza. Rientra in que-sta forma di saggezza il tenere primariamente in conto le esigenze dei pove-ri della terra, superando lo scandalo della sproporzione esistente tra i pro-blemi della povertà e le misure che gli uomini predispongono per affrontar-li. La sproporzione è di ordine sia culturale e politico che spirituale e mora-le. Ci si arresta infatti spesso alle cause superficiali e strumentali della po-vertà, senza raggiungere quelle che albergano nel cuore umano, come l'avi-dità e la ristrettezza di orizzonti. I problemi dello sviluppo, degli aiuti e del-la cooperazione internazionale vengono affrontati talora senza un vero coin-volgimento delle persone, ma come questioni tecniche, che si esauriscononella predisposizione di strutture, nella messa a punto di accordi tariff a r i ,nello stanziamento di anonimi finanziamenti. La lotta alla povertà ha invecebisogno di uomini e donne che vivano in profondità la fraternità e siano ca-paci di accompagnare persone, famiglie e comunità in percorsi di autenticosviluppo umano.

Conclusione

14. Nell'Enciclica Centesimus annus, Giovanni Paolo II ammoniva circala necessità di « abbandonare la mentalità che considera i poveri – persone epopoli – come un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono diconsumare quanto altri hanno prodotto ». « I poveri – egli scriveva - chie-dono il diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere afrutto la loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tuttipiù prospero » [15]. Nell'attuale mondo globale è sempre più evidente che sicostruisce la pace solo se si assicura a tutti la possibilità di una crescita ra-gionevole: le distorsioni di sistemi ingiusti, infatti, prima o poi, presentanoil conto a tutti. Solo la stoltezza può quindi indurre a costruire una casa do-rata, ma con attorno il deserto o il degrado. La globalizzazione da sola è in-capace di costruire la pace e, in molti casi, anzi, crea divisioni e conflitti.

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Essa rivela piuttosto un bisogno: quello di essere orientata verso un obietti-vo di profonda solidarietà che miri al bene di ognuno e di tutti. In questosenso, la globalizzazione va vista come un'occasione propizia per realizzarequalcosa di importante nella lotta alla povertà e per mettere a disposizionedella giustizia e della pace risorse finora impensabili.

15. Da sempre la dottrina sociale della Chiesa si è interessata dei poveri.Ai tempi dell'Enciclica Rerum novarum essi erano costituiti soprattutto da-gli operai della nuova società industriale; nel magistero sociale di Pio XI, diPio XII, di Giovanni XXIII, di Paolo VI e di Giovanni Paolo II sono statemesse in luce nuove povertà man mano che l'orizzonte della questione so-ciale si allargava, fino ad assumere dimensioni mondiali [16]. Questo allar-gamento della questione sociale alla globalità va considerato nel senso nonsolo di un'estensione quantitativa, ma anche di un approfondimento qualita-tivo sull'uomo e sui bisogni della famiglia umana. Per questo la Chiesa,mentre segue con attenzione gli attuali fenomeni della globalizzazione e laloro incidenza sulle povertà umane, indica i nuovi aspetti della questionesociale, non solo in estensione, ma anche in profondità, in quanto concer-nenti l'identità dell'uomo e il suo rapporto con Dio. Sono principi di dottrinasociale che tendono a chiarire i nessi tra povertà e globalizzazione e adorientare l'azione verso la costruzione della pace. Tra questi principi è il ca-so di ricordare qui, in modo particolare, l'« amore preferenziale per i poveri» [17], alla luce del primato della carità, testimoniato da tutta la tradizionecristiana, a cominciare da quella della Chiesa delle origini (cfr At 4,32-36; 1Cor 16,1; 2 Cor 8-9; Gal 2,10).

« Ciascuno faccia la parte che gli spetta e non indugi », scriveva nel1891 Leone XIII, aggiungendo: « Quanto alla Chiesa, essa non lascerà man-care mai e in nessun modo l'opera sua » [18]. Questa consapevolezza ac-compagna anche oggi l'azione della Chiesa verso i poveri, nei quali vedeCristo [19], sentendo risuonare costantemente nel suo cuore il mandato delPrincipe della pace agli Apostoli: « Vos date illis manducare – date loro voistessi da mangiare » (Lc 9,13). Fedele a quest'invito del suo Signore, la Co-munità cristiana non mancherà pertanto di assicurare all'intera famigliaumana il proprio sostegno negli slanci di solidarietà creativa non solo perelargire il superfluo, ma soprattutto per cambiare « gli stili di vita, i modellidi produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reg-

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gono le società » [20]. Ad ogni discepolo di Cristo, come anche ad ognipersona di buona volontà, rivolgo pertanto all'inizio di un nuovo anno il cal-do invito ad allargare il cuore verso le necessità dei poveri e a fare quanto èconcretamente possibile per venire in loro soccorso. Resta infatti inconte-stabilmente vero l'assioma secondo cui « combattere la povertà è costruirela pace ».

Dal Vaticano, 8 Dicembre 2008

[1] Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1.[2] Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 19.[3] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 28.[4] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 38.[5] Cfr Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 37 ; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Solli -citudo rei socialis, 25.[6] Benedetto XVI, Lettera al Cardinale Renato Raffaele Martino in occasione del semina-rio internazionale organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sul tema< <Disarmo, sviluppo e pace. Prospettive per un disarmo integrale>>, 10 aprile 2008:L'Osservatore Romano, 13.4.2008, p.8.[7] Lett. enc. Populorum progressio, 87.[8] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimum annus, 58.[9] Cfr Giovanni Paolo II, Discorso all'Udienza alle Acli, 27 aprile 2002, 4: Isegnamenti diGiovanni Paolo II, XXV, 1 [2002], 637.[10] Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delleScienze sociali, 27 aprile 2001, 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIV, 1 [2001], 802.[11] Comc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1.[12] Cfr Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina socialedella Chiesa, 368.[13] Cfr ibid., 356.[14] Discorso nell'Udienza a Dirigenti di sindacati di lavoratori e di grandi società, 2 mag-gio 2000, 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIII, 1 [2000], 726.[15] N. 28.[16] Cfr Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 3.[17] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42; cfr Idem, Lett. enc. Centesi -mus annus, 57.[18] Lett. enc. Rerum novarum, 45.[19] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 58.[20] Ibid.

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OMELIA NELLA SOLENNITÀDI MARIA SS.MA MADRE DI DIO

XLII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

Basilica VaticanaGiovedì, 1° gennaio 2009

Venerati Fratelli,Signori Ambasciatori,cari fratelli e sorelle!

Nel primo giorno dell’anno, la divina Provvidenza ci raduna per una ce-lebrazione che ogni volta ci commuove per la ricchezza e la bellezza dellesue corrispondenze: il Capodanno civile s’incontra con il culmine dell’otta-va di Natale, in cui si celebra la Divina Maternità di Maria, e questo incon-tro trova una sintesi felice nella Giornata Mondiale della Pace. Nella lucedel Natale di Cristo, mi è gradito rivolgere a ciascuno i migliori auguri perl’anno appena iniziato. Li porgo, in particolare, al Cardinale Renato Raffae-le Martino ed ai suoi collaboratori del Pontificio Consiglio della Giustizia edella Pace, con speciale riconoscenza per il loro prezioso servizio. Li porgo,al tempo stesso, al Segretario di Stato, Cardinale Tarcisio Bertone, e all’in-tera Segreteria di Stato; come pure, con viva cordialità, ai Signori Amba-sciatori presenti oggi in gran numero. I miei voti fanno eco all’augurio cheil Signore stesso ci ha appena indirizzato, nella liturgia della Parola. UnaParola che, a partire dall’avvenimento di Betlemme, rievocato nella suaconcretezza storica dal Vangelo di Luca (2,16-21), e riletto in tutta la suaportata salvifica dall’apostolo Paolo (Gal 4,4-7), diventa benedizione per ilpopolo di Dio e per l’intera umanità.

Viene così portata a compimento l’antica tradizione ebraica della benedi-zione (Nm 6,22-27): i sacerdoti d’Israele benedicevano il popolo "ponendosu di esso il nome" del Signore. Con una formula ternaria – presente nellaprima lettura – il sacro Nome veniva invocato per tre volte sui fedeli, qualeauspicio di grazia e di pace. Questa remota usanza ci riporta ad una realtàessenziale: per poter camminare sulla via della pace, gli uomini e i popolihanno bisogno di essere illuminati dal "volto" di Dio ed essere benedetti dal

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suo "nome". Proprio questo si è avverato in modo definitivo con l’Incarna-zione: la venuta del Figlio di Dio nella nostra carne e nella storia ha portatouna irrevocabile benedizione, una luce che più non si spegne e che offre aicredenti e agli uomini di buona volontà la possibilità di costruire la civiltàdell’amore e della pace.

Il Concilio Vaticano II ha detto, a questo riguardo, che "con l’incarnazio-ne il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo" (Gaudium ets p e s, 22). Questa unione è venuta a confermare l’originario disegno diun’umanità creata ad "immagine e somiglianza" di Dio. In realtà, il Verboincarnato è l’unica immagine perfetta e consustanziale del Dio invisibile.Gesù Cristo è l’uomo perfetto. "In Lui - osserva ancora il Concilio - la natu-ra umana è stata assunta…, perciò stesso essa è stata anche in noi innalzataa una dignità sublime" (ibid.). Per questo la storia terrena di Gesù, culmina-ta nel mistero pasquale, è l’inizio di un mondo nuovo, perché ha realmenteinaugurato una nuova umanità, capace, sempre e solo con la grazia di Cri-sto, di operare una "rivoluzione" pacifica. Una rivoluzione non ideologicama spirituale, non utopistica ma reale, e per questo bisognosa di infinita pa-zienza, di tempi talora lunghissimi, evitando qualunque scorciatoia e per-correndo la via più difficile: la via della maturazione della responsabilitànelle coscienze.

Cari amici, questa è la via evangelica alla pace, la via che anche il Ve-scovo di Roma è chiamato a riproporre con costanza ogni volta che mettemano all’annuale Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace. Percor-rendo questa strada occorre talvolta ritornare su aspetti e problematiche giàa ffrontati, ma così importanti da richiedere sempre nuova attenzione. È ilcaso del tema che ho scelto per il Messaggio di quest’anno: "Combattere lap o v e rtà, costru i re la pace". Un tema che si presta a un duplice ordine diconsiderazioni, che ora posso solo brevemente accennare. Da una parte lapovertà scelta e proposta da Gesù, dall’altra la povertà da combattere perrendere il mondo più giusto e solidale.

Il primo aspetto trova il suo contesto ideale in questi giorni, nel tempo diNatale. La nascita di Gesù a Betlemme ci rivela che Dio ha scelto la povertàper se stesso nella sua venuta in mezzo a noi. La scena che i pastori videroper primi, e che confermò l’annuncio fatto loro dall’angelo, è quella di una

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stalla dove Maria e Giuseppe avevano cercato rifugio, e di una mangiatoiain cui la Ve rgine aveva deposto il Neonato avvolto in fasce (cfr L c2,7.12.16). Questa povertà Dio l’ha scelta. Ha voluto nascere così – ma po-tremmo subito aggiungere: ha voluto vivere, e anche morire così. Perché?Lo spiega in termini popolari sant’Alfonso Maria de’ Liguori, in un canticonatalizio, che tutti in Italia conoscono: "A Te, che sei del mondo il Creatore,mancano panni e fuoco, o mio Signore. Caro eletto pargoletto, quanto que -sta povertà più m’innamora, giacché ti fece amor povero ancora". Ecco larisposta: l’amore per noi ha spinto Gesù non soltanto a farsi uomo, ma a far-si povero. In questa stessa linea possiamo citare l’espressione di san Paolonella seconda Lettera ai Corinzi: "Conoscete infatti – egli scrive – la graziadel Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi,perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà" (8,9). Testimoneesemplare di questa povertà scelta per amore è san Francesco d’Assisi. Ilfrancescanesimo, nella storia della Chiesa e della civiltà cristiana, costitui-sce una diffusa corrente di povertà evangelica, che tanto bene ha fatto e con-tinua a fare alla Chiesa e alla famiglia umana. Ritornando alla stupenda sin-tesi di san Paolo su Gesù, è significativo – anche per la nostra riflessioneodierna – che sia stata ispirata all’Apostolo proprio mentre stava esortando icristiani di Corinto ad essere generosi nella colletta in favore dei poveri.Egli spiega: "Non si tratta di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri,ma che vi sia uguaglianza" (8,13).

È questo un punto decisivo, che ci fa passare al secondo aspetto: c’è unapovertà, un’indigenza, che Dio non vuole e che va "combattuta" – come di-ce il tema dell’odierna Giornata Mondiale della Pace; una povertà che impe-disce alle persone e alle famiglie di vivere secondo la loro dignità; una po-vertà che offende la giustizia e l’uguaglianza e che, come tale, minaccia laconvivenza pacifica. In questa accezione negativa rientrano anche le formedi povertà non materiale che si riscontrano pure nelle società ricche e pro-gredite: emarginazione, miseria relazionale, morale e spirituale (cfr Messag -gio per la Giornata Mondiale della Pace 2009, 2). Nel mio Messaggio hovoluto ancora una volta, sulla scia dei miei Predecessori, considerare atten-tamente il complesso fenomeno della globalizzazione, per valutarne i rap-porti con la povertà su larga scala. Di fronte a piaghe diffuse quali le malat-tie pandemiche (ivi, 4), la povertà dei bambini (ivi, 5) e la crisi alimentare(i v i, 7), ho dovuto purtroppo tornare a denunciare l’inaccettabile corsa ad

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accrescere gli armamenti. Da una parte si celebra la Dichiarazione Univer -sale dei Diritti dell’Uomo, e dall’altra si aumentano le spese militari, vio-lando la stessa Carta delle Nazioni Unite, che impegna a ridurle al minimo(cfr art. 26). Inoltre, la globalizzazione elimina certe barriere, ma può co-struirne di nuove (Messaggio cit., 8), perciò bisogna che la comunità inter-nazionale e i singoli Stati siano sempre vigilanti; bisogna che non abbassinomai la guardia rispetto ai pericoli di conflitto, anzi, si impegnino a mantene-re alto il livello della solidarietà. L’attuale crisi economica globale va vistain tal senso anche come un banco di prova: siamo pronti a leggerla, nellasua complessità, quale sfida per il futuro e non solo come un’emergenza acui dare risposte di corto respiro? Siamo disposti a fare insieme una revisio-ne profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modoconcertato e lungimirante? Lo esigono, in realtà, più ancora che le difficoltàfinanziarie immediate, lo stato di salute ecologica del pianeta e, soprattutto,la crisi culturale e morale, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni par-te del mondo.

Occorre allora cercare di stabilire un "circolo virtuoso" tra la povertà "dascegliere" e la povertà "da combattere". Si apre qui una via feconda di fruttiper il presente e per il futuro dell’umanità, che si potrebbe riassumere così:per combattere la povertà iniqua, che opprime tanti uomini e donne e mi-naccia la pace di tutti, occorre riscoprire la sobrietà e la solidarietà, qualivalori evangelici e al tempo stesso universali. Più in concreto, non si puòcombattere efficacemente la miseria, se non si fa quello che scrive san Pao-lo ai Corinzi, cioè se non si cerca di "fare uguaglianza", riducendo il disli-vello tra chi spreca il superfluo e chi manca persino del necessario. Ciòcomporta scelte di giustizia e di sobrietà, scelte peraltro obbligate dall’esi-genza di amministrare saggiamente le limitate risorse della terra. Quandoafferma che Gesù Cristo ci ha arricchiti "con la sua povertà", san Paolo of-fre un’indicazione importante non solo sotto il profilo teologico, ma anchesul piano sociologico. Non nel senso che la povertà sia un valore in sé, maperché essa è condizione per realizzare la solidarietà. Quando Francescod’Assisi si spoglia dei suoi beni, fa una scelta di testimonianza ispirataglidirettamente da Dio, ma nello stesso tempo mostra a tutti la via della fiducianella Provvidenza. Così, nella Chiesa, il voto di povertà è l’impegno di al-cuni, ma ricorda a tutti l’esigenza del distacco dai beni materiali e il primatodelle ricchezze dello spirito. Ecco dunque il messaggio da raccogliere oggi:

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la povertà della nascita di Cristo a Betlemme, oltre che oggetto di adorazio-ne per i cristiani, è anche scuola di vita per ogni uomo. Essa ci insegna cheper combattere la miseria, tanto materiale quanto spirituale, la via da per-correre è quella della solidarietà, che ha spinto Gesù a condividere la nostracondizione umana.

Cari fratelli e sorelle, penso che la Vergine Maria si sia posta più di unavolta questa domanda: perché Gesù ha voluto nascere da una ragazza sem-plice e umile come me? E poi, perché ha voluto venire al mondo in una stal-la ed avere come prima visita quella dei pastori di Betlemme? La rispostaMaria l’ebbe pienamente alla fine, dopo aver deposto nel sepolcro il corpodi Gesù, morto e avvolto in fasce (cfr Lc 23,53). Allora comprese appieno ilmistero della povertà di Dio. Comprese che Dio si era fatto povero per noi,per arricchirci della sua povertà piena d’amore, per esortarci a frenare l’in-gordigia insaziabile che suscita lotte e divisioni, per invitarci a moderare lasmania di possedere e ad essere così disponibili alla condivisione e all’ac-coglienza reciproca. A Maria, Madre del Figlio di Dio fattosi nostro fratel-lo, rivolgiamo fiduciosi la nostra preghiera, perché ci aiuti a seguirne le or-me, a combattere e vincere la povertà, a costruire la vera pace, che è opusiustitiae. A Lei affidiamo il profondo desiderio di vivere in pace che saledal cuore della grande maggioranza delle popolazioni israeliana e palestine-se, ancora una volta messe a repentaglio dalla massiccia violenza scoppiatanella striscia di Gaza in risposta ad altra violenza. Anche la violenza, anchel’odio e la sfiducia sono forme di povertà – forse le più tremende – "dacombattere". Che esse non prendano il sopravvento! In tal senso i Pastori diquelle Chiese, in questi tristi giorni, hanno fatto udire la loro voce. Insiemead essi e ai loro carissimi fedeli, soprattutto quelli della piccola ma ferventeparrocchia di Gaza, deponiamo ai piedi di Maria le nostre preoccupazioniper il presente e i timori per il futuro, ma altresì la fondata speranza che,con il saggio e lungimirante contributo di tutti, non sarà impossibile ascol-tarsi, venirsi incontro e dare risposte concrete all’aspirazione diffusa a vive-re in pace, in sicurezza, in dignità. Diciamo a Maria: accompagnaci, celesteMadre del Redentore, lungo tutto l’anno che oggi inizia, e ottieni da Dio ildono della pace per la Terrasanta e per l’intera umanità. Santa Madre diDio, prega per noi. Amen.

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OMELIA NELLA SOLENNITÀDELL'EPIFANIA DEL SIGNORE

Basilica VaticanaMartedì, 6 gennaio 2009

Cari fratelli e sorelle!

L’Epifania, la "manifestazione" del nostro Signore Gesù Cristo, è un mi-stero multiforme. La tradizione latina lo identifica con la visita dei Magi alBambino Gesù a Betlemme, e dunque lo interpreta soprattutto come rivela-zione del Messia d’Israele ai popoli pagani. La tradizione orientale, invece,privilegia il momento del battesimo di Gesù nel fiume Giordano, quandoegli si manifestò quale Figlio Unigenito del Padre celeste, consacrato dalloSpirito Santo. Ma il Vangelo di Giovanni invita a considerare "epifania" an-che le nozze di Cana, dove Gesù, mutando l’acqua in vino, "manifestò lasua gloria e i suoi discepoli credettero in lui" (Gv 2,11). E che dovremmodire noi, cari fratelli, specialmente noi sacerdoti della nuova Alleanza, cheogni giorno siamo testimoni e ministri dell’"epifania" di Gesù Cristo nellasanta Eucaristia? Tutti i misteri del Signore la Chiesa li celebra in questosantissimo e umilissimo Sacramento, nel quale egli al tempo stesso rivela enasconde la sua gloria. " A d o ro te devote, latens Deitas" – adorando, pre-ghiamo così con san Tommaso d’Aquino.

In questo anno 2009, che, nel 4° centenario delle prime osservazioni diGalileo Galilei al telescopio, è stato dedicato in modo speciale all’astrono-mia, non possiamo non prestare particolare attenzione al simbolo della stel-la, tanto importante nel racconto evangelico dei Magi (cfr Mt 2,1-12). Essierano con tutta probabilità degli astronomi. Dal loro punto di osservazione,posto ad oriente rispetto alla Palestina, forse in Mesopotamia, avevano no-tato l’apparire di un nuovo astro, ed avevano interpretato questo fenomenoceleste come annuncio della nascita di un re, precisamente, secondo le Sa-cre Scritture, del re dei Giudei (cfr Nm 24,17). I Padri della Chiesa hannovisto in questo singolare episodio narrato da san Matteo anche una sorta di"rivoluzione" cosmologica, causata dall’ingresso nel mondo del Figlio diDio. Ad esempio, san Giovanni Crisostomo scrive: "Quando la stella giunse

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sopra il bambino, si fermò, e ciò poteva farlo soltanto una potenza che gliastri non hanno: prima, cioè, nascondersi, poi apparire di nuovo, e infine ar-restarsi" (Omelie sul Vangelo di Matteo, 7, 3). San Gregorio di Nazianzo af-ferma che la nascita di Cristo impresse nuove orbite agli astri (cfr P o e m idogmatici, V, 53-64: PG 37, 428-429). Il che è chiaramente da intendersi insenso simbolico e teologico. In effetti, mentre la teologia pagana divinizza-va gli elementi e le forze del cosmo, la fede cristiana, portando a compi-mento la rivelazione biblica, contempla un unico Dio, Creatore e Signoredell’intero universo.

È l’amore divino, incarnato in Cristo, la legge fondamentale e universaledel creato. Ciò va inteso invece in senso non poetico, ma reale. Così lo in-tendeva del resto lo stesso Dante, quando, nel verso sublime che conclude ilParadiso e l’intera Divina Commedia, definisce Dio "l’amor che move il so-le e l’altre stelle" (Paradiso, XXXIII, 145). Questo significa che le stelle, ipianeti, l’universo intero non sono governati da una forza cieca, non obbedi-scono alle dinamiche della sola materia. Non sono, dunque, gli elementi co-smici che vanno divinizzati, bensì, al contrario, in tutto e al di sopra di tuttovi è una volontà personale, lo Spirito di Dio, che in Cristo si è rivelato comeAmore (cfr Enc. Spe salvi, 5). Se è così, allora gli uomini – come scrive sanPaolo ai Colossesi – non sono schiavi degli "elementi del cosmo" (cfr Col2,8), ma sono liberi, capaci cioè di relazionarsi alla libertà creatrice di Dio.Egli è all’origine di tutto e tutto governa non alla maniera di un freddo edanonimo motore, ma quale Padre, Sposo, Amico, Fratello, quale L o g o s,"Parola-Ragione" che si è unita alla nostra carne mortale una volta per sem-pre ed ha condiviso pienamente la nostra condizione, manifestando la so-vrabbondante potenza della sua grazia. C’è dunque nel cristianesimo unapeculiare concezione cosmologica, che ha trovato nella filosofia e nella teo-logia medievali delle altissime espressioni. Essa, anche nella nostra epoca,dà segni interessanti di una nuova fioritura, grazie alla passione e alla fededi non pochi scienziati, i quali – sulle orme di Galileo – non rinunciano néalla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nellaloro reciproca fecondità.

Il pensiero cristiano paragona il cosmo ad un "libro" – così diceva anchelo stesso Galileo –, considerandolo come l’opera di un Autore che si espri-me mediante la "sinfonia" del creato. All’interno di questa sinfonia si trova,

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a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un "assolo",un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importan-te che da esso dipende il significato dell’intera opera. Questo "assolo" è Ge-sù, a cui corrisponde, appunto, un segno regale: l’apparire di una nuovastella nel firmamento. Gesù è paragonato dagli antichi scrittori cristiani adun nuovo sole. Secondo le attuali conoscenze astrofisiche, noi lo dovremmoparagonare ad una stella ancora più centrale, non solo per il sistema solare,ma per l’intero universo conosciuto. In questo misterioso disegno, al tempostesso fisico e metafisico, che ha portato alla comparsa dell’essere umanoquale coronamento degli elementi del creato, è venuto al mondo Gesù: "na-to da donna" (Gal 4,4), come scrive san Paolo. Il Figlio dell’uomo riassumein sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito. È il centrodel cosmo e della storia, perché in Lui si uniscono senza confondersi l’Au-tore e la sua opera.

Nel Gesù terreno si trova il culmine della creazione e della storia, ma nelCristo risorto si va oltre: il passaggio, attraverso la morte, alla vita eternaanticipa il punto della "ricapitolazione" di tutto in Cristo (cfr Ef 1,10). Tuttele cose, infatti – scrive l’Apostolo –, "sono state create per mezzo di lui e invista di lui" (Col 1,16). E proprio con la risurrezione dai morti Egli ha otte-nuto "il primato su tutte le cose" (Col 1,18). Lo afferma Gesù stesso appa-rendo ai discepoli dopo la risurrezione: "A me è stato dato ogni potere incielo e sulla terra" (Mt 28,18). Questa consapevolezza sostiene il camminodella Chiesa, Corpo di Cristo, lungo i sentieri della storia. Non c’è ombra,per quanto tenebrosa, che possa oscurare la luce di Cristo. Per questo neicredenti in Cristo non viene mai meno la speranza, anche oggi, dinanzi allagrande crisi sociale ed economica che travaglia l’umanità, davanti all’odio ealla violenza distruttrice che non cessano di insanguinare molte regioni del-la terra, dinanzi all’egoismo e alla pretesa dell’uomo di ergersi come dio dise stesso, che conduce talora a pericolosi stravolgimenti del disegno divinocirca la vita e la dignità dell’essere umano, circa la famiglia e l’armonia delcreato. Il nostro sforzo di liberare la vita umana e il mondo dagli avvelena-menti e dagli inquinamenti che potrebbero distruggere il presente e il futu-ro, conserva il suo valore e il suo senso – ho annotato nella già citata Enci-clica Spe salvi – anche se apparentemente non abbiamo successo o sembria-mo impotenti di fronte al sopravvento di forze ostili, perchè "è la grande

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speranza poggiante sulle promesse di Dio che, nei momenti buoni come inquelli cattivi, ci dà coraggio e orienta il nostro agire" (n. 35).

La signoria universale di Cristo si esercita in modo speciale sulla Chiesa."Tutto infatti – si legge nella Lettera agli Efesini – [Dio] ha messo sotto isuoi piedi / e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il cor-po di lui, / la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose"(Ef 1,22-23). L’Epifania è la manifestazione del Signore, e di riflesso è lamanifestazione della Chiesa, perché il Corpo non è separabile dal Capo. Laprima lettura odierna, tratta dal cosiddetto Terzo Isaia, ci offre la prospettivaprecisa per comprendere la realtà della Chiesa, quale mistero di luce rifles-sa: "Alzati, rivestiti di luce – dice il profeta rivolgendosi a Gerusalemme –perché viene la tua luce, / la gloria del Signore brilla sopra di te" (Is 60,1).La Chiesa è umanità illuminata, "battezzata" nella gloria di Dio, cioè nelsuo amore, nella sua bellezza, nella sua signoria. La Chiesa sa che la propriaumanità, con i suoi limiti e le sue miserie, pone in maggiore risalto l’operadello Spirito Santo. Essa non può vantarsi di nulla se non nel suo Signore:non da lei proviene la luce, non è sua la gloria. Ma proprio questa è la suagioia, che nessuno potrà toglierle: essere "segno e strumento" di Colui che è"lumen gentium", luce dei popoli (cfr Conc. Vat. II, Cost. dogm. L u m e ngentium, 1).

Cari amici, in questo anno paolino, la festa dell’Epifania invita la Chiesae, in essa, ogni comunità ed ogni singolo fedele, ad imitare, come fece l’A-postolo delle genti, il servizio che la stella rese ai Magi d’Oriente guidando-li fino a Gesù (cfr san Leone Magno, Disc. 3 per l’Epifania, 5: PL 54, 244).Che cos’è stata la vita di Paolo, dopo la sua conversione, se non una "corsa"per portare ai popoli la luce di Cristo e, viceversa, condurre i popoli a Cri-sto? La grazia di Dio ha fatto di Paolo una "stella" per le genti. Il suo mini-stero è esempio e stimolo per la Chiesa a riscoprirsi essenzialmente missio-naria e a rinnovare l’impegno per l’annuncio del Vangelo, specialmente aquanti ancora non lo conoscono. Ma, guardando a san Paolo, non possiamodimenticare che la sua predicazione era tutta nutrita delle Sacre Scritture.Perciò, nella prospettiva della recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi, variaffermato con forza che la Chiesa e i singoli cristiani possono essere luce,che guida a Cristo, solo se si nutrono assiduamente e intimamente della Pa-rola di Dio. È la Parola che illumina, purifica, converte, non siamo certo

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noi. Della Parola di vita noi non siamo che servitori. Così Paolo concepivase stesso e il suo ministero: un servizio al Vangelo. "Tutto io faccio per ilVangelo" – egli scrive (1 Cor 9,23). Così dovrebbe poter dire anche la Chie-sa, ogni comunità ecclesiale, ogni Vescovo ed ogni presbitero: tutto io fac-cio per il Vangelo. Cari fratelli e sorelle, pregate per noi, Pastori della Chie-sa, affinché, assimilando quotidianamente la Parola di Dio, possiamo tra-smetterla fedelmente ai fratelli. Ma anche noi preghiamo per voi, fedeli tut-ti, perché ogni cristiano è chiamato per il Battesimo e la Confermazione adannunciare Cristo luce del mondo, con la parola e la testimonianza della vi-ta. Ci aiuti la Vergine Maria, Stella dell’evangelizzazione, a portare a com-pimento insieme questa missione, e interceda per noi dal cielo san Paolo,Apostolo delle genti. Amen.

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OMELIA NELLA FESTA DEL BATTESIMO DEL SIGNORESANTA MESSA E BATTESIMO DEI BAMBINI

Cappella SistinaDomenica, 11 gennaio 2009

Cari fratelli e sorelle!

Le parole che l’evangelista Marco riporta all’inizio del suo Vangelo: "Tusei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento" (1,11) ci in-troducono nel cuore dell’odierna festa del Battesimo del Signore, con cui siconclude il tempo di Natale. Il ciclo delle solennità natalizie ci fa meditaresulla nascita di Gesù annunciata dagli angeli circonfusi dallo splendore lu-minoso di Dio; il tempo natalizio ci parla della stella che guida i Magi dal-l'Oriente fino alla casa di Betlemme, e ci invita a guardare il cielo che siapre sul Giordano mentre risuona la voce di Dio. Sono tutti segni tramite iquali il Signore non si stanca di ripeterci: "Sì, sono qui. Vi conosco. Vi amo.C'è una strada che da me viene a voi. E c'è una strada che da voi sale a me".Il Creatore ha assunto in Gesù le dimensioni di un bambino, di un essereumano come noi, per potersi far vedere e toccare. Al tempo stesso, con que-sto suo farsi piccolo, Iddio ha fatto risplendere la luce della sua grandezza.Perché, proprio abbassandosi fino all'impotenza inerme dell'amore, Egli di-mostra che cosa sia la vera grandezza, anzi, che cosa voglia dire essere Dio.

Il significato del Natale, e più in generale il senso dell'anno liturgico, èproprio quello di avvicinarci a questi segni divini, per riconoscerli impressinegli eventi d’ogni giorno, affinché il nostro cuore si apra all’amore di Dio.E se il Natale e l'Epifania servono soprattutto a renderci capaci di vedere, adaprirci gli occhi e il cuore al mistero di un Dio che viene a stare con noi, lafesta del battesimo di Gesù ci introduce, potremmo dire, alla quotidianità diun rapporto personale con Lui. Infatti, mediante l’immersione nelle acquedel Giordano, Gesù si è unito a noi. Il Battesimo è per così dire il ponte cheEgli ha costruito tra sé e noi, la strada per la quale si rende a noi accessibile;è l'arcobaleno divino sulla nostra vita, la promessa del grande sì di Dio, laporta della speranza e, nello stesso tempo, il segno che ci indica il cammino

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da percorrere in modo attivo e gioioso per incontrarlo e sentirci da Lui ama-ti.

Cari amici, sono veramente contento che anche quest’anno, in questogiorno di festa, mi sia data l’opportunità di battezzare dei bambini. Su di es-si si posa oggi il "compiacimento" di Dio. Da quando il Figlio unigenito delPadre si è fatto battezzare, il cielo è realmente aperto e continua ad aprirsi, epossiamo affidare ogni nuova vita che sboccia alle mani di Colui che è piùpotente dei poteri oscuri del male. Questo in effetti comporta il Battesimo:restituiamo a Dio quello che da Lui è venuto. Il bambino non è proprietà deigenitori, ma è affidato dal Creatore alla loro responsabilità, liberamente e inmodo sempre nuovo, affinché essi lo aiutino ad essere un libero figlio diDio. Solo se i genitori maturano tale consapevolezza riescono a trovare ilgiusto equilibrio tra la pretesa di poter disporre dei propri figli come se fos-sero un privato possesso plasmandoli in base alle proprie idee e desideri, el’atteggiamento libertario che si esprime nel lasciarli crescere in piena auto-nomia soddisfacendo ogni loro desiderio e aspirazione, ritenendo ciò unmodo giusto di coltivare la loro personalità. Se, con questo sacramento, ilneo-battezzato diventa figlio adottivo di Dio, oggetto del suo amore infinitoche lo tutela e difende dalle forze oscure del maligno, occorre insegnargli ariconoscere Dio come suo Padre ed a sapersi rapportare a Lui con atteggia-mento di figlio. E pertanto, quando, secondo la tradizione cristiana comeoggi facciamo, si battezzano i bambini introducendoli nella luce di Dio edei suoi insegnamenti, non si fa loro violenza, ma si dona loro la ricchezzadella vita divina in cui si radica la vera libertà che è propria dei figli di Dio;una libertà che dovrà essere educata e formata con il maturare degli anni,perché diventi capace di responsabili scelte personali.

Cari genitori, cari padrini e madrine, vi saluto tutti con affetto e mi uni-sco alla vostra gioia per questi piccoli che oggi rinascono alla vita eterna.Siate consapevoli del dono ricevuto e non cessate di ringraziare il Signoreche, con l’odierno sacramento, introduce i vostri bambini in una nuova fa-miglia, più grande e stabile, più aperta e numerosa di quanto non sia quellavostra: mi riferisco alla famiglia dei credenti, alla Chiesa, una famiglia cheha Dio per Padre e nella quale tutti si riconoscono fratelli in Gesù Cristo.Voi dunque oggi affidate i vostri figli alla bontà di Dio, che è potenza di lu-ce e di amore; ed essi, pur tra le difficoltà della vita, non si sentiranno mai

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abbandonati, se a Lui resteranno uniti. Preoccupatevi pertanto di educarlinella fede, di insegnar loro a pregare e a crescere come faceva Gesù e con ilsuo aiuto, "in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini" (cfr L c2,52).

Tornando ora al brano evangelico, cerchiamo di comprendere ancor piùquel che oggi qui avviene. Narra san Marco che, mentre Giovanni Battistapredica sulle rive del fiume Giordano, proclamando l’urgenza della conver-sione in vista della venuta ormai prossima del Messia, ecco che Gesù, con-fuso tra la gente, si presenta per essere battezzato. Quello di Giovanni è cer-to un battesimo di penitenza, ben diverso dal sacramento che istituirà Gesù.In quel momento, tuttavia, si intravede già la missione del Redentore poi-ché, quando esce dall’acqua, risuona una voce dal cielo e su di lui scende loSpirito Santo (cfr Mc 1,10): il Padre celeste lo proclama suo figlio predilettoe ne attesta pubblicamente l’universale missione salvifica, che si compiràpienamente con la sua morte in croce e la sua risurrezione. Solo allora, conil sacrificio pasquale, si renderà universale e totale la remissione dei peccati.Con il Battesimo non ci immergiamo allora semplicemente nelle acque delGiordano per proclamare il nostro impegno di conversione, ma si effonde sudi noi il sangue redentore del Cristo che ci purifica e ci salva. E’ l’amato Fi-glio del Padre, nel quale Egli ha posto il suo compiacimento, che ci riacqui-sta la dignità e la gioia di chiamarci ed essere realmente "figli" di Dio.

Tra poco rivivremo questo mistero evocato dall’odierna solennità; i segnie simboli del sacramento del Battesimo ci aiuteranno a comprendere quelche il Signore opera nel cuore di questi nostri piccoli, rendendoli "suoi" persempre, dimora scelta del suo Spirito e "pietre vive" per la costruzione del-l’edificio spirituale che è la Chiesa. La Vergine Maria, Madre di Gesù, il Fi-glio amato di Dio, vegli su di loro e sulle loro famiglie, li accompagni sem-pre, perché possano realizzare fino in fondo il progetto di salvezza che conil Battesimo si compie nelle loro vite. E noi, cari fratelli e sorelle, accompa-gniamoli con la nostra preghiera; preghiamo per i genitori, i padrini e le ma-drine e per i loro parenti, perché li aiutino a crescere nella fede; preghiamoper tutti noi qui presenti affinché, partecipando devotamente a questa cele-brazione, rinnoviamo le promesse del nostro Battesimo e rendiamo grazie alSignore per la sua costante assistenza. Amen!

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OMELIA PER LA XIII GIORNATADELLA VITA CONSACRATA

FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

Basilica VaticanaLunedì, 2 febbraio 2009

Signor Cardinale, venerati Fratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio, cari fratelli e sorelle!

Con grande gioia vi incontro al termine del Santo Sacrificio della Messa,in questa Festa liturgica che, da tredici anni ormai, riunisce religiosi e reli-giose per la Giornata della Vita Consacrata. Saluto cordialmente il Cardina-le Franc Rodé, con speciale riconoscenza a lui ed ai suoi collaboratori dellaCongregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apo-stolica per il servizio che rendono alla Santa Sede e a quello che chiamereiil "cosmo" della vita consacrata. Con affetto saluto i Superiori e le Superio-re generali qui presenti e tutti voi, fratelli e sorelle, che sul modello dellaVergine Maria portate nella Chiesa e nel mondo la luce di Cristo con la vo-stra testimonianza di persone consacrate. Faccio mie, in questo Anno Paoli-no, le parole dell'Apostolo: "Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ri-cordo di voi. Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a moti-vo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al pre-sente" (Fil 1, 3-5). In questo saluto, indirizzato alla comunità cristiana di Fi-lippi, Paolo esprime il ricordo affettuoso che egli conserva di quanti vivonopersonalmente il Vangelo e si impegnano a trasmetterlo, unendo alla curadella vita interiore la fatica della missione apostolica.

Nella tradizione della Chiesa, san Paolo è stato sempre riconosciuto pa-dre e maestro di quanti, chiamati dal Signore, hanno fatto la scelta di un'in-condizionata dedizione a Lui e al suo Vangelo. Diversi Istituti religiosiprendono da san Paolo il nome e da lui attingono un'ispirazione carismaticaspecifica. Si può dire che per tutti i consacrati e le consacrate egli ripete uninvito schietto e affettuoso: "Diventate miei imitatori, come io lo sono di

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Cristo" (1 Cor 11, 1). Che cos'è infatti la vita consacrata se non un'imitazio-ne radicale di Gesù, una totale "sequela" di Lui? (cfr. Mt 19, 27-28). Ebbe-ne, in tutto ciò Paolo rappresenta una mediazione pedagogica sicura: imitar-lo nel seguire Gesù, carissimi, è via privilegiata per corrispondere fino infondo alla vostra vocazione di speciale consacrazione nella Chiesa.

Anzi, dalla sua stessa voce possiamo conoscere uno stile di vita cheesprime la sostanza della vita consacrata ispirata ai consigli evangelici dipovertà, castità e obbedienza. Nella vita di povertà egli vede la garanzia diun annuncio del Vangelo realizzato in totale gratuità (cfr. 1 Cor 9, 1-23),mentre esprime, allo stesso tempo, la concreta solidarietà verso i fratelli nelbisogno. Al riguardo tutti conosciamo la decisione di Paolo di mantenersicon il lavoro delle sue mani e il suo impegno per la colletta a favore dei po-veri di Gerusalemme (cfr. 1 Ts 2, 9; 2 Cor 8-9). Paolo è anche un apostoloche, accogliendo la chiamata di Dio alla castità, ha donato il cuore al Signo-re in maniera indivisa, per poter servire con ancor più grande libertà e dedi-zione i suoi fratelli (cfr. 1 Cor 7, 7; 2 Cor 11, 1-2); inoltre, in un mondo nelquale i valori della castità cristiana avevano scarsa cittadinanza (cfr. 1 Cor6, 12-20), egli offre un sicuro riferimento di condotta. Quanto poi all'obbe-dienza, basti notare che il compimento della volontà di Dio e l'"assillo quo-tidiano, la preoccupazione per tutte le chiese" (2 Cor 11, 28) ne hanno ani-mato, plasmato e consumato l'esistenza, resa sacrificio gradito a Dio. Tuttoquesto lo porta a proclamare, come scrive ai Filippesi: "Per me infatti il vi-vere è Cristo e il morire un guadagno" (Fil 1, 21).

Altro aspetto fondamentale della vita consacrata di Paolo è la missione.

Egli è tutto di Gesù per essere, come Gesù, di tutti; anzi, per essere Gesùper tutti: "Mi sono fatto tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno"(1 Cor 9, 22). A lui, così strettamente unito alla persona di Cristo, ricono-sciamo una profonda capacità di coniugare vita spirituale e azione missiona-ria; in lui le due dimensioni si richiamano reciprocamente. E così, possiamodire che egli appartiene a quella schiera di "mistici costruttori", la cui esi-stenza è insieme contemplativa ed attiva, aperta su Dio e sui fratelli persvolgere un efficace servizio al Vangelo. In questa tensione mistico-aposto-lica, mi piace rimarcare il coraggio dell'Apostolo di fronte al sacrificio nel-l'affrontare prove terribili, fino al martirio (cfr. 2 Cor 11, 16-33), la fiducia

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incrollabile basata sulle parole del suo Signore: "Ti basta la mia grazia; laforza infatti si manifesta pienamente nella debolezza" (2 Cor 12, 9-10). Lasua esperienza spirituale ci appare così come la traduzione vissuta del mi-stero pasquale, che egli ha intensamente investigato ed annunciato comeforma di vita del cristiano. Paolo vive per, con e in Cristo. "Sono stato cro-cifisso con Cristo - egli scrive -, e non vivo più io, ma Cristo vive in me"(Gal 2, 20); e ancora: "per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guada-gno" (Fil 1, 21).

Questo spiega perché egli non si stanchi di esortare a fare in modo che laparola di Cristo abiti in noi nella sua ricchezza (cfr. Col 3, 16). Questo fapensare all'invito a voi indirizzato dalla recente Istruzione su Il servizio del -l'autorità e l'obbedienza, a cercare "ogni mattina il contatto vivo e costantecon la Parola che in quel giorno è proclamata, meditandola e custodendolanel cuore come tesoro, facendone la radice d'ogni azione e il criterio primod'ogni scelta" (n. 7). Auspico, pertanto, che l'Anno Paolino alimenti ancorpiù in voi il proposito di accogliere la testimonianza di san Paolo, meditan-do ogni giorno la Parola di Dio con la pratica fedele della lectio divina, pre-gando "con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine" (Col 3, 16). Egli viaiuti inoltre a realizzare il vostro servizio apostolico nella e con la Chiesacon uno spirito di comunione senza riserve, facendo dono agli altri dei pro-pri carismi (cfr. 1 Cor 14, 12), e testimoniando in primo luogo il carisma piùgrande che è la carità (cfr. 1 Cor 13).

Cari fratelli e sorelle, l'odierna liturgia ci esorta a guardare alla VergineMaria, la "Consacrata" per eccellenza. Paolo parla di Lei con una formulaconcisa ma efficace, che ne descrive la grandezza e il compito: è la "donna"da cui, nella pienezza dei tempi, è nato il Figlio di Dio (cfr. Gal 4, 4). Mariaè la madre che oggi al Tempio presenta il Figlio al Padre, dando seguito an-che in questo atto al "sì" pronunciato al momento dell'Annunciazione. Siaancora essa la madre che accompagna e sostiene noi, figli di Dio e figlisuoi, nel compimento di un servizio generoso a Dio e ai fratelli. A tal fine,invoco la sua celeste intercessione, mentre di cuore imparto la BenedizioneApostolica a tutti voi e alle vostre rispettive Famiglie religiose.

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MESSAGGIO PER LA XVII GIORNATAMONDIALE DEL MALATO

Cari fratelli e sorelle!

la Giornata Mondiale del Malato, che ricorre il prossimo 11 febbraio,memoria liturgica della Beata Maria Vergine di Lourdes, vedrà le Comunitàdiocesane riunirsi con i propri Vescovi in momenti di preghiera, per riflette-re e decidere iniziative di sensibilizzazione circa la realtà della sofferenza.L’Anno Paolino, che stiamo celebrando, offre l’occasione propizia per sof-fermarsi a meditare con l’apostolo Paolo sul fatto che, "come abbondano lesofferenze del Cristo in noi, così per mezzo di Cristo abbonda anche la no-stra consolazione" (2 C o r 1,5). Il collegamento spirituale con Lourdes ri-chiama inoltre alla mente la materna sollecitudine della Madre di Gesù per ifratelli del suo Figlio "ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e af-fanni, fino a che non siano condotti nella patria beata" (Lumen gentium, 62).

Quest’anno la nostra attenzione si volge particolarmente ai bambini, lecreature più deboli e indifese e, tra questi, ai bambini malati e sofferenti. Cisono piccoli esseri umani che portano nel corpo le conseguenze di malattieinvalidanti, ed altri che lottano con mali oggi ancora inguaribili nonostanteil progresso della medicina e l’assistenza di validi ricercatori e professioni-sti della salute. Ci sono bambini feriti nel corpo e nell’anima a seguito diconflitti e guerre, ed altri vittime innocenti dell’odio di insensate personeadulte. Ci sono ragazzi "di strada", privati del calore di una famiglia ed ab-bandonati a se stessi, e minori profanati da gente abietta che ne viola l’inno-cenza, provocando in loro una piaga psicologica che li segnerà per il restodella vita. Non possiamo poi dimenticare l’incalcolabile numero dei minoriche muoiono a causa della sete, della fame, della carenza di assistenza sani-taria, come pure i piccoli esuli e profughi dalla propria terra con i loro geni-tori alla ricerca di migliori condizioni di vita. Da tutti questi bambini si levaun silenzioso grido di dolore che interpella la nostra coscienza di uomini edi credenti.

La comunità cristiana, che non può restare indifferente dinanzi a cosìdrammatiche situazioni, avverte l’impellente dovere di intervenire. La Chie-

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sa, infatti, come ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est, "è la famiglia diDio nel mondo. In questa famiglia non deve esserci nessuno che soffra permancanza del necessario" (25, b). Auspico, pertanto, che anche la GiornataMondiale del Malato offra l’opportunità alle comunità parrocchiali e dioce-sane di prendere sempre più coscienza di essere "famiglia di Dio", e le inco-raggi a rendere percepibile nei villaggi, nei quartieri e nelle città l’amore delSignore, il quale chiede "che nella Chiesa stessa, in quanto famiglia, nessunmembro soffra perché nel bisogno" (ibid.). La testimonianza della carità faparte della vita stessa di ogni comunità cristiana. E fin dall’inizio la Chiesaha tradotto in gesti concreti i principi evangelici, come leggiamo negli Attidegli Apostoli. Oggi, date le mutate condizioni dell’assistenza sanitaria, siavverte il bisogno di una più stretta collaborazione tra i professionisti dellasalute operanti nelle diverse istituzioni sanitarie e le comunità ecclesiali pre-senti sul territorio. In questa prospettiva, si conferma in tutto il suo valoreun’istituzione collegata con la Santa Sede qual è l’Ospedale PediatricoBambino Gesù, che celebra quest’anno i suoi 140 anni di vita.

Ma c’è di più. Poiché il bambino malato appartiene ad una famiglia chene condivide la sofferenza spesso con gravi disagi e difficoltà, le comunitàcristiane non possono non farsi carico anche di aiutare i nuclei familiari col-piti dalla malattia di un figlio o di una figlia. Sull’esempio del "Buon Sama-ritano" occorre che ci si chini sulle persone così duramente provate e si of-fra loro il sostegno di una concreta solidarietà. In tal modo, l’accettazione ela condivisione della sofferenza si traduce in un utile supporto alle famigliedei bambini malati, creando al loro interno un clima di serenità e di speran-za, e facendo sentire attorno a loro una più vasta famiglia di fratelli e sorellein Cristo. La compassione di Gesù per il pianto della vedova di Nain (cfr Lc7,12-17) e per l’implorante preghiera di Giairo (cfr Lc 8,41-56) costituisco-no, tra gli altri, alcuni utili punti di riferimento per imparare a condividere imomenti di pena fisica e morale di tante famiglie provate. Tutto ciò presup-pone un amore disinteressato e generoso, riflesso e segno dell’amore miseri-cordioso di Dio, che mai abbandona i suoi figli nella prova, ma sempre lirifornisce di mirabili risorse di cuore e di intelligenza per essere in grado difronteggiare adeguatamente le difficoltà della vita.

La dedizione quotidiana e l’impegno senza sosta al servizio dei bambinimalati costituiscono un’eloquente testimonianza di amore per la vita umana,

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in particolare per la vita di chi è debole e in tutto e per tutto dipendente da-gli altri. Occorre affermare infatti con vigore l’assoluta e suprema dignità diogni vita umana. Non muta, con il trascorrere dei tempi, l’insegnamento chela Chiesa incessantemente proclama: la vita umana è bella e va vissuta inpienezza anche quando è debole ed avvolta dal mistero della sofferenza. E’a Gesù crocifisso che dobbiamo volgere il nostro sguardo: morendo in croceEgli ha voluto condividere il dolore di tutta l’umanità. Nel suo soffrire peramore intravediamo una suprema compartecipazione alle pene dei piccolimalati e dei loro genitori. Il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II,che dell’accettazione paziente della sofferenza ha offerto un esempio lumi-noso specialmente al tramonto della sua vita, ha scritto: "Sulla croce sta il«Redentore dell'uomo», l'Uomo dei dolori, che in sé ha assunto le sofferen-ze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi, affinché nell'amore possanotrovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro inter-rogativi" (Salvifici doloris, 31).

Desidero qui esprimere il mio apprezzamento ed incoraggiamento alleOrganizzazioni internazionali e nazionali che si prendono cura dei bambinimalati, particolarmente nei Paesi poveri, e con generosità e abnegazione of-frono il loro contributo per assicurare ad essi cure adeguate e amorevoli. Ri-volgo al tempo stesso un accorato appello ai responsabili delle Nazioni per-ché vengano potenziate le leggi e i provvedimenti in favore dei bambini ma-lati e delle loro famiglie. Sempre, ma ancor più quando è in gioco la vita deibambini, la Chiesa, per parte sua, si rende disponibile ad offrire la sua cor-diale collaborazione nell’intento di trasformare tutta la civiltà umana in «ci-viltà dell’amore» (cfr Salvifici doloris, 30).

Concludendo, vorrei esprimere la mia vicinanza spirituale a tutti voi, carifratelli e sorelle, che soffrite di qualche malattia. Rivolgo un affettuoso salu-to a quanti vi assistono: ai Vescovi, ai sacerdoti, alle persone consacrate,agli operatori sanitari, ai volontari e a tutti coloro che si dedicano con amorea curare e alleviare le sofferenze di chi è alle prese con la malattia. Un salu-to tutto speciale è per voi, cari bambini malati e sofferenti: il Papa vi ab-braccia con affetto paterno insieme con i vostri genitori e familiari, e vi assi-cura uno speciale ricordo nella preghiera, invitandovi a confidare nel mater-no aiuto dell’Immacolata Ve rgine Maria, che nel passato Natale abbiamoancora una volta contemplato mentre stringe con gioia tra le braccia il Fi-

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glio di Dio fatto bambino. Nell’invocare su di voi e su ogni malato la mater-na protezione della Ve rgine Santa, Salute degli Infermi, a tutti imparto dicuore una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 2 Febbraio 2009

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LETTERA SULLA REVOCA DELLA SCOMUNICA AI VESCOVI LEFEBVRIANI

Cari Confratelli nel ministero episcopale!

La remissione della scomunica ai quattro Vescovi, consacrati nell’anno1988 dall’Arcivescovo Lefebvre senza mandato della Santa Sede, per mol-teplici ragioni ha suscitato all’interno e fuori della Chiesa Cattolica una di-scussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più speri-mentata. Molti Vescovi si sono sentiti perplessi davanti a un avvenimentoverificatosi inaspettatamente e difficile da inquadrare positivamente nellequestioni e nei compiti della Chiesa di oggi. Anche se molti Vescovi e fedeliin linea di principio erano disposti a valutare in modo positivo la disposizio-ne del Papa alla riconciliazione, a ciò tuttavia si contrapponeva la questionecirca la convenienza di un simile gesto a fronte delle vere urgenze di una vi-ta di fede nel nostro tempo. Alcuni gruppi, invece, accusavano apertamenteil Papa di voler tornare indietro, a prima del Concilio: si scatenava così unavalanga di proteste, la cui amarezza rivelava ferite risalenti al di là del mo-mento. Mi sento perciò spinto a rivolgere a voi, cari Confratelli, una parolachiarificatrice, che deve aiutare a comprendere le intenzioni che in questopasso hanno guidato me e gli organi competenti della Santa Sede. Spero dicontribuire in questo modo alla pace nella Chiesa.

Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Wil-liamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discretodi misericordia verso quattro Vescovi, ordinati validamente ma non legitti-mamente, è apparso all’improvviso come una cosa totalmente diversa: comela smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revo-ca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino del-la Chiesa. Un invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicatoin un processo di separazione si trasformò così nel suo contrario: un appa-rente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani edebrei fatti a partire dal Concilio – passi la cui condivisione e promozione findall’inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico. Chequesto sovrapporsi di due processi contrapposti sia successo e per un mo-

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mento abbia disturbato la pace tra cristiani ed ebrei come pure la pace al-l’interno della Chiesa, è cosa che posso soltanto deplorare profondamente.Mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediantel’internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenzadel problema. Ne traggo la lezione che in futuro nella Santa Sede dovremoprestar più attenzione a quella fonte di notizie. Sono rimasto rattristato dalfatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio comestanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta al-l’attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hannoaiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmo-sfera di amicizia e di fiducia, che – come nel tempo di Papa Giovanni PaoloII – anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie aDio, continua ad esistere.

Un altro sbaglio, per il quale mi rammarico sinceramente, consiste nelfatto che la portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non so-no stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della suapubblicazione. La scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un’Ordina-zione episcopale senza il mandato pontificio significa il pericolo di uno sci-sma, perché mette in questione l’unità del collegio episcopale con il Papa.Perciò la Chiesa deve reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fi-ne di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritornoall’unità. A vent’anni dalle Ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non èstato ancora raggiunto. La remissione della scomunica mira allo stesso sco-po a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ri-torno. Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espressoil loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà diPastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autoritàdottrinale e a quella del Concilio. Con ciò ritorno alla distinzione tra perso-na ed istituzione. La remissione della scomunica era un provvedimento nel-l’ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal pesodi coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre di-stinguere questo livello disciplinare dall’ambito dottrinale. Il fatto che laFraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, nonsi basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Frater-nità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri nonesercitano ministeri legittimi nella Chiesa. Bisogna quindi distinguere tra il

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livello disciplinare, che concerne le persone come tali, e il livello dottrinalein cui sono in questione il ministero e l’istituzione. Per precisarlo ancorauna volta: finché le questioni concernenti la dottrina non sono chiarite, laFraternità non ha alcuno stato canonico nella Chiesa, e i suoi ministri – an-che se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica – non esercitano inmodo legittimo alcun ministero nella Chiesa.

Alla luce di questa situazione è mia intenzione di collegare in futuro laPontificia Commissione "Ecclesia Dei" – istituzione dal 1988 competenteper quelle comunità e persone che, provenendo dalla Fraternità San Pio X oda simili raggruppamenti, vogliono tornare nella piena comunione col Papa– con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Con ciò viene chiaritoche i problemi che devono ora essere trattati sono di natura essenzialmentedottrinale e riguardano soprattutto l’accettazione del Concilio Vaticano II edel magistero post-conciliare dei Papi. Gli organismi collegiali con i quali laCongregazione studia le questioni che si presentano (specialmente la con-sueta adunanza dei Cardinali al mercoledì e la Plenaria annuale o biennale)garantiscono il coinvolgimento dei Prefetti di varie Congregazioni romane edei rappresentanti dell’Episcopato mondiale nelle decisioni da prendere.Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 –ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità. Ma ad alcuni di coloro che si se-gnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato allamemoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa.Chi vuole essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professatanel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive.

Spero, cari Confratelli, che con ciò sia chiarito il significato positivo co-me anche il limite del provvedimento del 21 gennaio 2009. Ora però rimanela questione: Era tale provvedimento necessario? Costituiva veramente unapriorità? Non ci sono forse cose molto più importanti? Certamente ci sonodelle cose più importanti e più urgenti. Penso di aver evidenziato le prioritàdel mio Pontificato nei discorsi da me pronunciati al suo inizio. Ciò che hodetto allora rimane in modo inalterato la mia linea direttiva. La prima prio-rità per il Successore di Pietro è stata fissata dal Signore nel Cenacolo inmodo inequivocabile: "Tu … conferma i tuoi fratelli" (L c 22, 32). Pietrostesso ha formulato in modo nuovo questa priorità nella sua prima Lettera:"Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della spe-

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ranza che è in voi" (1 Pt 3, 15). Nel nostro tempo in cui in vaste zone dellaterra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova piùnutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presentein questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasidio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto ricono-sciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr Gv 13, 1) – in Gesù Cristo croci-fisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è cheDio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luceproveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, icui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più.

Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: que-sta è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore diPietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbia-mo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro con-trapposizione interna mette in dubbio la credibilità del loro parlare di Dio.Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani – perl’ecumenismo – è incluso nella priorità suprema. A ciò si aggiunge la neces-sità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino diavvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle lo-ro immagini di Dio, verso la fonte della Luce – è questo il dialogo interreli-gioso. Chi annuncia Dio come Amore "sino alla fine" deve dare la testimo-nianza dell’amore: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l’odio e l’i-nimicizia – è la dimensione sociale della fede cristiana, di cui ho parlatonell’Enciclica Deus caritas est.

Se dunque l’impegno faticoso per la fede, per la speranza e per l’amorenel mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse, sempre) lavera priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le riconciliazioni pic-cole e medie. Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia dato origine adun grande chiasso, trasformandosi proprio così nel contrario di una riconci-liazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto. Ma ora domando: Era edè veramente sbagliato andare anche in questo caso incontro al fratello che"ha qualche cosa contro di te" (cfr Mt 5, 23s) e cercare la riconciliazione?Non deve forse anche la società civile tentare di prevenire le radicalizzazio-ni e di reintegrare i loro eventuali aderenti – per quanto possibile – nellegrandi forze che plasmano la vita sociale, per evitarne la segregazione con

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tutte le sue conseguenze? Può essere totalmente errato l’impegnarsi per loscioglimento di irrigidimenti e di restringimenti, così da far spazio a ciò chevi è di positivo e di ricuperabile per l’insieme? Io stesso ho visto, negli annidopo il 1988, come mediante il ritorno di comunità prima separate da Romasia cambiato il loro clima interno; come il ritorno nella grande ed ampiaChiesa comune abbia fatto superare posizioni unilaterali e sciolto irrigidi-menti così che poi ne sono emerse forze positive per l’insieme. Può lasciar-ci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti,215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente lasciarli an-dare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esempio ai 491 sacerdoti.Non possiamo conoscere l’intreccio delle loro motivazioni. Penso tuttaviache non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi elementidistorti e malati, non ci fosse stato l’amore per Cristo e la volontà di annun-ciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente escluderli,come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della ri-conciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi?

Certamente, da molto tempo e poi di nuovo in quest’occasione concretaabbiamo sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate –superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc. Per amore della ve-rità devo aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze com-moventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un’apertura deicuori. Ma non dovrebbe la grande Chiesa permettersi di essere anche gene-rosa nella consapevolezza del lungo respiro che possiede; nella consapevo-lezza della promessa che le è stata data? Non dovremmo come buoni educa-tori essere capaci anche di non badare a diverse cose non buone e premurar-ci di condurre fuori dalle strettezze? E non dobbiamo forse ammettere cheanche nell’ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si hal’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, alquale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamentescagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi – in questo caso il Papa– perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato conodio senza timore e riserbo.

Cari Confratelli, nei giorni in cui mi è venuto in mente di scrivere questalettera, è capitato per caso che nel Seminario Romano ho dovuto interpreta-

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re e commentare il brano di Gal 5, 13 – 15. Ho notato con sorpresa l’imme-diatezza con cui queste frasi ci parlano del momento attuale: "Che la libertànon divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la caritàsiate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezzain un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordetee divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli unigli altri!" Sono stato sempre incline a considerare questa frase come unadelle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in san Paolo. Sotto certiaspetti può essere anche così. Ma purtroppo questo "mordere e divorare"esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpre-tata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Gala-ti? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo im-parare sempre di nuovo l’uso giusto della libertà? E che sempre di nuovodobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore? Nel giorno in cui ho parla-to di ciò nel Seminario maggiore, a Roma si celebrava la festa della Madon-na della Fiducia. Di fatto: Maria ci insegna la fiducia. Ella ci conduce al Fi-glio, di cui noi tutti possiamo fidarci. Egli ci guiderà – anche in tempi turbo-lenti. Vorrei così ringraziare di cuore tutti quei numerosi Vescovi, che inquesto tempo mi hanno donato segni commoventi di fiducia e di affetto esoprattutto mi hanno assicurato la loro preghiera. Questo ringraziamento va-le anche per tutti i fedeli che in questo tempo mi hanno dato testimonianzadella loro fedeltà immutata verso il Successore di san Pietro. Il Signore pro-tegga tutti noi e ci conduca sulla via della pace. È un augurio che mi sgorgaspontaneo dal cuore in questo inizio di Quaresima, che è tempo liturg i c oparticolarmente favorevole alla purificazione interiore e che tutti ci invita aguardare con speranza rinnovata al traguardo luminoso della Pasqua.

Con una speciale Benedizione Apostolica mi confermo

Dal Vaticano, 10 Marzo 2009

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MESSAGGIO PER LA QUARESIMA 2009

"Gesù, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame" (Mt 4,2)

Cari fratelli e sorelle!

All'inizio della Quaresima, che costituisce un cammino di più intenso al-lenamento spirituale, la Liturgia ci ripropone tre pratiche penitenziali moltocare alla tradizione biblica e cristiana - la preghiera, l'elemosina, il digiuno -per disporci a celebrare meglio la Pasqua e a fare così esperienza della po-tenza di Dio che, come ascolteremo nella Veglia pasquale, "sconfigge il ma-le, lava le colpe, restituisce l'innocenza ai peccatori, la gioia agli aff l i t t i .Dissipa l'odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pa-ce" (Preconio pasquale). Nel consueto mio Messaggio quaresimale, vorreisoffermarmi quest'anno a riflettere in particolare sul valore e sul senso deldigiuno. La Quaresima infatti richiama alla mente i quaranta giorni di digiu-no vissuti dal Signore nel deserto prima di intraprendere la sua missionepubblica. Leggiamo nel Vangelo: "Gesù fu condotto dallo Spirito nel deser-to, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni equaranta notti, alla fine ebbe fame" (Mt 4,1-2). Come Mosè prima di riceve-re le Tavole della Legge (cfr Es 34,28), come Elia prima di incontrare il Si-gnore sul monte Oreb (cfr 1 Re 19,8), così Gesù pregando e digiunando sipreparò alla sua missione, il cui inizio fu un duro scontro con il tentatore.

Possiamo domandarci quale valore e quale senso abbia per noi cristiani ilprivarci di un qualcosa che sarebbe in se stesso buono e utile per il nostrosostentamento. Le Sacre Scritture e tutta la tradizione cristiana insegnanoche il digiuno è di grande aiuto per evitare il peccato e tutto ciò che ad essoinduce. Per questo nella storia della salvezza ricorre più volte l'invito a di-giunare. Già nelle prime pagine della Sacra Scrittura il Signore comanda al-l'uomo di astenersi dal consumare il frutto proibito: "Tu potrai mangiare ditutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e delmale non devi mangiare perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamen-te dovrai morire" (Gn 2,16-17). Commentando l'ingiunzione divina, san Ba-silio osserva che "il digiuno è stato ordinato in Paradiso", e "il primo co-

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mando in tal senso è stato dato ad Adamo". Egli pertanto conclude: "Il 'nondevi mangiare' è, dunque, la legge del digiuno e dell'astinenza" (cfr Sermode jejunio: PG 31, 163, 98). Poiché tutti siamo appesantiti dal peccato e dal-le sue conseguenze, il digiuno ci viene offerto come un mezzo per riannoda-re l'amicizia con il Signore. Così fece Esdra prima del viaggio di ritornodall'esilio alla Terra Promessa, invitando il popolo riunito a digiunare "perumiliarci - disse - davanti al nostro Dio" (8,21). L'Onnipotente ascoltò la lo-ro preghiera e assicurò il suo favore e la sua protezione. Altrettanto fecerogli abitanti di Ninive che, sensibili all'appello di Giona al pentimento, pro-clamarono, quale testimonianza della loro sincerità, un digiuno dicendo:"Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noinon abbiamo a perire!" (3,9). Anche allora Dio vide le loro opere e li rispar-miò.

Nel Nuovo Testamento, Gesù pone in luce la ragione profonda del digiu-no, stigmatizzando l'atteggiamento dei farisei, i quali osservavano con scru-polo le prescrizioni imposte dalla legge, ma il loro cuore era lontano daDio. Il vero digiuno, ripete anche altrove il divino Maestro, è piuttosto com-piere la volontà del Padre celeste, il quale "vede nel segreto, e ti ricompen-serà" (Mt 6,18). Egli stesso ne dà l'esempio rispondendo a satana, al terminedei 40 giorni passati nel deserto, che "non di solo pane vivrà l'uomo, ma diogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4). Il vero digiuno è dunquefinalizzato a mangiare il "vero cibo", che è fare la volontà del Padre (cfr Gv4,34). Se pertanto Adamo disobbedì al comando del Signore "di non man-giare del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male", con il di-giuno il credente intende sottomettersi umilmente a Dio, confidando nellasua bontà e misericordia.

Troviamo la pratica del digiuno molto presente nella prima comunità cri-stiana (cfr At 13,3; 14,22; 27,21; 2 Cor 6,5). Anche i Padri della Chiesa par-lano della forza del digiuno, capace di tenere a freno il peccato, reprimere lebramosie del "vecchio Adamo", ed aprire nel cuore del credente la strada aDio. Il digiuno è inoltre una pratica ricorrente e raccomandata dai santi diogni epoca. Scrive san Pietro Crisologo: "Il digiuno è l'anima della preghie-ra e la misericordia la vita del digiuno, perciò chi prega digiuni. Chi digiunaabbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudi-

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sca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore diDio non chiuda il suo a chi lo supplica" (Sermo 43: PL 52, 320. 332).

Ai nostri giorni, la pratica del digiuno pare aver perso un po' della suavalenza spirituale e aver acquistato piuttosto, in una cultura segnata dalla ri-cerca del benessere materiale, il valore di una misura terapeutica per la curadel proprio corpo. Digiunare giova certamente al benessere fisico, ma per icredenti è in primo luogo una "terapia" per curare tutto ciò che impedisceloro di conformare se stessi alla volontà di Dio. Nella Costituzione apostoli-ca Pænitemini del 1966, il Servo di Dio Paolo VI ravvisava la necessità dicollocare il digiuno nel contesto della chiamata di ogni cristiano a "non piùvivere per se stesso, ma per colui che lo amò e diede se stesso per lui, e ...anche a vivere per i fratelli" (cfr Cap. I). La Quaresima potrebbe essereun'occasione opportuna per riprendere le norme contenute nella citata Costi-tuzione apostolica, valorizzando il significato autentico e perenne di que-st'antica pratica penitenziale, che può aiutarci a mortificare il nostro egoi-smo e ad aprire il cuore all'amore di Dio e del prossimo, primo e sommo co-mandamento della nuova Legge e compendio di tutto il Vangelo (cfr M t22,34-40).

La fedele pratica del digiuno contribuisce inoltre a conferire unità allapersona, corpo ed anima, aiutandola ad evitare il peccato e a crescere nel-l'intimità con il Signore. Sant'Agostino, che ben conosceva le proprie incli-nazioni negative e le definiva "nodo tortuoso e aggrovigliato" (Confessioni,II, 10.18), nel suo trattato L'utilità del digiuno, scriveva: "Mi dò certo unsupplizio, ma perché Egli mi perdoni; da me stesso mi castigo perché Eglimi aiuti, per piacere ai suoi occhi, per arrivare al diletto della sua dolcezza"(Sermo 400, 3, 3: PL 40, 708). Privarsi del cibo materiale che nutre il corpofacilita un'interiore disposizione ad ascoltare Cristo e a nutrirsi della sua pa-rola di salvezza. Con il digiuno e la preghiera permettiamo a Lui di venire asaziare la fame più profonda che sperimentiamo nel nostro intimo: la fame esete di Dio.

Al tempo stesso, il digiuno ci aiuta a prendere coscienza della situazionein cui vivono tanti nostri fratelli. Nella sua Prima Lettera san Giovanni am-monisce: "Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello innecessità gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l'amore di Dio?"

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(3,17). Digiunare volontariamente ci aiuta a coltivare lo stile del Buon Sa-maritano, che si china e va in soccorso del fratello sofferente (cfr Enc. Deuscaritas est, 15). Scegliendo liberamente di privarci di qualcosa per aiutaregli altri, mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà non ci èestraneo. Proprio per mantenere vivo questo atteggiamento di accoglienza edi attenzione verso i fratelli, incoraggio le parrocchie ed ogni altra comunitàad intensificare in Quaresima la pratica del digiuno personale e comunita-rio, coltivando altresì l'ascolto della Parola di Dio, la preghiera e l'elemosi-na. Questo è stato, sin dall'inizio, lo stile della comunità cristiana, nella qua-le venivano fatte speciali collette (cfr 2 Cor 8-9; Rm 15, 25-27), e i fedelierano invitati a dare ai poveri quanto, grazie al digiuno, era stato messo daparte (cfr Didascalia Ap., V, 20,18). Anche oggi tale pratica va riscoperta edincoraggiata, soprattutto durante il tempo liturgico quaresimale.

Da quanto ho detto emerge con grande chiarezza che il digiuno rappre-senta una pratica ascetica importante, un'arma spirituale per lottare controogni eventuale attaccamento disordinato a noi stessi. Privarsi volontaria-mente del piacere del cibo e di altri beni materiali, aiuta il discepolo di Cri-sto a controllare gli appetiti della natura indebolita dalla colpa d'origine, icui effetti negativi investono l'intera personalità umana. Opportunamenteesorta un antico inno liturgico quaresimale: "Utamur ergo parcius, / verbis,cibis et potibus, / somno, iocis et arctius / perstemus in custodia - Usiamo inmodo più sobrio parole, cibi, bevande, sonno e giochi, e rimaniamo conmaggior attenzione vigilanti".

Cari fratelli e sorelle, a ben vedere il digiuno ha come sua ultima finalitàdi aiutare ciascuno di noi, come scriveva il Servo di Dio Papa GiovanniPaolo II, a fare di sé dono totale a Dio (cfr Enc. Veritatis splendor, 21). LaQuaresima sia pertanto valorizzata in ogni famiglia e in ogni comunità cri-stiana per allontanare tutto ciò che distrae lo spirito e per intensificare ciòche nutre l'anima aprendola all'amore di Dio e del prossimo. Penso in parti-colare ad un maggior impegno nella preghiera, nella lectio divina, nel ricor-so al Sacramento della Riconciliazione e nell'attiva partecipazione all'Euca-ristia, soprattutto alla Santa Messa domenicale. Con questa interiore dispo-sizione entriamo nel clima penitenziale della Quaresima. Ci accompagni laBeata Vergine Maria, Causa nostrae laetitiae, e ci sostenga nello sforzo diliberare il nostro cuore dalla schiavitù del peccato per renderlo sempre più

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"tabernacolo vivente di Dio". Con questo augurio, mentre assicuro la miapreghiera perché ogni credente e ogni comunità ecclesiale percorra un profi-cuo itinerario quaresimale, imparto di cuore a tutti la Benedizione Apostoli-ca.

Dal Vaticano, 11 Dicembre 2008

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MESSAGGIO PER LA XXIV GIORNATA MONDIALEDELLA GIOVENTÙ

(5 APRILE 2009)

“Abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente” (1 Tm 4,10)

Cari amici,

la prossima Domenica delle Palme celebreremo, a livello diocesano, laXXIV Giornata Mondiale della Gioventù. Mentre ci prepariamo a questaannuale ricorrenza, ripenso con viva gratitudine al Signore all’incontro chesi è tenuto a Sydney, nel luglio dello scorso anno: incontro indimenticabi-le, durante il quale lo Spirito Santo ha rinnovato la vita di numerosissimigiovani convenuti dal mondo intero. La gioia della festa e l’entusiasmo spi-rituale, sperimentati durante quei giorni, sono stati un segno eloquente dellapresenza dello Spirito di Cristo. Ed ora siamo incamminati verso il radunointernazionale in programma a Madrid nel 2011, che avrà come tema le pa-role dell’apostolo Paolo: “Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede” (cfrC o l 2,7). In vista di tale appuntamento mondiale dei giovani, vogliamocompiere insieme un percorso formativo, riflettendo nel 2009 sull’afferma-zione di san Paolo: “Abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente” (1T m 4,10), e nel 2010 sulla domanda del giovane ricco a Gesù: “Maestrobuono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (Mc 10,17).

La giovinezza, tempo della speranza

A Sydney, la nostra attenzione si è concentrata su ciò che lo Spirito San-to dice oggi ai credenti, ed in particolare a voi, cari giovani. Durante la San-ta Messa conclusiva, vi ho esortato a lasciarvi plasmare da Lui per esseremessaggeri dell’amore divino, capaci di costruire un futuro di speranza pertutta l’umanità. La questione della speranza è, in verità, al centro della no-stra vita di esseri umani e della nostra missione di cristiani, soprattutto nel-l’epoca contemporanea. Avvertiamo tutti il bisogno di speranza, ma non diuna speranza qualsiasi, bensì di una speranza salda ed affidabile, come hovoluto sottolineare nell’Enciclica Spe salvi. La giovinezza in particolare ètempo di speranze, perché guarda al futuro con varie aspettative. Quando si

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è giovani si nutrono ideali, sogni e progetti; la giovinezza è il tempo in cuimaturano scelte decisive per il resto della vita. E forse anche per questo è lastagione dell’esistenza in cui affiorano con forza le domande di fondo: per-ché sono sulla terra? che senso ha vivere? che sarà della mia vita? E inoltre:come raggiungere la felicità? perché la sofferenza, la malattia e la morte?che cosa c’è oltre la morte? Interrogativi che diventano pressanti quando cisi deve misurare con ostacoli che a volte sembrano insormontabili: difficoltànegli studi, mancanza di lavoro, incomprensioni in famiglia, crisi nelle rela-zioni di amicizia o nella costruzione di un’intesa di coppia, malattie o disa-bilità, carenza di adeguate risorse come conseguenza dell’attuale e diffusacrisi economica e sociale. Ci si domanda allora: dove attingere e come tenerviva nel cuore la fiamma della speranza?

Alla ricerca della “grande speranza”

L’esperienza dimostra che le qualità personali e i beni materiali non ba-stano ad assicurare quella speranza di cui l’animo umano è in costante ricer-ca. Come ho scritto nella citata Enciclica Spe salvi, la politica, la scienza, latecnica, l’economia e ogni altra risorsa materiale da sole non sono sufficien-ti per offrire la grande speranza a cui tutti aspiriamo. Questa speranza “puòessere solo Dio, che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciòche, da soli, non possiamo raggiungere” (n. 31). Ecco perché una delle con-seguenze principali dell’oblio di Dio è l’evidente smarrimento che segna lenostre società, con risvolti di solitudine e violenza, di insoddisfazione e per-dita di fiducia che non raramente sfociano nella disperazione. Chiaro e forteè il richiamo che ci viene dalla Parola di Dio: “Maledetto l’uomo che confi-da nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuoredal Signore. Sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene”(Ger 17,5-6).

La crisi di speranza colpisce più facilmente le nuove generazioni che, incontesti socio-culturali privi di certezze, di valori e di solidi punti di riferi-mento, si trovano ad affrontare difficoltà che appaiono superiori alle loroforze. Penso, cari giovani amici, a tanti vostri coetanei feriti dalla vita, con-dizionati da una immaturità personale che è spesso conseguenza di un vuotofamiliare, di scelte educative permissive e libertarie e di esperienze negativee traumatiche. Per alcuni – e purtroppo non sono pochi – lo sbocco quasi

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obbligato è una fuga alienante verso comportamenti a rischio e violenti, ver-so la dipendenza da droghe e alcool, e verso tante altre forme di disagio gio-vanile. Eppure, anche in chi viene a trovarsi in condizioni penose per averseguito i consigli di “cattivi maestri”, non si spegne il desiderio di amorevero e di autentica felicità. Ma come annunciare la speranza a questi giova-ni? Noi sappiamo che solo in Dio l’essere umano trova la sua vera realizza-zione. L’impegno primario che tutti ci coinvolge è pertanto quello di unanuova evangelizzazione, che aiuti le nuove generazioni a riscoprire il voltoautentico di Dio, che è Amore. A voi, cari giovani, che siete in cerca di unasalda speranza, rivolgo le stesse parole che san Paolo indirizzava ai cristianiperseguitati nella Roma di allora: “Il Dio della speranza vi riempia, nel cre-dere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù del-lo Spirito Santo” (Rm 15,13). Durante questo anno giubilare dedicato all’A-postolo delle genti, in occasione del bimillenario della sua nascita, imparia-mo da lui a diventare testimoni credibili della speranza cristiana.

San Paolo, testimone della speranza

Trovandosi immerso in difficoltà e prove di vario genere, Paolo scrivevaal suo fedele discepolo Timoteo: “Abbiamo posto la nostra speranza nel Diovivente” (1 Tm 4,10). Come era nata in lui questa speranza? Per risponderea tale domanda dobbiamo partire dal suo incontro con Gesù risorto sulla viadi Damasco. All’epoca Saulo era un giovane come voi, di circa venti o ven-ticinque anni, seguace della Legge di Mosè e deciso a combattere con ognimezzo quelli che egli riteneva nemici di Dio (cfr At 9,1). Mentre stava an-dando a Damasco per arrestare i seguaci di Cristo, fu abbagliato da una lucemisteriosa e si sentì chiamare per nome: “Saulo, Saulo, perché mi persegui-ti?”. Caduto a terra, domandò: “Chi sei, o Signore?”. E quella voce rispose:“Io sono Gesù, che tu perseguiti!” (cfr At 9,3-5). Dopo quell’incontro, la vi-ta di Paolo mutò radicalmente: ricevette il Battesimo e divenne apostolo delVangelo. Sulla via di Damasco, egli fu interiormente trasformato dall’Amo-re divino incontrato nella persona di Gesù Cristo. Un giorno scriverà: “Que-sta vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi haamato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). Da persecutore diventòdunque testimone e missionario; fondò comunità cristiane in Asia Minore ein Grecia, percorrendo migliaia di chilometri e affrontando ogni sorta di pe-ripezie, fino al martirio a Roma. Tutto per amore di Cristo.

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La grande speranza è in Cristo

Per Paolo la speranza non è solo un ideale o un sentimento, ma una per-sona viva: Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Pervaso intimamente da questa cer-tezza, potrà scrivere a Timoteo: “Abbiamo posto la nostra speranza nel Diovivente” (1 Tm 4,10). Il “Dio vivente” è Cristo risorto e presente nel mon-do. E’ Lui la vera speranza: il Cristo che vive con noi e in noi e che ci chia-ma a partecipare alla sua stessa vita eterna. Se non siamo soli, se Egli è connoi, anzi, se è Lui il nostro presente ed il nostro futuro, perché temere? Lasperanza del cristiano è dunque desiderare “il Regno dei cieli e la vita eter-na come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristoe appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spi-rito Santo” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1817).

Il cammino verso la grande speranza

Come un giorno incontrò il giovane Paolo, Gesù vuole incontrare ancheciascuno di voi, cari giovani. Sì, prima di essere un nostro desiderio, questoincontro è un vivo desiderio di Cristo. Ma qualcuno di voi mi potrebbe do-mandare: Come posso incontrarlo io, oggi? O piuttosto, in che modo Egli siavvicina a me? La Chiesa ci insegna che il desiderio di incontrare il Signoreè già frutto della sua grazia. Quando nella preghiera esprimiamo la nostrafede, anche nell’oscurità già Lo incontriamo perché Egli si offre a noi. Lapreghiera perseverante apre il cuore ad accoglierlo, come spiega sant’Ago-stino: “Il Signore Dio nostro vuole che nelle preghiere si eserciti il nostrodesiderio, così che diventiamo capaci di ricevere ciò che Lui intende darci”(Lettere 130,8,17). La preghiera è dono dello Spirito, che ci rende uomini edonne di speranza, e pregare tiene il mondo aperto a Dio (cfr Enc. Spe salvi,34).

Fate spazio alla preghiera nella vostra vita! Pregare da soli è bene, ancorpiù bello e proficuo è pregare insieme, poiché il Signore ha assicurato di es-sere presente dove due o tre sono radunati nel suo nome (cfr Mt 18,20). Cisono molti modi per familiarizzare con Lui; esistono esperienze, gruppi emovimenti, incontri e itinerari per imparare a pregare e crescere così nell’e-sperienza della fede. Prendete parte alla liturgia nelle vostre parrocchie enutritevi abbondantemente della Parola di Dio e dell’attiva partecipazione aiSacramenti. Come sapete, culmine e centro dell’esistenza e della missione

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di ogni credente e di ogni comunità cristiana è l’Eucaristia, sacramento disalvezza in cui Cristo si fa presente e dona come cibo spirituale il suo stessoCorpo e Sangue per la vita eterna. Mistero davvero ineffabile! Attorno al-l’Eucaristia nasce e cresce la Chiesa, la grande famiglia dei cristiani, nellaquale si entra con il Battesimo e ci si rinnova costantemente grazie al sacra-mento della Riconciliazione. I battezzati poi, mediante la Cresima, vengonoconfermati dallo Spirito Santo per vivere da autentici amici e testimoni diCristo, mentre i sacramenti dell’Ordine e del Matrimonio li rendono atti arealizzare i loro compiti apostolici nella Chiesa e nel mondo. L’Unzione deimalati, infine, ci fa sperimentare il conforto divino nella malattia e nellasofferenza.

Agire secondo la speranza cristiana

Se vi nutrite di Cristo, cari giovani, e vivete immersi in Lui come l’apo-stolo Paolo, non potrete non parlare di Lui e non farlo conoscere ed amareda tanti altri vostri amici e coetanei. Diventati suoi fedeli discepoli, saretecosì in grado di contribuire a formare comunità cristiane impregnate diamore come quelle di cui parla il libro degli Atti degli Apostoli. La Chiesaconta su di voi per questa impegnativa missione: non vi scoraggino le diffi-coltà e le prove che incontrate. Siate pazienti e perseveranti, vincendo la na-turale tendenza dei giovani alla fretta, a volere tutto e subito.

Cari amici, come Paolo, testimoniate il Risorto! Fatelo conoscere a quan-ti, vostri coetanei e adulti, sono in cerca della “grande speranza” che diasenso alla loro esistenza. Se Gesù è diventato la vostra speranza, ditelo an-che agli altri con la vostra gioia e il vostro impegno spirituale, apostolico esociale. Abitati da Cristo, dopo aver riposto in Lui la vostra fede e averglidato tutta la vostra fiducia, diffondete questa speranza intorno a voi. Fatescelte che manifestino la vostra fede; mostrate di aver compreso le insidiedell’idolatria del denaro, dei beni materiali, della carriera e del successo, enon lasciatevi attrarre da queste false chimere. Non cedete alla logica del-l’interesse egoistico, ma coltivate l’amore per il prossimo e sforzatevi diporre voi stessi e le vostre capacità umane e professionali al servizio del be-ne comune e della verità, sempre pronti a rispondere “a chiunque vi doman-di ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3,15). Il cristiano autentico non

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è mai triste, anche se si trova a dover affrontare prove di vario genere, per-ché la presenza di Gesù è il segreto della sua gioia e della sua pace.

Maria, Madre della speranza

Modello di questo itinerario di vita apostolica sia per voi san Paolo, cheha alimentato la sua vita di costante fede e speranza seguendo l’esempio diAbramo, del quale scrive nella Lettera ai Romani: “Egli credette, saldo nel-la speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli” (Rm4,18). Su queste stesse orme del popolo della speranza – formato dai profetie dai santi di tutti i tempi – noi continuiamo ad avanzare verso la realizza-zione del Regno, e nel nostro cammino spirituale ci accompagna la VergineMaria, Madre della Speranza. Colei che ha incarnato la speranza di Israele,che ha donato al mondo il Salvatore ed è rimasta, salda nella speranza, aipiedi della Croce, è per noi modello e sostegno. Soprattutto, Maria interce-de per noi e ci guida nel buio delle nostre difficoltà all’alba radiosa dell’in-contro con il Risorto. Vorrei concludere questo messaggio, cari giovani ami-ci, facendo mia una bella e nota esortazione di san Bernardo ispirata al tito-lo di Maria Stella maris, Stella del mare: “Tu che nell’instabilità continuadella vita presente, ti accorgi di essere sballottato tra le tempeste più checamminare sulla terra, tieni ben fisso lo sguardo al fulgore di questa stella,se non vuoi essere spazzato via dagli uragani. Se insorgono i venti delle ten-tazioni e ti incagli tra gli scogli delle tribolazioni, guarda alla stella, invocaMaria ... Nei pericoli, nelle angustie, nelle perplessità, pensa a Maria, invo-ca Maria... Seguendo i suoi esempi non ti smarrirai; invocandola non perde-rai la speranza; pensando a lei non cadrai nell’errore. Appoggiato a lei nonscivolerai; sotto la sua protezione non avrai paura di niente; con la sua gui-da non ti stancherai; con la sua protezione giungerai a destinazione” (Ome -lie in lode della Vergine Madre, 2,17).

Maria, Stella del mare, sii tu a guidare i giovani del mondo intero all’in-contro con il tuo Figlio divino Gesù, e sii ancora tu la celeste custode dellaloro fedeltà al Vangelo e della loro speranza.

Mentre assicuro il mio quotidiano ricordo nella preghiera per ognuno divoi, cari giovani, di cuore tutti vi benedico insieme alle persone che vi sonocare.

Dal Vaticano, 22 febbraio 2009

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MESSAGGIO ALL’ARCIVESCOVO DI L’AQUILA IN OCCASIONE DEL RITO DI SUFFRAGIO

PER LE VITTIME DEL TERREMOTO

Al Carissimo Arcivescovo Giuseppe Molinarie a tutti voi, carissimi fratelli e sorelle nel Signore,In queste ore drammatiche in cui un’immane tragedia si è riversata su

codesta terra, mi sento spiritualmente presente in mezzo a voi per condivi-dere la vostra angoscia, implorare da Dio il riposo eterno per le vittime, lapronta ripresa per i feriti, per tutti il coraggio di continuare a sperare senzacedere allo sconforto. Ho chiesto al mio Segretario di Stato di venire a pre-siedere questa celebrazione liturgica straordinaria in cui la comunità cristia-na si stringerà intorno ai propri defunti per dare loro l’estremo saluto. Affi-do a lui, e al mio segretario particolare, il compito di recarvi di persona l’e-spressione della mia accorata partecipazione al lutto di quanti piangono i lo-ro cari travolti dalla sciagura.

In momenti come questi, fonte di luce e di speranza resta la fede, cheproprio in questi giorni ci parla della sofferenza del Figlio di Dio fattosi uo-mo per noi: la sua passione, la sua morte e la sua risurrezione siano per tuttisorgente di conforto ed aprano il cuore di ciascuno alla contemplazione diquella vita in cui “non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno,perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,4).

Sono certo che con l’impegno di tutti si può far fronte alle necessità piùimpellenti. La violenza del sisma ha creato situazioni di singolare difficoltà.Ho seguito gli sviluppi del devastante fenomeno tellurico dalla prima scossadi terremoto, che si è avvertita anche in Vaticano, ed ho notato con favore ilmanifestarsi di una crescente onda di solidarietà, grazie alla quale si sonovenuti organizzando i primi soccorsi, in vista di un’azione sempre più inci-siva sia dello Stato che delle istituzioni ecclesiali, come anche dei privati.

La Santa Sede intende fare la sua parte, unitamente alle parrocchie, agliistituti religiosi e alle aggregazioni laicali. Questo è il momento dell’impe-gno, in sintonia con gli organismi dello Stato, che già stanno lodevolmente

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operando. Solo la solidarietà può consentire di superare prove così doloro-se.

Affido alla Vergine Santa persone e famiglie coinvolte in questa tragediae, attraverso la sua materna intercessione, chiedo al Signore di asciugareogni lacrima e di lenire ogni ferita, mentre invio a ciascuno una speciale,confortatrice Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 9 aprile 2009

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OMELIA NELLA SANTA MESSA DEL CRISMA

Basilica VaticanaGiovedì Santo, 9 aprile 2009

Cari fratelli e sorelle,

Nel Cenacolo, la sera prima della sua passione, il Signore ha pregato peri suoi discepoli riuniti intorno a Lui, guardando al contempo in avanti allacomunità dei discepoli di tutti i secoli, a “quelli che crederanno in me me-diante la loro parola” (Gv 17, 20). Nella preghiera per i discepoli di tutti itempi Egli ha visto anche noi e ha pregato per noi. Ascoltiamo, che cosachiede per i Dodici e per noi qui riuniti: “Consacrali nella verità. La tua pa-rola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loronel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacra-ti nella verità” (17, 17ss). Il Signore chiede la nostra santificazione, la no-stra consacrazione nella verità. E ci manda per continuare la sua stessa mis-sione. Ma c’è in questa preghiera una parola che attira la nostra attenzione,ci sembra poco comprensibile. Gesù dice: “Per loro io consacro me stesso”.Che cosa significa? Gesù non è forse di per sé “il Santo di Dio”, come Pie-tro ha confessato nell’ora decisiva a Cafarnao (cfr Gv 6, 69)? Come può oraconsacrare, santificare se stesso?

Per comprendere questo dobbiamo soprattutto chiarire che cosa voglionodire nella Bibbia le parole “santo” e “santificare/consacrare”. “Santo” – conquesta parola si descrive innanzitutto la natura di Dio stesso, il suo modod’essere tutto particolare, divino, che a Lui solo è proprio. Egli solo è il ve-ro e autentico Santo nel senso originario. Ogni altra santità deriva da Lui, èpartecipazione al suo modo d’essere. Egli è la Luce purissima, la Verità e ilBene senza macchia. Consacrare qualcosa o qualcuno significa quindi darela cosa o la persona in proprietà a Dio, toglierla dall’ambito di ciò che è no-stro e immetterla nell’atmosfera sua, così che non appartenga più alle cosenostre, ma sia totalmente di Dio. Consacrazione è dunque un togliere dalmondo e un consegnare al Dio vivente. La cosa o la persona non appartienepiù a noi, e neppure più a se stessa, ma viene immersa in Dio. Un tale pri-varsi di una cosa per consegnarla a Dio, lo chiamiamo poi anche sacrificio:

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questo non sarà più proprietà mia, ma proprietà di Lui. Nell’Antico Testa-mento, la consegna di una persona a Dio, cioè la sua “santificazione” siidentifica con l’Ordinazione sacerdotale, e in questo modo si definisce an-che in che cosa consista il sacerdozio: è un passaggio di proprietà, un esseretolto dal mondo e donato a Dio. Con ciò si evidenziano ora le due direzioniche fanno parte del processo della santificazione/consacrazione. È un usciredai contesti della vita del mondo – un “essere messi da parte” per Dio. Maproprio per questo non è una segregazione. Essere consegnati a Dio signifi-ca piuttosto essere posti a rappresentare gli altri. Il sacerdote viene sottrattoalle connessioni del mondo e donato a Dio, e proprio così, a partire da Dio,deve essere disponibile per gli altri, per tutti. Quando Gesù dice: “Io miconsacro”, Egli si fa insieme sacerdote e vittima. Pertanto Bultmann ha ra-gione traducendo l’affermazione: “Io mi consacro” con “Io mi sacrifico”.Comprendiamo ora che cosa avviene, quando Gesù dice: “Io mi consacroper loro”? È questo l’atto sacerdotale in cui Gesù – l’Uomo Gesù, che è unacosa sola col Figlio di Dio – si consegna al Padre per noi. È l’espressionedel fatto che Egli è insieme sacerdote e vittima. Mi consacro – mi sacrifico:questa parola abissale, che ci lascia gettare uno sguardo nell’intimo del cuo-re di Gesù Cristo, dovrebbe sempre di nuovo essere oggetto della nostra ri-flessione. In essa è racchiuso tutto il mistero della nostra redenzione. E vi ècontenuta anche l’origine del sacerdozio della Chiesa, del nostro sacerdozio.

Solo adesso possiamo comprendere fino in fondo la preghiera, che il Si-gnore ha presentato al Padre per i discepoli – per noi. “Consacrali nella ve-rità”: è questo l’inserimento degli apostoli nel sacerdozio di Gesù Cristo,l’istituzione del suo sacerdozio nuovo per la comunità dei fedeli di tutti itempi. “Consacrali nella verità”: è questa la vera preghiera di consacrazioneper gli apostoli. Il Signore chiede che Dio stesso li attragga verso di sé, den-tro la sua santità. Chiede che Egli li sottragga a se stessi e li prenda comesua proprietà, affinché, a partire da Lui, essi possano svolgere il servizio sa-cerdotale per il mondo. Questa preghiera di Gesù appare due volte in formaleggermente modificata. Dobbiamo ambedue le volte ascoltare con molta at-tenzione, per cominciare a capire almeno vagamente la cosa sublime che quista verificandosi. “Consacrali nella verità”. Gesù aggiunge: “La tua parola èverità”. I discepoli vengono quindi tirati nell’intimo di Dio mediante l’esse-re immersi nella parola di Dio. La parola di Dio è, per così dire, il lavacroche li purifica, il potere creatore che li trasforma nell’essere di Dio. E allora,

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come stanno le cose nella nostra vita? Siamo veramente pervasi dalla paroladi Dio? È vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto non losiano il pane e le cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amia-mo? Ci occupiamo interiormente di questa parola al punto che essa real-mente dà un’impronta alla nostra vita e forma il nostro pensiero? O non èpiuttosto che il nostro pensiero sempre di nuovo si modella con tutto ciò chesi dice e che si fa? Non sono forse assai spesso le opinioni predominanti icriteri secondo cui ci misuriamo? Non rimaniamo forse, in fin dei conti, nel-la superficialità di tutto ciò che, di solito, s’impone all’uomo di oggi? Ci la-sciamo veramente purificare nel nostro intimo dalla parola di Dio? Nietz-sche ha dileggiato l’umiltà e l’obbedienza come virtù servili, mediante lequali gli uomini sarebbero stati repressi. Ha messo al loro posto la fierezza ela libertà assoluta dell’uomo. Orbene, esistono caricature di un’umiltà sba-gliata e di una sottomissione sbagliata, che non vogliamo imitare. Ma esisteanche la superbia distruttiva e la presunzione, che disgrègano ogni comunitàe finiscono nella violenza. Sappiamo noi imparare da Cristo la retta umiltà,che corrisponde alla verità del nostro essere, e quell’obbedienza, che si sot-tomette alla verità, alla volontà di Dio? “Consacrali nella verità; la tua paro-la è verità”: questa parola dell’inserimento nel sacerdozio illumina la nostravita e ci chiama a diventare sempre di nuovo discepoli di quella verità, chesi dischiude nella parola di Dio.

Nell’interpretazione di questa frase possiamo fare ancora un passo ulte-riore. Non ha forse Cristo detto di se stesso: “Io sono la verità” (cfr Gv 14,6)? E non è forse Egli stesso la Parola vivente di Dio, alla quale si riferisco-no tutte le altre singole parole? Consacrali nella verità – ciò vuol dire, dun-que, nel più profondo: rendili una cosa sola con me, Cristo. Lègali a me. Tì-rali dentro di me. E di fatto: esiste in ultima analisi solo un unico sacerdotedella Nuova Alleanza, lo stesso Gesù Cristo. E il sacerdozio dei discepoli,pertanto, può essere solo partecipazione al sacerdozio di Gesù. Il nostro es-sere sacerdoti non è quindi altro che un nuovo e radicale modo di unifica-zione con Cristo. Sostanzialmente essa ci è stata donata per sempre nel Sa-cramento. Ma questo nuovo sigillo dell’essere può diventare per noi un giu-dizio di condanna, se la nostra vita non si sviluppa entrando nella verità delSacramento. Le promesse che oggi rinnoviamo dicono a questo propositoche la nostra volontà deve essere così orientata: “Domino Iesu arctius co -niungi et conformari, vobismetipsis abrenuntiantes”. L’unirsi a Cristo sup-

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pone la rinuncia. Comporta che non vogliamo imporre la nostra strada e lanostra volontà; che non desideriamo diventare questo o quest’altro, ma ciabbandoniamo a Lui, ovunque e in qualunque modo Egli voglia servirsi dinoi. “Vivo, tuttavia non vivo più io, ma Cristo vive in me”, ha detto sanPaolo a questo proposito (cfr Gal 2, 20). Nel “sì” dell’Ordinazione sacerdo-tale abbiamo fatto questa rinuncia fondamentale al voler essere autonomi,alla “autorealizzazione”. Ma bisogna giorno per giorno adempiere questogrande “sì” nei molti piccoli “sì” e nelle piccole rinunce. Questo “sì” deipiccoli passi, che insieme costituiscono il grande “sì”, potrà realizzarsi sen-za amarezza e senza autocommiserazione soltanto se Cristo è veramente ilcentro della nostra vita. Se entriamo in una vera familiarità con Lui. Allora,infatti, sperimentiamo in mezzo alle rinunce, che in un primo tempo posso-no causare dolore, la gioia crescente dell’amicizia con Lui, tutti i piccoli e avolte anche grandi segni del suo amore, che ci dona continuamente. “Chiperde se stesso, si trova”. Se osiamo perdere noi stessi per il Signore, speri-mentiamo quanto sia vera la sua parola.

Essere immersi nella Verità, in Cristo – di questo processo fa parte lapreghiera, in cui ci esercitiamo nell’amicizia con Lui e anche impariamo aconoscerLo: il suo modo di essere, di pensare, di agire. Pregare è un cammi-nare in comunione personale con Cristo, esponendo davanti a Lui la nostravita quotidiana, le nostre riuscite e i nostri fallimenti, le nostre fatiche e lenostre gioie – è un semplice presentare noi stessi davanti a Lui. Ma affinchéquesto non diventi uno autocontemplarsi, è importante che impariamo con-tinuamente a pregare pregando con la Chiesa. Celebrare l’Eucaristia vuoldire pregare. Celebriamo l’Eucaristia in modo giusto, se col nostro pensieroe col nostro essere entriamo nelle parole, che la Chiesa ci propone. In esse èpresente la preghiera di tutte le generazioni, le quali ci prendono con sé sul-la via verso il Signore. E come sacerdoti siamo nella Celebrazione eucaristi-ca coloro che, con la loro preghiera, fanno strada alla preghiera dei fedeli dioggi. Se noi siamo interiormente uniti alle parole della preghiera, se da esseci lasciamo guidare e trasformare, allora anche i fedeli trovano l’accesso aquelle parole. Allora tutti diventiamo veramente “un corpo solo e un’animasola” con Cristo.

Essere immersi nella verità e così nella santità di Dio – ciò significa pernoi anche accettare il carattere esigente della verità; contrapporsi nelle cose

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grandi come in quelle piccole alla menzogna, che in modo così svariato èpresente nel mondo; accettare la fatica della verità, perché la sua gioia piùprofonda sia presente in noi. Quando parliamo dell’essere consacrati nellaverità, non dobbiamo neppure dimenticare che in Gesù Cristo verità e amo-re sono una cosa sola. Essere immersi in Lui significa essere immersi nellasua bontà, nell’amore vero. L’amore vero non è a buon mercato, può essereanche molto esigente. Oppone resistenza al male, per portare all’uomo il ve-ro bene. Se diventiamo una cosa sola con Cristo, impariamo a riconoscerLoproprio nei sofferenti, nei poveri, nei piccoli di questo mondo; allora diven-tiamo persone che servono, che riconoscono i fratelli e le sorelle di Lui e inessi incontrano Lui stesso.

“Consacrali nella verità” – è questa la prima parte di quella parola di Ge-sù. Ma poi Egli aggiunge: “Io consacro me stesso, perché siano anch’essiconsacrati in verità” – cioè veramente (Gv 17, 19). Io penso che questa se-conda parte abbia un suo specifico significato. Esistono nelle religioni delmondo molteplici modi rituali di “santificazione”, di consacrazione di unapersona umana. Ma tutti questi riti possono rimanere semplicemente unacosa formale. Cristo chiede per i discepoli la vera santificazione, che tra-sforma il loro essere, loro stessi; che non rimanga una forma rituale, ma siaun vero divenire proprietà di Dio stesso. Potremmo anche dire: Cristo hachiesto per noi il Sacramento che ci tocca nella profondità del nostro essere.Ma ha anche pregato, affinché questa trasformazione giorno per giorno innoi si traduca in vita; affinché nel nostro quotidiano e nella nostra vita con-creta di ogni giorno siamo veramente pervasi dalla luce di Dio.

Alla vigilia della mia Ordinazione sacerdotale, 58 anni fa, ho aperto laSacra Scrittura, perché volevo ricevere ancora una parola del Signore perquel giorno e per il mio futuro cammino da sacerdote. Il mio sguardo caddesu questo brano: “Consacrali nella verità; la tua parola è verità”. Allora sep-pi: il Signore sta parlando di me, e sta parlando a me. Precisamente la stessacosa avverrà domani in me. In ultima analisi non veniamo consacrati me-diante riti, anche se c’è bisogno di riti. Il lavacro, in cui il Signore ci immer-ge, è Lui stesso – la Verità in persona. Ordinazione sacerdotale significa: es-sere immersi in Lui, nella Verità. Appartengo in un modo nuovo a Lui e co-sì agli altri, “affinché venga il suo Regno”. Cari amici, in questa ora del rin-novo delle promesse vogliamo pregare il Signore di farci diventare uomini

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di verità, uomini di amore, uomini di Dio. Preghiamolo di attirarci semprepiù dentro di sé, affinché diventiamo veramente sacerdoti della Nuova Al-leanza. Amen.

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OMELIA NELLA MESSA DELLA CENA DEL SIGNORE

Basilica di San Giovanni in LateranoGiovedì Santo, 9 aprile 2009

Cari fratelli e sorelle!

Qui, pridie quam pro nostra omniumque salute pateretur, hoc est hodie,accepit panem: così diremo oggi nel Canone della Santa Messa. “Hoc esthodie” – la Liturgia del Giovedì Santo inserisce nel testo della preghiera laparola “oggi”, sottolineando con ciò la dignità particolare di questa giorna-ta. È stato “oggi” che Egli l’ha fatto: per sempre ha donato se stesso a noinel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Questo “oggi” è anzituttoil memoriale della Pasqua di allora. Tuttavia è di più. Con il Canone entria-mo in questo “oggi”. Il nostro oggi viene a contatto con il suo oggi. Egli faquesto adesso. Con la parola “oggi”, la Liturgia della Chiesa vuole indurci aporre grande attenzione interiore al mistero di questa giornata, alle parole incui esso si esprime. Cerchiamo dunque di ascoltare in modo nuovo il rac-conto dell’istituzione così come la Chiesa, in base alla Scrittura e contem-plando il Signore stesso, lo ha formulato.

Come prima cosa ci colpirà che il racconto dell’istituzione non è una fra-se autonoma, ma comincia con un pronome relativo: qui pridie. Questo“qui” aggancia l’intero racconto alla precedente parola della preghiera, “…diventi per noi il corpo e il sangue del tuo amatissimo Figlio, il Signore no-stro Gesù Cristo”. In questo modo, il racconto è connesso con la preghieraprecedente, con l’intero Canone, e reso esso stesso preghiera. Non è affattosemplicemente un racconto qui inserito, e non si tratta neppure di parole au-toritative a sé stanti, che magari interromperebbero la preghiera. È preghie-ra. E soltanto nella preghiera si realizza l’atto sacerdotale della consacrazio-ne che diventa trasformazione, transustanziazione dei nostri doni di pane evino in Corpo e Sangue di Cristo. Pregando in questo momento centrale, laChiesa è in totale accordo con l’avvenimento nel Cenacolo, poiché l’agiredi Gesù viene descritto con le parole: “gratias agens benedixit – rese graziecon la preghiera di benedizione”. Con questa espressione, la Liturgia roma-na ha diviso in due parole ciò, che nell’ebraico berakha è una parola sola,

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nel greco invece appare nei due termini eucharistía ed eulogía. Il Signoreringrazia. Ringraziando riconosciamo che una certa cosa è dono che provie-ne da un altro. Il Signore ringrazia e con ciò restituisce a Dio il pane, “fruttodella terra e del lavoro dell’uomo”, per riceverlo nuovamente da Lui. Rin-graziare diventa benedire. Ciò che è stato dato nelle mani di Dio, ritorna daLui benedetto e trasformato. La Liturgia romana ha ragione, quindi, nell’in-terpretare il nostro pregare in questo momento sacro mediante le parole:“offriamo”, “supplichiamo”, “chiediamo di accettare”, “di benedire questeofferte”. Tutto questo si nasconde nella parola “eucharistia” .

C’è un’altra particolarità nel racconto dell’istituzione riportato nel Cano-ne Romano, che vogliamo meditare in quest’ora. La Chiesa orante guardaalle mani e agli occhi del Signore. Vuole quasi osservarlo, vuole percepire ilgesto del suo pregare e del suo agire in quell’ora singolare, incontrare la fi-gura di Gesù, per così dire, anche attraverso i sensi. “Egli prese il pane nellesue mani sante e venerabili…”. Guardiamo a quelle mani con cui Egli haguarito gli uomini; alle mani con cui ha benedetto i bambini; alle mani, cheha imposto agli uomini; alle mani, che sono state inchiodate alla Croce eche per sempre porteranno le stimmate come segni del suo amore pronto amorire. Ora siamo incaricati noi di fare ciò che Egli ha fatto: prendere nellemani il pane perché mediante la preghiera eucaristica sia trasformato. Nel-l’Ordinazione sacerdotale, le nostre mani sono state unte, affinché diventinomani di benedizione. Preghiamo in quest’ora il Signore che le nostre maniservano sempre di più a portare la salvezza, a portare la benedizione, a ren-dere presente la sua bontà!

Dall’introduzione alla Preghiera sacerdotale di Gesù (cfr G v 17, 1), ilCanone prende poi le parole: “Alzando gli occhi al cielo a te, Dio Padre suoonnipotente…” Il Signore ci insegna ad alzare gli occhi e soprattutto il cuo-re. A sollevare lo sguardo, distogliendolo dalle cose del mondo, ad orientar-ci nella preghiera verso Dio e così a risollevarci. In un inno della preghieradelle ore chiediamo al Signore di custodire i nostri occhi, affinché non ac-colgano e non lascino entrare in noi le “vanitates” – le vanità, le nullità, ciòche è solo apparenza. Preghiamo che attraverso gli occhi non entri in noi ilmale, falsificando e sporcando così il nostro essere. Ma vogliamo pregaresoprattutto per avere occhi che vedano tutto ciò che è vero, luminoso e buo-no; affinché diventiamo capaci di vedere la presenza di Dio nel mondo. Pre-

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ghiamo, affinché guardiamo il mondo con occhi di amore, con gli occhi diGesù, riconoscendo così i fratelli e le sorelle, che hanno bisogno di noi, chesono in attesa della nostra parola e della nostra azione.

Benedicendo, il Signore spezza poi il pane e lo distribuisce ai discepoli.Lo spezzare il pane è il gesto del padre di famiglia che si preoccupa dei suoie dà loro ciò di cui hanno bisogno per la vita. Ma è anche il gesto dell’ospi-talità con cui lo straniero, l’ospite viene accolto nella famiglia e gli vieneconcessa una partecipazione alla sua vita. Dividere – con-dividere è unire.Mediante il condividere si crea comunione. Nel pane spezzato, il Signoredistribuisce se stesso. Il gesto dello spezzare allude misteriosamente anchealla sua morte, all’amore sino alla morte. Egli distribuisce se stesso, il vero“pane per la vita del mondo” (cfr Gv 6, 51). Il nutrimento di cui l’uomo nelpiù profondo ha bisogno è la comunione con Dio stesso. Ringraziando e be-nedicendo, Gesù trasforma il pane, non dà più pane terreno, ma la comunio-ne con se stesso. Questa trasformazione, però, vuol essere l’inizio della tra-sformazione del mondo. Affinché diventi un mondo di risurrezione, unmondo di Dio. Sì, si tratta di trasformazione. Dell’uomo nuovo e del mondonuovo che prendono inizio nel pane consacrato, trasformato, transustanzia-to.

Abbiamo detto che lo spezzare il pane è un gesto di comunione, dell’uni-re attraverso il condividere. Così, nel gesto stesso è già accennata l’intimanatura dell’Eucaristia: essa è a g a p e, è amore reso corporeo. Nella parola“a g a p e” i significati di Eucaristia e amore si compènetrano. Nel gesto diGesù che spezza il pane, l’amore che si partecipa ha raggiunto la sua radica-lità estrema: Gesù si lascia spezzare come pane vivo. Nel pane distribuitoriconosciamo il mistero del chicco di grano, che muore e così porta frutto.Riconosciamo la nuova moltiplicazione dei pani, che deriva dal morire delchicco di grano e proseguirà sino alla fine del mondo. Allo stesso tempo ve-diamo che l’Eucaristia non può mai essere solo un’azione liturgica. È com-pleta solo, se l’agape liturgica diventa amore nel quotidiano. Nel culto cri-stiano le due cose diventano una – l’essere gratificati dal Signore nell’attocultuale e il culto dell’amore nei confronti del prossimo. Chiediamo in que-st’ora al Signore la grazia di imparare a vivere sempre meglio il misterodell’Eucaristia così che in questo modo prenda inizio la trasformazione delmondo.

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Dopo il pane, Gesù prende il calice del vino. Il Canone romano qualificail calice, che il Signore dà ai discepoli, come “praeclarus calix” (come ca-lice glorioso), alludendo con ciò al Salmo 23 [22], quel Salmo che parla diDio come del Pastore potente e buono. Lì si legge: “Davanti a me tu prepariuna mensa, sotto gli occhi dei miei nemici … Il mio calice trabocca” – è ca -lix praeclarus. Il Canone romano interpreta questa parola del Salmo comeuna profezia, che si adempie nell’Eucaristia: Sì, il Signore ci prepara lamensa in mezzo alle minacce di questo mondo, e ci dona il calice glorioso –il calice della grande gioia, della vera festa, alla quale tutti aneliamo – il ca-lice colmo del vino del suo amore. Il calice significa le nozze: adesso è arri-vata l’“ora”, alla quale le nozze di Cana avevano alluso in modo misterioso.Sì, l’Eucaristia è più di un convito, è una festa di nozze. E queste nozze sifondono nell’autodonazione di Dio sino alla morte. Nelle parole dell’UltimaCena di Gesù e nel Canone della Chiesa, il mistero solenne delle nozze sicela sotto l’espressione “novum Testamentum”. Questo calice è il nuovo Te-stamento – “la nuova Alleanza nel mio sangue”, come Paolo riferisce la pa-rola di Gesù sul calice nella seconda lettura di oggi (1 Kor 11, 25). Il Cano-ne romano aggiunge: “per la nuova ed eterna alleanza”, per esprime l’indis-solubilità del legame nuziale di Dio con l’umanità. Il motivo per cui le anti-che traduzioni della Bibbia non parlano di Alleanza, ma di Testamento, stanel fatto che non sono due contraenti alla pari che qui si incontrano, ma en-tra in azione l’infinita distanza tra Dio e l’uomo. Ciò che noi chiamiamonuova ed antica Alleanza non è un atto di intesa tra due parti uguali, ma me-ro dono di Dio che ci lascia in eredità il suo amore – se stesso. E certo, me-diante questo dono del suo amore Egli, superando ogni distanza, ci rendepoi veramente “partner” e si realizza il mistero nuziale dell’amore.

Per poter comprendere che cosa in profondità lì avviene, dobbiamoascoltare ancora più attentamente le parole della Bibbia e il loro significatooriginario. Gli studiosi ci dicono che, nei tempi remoti di cui parlano le sto-rie dei Padri di Israele, “ratificare un’alleanza” significa “entrare con altri inun legame basato sul sangue, ovvero accogliere l’altro nella propria federa-zione ed entrare così un una comunione di diritti l’uno con l’altro”. In que-sto modo si crea una consanguineità reale benché non materiale. I partnerdiventano in qualche modo “fratelli dalla stessa carne e dalle stesse ossa”.L’alleanza opera un’insieme che significa pace (cfr ThWNT II 105 – 137).Possiamo adesso farci almeno un’idea di ciò che avvenne nell’ora dell’Ulti-

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ma Cena e che, da allora, si rinnova ogni volta che celebriamo l’Eucaristia?Dio, il Dio vivente stabilisce con noi una comunione di pace, anzi, Egli creauna “consanguineità” tra sé e noi. Mediante l’incarnazione di Gesù, median-te il suo sangue versato siamo stati tirati dentro una consanguineità moltoreale con Gesù e quindi con Dio stesso. Il sangue di Gesù è il suo amore,nel quale la vita divina e quella umana sono divenute una cosa sola. Pre-ghiamo il Signore, affinché comprendiamo sempre di più la grandezza diquesto mistero! Affinché esso sviluppi la sua forza trasformatrice nel nostrointimo, in modo che diventiamo veramente consanguinei di Gesù, pervasidalla sua pace e così anche in comunione gli uni con gli altri.

Ora, però, emerge ancora un’altra domanda. Nel Cenacolo, Cristo donaai discepoli il suo Corpo e il suo Sangue, cioè se stesso nella totalità dellasua persona. Ma può farlo? È ancora fisicamente presente in mezzo a loro,sta di fronte a loro! La risposta è: in quell’ora Gesù realizza ciò che avevaannunciato precedentemente nel discorso sul Buon Pastore: “Nessuno mitoglie la mia vita: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere diriprenderla di nuovo…” (Gv 10, 18). Nessuno può toglierGli la vita: Egli ladà per libera decisione. In quell’ora anticipa la crocifissione e la risurrezio-ne. Ciò che là si realizzerà, per così dire, fisicamente in Lui, Egli lo compiegià in anticipo nella libertà del suo amore. Egli dona la sua vita e la riprendenella risurrezione per poterla condividere per sempre.

Signore, oggi Tu ci doni la tua vita, ci doni te stesso. Pènetraci con il tuoamore. Facci vivere nel tuo “oggi”. Rendici strumenti della tua pace! Amen.

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OMELIA DELLA VEGLIA PASQUALENELLA NOTTE SANTA

Basilica Vaticana Sabato Santo, 11 aprile 2009

Cari fratelli e sorelle!

San Marco ci racconta nel suo Vangelo che i discepoli, scendendo dalmonte della Trasfigurazione, discutevano tra di loro su che cosa volesse dire“risorgere dai morti” (cfr Mc 9, 10). Prima il Signore aveva annunciato lorola sua passione e la risurrezione dopo tre giorni. Pietro aveva protestatocontro l’annuncio della morte. Ma ora si domandavano che cosa potesse es-sere inteso con il termine “risurrezione”. Non succede forse la stessa cosaanche a noi? Il Natale, la nascita del Bambino divino ci è in qualche modoimmediatamente comprensibile. Possiamo amare il Bambino, possiamo im-maginare la notte di Betlemme, la gioia di Maria, la gioia di san Giuseppe edei pastori e il giubilo degli angeli. Ma risurrezione – che cosa è? Non entranell’ambito delle nostre esperienze, e così il messaggio spesso rimane inqualche misura incompreso, una cosa del passato. La Chiesa cerca di con-durci alla sua comprensione, traducendo questo avvenimento misterioso nellinguaggio dei simboli nei quali possiamo in qualche modo contemplarequesto evento sconvolgente. Nella Veglia Pasquale ci indica il significato diquesto giorno soprattutto mediante tre simboli: la luce, l’acqua e il cantonuovo – l’alleluia.

C’è innanzitutto la luce. La creazione di Dio – ne abbiamo appena ascol-tato il racconto biblico – comincia con la parola: “Sia la luce!” (Gen 1, 3).Dove c’è la luce, nasce la vita, il caos può trasformarsi in cosmo. Nel mes-saggio biblico, la luce è l’immagine più immediata di Dio: Egli è intera-mente Luminosità, Vita, Verità, Luce. Nella Veglia Pasquale, la Chiesa leg-ge il racconto della creazione come profezia. Nella risurrezione si verificain modo più sublime ciò che questo testo descrive come l’inizio di tutte lecose. Dio dice nuovamente: “Sia la luce!”. La risurrezione di Gesù è un’eru-zione di luce. La morte è superata, il sepolcro spalancato. Il Risorto stesso èLuce, la Luce del mondo. Con la risurrezione, il giorno di Dio entra nelle

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notti della storia. A partire dalla risurrezione, la luce di Dio si diffonde nelmondo e nella storia. Si fa giorno. Solo questa Luce – Gesù Cristo – è laLuce vera, più del fenomeno fisico di luce. Egli è la Luce pura: Dio stesso,che fa nascere una nuova creazione in mezzo a quella antica, trasforma ilcaos in cosmo.

Cerchiamo di comprendere questo ancora un po’ meglio. Perché Cristo èLuce? Nell’Antico Testamento, la Torah era considerata come la luce prove-niente da Dio per il mondo e per gli uomini. Essa separa nella creazione laluce dalle tenebre, cioè il bene dal male. Indica all’uomo la via giusta pervivere veramente. Gli indica il bene, gli mostra la verità e lo conduce versol’amore, che è il suo contenuto più profondo. Essa è “lampada” per i passi e“luce” sul cammino (cfr Sal 119, 105). I cristiani, poi, sapevano: in Cristo èpresente la Torah, la Parola di Dio è presente in Lui come Persona. La Paro-la di Dio è la vera Luce di cui l’uomo ha bisogno. Questa Parola è presentein Lui, nel Figlio. Il Salmo 19 aveva paragonato la Torah al sole che, sor-gendo, manifesta la gloria di Dio visibilmente in tutto il mondo. I cristianicapiscono: sì, nella risurrezione il Figlio di Dio è sorto come Luce sul mon-do. Cristo è la grande Luce dalla quale proviene ogni vita. Egli ci fa ricono-scere la gloria di Dio da un confine all’altro della terra. Egli ci indica lastrada. Egli è il giorno di Dio che ora, crescendo, si diffonde per tutta la ter-ra. Adesso, vivendo con Lui e per Lui, possiamo vivere nella luce.

Nella Veglia Pasquale, la Chiesa rappresenta il mistero di luce del Cristonel segno del cero pasquale, la cui fiamma è insieme luce e calore. Il simbo-lismo della luce è connesso con quello del fuoco: luminosità e calore, lumi-nosità ed energia di trasformazione contenuta nel fuoco – verità e amorevanno insieme. Il cero pasquale arde e con ciò si consuma: croce e risurre-zione sono inseparabili. Dalla croce, dall’autodonazione del Figlio nasce laluce, viene la vera luminosità nel mondo. Al cero pasquale noi tutti accen-diamo le nostre candele, soprattutto quelle dei neobattezzati, ai quali in que-sto Sacramento la luce di Cristo viene calata nel profondo del cuore. LaChiesa antica ha qualificato il Battesimo come fotismos, come Sacramentodell’illuminazione, come una comunicazione di luce e l’ha collegato inscin-dibilmente con la risurrezione di Cristo. Nel Battesimo Dio dice al battez-zando: “Sia la luce!”. Il battezzando viene introdotto entro la luce di Cristo.Cristo divide ora la luce dalle tenebre. In Lui riconosciamo che cosa è vero

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e che cosa è falso, che cosa è la luminosità e che cosa il buio. Con Lui sorgein noi la luce della verità e cominciamo a capire. Quando una volta Cristovide la gente che era convenuta per ascoltarlo e aspettava da Lui un orienta-mento, ne sentì compassione, perché erano come pecore senza pastore (cfrMc 6, 34). In mezzo alle correnti contrastanti del loro tempo non sapevanodove rivolgersi. Quanta compassione Egli deve sentire anche del nostrotempo – a causa di tutti i grandi discorsi dietro i quali si nasconde in realtàun grande disorientamento. Dove dobbiamo andare? Quali sono i valori, se-condo cui possiamo regolarci? I valori secondo cui possiamo educare i gio-vani, senza dare loro delle norme che forse non resisteranno o esigere dellecose che forse non devono essere loro imposte? Egli è la Luce. La candelabattesimale è il simbolo dell’illuminazione che nel Battesimo ci vien dona-ta. Così in quest’ora anche san Paolo ci parla in modo molto immediato.Nella Lettera ai Filippesi dice che, in mezzo a una generazione tortuosa estravolta, i cristiani dovrebbero risplendere come astri nel mondo (cfr Fil 2,15). Preghiamo il Signore che il piccolo lume della candela, che Egli ha ac-ceso in noi, la luce delicata della sua parola e del suo amore in mezzo alleconfusioni di questo tempo non si spenga in noi, ma diventi sempre piùgrande e più luminosa. Affinché siamo con Lui persone del giorno, astri peril nostro tempo.

Il secondo simbolo della Veglia Pasquale – la notte del Battesimo – èl’acqua. Essa appare nella Sacra Scrittura, e quindi anche nella struttura in-teriore del Sacramento del Battesimo, in due significati opposti. C’è da unaparte il mare che appare come il potere antagonista della vita sulla terra, co-me la sua continua minaccia, alla quale Dio, però, ha posto un limite. Perquesto l’Apocalisse dice del mondo nuovo di Dio che lì il mare non ci saràpiù (cfr 21, 1). È l’elemento della morte. E così diventa la rappresentazionesimbolica della morte in croce di Gesù: Cristo è disceso nel mare, nelle ac-que della morte come Israele nel Mar Rosso. Risorto dalla morte, Egli cidona la vita. Ciò significa che il Battesimo non è solo un lavacro, ma unanuova nascita: con Cristo quasi discendiamo nel mare della morte, per risa-lire come creature nuove.

L’altro modo in cui incontriamo l’acqua è come sorgente fresca, che do-na la vita, o anche come il grande fiume da cui proviene la vita. Secondol’ordinamento primitivo della Chiesa, il Battesimo doveva essere ammini-

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strato con acqua sorgiva fresca. Senza acqua non c’è vita. Colpisce qualeimportanza abbiano nella Sacra Scrittura i pozzi. Essi sono luoghi dove sca-turisce la vita. Presso il pozzo di Giacobbe, Cristo annuncia alla Samaritanail pozzo nuovo, l’acqua della vita vera. Egli si manifesta a lei come il nuovoGiacobbe, quello definitivo, che apre all’umanità il pozzo che essa attende:quell’acqua che dona la vita che non s’esaurisce mai (cfr Gv 4, 5–15). SanGiovanni ci racconta che un soldato con una lancia colpì il fianco di Gesù eche dal fianco aperto – dal suo cuore trafitto – uscì sangue e acqua (cfr Gv19, 34). La Chiesa antica ne ha visto un simbolo per il Battesimo e l’Eucari-stia che derivano dal cuore trafitto di Gesù. Nella morte Gesù è divenutoEgli stesso la sorgente. Il profeta Ezechiele in una visione aveva visto ilTempio nuovo dal quale scaturisce una sorgente che diventa un grande fiu-me che dona la vita (cfr Ez 47, 1–12) – in una Terra che sempre soffriva lasiccità e la mancanza d’acqua, questa era una grande visione di speranza. Lacristianità degli inizi capì: in Cristo questa visione si è realizzata. Egli è ilvero, il vivente Tempio di Dio. E Lui è la sorgente di acqua viva. Da Luisgorga il grande fiume che nel Battesimo fruttifica e rinnova il mondo; ilgrande fiume di acqua viva, il suo Vangelo che rende feconda la terra. Gesùha però profetizzato una cosa ancora più grande. Dice: “Chi crede in me …dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva” (Gv 7, 38). Nel Battesi-mo il Signore fa di noi non solo persone di luce, ma anche sorgenti dallequali scaturisce acqua viva. Noi tutti conosciamo persone simili che ci la-sciano in qualche modo rinfrescati e rinnovati; persone che sono come unafonte di fresca acqua sorgiva. Non dobbiamo necessariamente pensare aigrandi come Agostino, Francesco d’Assisi, Teresa d’Avila, Madre Teresa diCalcutta e così via, persone attraverso le quali veramente fiumi di acqua vi-va sono entrati nella storia. Grazie a Dio, le troviamo continuamente anchenel nostro quotidiano: persone che sono una sorgente. Certo, conosciamoanche il contrario: persone dalle quali promana un’atmosfera come da unostagno con acqua stantia o addirittura avvelenata. Chiediamo al Signore,che ci ha donato la grazia del Battesimo, di poter essere sempre sorgenti diacqua pura, fresca, zampillante dalla fonte della sua verità e del suo amore!

Il terzo grande simbolo della Veglia Pasquale è di natura tutta particola-re; esso coinvolge l’uomo stesso. È il cantare il canto nuovo – l’alleluia.Quando un uomo sperimenta una grande gioia, non può tenerla per sé. Deveesprimerla, trasmetterla. Ma che cosa succede quando l’uomo viene toccato

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dalla luce della risurrezione e in questo modo viene a contatto con la Vitastessa, con la Verità e con l’Amore? Di ciò egli non può semplicemente par-lare soltanto. Il parlare non basta più. Egli deve cantare. La prima menzionedel cantare nella Bibbia, la troviamo dopo la traversata del Mar Rosso.Israele si è sollevato dalla schiavitù. È salito dalle profondità minacciosedel mare. È come rinato. Vive ed è libero. La Bibbia descrive la reazionedel popolo a questo grande evento del salvamento con la frase: “Il popolocredette nel Signore e in Mosè suo servo” (cfr Ex 14, 31). Ne segue poi laseconda reazione che, con una specie di necessità interiore, emerge dallaprima: “Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore…”.Nella Veglia Pasquale, anno per anno, noi cristiani intoniamo dopo la terzalettura questo canto, lo cantiamo come il nostro canto, perché anche noi me-diante la potenza di Dio siamo stati tirati fuori dall’acqua e liberati alla vitavera.

Per la storia del canto di Mosè dopo la liberazione di Israele dall’Egitto edopo la risalita dal Mar Rosso, c’è un parallelismo sorprendente nell’Apo -calisse di san Giovanni. Prima dell’inizio degli ultimi sette flagelli impostialla terra, appare al veggente qualcosa “come un mare di cristallo misto afuoco; coloro che avevano vinto la bestia, la sua immagine e il numero delsuo nome, stavano in piedi sul mare di cristallo. Hanno cetre divine e canta-no il canto di Mosè, il servo di Dio, e il canto dell’Agnello…” (Ap 15, 2s).Con questa immagine è descritta la situazione dei discepoli di Gesù Cristoin tutti i tempi, la situazione della Chiesa nella storia di questo mondo. Con-siderata umanamente, essa è in se stessa contraddittoria. Da una parte, la co-munità si trova nell’Esodo, in mezzo al Mar Rosso. In un mare che, para-dossalmente, è insieme ghiaccio e fuoco. E non deve forse la Chiesa, percosì dire, camminare sempre sul mare, attraverso il fuoco e il freddo? Uma-namente parlando, essa dovrebbe affondare. Ma, mentre cammina ancora inmezzo a questo Mar Rosso, essa canta – intona il canto di lode dei giusti: ilcanto di Mosè e dell’Agnello, in cui s’accordano l’Antica e la Nuova Al-leanza. Mentre, tutto sommato, dovrebbe affondare, la Chiesa canta il cantodi ringraziamento dei salvati. Essa sta sulle acque di morte della storia e tut-tavia è già risorta. Cantando essa si aggrappa alla mano del Signore, che latiene al di sopra delle acque. Ed essa sa che con ciò è sollevata fuori dallaforza di gravità della morte e del male – una forza dalla quale altrimenti nonci sarebbe via di scampo – sollevata e attirata dentro la nuova forza di gra-

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vità di Dio, della verità e dell’amore. Al momento, la Chiesa e noi tutti citroviamo ancora tra i due campi gravitazionali. Ma da quando Cristo è risor-to, la gravitazione dell’amore è più forte di quella dell’odio; la forza di gra-vità della vita è più forte di quella della morte. Non è forse questa veramen-te la situazione della Chiesa di tutti i tempi, la situazione nostra? Semprec’è l’impressione che essa debba affondare, e sempre è già salvata. San Pao-lo ha illustrato questa situazione con le parole: “Siamo … come moribondi,e invece viviamo”, (2 Cor 6, 9). La mano salvifica del Signore ci sorregge,e così possiamo cantare già ora il canto dei salvati, il canto nuovo dei risor-ti: alleluia! Amen.

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MESSAGGIO URBI ET ORBI

PASQUA 2009

Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero!

Formulo di cuore a voi tutti l’augurio pasquale con le parole di sant’A-gostino: “Resurrectio Domini, spes nostra – la risurrezione del Signore è lanostra speranza” (Agostino, S e r m o 261, 1). Con questa affermazione, ilgrande Vescovo spiegava ai suoi fedeli che Gesù è risorto perché noi, purdestinati alla morte, non disperassimo, pensando che con la morte la vita siatotalmente finita; Cristo è risorto per darci la speranza (cfr ibid.).

In effetti, una delle domande che più angustiano l’esistenza dell’uomo èproprio questa: che cosa c’è dopo la morte? A quest’enigma la solennitàodierna ci permette di rispondere che la morte non ha l’ultima parola, per-ché a trionfare alla fine è la Vita. E questa nostra certezza non si fonda susemplici ragionamenti umani, bensì su uno storico dato di fede: Gesù Cri-sto, crocifisso e sepolto, è risorto con il suo corpo glorioso. Gesù è risortoperché anche noi, credendo in Lui, possiamo avere la vita eterna. Quest’an-nuncio sta nel cuore del messaggio evangelico. Lo dichiara con vigore sanPaolo: “Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuotaanche la vostra fede”. E aggiunge: “Se noi abbiamo avuto speranza in Cri-sto soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (1Cor 15,14.19). Dall’alba di Pasqua una nuova primavera di speranza investeil mondo; da quel giorno la nostra risurrezione è già cominciata, perché laPasqua non segna semplicemente un momento della storia, ma l’avvio diuna nuova condizione: Gesù è risorto non perché la sua memoria resti vivanel cuore dei suoi discepoli, bensì perché Egli stesso viva in noi e in Luipossiamo già gustare la gioia della vita eterna.

La risurrezione pertanto non è una teoria, ma una realtà storica rivelatadall’Uomo Gesù Cristo mediante la sua “pasqua”, il suo “passaggio”, cheha aperto una “nuova via” tra la terra e il Cielo (cfr Eb 10,20). Non è un mi-to né un sogno, non è una visione né un’utopia, non è una favola, ma unevento unico ed irripetibile: Gesù di Nazaret, figlio di Maria, che al tramon-

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to del Venerdì è stato deposto dalla croce e sepolto, ha lasciato vittorioso latomba. Infatti all’alba del primo giorno dopo il sabato, Pietro e Giovannihanno trovato la tomba vuota. Maddalena e le altre donne hanno incontratoGesù risorto; lo hanno riconosciuto anche i due discepoli di Emmaus allospezzare il pane; il Risorto è apparso agli Apostoli la sera nel Cenacolo equindi a molti altri discepoli in Galilea.

L’annuncio della risurrezione del Signore illumina le zone buie del mon-do in cui viviamo. Mi riferisco particolarmente al materialismo e al nichili-smo, a quella visione del mondo che non sa trascendere ciò che è sperimen-talmente constatabile, e ripiega sconsolata in un sentimento del nulla chesarebbe il definitivo approdo dell’esistenza umana. È un fatto che se Cristonon fosse risorto, il “vuoto” sarebbe destinato ad avere il sopravvento. Setogliamo Cristo e la sua risurrezione, non c’è scampo per l’uomo e ogni suasperanza rimane un’illusione. Ma proprio oggi prorompe con vigore l’an-nuncio della risurrezione del Signore, ed è risposta alla ricorrente domandadegli scettici, riportata anche dal libro di Qoèlet: “C’è forse qualcosa di cuisi possa dire: / Ecco, questa è una novità?” (Qo 1,10). Sì, rispondiamo: nelmattino di Pasqua tutto si è rinnovato. “Morte e vita si sono affrontate in unprodigioso duello: il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa”(Sequenza pasquale). Questa è la novità! Una novità che cambia l’esistenzadi chi l’accoglie, come avvenne nei santi. Così, ad esempio, è accaduto persan Paolo.

Più volte, nel contesto dell’Anno Paolino, abbiamo avuto modo di medi-tare sull’esperienza del grande Apostolo. Saulo di Tarso, l’accanito persecu-tore dei cristiani, sulla via di Damasco incontrò Cristo risorto e fu da Lui“conquistato”. Il resto ci è noto. Avvenne in Paolo quel che più tardi egliscriverà ai cristiani di Corinto: “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; lecose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2 Cor 5,17). Guar-diamo a questo grande evangelizzatore, che con l’entusiasmo audace dellasua azione apostolica, ha recato il Vangelo a tante popolazioni del mondo diallora. Il suo insegnamento e il suo esempio ci stimolano a ricercare il Si-gnore Gesù. Ci incoraggiano a fidarci di Lui, perché ormai il senso del nul-la, che tende ad intossicare l’umanità, è stato sopraffatto dalla luce e dallasperanza che promanano dalla risurrezione. Ormai sono vere e reali le paro-le del Salmo: “Nemmeno le tenebre per te sono tenebre / e la notte è lumi-

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nosa come il giorno” (139[138],12). Non è più il nulla che avvolge ogni co-sa, ma la presenza amorosa di Dio. Addirittura il regno stesso della morte èstato liberato, perché anche negli “inferi” è arrivato il Verbo della vita, so-spinto dal soffio dello Spirito (v. 8).

Se è vero che la morte non ha più potere sull’uomo e sul mondo, tuttaviarimangono ancora tanti, troppi segni del suo vecchio dominio. Se mediantela Pasqua, Cristo ha estirpato la radice del male, ha però bisogno di uominie di donne che in ogni tempo e luogo lo aiutino ad affermare la sua vittoriacon le sue stesse armi: le armi della giustizia e della verità, della misericor-dia, del perdono e dell’amore. E’ questo il messaggio che, in occasione delrecente viaggio apostolico in Camerun e in Angola, ho inteso portare a tuttoil Continente africano, che mi ha accolto con grande entusiasmo e disponi-bilità all’ascolto. L’Africa, infatti, soffre in modo smisurato per i crudeli einterminabili conflitti – spesso dimenticati – che lacerano e insanguinanodiverse sue Nazioni e per il numero crescente di suoi figli e figlie che fini-scono preda della fame, della povertà, della malattia. Il medesimo messag-gio ripeterò con forza in Terrasanta, ove avrò la gioia di recarmi fra qualchesettimana. La difficile ma indispensabile riconciliazione, che è premessa perun futuro di sicurezza comune e di pacifica convivenza, non potrà diventarerealtà che grazie agli sforzi rinnovati, perseveranti e sinceri, per la composi-zione del conflitto israelo-palestinese. Dalla Terrasanta, poi, lo sguardo sia l l a rgherà sui Paesi limitrofi, sul Medio Oriente, sul mondo intero. In untempo di globale scarsità di cibo, di scompiglio finanziario, di povertà anti-che e nuove, di cambiamenti climatici preoccupanti, di violenze e miseriache costringono molti a lasciare la propria terra in cerca di una meno incertasopravvivenza, di terrorismo sempre minaccioso, di paure crescenti di fron-te all’incertezza del domani, è urgente riscoprire prospettive capaci di ridaresperanza. Nessuno si tiri indietro in questa pacifica battaglia iniziata dallaPasqua di Cristo, il Quale – lo ripeto – cerca uomini e donne che lo aiutinoad affermare la sua vittoria con le sue stesse armi, quelle della giustizia edella verità, della misericordia, del perdono e dell’amore.

R e s u rrectio Domini, spes nostra! La risurrezione di Cristo è la nostrasperanza! Questo la Chiesa proclama oggi con gioia: annuncia la speranza,che Dio ha reso salda e invincibile risuscitando Gesù Cristo dai morti; co-munica la speranza, che essa porta nel cuore e vuole condividere con tutti,

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in ogni luogo, specialmente là dove i cristiani soffrono persecuzione a causadella loro fede e del loro impegno per la giustizia e la pace; invoca la spe-ranza capace di suscitare il coraggio del bene anche e soprattutto quandocosta. Oggi la Chiesa canta “il giorno che ha fatto il Signore” ed invita allagioia. Oggi la Chiesa prega, invoca Maria, Stella della Speranza, perchéguidi l’umanità verso il porto sicuro della salvezza che è il cuore di Cristo,la Vittima pasquale, l’Agnello che “ha redento il mondo”, l’Innocente che“ha riconciliato noi peccatori col Padre”. A Lui, Re vittorioso, a Lui croci-fisso e risorto, noi gridiamo con gioia il nostro Alleluia !

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OMELIA DELLA DOMENICA DI PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE

Sagrato della Basilica Vaticana 12 aprile 2009

Cari fratelli e sorelle,

“Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!” (1 Cor 5,7). Risuona in que-sto giorno l’esclamazione di san Paolo, che abbiamo ascoltato nella secondalettura, tratta dalla prima Lettera ai Corinzi. È un testo che risale ad appenauna ventina d’anni dopo la morte e risurrezione di Gesù, eppure – come è ti-pico di certe espressioni paoline – contiene già, in una sintesi impressionan-te, la piena consapevolezza della novità cristiana. Il simbolo centrale dellastoria della salvezza – l’agnello pasquale – viene qui identificato in Gesù,chiamato appunto “nostra Pasqua”. La Pasqua ebraica, memoriale della li-berazione dalla schiavitù d’Egitto, prevedeva ogni anno il rito dell’immola-zione dell’agnello, un agnello per famiglia, secondo la prescrizione mosai-ca. Nella sua passione e morte, Gesù si rivela come l’Agnello di Dio “im-molato” sulla croce per togliere i peccati del mondo. È stato ucciso proprionell’ora in cui era consuetudine immolare gli agnelli nel Tempio di Gerusa-lemme. Il senso di questo suo sacrificio lo aveva anticipato Egli stesso du-rante l’Ultima Cena, sostituendosi – sotto i segni del pane e del vino – ai ci-bi rituali del pasto nella Pasqua ebraica. Così possiamo dire veramente cheGesù ha portato a compimento la tradizione dell’antica Pasqua e l’ha tra-sformata nella sua Pasqua.

A partire da questo nuovo significato della festa pasquale si capisce an-che l’interpretazione degli “azzimi” data da san Paolo. L’Apostolo si riferi-sce a un’antica usanza ebraica: quella secondo la quale, in occasione dellaPasqua, bisognava eliminare dalla casa ogni più piccolo avanzo di pane lie-vitato. Ciò costituiva, da una parte, un ricordo di quanto accaduto agli ante-nati al momento della fuga dall’Egitto: uscendo in fretta dal paese, avevanoportato con sé soltanto focacce non lievitate. Al tempo stesso, però, “gli az-zimi” erano simbolo di purificazione: eliminare ciò che è vecchio per farespazio al nuovo. Ora, spiega san Paolo, anche questa antica tradizione ac-

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quista un senso nuovo, a partire dal nuovo “esodo” appunto, che è il passag-gio di Gesù dalla morte alla vita eterna. E poiché Cristo, come vero Agnel-lo, ha sacrificato se stesso per noi, anche noi, suoi discepoli – grazie a Lui eper mezzo di Lui – possiamo e dobbiamo essere “pasta nuova”, “azzimi”,liberati da ogni residuo del vecchio fermento del peccato: niente più maliziae perversità nel nostro cuore.

“Celebriamo dunque la festa… con azzimi di sincerità e di verità”. Que-st’esortazione di san Paolo, che chiude la breve lettura che poco fa è stataproclamata, risuona ancor più forte nel contesto dell’Anno Paolino. Carifratelli e sorelle, accogliamo l’invito dell’Apostolo; apriamo l’animo a Cri-sto morto e risuscitato perchè ci rinnovi, perché elimini dal nostro cuore ilveleno del peccato e della morte e vi infonda la linfa vitale dello SpiritoSanto: la vita divina ed eterna. Nella sequenza pasquale, quasi rispondendoalle parole dell’Apostolo, abbiamo cantato: “Scimus Christum surrexisse amortuis vere” - sappiamo che Cristo è veramente risorto dai morti”. Sì! Èproprio questo il nucleo fondamentale della nostra professione di fede; èquesto il grido di vittoria che tutti oggi ci unisce. E se Gesù è risorto, e dun-que è vivo, chi mai potrà separarci da Lui? Chi mai potrà privarci del suoamore che ha vinto l’odio e ha sconfitto la morte?

L’annuncio della Pasqua si espanda nel mondo con il gioioso cantodell’Alleluia. Cantiamolo con le labbra, cantiamolo soprattutto con il cuoree con la vita, con uno stile di vita “azzimo”, cioè semplice, umile, e fecondodi azioni buone. “Surrexit Christus spes mea: / precedet vos in Galileam –Cristo mia speranza è risorto e vi precede in Galilea”. Il Risorto ci precede eci accompagna per le strade del mondo. È Lui la nostra speranza, è Lui lapace vera del mondo. Amen!

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VISITA ALLE ZONE TERREMOTATE DELL'ABRUZZO(28 aprile 2009)

1. PAROLE DI SALUTO E PREGHIERA PER I DEFUNTI

Tendopoli di OnnaMartedì, 28 aprile 2009

Cari amici!

Sono venuto di persona in questa vostra terra splendida e ferita, che stavivendo giorni di grande dolore e precarietà, per esprimervi nel modo piùdiretto la mia cordiale vicinanza. Vi sono stato accanto fin dal primo mo-mento, fin da quando ho appreso la notizia di quella violenta scossa di terre-moto che, nella notte del 6 aprile scorso, ha provocato quasi 300 vittime,numerosi feriti e ingenti danni materiali alle vostre case. Ho seguito con ap-prensione le notizie condividendo il vostro sgomento e le vostre lacrime peri defunti, insieme con le vostre trepidanti preoccupazioni per quanto in unattimo avete perso. Ora sono qui, tra voi: vorrei abbracciarvi con affetto unoad uno. La Chiesa tutta è qui con me, accanto alle vostre sofferenze, parteci-pe del vostro dolore per la perdita di familiari ed amici, desiderosa di aiutar-vi nel ricostruire case, chiese, aziende crollate o gravemente danneggiatedal sisma. Ho ammirato e ammiro il coraggio, la dignità e la fede con cuiavete affrontato anche questa dura prova, manifestando grande volontà dinon cedere alle avversità. Non è infatti il primo terremoto che la vostra re-gione conosce, ed ora, come in passato, non vi siete arresi; non vi siete persid'animo. C'è in voi una forza d'animo che suscita speranza. Molto significa-tivo, al riguardo, è un detto caro ai vostri anziani: "Ci sono ancora tantigiorni dietro il Gran Sasso".

Venendo qui, ad Onna, uno dei centri che ha pagato un alto prezzo in ter-mini di vite umane, posso immaginare tutta la tristezza e la sofferenza cheavete sopportato in queste settimane. Se fosse stato possibile, avrei deside-rato recarmi in ogni paese e in ogni quartiere, venire in tutte le tendopoli eincontrare tutti. Mi rendo ben conto che, nonostante l'impegno di solidarietà

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manifestato da ogni parte, sono tanti e quotidiani i disagi che comporta vi-vere fuori casa, o nelle automobili, o nelle tende, ancor più a causa del fred-do e della pioggia. Penso poi ai tanti giovani costretti bruscamente a misu-rarsi con una dura realtà, ai ragazzi che hanno dovuto interrompere la scuo-la con le sue relazioni, agli anziani privati delle loro abitudini.

Si potrebbe dire, cari amici, che vi trovate, in un certo modo, nello statod'animo dei due discepoli di Emmaus, di cui parla l'evangelista Luca. Dopol'evento tragico della croce, rientravano a casa delusi e amareggiati, per la"fine" di Gesù. Sembrava che non ci fosse più speranza, che Dio si fosse na-scosto e non fosse più presente nel mondo. Ma, lungo la strada, Egli si ac-costò e si mise a conversare con loro. Anche se non lo riconobbero con gliocchi, qualcosa si risvegliò nei loro cuori: le parole di quello "Sconosciuto"riaccesero in loro quell'ardore e quella fiducia che l'esperienza del Calvarioaveva spento. Ecco, cari amici: la mia povera presenza tra voi vuole essereun segno tangibile del fatto che il Signore crocifisso vive, che è con noi, cheè realmente risorto e non ci dimentica, non vi abbandona; non lascerà ina-scoltate le vostre domande circa il futuro, non è sordo al grido preoccupatodi tante famiglie che hanno perso tutto: case, risparmi, lavoro e a volte an-che vite umane. Certo, la sua risposta concreta passa attraverso la nostra so-lidarietà, che non può limitarsi all'emergenza iniziale, ma deve diventare unprogetto stabile e concreto nel tempo.

Incoraggio tutti, istituzioni e imprese, affinché questa città e questa terrar i s o rgano. Il Papa è qui, oggi, tra di voi per dirvi anche una parola diconforto circa i vostri morti: essi sono vivi in Dio e attendono da voi una te-stimonianza di coraggio e di speranza. Attendono di veder rinascere questaloro terra, che deve tornare ad ornarsi di case e di chiese, belle e solide. Èproprio in nome di questi fratelli e sorelle che ci si deve impegnare nuova-mente a vivere facendo ricorso a ciò che non muore e che il terremoto nonha distrutto e non può distruggere: l'amore. L'amore rimane anche al di làdel guado di questa nostra precaria esistenza terrena, perché l'Amore vero èDio. Chi ama vince, in Dio, la morte e sa di non perdere coloro che ha ama-to.

Vorrei concludere queste mie parole rivolgendo al Signore una particola-re preghiera per le vittime del terremoto.

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Affidiamo questi nostri cari a Te, Signore, sapendo che ai tuoi fedeli Tu non togli la vita ma la trasformi, e nel momento stesso in cui viene distrutta la dimora di questo nostro esilio sulla terra, Ti preoccupi di prepararne una eterna ed immortale in Paradiso.Padre Santo, Signore del cielo e della terra, ascolta il grido di dolore e di speranza, che si leva da questa comunità duramente provata dal terremoto! È il grido silenzioso del sangue di madri, di padri, di giovani e anche di piccoli innocenti che sale da questa terra. Sono stati strappati all'affetto dei loro cari, accoglili tutti nella tua pace, Signore, che sei il Dio-con-noi, l'Amore capace di donare la vita senza fine. Abbiamo bisogno di Te e della Tua forza, perché ci sentiamo piccoli e fragili di fronte alla morte; Ti preghiamo, aiutaci, perché soltanto il Tuo sostegno può farci rialzare e indurci a riprendere insieme, tenendoci fiduciosi l'un l'altro per mano, il cammino della vita. Te lo chiediamo per Gesù Cristo, nostro Salvatore, in cui rifulge la speranza della beata risurrezione. Amen! Preghiamo adesso con la preghiera che il Signore ci ha insegnato: "Padre

Nostro...".

La mia preghiera è con voi; siamo insieme e il Signore ci aiuterà. Grazieper il vostro coraggio, la vostra fede e la vostra speranza.

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2. INCONTRO CON I FEDELI ED IL PERSONALE IMPIEGATONEI SOCCORSI

DISCORSO E PREGHIERA

Piazzale della Scuola della Guardia di Finanza, Coppito - L'AquilaMartedì, 28 aprile 2009

Cari fratelli e sorelle!

Grazie per la vostra accoglienza, che mi commuove profondamente. Viabbraccio tutti con affetto nel nome di Cristo, nostra salda Speranza. Salutoil vostro Arcivescovo, il caro Mons. Giuseppe Molinari, che come Pastoreha condiviso e sta condividendo con voi questa dura prova; a lui va il mioringraziamento per le toccanti parole piene di fede e di fiducia evangelicacon cui si è fatto interprete dei vostri sentimenti. Saluto il Sindaco dell'A-quila, Onorevole Massimo Cialente, che con grande impegno sta operandoper la rinascita di questa città; come pure il Presidente della Regione, Ono-revole Gianni Chiodi. Ringrazio entrambi per le loro profonde parole. Salu-to la Guardia di Finanza, che ci ospita in questo luogo. Saluto i Parroci, glialtri sacerdoti e le religiose. Saluto i Sindaci dei paesi colpiti da questa scia-gura, e tutte le Autorità civili e militari: la Protezione Civile, i Vigili delFuoco, la Croce Rossa, le Squadre di Soccorso, e i tanti volontari di molte ediverse associazioni. Nominarle tutte mi sarebbe difficile, ma a ciascunovorrei far giungere una speciale parola di apprezzamento. Grazie di ciò cheavete fatto e soprattutto dell'amore con cui l'avete fatto. Grazie dell'esempioche avete dato. Andate avanti uniti e ben coordinati, così che si possano at-tuare quanto prima soluzioni efficaci per chi oggi vive nelle tendopoli. Loauguro di cuore, e prego per questo.

Ho iniziato questa mia visita da Onna, tanto fortemente colpita dal sisma,pensando anche alle altre comunità terremotate. Ho nel cuore tutte le vitti-me di questa catastrofe: bambini, giovani, adulti, anziani, sia abruzzesi chedi altre regioni d'Italia o anche di nazioni diverse. La sosta nella Basilica diCollemaggio, per venerare le spoglie del santo Papa Celestino V, mi ha datomodo di toccare con mano il cuore ferito di questa città. Il mio ha voluto es-sere un omaggio alla storia e alla fede della vostra terra, e a tutti voi, che vi

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identificate con questo Santo. Sulla sua urna, come Ella Signor Sindaco haricordato, ho lasciato quale segno della mia partecipazione spirituale il Pal-lio che mi è stato imposto nel giorno dell'inizio del mio Pontificato. Inoltre,assai toccante è stato per me pregare davanti alla Casa dello studente, dovenon poche giovani vite sono state stroncate dalla violenza del sisma. Attra-versando la città, mi sono reso ancor più conto di quanto gravi siano state leconseguenze del terremoto.

Eccomi ora qui, in questa Piazza su cui s'affaccia la Scuola della Guardiadi Finanza, che praticamente sin dal primo momento funziona come quar-tiere generale di tutta l'opera di soccorso. Questo luogo, consacrato dallapreghiera e dal pianto per le vittime, costituisce come il simbolo della vo-stra volontà tenace di non cedere allo scoraggiamento. "Nec recisa recedit":il motto del Corpo della Guardia di Finanza, che possiamo ammirare sullafacciata della struttura, sembra bene esprimere quella che il Sindaco ha defi-nito la ferma intenzione di ricostruire la città con la costanza caratteristicadi voi abruzzesi. Questo ampio piazzale, che ha ospitato le salme delle tantevittime per la celebrazione delle esequie presiedute dal Cardinale TarcisioBertone, mio Segretario di Stato, raccoglie quest'oggi le forze impegnate adaiutare L'Aquila e l'Abruzzo a risorgere presto dalle macerie del terremoto.Come ha ricordato l'Arcivescovo, la mia visita in mezzo a voi, da me desi-derata sin dal primo momento, vuole essere un segno della mia vicinanza aciascuno di voi e della fraterna solidarietà di tutta la Chiesa. In effetti, comecomunità cristiana, costituiamo un solo corpo spirituale, e se una parte sof-fre, tutte le altre parti soffrono con lei; e se una parte si sforza di risollevar-si, tutte partecipano al suo sforzo. Devo dirvi che manifestazioni di solida-rietà mi sono giunte per voi da tutte le parti del mondo. Numerose alte per-sonalità delle Chiese Ortodosse mi hanno scritto per assicurare la loro pre-ghiera e vicinanza spirituale, inviando anche aiuti economici.

Desidero sottolineare il valore e l'importanza della solidarietà, che, seb-bene si manifesti particolarmente in momenti di crisi, è come un fuoco na-scosto sotto la cenere. La solidarietà è un sentimento altamente civico e cri-stiano e misura la maturità di una società. Essa in pratica si manifesta nell'o-pera di soccorso, ma non è solo una efficiente macchina organizzativa: c'èun'anima, c'è una passione, che deriva proprio dalla grande storia civile e

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cristiana del nostro popolo, sia che avvenga nelle forme istituzionali, sia nelvolontariato. Ed anche a questo, oggi, voglio rendere omaggio.

Il tragico evento del terremoto invita la Comunità civile e la Chiesa aduna profonda riflessione. Come cristiani dobbiamo chiederci: "Che cosavuole dirci il Signore attraverso questo triste evento?". Abbiamo vissuto laPasqua confrontandoci con questo trauma, interrogando la Parola di Dio ericevendo dalla crocifissione e dalla risurrezione del Signore nuova luce.Abbiamo celebrato la morte e la risurrezione di Cristo portando nella mentee nel cuore il vostro dolore, pregando perché non venisse meno nelle perso-ne colpite la fiducia in Dio e la speranza. Ma anche come Comunità civileoccorre fare un serio esame di coscienza, affinché il livello delle responsa-bilità, in ogni momento, mai venga meno. A questa condizione, L'Aquila,anche se ferita, potrà tornare a volare.

Vi invito ora, cari fratelli e sorelle, a volgere lo sguardo verso la statuadella Madonna di Roio, venerata in un Santuario a voi molto caro, per affi-dare a Lei, Nostra Signora della Croce, la città e tutti gli altri paesi toccatidal terremoto. A Lei, la Madonna di Roio, lascio una Rosa d'oro, quale se-gno della mia preghiera per voi, mentre raccomando alla sua materna e ce-leste protezione tutte le località colpite.

Ed ora preghiamo: O Maria, Madre nostra amatissima! Tu, che stai vicino alle nostre croci, come rimanesti accanto a quella di Gesù, sostieni la nostra fede, perché pur affranti dal dolore, conserviamo lo sguardo fisso sul volto di Cristo in cui, nell'estrema sofferenza della croce, si è mostrato l'amore immenso e puro di Dio. Madre della nostra speranza, donaci i tuoi occhi per vedere, oltre la sofferenza e la morte, la luce della risurrezione; donaci il tuo cuore per continuare, anche nella prova, ad amare e a servire. O Maria, Madonna di Roio, Nostra Signora della Croce, prega per noi! Regina Caeli…

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MESSAGGIO PER LA XLVI GIORNATA MONDIALEDI PREGHIERA PER LE VOCAZIONI

3 MAGGIO 2009 - IV DOMENICA DI PASQUA

Tema: «La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta umana.»

Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari fratelli e sorelle!In occasione della prossima Giornata Mondiale di preghiera per le voca-

zioni al sacerdozio ed alla vita consacrata, che sarà celebrata il 3 maggio2009, Quarta Domenica di Pasqua, mi è gradito invitare l’intero Popolo diDio a riflettere sul tema: La fiducia nell’iniziativa di Dio e la risposta uma -n a. Risuona perenne nella Chiesa l’esortazione di Gesù ai suoi discepoli:“Pregate dunque il Signore della messe, perché mandi operai nella sua mes-se!” (Mt 9,38). Pregate! Il pressante appello del Signore sottolinea come lapreghiera per le vocazioni debba essere ininterrotta e fiduciosa. Solamentese animata dalla preghiera infatti, la comunità cristiana può effettivamente“avere maggiore fede e speranza nella iniziativa divina” (Esort. ap. postsi-nodale Sacramentum caritatis, 26).

La vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata costituisce uno specialedono divino, che si inserisce nel vasto progetto d’amore e di salvezza cheIddio ha su ogni uomo e per 1’intera umanità. L’apostolo Paolo, che ricor-diamo in modo speciale durante quest’Anno Paolino nel bimillenario dellasua nascita, scrivendo agli Efesini afferma: “Dio, Padre del Signore nostroGesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli inCristo, in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi eimmacolati di fronte a lui nella carità” (Ef 1,3-4). Nell’universale chiamataalla santità risalta la peculiare iniziativa di Dio, con cui sceglie alcuni per-ché seguano più da vicino il suo Figlio Gesù Cristo, e di lui siano ministri etestimoni privilegiati. Il divino Maestro chiamò personalmente gli Apostoli“perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciarei demoni” (Mc 3,14-15); essi, a loro volta, si sono associati altri discepoli,

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fedeli collaboratori nel ministero missionario. E così, rispondendo alla chia-mata del Signore e docili all’azione dello Spirito Santo, schiere innumere-voli di presbiteri e di persone consacrate, nel corso dei secoli, si sono postenella Chiesa a totale servizio del Vangelo. Rendiamo grazie al Signore cheanche oggi continua a convocare operai per la sua vigna. Se è pur vero chein talune regioni della terra si registra una preoccupante carenza di presbite-ri, e che difficoltà e ostacoli accompagnano il cammino della Chiesa, ci sor-regge l’incrollabile certezza che a guidarla saldamente nei sentieri del tem-po verso il compimento definitivo del Regno è Lui, il Signore, che libera-mente sceglie e invita alla sua sequela persone di ogni cultura e di ogni età,secondo gli imperscrutabili disegni del suo amore misericordioso.

Nostro primo dovere è pertanto di mantenere viva, con preghiera inces-sante, questa invocazione dell’iniziativa divina nelle famiglie e nelle parroc-chie, nei movimenti e nelle associazioni impegnati nell’apostolato, nelle co-munità religiose e in tutte le articolazioni della vita diocesana. Dobbiamopregare perché 1’intero popolo cristiano cresca nella fiducia in Dio, persua-so che il “padrone della messe” non cessa di chiedere ad alcuni di impegna-re liberamente la loro esistenza per collaborare con lui più strettamente nel-l’opera della salvezza. E da parte di quanti sono chiamati si esige attentoascolto e prudente discernimento, generosa e pronta adesione al progetto di-vino, serio approfondimento di ciò che è proprio della vocazione sacerdota-le e religiosa per corrispondervi in modo responsabile e convinto. Il Cate -chismo della Chiesa Cattolica ricorda opportunamente che la libera iniziati-va di Dio richiede la libera risposta dell’uomo. Una risposta positiva chepresuppone sempre 1’accettazione e la condivisione del progetto che Dio hasu ciascuno; una risposta che accolga 1’iniziativa d’amore del Signore e di-venti per chi è chiamato un’esigenza morale vincolante, un riconoscenteomaggio a Dio e una totale cooperazione al piano che Egli persegue nellastoria (cfr n. 2062).

Contemplando il mistero eucaristico, che esprime in modo sommo il li-bero dono fatto dal Padre nella Persona del Figlio Unigenito per la salvezzadegli uomini, e la piena e docile disponibilità di Cristo nel bere fino in fon-do il “calice” della volontà di Dio (cfr Mt 26,39), comprendiamo meglio co-me “la fiducia nell’iniziativa di Dio” modelli e dia valore alla “r i s p o s t au m a n a”. Nell’Eucaristia, il dono perfetto che realizza il progetto d’amore

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per la redenzione del mondo, Gesù si immola liberamente per la salvezzadell’umanità. “La Chiesa - ha scritto il mio amato predecessore G i o v a n n iPaolo II - ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono,pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono dise stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua operadi salvezza” (Enc. Ecclesia de Eucharistia, 11).

A perpetuare questo mistero salvifico nei secoli, sino al ritorno gloriosodel Signore, sono destinati i presbiteri, che proprio in Cristo eucaristico pos-sono contemplare il modello esimio di un “dialogo vocazionale” tra la libe-ra iniziativa del Padre e la fiduciosa risposta del Cristo. Nella celebrazioneeucaristica è Cristo stesso che agisce in coloro che Egli sceglie come suoiministri; li sostiene perché la loro risposta si sviluppi in una dimensione difiducia e di gratitudine che dirada ogni paura, anche quando si fa più forte1’esperienza della propria debolezza (cfr Rm 8,26-30), o si fa più aspro ilcontesto di incomprensione o addirittura di persecuzione (cfr Rm 8,35-39).

La consapevolezza di essere salvati dall’amore di Cristo, che ogni SantaMessa alimenta nei credenti e specialmente nei sacerdoti, non può non su-scitare in essi un fiducioso abbandono in Cristo che ha dato la vita per noi.Credere nel Signore ed accettare il suo dono, porta dunque ad affidarsi a Luicon animo grato aderendo al suo progetto salvifico. Se questo avviene, il“chiamato” abbandona volentieri tutto e si pone alla scuola del divino Mae-stro; ha inizio allora un fecondo dialogo tra Dio e l’uomo, un misterioso in-contro tra l’amore del Signore che chiama e la libertà dell’uomo che nell’a-more gli risponde, sentendo risuonare nel suo animo le parole di Gesù:“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché an-diate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16).

Questo intreccio d’amore tra l’iniziativa divina e la risposta umana è pre-sente pure, in maniera mirabile, nella vocazione alla vita consacrata. Ricor-da il Concilio Vaticano II: “I consigli evangelici della castità consacrata aDio, della povertà e dell’obbedienza, essendo fondati sulle parole e sugliesempi del Signore, e raccomandati dagli Apostoli, dai Padri, dai dottori edai pastori della Chiesa, sono un dono divino, che la Chiesa ha ricevuto dalsuo Signore e con la sua grazia sempre conserva” (Cost. Lumen gentium,43). Ancora una volta, è Gesù il modello esemplare di totale e fiduciosa

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adesione alla volontà del Padre, a cui ogni persona consacrata deve guarda-re. Attratti da lui, fin dai primi secoli del cristianesimo, molti uomini e don-ne hanno abbandonato famiglia, possedimenti, ricchezze materiali e tuttoquello che umanamente è desiderabile, per seguire generosamente il Cristoe vivere senza compromessi il suo Vangelo, diventato per essi scuola di ra-dicale santità. Anche oggi molti percorrono questo stesso esigente itinerariodi perfezione evangelica, e realizzano la loro vocazione con la professionedei consigli evangelici. La testimonianza di questi nostri fratelli e sorelle,nei monasteri di vita contemplativa come negli istituti e nelle congregazionidi vita apostolica, ricorda al popolo di Dio “quel mistero del Regno di Dioche già opera nella storia, ma attende la sua piena attuazione nei cieli”(Esort. ap. postsinodale Vita consecrata, 1).

Chi può ritenersi degno di accedere al ministero sacerdotale? Chi può ab-bracciare la vita consacrata contando solo sulle sue umane risorse? Ancorauna volta, è utile ribadire che la risposta dell’uomo alla chiamata divina,quando si è consapevoli che è Dio a prendere l’iniziativa ed è ancora lui aportare a termine il suo progetto salvifico, non si riveste mai del calcolo ti-moroso del servo pigro che per paura nascose sotto terra il talento affidato-gli (cfr Mt 25,14-30), ma si esprime in una pronta adesione all’invito del Si-gnore, come fece Pietro quando non esitò a gettare nuovamente le reti puravendo faticato tutta la notte senza prendere nulla, fidandosi della sua paro-la (cfr Lc 5,5). Senza abdicare affatto alla responsabilità personale, la liberarisposta dell’uomo a Dio diviene così “corresponsabilità”, responsabilità ine con Cristo, in forza dell’azione del suo Santo Spirito; diventa comunionecon Colui che ci rende capaci di portare molto frutto (cfr Gv 15,5).

Emblematica risposta umana, colma di fiducia nell’iniziativa di Dio, èl’“Amen” generoso e pieno della Vergine di Nazaret, pronunciato con umilee decisa adesione ai disegni dell’Altissimo, a Lei comunicati dal messo ce-leste (cfr Lc 1,38). Il suo pronto “si” permise a Lei di diventare la Madre diDio, la Madre del nostro Salvatore. Maria, dopo questo primo “fiat”, tantealtre volte dovette ripeterlo, sino al momento culminante della crocifissionedi Gesù, quando “stava presso la croce”, come annota l’evangelista Giovan-ni, compartecipe dell’atroce dolore del suo Figlio innocente. E proprio dallacroce, Gesù morente ce l’ha data come Madre ed a Lei ci ha affidati comefigli (cfr Gv 19,26-27), Madre specialmente dei sacerdoti e delle persone

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consacrate. A Lei vorrei affidare quanti avvertono la chiamata di Dio a por-si in cammino nella via del sacerdozio ministeriale o nella vita consacrata.

Cari amici, non scoraggiatevi di fronte alle difficoltà e ai dubbi; fidatevidi Dio e seguite fedelmente Gesù e sarete i testimoni della gioia che scaturi-sce dall’unione intima con lui. Ad imitazione della Ve rgine Maria, che legenerazioni proclamano beata perché ha creduto (cfr Lc 1,48), impegnatevicon ogni energia spirituale a realizzare il progetto salvifico del Padre cele-ste, coltivando nel vostro cuore, come Lei, la capacità di stupirvi e di adora-re Colui che ha il potere di fare “grandi cose” perché Santo è il suo nome(cfr ibid., 1,49).

Dal Vaticano, 20 Gennaio 2009

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MESSAGGIO PER LA XLIII GIORNATA MONDIALEDELLE COMUNICAZIONI SOCIALI

"Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia."

24 maggio 2009

Cari fratelli e sorelle,

in prossimità ormai della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Socia-li, mi è caro rivolgermi a voi per esporvi alcune mie riflessioni sul temascelto per quest’anno: Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere unacultura di rispetto, di dialogo, di amicizia. In effetti, le nuove tecnologie di-gitali stanno determinando cambiamenti fondamentali nei modelli di comu-nicazione e nei rapporti umani. Questi cambiamenti sono particolarmenteevidenti tra i giovani che sono cresciuti in stretto contatto con queste nuovetecniche di comunicazione e si sentono quindi a loro agio in un mondo digi-tale che spesso sembra invece estraneo a quanti di noi, adulti, hanno dovutoimparare a capire ed apprezzare le opportunità che esso offre per la comuni-cazione. Nel messaggio di quest’anno, il mio pensiero va quindi in modoparticolare a chi fa parte della cosiddetta generazione digitale: con loro vor-rei condividere alcune idee sullo straordinario potenziale delle nuove tecno-logie, se usate per favorire la comprensione e la solidarietà umana. Tali tec-nologie sono un vero dono per l’umanità: dobbiamo perciò far sì che i van-taggi che esse offrono siano messi al servizio di tutti gli esseri umani e ditutte le comunità, soprattutto di chi è bisognoso e vulnerabile.

L’accessibilità di cellulari e computer, unita alla portata globale e alla ca-pillarità di internet, ha creato una molteplicità di vie attraverso le quali èpossibile inviare, in modo istantaneo, parole ed immagini ai più lontani edisolati angoli del mondo: è, questa, chiaramente una possibilità impensabileper le precedenti generazioni. I giovani, in particolare, hanno colto l’enormepotenziale dei nuovi media nel favorire la connessione, la comunicazione ela comprensione tra individui e comunità e li utilizzano per comunicare coni propri amici, per incontrarne di nuovi, per creare comunità e reti, per cer-

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care informazioni e notizie, per condividere le proprie idee e opinioni. Moltibenefici derivano da questa nuova cultura della comunicazione: le famigliepossono restare in contatto anche se divise da enormi distanze, gli studenti ei ricercatori hanno un accesso più facile e immediato ai documenti, alle fon-ti e alle scoperte scientifiche e possono, pertanto, lavorare in équipe da luo-ghi diversi; inoltre la natura interattiva dei nuovi media facilita forme piùdinamiche di apprendimento e di comunicazione, che contribuiscono al pro-gresso sociale.

Sebbene sia motivo di meraviglia la velocità con cui le nuove tecnologiesi sono evolute in termini di affidabilità e di efficienza, la loro popolarità tragli utenti non dovrebbe sorprenderci, poiché esse rispondono al desideriofondamentale delle persone di entrare in rapporto le une con le altre.

Questo desiderio di comunicazione e amicizia è radicato nella nostrastessa natura di esseri umani e non può essere adeguatamente compreso so-lo come risposta alle innovazioni tecnologiche. Alla luce del messaggio bi-blico, esso va letto piuttosto come riflesso della nostra partecipazione al co-municativo ed unificante amore di Dio, che vuol fare dell’intera umanitàun’unica famiglia. Quando sentiamo il bisogno di avvicinarci ad altre perso-ne, quando vogliamo conoscerle meglio e farci conoscere, stiamo rispon-dendo alla chiamata di Dio – una chiamata che è impressa nella nostra natu-ra di esseri creati a immagine e somiglianza di Dio, il Dio della comunica-zione e della comunione.

Il desiderio di connessione e l’istinto di comunicazione, che sono cosìscontati nella cultura contemporanea, non sono in verità che manifestazionimoderne della fondamentale e costante propensione degli esseri umani adandare oltre se stessi per entrare in rapporto con gli altri. In realtà, quando ciapriamo agli altri, noi portiamo a compimento i nostri bisogni più profondie diventiamo più pienamente umani. Amare è, infatti, ciò per cui siamo statiprogettati dal Creatore. Naturalmente, non parlo di passeggere, superficialirelazioni; parlo del vero amore, che costituisce il centro dell’insegnamentomorale di Gesù: "Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tuttala tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza" e "Amerai il tuoprossimo come te stesso" (cfr Mc 12,30-31). In questa luce, riflettendo sulsignificato delle nuove tecnologie, è importante considerare non solo la loro

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indubbia capacità di favorire il contatto tra le persone, ma anche la qualitàdei contenuti che esse sono chiamate a mettere in circolazione. Desidero in-coraggiare tutte le persone di buona volontà, attive nel mondo emerg e n t edella comunicazione digitale, perché si impegnino nel promuovere una cul-tura del rispetto, del dialogo, dell’amicizia.

Pertanto, coloro che operano nel settore della produzione e della diffu-sione di contenuti dei nuovi media non possono non sentirsi impegnati al ri -spetto della dignità e del valore della persona umana. Se le nuove tecnolo-gie devono servire al bene dei singoli e della società, quanti ne usano devo-no evitare la condivisione di parole e immagini degradanti per l’essere uma-no, ed escludere quindi ciò che alimenta l’odio e l’intolleranza, svilisce labellezza e l’intimità della sessualità umana, sfrutta i deboli e gli indifesi.

Le nuove tecnologie hanno anche aperto la strada al dialogo tra personedi differenti paesi, culture e religioni. La nuova arena digitale, il cosiddettocyberspace, permette di incontrarsi e di conoscere i valori e le tradizioni de-gli altri. Simili incontri, tuttavia, per essere fecondi, richiedono forme one-ste e corrette di espressione insieme ad un ascolto attento e rispettoso. Ildialogo deve essere radicato in una ricerca sincera e reciproca della verità,per realizzare la promozione dello sviluppo nella comprensione e nella tol-leranza. La vita non è un semplice succedersi di fatti e di esperienze: è piut-tosto ricerca del vero, del bene e del bello. Proprio per tale fine compiamole nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà e in questo, cioè nella verità,nel bene e nel bello, troviamo felicità e gioia. Occorre non lasciarsi ingan-nare da quanti cercano semplicemente dei consumatori in un mercato dipossibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la no-vità si contrabbanda come bellezza, l’esperienza soggettiva soppianta la ve-rità.

Il concetto di amicizia ha goduto di un rinnovato rilancio nel vocabolariodelle reti sociali digitali emerse negli ultimi anni. Tale concetto è una dellepiù nobili conquiste della cultura umana. Nelle nostre amicizie e attraversodi esse cresciamo e ci sviluppiamo come esseri umani. Proprio per questo lavera amicizia è stata da sempre ritenuta una delle ricchezze più grandi di cuil’essere umano possa disporre. Per questo motivo occorre essere attenti anon banalizzare il concetto e l’esperienza dell’amicizia. Sarebbe triste se il

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nostro desiderio di sostenere e sviluppare on-line le amicizie si realizzasse aspese della disponibilità per la famiglia, per i vicini e per coloro che si in-contrano nella realtà di ogni giorno, sul posto di lavoro, a scuola, nel tempolibero. Quando, infatti, il desiderio di connessione virtuale diventa ossessi-vo, la conseguenza è che la persona si isola, interrompendo la reale intera-zione sociale. Ciò finisce per disturbare anche i modelli di riposo, di silen-zio e di riflessione necessari per un sano sviluppo umano.

L’amicizia è un grande bene umano, ma sarebbe svuotato del suo valore,se fosse considerato fine a se stesso. Gli amici devono sostenersi e incorag-giarsi l’un l’altro nello sviluppare i loro doni e talenti e nel metterli al servi-zio della comunità umana. In questo contesto, è gratificante vedere l’emer-gere di nuove reti digitali che cercano di promuovere la solidarietà umana,la pace e la giustizia, i diritti umani e il rispetto per la vita e il bene dellacreazione. Queste reti possono facilitare forme di cooperazione tra popoli didiversi contesti geografici e culturali, consentendo loro di approfondire lacomune umanità e il senso di corresponsabilità per il bene di tutti. Ci si de-ve tuttavia preoccupare di far sì che il mondo digitale, in cui tali reti posso-no essere stabilite, sia un mondo veramente accessibile a tutti. Sarebbe ungrave danno per il futuro dell’umanità, se i nuovi strumenti della comunica-zione, che permettono di condividere sapere e informazioni in maniera piùrapida e efficace, non fossero resi accessibili a coloro che sono già econo-micamente e socialmente emarginati o se contribuissero solo a incrementareil divario che separa i poveri dalle nuove reti che si stanno sviluppando alservizio dell’informazione e della socializzazione umana.

Vorrei concludere questo messaggio rivolgendomi, in particolare, ai gio -vani cattolici, per esortarli a portare nel mondo digitale la testimonianzadella loro fede. Carissimi, sentitevi impegnati ad introdurre nella cultura diquesto nuovo ambiente comunicativo e informativo i valori su cui poggia lavostra vita! Nei primi tempi della Chiesa, gli Apostoli e i loro discepolihanno portato la Buona Novella di Gesù nel mondo greco romano: come al-lora l’evangelizzazione, per essere fruttuosa, richiese l’attenta comprensio-ne della cultura e dei costumi di quei popoli pagani nell’intento di toccarnele menti e i cuori, così ora l’annuncio di Cristo nel mondo delle nuove tec-nologie suppone una loro approfondita conoscenza per un conseguente ade-guato utilizzo. A voi, giovani, che quasi spontaneamente vi trovate in sinto-

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nia con questi nuovi mezzi di comunicazione, spetta in particolare il compi-to della evangelizzazione di questo "continente digitale". Sappiate farvi ca-rico con entusiasmo dell’annuncio del Vangelo ai vostri coetanei! Voi cono-scete le loro paure e le loro speranze, i loro entusiasmi e le loro delusioni: ildono più prezioso che ad essi potete fare è di condividere con loro la "buo-na novella" di un Dio che s’è fatto uomo, ha patito, è morto ed è risorto persalvare l’umanità. Il cuore umano anela ad un mondo in cui regni l’amore,dove i doni siano condivisi, dove si edifichi l’unità, dove la libertà trovi ilproprio significato nella verità e dove l’identità di ciascuno sia realizzata inuna comunione rispettosa. A queste attese la fede può dare risposta: siatenegli araldi! Il Papa vi è accanto con la sua preghiera e con la sua benedizione.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2009, Festa di San Francesco di Sales.

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LETTERA PER L'INDIZIONEDELL'ANNO SACERDOTALE

IN OCCASIONE DEL 150° ANNIVERSARIO DEL "DIES NATALIS" DI GIOVANNI MARIA VIANNEY

Cari fratelli nel Sacerdozio,

nella prossima solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, venerdì 19 giu-gno 2009 – giornata tradizionalmente dedicata alla preghiera per la santifi-cazione del clero –, ho pensato di indire ufficialmente un “Anno Sacerdota-le” in occasione del 150° anniversario del “dies natalis” di Giovanni MariaVi a n n e y, il Santo Patrono di tutti i parroci del mondo.[ 1 ] Tale anno, chevuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tuttii sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nelmondo di oggi, si concluderà nella stessa solennità del 2010. “Il Sacerdozioè l'amore del cuore di Gesù”, soleva dire il Santo Curato d’Ars.[2] Questatoccante espressione ci permette anzitutto di evocare con tenerezza e rico-noscenza l’immenso dono che i sacerdoti costituiscono non solo per laChiesa, ma anche per la stessa umanità. Penso a tutti quei presbiteri che of-frono ai fedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana proposta del-le parole e dei gesti di Cristo, cercando di aderire a Lui con i pensieri, la vo-lontà, i sentimenti e lo stile di tutta la propria esistenza. Come non sottoli-neare le loro fatiche apostoliche, il loro servizio infaticabile e nascosto, laloro carità tendenzialmente universale? E che dire della fedeltà coraggiosadi tanti sacerdoti che, pur tra difficoltà e incomprensioni, restano fedeli allaloro vocazione: quella di “amici di Cristo”, da Lui particolarmente chiama-ti, prescelti e inviati?

Io stesso porto ancora nel cuore il ricordo del primo parroco accanto alquale esercitai il mio ministero di giovane prete: egli mi lasciò l’esempio diuna dedizione senza riserve al proprio servizio pastorale, fino a trovare lamorte nell’atto stesso in cui portava il viatico a un malato grave. Tornanopoi alla mia memoria gli innumerevoli confratelli che ho incontrato e checontinuo ad incontrare, anche durante i miei viaggi pastorali nelle diversenazioni, generosamente impegnati nel quotidiano esercizio del loro ministe-

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ro sacerdotale. Ma l’espressione usata dal Santo Curato evoca anche la tra-fittura del Cuore di Cristo e la corona di spine che lo avvolge. Il pensierova, di conseguenza, alle innumerevoli situazioni di sofferenza in cui moltisacerdoti sono coinvolti, sia perché partecipi dell’esperienza umana del do-lore nella molteplicità del suo manifestarsi, sia perché incompresi daglistessi destinatari del loro ministero: come non ricordare i tanti sacerdoti of-fesi nella loro dignità, impediti nella loro missione, a volte anche persegui-tati fino alla suprema testimonianza del sangue?

Ci sono, purtroppo, anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui èla Chiesa stessa a soffrire per l’infedeltà di alcuni suoi ministri. È il mondoa trarne allora motivo di scandalo e di rifiuto. Ciò che massimamente puògiovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delledebolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza dellagrandezza del dono di Dio, concretizzato in splendide figure di generosi Pa-stori, di Religiosi ardenti di amore per Dio e per le anime, di Direttori spiri-tuali illuminati e pazienti. A questo proposito, gli insegnamenti e gli esempidi san Giovanni Maria Vianney possono offrire a tutti un significativo puntodi riferimento: il Curato d’Ars era umilissimo, ma consapevole, in quantoprete, d’essere un dono immenso per la sua gente: “Un buon pastore, un pa-store secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possaaccordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordiadivina”.[3] Parlava del sacerdozio come se non riuscisse a capacitarsi dellagrandezza del dono e del compito affidati ad una creatura umana: “Oh comeil prete è grande!... Se egli si comprendesse, morirebbe... Dio gli obbedisce:egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce esi rinchiude in una piccola ostia...”.[4] E spiegando ai suoi fedeli l’impor-tanza dei sacramenti diceva: “Tolto il sacramento dell'Ordine, noi nonavremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote.Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chila nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote.Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l'ultima volta nelsangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest'animaviene a morire [per il peccato], chi la risusciterà, chi le renderà la calma e lapace? Ancora il sacerdote... Dopo Dio, il sacerdote è tutto!... Lui stesso nonsi capirà bene che in cielo”.[5] Queste affermazioni, nate dal cuore sacerdo-tale del santo parroco, possono apparire eccessive. In esse, tuttavia, si rivela

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l’altissima considerazione in cui egli teneva il sacramento del sacerdozio.Sembrava sopraffatto da uno sconfinato senso di responsabilità: “Se com-prendessimo bene che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spa-vento, ma di amore... Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signorenon servirebbero a niente. È il prete che continua l’opera della Redenzionesulla terra... Che ci gioverebbe una casa piena d’oro se non ci fosse nessunoche ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è luiche apre la porta; egli è l’economo del buon Dio; l’amministratore dei suoibeni... Lasciate una parrocchia, per vent’anni, senza prete, vi si adorerannole bestie... Il prete non è prete per sé, lo è per voi”.[6]

Era giunto ad Ars, un piccolo villaggio di 230 abitanti, preavvertito dalVescovo che avrebbe trovato una situazione religiosamente precaria: “Nonc'è molto amor di Dio in quella parrocchia; voi ce ne metterete”. Era, diconseguenza, pienamente consapevole che doveva andarvi ad incarnare lapresenza di Cristo, testimoniandone la tenerezza salvifica: “[Mio Dio], ac-cordatemi la conversione della mia parrocchia; accetto di soffrire tutto quel-lo che vorrete per tutto il tempo della mia vita!”, fu con questa preghierache iniziò la sua missione.[7] Alla conversione della sua parrocchia il SantoCurato si dedicò con tutte le sue energie, ponendo in cima ad ogni suo pen-siero la formazione cristiana del popolo a lui affidato. Cari fratelli nel Sa-cerdozio, chiediamo al Signore Gesù la grazia di poter apprendere anche noiil metodo pastorale di san Giovanni Maria Vianney! Ciò che per prima cosadobbiamo imparare è la sua totale identificazione col proprio ministero. InGesù, Persona e Missione tendono a coincidere: tutta la sua azione salvificaera ed è espressione del suo “Io filiale” che, da tutta l’eternità, sta davanti alPadre in atteggiamento di amorosa sottomissione alla sua volontà. Con umi-le ma vera analogia, anche il sacerdote deve anelare a questa identificazio-ne. Non si tratta certo di dimenticare che l’efficacia sostanziale del ministe-ro resta indipendente dalla santità del ministro; ma non si può neppure tra-scurare la straordinaria fruttuosità generata dall’incontro tra la santità ogget-tiva del ministero e quella soggettiva del ministro. Il Curato d’Ars iniziò su-bito quest’umile e paziente lavoro di armonizzazione tra la sua vita di mini-stro e la santità del ministero a lui affidato, decidendo di “abitare” perfinomaterialmente nella sua chiesa parrocchiale: “Appena arrivato egli scelse lachiesa a sua dimora... Entrava in chiesa prima dell’aurora e non ne usciva

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che dopo l’Angelus della sera. Là si doveva cercarlo quando si aveva biso-gno di lui”, si legge nella prima biografia.[8]

L’esagerazione devota del pio agiografo non deve farci trascurare il fattoche il Santo Curato seppe anche “abitare” attivamente in tutto il territoriodella sua parrocchia: visitava sistematicamente gli ammalati e le famiglie;organizzava missioni popolari e feste patronali; raccoglieva ed amministra-va denaro per le sue opere caritative e missionarie; abbelliva la sua chiesa ela dotava di arredi sacri; si occupava delle orfanelle della “Providence” (unistituto da lui fondato) e delle loro educatrici; si interessava dell’istruzionedei bambini; fondava confraternite e chiamava i laici a collaborare con lui.

Il suo esempio mi induce a evidenziare gli spazi di collaborazione che èdoveroso estendere sempre più ai fedeli laici, coi quali i presbiteri formanol’unico popolo sacerdotale [9] e in mezzo ai quali, in virtù del sacerdozioministeriale, si trovano “per condurre tutti all’unità della carità, ‘amandosil’un l’altro con la carità fraterna, prevenendosi a vicenda nella deferenza’(Rm 12,10)”.[10] È da ricordare, in questo contesto, il caloroso invito con ilquale il Concilio Vaticano II incoraggia i presbiteri a “riconoscere e pro-muovere sinceramente la dignità dei laici, nonché il loro ruolo specificonell’ambito della missione della Chiesa… Siano pronti ad ascoltare il pareredei laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni e giovando-si della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell’attività umana,in modo da poter insieme a loro riconoscere i segni dei tempi”.[11]

Ai suoi parrocchiani il Santo Curato insegnava soprattutto con la testi-monianza della vita. Dal suo esempio i fedeli imparavano a pregare, sostan-do volentieri davanti al tabernacolo per una visita a Gesù Eucaristia.[ 1 2 ]“Non c’è bisogno di parlar molto per ben pregare” – spiegava loro il Curato- “Si sa che Gesù è là, nel santo tabernacolo: apriamogli il nostro cuore, ral-legriamoci della sua santa presenza. È questa la migliore preghiera”.[13] Edesortava: “Venite alla comunione, fratelli miei, venite da Gesù. Venite a vi-vere di Lui per poter vivere con Lui...[14] “È vero che non ne siete degni,ma ne avete bisogno!”.[15] Tale educazione dei fedeli alla presenza eucari -stica e alla comunione acquistava un’efficacia particolarissima, quando i fe-deli lo vedevano celebrare il Santo Sacrificio della Messa. Chi vi assistevadiceva che “non era possibile trovare una figura che meglio esprimesse l’a-

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dorazione... Contemplava l’Ostia amorosamente”.[16] “Tutte le buone ope-re riunite non equivalgono al sacrificio della Messa, perché quelle sonoopere di uomini, mentre la Santa Messa è opera di Dio»,[1 7 ] diceva. Eraconvinto che dalla Messa dipendesse tutto il fervore della vita di un prete:«La causa della rilassatezza del sacerdote è che non fa attenzione alla Mes-sa! Mio Dio, come è da compiangere un prete che celebra come se facesseuna cosa ordinaria!”.[18] Ed aveva preso l’abitudine di offrire sempre, cele-brando, anche il sacrificio della propria vita: “Come fa bene un prete ad of-frirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine!”.[19]

Questa immedesimazione personale al Sacrificio della Croce lo conduce-va – con un solo movimento interiore – dall’altare al confessionale. I sacer-doti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali nélimitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli nei riguardi di questo sacra-mento. Al tempo del Santo Curato, in Francia, la confessione non era né piùfacile, né più frequente che ai nostri giorni, dato che la tormenta rivoluzio-naria aveva soffocato a lungo la pratica religiosa. Ma egli cercò in ogni mo-do, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai suoiparrocchiani il significato e la bellezza della Penitenza sacramentale, mo-strandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica. Seppe cosìdare il via a un circolo virtuoso. Con le lunghe permanenze in chiesa davan-ti al tabernacolo fece sì che i fedeli cominciassero ad imitarlo, recandovisiper visitare Gesù, e fossero, al tempo stesso, sicuri di trovarvi il loro parro-co, disponibile all’ascolto e al perdono. In seguito, fu la folla crescente deipenitenti, provenienti da tutta la Francia, a trattenerlo nel confessionale finoa 16 ore al giorno. Si diceva allora che Ars era diventata “il grande ospedaledelle anime”.[20] “La grazia che egli otteneva [per la conversione dei pec-catori] era sì forte che essa andava a cercarli senza lasciar loro un momentodi tregua!”, dice il primo biografo.[21] Il Santo Curato non la pensava di-versamente, quando diceva: “Non è il peccatore che ritorna a Dio per do-mandargli perdono, ma è Dio stesso che corre dietro al peccatore e lo fa tor-nare a Lui”.[22] “Questo buon Salvatore è così colmo d’amore che ci cercadappertutto”.[23]

Tutti noi sacerdoti dovremmo sentire che ci riguardano personalmentequelle parole che egli metteva in bocca a Cristo: “Incaricherò i miei ministridi annunciare ai peccatori che sono sempre pronto a riceverli, che la mia

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misericordia è infinita”.[24] Dal Santo Curato d’Ars noi sacerdoti possiamoimparare non solo un’inesauribile fiducia nel sacramento della Penitenzache ci spinga a rimetterlo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali, maanche il metodo del “dialogo di salvezza” che in esso si deve svolgere. IlCurato d’Ars aveva una maniera diversa di atteggiarsi con i vari penitenti.Chi veniva al suo confessionale attratto da un intimo e umile bisogno delperdono di Dio, trovava in lui l’incoraggiamento ad immergersi nel “torren-te della divina misericordia” che trascina via tutto nel suo impeto. E sequalcuno era afflitto al pensiero della propria debolezza e incostanza, timo-roso di future ricadute, il Curato gli rivelava il segreto di Dio con un’espres-sione di toccante bellezza: “Il buon Dio sa tutto. Prima ancora che voi viconfessiate, sa già che peccherete ancora e tuttavia vi perdona. Come ègrande l’amore del nostro Dio che si spinge fino a dimenticare volontaria -mente l’avvenire, pur di perdonarci!”.[25] A chi, invece, si accusava in ma-niera tiepida e quasi indifferente, offriva, attraverso le sue stesse lacrime, laseria e sofferta evidenza di quanto quell’atteggiamento fosse “abominevo-le”: “Piango perché voi non piangete”,[2 6] diceva. “Se almeno il Signorenon fosse così buono! Ma è così buono! Bisogna essere barbari a compor-tarsi così davanti a un Padre così buono!”.[27] Faceva nascere il pentimentonel cuore dei tiepidi, costringendoli a vedere, con i propri occhi, la sofferen-za di Dio per i peccati quasi “incarnata” nel volto del prete che li confessa-va. A chi, invece, si presentava già desideroso e capace di una più profondavita spirituale, spalancava le profondità dell’amore, spiegando l’indicibilebellezza di poter vivere uniti a Dio e alla sua presenza: “Tutto sotto gli oc-chi di Dio, tutto con Dio, tutto per piacere a Dio... Com’è bello!”.[28] E in-segnava loro a pregare: “Mio Dio, fammi la grazia di amarti tanto quanto èpossibile che io t’ami”.[29]

Il Curato d’Ars, nel suo tempo, ha saputo trasformare il cuore e la vita ditante persone, perché è riuscito a far loro percepire l’amore misericordiosodel Signore. Urge anche nel nostro tempo un simile annuncio e una similetestimonianza della verità dell’Amore: Deus caritas est (1 Gv 4,8). Con laParola e con i Sacramenti del suo Gesù, Giovanni Maria Vianney sapevaedificare il suo popolo, anche se spesso fremeva convinto della sua persona-le inadeguatezza, al punto da desiderare più volte di sottrarsi alle responsa-bilità del ministero parrocchiale di cui si sentiva indegno. Tuttavia conesemplare obbedienza restò sempre al suo posto, perché lo divorava la pas-

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sione apostolica per la salvezza delle anime. Cercava di aderire totalmentealla propria vocazione e missione mediante un’ascesi severa: “La grandesventura per noi parroci - deplorava il Santo - è che l’anima si intorpidisce”[30]; ed intendeva con questo un pericoloso assuefarsi del pastore allo statodi peccato o di indifferenza in cui vivono tante sue pecorelle. Egli teneva afreno il corpo, con veglie e digiuni, per evitare che opponesse resistenze allasua anima sacerdotale. E non rifuggiva dal mortificare se stesso a bene delleanime che gli erano affidate e per contribuire all’espiazione dei tanti peccatiascoltati in confessione. Spiegava ad un confratello sacerdote: “Vi dirò qualè la mia ricetta: dò ai peccatori una penitenza piccola e il resto lo faccio ioal loro posto”.[31] Al di là delle concrete penitenze a cui il Curato d’Ars sisottoponeva, resta comunque valido per tutti il nucleo del suo insegnamen-to: le anime costano il sangue di Gesù e il sacerdote non può dedicarsi allaloro salvezza se rifiuta di partecipare personalmente al “caro prezzo” dellaredenzione.

Nel mondo di oggi, come nei difficili tempi del Curato d’Ars, occorreche i presbiteri nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimo -nianza evangelica. Ha giustamente osservato Paolo VI: “L’uomo contempo-raneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestrilo fa perché sono dei testimoni”.[32] Perché non nasca un vuoto esistenzialein noi e non sia compromessa l’efficacia del nostro ministero, occorre che ciinterroghiamo sempre di nuovo: “Siamo veramente pervasi dalla Parola diDio? È vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto lo siano ilpane e le cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amiamo? Cioccupiamo interiormente di questa Parola al punto che essa realmente diaun’impronta alla nostra vita e formi il nostro pensiero?”.[3 3] Come Gesùchiamò i Dodici perché stessero con Lui (cfr Mc 3,14) e solo dopo li mandòa predicare, così anche ai giorni nostri i sacerdoti sono chiamati ad assimila-re quel “nuovo stile di vita” che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed èstato fatto proprio dagli Apostoli.[34]

Fu proprio l’adesione senza riserve a questo “nuovo stile di vita” che ca-ratterizzò l’impegno ministeriale del Curato d’Ars. Il Papa Giovanni XXIIInella Lettera enciclica Sacerdotii nostri primordia, pubblicata nel 1959, pri-mo centenario della morte di san Giovanni Maria Vianney, ne presentava lafisionomia ascetica con particolare riferimento al tema dei “tre consigli

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evangelici”, giudicati necessari anche per i presbiteri: “Se, per raggiungerequesta santità di vita, la pratica dei consigli evangelici non è imposta al sa-cerdote in virtù dello stato clericale, essa si presenta nondimeno a lui, comea tutti i discepoli del Signore, come la via regolare della santificazione cri-stiana”.[35] Il Curato d’Ars seppe vivere i “consigli evangelici” nelle moda-lità adatte alla sua condizione di presbitero. La sua povertà, infatti, non fuquella di un religioso o di un monaco, ma quella richiesta ad un prete: purmaneggiando molto denaro (dato che i pellegrini più facoltosi non manca-vano di interessarsi alle sue opere di carità), egli sapeva che tutto era donatoalla sua chiesa, ai suoi poveri, ai suoi orfanelli, alle ragazze della sua “Pro -vidence”,[36] alle sue famiglie più disagiate. Perciò egli “era ricco per dareagli altri ed era molto povero per se stesso”.[37] Spiegava: “Il mio segreto èsemplice: dare tutto e non conservare niente”.[38] Quando si trovava con lemani vuote, ai poveri che si rivolgevano a lui diceva contento: “Oggi sonopovero come voi, sono uno dei vostri”.[39] Così, alla fine della vita, potéa ffermare con assoluta serenità: “Non ho più niente. Il buon Dio ora puòchiamarmi quando vuole!”.[40] Anche la sua castità era quella richiesta aun prete per il suo ministero. Si può dire che era la castità conveniente a chideve toccare abitualmente l’Eucaristia e abitualmente la guarda con tutto iltrasporto del cuore e con lo stesso trasporto la dona ai suoi fedeli. Dicevanodi lui che “la castità brillava nel suo sguardo”, e i fedeli se ne accorgevanoquando egli si volgeva a guardare il tabernacolo con gli occhi di un innamo-rato.[41] Anche l’obbedienza di san Giovanni Maria Vianney fu tutta incar-nata nella sofferta adesione alle quotidiane esigenze del suo ministero. Ènoto quanto egli fosse tormentato dal pensiero della propria inadeguatezzaal ministero parrocchiale e dal desiderio di fuggire “a piangere la sua poveravita, in solitudine”.[42] Solo l’obbedienza e la passione per le anime riusci-vano a convincerlo a restare al suo posto. A se stesso e ai suoi fedeli spiega-va: “Non ci sono due maniere buone di servire Dio. Ce n’è una sola: servir-lo come lui vuole essere servito”.[4 3] La regola d’oro per una vita obbe-diente gli sembrava questa: “Fare solo ciò che può essere offerto al buonDio”.[44]

Nel contesto della spiritualità alimentata dalla pratica dei consigli evan-gelici, mi è caro rivolgere ai sacerdoti, in quest’Anno a loro dedicato, unparticolare invito a saper cogliere la nuova primavera che lo Spirito sta su-scitando ai giorni nostri nella Chiesa, non per ultimo attraverso i Movimenti

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ecclesiali e le nuove Comunità. “Lo Spirito nei suoi doni è multiforme…Egli soffia dove vuole. Lo fa in modo inaspettato, in luoghi inaspettati e informe prima non immaginate… ma ci dimostra anche che Egli opera in vi-sta dell’unico Corpo e nell’unità dell’unico Corpo”.[45] A questo proposito,vale l’indicazione del Decreto Presbyterorum ordinis: “Sapendo discernerequali spiriti abbiano origine da Dio, (i presbiteri) devono scoprire con sensodi fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono con-cessi ai laici, devono ammetterli con gioia e fomentarli con diligenza”.[46]Tali doni che spingono non pochi a una vita spirituale più elevata, possonogiovare non solo per i fedeli laici ma per gli stessi ministri. Dalla comunio-ne tra ministri ordinati e carismi, infatti, può scaturire “un valido impulsoper un rinnovato impegno della Chiesa nell’annuncio e nella testimonianzadel Vangelo della speranza e della carità in ogni angolo del mondo”.[4 7]Vorrei inoltre aggiungere, sulla scorta dell’Esortazione apostolica Pastoresdabo vobis del Papa Giovanni Paolo II, che il ministero ordinato ha una ra-dicale ‘forma comunitaria’ e può essere assolto solo nella comunione deipresbiteri con il loro Vescovo.[48] Occorre che questa comunione fra i sa-cerdoti e col proprio Vescovo, basata sul sacramento dell’Ordine e manife-stata nella concelebrazione eucaristica, si traduca nelle diverse forme con-crete di una fraternità sacerdotale effettiva ed affettiva.[49] Solo così i sa-cerdoti sapranno vivere in pienezza il dono del celibato e saranno capaci difar fiorire comunità cristiane nelle quali si ripetano i prodigi della primapredicazione del Vangelo.

L’Anno Paolino che volge al termine orienta il nostro pensiero ancheverso l’Apostolo delle genti, nel quale rifulge davanti ai nostri occhi unosplendido modello di sacerdote, totalmente “donato” al suo ministero. “L’a-more del Cristo ci possiede – egli scriveva – e noi sappiamo bene che uno èmorto per tutti, dunque tutti sono morti” (2 Cor 5,14). Ed aggiungeva: “Egliè morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, maper colui che è morto e risorto per loro” (2 Cor. 5,15). Quale programmamigliore potrebbe essere proposto ad un sacerdote impegnato ad avanzaresulla strada delle perfezione cristiana?

Cari sacerdoti, la celebrazione del 150.mo anniversario della morte di sanGiovanni Maria Vianney (1859) segue immediatamente le celebrazioni ap-pena concluse del 150.mo anniversario delle apparizioni di Lourdes (1858).

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Già nel 1959 il beato Papa Giovanni XXIII aveva osservato: “Poco primache il Curato d'Ars concludesse la sua lunga carriera piena di meriti, la Ver-gine Immacolata era apparsa, in un’altra regione di Francia, ad una fanciullaumile e pura, per trasmetterle un messaggio di preghiera e di penitenza, dicui è ben nota, da un secolo, l'immensa risonanza spirituale. In realtà la vitadel santo sacerdote, di cui celebriamo il ricordo, era in anticipo un’illustra-zione vivente delle grandi verità soprannaturali insegnate alla veggente diMassabielle. Egli stesso aveva per l'Immacolata Concezione della Santissi-ma Vergine una vivissima devozione, lui che nel 1836 aveva consacrato lasua parrocchia a Maria concepita senza peccato, e doveva accogliere contanta fede e gioia la definizione dogmatica del 1854”.[50] Il Santo Curatoricordava sempre ai suoi fedeli che “Gesù Cristo dopo averci dato tuttoquello che ci poteva dare, vuole ancora farci eredi di quanto egli ha di piùprezioso, vale a dire della sua Santa Madre”.[51]

Alla Vergine Santissima affido questo Anno Sacerdotale, chiedendole disuscitare nell’animo di ogni presbitero un generoso rilancio di quegli idealidi totale donazione a Cristo ed alla Chiesa che ispirarono il pensiero e l’a-zione del Santo Curato d’Ars. Con la sua fervente vita di preghiera e il suoappassionato amore a Gesù crocifisso Giovanni Maria Vianney alimentò lasua quotidiana donazione senza riserve a Dio e alla Chiesa. Possa il suoesempio suscitare nei sacerdoti quella testimonianza di unità con il Vesco-vo, tra loro e con i laici che è, oggi come sempre, tanto necessaria. Nono-stante il male che vi è nel mondo, risuona sempre attuale la parola di Cristoai suoi Apostoli nel Cenacolo: “Nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiatecoraggio: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). La fede nel Maestro divino cidà la forza per guardare con fiducia al futuro. Cari sacerdoti, Cristo conta sudi voi. Sull’esempio del Santo Curato d’Ars, lasciatevi conquistare da Lui esarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconcilia-zione, di pace!

Con la mia benedizione.

Dal Vaticano, 16 giugno 2009

1] Tale lo ha proclamato il Sommo Pontefice Pio XI nel 1929.

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[2] “Le Sacerdoce, c’est l’amour du cœur de Jésus” (in Le curé d’Ars. Sa pensée - Soncœur. Présentés par l’Abbé Bernard Nodet, éd. Xavier Mappus, Foi Vivante, 1966, p. 98).In seguito: Nodet. L’espressione è citata anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica, n.1589.[3] Nodet, p. 101[4] Ibid., p. 97.[5] Ibid., pp. 98-99.[6] Ibid., pp. 98-100.[7] Ibid., 183.[8] Monnin A., Il Curato d’Ars. Vita di Gian-Battista-Maria Vianney, vol. I, ed. Marietti,Torino 1870, p. 122.[9] Cfr Lumen gentium, 10.[10] Presbyterorum ordinis, 9.[11] Ibid.[12] «La contemplazione è sguardo di fede fissato su Gesù. “Io lo guardo ed egli mi guar -da”, diceva, al suo santo Curato, il contadino d'Ars in preghiera davanti al Tabernacolo»(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2715)[13] Nodet, p. 85.[14] Ibid., p. 114.[15] Ibid., p. 119.[16] Monnin A., o.c., II, pp. 430ss.[17] Nodet, p. 105.[18] Ibid., p. 105.[19] Ibid., p. 104.[20] Monnin A., o. c., II, p. 293.[21] Ibid., II, p. 10.[22] Nodet, p. 128.[23] Ibid., p. 50.[24] Ibid., p. 131.[25] Ibid., p. 130.[26] Ibid., p. 27.[27] Ibid., p. 139.[28] Ibid., p. 28.[29] Ibid., p. 77.

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[30] Ibid., p. 102.

[31] Ibid., p. 189.[32] Evangelii nuntiandi, 41.

[33] Benedetto XVI, Omelia nella Messa del S. Crisma, 9.4.2009.

[34] Cfr Benedetto XVI, Discorso all’Assemblea plenaria della Congregazione del Clero,16.3.2009.

[35] P. I.

[36] Nome che diede alla casa dove fece accogliere e educare più di 60 ragazze abbandona-te. Per mantenerla era disposto a tutto: “J’ai fait tous les commerces imaginables”, dicevasorridendo (Nodet, p. 214)

[37] Nodet, p. 216.

[38] Ibid., p. 215.

[39] Ibid., p. 216.

[40] Ibid., p. 214.

[41] Cfr Ibid., p. 112.[42] Cfr Ibid., pp. 82-84; 102-103.

[43] Ibid., p. 75.

[44] Ibid., p. 76.

[45] Benedetto XVI, Omelia nella Veglia di Pentecoste, 3.6.2006.

[46] N. 9.

[47] Benedetto XVI, Discorso ai Vescovi amici del Movimento dei Focolari e della Comu -nità di Sant’Egidio, 8.2.2007.

[48] Cfr n. 17.

[49] Cfr Giovanni Paolo II, Esort. ap. Pastores dabo vobis, 74.

[50] Lettera enc. Sacerdotii nostri primordia, P. III.

[51] Nodet, p. 244.

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OMELIA PER L’APERTURA DELL’ANNO SACERDOTALENEL 150° ANNIVERSARIO DELLA MORTE

DI SAN GIOVANNI MARIA VIANNEY

CELEBRAZIONE DEI VESPRI DELLA SOLENNITÀ DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ

Basilica VaticanaVenerdì, 19 giugno 2009

Cari fratelli e sorelle,

nell'antifona al Magnificat tra poco canteremo: "Il Signore ci ha accoltinel suo cuore - Suscepit nos Dominus in sinum et cor suum". Nell'AnticoTestamento si parla 26 volte del cuore di Dio, considerato come l'org a n odella sua volontà: rispetto al cuore di Dio l'uomo viene giudicato. A causadel dolore che il suo cuore prova per i peccati dell'uomo, Iddio decide il di-luvio, ma poi si commuove dinanzi alla debolezza umana e perdona. C'è poiun passo veterotestamentario nel quale il tema del cuore di Dio si trovaespresso in modo assolutamente chiaro: è nel capitolo 11 del libro del profe-ta Osea, dove i primi versetti descrivono la dimensione dell'amore con cui ilSignore si è rivolto ad Israele all'alba della sua storia: "Quando Israele erafanciullo, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio" (v. 1). In ve-rità, all'instancabile predilezione divina, Israele risponde con indifferenza eaddirittura con ingratitudine. "Più li chiamavo - è costretto a constatare ilSignore -, più si allontanavano da me" (v. 2). Tuttavia Egli mai abbandonaIsraele nelle mani dei nemici, perché "il mio cuore - osserva il Creatore del-l'universo - si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassio-ne" (v. 8).

Il cuore di Dio freme di compassione! Nell'odierna solennità del Sacra-tissimo Cuore di Gesù, la Chiesa offre alla nostra contemplazione questomistero, il mistero del cuore di un Dio che si commuove e riversa tutto ilsuo amore sull'umanità. Un amore misterioso, che nei testi del Nuovo Testa-mento ci viene rivelato come incommensurabile passione di Dio per l'uomo.Egli non si arrende dinanzi all'ingratitudine e nemmeno davanti al rifiuto

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del popolo che si è scelto; anzi, con infinita misericordia, invia nel mondol'Unigenito suo Figlio perché prenda su di sé il destino dell'amore distrutto;perché, sconfiggendo il potere del male e della morte, possa restituire di-gnità di figli agli esseri umani resi schiavi dal peccato. Tutto questo a caroprezzo: il Figlio Unigenito del Padre si immola sulla croce: "Avendo amatoi suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine" (cfr. Gv 13, 1). Simbolo ditale amore che va oltre la morte è il suo fianco squarciato da una lancia. Atale riguardo, il testimone oculare, l'apostolo Giovanni, afferma: "Uno deisoldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue ed acqua"(cfr. Gv 19, 34).

Cari fratelli e sorelle, grazie perché, rispondendo al mio invito, siete ve-nuti numerosi a questa celebrazione con cui entriamo nell'Anno Sacerdota-le. Saluto i Signori Cardinali e i Vescovi, in particolare il Cardinale Prefettoe il Segretario della Congregazione per il Clero con i loro collaboratori, edil Vescovo di Ars. Saluto i sacerdoti e i seminaristi dei vari seminari e colle-gi di Roma; i religiosi e le religiose e tutti i fedeli. Un saluto speciale rivol-go a Sua Beatitudine Ignace Youssef Younan, Patriarca di Antiochia dei Si-ri, venuto a Roma per incontrarmi e significare pubblicamente l'"ecclesiasti -ca communio" che gli ho concesso.

Cari fratelli e sorelle, fermiamoci insieme a contemplare il Cuore trafittodel Crocifisso. Abbiamo ascoltato ancora una volta, poco fa, nella breve let-tura tratta dalla Lettera di san Paolo agli Efesini, che "Dio, ricco di miseri-cordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamoper le colpe, ci ha fatti rivivere con Cristo... Con lui ci ha anche risuscitato eci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù" (Ef 2, 4-6). Essere in Cristo Gesùè già sedere nei cieli. Nel Cuore di Gesù è espresso il nucleo essenziale delcristianesimo; in Cristo ci è stata rivelata e donata tutta la novità rivoluzio-naria del Vangelo: l'Amore che ci salva e ci fa vivere già nell'eternità di Dio.Scrive l'evangelista Giovanni: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dareil suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, maabbia la vita eterna" (3, 16). Il suo Cuore divino chiama allora il nostro cuo-re; ci invita ad uscire da noi stessi, ad abbandonare le nostre sicurezze uma-ne per fidarci di Lui e, seguendo il suo esempio, a fare di noi stessi un donodi amore senza riserve.

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Se è vero che l'invito di Gesù a "rimanere nel suo amore" (cfr. Gv 15, 9)è per ogni battezzato, nella festa del Sacro Cuore di Gesù, Giornata di santi-ficazione sacerdotale, tale invito risuona con maggiore forza per noi sacer-doti, in particolare questa sera, solenne inizio dell'Anno Sacerdotale, da mevoluto in occasione del 150° anniversario della morte del Santo Curatod'Ars. Mi viene subito alla mente una sua bella e commovente affermazio-ne, riportata nel Catechismo della Chiesa Cattolica: "Il sacerdozio è l'amo-re del Cuore di Gesù" (n. 1589). Come non ricordare con commozione chedirettamente da questo Cuore è scaturito il dono del nostro ministero sacer-dotale? Come dimenticare che noi presbiteri siamo stati consacrati per ser-vire, umilmente e autorevolmente, il sacerdozio comune dei fedeli? La no-stra è una missione indispensabile per la Chiesa e per il mondo, che doman-da fedeltà piena a Cristo ed incessante unione con Lui; questo rimanere nelsuo amore esige cioè che tendiamo costantemente alla santità, a questo ri-manere come ha fatto san Giovanni Maria Vianney.

Nella Lettera a voi indirizzata per questo speciale anno giubilare, carifratelli sacerdoti, ho voluto porre in luce alcuni aspetti qualificanti del no-stro ministero, facendo riferimento all'esempio e all'insegnamento del SantoCurato di Ars, modello e protettore di tutti noi sacerdoti, e in particolare deiparroci. Che questo mio scritto vi sia di aiuto e di incoraggiamento a fare diquesto anno un'occasione propizia per crescere nell'intimità con Gesù, checonta su di noi, suoi ministri, per diffondere e consolidare il suo Regno, perdiffondere il suo amore, la sua verità. E pertanto, "sull'esempio del SantoCurato d'Ars - così concludevo la mia Lettera - lasciatevi conquistare da Luie sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconcilia-zione, di pace".

Lasciarsi conquistare pienamente da Cristo! Questo è stato lo scopo ditutta la vita di san Paolo, al quale abbiamo rivolto la nostra attenzione du-rante l'Anno Paolino che si avvia ormai verso la sua conclusione; questa èstata la meta di tutto il ministero del Santo Curato d'Ars, che invocheremoparticolarmente durante l'Anno Sacerdotale; questo sia anche l'obiettivoprincipale di ognuno di noi. Per essere ministri al servizio del Vangelo, ècertamente utile e necessario lo studio con una accurata e permanente for-mazione teologica e pastorale, ma è ancor più necessaria quella "scienzadell'amore" che si apprende solo nel "cuore a cuore" con Cristo. È Lui infat-

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ti a chiamarci per spezzare il pane del suo amore, per rimettere i peccati eper guidare il gregge in nome suo. Proprio per questo non dobbiamo mai al-lontanarci dalla sorgente dell'Amore che è il suo Cuore trafitto sulla croce.

Solo così saremo in grado di cooperare efficacemente al misterioso "di-segno del Padre" che consiste nel "fare di Cristo il cuore del mondo"! Dise-gno che si realizza nella storia, man mano che Gesù diviene il Cuore deicuori umani, iniziando da coloro che sono chiamati a stargli più vicini, i sa-cerdoti appunto. Ci richiamano a questo costante impegno le "promesse sa-cerdotali", che abbiamo pronunciato il giorno della nostra Ordinazione eche rinnoviamo ogni anno, il Giovedì Santo, nella Messa Crismale. Perfinole nostre carenze, i nostri limiti e debolezze devono ricondurci al Cuore diGesù. Se infatti è vero che i peccatori, contemplandoLo, devono apprendereda Lui il necessario "dolore dei peccati" che li riconduca al Padre, questovale ancor più per i sacri ministri. Come dimenticare, in proposito, che nullafa soffrire tanto la Chiesa, Corpo di Cristo, quanto i peccati dei suoi pastori,soprattutto di quelli che si tramutano in "ladri delle pecore" (Gv 10, 1ss), operché le deviano con le loro private dottrine, o perché le stringono con lac-ci di peccato e di morte? Anche per noi, cari sacerdoti, vale il richiamo allaconversione e al ricorso alla Divina Misericordia, e ugualmente dobbiamorivolgere con umiltà l'accorata e incessante domanda al Cuore di Gesù per-ché ci preservi dal terribile rischio di danneggiare coloro che siamo tenuti asalvare.

Poc'anzi ho potuto venerare, nella Cappella del Coro, la reliquia del San-to Curato d'Ars: il suo cuore. Un cuore infiammato di amore divino, che sicommuoveva al pensiero della dignità del prete e parlava ai fedeli con ac-centi toccanti e sublimi, affermando che "dopo Dio, il sacerdote è tutto!...Lui stesso non si capirà bene che in cielo" (cfr. Lettera per l'Anno Sacerdo -t a l e, p. 2). Coltiviamo, cari fratelli, questa stessa commozione, sia peradempiere il nostro ministero con generosità e dedizione, sia per custodirenell'anima un vero "timore di Dio": il timore di poter privare di tanto bene,per nostra negligenza o colpa, le anime che ci sono affidate, o di poterle -Dio non voglia! - danneggiare. La Chiesa ha bisogno di sacerdoti santi; diministri che aiutino i fedeli a sperimentare l'amore misericordioso del Si-gnore e ne siano convinti testimoni. Nell'adorazione eucaristica, che seguiràla celebrazione dei Vespri, chiederemo al Signore che infiammi il cuore di

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ogni presbitero di quella "carità pastorale" capace di assimilare il suo perso-nale "io" a quello di Gesù Sacerdote, così da poterlo imitare nella più com-pleta auto-donazione. Ci ottenga questa grazia la Vergine Maria, della qualedomani contempleremo con viva fede il Cuore Immacolato. Per Lei il SantoCurato d'Ars nutriva una filiale devozione, tanto che nel 1836, in anticiposulla proclamazione del Dogma dell'Immacolata Concezione, aveva giàconsacrato la sua parrocchia a Maria "concepita senza peccato". E manten-ne l'abitudine di rinnovare spesso quest'offerta della parrocchia alla SantaVergine, insegnando ai fedeli che "bastava rivolgersi a lei per essere esaudi-ti", per il semplice motivo che ella "desidera soprattutto di vederci felici".Ci accompagni la Vergine Santa, nostra Madre, nell'Anno Sacerdotale cheoggi iniziamo, perché possiamo essere guide salde e illuminate per i fedeliche il Signore affida alle nostre cure pastorali. Amen!

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PREGHIERA PER L’ANNO SACERDOTALE

recitata dal Papa durante l'atto di venerazione delle reliquie del Santo Cura-to d'Ars nella Basilica Vaticana (19 giugno 2009)

Signore Gesù,Tu hai voluto donare alla Chiesa, attraverso San Giovanni Maria Vian -

ney, un’immagine viva di Te, ed una personificazione della Tua carità pa -storale.

Aiutaci, in sua compagnia ed assistiti dal suo esempio, a vivere benequest’Anno Sacerdotale.

Fa che possiamo imparare dal Santo Curato d’Ars il modo di trovare lanostra gioia restando a lungo in adorazione davanti al Santissimo Sacra -mento; come la Tua Parola che ci guida sia semplice e quotidiana; conquale tenerezza il Tuo Amore accolga i peccatori pentiti; quanto sia conso -lante l’abbandono fiducioso alla Tua Santissima Madre Immacolata; quan -to sia necessario lottare con vigilanza contro il Maligno.

Fa, o Signore Gesù, che i nostri giovani possano apprendere dall’esem -pio del Santo Curato d’Ars, quanto sia necessario, umile e glorioso il mini -stero sacerdotale che Tu vuoi affidare a quelli che si aprono alla Tua chia -mata.

Fa che nelle nostre comunità – come ad Ars a quel tempo – ugualmentesi realizzino quelle meraviglie di grazia che Tu compi quando un sacerdotesa “mettere l’amore nella sua parrocchia”.

Fa che le nostre famiglie cristiane si sentano parte della Chiesa – dovepossono sempre ritrovare i Tuoi ministri – e sappiano rendere le loro casebelle come una chiesa.

Fa che la carità dei nostri Pastori nutra ed infiammi la carità di tutti ifedeli, affinché tutte le vocazioni e tutti i carismi donati dal Tuo Santo Spiri -to possano essere accolti e valorizzati.

Ma soprattutto, o Signore Gesù, concedici l’ardore e la verità del cuoreperché noi possiamo rivolgerci al Tuo Padre Celeste, facendo nostre le stes -se parole che San Giovanni Maria Vianney utilizzava quando si rivolgeva aLui:

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“Vi amo mio Dio, e il mio unico desiderio è di amrVi fino all’ultimo re -spiro della mia vita.

Vi amo, o Dio infinitamente amabile, e desidero ardentemente di morireamandovi, piuttosto che vivere un solo istante senza amarVi.

Vi amo Signore, e la sola grazia che Vi chiedo è di amarVi in eterno.

Mio Dio, se la mia lingua non può ripetere sempre che io Vi amo, deside -ro che il mio cuore Ve lo ripeta ad ogni mio respiro.

Vi amo, o mio Divin Salvatore, perché siete stato crocifisso per me;

e perché Voi mi tenete crocifisso quaggiù per Voi.

Mio Dio, fatemi la grazia di morire nel amandoVi e sentendo che io Viamo”.

Amen.

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V I TA DIOCESANANOMINE E DECRETI

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NOMINE

Don GIOVANNI CIANCIOSIVicario Foraneo della Zona Pastorale diTorre de’ Passeri

P. FRANCO RAPACCHIALE ofm conv.Vicario Parrocchiale della ParrocchiaSant’Antonio di Padova in Pescara

Don MARQUEZ ANTONIO RAFAELVicario Parrocchiale della ParrocchiaSan Pietro Apostolo in Loreto Aprutino

Don CAMILLO LANCIAVicario Foraneo della Zona Pastorale diMontesilvano

Don EZIO DI PIETROPAOLOVicario Foraneo della Zona Pastorale diSpoltore

Don MICHELE MOSCAAmministratore Parrocchiale della Par-rocchia S. Marco Evangelista in Pesca-ra

Don PRIMO COLETTA f.d.p.Vicario Parrocchiale della ParrocchiaBeata Vergine Maria Lauretana in Cap-pelle sul Tavo

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Don VENANZIO DELL’AQUILAVicario Parrocchiale delle ParrocchieS. Michele Arcangelo e Santi InnocentiMartiri in Montesilvano

Don MARCO DI PERSIOVicario Parrocchiale delle ParrocchiaBeata Ve rgine Maria del Fuoco in Pe-scara

Don TOMMASO FALLICAArchivista e Bibliotecario dell’Arcidio-cesi Metropolitana di Pescara-Penne

Don THOMAS MATHEW MANNADA mcbsAmministratore Parrocchiale delle Par-rocchie San Giacomo Apostolo inMontefino e Beata Vergine Maria delleGrazie in Villa Bozza frazione di Mon-tefino

Don MARCO PAGNIELLOAnimatore Pastorale della “FondazionePapa Paolo VI”

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INDULGENZA PLENARIA PER L’ANNO PAOLINO

In conformità al Decreto della Penitenzieria Apostolica del 10 maggio2008 con cui, in occasione dei duemila anni dalla nascita di San Paolo, siconcede ai fedeli delle varie Chiese locali il dono di poter lucrare l’Indul-genza plenaria applicabile a sè o ai defunti, partecipando devotamente aduna sacra funzione o ad un pio esercizio pubblicamente svolti in onore del-l’Apostolo delle Genti in alcuni giorni e luoghi stabiliti dall’Ordinario dio-cesano,

DECRETIAMO

che in questa Arcidiocesi Metropolitana di Pescara-Penne la suddetta In-dulgenza plenaria, adempiute le consuete condizioni (Esclusione di ogni af-fetto verso il peccato, Confessione sacramentale, Comunione eucaristica,preghiera per il Sommo Pontefice) potrà essere acquistata:

- in Pescara nella Chiesa parrocchiale di San Paolo Apostolo, prendendoparte ad una celebrazione comunitaria, nei giorni festivi e feriali, a parti-re dal 1 maggio p.v. fino al successivo 29 giugno, Solennità dei SantiPietro e Paolo Apostoli, data conclusiva dell’Anno giubilare.

Auspicando che l’Anno Paolino porti ad una maggiore e fruttuosa cono-scenza personale e comunitaria della Parola di Dio, origine di una vera con-versione del cuore e rinascita della vita cristiana, esorto presbiteri e fedeli apromuovere nelle forme più adeguate l’incontro con l’insegnamento dell’A-postolo Paolo al fine di “ravvivare il dono di Dio che è in noi” (2 Tm 1,6).

Dato a Pescara, dalla Nostra Curia Metropolitana, il giorno 25 aprile, Fe-sta di San Marco Evangelista.

† Tommaso ValentinettiArcivescovo

Sac. Roberto Bertoia cancelliere

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ELENCO DEGLI ALLOGGIPER SACERDOTI PENSIONATI

L’Arcivescovo Metropolita p ro tempore dell’Arcidiocesi Metropolitanadi Pescara-Penne, in qualità di Presidente e Legale Rappresentante dellaFondazione “Papa Paolo VI”, dell’“Opera Juventutis” e della “F r a t e r n i t àMagistrale” con il presente

DECRETO

1. I sacerdoti dell’Arcidiocesi Metropolitana di Pescara-Penne, che abbianoraggiunto l’età pensionabile prevista dal can. 538 § 3 del Codice di Dirit-to Canonico, potranno essere accolti in uno dei seguenti Soggiorni peranziani di cui la Chiesa diocesana dispone:

• Centro Nazareth, in Pescara;• Centro San Clemente, in Castiglione a Casauria;• Centro La Sorgente, in Civitaquana;• Centro Santa Gemma, in Goriano Sicoli; • Centro San Venanzio, in Raiano;• Fraternità Magistrale, in Città Sant’Angelo.

2. Essi usufruiranno di vitto, alloggio in camera singola, assistenza varia edi ogni altra utile prestazione.

3. Potranno disporre della particolare Cappella per la Santa Messa, con pos-sibilità di esercitare il sacro ministero tra gli ospiti o fuori sede.

4. Ai sacerdoti diocesani ospiti viene richiesto come mensile 2/3 (due terzi)della remunerazione stabilita per ciascuno dall’Istituto Diocesano So-stentamento Clero, sommata alle varie pensioni, lasciando libero per leproprie necessità la rimanente parte, oltre l’eventuale offerta per la SantaMessa.

5. In tal modo l’Arcidiocesi intende esprimere infinito affetto e grande rico-noscenza per quei sacerdoti che hanno speso la loro vita a servizio delVangelo e della Comunità diocesana.

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Dato a Pescara, dalla Nostra Curia Metropolitana, nel giorno 14 maggio,dell’Anno del Signore 2009, Festa di San Mattia Apostolo.

† Tommaso ValentinettiArcivescovo

Sac. Roberto Bertoia cancelliere

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VITA DIOCESANAVARIE

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NECROLOGI

1. SAC. ANTONIO PINTORI

Il giorno 1 aprile 2009 è deceduto il Rev. Sac. Antonio Pintori, a 92 annidi età e 67 di sacerdozio.

Era nato il 17.09.1917 da Luigi e Clarice Campana a Palena, in provinciadi Chieti e in Diocesi di Sulmona-Valva, dove trascorse gli anni dell’adole-scenza sotto la cura pastorale del Parroco, Sac. Giuseppe Napoleone, finchénon entrò nel Seminario Diocesano di Sulmona nell’ottobre 1929, dove ini-ziò la prima formazione adolescenziale, frequentandovi il quinquennio dellascuola ginnasiale, completata l’ultimo anno presso i Rogazionisti di Napoli.

Nell’anno scolastico 1937, dopo un breve periodo di istruzione licealeprivata, fu ammesso nel Pontificio Seminario Regionale “S. Pio X” di Chie-ti, dove continuò a coltivare la sua vocazione al sacerdozio e frequentandovila Teologia.

Ricevette l’Ordine del Presbiterato il 1° gennaio 1942 dal Vescovo deltempo, Mons. Luciano Marcante nella Chiesa conventuale dell’O.F.M. di“S. Antonio di Padova” in Sulmona e subito fu ammesso nella cura pastora-le come Vicario Economo di Rivisondoli dove, qualche anno dopo, divenneParroco fino al 1977. La sua permanenza a Rivisondoli fu densa di iniziati-ve e attività pastorali e sociali. Basti ricordare la ricostruzione delle Chiesedi Rivisondoli dopo gli eventi distruttivi della Seconda Guerra Mondialenell’alto Sangro, l’istituzione dell’Opera “R. S. Alto Sangro”, del Centro diAvviamento e Addestramento Professionale, dove si formarono molti fale-gnami, elettricisti, stenodattilografi e caseari. È stato l’ideatore e il fondato-re, insieme ad altre personalità di Rivisondoli, del primo e più noto “Prese-pe Vivente” d’Italia.

Nel 1977, dopo aver rinunciato alla cura d’anime ed essere stato nomi-nato Canonico Penitenziere del Capitolo della Cattedrale Valvense di “S.Pelino” in Corfinio, si trasferì definitivamente presso il fratello Giuseppe,

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prima a Montesilvano, dove fondò e diresse il Centro di Assistenza Socialee Promozione Culturale “Abruzzo Est”, e poi a Moscufo, dove divenne Par-roco nella Chiesa delle Anime Sante nel 1980. Ampliò la Chiesetta e orga-nizzò numerose colonie per i bambini.

All’età di 92 anni don Antonio ha concluso a Moscufo la benemerita esi-stenza terrena il 01.04.2009, assistito amorevolmente dalla nipote Adriana.

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2. SAC. GIUSEPPE BATTISTI

Il giorno 10 aprile 2009 è deceduto il Rev. Sac. Giuseppe Battisti, a 85anni di età e 59 di sacerdozio.

Nato a Roiate (Roma) in Diocesi di Palestrina, il 30.03.1924, da Carminee Bovi Maria, frequentò i corsi di Scuola Media nel Seminario di San Seve-rino Marche, e quelli teologici presso la Pontificia Università di S.Anselmoin Roma, dove conseguì la Licenza in Sacra Teologia, come monaco del-l’Ordine Cistercense. Il 15.07.1950 ricevette l’ordinazione presbiterale dal-l’Arcivescovo Mons. Alfonso Carinci in Roma.

Dopo alcuni anni di vita religiosa e missionaria in Brasile, chiese di en-trare al servizio della nostra Chiesa, accolto dal Vescovo Mons. BenedettoFalcucci, che lo incardinò nel Clero diocesano il 23 gennaio 1954. Parrocodi Sant’Antonio Abate in Villa Cipressi, dal 1 febbraio 1954, divenne poiVicario parrocchiale di San Michele Arcangelo in Città Sant’Angelo, e dal 1settembre 1973 Parroco della Beata Vergine Maria della Pace, sempre nelComune di Città Sant’Angelo.

Il 6 agosto 2001 l’Arcivescovo Mons. Francesco Cuccarese accoglieva lasua rinuncia dal governo parrocchiale della sempre più popolosa frazionedella Madonna della Pace, e lo incaricava dell’assistenza religiosa alla Cli-nica Villa Serena e alla Residenza per anziani di Fraternità Magistrale in

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Città Sant’Angelo. Unitamente a questi impegni, negli ultimi anni don Bat-tisti ha anche messo a disposizione il suo ministero in aiuto di alcuni Parro-ci.

I funerali si sono svolti nella Collegiata di San Michele Arcangelo inCittà Sant’Angelo, domenica 12 aprile, nella solennità di Pasqua, e la sepol-tura è avvenuta nel locale Camposanto.

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3. SAC. BRUNO CICCONETTI

Martedì 28 aprile 2009 è tornato alla Casa del Padre il Rev.mo Don Bru-no Cicconetti, Canonico Penitenziere della Cattedrale Metropolitana, a 86anni di età e 60 di sacerdozio.

Era nato a Poggiofiorito (Ch), in Arcidiocesi di Lanciano-Ortona, il27.03.1923 da Oreste e Zazzini Elisabetta. Compì gli studi e la formazionesacerdotale nel Seminario Arcivescovile di Spoleto (Pg) per il Ginnasio, enel Seminario Regionale di Assisi (Pg) per il Liceo e la Teologia. Ricevetteil presbiterato dall’Arcivescovo di Spoleto Mons. Pietro Tagliapietra, incar-dinato nel suo Clero diocesano, il 29 giugno 1947 nella Cattedrale di S. Ma-ria Assunta. Nella Diocesi umbra svolse il ministero per un quinquennio,inizialmente come Parroco di Collerisana, poi di Ocenelli con annesso Eco-nomato di S. Severo di Spoleto, e come insegnante al Seminario minore.

Rientrato in Abruzzo venne accolto nella nostra Chiesa dal Ve s c o v oMons. Benedetto Falcucci che lo incardinò il 24 settembre 1953, destinan-dolo Rettore di S. Luigi Gonzaga a Pescara e il 1.10.1955 Parroco di S. Pie-tro Martire a Fontanelle. A partire dal 1965 svolse il suo ministero comecollaboratore nelle Parrocchie urbane di S. Antonio di Padova in Montesil-vano, e a Pescara in quelle della B.V. del Ss.mo Rosario e di S. Filomena,contemporaneamente ad incarichi a livello diocesano come assistente della

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G.I.A.C., assistente provinciale del C.S.I., cappellano del Lavoro, insegnan-te di Religione in varie Scuole.

Il 27.02.1971 il Vescovo Mons. Antonio Iannucci lo inviò a fondare aMontesilvano la nuova Parrocchia recante il titolo della Beata Vergine Ma-ria Madre della Chiesa, secondo il titolo in chiave ecclesiologica data allaMadonna dal Concilio Ecumenico Vaticano II. In quella giovane e dinamicacomunità don Bruno rivelò tutte le sue capacità umane e sacerdotali, infon-dendo gioia ed entusiasmo sul fondamento della dottrina e di una fede irro-rata dalla Parola di Dio e dalla preghiera, promuovendo l’aggregazione e lacorresponsabilità, disponibile all’ascolto e al consiglio con una presenzaquotidiana, fedele e viva. All’edificazione del tempio spirituale, egli ha uni-to anche la costruzione di quello materiale, con una lunga e paziente operaburocratica e finanziaria, che vide parroco e fedeli, ospitati per oltre due de-cenni all’interno di un prefabbricato in legno, entrare solo alla metà deglianni 90 nell’edificio sacro di via Sele, eseguito su progetto post mortem diPierluigi Nervi, e nelle pertinenze della casa parrocchiale. Lo stesso Mons.Iannucci lo nominò Vicario Episcopale per l’Apostolato dei Laici il27.02.1984, incaricandolo di coordinare i numerosi Gruppi ecclesiali del-l’Arcidiocesi.

Il 29.06.1999 l’Arcivescovo Mons. Francesco Cuccarese accoglieva lesue dimissioni dal ministero parrocchiale, e lo incaricava della Cappellaniadel Corpo di Polizia Municipale di Montesilvano. Divenuto Canonico dellaCattedrale il 05.03.2001, si rese disponibile con il servizio sacerdotale nellaParrocchia dello Spirito Santo in Pescara, e con la successiva nomina di Pe-nitenziere, del 19.01.2004, con l’esercizio del ministero della misericordianella Cattedrale di San Cetteo.

In seguito a diversi mesi di malferma salute la morte lo ha raggiunto nel-l’Ospedale di Pescara, dov’era tornato per uno dei suoi ripetuti ricoveri. Leesequie si sono svolte nella Cattedrale Metropolitana il 30 aprile con grandee caloroso concorso di clero e popolo di Dio. Successivamente la salma èstata tumulata nel Cimitero di San Silvestro a Pescara.

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4. SAC. CARLO SISTO ROMITI

Martedì 19 maggio, all’età di anni 84 e 32 di sacerdozio, è deceduto ilRev. Sac. Carlo Sisto Romiti, Parroco emerito di San Giovanni Battista nelComune di Rosciano (Pe).

Era nato a Sestri Levante (Ge), Diocesi di Chiavari, il 5.01.1925, daAgostino Romiti e Eufrasia Cornacchia; nella locale chiesa parrocchiale ri-cevette il Battesimo il successivo 14 marzo, e la Confermazione il13.08.1932. Sempre nella cittadina di origine svolse gli studi scolastici pri-mari e secondari, conseguendo la licenza media commerciale. Entrato ingioventù nella Pia Società San Paolo, vi divenne professo come fratello lai-co, e vi svolse vari compiti comunitari.

Nel 1975, mentre era membro della comunità paolina di Francavillaa Mare (Ch), chiese al Vescovo Mons. Antonio Iannucci di essere accoltonella nostra Chiesa locale quale candidato al sacerdozio. Inviato per la for-mazione sacerdotale presso l’Opera Don Calabria di Verona, attese agli stu-di teologici presso il locale Istituto Teologico San Zeno.

Ordinato diacono il 01.01.1977, ricevette il presbiterato il 26 giugnoseguente, sempre per le mani di Mons. Iannucci, nella chiesa parrocchiale diSan Gabriele dell’Addolorata in Pescara.

Fu subito impegnato come vicario parrocchiale della Cattedrale di SanCetteo, e dal settembre 1978 fu incaricato quale Rettore del Seminario dio-cesano. Nell’agosto del 1981 veniva inviato a Castilenti (Te) quale Parrocoe Vicario foraneo della Forania di Castiglione Messer Raimondo. Trasferitoil 01.10.1983 per un’altra comunità, la parrocchia di San Giovanni Battista,a Villa San Giovanni, frazione di Rosciano, vi condusse il ministero parroc-chiale per un decennio, fino al settembre del 1994, quando ottenne dall’Ar-civescovo Mons. Francesco Cuccarese l’accettazione delle sue dimissionidalla cura pastorale.

Con l’assenso del Pastore diocesano si ritirò a San Giovanni Roton-do (Fg), presso l’Opera di Padre Pio da Pietrelcina, dove ha svolto l’ultimaparte della sua vita nell’esercizio del ministero della misericordia, attenden-

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do quotidianamente alle confessioni dei fedeli nel Santuario della Madonnadelle Grazie, presso la tomba del Santo frate del Gargano, luogo dove donCarlo aveva voluto celebrare la Prima Messa da Sacerdote novello. Erarientrato nell’Arcidiocesi da alcuni mesi a causa di un progressivo stato de-bilitativo, ospite della famiglia Filippone a Villa San Giovanni, dove poi loha raggiunto la chiamata al premio eterno. I funerali si sono svolti merco-ledì 20 maggio nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, e la se-poltura è avvenuta nel Cimitero di Rosciano.

Pie Jesu dona eis requiem sempiternam

Sac. Roberto Bertoia

ERRATA CORRIGE

Nel Necrologio del Sac. Bruno Cassini, a pag. 70 del Bollettino n.2 del2008, la Parrocchia San Panfilo dove don Bruno fu inviato nel 1963era quella di Penne e non di Spoltore.