Bollettino (I/2011)

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Il semestrale di documenti ufficiali dell'arcidiocesi di Pescara-Penne. Anno 2011, I semestre

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BOLLETTINO UFFICIALE

DELL'ARCIDIOCESI METROPOLITANA

DI PESCARA-PENNE

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periodico della diocesi di pescaraanno 63 - n° [email protected]

presidente:s. e. r. mons. tommaso [email protected]

direttore responsabile:dott. ernesto grippo

direttore:dott.ssa lidia [email protected]

programma editorialea cura del dott. simone [email protected]

amministratore:can. antonio di giulio

editore:curia arcivescovile metropolitana pescara-pennesede legale:curia arcivescovile metropolitana pescara-pennepiazza spirito santo, 565121 pescara

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rivista diocesanac..c.p. n° 16126658periodico registrato presso il tribunale di pescaraal n° 11/95 in data 24.05.1995spedizione in abb. postale 50% pescara

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INDICE

LA PAROLA DI BENEDETTO XVI

DISCORSI

7 Ai Dirigenti e Agenti della Questura di Roma

10 Discorso durante il Santo Rosario con i Vescovi della Conferenza Episcopa-le Italiana e affidamento dell’Italia alla Vergine Maria in occasione del 150°anniversario dell’unità politica del paese

16 Ai nuovi Ambasciatori accreditati presso la Santa Sede

MESSAGGI

19 Per la celebrazione della XLIV Giornata Mondiale della Pace

33 Per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2011

38 Per la 19ª Giornata Mondiale del Malato

42 Per la Quaresima 2011

48 Per la XLVIII Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni

53 Per la XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni sociali

LETTERE

58 Messaggio a Sua Eccellenza l’Onorevole Giorgio Napolitano

OMELIE

64 Nella Festa della Presentazione del Signore

68 Nella XXVI Giornata Mondiale della Gioventù

72 In occasione della Beatificazione del servo di Dio Giovanni Paolo II

78 In occasione della Giornata Nazionale delle Famiglie cattoliche croate

LA PAROLA DEI VESCOVI ITALIANI

CEI - CONSIGLIO PERMANENTE - ANCONA 24/27 GENNAIO 201186 Prolusione del Cardinale Presidente

104 Comunicato Finale

MESSAGGI

111 Per la 15ª Giornata Mondiale della Vita Consacrata

114 Per la 33ª Giornata Nazionale per la Vita

117 In occasione della Beatificazione del servo di Dio Giovanni Paolo II

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INDICE

LA PAROLA DI MONS. VALENTINETTI

NOMINE123 Nomine

IN DIOCESI

NECROLOGI127 Necrologio di don Gernio D’Intinosante128 Necrologio di don Gino Garlato

NOTIZIE130 Notizie in breve131 Notizie in rassegna

Valentinetti nuovo presidente Ceam - di Simone Chiappetta132 S. Giovanni e S. Benedetto finalmente in Chiesa - di Simone Chiappetta134 Youcat, il catechismo che parla ai giovani - di Simone Chiappetta135 Alla scoperta dei musulmani d’Italia - di Davide De Amicis137 I giovani abruzzesi: da Termoli a Madrid - di Davide De Amicis

APPROFONDIMENTI140 Il confessare come “dialogo” salvifico per coscienze mature - di P. Sabatino

Majorano cssr

SPECIALE “LUI E LEI: CAMMINARTI ACCANTO”

159 10 anni fa...170 Convegno Internazionale: Presentazione del percorso “Lui e Lei” - di Fran-

co e Lidia D’Alessandro174 Buon compleanno, “Lui & Lei” - di Simone Chiappetta175 Saluto della coppia responsabile alla Festa dei dieci anni “Lui e Lei”

di Franco e Lidia D’Alessandro176 Dieci anni di “Lui e Lei”: fidanzati in festa - di Davide De Amicis

AMMINISTRAZIONE

181 Rendiconto anno 2010186 Bilancio Consuntivo al 31.12.2010196 Resoconto Missionario in cifre - Anno 2010211 Questue Imperate / Ove - Anno 2010225 Offerte Pro Haiti

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LA PAROLADI BENEDETTO XVI

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LA PAROLA DI BENEDETTO XVIDISCORSI

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Ai Dirigenti e Agenti della Questura di Roma

Aula della BenedizioneVenerdì, 21 gennaio 2011

Illustre Signor Questore,illustri Dirigenti e Funzionari, cari Agenti e Personale civile della Polizia di Stato!

Sono veramente lieto di questo incontro con voi e vi do il benve-nuto nella Casa di Pietro, questa volta non per servizio, ma per veder-ci, parlarci e salutarci in modo più familiare! Saluto in particolare il Si-gnor Questore, ringraziandolo per le sue cortesi parole, come pure glialtri Dirigenti e il Cappellano. Un saluto cordiale ai vostri familiari,specialmente ai bambini!

Desidero anzitutto ringraziarvi per tutto il lavoro che svolgete a fa-vore della città di Roma, di cui sono il Vescovo, perché la sua vita sisvolga nell’ordine e nella sicurezza. Esprimo la mia riconoscenza an-che per quell’impegno in più che spesso la mia attività richiede davoi! L’epoca in cui viviamo è percorsa da profondi cambiamenti. An-che Roma, che giustamente è chiamata “città eterna”, è molto cambia-ta e si evolve; lo sperimentiamo ogni giorno e voi ne siete testimoniprivilegiati. Questi mutamenti generano talvolta un senso di insicurez-za, dovuto in primo luogo alla precarietà sociale ed economica, acuitaperò anche da un certo indebolimento della percezione dei principietici su cui si fonda il diritto e degli atteggiamenti morali personali,che a quegli ordinamenti sempre danno forza.

Il nostro mondo, con tutte le sue nuove speranze e possibilità, è at-traversato, al tempo stesso, dall’impressione che il consenso moralevenga meno e che, di conseguenza, le strutture alla base della convi-venza non riescano più a funzionare in modo pieno. Si affaccia per-tanto in molti la tentazione di pensare che le forze mobilitate per ladifesa della società civile siano alla fine destinate all’insuccesso. Difronte a questa tentazione, noi, in modo particolare, che siamo cristia-

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ni, abbiamo la responsabilità di ritrovare una nuova risolutezza nelprofessare la fede e nel compiere il bene, per continuare con coraggioad essere vicini agli uomini nelle loro gioie e sofferenze, nelle ore fe-lici come in quelle buie dell’esistenza terrena.

Ai nostri giorni, grande importanza è data alla dimensione soggettivadell’esistenza. Ciò, da una parte, è un bene, perché permette di porrel’uomo e la sua dignità al centro della considerazione sia nel pensieroche nell’azione storica. Non si deve mai dimenticare, però, che l’uomotrova la sua dignità profondissima nello sguardo amorevole di Dio,nel riferimento a Lui. L’attenzione alla dimensione soggettiva è ancheun bene quando si mette in evidenza il valore della coscienza umana.Ma qui troviamo un grave rischio, perché nel pensiero moderno si èsviluppata una visione riduttiva della coscienza, secondo la quale nonvi sono riferimenti oggettivi nel determinare ciò che vale e ciò che èvero, ma è il singolo individuo, con le sue intuizioni e le sue espe-rienze, ad essere il metro di misura; ognuno, quindi, possiede la pro-pria verità, la propria morale. La conseguenza più evidente è che lareligione e la morale tendono ad essere confinate nell’ambito del sog-getto, del privato: la fede con i suoi valori e i suoi comportamenti,cioè, non avrebbe più diritto ad un posto nella vita pubblica e civile.Pertanto, se, da una parte, nella società si dà grande importanza alpluralismo e alla tolleranza, dall’altra, la religione tende ad essere pro-gressivamente emarginata e considerata senza rilevanza e, in un certosenso, estranea al mondo civile, quasi si dovesse limitare la sua in-fluenza sulla vita dell’uomo.

Al contrario, per noi cristiani, il vero significato della “coscienza” èla capacità dell’uomo di riconoscere la verità, e, prima ancora, lapossibilità di sentirne il richiamo, di cercarla e di trovarla. Alla veritàe al bene occorre che l’uomo sappia aprirsi, per poterli accogliere inmodo libero e consapevole. La persona umana, del resto, è espres-sione di un disegno di amore e di verità: Dio l’ha “progettata”, percosì dire, con la sua interiorità, con la sua coscienza, affinché essapossa trarne gli orientamenti per custodire e coltivare se stessa e lasocietà umana.

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Le nuove sfide che si affacciano all’orizzonte esigono che Dio e uomotornino ad incontrarsi, che la società e le Istituzioni pubbliche ritrovi-no la loro “anima”, le loro radici spirituali e morali, per dare nuovaconsistenza ai valori etici e giuridici di riferimento e quindi all’azionepratica. La fede cristiana e la Chiesa non cessano mai di offrire il pro-prio contributo alla promozione del bene comune e di un progressoautenticamente umano. Lo stesso servizio religioso e di assistenza spi-rituale che, in forza delle vigenti disposizioni normative, Stato e Chie-sa si impegnano a fornire anche al personale della Polizia di Stato, te-stimonia la perenne fecondità di questo incontro.

La singolare vocazione della città di Roma richiede oggi a voi, che sie-te pubblici ufficiali, di offrire un buon esempio di positiva e proficuainterazione fra sana laicità e fede cristiana. L’efficacia del vostro servi-zio, infatti, è il frutto della combinazione tra la professionalità e laqualità umana, tra l’aggiornamento dei mezzi e dei sistemi di sicurez-za e il bagaglio di doti umane quali la pazienza, la perseveranza nelbene, il sacrificio e la disponibilità all’ascolto. Tutto questo, ben armo-nizzato, va a favore dei cittadini, specialmente delle persone in diffi-coltà. Sappiate sempre considerare l’uomo come il fine, perché tuttipossano vivere in maniera autenticamente umana. Come Vescovo diquesta città, vorrei invitarvi a leggere e meditare la Parola di Dio, pertrovare in essa la fonte e il criterio di ispirazione per la vostra azione.

Cari amici! quando siete in servizio per le strade di Roma, o nei vostriuffici, pensate che il vostro Vescovo, il Papa, prega per voi, che vivuole bene! Vi ringrazio per la vostra visita, e vi affido tutti alla prote-zione di Maria Santissima e dell’Arcangelo San Michele, vostro protet-tore celeste, mentre imparto di cuore su di voi e sul vostro impegnouna speciale Benedizione Apostolica.

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Discorso durante il Santo Rosario con i Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana e affidamento dell’Italia alla Vergine Maria in occasione del 150°

anniversario dell’unità politica del Paese

Basilica di Santa Maria MaggioreGiovedì, 26 maggio 2011

Venerati e cari Confratelli,

siete convenuti in questa splendida Basilica - luogo nel quale spi-ritualità e arte si fondono in un connubio secolare - per condividereun intenso momento di preghiera, con il quale affidare alla protezio-ne materna di Maria, Mater unitatis, l’intero popolo italiano, a cento-cinquant’anni dall’unità politica del Paese. È significativo che questainiziativa sia stata preparata da analoghi incontri nelle diocesi: anchein questo modo esprimete la premura della Chiesa nel farsi prossimaalle sorti di questa amata Nazione. A nostra volta, ci sentiamo in co-munione con ogni comunità, anche con la più piccola, in cui rimaneviva la tradizione che dedica il mese di maggio alla devozione ma-riana. Essa trova espressione in tanti segni: santuari, chiesette, opered’arte e, soprattutto, nella preghiera del Santo Rosario, con cui il Po-polo di Dio ringrazia per il bene che incessantemente riceve dal Si-gnore, attraverso l’intercessione di Maria Santissima, e lo supplicaper le sue molteplici necessità. La preghiera – che ha il suo verticenella liturgia, la cui forma è custodita dalla vivente tradizione dellaChiesa – è sempre un fare spazio a Dio: la sua azione ci rende par-tecipi della storia della salvezza. Questa sera, in particolare, allascuola di Maria siamo stati invitati a condividere i passi di Gesù: ascendere con Lui al fiume Giordano, perché lo Spirito confermi innoi la grazia del Battesimo; a sederci al banchetto di Cana, per rice-vere da Lui il “vino buono” della festa; ad entrare nella sinagoga diNazaret, come poveri ai quali è rivolto il lieto messaggio del Regnodi Dio; ancora, a salire sul Monte Tabor, per vivere la croce nella lu-

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ce pasquale; e, infine, a partecipare nel Cenacolo al nuovo ed eter-no sacrificio, che, anticipando i cieli nuovi e la terra nuova, rigeneratutta la creazione.

Questa Basilica è la prima in Occidente dedicata alla Vergine Madredi Dio. Nell’entrarvi, il mio pensiero è tornato al primo giorno dell’an-no 2000, quando il Beato Giovanni Paolo II ne aprì la Porta Santa, af-fidando l’Anno giubilare a Maria, perché vegliasse sul cammino diquanti si riconoscevano pellegrini di grazia e di misericordia. Noi stes-si oggi non esitiamo a sentirci tali, desiderosi di varcare la soglia diquella “Porta” Santissima che è Cristo e vogliamo chiedere alla VergineMaria di sostenere il nostro cammino ed intercedere per noi. In quan-to Figlio di Dio, Cristo è forma dell’uomo: ne è la verità più profonda,la linfa che feconda una storia altrimenti irrimediabilmente compro-messa. La preghiera ci aiuta a riconoscere in Lui il centro della nostravita, a rimanere alla sua presenza, a conformare la nostra volontà allasua, a fare “qualsiasi cosa ci dica” (Gv 2,5), certi della sua fedeltà.Questo è il compito essenziale della Chiesa, da Lui incoronata qualemistica sposa, come la contempliamo nello splendore del catino absi-dale. Maria ne costituisce il modello: è colei che ci porge lo specchio,in cui siamo invitati a riconoscere la nostra identità. La sua vita è unappello a ricondurre ciò che siamo all’ascolto e all’accoglienza dellaParola, giungendo nella fede a magnificare il Signore, davanti al qualel’unica nostra possibile grandezza è quella che si esprime nell’obbe-dienza filiale: “Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38). Mariasi è fidata: lei è la “benedetta” (cfr Lc 1,42), che è tale per aver credu-to (cfr Lc 1,45), fino ad essersi così rivestita di Cristo da entrare nel“settimo giorno”, partecipe del riposo di Dio. Le disposizioni del suocuore – l’ascolto, l’accoglienza, l’umiltà, la fedeltà, la lode e l’attesa –corrispondono agli atteggiamenti interiori e ai gesti che plasmano lavita cristiana. Di essi si nutre la Chiesa, consapevole che esprimonociò che Dio attende da lei.

Sul bronzo della Porta Santa di questa Basilica è incisa la raffigura-zione del Concilio di Efeso. L’edificio stesso, risalente nel nucleo origi-nario al V secolo, è legato a quell’assise ecumenica, celebrata nell’an-no 431. A Efeso la Chiesa unita difese e confermò per Maria il titolo di

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Theotókos, Madre di Dio: titolo dal contenuto cristologico, che rinviaal mistero dell’incarnazione ed esprime nel Figlio l’unità della naturaumana con quella divina. Del resto, è la persona e la vicenda di Gesùdi Nazaret a illuminare l’Antico Testamento e il volto stesso di Maria.In lei si coglie in filigrana il disegno unitario che intreccia i due Testa-menti. Nella sua vicenda personale c’è la sintesi della storia di un inte-ro popolo, che pone la Chiesa in continuità con l’antico Israele. All’in-terno di questa prospettiva ricevono senso le singole storie, a partireda quelle delle grandi donne dell’Antica Alleanza, nella cui vita è rap-presentato un popolo umiliato, sconfitto e deportato. Sono anche lestesse, però, che ne impersonano la speranza; sono il “resto santo”,segno che il progetto di Dio non rimane un’idea astratta, ma trovacorrispondenza in una risposta pura, in una libertà che si dona senzanulla trattenere, in un sì che è accoglienza piena e dono perfetto. Ma-ria ne è l’espressione più alta. Su di lei, vergine, discende la potenzacreatrice dello Spirito Santo, lo stesso che “in principio” aleggiava sul-l’abisso informe (cfr Gen 1,1) e grazie al quale Dio chiamò l’essere dalnulla; lo Spirito che feconda e plasma la creazione. Aprendosi alla suaazione, Maria genera il Figlio, presenza del Dio che viene ad abitarela storia e la apre a un nuovo e definitivo inizio, che è possibilità perogni uomo di rinascere dall’alto, di vivere nella volontà di Dio e quin-di di realizzarsi pienamente.

La fede, infatti, non è alienazione: sono altre le esperienze che in-quinano la dignità dell’uomo e la qualità della convivenza sociale! Inogni stagione storica l’incontro con la parola sempre nuova del Van-gelo è stato sorgente di civiltà, ha costruito ponti fra i popoli e ha ar-ricchito il tessuto delle nostre città, esprimendosi nella cultura, nellearti e, non da ultimo, nelle mille forme della carità. A ragione l’Italia,celebrando i centocinquant’anni della sua unità politica, può essereorgogliosa della presenza e dell’azione della Chiesa. Essa non perse-gue privilegi né intende sostituirsi alle responsabilità delle istituzionipolitiche; rispettosa della legittima laicità dello Stato, è attenta a soste-nere i diritti fondamentali dell’uomo. Fra questi vi sono anzitutto leistanze etiche e quindi l’apertura alla trascendenza, che costituisconovalori previi a qualsiasi giurisdizione statale, in quanto iscritti nella na-tura stessa della persona umana. In questa prospettiva, la Chiesa – for-

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te di una riflessione collegiale e dell’esperienza diretta sul territorio –continua a offrire il proprio contributo alla costruzione del bene co-mune, richiamando ciascuno al dovere di promuovere e tutelare la vi-ta umana in tutte le sue fasi e di sostenere fattivamente la famiglia;questa rimane, infatti, la prima realtà nella quale possono crescerepersone libere e responsabili, formate a quei valori profondi cheaprono alla fraternità e che consentono di affrontare anche le avver-sità della vita. Non ultima fra queste, c’è oggi la difficoltà ad accederead una piena e dignitosa occupazione: mi unisco, perciò, a quantichiedono alla politica e al mondo imprenditoriale di compiere ognisforzo per superare il diffuso precariato lavorativo, che nei giovanicompromette la serenità di un progetto di vita familiare, con gravedanno per uno sviluppo autentico e armonico della società.

Cari Confratelli, l’anniversario dell’evento fondativo dello Stato uni-tario vi ha trovati puntuali nel richiamare i tasselli di una memoriacondivisa e sensibili nell’additare gli elementi di una prospettiva futu-ra. Non esitate a stimolare i fedeli laici a vincere ogni spirito di chiu-sura, distrazione e indifferenza, e a partecipare in prima persona allavita pubblica. Incoraggiate le iniziative di formazione ispirate alla dot-trina sociale della Chiesa, affinché chi è chiamato a responsabilità po-litiche e amministrative non rimanga vittima della tentazione di sfrutta-re la propria posizione per interessi personali o per sete di potere. So-stenete la vasta rete di aggregazioni e di associazioni che promuovo-no opere di carattere culturale, sociale e caritativo. Rinnovate le occa-sioni di incontro, nel segno della reciprocità, tra Settentrione e Mezzo-giorno. Aiutate il Nord a recuperare le motivazioni originarie di quelvasto movimento cooperativistico di ispirazione cristiana che è statoanimatore di una cultura della solidarietà e dello sviluppo economico.Similmente, provocate il Sud a mettere in circolo, a beneficio di tutti,le risorse e le qualità di cui dispone e quei tratti di accoglienza e diospitalità che lo caratterizzano. Continuate a coltivare uno spirito disincera e leale collaborazione con lo Stato, sapendo che tale relazioneè benefica tanto per la Chiesa quanto per il Paese intero. La vostra pa-rola e la vostra azione siano di incoraggiamento e di sprone per quan-ti sono chiamati a gestire la complessità che caratterizza il tempo pre-sente. In una stagione, nella quale emerge con sempre maggior forza

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la richiesta di solidi riferimenti spirituali, sappiate porgere a tutti ciòche è peculiare dell’esperienza cristiana: la vittoria di Dio sul male esulla morte, quale orizzonte che getta una luce di speranza sul pre-sente. Assumendo l’educazione come filo conduttore dell’impegno pa-storale di questo decennio, avete voluto esprimere la certezza che l’e-sistenza cristiana – la vita buona del Vangelo – è proprio la dimostra-zione di una vita realizzata. Su questa strada voi assicurate un servizionon solo religioso o ecclesiale, ma anche sociale, contribuendo a co-struire la città dell’uomo. Coraggio, dunque! Nonostante tutte le diffi-coltà, “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37), a Colui che continua a fare“grandi cose” (Lc 1,49) attraverso quanti, come Maria, sanno conse-gnarsi a lui con disponibilità incondizionata.

Sotto la protezione della Mater unitatis poniamo tutto il popolo ita-liano, perché il Signore gli conceda i doni inestimabili della pace edella fraternità e, quindi, dello sviluppo solidale. Aiuti le forze politi-che a vivere anche l’anniversario dell’Unità come occasione per rinsal-dare il vincolo nazionale e superare ogni pregiudiziale contrapposizio-ne: le diverse e legittime sensibilità, esperienze e prospettive possanoricomporsi in un quadro più ampio per cercare insieme ciò che vera-mente giova al bene del Paese. L’esempio di Maria apra la via a unasocietà più giusta, matura e responsabile, capace di riscoprire i valoriprofondi del cuore umano. La Madre di Dio incoraggi i giovani, so-stenga le famiglie, conforti gli ammalati, implori su ciascuno una rin-novata effusione dello Spirito, aiutandoci a riconoscere e a seguire an-che in questo tempo il Signore, che è il vero bene della vita, perché èla vita stessa.

Di cuore benedico voi e le vostre comunità.

Preghiera di affidamento a Maria

Vergine Maria,Mater Unitatis,questa sera intendiamo specchiarci in te

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e porre sotto il manto della tua protezionel’amato popolo italiano.Vergine del Fiat,la tua vita celebra il primato di Dio:alimenta in noi lo stupore della fede,insegnaci a custodire nella preghieraquest’opera che restituisce unità alla vita.Vergine del servizio,donaci di comprendere a quale libertàtende un’esistenza donata,quale segreto di bellezzaè racchiuso nella verità di un incontro.Vergine della Croce,concedici di contemplarela vittoria di Cristo sul mistero del male,capaci di esprimere ragioni di speranzae presenza d’amore nelle contraddizioni del tempo.Vergine del Cenacolo,sollecita le nostre Chiese a cooperare tra loro,nella comunione con il Vescovo di Roma.Rendi tutti noi partecipi del destino di questo Paese,bisognoso di concordia e di sviluppo.Vergine del Magnificat,liberaci dalla rassegnazione,donaci un cuore riconciliato,suscita in noi la lode e la riconoscenza.E saremo perseveranti nella fedeltà sino alla fine.Amen.

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Ai nuovi Ambasciatori accreditati presso la Santa Sede

Sala ClementinaGiovedì, 9 giugno 2011

Signora e Signori Ambasciatori,

È con gioia che vi ricevo questa mattina nel Palazzo Apostolico perla presentazione delle Lettere che vi accreditano come AmbasciatoriStraordinari e Plenipotenziari dei vostri rispettivi Paesi presso la SantaSede: Moldova, Guinea Equatoriale, Belize, Repubblica Araba di Siria,Ghana e Nuova Zelanda. Vi ringrazio per le cortesi parole che mi ave-te rivolto da parte dei vostri rispettivi Capi di Stato. Vogliate trasmette-re loro in cambio i miei deferenti saluti e miei voti rispettosi per la lo-ro persona e per l’alta missione che svolgono al servizio del loro Pae-se e del loro popolo. Desidero anche salutare attraverso di voi tutte leautorità civili e religiose delle vostre nazioni, come pure tutti i vostriconcittadini. Le mie preghiere e i miei pensieri si rivolgono natural-mente anche alle comunità cattoliche presenti nei vostri Paesi.

Poiché ho l’opportunità di incontrare ciascuno di voi singolarmen-te, desidero ora parlare in maniera più generale. I primi sei mesi diquest’anno sono stati caratterizzati da innumerevoli tragedie che han-no riguardato la natura, la tecnica e i popoli. L’entità di tali catastrofici interpella. È l’uomo che viene per primo, ed è bene ricordarlo.L’uomo, al quale Dio ha affidato la buona gestione della natura, nonpuò essere dominato dalla tecnica e divenirne il soggetto. Una talepresa di coscienza deve portare gli Stati a riflettere insieme sul futuroa breve termine del pianeta, di fronte alle loro responsabilità verso lanostra vita e le tecnologie. L’ecologia umana è una necessità imperati-va. Adottare in ogni circostanza un modo di vivere rispettoso dell’am-biente e sostenere la ricerca e lo sfruttamento di energie adeguate chesalvaguardino il patrimonio del creato e non comportino pericolo perl’uomo devono essere priorità politiche ed economiche. In questosenso, appare necessario rivedere totalmente il nostro approccio allanatura. Essa non è soltanto uno spazio sfruttabile o ludico. È il luogo

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in cui nasce l’uomo, la sua «casa», in qualche modo. Essa è fondamen-tale per noi. Il cambiamento di mentalità in questo ambito, anzi gliobblighi che ciò comporta, deve permettere di giungere rapidamentea un’arte di vivere insieme che rispetti l’alleanza tra l’uomo e la natu-ra, senza la quale la famiglia umana rischia di scomparire. Occorrequindi compiere una riflessione seria e proporre soluzioni precise esostenibili. Tutti i governanti devono impegnarsi a proteggere la natu-ra e ad aiutarla a svolgere il suo ruolo essenziale per la sopravvivenzadell’umanità. Le Nazioni Unite mi sembrano essere il quadro naturaleper una tale riflessione, che non dovrà essere offuscata da interessipolitici ed economici ciecamente di parte, così da privilegiare la soli-darietà rispetto all’interesse particolare.

Occorre inoltre interrogarsi sul giusto posto che deve occupare latecnica. I prodigi di cui è capace vanno di pari passo con disastri so-ciali ed ecologici. Estendendo l’aspetto relazionale del lavoro al piane-ta, la tecnica imprime alla globalizzazione un ritmo particolarmenteaccelerato. Ora, il fondamento del dinamismo del progresso corri-sponde all’uomo che lavora e non alla tecnica, che non è altro cheuna creazione umana. Puntare tutto su di essa o credere che sia l’a-gente esclusivo del progresso o della felicità comporta una reificazio-ne dell’uomo, che sfocia nell’accecamento e nell’infelicità quandoquest’ultimo le attribuisce e le delega poteri che essa non ha. Bastaconstatare i «danni» del progresso e i pericoli che una tecnica onnipo-tente e in ultimo non controllata fa correre all’umanità. La tecnica chedomina l’uomo lo priva della sua umanità. L’orgoglio che essa generaha fatto sorgere nelle nostre società un economismo intrattabile e uncerto edonismo, che determina i comportamenti in modo soggettivoed egoistico. L’affievolirsi del primato dell’umano comporta uno smar-rimento esistenziale e una perdita del senso della vita. Infatti, la visio-ne dell’uomo e delle cose senza riferimento alla trascendenza sradical’uomo dalla terra e, fondamentalmente, ne impoverisce l’identità stes-sa. È dunque urgente arrivare a coniugare la tecnica con una forte di-mensione etica, poiché la capacità che ha l’uomo di trasformare e, inun certo senso, di creare il mondo per mezzo del suo lavoro, si com-pie sempre a partire dal primo dono originale delle cose fatto da Dio(Giovanni Paolo II, Centesimus annus n. 37). La tecnica deve aiutare

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la natura a sbocciare secondo la volontà del Creatore. Lavorando inquesto modo, il ricercatore e lo scienziato aderiscono al disegno diDio, che ha voluto che l’uomo sia il culmine e il gestore della creazio-ne. Le soluzioni basate su questo fondamento proteggeranno la vitadell’uomo e la sua vulnerabilità, come pure i diritti delle generazionipresenti e future. E l’umanità potrà continuare a beneficiare dei pro-gressi che l’uomo, per mezzo della sua intelligenza, riesce a realizza-re.

Consapevoli del rischio che corre l’umanità dinanzi a una tecnicavista come una «risposta» più efficiente del volontarismo politico odello sforzo paziente educativo per civilizzare i costumi, i Governi de-vono promuovere un umanesimo rispettoso della dimensione spiritua-le e religiosa dell’uomo. Infatti, la dignità della persona umana noncambia con il fluttuare delle opinioni. Il rispetto della sua aspirazionealla giustizia e alla pace consente la costruzione di una società chepromuove se stessa quando sostiene la famiglia o quando rifiuta, peresempio, il primato esclusivo delle finanze. Un Paese vive della pie-nezza della vita dei cittadini che lo compongono, essendo ognunoconsapevole delle proprie responsabilità e potendo far valere le pro-prie convinzioni. Inoltre, la tensione naturale verso il vero e verso ilbene è fonte di un dinamismo che genera la volontà di collaborareper realizzare il bene comune. Così, la vita sociale può arricchirsi co-stantemente, integrando la diversità culturale e religiosa attraverso lacondivisione di valori, fonte di fraternità e di comunione. Dovendoconsiderare la vita in società anzitutto come una realtà di ordine spiri-tuale, i responsabili politici hanno la missione di guidare i popoli ver-so l’armonia umana e verso la saggezza tanto auspicate, che devonoculminare nella libertà religiosa, volto autentico della pace.

Mentre iniziate la vostra missione presso la Santa Sede, desidero as-sicurarvi, Eccellenze, che troverete sempre presso i miei collaboratoril’ascolto attento e l’aiuto di cui potrete avere bisogno. Su di voi, sullevostre famiglie, sui membri delle vostre Missioni diplomatiche e sututte le nazioni che rappresentate invoco l’abbondanza delle Benedi-zioni divine.

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Per la celebrazione dellaXLIV Giornata Mondiale della Pace

1 gennaio 2011

LIBERTÀ RELIGIOSA, VIA PER LA PACE

1. All’inizio di un Nuovo Anno il mio augurio vuole giungere a tuttie a ciascuno; è un augurio di serenità e di prosperità, ma è soprattuttoun augurio di pace. Anche l’anno che chiude le porte è stato segnato,purtroppo, dalla persecuzione, dalla discriminazione, da terribili atti diviolenza e di intolleranza religiosa.

Il mio pensiero si rivolge in particolare alla cara terra dell’Iraq, chenel suo cammino verso l’auspicata stabilità e riconciliazione continuaad essere scenario di violenze e attentati. Vengono alla memoria le re-centi sofferenze della comunità cristiana, e, in modo speciale, il vileattacco contro la Cattedrale siro-cattolica “Nostra Signora del PerpetuoSoccorso” a Baghdad, dove, il 31 ottobre scorso, sono stati uccisi duesacerdoti e più di cinquanta fedeli, mentre erano riuniti per la celebra-zione della Santa Messa. Ad esso hanno fatto seguito, nei giorni suc-cessivi, altri attacchi, anche a case private, suscitando paura nella co-munità cristiana ed il desiderio, da parte di molti dei suoi membri, diemigrare alla ricerca di migliori condizioni di vita. A loro manifesto lamia vicinanza e quella di tutta la Chiesa, sentimento che ha visto unaconcreta espressione nella recente Assemblea Speciale per il MedioOriente del Sinodo dei Vescovi. Da tale Assise è giunto un incoraggia-mento alle comunità cattoliche in Iraq e in tutto il Medio Oriente a vi-vere la comunione e a continuare ad offrire una coraggiosa testimo-nianza di fede in quelle terre.

Ringrazio vivamente i Governi che si adoperano per alleviare lesofferenze di questi fratelli in umanità e invito i Cattolici a pregare peri loro fratelli nella fede che soffrono violenze e intolleranze e ad esse-re solidali con loro. In tale contesto, ho sentito particolarmente vival’opportunità di condividere con tutti voi alcune riflessioni sulla libertà

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religiosa, via per la pace. Infatti, risulta doloroso constatare che in al-cune regioni del mondo non è possibile professare ed esprimere libe-ramente la propria religione, se non a rischio della vita e della libertàpersonale. In altre regioni vi sono forme più silenziose e sofisticate dipregiudizio e di opposizione verso i credenti e i simboli religiosi. Icristiani sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior nu-mero di persecuzioni a motivo della propria fede. Tanti subisconoquotidianamente offese e vivono spesso nella paura a causa della lororicerca della verità, della loro fede in Gesù Cristo e del loro sinceroappello perché sia riconosciuta la libertà religiosa. Tutto ciò non puòessere accettato, perché costituisce un’offesa a Dio e alla dignità uma-na; inoltre, è una minaccia alla sicurezza e alla pace e impedisce larealizzazione di un autentico sviluppo umano integrale.1

Nella libertà religiosa, infatti, trova espressione la specificità dellapersona umana, che per essa può ordinare la propria vita personale esociale a Dio, alla cui luce si comprendono pienamente l’identità, ilsenso e il fine della persona. Negare o limitare in maniera arbitrariatale libertà significa coltivare una visione riduttiva della persona uma-na; oscurare il ruolo pubblico della religione significa generare unasocietà ingiusta, poiché non proporzionata alla vera natura della per-sona umana; ciò significa rendere impossibile l’affermazione di unapace autentica e duratura di tutta la famiglia umana.

Esorto, dunque, gli uomini e le donne di buona volontà a rinnova-re l’impegno per la costruzione di un mondo dove tutti siano liberi diprofessare la propria religione o la propria fede, e di vivere il proprioamore per Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la men-te (cfr Mt 22,37). Questo è il sentimento che ispira e guida il Messag-gio per la XLIV Giornata Mondiale della Pace, dedicato al tema: Li-bertà religiosa, via per la pace.

Sacro diritto alla vita e ad una vita spirituale

2. Il diritto alla libertà religiosa è radicato nella stessa dignità dellapersona umana,2 la cui natura trascendente non deve essere ignoratao trascurata. Dio ha creato l’uomo e la donna a sua immagine e somi-glianza (cfr Gen 1,27). Per questo ogni persona è titolare del sacro di-

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ritto ad una vita integra anche dal punto di vista spirituale. Senza il ri-conoscimento del proprio essere spirituale, senza l’apertura al trascen-dente, la persona umana si ripiega su se stessa, non riesce a trovarerisposte agli interrogativi del suo cuore circa il senso della vita e aconquistare valori e principi etici duraturi, e non riesce nemmeno asperimentare un’autentica libertà e a sviluppare una società giusta.3 LaSacra Scrittura, in sintonia con la nostra stessa esperienza, rivela il va-lore profondo della dignità umana: “Quando vedo i tuoi cieli, operadelle tue dita,la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uo-mo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Dav-vero l’hai fatto poco meno di un dio,di gloria e di onore lo hai coro-nato. Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,tutto hai postosotto i suoi piedi” (Sal 8, 4-7).

Dinanzi alla sublime realtà della natura umana, possiamo sperimen-tare lo stesso stupore espresso dal salmista. Essa si manifesta comeapertura al Mistero, come capacità di interrogarsi a fondo su se stessie sull’origine dell’universo, come intima risonanza dell’Amore supre-mo di Dio, principio e fine di tutte le cose, di ogni persona e dei po-poli.4 La dignità trascendente della persona è un valore essenziale del-la sapienza giudaico-cristiana, ma, grazie alla ragione, può essere rico-nosciuta da tutti. Questa dignità, intesa come capacità di trascenderela propria materialità e di ricercare la verità, va riconosciuta come unbene universale, indispensabile per la costruzione di una societàorientata alla realizzazione e alla pienezza dell’uomo. Il rispetto dielementi essenziali della dignità dell’uomo, quali il diritto alla vita e ildiritto alla libertà religiosa, è una condizione della legittimità moraledi ogni norma sociale e giuridica.

Libertà religiosa e rispetto reciproco

3. La libertà religiosa è all’origine della libertà morale. In effetti, l’a-pertura alla verità e al bene, l’apertura a Dio, radicata nella naturaumana, conferisce piena dignità a ciascun uomo ed è garante del pie-no rispetto reciproco tra le persone. Pertanto, la libertà religiosa va in-tesa non solo come immunità dalla coercizione, ma prima ancora co-me capacità di ordinare le proprie scelte secondo la verità.

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Esiste un legame inscindibile tra libertà e rispetto; infatti, “nell’eser-citare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtùdella legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui,quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune”.5 Unalibertà nemica o indifferente verso Dio finisce col negare se stessa enon garantisce il pieno rispetto dell’altro. Una volontà che si crede ra-dicalmente incapace di ricercare la verità e il bene non ha ragioni og-gettive né motivi per agire, se non quelli imposti dai suoi interessimomentanei e contingenti, non ha una “identità” da custodire e co-struire attraverso scelte veramente libere e consapevoli. Non può dun-que reclamare il rispetto da parte di altre “volontà”, anch’esse sgancia-te dal proprio essere più profondo, che quindi possono far valere al-tre “ragioni” o addirittura nessuna “ragione”. L’illusione di trovare nelrelativismo morale la chiave per una pacifica convivenza, è in realtàl’origine della divisione e della negazione della dignità degli esseriumani. Si comprende quindi la necessità di riconoscere una duplicedimensione nell’unità della persona umana: quella religiosa e quellasociale. Al riguardo, è inconcepibile che i credenti “debbano soppri-mere una parte di se stessi - la loro fede - per essere cittadini attivi;non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter goderedei propri diritti”.6

La famiglia, scuola di libertà e di pace

4. Se la libertà religiosa è via per la pace, l’educazione religiosa èstrada privilegiata per abilitare le nuove generazioni a riconoscere nel-l’altro il proprio fratello e la propria sorella, con i quali camminare in-sieme e collaborare perché tutti si sentano membra vive di una stessafamiglia umana, dalla quale nessuno deve essere escluso.

La famiglia fondata sul matrimonio, espressione di unione intima edi complementarietà tra un uomo e una donna, si inserisce in questocontesto come la prima scuola di formazione e di crescita sociale, cul-turale, morale e spirituale dei figli, che dovrebbero sempre trovare nelpadre e nella madre i primi testimoni di una vita orientata alla ricercadella verità e all’amore di Dio. Gli stessi genitori dovrebbero esseresempre liberi di trasmettere senza costrizioni e con responsabilità il

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proprio patrimonio di fede, di valori e di cultura ai figli. La famiglia,prima cellula della società umana, rimane l’ambito primario di forma-zione per relazioni armoniose a tutti i livelli di convivenza umana, na-zionale e internazionale. Questa è la strada da percorrere sapiente-mente per la costruzione di un tessuto sociale solido e solidale, perpreparare i giovani ad assumere le proprie responsabilità nella vita, inuna società libera, in uno spirito di comprensione e di pace.

Un patrimonio comune

5. Si potrebbe dire che, tra i diritti e le libertà fondamentali radicatinella dignità della persona, la libertà religiosa gode di uno statuto spe-ciale. Quando la libertà religiosa è riconosciuta, la dignità della perso-na umana è rispettata nella sua radice, e si rafforzano l’ethos e le isti-tuzioni dei popoli. Viceversa, quando la libertà religiosa è negata,quando si tenta di impedire di professare la propria religione o la pro-pria fede e di vivere conformemente ad esse, si offende la dignitàumana e, insieme, si minacciano la giustizia e la pace, le quali si fon-dano su quel retto ordine sociale costruito alla luce del Sommo Vero eSommo Bene.

La libertà religiosa è, in questo senso, anche un’acquisizione di ci-viltà politica e giuridica. Essa è un bene essenziale: ogni persona devepoter esercitare liberamente il diritto di professare e di manifestare, in-dividualmente o comunitariamente, la propria religione o la propriafede, sia in pubblico che in privato, nell’insegnamento, nelle pratiche,nelle pubblicazioni, nel culto e nell’osservanza dei riti. Non dovrebbeincontrare ostacoli se volesse, eventualmente, aderire ad un’altra reli-gione o non professarne alcuna. In questo ambito, l’ordinamento in-ternazionale risulta emblematico ed è un riferimento essenziale per gliStati, in quanto non consente alcuna deroga alla libertà religiosa, salvola legittima esigenza dell’ordine pubblico informato a giustizia.7 L’ordi-namento internazionale riconosce così ai diritti di natura religiosa lostesso status del diritto alla vita e alla libertà personale, a riprova dellaloro appartenenza al nucleo essenziale dei diritti dell’uomo, a quei di-ritti universali e naturali che la legge umana non può mai negare.

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La libertà religiosa non è patrimonio esclusivo dei credenti, madell’intera famiglia dei popoli della terra. È elemento imprescindibiledi uno Stato di diritto; non la si può negare senza intaccare nel con-tempo tutti i diritti e le libertà fondamentali, essendone sintesi e ver-tice. Essa è “la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti glialtri diritti umani”.8 Mentre favorisce l’esercizio delle facoltà più spe-cificamente umane, crea le premesse necessarie per la realizzazionedi uno sviluppo integrale, che riguarda unitariamente la totalità dellapersona in ogni sua dimensione.9

La dimensione pubblica della religione

6. La libertà religiosa, come ogni libertà, pur muovendo dalla sfe-ra personale, si realizza nella relazione con gli altri. Una libertà sen-za relazione non è libertà compiuta. Anche la libertà religiosa non siesaurisce nella sola dimensione individuale, ma si attua nella propriacomunità e nella società, coerentemente con l’essere relazionale del-la persona e con la natura pubblica della religione.

La relazionalità è una componente decisiva della libertà religiosa,che spinge le comunità dei credenti a praticare la solidarietà per ilbene comune. In questa dimensione comunitaria ciascuna personaresta unica e irripetibile e, al tempo stesso, si completa e si realizzapienamente.

E’ innegabile il contributo che le comunità religiose apportano al-la società. Sono numerose le istituzioni caritative e culturali che atte-stano il ruolo costruttivo dei credenti per la vita sociale. Più impor-tante ancora è il contributo etico della religione nell’ambito politico.Esso non dovrebbe essere marginalizzato o vietato, ma compresocome valido apporto alla promozione del bene comune. In questaprospettiva bisogna menzionare la dimensione religiosa della cultu-ra, tessuta attraverso i secoli grazie ai contributi sociali e soprattuttoetici della religione. Tale dimensione non costituisce in nessun mo-do una discriminazione di coloro che non ne condividono la creden-za, ma rafforza, piuttosto, la coesione sociale, l’integrazione e la soli-darietà.

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Libertà religiosa, forza di libertà e di civiltà: i pericoli dellasua strumentalizzazione

7. La strumentalizzazione della libertà religiosa per mascherare inte-ressi occulti, come ad esempio il sovvertimento dell’ordine costituito,l’accaparramento di risorse o il mantenimento del potere da parte diun gruppo, può provocare danni ingentissimi alle società. Il fanati-smo, il fondamentalismo, le pratiche contrarie alla dignità umana, nonpossono essere mai giustificati e lo possono essere ancora di meno secompiuti in nome della religione. La professione di una religione nonpuò essere strumentalizzata, né imposta con la forza. Bisogna, allora,che gli Stati e le varie comunità umane non dimentichino mai che lalibertà religiosa è condizione per la ricerca della verità e la verità nonsi impone con la violenza ma con “la forza della verità stessa”.10 Inquesto senso, la religione è una forza positiva e propulsiva per la co-struzione della società civile e politica.

Come negare il contributo delle grandi religioni del mondo allo svi-luppo della civiltà? La sincera ricerca di Dio ha portato ad un maggio-re rispetto della dignità dell’uomo. Le comunità cristiane, con il loropatrimonio di valori e principi, hanno fortemente contribuito alla pre-sa di coscienza delle persone e dei popoli circa la propria identità edignità, nonché alla conquista di istituzioni democratiche e all’afferma-zione dei diritti dell’uomo e dei suoi corrispettivi doveri.

Anche oggi i cristiani, in una società sempre più globalizzata, sonochiamati, non solo con un responsabile impegno civile, economico epolitico, ma anche con la testimonianza della propria carità e fede, adoffrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante impegno per lagiustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamentodelle realtà umane. L’esclusione della religione dalla vita pubblica sot-trae a questa uno spazio vitale che apre alla trascendenza. Senza que-st’esperienza primaria risulta arduo orientare le società verso principietici universali e diventa difficile stabilire ordinamenti nazionali e in-ternazionali in cui i diritti e le libertà fondamentali possano essere pie-namente riconosciuti e realizzati, come si propongono gli obiettivi -purtroppo ancora disattesi o contraddetti - della Dichiarazione Univer-sale dei diritti dell’uomo del 1948.

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Una questione di giustizia e di civiltà: il fondamentalismo e l’o-stilità contro i credenti pregiudicano la laicità positiva degli Stati

8. La stessa determinazione con la quale sono condannate tutte leforme di fanatismo e di fondamentalismo religioso, deve animare an-che l’opposizione a tutte le forme di ostilità contro la religione, che li-mitano il ruolo pubblico dei credenti nella vita civile e politica.

Non si può dimenticare che il fondamentalismo religioso e il laici-smo sono forme speculari ed estreme di rifiuto del legittimo plurali-smo e del principio di laicità. Entrambe, infatti, assolutizzano una vi-sione riduttiva e parziale della persona umana, favorendo, nel primocaso, forme di integralismo religioso e, nel secondo, di razionalismo.La società che vuole imporre o, al contrario, negare la religione con laviolenza, è ingiusta nei confronti della persona e di Dio, ma anche dise stessa. Dio chiama a sé l’umanità con un disegno di amore che,mentre coinvolge tutta la persona nella sua dimensione naturale e spi-rituale, richiede di corrispondervi in termini di libertà e di responsabi-lità, con tutto il cuore e con tutto il proprio essere, individuale e co-munitario. Anche la società, dunque, in quanto espressione della per-sona e dell’insieme delle sue dimensioni costitutive, deve vivere edorganizzarsi in modo da favorirne l’apertura alla trascendenza. Proprioper questo, le leggi e le istituzioni di una società non possono essereconfigurate ignorando la dimensione religiosa dei cittadini o in mododa prescinderne del tutto. Esse devono commisurarsi - attraverso l’o-pera democratica di cittadini coscienti della propria alta vocazione -all’essere della persona, per poterlo assecondare nella sua dimensionereligiosa. Non essendo questa una creazione dello Stato, non può es-serne manipolata, dovendo piuttosto riceverne riconoscimento e ri-spetto.

L’ordinamento giuridico a tutti i livelli, nazionale e internazionale,quando consente o tollera il fanatismo religioso o antireligioso, vienemeno alla sua stessa missione, che consiste nel tutelare e nel promuo-vere la giustizia e il diritto di ciascuno. Tali realtà non possono essereposte in balia dell’arbitrio del legislatore o della maggioranza, perché,come insegnava già Cicerone, la giustizia consiste in qualcosa di più

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di un mero atto produttivo della legge e della sua applicazione. Essaimplica il riconoscere a ciascuno la sua dignità,11 la quale, senza li-bertà religiosa, garantita e vissuta nella sua essenza, risulta mutilata eoffesa, esposta al rischio di cadere nel predominio degli idoli, di benirelativi trasformati in assoluti. Tutto ciò espone la società al rischio ditotalitarismi politici e ideologici, che enfatizzano il potere pubblico,mentre sono mortificate o coartate, quasi fossero concorrenziali, le li-bertà di coscienza, di pensiero e di religione.

Dialogo tra istituzioni civili e religiose

9. Il patrimonio di principi e di valori espressi da una religiosità au-tentica è una ricchezza per i popoli e i loro ethos. Esso parla diretta-mente alla coscienza e alla ragione degli uomini e delle donne, ram-menta l’imperativo della conversione morale, motiva a coltivare la pra-tica delle virtù e ad avvicinarsi l’un l’altro con amore, nel segno dellafraternità, come membri della grande famiglia umana.12

Nel rispetto della laicità positiva delle istituzioni statali, la dimensio-ne pubblica della religione deve essere sempre riconosciuta. A tal fineè fondamentale un sano dialogo tra le istituzioni civili e quelle religio-se per lo sviluppo integrale della persona umana e dell’armonia dellasocietà.

Vivere nell’amore e nella verità

10. Nel mondo globalizzato, caratterizzato da società sempre piùmulti-etniche e multi-confessionali, le grandi religioni possono costi-tuire un importante fattore di unità e di pace per la famiglia umana.Sulla base delle proprie convinzioni religiose e della ricerca razionaledel bene comune, i loro seguaci sono chiamati a vivere con responsa-bilità il proprio impegno in un contesto di libertà religiosa. Nelle sva-riate culture religiose, mentre dev’essere rigettato tutto quello che ècontro la dignità dell’uomo e della donna, occorre invece fare tesorodi ciò che risulta positivo per la convivenza civile.

Lo spazio pubblico, che la comunità internazionale rende disponi-bile per le religioni e per la loro proposta di “vita buona”, favorisce

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l’emergere di una misura condivisibile di verità e di bene, come ancheun consenso morale, fondamentali per una convivenza giusta e pacifi-ca. I leader delle grandi religioni, per il loro ruolo, la loro influenza ela loro autorità nelle proprie comunità, sono i primi ad essere chiama-ti al rispetto reciproco e al dialogo.

I cristiani, da parte loro, sono sollecitati dalla stessa fede in Dio, Pa-dre del Signore Gesù Cristo, a vivere come fratelli che si incontranonella Chiesa e collaborano all’edificazione di un mondo dove le per-sone e i popoli “non agiranno più iniquamente né saccheggeranno[…], perché la conoscenza del Signore riempirà la terracome le acquericoprono il mare” (Is 11, 9).

Dialogo come ricerca in comune

11. Per la Chiesa il dialogo tra i seguaci di diverse religioni costitui-sce uno strumento importante per collaborare con tutte le comunitàreligiose al bene comune. La Chiesa stessa nulla rigetta di quanto èvero e santo nelle varie religioni. “Essa considera con sincero rispettoquei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che,quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede epropone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella veritàche illumina tutti gli uomini”.13

Quella indicata non è la strada del relativismo, o del sincretismo re-ligioso. La Chiesa, infatti, “annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cri-sto che è «via, verità e vita» (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovarela pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stes-so tutte le cose”.14 Ciò non esclude tuttavia il dialogo e la ricerca co-mune della verità in diversi ambiti vitali, poiché, come recita un’e-spressione usata spesso da san Tommaso d’Aquino, “ogni verità, dachiunque sia detta, proviene dallo Spirito Santo”.15

Nel 2011 ricorre il 25° anniversario della Giornata mondiale di pre-ghiera per la pace, convocata ad Assisi nel 1986 dal Venerabile Gio-vanni Paolo II. In quell’occasione i leader delle grandi religioni delmondo hanno testimoniato come la religione sia un fattore di unionee di pace, e non di divisione e di conflitto. Il ricordo di quell’esperien-

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za è un motivo di speranza per un futuro in cui tutti i credenti si sen-tano e si rendano autenticamente operatori di giustizia e di pace.

Verità morale nella politica e nella diplomazia

12. La politica e la diplomazia dovrebbero guardare al patrimoniomorale e spirituale offerto dalle grandi religioni del mondo per rico-noscere e affermare verità, principi e valori universali che non posso-no essere negati senza negare con essi la dignità della persona uma-na. Ma che cosa significa, in termini pratici, promuovere la verità mo-rale nel mondo della politica e della diplomazia? Vuol dire agire inmaniera responsabile sulla base della conoscenza oggettiva e integraledei fatti; vuol dire destrutturare ideologie politiche che finiscono persoppiantare la verità e la dignità umana e intendono promuoverepseudo-valori con il pretesto della pace, dello sviluppo e dei dirittiumani; vuol dire favorire un impegno costante per fondare la leggepositiva sui principi della legge naturale.16 Tutto ciò è necessario ecoerente con il rispetto della dignità e del valore della persona uma-na, sancito dai Popoli della terra nella Carta dell’Organizzazione delleNazioni Unite del 1945, che presenta valori e principi morali universalidi riferimento per le norme, le istituzioni, i sistemi di convivenza a li-vello nazionale e internazionale.

Oltre l’odio e il pregiudizio

13. Nonostante gli insegnamenti della storia e l’impegno degli Stati,delle Organizzazioni internazionali a livello mondiale e locale, delleOrganizzazioni non governative e di tutti gli uomini e le donne dibuona volontà che ogni giorno si spendono per la tutela dei diritti edelle libertà fondamentali, nel mondo ancora oggi si registrano perse-cuzioni, discriminazioni, atti di violenza e di intolleranza basati sullareligione. In particolare, in Asia e in Africa le principali vittime sono imembri delle minoranze religiose, ai quali viene impedito di professa-re liberamente la propria religione o di cambiarla, attraverso l’intimi-dazione e la violazione dei diritti, delle libertà fondamentali e dei beniessenziali, giungendo fino alla privazione della libertà personale odella stessa vita.

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Vi sono poi - come ho già affermato - forme più sofisticate di osti-lità contro la religione, che nei Paesi occidentali si esprimono talvoltacol rinnegamento della storia e dei simboli religiosi nei quali si rispec-chiano l’identità e la cultura della maggioranza dei cittadini. Esse fo-mentano spesso l’odio e il pregiudizio e non sono coerenti con unavisione serena ed equilibrata del pluralismo e della laicità delle istitu-zioni, senza contare che le nuove generazioni rischiano di non entrarein contatto con il prezioso patrimonio spirituale dei loro Paesi.

La difesa della religione passa attraverso la difesa dei diritti e dellelibertà delle comunità religiose. I leader delle grandi religioni delmondo e i responsabili delle Nazioni rinnovino, allora, l’impegno perla promozione e la tutela della libertà religiosa, in particolare per ladifesa delle minoranze religiose, le quali non costituiscono una minac-cia contro l’identità della maggioranza, ma sono al contrario un’oppor-tunità per il dialogo e per il reciproco arricchimento culturale. La lorodifesa rappresenta la maniera ideale per consolidare lo spirito di be-nevolenza, di apertura e di reciprocità con cui tutelare i diritti e le li-bertà fondamentali in tutte le aree e le regioni del mondo.

Libertà religiosa nel mondo

14. Mi rivolgo, infine, alle comunità cristiane che soffrono persecu-zioni, discriminazioni, atti di violenza e intolleranza, in particolare inAsia, in Africa, nel Medio Oriente e specialmente nella Terra Santa,luogo prescelto e benedetto da Dio. Mentre rinnovo ad esse il mio af-fetto paterno e assicuro la mia preghiera, chiedo a tutti i responsabilidi agire prontamente per porre fine ad ogni sopruso contro i cristiani,che abitano in quelle regioni. Possano i discepoli di Cristo, dinanzi al-le presenti avversità, non perdersi d’animo, perché la testimonianzadel Vangelo è e sarà sempre segno di contraddizione.

Meditiamo nel nostro cuore le parole del Signore Gesù: “Beatiquelli che sono nel pianto, perché saranno consolati […]. Beati quelliche hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati [...]. Beativoi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, dirannoogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esulta-te, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5,4-12). Rinno-

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viamo allora “l’impegno da noi assunto all’indulgenza e al perdono,che invochiamo nel Pater noster da Dio, per aver noi stessi posta lacondizione e la misura della desiderata misericordia. Infatti, preghia-mo così: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostridebitori» (Mt 6,12)”.17 La violenza non si supera con la violenza. Il no-stro grido di dolore sia sempre accompagnato dalla fede, dalla speran-za e dalla testimonianza dell’amore di Dio. Esprimo anche il mio au-spicio affinché in Occidente, specie in Europa, cessino l’ostilità e ipregiudizi contro i cristiani per il fatto che essi intendono orientare lapropria vita in modo coerente ai valori e ai principi espressi nel Van-gelo. L’Europa, piuttosto, sappia riconciliarsi con le proprie radici cri-stiane, che sono fondamentali per comprendere il ruolo che ha avuto,che ha e che intende avere nella storia; saprà, così, sperimentare giu-stizia, concordia e pace, coltivando un sincero dialogo con tutti i po-poli.

Libertà religiosa, via per la pace

15. Il mondo ha bisogno di Dio. Ha bisogno di valori etici e spiri-tuali, universali e condivisi, e la religione può offrire un contributoprezioso nella loro ricerca, per la costruzione di un ordine sociale giu-sto e pacifico, a livello nazionale e internazionale.

La pace è un dono di Dio e al tempo stesso un progetto da realiz-zare, mai totalmente compiuto. Una società riconciliata con Dio è piùvicina alla pace, che non è semplice assenza di guerra, non è merofrutto del predominio militare o economico, né tantomeno di astuzieingannatrici o di abili manipolazioni. La pace invece è risultato di unprocesso di purificazione ed elevazione culturale, morale e spiritualedi ogni persona e popolo, nel quale la dignità umana è pienamente ri-spettata. Invito tutti coloro che desiderano farsi operatori di pace, esoprattutto i giovani, a mettersi in ascolto della propria voce interiore,per trovare in Dio il riferimento stabile per la conquista di un’autenti-ca libertà, la forza inesauribile per orientare il mondo con uno spiritonuovo, capace di non ripetere gli errori del passato. Come insegna ilServo di Dio Paolo VI, alla cui saggezza e lungimiranza si deve l’istitu-zione della Giornata Mondiale della Pace: “Occorre innanzi tutto dare

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alla Pace altre armi, che non quelle destinate ad uccidere e a stermi-nare l’umanità. Occorrono sopra tutto le armi morali, che danno forzae prestigio al diritto internazionale; quelle, per prime, dell’osservanzadei patti”.18 La libertà religiosa è un’autentica arma della pace, con unamissione storica e profetica. Essa infatti valorizza e mette a frutto lepiù profonde qualità e potenzialità della persona umana, capaci dicambiare e rendere migliore il mondo. Essa consente di nutrire la spe-ranza verso un futuro di giustizia e di pace, anche dinanzi alle graviingiustizie e alle miserie materiali e morali. Che tutti gli uomini e lesocietà ad ogni livello ed in ogni angolo della Terra possano prestosperimentare la libertà religiosa, via per la pace!

Dal Vaticano, 8 dicembre 2010

1 Cfr BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 29.55-57.2 Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 2.3 Cfr BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 78.4 Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non

cristiane Nostra aetate, 1. 5 Id., Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 7.6 BENEDETTO XVI, Discorso all’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni

Unite (18 aprile 2008): AAS 100 (2008), 337. 7 Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 28 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Partecipanti all’Assemblea Parlamentare dell’Organiz-

zazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) (10 ottobre 2003), 1: AAS 96(2004), 111.

9 Cfr BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 11.10 Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 1.11 Cfr CICERONE, De inventione, II, 160. 12 Cfr BENEDETTO XVI, Discorso ai Rappresentanti di altre Religioni del Regno Unito (17

settembre 2010): L’Osservatore Romano (18 settembre 2010), p. 12.13 CONC. ECUM. VAT. II, Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cri-

stiane Nostra aetate, 2.14 Ibidem.15 Super evangelium Joannis, I, 3.16 Cfr BENEDETTO XVI, Discorso alle Autorità civili e al Corpo diplomatico a Cipro (5 giu-

gno 2010): L’Osservatore Romano (6 giugno 2010), p. 8; Commissione Teologica Internazio-nale, Alla ricerca di un’etica universale: uno sguardo sulla legge naturale, Città del Vaticano2009.

17 PAOLO VI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1976: AAS 67 (1975), 671.18 Ibid., p. 668.

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Per la Giornata Mondiale del Migrantee del Rifugiato 2011

16 gennaio 2011

“UNA SOLA FAMIGLIA UMANA”

Cari Fratelli e Sorelle,

la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato offre l’opportu-nità, per tutta la Chiesa, di riflettere su un tema legato al crescente fe-nomeno della migrazione, di pregare affinché i cuori si aprano all’ac-coglienza cristiana e di operare perché crescano nel mondo la giusti-zia e la carità, colonne per la costruzione di una pace autentica e du-ratura. “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”(Gv 13,34) è l’invito che il Signore ci rivolge con forza e ci rinnova co-stantemente: se il Padre ci chiama ad essere figli amati nel suo Figlioprediletto, ci chiama anche a riconoscerci tutti come fratelli in Cristo.

Da questo legame profondo tra tutti gli esseri umani nasce il temache ho scelto quest’anno per la nostra riflessione: “Una sola famigliaumana”, una sola famiglia di fratelli e sorelle in società che si fannosempre più multietniche e interculturali, dove anche le persone di va-rie religioni sono spinte al dialogo, perché si possa trovare una serenae fruttuosa convivenza nel rispetto delle legittime differenze. Il Conci-lio Vaticano II afferma che “tutti i popoli costituiscono una sola comu-nità. Essi hanno una sola origine poiché Dio ha fatto abitare l’interogenere umano su tutta la faccia della terra (cfr At 17,26); essi hannoanche un solo fine ultimo, Dio, del quale la provvidenza, la testimo-nianza di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti” (Dich.Nostra aetate, 1). Così, noi “non viviamo gli uni accanto agli altri percaso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini equindi come fratelli e sorelle” (Messaggio per la Giornata Mondialedella Pace 2008, 6).

La strada è la stessa, quella della vita, ma le situazioni che attraver-siamo in questo percorso sono diverse: molti devono affrontare la dif-

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ficile esperienza della migrazione, nelle sue diverse espressioni: inter-ne o internazionali, permanenti o stagionali, economiche o politiche,volontarie o forzate. In vari casi la partenza dal proprio Paese è spintada diverse forme di persecuzione, così che la fuga diventa necessaria.Il fenomeno stesso della globalizzazione, poi, caratteristico della no-stra epoca, non è solo un processo socio-economico, ma comportaanche “un’umanità che diviene sempre più interconnessa”, superandoconfini geografici e culturali. A questo proposito, la Chiesa non cessadi ricordare che il senso profondo di questo processo epocale e il suocriterio etico fondamentale sono dati proprio dall’unità della famigliaumana e dal suo sviluppo nel bene (cfr Benedetto XVI, Enc. Caritasin veritate, 42). Tutti, dunque, fanno parte di una sola famiglia, mi-granti e popolazioni locali che li accolgono, e tutti hanno lo stesso di-ritto ad usufruire dei beni della terra, la cui destinazione è universale,come insegna la dottrina sociale della Chiesa. Qui trovano fondamen-to la solidarietà e la condivisione.

“In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l’impe-gno per esso non possono non assumere le dimensioni dell’intera fa-miglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle Nazioni,così da dare forma di unità e di pace alla città dell’uomo, e renderlain qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barrie-re di Dio” (Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 7). E’ questa laprospettiva con cui guardare anche la realtà delle migrazioni. Infatti,come già osservava il Servo di Dio Paolo VI, “la mancanza di fraternitàtra gli uomini e tra i popoli” è causa profonda del sottosviluppo (Enc.Populorum progressio, 66) e – possiamo aggiungere – incide forte-mente sul fenomeno migratorio. La fraternità umana è l’esperienza, avolte sorprendente, di una relazione che accomuna, di un legameprofondo con l’altro, differente da me, basato sul semplice fatto di es-sere uomini. Assunta e vissuta responsabilmente, essa alimenta una vi-ta di comunione e condivisione con tutti, in particolare con i migranti;sostiene la donazione di sé agli altri, al loro bene, al bene di tutti, nel-la comunità politica locale, nazionale e mondiale.

Il Venerabile Giovanni Paolo II, in occasione di questa stessa Gior-nata celebrata nel 2001, sottolineò che “[il bene comune universale]

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abbraccia l’intera famiglia dei popoli, al di sopra di ogni egoismo na-zionalista. È in questo contesto che va considerato il diritto ad emigra-re. La Chiesa lo riconosce ad ogni uomo, nel duplice aspetto di possi-bilità di uscire dal proprio Paese e possibilità di entrare in un altro allaricerca di migliori condizioni di vita” (Messaggio per la Giornata Mon-diale delle Migrazioni 2001, 3; cfr Giovanni XXIII, Enc. Mater et Magi-stra, 30; Paolo VI, Enc. Octogesima adveniens, 17). Al tempo stesso,gli Stati hanno il diritto di regolare i flussi migratori e di difendere leproprie frontiere, sempre assicurando il rispetto dovuto alla dignità diciascuna persona umana. Gli immigrati, inoltre, hanno il dovere di in-tegrarsi nel Paese di accoglienza, rispettandone le leggi e l’identità na-zionale. “Si tratterà allora di coniugare l’accoglienza che si deve a tuttigli esseri umani, specie se indigenti, con la valutazione delle condizio-ni indispensabili per una vita dignitosa e pacifica per gli abitanti origi-nari e per quelli sopraggiunti” (Giovanni Paolo II, Messaggio per laGiornata Mondiale della Pace 2001, 13).

In questo contesto, la presenza della Chiesa, quale popolo di Dioin cammino nella storia in mezzo a tutti gli altri popoli, è fonte di fi-ducia e di speranza. La Chiesa, infatti, è “in Cristo sacramento, ossiasegno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto ilgenere umano” (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1);e, grazie all’azione in essa dello Spirito Santo, “gli sforzi intesi a realiz-zare la fraternità universale non sono vani” (Idem, Cost. past. Gau-dium et spes, 38). E’ in modo particolare la santa Eucaristia a costitui-re, nel cuore della Chiesa, una sorgente inesauribile di comunione perl’intera umanità. Grazie ad essa, il Popolo di Dio abbraccia “ogni na-zione, tribù, popolo e lingua” (Ap 7,9) non con una sorta di potere sa-cro, ma con il superiore servizio della carità. In effetti, l’esercizio dellacarità, specialmente verso i più poveri e deboli, è criterio che proval’autenticità delle celebrazioni eucaristiche (cfr Giovanni Paolo II, Lett.ap. Mane nobiscum Domine, 28).

Alla luce del tema “Una sola famiglia umana”, va considerata speci-ficamente la situazione dei rifugiati e degli altri migranti forzati, chesono una parte rilevante del fenomeno migratorio. Nei confronti diqueste persone, che fuggono da violenze e persecuzioni, la Comunità

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internazionale ha assunto impegni precisi. Il rispetto dei loro diritti,come pure delle giuste preoccupazioni per la sicurezza e la coesionesociale, favoriscono una convivenza stabile ed armoniosa.

Anche nel caso dei migranti forzati la solidarietà si alimenta alla “ri-serva” di amore che nasce dal considerarci una sola famiglia umana e,per i fedeli cattolici, membri del Corpo Mistico di Cristo: ci troviamoinfatti a dipendere gli uni dagli altri, tutti responsabili dei fratelli e del-le sorelle in umanità e, per chi crede, nella fede. Come già ebbi occa-sione di dire, “accogliere i rifugiati e dare loro ospitalità è per tutti undoveroso gesto di umana solidarietà, affinché essi non si sentano iso-lati a causa dell’intolleranza e del disinteresse” (Udienza Generale del20 giugno 2007: Insegnamenti II,1 (2007), 1158). Ciò significa chequanti sono forzati a lasciare le loro case o la loro terra saranno aiutatia trovare un luogo dove vivere in pace e sicurezza, dove lavorare eassumere i diritti e doveri esistenti nel Paese che li accoglie, contri-buendo al bene comune, senza dimenticare la dimensione religiosadella vita.

Un particolare pensiero, sempre accompagnato dalla preghiera,vorrei rivolgere infine agli studenti esteri e internazionali, che pure so-no una realtà in crescita all’interno del grande fenomeno migratorio.Si tratta di una categoria anche socialmente rilevante in prospettivadel loro rientro, come futuri dirigenti, nei Paesi di origine. Essi costi-tuiscono dei “ponti” culturali ed economici tra questi Paesi e quelli diaccoglienza, e tutto ciò va proprio nella direzione di formare “una so-la famiglia umana”. E’ questa convinzione che deve sostenere l’impe-gno a favore degli studenti esteri e accompagnare l’attenzione per iloro problemi concreti, quali le ristrettezze economiche o il disagio disentirsi soli nell’affrontare un ambiente sociale e universitario moltodiverso, come pure le difficoltà di inserimento. A questo proposito, mipiace ricordare che “appartenere ad una comunità universitaria … si-gnifica stare nel crocevia delle culture che hanno plasmato il mondomoderno” (Giovanni Paolo II, Ai Vescovi Statunitensi delle Provincieecclesiastiche di Chicago, Indianapolis e Milwaukee in visita “ad limi-na”, 30 maggio 1998, 6: Insegnamenti XXI,1 [1998], 1116). Nella scuo-la e nell’università si forma la cultura delle nuove generazioni: da

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queste istituzioni dipende in larga misura la loro capacità di guardareall’umanità come ad una famiglia chiamata ad essere unita nella diver-sità.

Cari fratelli e sorelle, il mondo dei migranti è vasto e diversificato.Conosce esperienze meravigliose e promettenti, come pure, purtrop-po, tante altre drammatiche e indegne dell’uomo e di società che sidicono civili. Per la Chiesa, questa realtà costituisce un segno elo-quente dei nostri tempi, che porta in maggiore evidenza la vocazionedell’umanità a formare una sola famiglia, e, al tempo stesso, le diffi-coltà che, invece di unirla, la dividono e la lacerano. Non perdiamo lasperanza, e preghiamo insieme Dio, Padre di tutti, perché ci aiuti adessere, ciascuno in prima persona, uomini e donne capaci di relazionifraterne; e, sul piano sociale, politico ed istituzionale, si accrescano lacomprensione e la stima reciproca tra i popoli e le culture. Con questiauspici, invocando l’intercessione di Maria Santissima Stella maris, in-vio di cuore a tutti la Benedizione Apostolica, in modo speciale ai mi-granti ed ai rifugiati e a quanti operano in questo importante ambito.

Da Castel Gandolfo, 27 settembre 2010

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Per la 19ª Giornata Mondiale del Malato

11 febbraio 2011

Cari fratelli e sorelle!

Ogni anno, nella ricorrenza della memoria della Beata Vergine diLourdes, che si celebra l’11 febbraio, la Chiesa propone la GiornataMondiale del Malato. Tale circostanza, come ha voluto il venerabileGiovanni Paolo II, diventa occasione propizia per riflettere sul misterodella sofferenza e, soprattutto, per rendere più sensibili le nostre co-munità e la società civile verso i fratelli e le sorelle malati. Se ogni uo-mo è nostro fratello, tanto più il debole, il sofferente e il bisognoso dicura devono essere al centro della nostra attenzione, perché nessunodi loro si senta dimenticato o emarginato; infatti “la misura dell´uma-nità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e colsofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una societàche non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuiremediante la compassione a far sì che la sofferenza venga condivisa eportata anche interiormente è una società crudele e disumana” (Lett.enc. Spe salvi, 38). Le iniziative che saranno promosse nelle singoleDiocesi in occasione di questa Giornata, siano di stimolo a renderesempre più efficace la cura verso i sofferenti, nella prospettiva anchedella celebrazione in modo solenne, che avrà luogo, nel 2013, al San-tuario mariano di Altötting, in Germania.

1. Ho ancora nel cuore il momento in cui, nel corso della visita pa-storale a Torino, ho potuto sostare in riflessione e preghiera davantialla Sacra Sindone, davanti a quel volto sofferente, che ci invita a me-ditare su Colui che ha portato su di sé la passione dell´uomo di ognitempo e di ogni luogo, anche le nostre sofferenze, le nostre difficoltà,i nostri peccati. Quanti fedeli, nel corso della storia, sono passati da-vanti a quel telo sepolcrale, che ha avvolto il corpo di un uomo croci-fisso, che in tutto corrisponde a ciò che i Vangeli ci trasmettono sullapassione e morte di Gesù! Contemplarlo è un invito a riflettere suquanto scrive san Pietro: “dalle sue piaghe siete stati guariti” (1Pt

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2,24). Il Figlio di Dio ha sofferto, è morto, ma è risorto, e proprio perquesto quelle piaghe diventano il segno della nostra redenzione, delperdono e della riconciliazione con il Padre; diventano, però, ancheun banco di prova per la fede dei discepoli e per la nostra fede: ognivolta che il Signore parla della sua passione e morte, essi non com-prendono, rifiutano, si oppongono. Per loro, come per noi, la soffe-renza rimane sempre carica di mistero, difficile da accettare e da por-tare. I due discepoli di Emmaus camminano tristi per gli avvenimentiaccaduti in quei giorni a Gerusalemme, e solo quando il Risorto per-corre la strada con loro, si aprono ad una visione nuova (cfr Lc 24,13-31). Anche l’apostolo Tommaso mostra la fatica di credere alla via del-la passione redentrice: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chio-di e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la miamano nel suo fianco, io non credo” (Gv 20,25). Ma di fronte a Cristoche mostra le sue piaghe, la sua risposta si trasforma in una commo-vente professione di fede: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28). Ciòche prima era un ostacolo insormontabile, perché segno dell´apparen-te fallimento di Gesù, diventa, nell´incontro con il Risorto, la prova diun amore vittorioso: “Solo un Dio che ci ama fino a prendere su di séle nostre ferite e il nostro dolore, soprattutto quello innocente, è de-gno di fede” (Messaggio Urbi et Orbi, Pasqua 2007).

2. Cari ammalati e sofferenti, è proprio attraverso le piaghe del Cri-sto che noi possiamo vedere, con occhi di speranza, tutti i mali cheaffliggono l´umanità. Risorgendo, il Signore non ha tolto la sofferenzae il male dal mondo, ma li ha vinti alla radice. Alla prepotenza delMale ha opposto l´onnipotenza del suo Amore. Ci ha indicato, allora,che la via della pace e della gioia è l´Amore: “Come io ho amato voi,così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Cristo, vincitoredella morte, è vivo in mezzo a noi. E mentre con san Tommaso dicia-mo anche noi: “Mio Signore e mio Dio!”, seguiamo il nostro Maestronella disponibilità a spendere la vita per i nostri fratelli (cfr 1Gv 3,16),diventando messaggeri di una gioia che non teme il dolore, la gioiadella Risurrezione.

San Bernardo afferma: “Dio non può patire, ma può compatire”.Dio, la Verità e l´Amore in persona, ha voluto soffrire per noi e con

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noi; si è fatto uomo per poter com-patire con l´uomo, in modo reale,in carne e sangue. In ogni sofferenza umana, allora, è entrato Unoche condivide la sofferenza e la sopportazione; in ogni sofferenza sidiffonde la con-solatio, la consolazione dell´amore partecipe di Dioper far sorgere la stella della speranza (cfr Lett. enc. Spe salvi, 39).

A voi, cari fratelli e sorelle, ripeto questo messaggio, perché ne sia-te testimoni attraverso la vostra sofferenza, la vostra vita e la vostra fe-de.

3. Guardando all’appuntamento di Madrid, nel prossimo agosto2011, per la Giornata Mondiale della Gioventù, vorrei rivolgere ancheun particolare pensiero ai giovani, specialmente a coloro che vivonol’esperienza della malattia. Spesso la Passione, la Croce di Gesù fannopaura, perché sembrano essere la negazione della vita. In realtà, èesattamente il contrario! La Croce è il “sì” di Dio all´uomo, l’espressio-ne più alta e più intensa del suo amore e la sorgente da cui sgorga lavita eterna. Dal cuore trafitto di Gesù è sgorgata questa vita divina.Solo Lui è capace di liberare il mondo dal male e di far crescere il suoRegno di giustizia, di pace e di amore al quale tutti aspiriamo (cfrMessaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù 2011, 3). Cari gio-vani, imparate a “vedere” e a “incontrare” Gesù nell´Eucaristia, dove èpresente in modo reale per noi, fino a farsi cibo per il cammino, masappiatelo riconoscere e servire anche nei poveri, nei malati, nei fra-telli sofferenti e in difficoltà, che hanno bisogno del vostro aiuto (cfribid., 4). A tutti voi giovani, malati e sani, ripeto l´invito a creare pontidi amore e solidarietà, perché nessuno si senta solo, ma vicino a Dioe parte della grande famiglia dei suoi figli (cfr Udienza generale, 15novembre 2006).

4. Contemplando le piaghe di Gesù il nostro sguardo si rivolge alsuo Cuore sacratissimo, in cui si manifesta in sommo grado l´amore diDio. Il Sacro Cuore è Cristo crocifisso, con il costato aperto dalla lan-cia dal quale scaturiscono sangue ed acqua (cfr Gv 19,34), “simbolodei sacramenti della Chiesa, perché tutti gli uomini, attirati al Cuoredel Salvatore, attingano con gioia alla fonte perenne della salvezza”(Messale Romano, Prefazio della Solennità del Sacratissimo Cuore di

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Gesù). Specialmente voi, cari malati, sentite la vicinanza di questoCuore carico di amore e attingete con fede e con gioia a tale fonte,pregando: “Acqua del costato di Cristo, lavami. Passione di Cristo, for-tificami. Oh buon Gesù, esaudiscimi. Nelle tue piaghe, nascondimi”(Preghiera di S. Ignazio di Loyola).

5. Al termine di questo mio Messaggio per la prossima GiornataMondiale del Malato, desidero esprimere il mio affetto a tutti e a cia-scuno, sentendomi partecipe delle sofferenze e delle speranze che vi-vete quotidianamente in unione a Cristo crocifisso e risorto, perché vidoni la pace e la guarigione del cuore. Insieme a Lui vegli accanto avoi la Vergine Maria, che invochiamo con fiducia Salute degli infermie Consolatrice dei sofferenti. Ai piedi della Croce si realizza per lei laprofezia di Simeone: il suo cuore di Madre è trafitto (cfr Lc 2,35).Dall´abisso del suo dolore, partecipazione a quello del Figlio, Maria èresa capace di accogliere la nuova missione: diventare la Madre diCristo nelle sue membra. Nell’ora della Croce, Gesù le presenta cia-scuno dei suoi discepoli dicendole: “Ecco tuo figlio” (cfr Gv 19,26-27).La compassione materna verso il Figlio, diventa compassione maternaverso ciascuno di noi nelle nostre quotidiane sofferenze (cfr Omelia aLourdes, 15 settembre 2008).

Cari fratelli e sorelle, in questa Giornata Mondiale del malato, invitoanche le Autorità affinché investano sempre più energie in strutturesanitarie che siano di aiuto e di sostegno ai sofferenti, soprattutto i piùpoveri e bisognosi, e, rivolgendo il mio pensiero a tutte le Diocesi, in-vio un affettuoso saluto ai Vescovi, ai sacerdoti, alle persone consacra-te, ai seminaristi, agli operatori sanitari, ai volontari e a tutti coloroche si dedicano con amore a curare e alleviare le piaghe di ogni fra-tello o sorella ammalati, negli ospedali o Case di Cura, nelle famiglie:nei volti dei malati sappiate vedere sempre il Volto dei volti: quello diCristo.

A tutti assicuro il mio ricordo nella preghiera, mentre imparto a cia-scuno una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 21 Novembre 2010, Festa di Cristo Re dell´Universo

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Per la Quaresima 2011

“CON CRISTO SIETE SEPOLTI NEL BATTESIMO, CON LUI SIETE ANCHE RISORTI”(cfr Col 2,12)

Cari fratelli e sorelle,

la Quaresima, che ci conduce alla celebrazione della Santa Pasqua,è per la Chiesa un tempo liturgico assai prezioso e importante, in vistadel quale sono lieto di rivolgere una parola specifica perché sia vissu-to con il dovuto impegno. Mentre guarda all’incontro definitivo con ilsuo Sposo nella Pasqua eterna, la Comunità ecclesiale, assidua nellapreghiera e nella carità operosa, intensifica il suo cammino di purifica-zione nello spirito, per attingere con maggiore abbondanza al Misterodella redenzione la vita nuova in Cristo Signore (cfr Prefazio I di Qua-resima).

1. Questa stessa vita ci è già stata trasmessa nel giorno del nostroBattesimo, quando, “divenuti partecipi della morte e risurrezione delCristo”, è iniziata per noi “l’avventura gioiosa ed esaltante del discepo-lo” (Omelia nella Festa del Battesimo del Signore, 10 gennaio 2010).San Paolo, nelle sue Lettere, insiste ripetutamente sulla singolare co-munione con il Figlio di Dio realizzata in questo lavacro. Il fatto chenella maggioranza dei casi il Battesimo si riceva da bambini mette inevidenza che si tratta di un dono di Dio: nessuno merita la vita eternacon le proprie forze. La misericordia di Dio, che cancella il peccato epermette di vivere nella propria esistenza “gli stessi sentimenti di Cri-sto Gesù” (Fil 2,5), viene comunicata all’uomo gratuitamente.

L’Apostolo delle genti, nella Lettera ai Filippesi, esprime il sensodella trasformazione che si attua con la partecipazione alla morte e ri-surrezione di Cristo, indicandone la meta: che “io possa conoscere lui,la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, fa-cendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla ri-surrezione dai morti” (Fil 3,10-11). Il Battesimo, quindi, non è un ritodel passato, ma l’incontro con Cristo che informa tutta l’esistenza del

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battezzato, gli dona la vita divina e lo chiama ad una conversione sin-cera, avviata e sostenuta dalla Grazia, che lo porti a raggiungere lastatura adulta del Cristo.

Un nesso particolare lega il Battesimo alla Quaresima come mo-mento favorevole per sperimentare la Grazia che salva. I Padri delConcilio Vaticano II hanno richiamato tutti i Pastori della Chiesa adutilizzare “più abbondantemente gli elementi battesimali propri dellaliturgia quaresimale” (Cost. Sacrosanctum Concilium, 109). Da sem-pre, infatti, la Chiesa associa la Veglia Pasquale alla celebrazione delBattesimo: in questo Sacramento si realizza quel grande mistero percui l’uomo muore al peccato, è fatto partecipe della vita nuova in Cri-sto Risorto e riceve lo stesso Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù daimorti (cfr Rm 8,11). Questo dono gratuito deve essere sempre ravviva-to in ciascuno di noi e la Quaresima ci offre un percorso analogo alcatecumenato, che per i cristiani della Chiesa antica, come pure per icatecumeni d’oggi, è una scuola insostituibile di fede e di vita cristia-na: davvero essi vivono il Battesimo come un atto decisivo per tutta laloro esistenza.

2. Per intraprendere seriamente il cammino verso la Pasqua e pre-pararci a celebrare la Risurrezione del Signore - la festa più gioiosa esolenne di tutto l’Anno liturgico - che cosa può esserci di più adattoche lasciarci condurre dalla Parola di Dio? Per questo la Chiesa, nei te-sti evangelici delle domeniche di Quaresima, ci guida ad un incontroparticolarmente intenso con il Signore, facendoci ripercorrere le tappedel cammino dell’iniziazione cristiana: per i catecumeni, nella prospet-tiva di ricevere il Sacramento della rinascita, per chi è battezzato, invista di nuovi e decisivi passi nella sequela di Cristo e nel dono piùpieno a Lui.

La prima domenica dell’itinerario quaresimale evidenzia la nostracondizione dell’uomo su questa terra. Il combattimento vittorioso con-tro le tentazioni, che dà inizio alla missione di Gesù, è un invito aprendere consapevolezza della propria fragilità per accogliere la Gra-zia che libera dal peccato e infonde nuova forza in Cristo, via, verità evita (cfr Ordo Initiationis Christianae Adultorum, n. 25). E’ un deciso

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richiamo a ricordare come la fede cristiana implichi, sull’esempio diGesù e in unione con Lui, una lotta “contro i dominatori di questomondo tenebroso” (Ef 6,12), nel quale il diavolo è all’opera e non sistanca, neppure oggi, di tentare l’uomo che vuole avvicinarsi al Signo-re: Cristo ne esce vittorioso, per aprire anche il nostro cuore alla spe-ranza e guidarci a vincere le seduzioni del male.

Il Vangelo della Trasfigurazione del Signore pone davanti ai nostriocchi la gloria di Cristo, che anticipa la risurrezione e che annuncia ladivinizzazione dell’uomo. La comunità cristiana prende coscienza diessere condotta, come gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, “in di-sparte, su un alto monte” (Mt 17,1), per accogliere nuovamente in Cri-sto, quali figli nel Figlio, il dono della Grazia di Dio: “Questi è il Figliomio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo” (v. 5).E’ l’invito a prendere le distanze dal rumore del quotidiano per im-mergersi nella presenza di Dio: Egli vuole trasmetterci, ogni giorno,una Parola che penetra nelle profondità del nostro spirito, dove di-scerne il bene e il male (cfr Eb 4,12) e rafforza la volontà di seguire ilSignore.

La domanda di Gesù alla Samaritana: “Dammi da bere” (Gv 4,7),che viene proposta nella liturgia della terza domenica, esprime la pas-sione di Dio per ogni uomo e vuole suscitare nel nostro cuore il desi-derio del dono dell’ “acqua che zampilla per la vita eterna” (v. 14): èil dono dello Spirito Santo, che fa dei cristiani “veri adoratori” in gradodi pregare il Padre “in spirito e verità” (v. 23). Solo quest’acqua puòestinguere la nostra sete di bene, di verità e di bellezza! Solo quest’ac-qua, donataci dal Figlio, irriga i deserti dell’anima inquieta e insoddi-sfatta, “finché non riposa in Dio”, secondo le celebri parole di sant’A-gostino.

La “domenica del cieco nato” presenta Cristo come luce del mon-do. Il Vangelo interpella ciascuno di noi: “Tu, credi nel Figlio dell’uo-mo?”. “Credo, Signore!” (Gv 9,35.38), afferma con gioia il cieco nato,facendosi voce di ogni credente. Il miracolo della guarigione è il se-gno che Cristo, insieme alla vista, vuole aprire il nostro sguardo inte-riore, perché la nostra fede diventi sempre più profonda e possiamo

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riconoscere in Lui l’unico nostro Salvatore. Egli illumina tutte le oscu-rità della vita e porta l’uomo a vivere da “figlio della luce”.

Quando, nella quinta domenica, ci viene proclamata la risurrezionedi Lazzaro, siamo messi di fronte al mistero ultimo della nostra esi-stenza: “Io sono la risurrezione e la vita… Credi questo?” (Gv 11,25-26). Per la comunità cristiana è il momento di riporre con sincerità, in-sieme a Marta, tutta la speranza in Gesù di Nazareth: “Sì, o Signore, iocredo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo”(v. 27). La comunione con Cristo in questa vita ci prepara a superareil confine della morte, per vivere senza fine in Lui. La fede nella risur-rezione dei morti e la speranza della vita eterna aprono il nostrosguardo al senso ultimo della nostra esistenza: Dio ha creato l’uomoper la risurrezione e per la vita, e questa verità dona la dimensioneautentica e definitiva alla storia degli uomini, alla loro esistenza perso-nale e al loro vivere sociale, alla cultura, alla politica, all’economia.Privo della luce della fede l’universo intero finisce rinchiuso dentro unsepolcro senza futuro, senza speranza.

Il percorso quaresimale trova il suo compimento nel Triduo Pa-squale, particolarmente nella Grande Veglia nella Notte Santa: rinno-vando le promesse battesimali, riaffermiamo che Cristo è il Signoredella nostra vita, quella vita che Dio ci ha comunicato quando siamorinati “dall’acqua e dallo Spirito Santo”, e riconfermiamo il nostro fer-mo impegno di corrispondere all’azione della Grazia per essere suoidiscepoli.

3. Il nostro immergerci nella morte e risurrezione di Cristo attraver-so il Sacramento del Battesimo, ci spinge ogni giorno a liberare il no-stro cuore dal peso delle cose materiali, da un legame egoistico con la“terra”, che ci impoverisce e ci impedisce di essere disponibili e apertia Dio e al prossimo. In Cristo, Dio si è rivelato come Amore (cfr 1Gv4,7-10). La Croce di Cristo, la “parola della Croce” manifesta la poten-za salvifica di Dio (cfr 1Cor 1,18), che si dona per rialzare l’uomo eportargli la salvezza: amore nella sua forma più radicale (cfr Enc. Deuscaritas est, 12). Attraverso le pratiche tradizionali del digiuno, dell’ele-mosina e della preghiera, espressioni dell’impegno di conversione, la

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Quaresima educa a vivere in modo sempre più radicale l’amore di Cri-sto. Il digiuno, che può avere diverse motivazioni, acquista per il cri-stiano un significato profondamente religioso: rendendo più povera lanostra mensa impariamo a superare l’egoismo per vivere nella logicadel dono e dell’amore; sopportando la privazione di qualche cosa - enon solo di superfluo - impariamo a distogliere lo sguardo dal nostro“io”, per scoprire Qualcuno accanto a noi e riconoscere Dio nei voltidi tanti nostri fratelli. Per il cristiano il digiuno non ha nulla di intimi-stico, ma apre maggiormente a Dio e alle necessità degli uomini, e fasì che l’amore per Dio sia anche amore per il prossimo (cfr Mc 12,31).

Nel nostro cammino ci troviamo di fronte anche alla tentazione del-l’avere, dell’avidità di denaro, che insidia il primato di Dio nella nostravita. La bramosia del possesso provoca violenza, prevaricazione emorte; per questo la Chiesa, specialmente nel tempo quaresimale, ri-chiama alla pratica dell’elemosina, alla capacità, cioè, di condivisione.L’idolatria dei beni, invece, non solo allontana dall’altro, ma spoglial’uomo, lo rende infelice, lo inganna, lo illude senza realizzare ciò chepromette, perché colloca le cose materiali al posto di Dio, unica fontedella vita. Come comprendere la bontà paterna di Dio se il cuore èpieno di sé e dei propri progetti, con i quali ci si illude di potersi assi-curare il futuro? La tentazione è quella di pensare, come il ricco dellaparabola: “Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni…”.Conosciamo il giudizio del Signore: “Stolto, questa notte stessa ti saràrichiesta la tua vita…” (Lc 12,19-20). La pratica dell’elemosina è un ri-chiamo al primato di Dio e all’attenzione verso l’altro, per riscoprire ilnostro Padre buono e ricevere la sua misericordia.

In tutto il periodo quaresimale, la Chiesa ci offre con particolareabbondanza la Parola di Dio. Meditandola ed interiorizzandola per vi-verla quotidianamente, impariamo una forma preziosa e insostituibiledi preghiera, perché l’ascolto attento di Dio, che continua a parlare alnostro cuore, alimenta il cammino di fede che abbiamo iniziato nelgiorno del Battesimo. La preghiera ci permette anche di acquisire unanuova concezione del tempo: senza la prospettiva dell’eternità e dellatrascendenza, infatti, esso scandisce semplicemente i nostri passi versoun orizzonte che non ha futuro. Nella preghiera troviamo, invece,

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tempo per Dio, per conoscere che “le sue parole non passeranno” (cfrMc 13,31), per entrare in quell’intima comunione con Lui “che nessu-no potrà toglierci” (cfr Gv 16,22) e che ci apre alla speranza che nondelude, alla vita eterna.

In sintesi, l’itinerario quaresimale, nel quale siamo invitati a con-templare il Mistero della Croce, è “farsi conformi alla morte di Cristo”(Fil 3,10), per attuare una conversione profonda della nostra vita: la-sciarci trasformare dall’azione dello Spirito Santo, come san Paolo sul-la via di Damasco; orientare con decisione la nostra esistenza secondola volontà di Dio; liberarci dal nostro egoismo, superando l’istinto didominio sugli altri e aprendoci alla carità di Cristo. Il periodo quaresi-male è momento favorevole per riconoscere la nostra debolezza, ac-cogliere, con una sincera revisione di vita, la Grazia rinnovatrice delSacramento della Penitenza e camminare con decisione verso Cristo.

Cari fratelli e sorelle, mediante l’incontro personale col nostro Re-dentore e attraverso il digiuno, l’elemosina e la preghiera, il camminodi conversione verso la Pasqua ci conduce a riscoprire il nostro Batte-simo. Rinnoviamo in questa Quaresima l’accoglienza della Grazia cheDio ci ha donato in quel momento, perché illumini e guidi tutte le no-stre azioni. Quanto il Sacramento significa e realizza, siamo chiamati aviverlo ogni giorno in una sequela di Cristo sempre più generosa eautentica. In questo nostro itinerario, ci affidiamo alla Vergine Maria,che ha generato il Verbo di Dio nella fede e nella carne, per immer-gerci come Lei nella morte e risurrezione del suo Figlio Gesù ed averela vita eterna.

Dal Vaticano, 4 novembre 2010

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Per la XLVIII Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni

15 maggio 2011 - IV domenica di Pasqua

TEMA: “PROPORRE LE VOCAZIONI NELLA CHIESA LOCALE”

Cari fratelli e sorelle!

La XLVIII Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni, che saràcelebrata il 15 maggio 2011, quarta Domenica di Pasqua, ci invita a ri-flettere sul tema: “Proporre le vocazioni nella Chiesa locale”. Set-tant’anni fa, il Venerabile Pio XII istituì la Pontifìcia Opera per le Voca-zioni Sacerdotali. In seguito, opere simili sono state fondate dai Ve-scovi in molte diocesi, animate da sacerdoti e da laici, in risposta al-l’invito del Buon Pastore, il quale, “vedendo le folle, ne sentì compas-sione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pa-store”, e disse: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai.Pregate, dunque, il Signore della messe perché mandi operai nella suamesse!” (Mt 9,36-38).

L’arte di promuovere e di curare le vocazioni trova un luminosopunto di riferimento nelle pagine del Vangelo in cui Gesù chiama isuoi discepoli a seguirlo e li educa con amore e premura. Oggettoparticolare della nostra attenzione è il modo in cui Gesù ha chiamato isuoi più stretti collaboratori ad annunciare il Regno di Dio (cfr Lc10,9). Innanzitutto, appare chiaro che il primo atto è stata la preghieraper loro: prima di chiamarli, Gesù passò la notte da solo, in orazioneed in ascolto della volontà del Padre (cfr Lc 6,12), in un’ascesa interio-re al di sopra delle cose di tutti i giorni. La vocazione dei discepolinasce proprio nel colloquio intimo di Gesù con il Padre. Le vocazionial ministero sacerdotale e alla vita consacrata sono primariamente frut-to di un costante contatto con il Dio vivente e di un’insistente pre-ghiera che si eleva al “Padrone della messe” sia nelle comunità par-rocchiali, sia nelle famiglie cristiane, sia nei cenacoli vocazionali.

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Il Signore, all’inizio della sua vita pubblica, ha chiamato alcuni pe-scatori, intenti a lavorare sulle rive del lago di Galilea: “Venite dietro ame, vi farò pescatori di uomini” (Mt 4,19). Ha mostrato loro la suamissione messianica con numerosi “segni” che indicavano il suo amo-re per gli uomini e il dono della misericordia del Padre; li ha educaticon la parola e con la vita affinché fossero pronti ad essere continua-tori della sua opera di salvezza; infine, “sapendo che era venuta la suaora di passare da questo mondo al Padre” (Gv 13,1), ha affidato loro ilmemoriale della sua morte e risurrezione, e prima di essere elevato alCielo li ha inviati in tutto il mondo con il comando: “Andate dunque efate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19).

È una proposta, impegnativa ed esaltante, quella che Gesù fa a co-loro a cui dice “Seguimi!”: li invita ad entrare nella sua amicizia, adascoltare da vicino la sua Parola e a vivere con Lui; insegna loro ladedizione totale a Dio e alla diffusione del suo Regno secondo la leg-ge del Vangelo: “Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, ri-mane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24); li invi-ta ad uscire dalla loro volontà chiusa, dalla loro idea di autorealizza-zione, per immergersi in un’altra volontà, quella di Dio e lasciarsi gui-dare da essa; fa vivere loro una fraternità, che nasce da questa dispo-nibilità totale a Dio (cfr Mt 12,49-50), e che diventa il tratto distintivodella comunità di Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei di-scepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).

Anche oggi, la sequela di Cristo è impegnativa; vuol dire impararea tenere lo sguardo su Gesù, a conoscerlo intimamente, ad ascoltarlonella Parola e a incontrarlo nei Sacramenti; vuol dire imparare aconformare la propria volontà alla Sua. Si tratta di una vera e propriascuola di formazione per quanti si preparano al ministero sacerdotaleed alla vita consacrata, sotto la guida delle competenti autorità eccle-siali. Il Signore non manca di chiamare, in tutte le stagioni della vita, acondividere la sua missione e a servire la Chiesa nel ministero ordina-to e nella vita consacrata, e la Chiesa “è chiamata a custodire questodono, a stimarlo e ad amarlo: essa è responsabile della nascita e dellamaturazione delle vocazioni sacerdotali” (Giovanni Paolo II, Esort. ap.postsinodale Pastores dabo vobis, 41). Specialmente in questo nostro

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tempo in cui la voce del Signore sembra soffocata da “altre voci” e laproposta di seguirlo donando la propria vita può apparire troppo dif-ficile, ogni comunità cristiana, ogni fedele, dovrebbe assumere conconsapevolezza l’impegno di promuovere le vocazioni. È importanteincoraggiare e sostenere coloro che mostrano chiari segni della chia-mata alla vita sacerdotale e alla consacrazione religiosa, perché senta-no il calore dell’intera comunità nel dire il loro “sì” a Dio e alla Chie-sa. Io stesso li incoraggio come ho fatto con coloro che si sono decisiad entrare in Seminario e ai quali ho scritto: “Avete fatto bene a farlo.Perché gli uomini avranno sempre bisogno di Dio, anche nell’epocadel dominio tecnico del mondo e della globalizzazione: del Dio che cisi è mostrato in Gesù Cristo e che ci raduna nella Chiesa universale,per imparare con Lui e per mezzo di Lui la vera vita e per tenere pre-senti e rendere efficaci i criteri della vera umanità” (Lettera ai Semina-risti, 18 ottobre 2010).

Occorre che ogni Chiesa locale si renda sempre più sensibile e at-tenta alla pastorale vocazionale, educando ai vari livelli, familiare, par-rocchiale, associativo, soprattutto i ragazzi, le ragazze e i giovani - co-me Gesù fece con i discepoli – a maturare una genuina e affettuosaamicizia con il Signore, coltivata nella preghiera personale e liturgica;ad imparare l’ascolto attento e fruttuoso della Parola di Dio, medianteuna crescente familiarità con le Sacre Scritture; a comprendere che en-trare nella volontà di Dio non annienta e non distrugge la persona,ma permette di scoprire e seguire la verità più profonda su se stessi; avivere la gratuità e la fraternità nei rapporti con gli altri, perché è soloaprendosi all’amore di Dio che si trova la vera gioia e la piena realiz-zazione delle proprie aspirazioni. “Proporre le vocazioni nella Chiesalocale”, significa avere il coraggio di indicare, attraverso una pastoralevocazionale attenta e adeguata, questa via impegnativa della sequeladi Cristo, che, in quanto ricca di senso, è capace di coinvolgere tuttala vita.

Mi rivolgo particolarmente a voi, cari Confratelli nell’Episcopato.Per dare continuità e diffusione alla vostra missione di salvezza in Cri-sto, è importante “incrementare il più che sia possibile le vocazionisacerdotali e religiose, e in modo particolare quelle missionarie” (De-

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cr. Christus Dominus, 15). Il Signore ha bisogno della vostra collabo-razione perché le sue chiamate possano raggiungere i cuori di chi hascelto. Abbiate cura nella scelta degli operatori per il Centro Diocesa-no Vocazioni, strumento prezioso di promozione e organizzazionedella pastorale vocazionale e della preghiera che la sostiene e ne ga-rantisce l’efficacia. Vorrei anche ricordarvi, cari Confratelli Vescovi, lasollecitudine della Chiesa universale per un’equa distribuzione dei sa-cerdoti nel mondo. La vostra disponibilità verso diocesi con scarsità divocazioni, diventa una benedizione di Dio per le vostre comunità edè per i fedeli la testimonianza di un servizio sacerdotale che si apregenerosamente alle necessità dell’intera Chiesa.

Il Concilio Vaticano II ha ricordato esplicitamente che “il dovere didare incremento alle vocazioni sacerdotali spetta a tutta la comunitàcristiana, che è tenuta ad assolvere questo compito anzitutto con unavita perfettamente cristiana” (Decr. Optatam totius, 2). Desidero indi-rizzare quindi un fraterno e speciale saluto ed incoraggiamento aquanti collaborano in vario modo nelle parrocchie con i sacerdoti. Inparticolare, mi rivolgo a coloro che possono offrire il proprio contri-buto alla pastorale delle vocazioni: i sacerdoti, le famiglie, i catechisti,gli animatori. Ai sacerdoti raccomando di essere capaci di dare una te-stimonianza di comunione con il Vescovo e con gli altri confratelli,per garantire l’humus vitale ai nuovi germogli di vocazioni sacerdotali.Le famiglie siano “animate da spirito di fede, di carità e di pietà”(ibid.), capaci di aiutare i figli e le fìglie ad accogliere con generositàla chiamata al sacerdozio ed alla vita consacrata. I catechisti e gli ani-matori delle associazioni cattoliche e dei movimenti ecclesiali, convintidella loro missione educativa, cerchino “di coltivare gli adolescenti aloro affidati in maniera di essere in grado di scoprire la vocazione di-vina e di seguirla di buon grado” (ibid.).

Cari fratelli e sorelle, il vostro impegno nella promozione e nellacura delle vocazioni acquista pienezza di senso e di efficacia pastoralequando si realizza nell’unità della Chiesa ed è indirizzato al serviziodella comunione. È per questo che ogni momento della vita della co-munità ecclesiale - la catechesi, gli incontri di formazione, la preghieraliturgica, i pellegrinaggi ai santuari - è una preziosa opportunità per

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suscitare nel Popolo di Dio, in particolare nei più piccoli e nei giova-ni, il senso di appartenenza alla Chiesa e la responsabilità della rispo-sta alla chiamata al sacerdozio ed alla vita consacrata, compiuta con li-bera e consapevole scelta.

La capacità di coltivare le vocazioni è segno caratteristico della vita-lità di una Chiesa locale. Invochiamo con fiducia ed insistenza l’aiutodella Vergine Maria, perché, con l’esempio della sua accoglienza delpiano divino della salvezza e con la sua efficace intercessione, si pos-sa diffondere all’interno di ogni comunità la disponibilità a dire “sì” alSignore, che chiama sempre nuovi operai per la sua messe. Con que-sto auspicio, imparto di cuore a tutti la mia Apostolica Benedizione.

Dal Vaticano, 15 novembre 2010

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Per la XLV Giornata Mondialedelle Comunicazioni Sociali

5 giugno 2011

VERITÀ, ANNUNCIO E AUTENTICITÀ DI VITA NELL’ERA DIGITALE

Cari fratelli e sorelle,

in occasione della XLV Giornata Mondiale delle Comunicazioni So-ciali, desidero condividere alcune riflessioni, motivate da un fenome-no caratteristico del nostro tempo: il diffondersi della comunicazioneattraverso la rete internet. È sempre più comune la convinzione che,come la rivoluzione industriale produsse un profondo cambiamentonella società attraverso le novità introdotte nel ciclo produttivo e nellavita dei lavoratori, così oggi la profonda trasformazione in atto nelcampo delle comunicazioni guida il flusso di grandi mutamenti cultu-rali e sociali. Le nuove tecnologie non stanno cambiando solo il mododi comunicare, ma la comunicazione in se stessa, per cui si può affer-mare che si è di fronte ad una vasta trasformazione culturale. Con talemodo di diffondere informazioni e conoscenze, sta nascendo un nuo-vo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabi-lire relazioni e di costruire comunione.

Si prospettano traguardi fino a qualche tempo fa impensabili, chesuscitano stupore per le possibilità offerte dai nuovi mezzi e, al tempostesso, impongono in modo sempre più pressante una seria riflessionesul senso della comunicazione nell’era digitale. Ciò è particolarmenteevidente quando ci si confronta con le straordinarie potenzialità dellarete internet e con la complessità delle sue applicazioni. Come ognialtro frutto dell’ingegno umano, le nuove tecnologie della comunica-zione chiedono di essere poste al servizio del bene integrale dellapersona e dell’umanità intera. Se usate saggiamente, esse possonocontribuire a soddisfare il desiderio di senso, di verità e di unità cherimane l’aspirazione più profonda dell’essere umano.

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Nel mondo digitale, trasmettere informazioni significa sempre piùspesso immetterle in una rete sociale, dove la conoscenza viene con-divisa nell’ambito di scambi personali. La chiara distinzione tra il pro-duttore e il consumatore dell’informazione viene relativizzata e la co-municazione vorrebbe essere non solo uno scambio di dati, ma sem-pre più anche condivisione. Questa dinamica ha contribuito ad unarinnovata valutazione del comunicare, considerato anzitutto come dia-logo, scambio, solidarietà e creazione di relazioni positive. D’altrocanto, ciò si scontra con alcuni limiti tipici della comunicazione digita-le: la parzialità dell’interazione, la tendenza a comunicare solo alcuneparti del proprio mondo interiore, il rischio di cadere in una sorta dicostruzione dell’immagine di sé, che può indulgere all’autocompiaci-mento.

Soprattutto i giovani stanno vivendo questo cambiamento della co-municazione, con tutte le ansie, le contraddizioni e la creatività pro-prie di coloro che si aprono con entusiasmo e curiosità alle nuoveesperienze della vita. Il coinvolgimento sempre maggiore nella pubbli-ca arena digitale, quella creata dai cosiddetti social network, conducea stabilire nuove forme di relazione interpersonale, influisce sulla per-cezione di sé e pone quindi, inevitabilmente, la questione non solodella correttezza del proprio agire, ma anche dell’autenticità del pro-prio essere. La presenza in questi spazi virtuali può essere il segno diuna ricerca autentica di incontro personale con l’altro se si fa attenzio-ne ad evitarne i pericoli, quali il rifugiarsi in una sorta di mondo pa-rallelo, o l’eccessiva esposizione al mondo virtuale. Nella ricerca dicondivisione, di “amicizie”, ci si trova di fronte alla sfida dell’essereautentici, fedeli a se stessi, senza cedere all’illusione di costruire artifi-cialmente il proprio “profilo” pubblico.

Le nuove tecnologie permettono alle persone di incontrarsi oltre iconfini dello spazio e delle stesse culture, inaugurando così un interonuovo mondo di potenziali amicizie. Questa è una grande opportu-nità, ma comporta anche una maggiore attenzione e una presa di co-scienza rispetto ai possibili rischi. Chi è il mio “prossimo” in questonuovo mondo? Esiste il pericolo di essere meno presenti verso chi in-contriamo nella nostra vita quotidiana ordinaria? Esiste il rischio di

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essere più distratti, perché la nostra attenzione è frammentata e as-sorta in un mondo “differente” rispetto a quello in cui viviamo? Ab-biamo tempo di riflettere criticamente sulle nostre scelte e di alimen-tare rapporti umani che siano veramente profondi e duraturi? E’ im-portante ricordare sempre che il contatto virtuale non può e non de-ve sostituire il contatto umano diretto con le persone a tutti i livellidella nostra vita.

Anche nell’era digitale, ciascuno è posto di fronte alla necessità diessere persona autentica e riflessiva. Del resto, le dinamiche propriedei social network mostrano che una persona è sempre coinvolta inciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni,stanno già condividendo se stesse, la loro visione del mondo, le lorosperanze, i loro ideali. Ne consegue che esiste uno stile cristiano dipresenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una formadi comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’al-tro. Comunicare il Vangelo attraverso i nuovi media significa non soloinserire contenuti dichiaratamente religiosi sulle piattaforme dei diver-si mezzi, ma anche testimoniare con coerenza, nel proprio profilo di-gitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che sianoprofondamente coerenti con il Vangelo, anche quando di esso non siparla in forma esplicita. Del resto, anche nel mondo digitale non vipuò essere annuncio di un messaggio senza una coerente testimo-nianza da parte di chi annuncia. Nei nuovi contesti e con le nuoveforme di espressione, il cristiano è ancora una volta chiamato ad offri-re una risposta a chiunque domandi ragione della speranza che è inlui (cfr 1Pt 3,15).

L’impegno per una testimonianza al Vangelo nell’era digitale richie-de a tutti di essere particolarmente attenti agli aspetti di questo mes-saggio che possono sfidare alcune delle logiche tipiche del web. Anzi-tutto dobbiamo essere consapevoli che la verità che cerchiamo dicondividere non trae il suo valore dalla sua “popolarità” o dalla quan-tità di attenzione che riceve. Dobbiamo farla conoscere nella sua inte-grità, piuttosto che cercare di renderla accettabile, magari “annacquan-dola”. Deve diventare alimento quotidiano e non attrazione di un mo-mento. La verità del Vangelo non è qualcosa che possa essere oggetto

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di consumo, o di fruizione superficiale, ma è un dono che chiede unalibera risposta. Essa, pur proclamata nello spazio virtuale della rete,esige sempre di incarnarsi nel mondo reale e in rapporto ai volti con-creti dei fratelli e delle sorelle con cui condividiamo la vita quotidiana.Per questo rimangono sempre fondamentali le relazioni umane direttenella trasmissione della fede!

Vorrei invitare, comunque, i cristiani ad unirsi con fiducia e conconsapevole e responsabile creatività nella rete di rapporti che l’eradigitale ha reso possibile. Non semplicemente per soddisfare il deside-rio di essere presenti, ma perché questa rete è parte integrante dellavita umana. II web sta contribuendo allo sviluppo di nuove e piùcomplesse forme di coscienza intellettuale e spirituale, di consapevo-lezza condivisa. Anche in questo campo siamo chiamati ad annuncia-re la nostra fede che Cristo è Dio, il Salvatore dell’uomo e della storia,Colui nel quale tutte le cose raggiungono il loro compimento (cfr Ef1,10). La proclamazione del Vangelo richiede una forma rispettosa ediscreta di comunicazione, che stimola il cuore e muove la coscienza;una forma che richiama lo stile di Gesù risorto quando si fece compa-gno nel cammino dei discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,13-35), i quali fu-rono condotti gradualmente alla comprensione del mistero mediante ilsuo farsi vicino, il suo dialogare con loro, il far emergere con delica-tezza ciò che c’era nel loro cuore.

La verità che è Cristo, in ultima analisi, è la risposta piena e autenti-ca a quel desiderio umano di relazione, di comunione e di senso cheemerge anche nella partecipazione massiccia ai vari social network. Icredenti, testimoniando le loro più profonde convinzioni, offrono unprezioso contributo affinché il web non diventi uno strumento che ri-duce le persone a categorie, che cerca di manipolarle emotivamente oche permette a chi è potente di monopolizzare le opinioni altrui. Alcontrario, i credenti incoraggiano tutti a mantenere vive le eterne do-mande dell’uomo, che testimoniano il suo desiderio di trascendenza ela nostalgia per forme di vita autentica, degna di essere vissuta. È pro-prio questa tensione spirituale propriamente umana che sta dietro lanostra sete di verità e di comunione e che ci spinge a comunicare conintegrità e onestà.

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Invito soprattutto i giovani a fare buon uso della loro presenza nel-l’arena digitale. Rinnovo loro il mio appuntamento alla prossima Gior-nata Mondiale della Gioventù di Madrid, la cui preparazione devemolto ai vantaggi delle nuove tecnologie. Per gli operatori della co-municazione invoco da Dio, per intercessione del Patrono san France-sco di Sales, la capacità di svolgere sempre il loro lavoro con grandecoscienza e con scrupolosa professionalità, mentre a tutti invio la miaApostolica Benedizione.

Dal Vaticano, 24 gennaio 2011, Festa di san Francesco di Sales

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Messaggio a S.E. l’Onorevole Giorgio Napolitano,Presidente della Repubblica Italiana,

in occasione dei 150 anni dell’Unità Politica d’Italia

Illustrissimo SignoreOn. GIORGIO NAPOLITANOPresidente della Repubblica Italiana

Il 150° anniversario dell’unificazione politica dell’Italia mi offre lafelice occasione per riflettere sulla storia di questo amato Paese, la cuiCapitale è Roma, città in cui la divina Provvidenza ha posto la Sededel Successore dell’Apostolo Pietro. Pertanto, nel formulare a Lei e al-l’intera Nazione i miei più fervidi voti augurali, sono lieto di parteci-parLe, in segno dei profondi vincoli di amicizia e di collaborazioneche legano l’Italia e la Santa Sede, queste mie considerazioni.

Il processo di unificazione avvenuto in Italia nel corso del XIX se-colo e passato alla storia con il nome di Risorgimento, costituì il natu-rale sbocco di uno sviluppo identitario nazionale iniziato molto tempoprima. In effetti, la nazione italiana, come comunità di persone unitedalla lingua, dalla cultura, dai sentimenti di una medesima apparte-nenza, seppure nella pluralità di comunità politiche articolate sulla pe-nisola, comincia a formarsi nell’età medievale. Il Cristianesimo ha con-tribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italianaattraverso l’opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative ed assi-stenziali, fissando modelli di comportamento, configurazioni istituzio-nali, rapporti sociali; ma anche mediante una ricchissima attività arti-stica: la letteratura, la pittura, la scultura, l’architettura, la musica. Dan-te, Giotto, Petrarca, Michelangelo, Raffaello, Pierluigi da Palestrina,Caravaggio, Scarlatti, Bernini e Borromini sono solo alcuni nomi diuna filiera di grandi artisti che, nei secoli, hanno dato un apporto fon-damentale alla formazione dell’identità italiana. Anche le esperienze disantità, che numerose hanno costellato la storia dell’Italia, contribuiro-no fortemente a costruire tale identità, non solo sotto lo specifico pro-filo di una peculiare realizzazione del messaggio evangelico, che ha

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marcato nel tempo l’esperienza religiosa e la spiritualità degli italiani(si pensi alle grandi e molteplici espressioni della pietà popolare), mapure sotto il profilo culturale e persino politico. San Francesco di Assi-si, ad esempio, si segnala anche per il contributo a forgiare la linguanazionale; santa Caterina da Siena offre, seppure semplice popolana,uno stimolo formidabile alla elaborazione di un pensiero politico egiuridico italiano. L’apporto della Chiesa e dei credenti al processo diformazione e di consolidamento dell’identità nazionale continua nel-l’età moderna e contemporanea. Anche quando parti della penisolafurono assoggettate alla sovranità di potenze straniere, fu proprio gra-zie a tale identità ormai netta e forte che, nonostante il perdurare neltempo della frammentazione geopolitica, la nazione italiana poté con-tinuare a sussistere e ad essere consapevole di sé. Perciò, l’unità d’Ita-lia, realizzatasi nella seconda metà dell’Ottocento, ha potuto aver luo-go non come artificiosa costruzione politica di identità diverse, ma co-me naturale sbocco politico di una identità nazionale forte e radicata,sussistente da tempo. La comunità politica unitaria nascente a conclu-sione del ciclo risorgimentale ha avuto, in definitiva, come collanteche teneva unite le pur sussistenti diversità locali, proprio la preesi-stente identità nazionale, al cui modellamento il Cristianesimo e laChiesa hanno dato un contributo fondamentale.

Per ragioni storiche, culturali e politiche complesse, il Risorgimentoè passato come un moto contrario alla Chiesa, al Cattolicesimo, taloraanche alla religione in generale. Senza negare il ruolo di tradizioni dipensiero diverse, alcune marcate da venature giurisdizionaliste o laici-ste, non si può sottacere l’apporto di pensiero - e talora di azione -dei cattolici alla formazione dello Stato unitario. Dal punto di vista delpensiero politico basterebbe ricordare tutta la vicenda del neoguelfi-smo che conobbe in Vincenzo Gioberti un illustre rappresentante; ov-vero pensare agli orientamenti cattolico-liberali di Cesare Balbo, Mas-simo d’Azeglio, Raffaele Lambruschini. Per il pensiero filosofico, poli-tico ed anche giuridico risalta la grande figura di Antonio Rosmini, lacui influenza si è dispiegata nel tempo, fino ad informare punti signi-ficativi della vigente Costituzione italiana. E per quella letteratura chetanto ha contribuito a “fare gli italiani”, cioè a dare loro il senso del-l’appartenenza alla nuova comunità politica che il processo risorgi-

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mentale veniva plasmando, come non ricordare Alessandro Manzoni,fedele interprete della fede e della morale cattolica; o Silvio Pellico,che con la sua opera autobiografica sulle dolorose vicissitudini di unpatriota seppe testimoniare la conciliabilità dell’amor di Patria con unafede adamantina. E di nuovo figure di santi, come san Giovanni Bo-sco, spinto dalla preoccupazione pedagogica a comporre manuali distoria Patria, che modellò l’appartenenza all’istituto da lui fondato suun paradigma coerente con una sana concezione liberale: “cittadini difronte allo Stato e religiosi di fronte alla Chiesa”.

La costruzione politico-istituzionale dello Stato unitario coinvolsediverse personalità del mondo politico, diplomatico e militare, tra cuianche esponenti del mondo cattolico. Questo processo, in quanto do-vette inevitabilmente misurarsi col problema della sovranità temporaledei Papi (ma anche perché portava ad estendere ai territori via via ac-quisiti una legislazione in materia ecclesiastica di orientamento forte-mente laicista), ebbe effetti dilaceranti nella coscienza individuale ecollettiva dei cattolici italiani, divisi tra gli opposti sentimenti di fedeltànascenti dalla cittadinanza da un lato e dall’appartenenza ecclesialedall’altro. Ma si deve riconoscere che, se fu il processo di unificazionepolitico-istituzionale a produrre quel conflitto tra Stato e Chiesa che èpassato alla storia col nome di “Questione Romana”, suscitando diconseguenza l’aspettativa di una formale “Conciliazione”, nessun con-flitto si verificò nel corpo sociale, segnato da una profonda amiciziatra comunità civile e comunità ecclesiale. L’identità nazionale degli ita-liani, così fortemente radicata nelle tradizioni cattoliche, costituì in ve-rità la base più solida della conquistata unità politica. In definitiva, laConciliazione doveva avvenire fra le Istituzioni, non nel corpo sociale,dove fede e cittadinanza non erano in conflitto. Anche negli anni del-la dilacerazione i cattolici hanno lavorato all’unità del Paese. L’asten-sione dalla vita politica, seguente il “non expedit”, rivolse le realtà delmondo cattolico verso una grande assunzione di responsabilità nel so-ciale: educazione, istruzione, assistenza, sanità, cooperazione, econo-mia sociale, furono ambiti di impegno che fecero crescere una societàsolidale e fortemente coesa. La vertenza apertasi tra Stato e Chiesacon la proclamazione di Roma capitale d’Italia e con la fine dello Sta-to Pontificio, era particolarmente complessa. Si trattava indubbiamente

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di un caso tutto italiano, nella misura in cui solo l’Italia ha la singola-rità di ospitare la sede del Papato. D’altra parte, la questione avevauna indubbia rilevanza anche internazionale. Si deve notare che, finitoil potere temporale, la Santa Sede, pur reclamando la più piena libertàe la sovranità che le spetta nell’ordine suo, ha sempre rifiutato la pos-sibilità di una soluzione della “Questione Romana” attraverso imposi-zioni dall’esterno, confidando nei sentimenti del popolo italiano e nelsenso di responsabilità e giustizia dello Stato italiano. La firma dei Pat-ti lateranensi, l’11 febbraio 1929, segnò la definitiva soluzione delproblema. A proposito della fine degli Stati pontifici, nel ricordo delbeato Papa Pio IX e dei Successori, riprendo le parole del CardinaleGiovanni Battista Montini, nel suo discorso tenuto in Campidoglio il10 ottobre 1962: “Il papato riprese con inusitato vigore le sue funzionidi maestro di vita e di testimonio del Vangelo, così da salire a tanta al-tezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione sul mon-do, come prima non mai”.

L’apporto fondamentale dei cattolici italiani alla elaborazione dellaCostituzione repubblicana del 1947 è ben noto. Se il testo costituzio-nale fu il positivo frutto di un incontro e di una collaborazione tra di-verse tradizioni di pensiero, non c’è alcun dubbio che solo i costituen-ti cattolici si presentarono allo storico appuntamento con un precisoprogetto sulla legge fondamentale del nuovo Stato italiano; un proget-to maturato all’interno dell’Azione Cattolica, in particolare della FUCIe del Movimento Laureati, e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore,ed oggetto di riflessione e di elaborazione nel Codice di Camaldolidel 1945 e nella XIX Settimana Sociale dei Cattolici Italiani dello stes-so anno, dedicata al tema “Costituzione e Costituente”. Da lì presel’avvio un impegno molto significativo dei cattolici italiani nella politi-ca, nell’attività sindacale, nelle istituzioni pubbliche, nelle realtà eco-nomiche, nelle espressioni della società civile, offrendo così un contri-buto assai rilevante alla crescita del Paese, con dimostrazione di asso-luta fedeltà allo Stato e di dedizione al bene comune e collocando l’I-talia in proiezione europea. Negli anni dolorosi ed oscuri del terrori-smo, poi, i cattolici hanno dato la loro testimonianza di sangue: comenon ricordare, tra le varie figure, quelle dell’On. Aldo Moro e del Prof.Vittorio Bachelet? Dal canto suo la Chiesa, grazie anche alla larga li-

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bertà assicuratale dal Concordato lateranense del 1929, ha continuato,con le proprie istituzioni ed attività, a fornire un fattivo contributo albene comune, intervenendo in particolare a sostegno delle personepiù emarginate e sofferenti, e soprattutto proseguendo ad alimentareil corpo sociale di quei valori morali che sono essenziali per la vita diuna società democratica, giusta, ordinata. Il bene del Paese, integral-mente inteso, è stato sempre perseguito e particolarmente espresso inmomenti di alto significato, come nella “grande preghiera per l’Italia”indetta dal Venerabile Giovanni Paolo II il 10 gennaio 1994.

La conclusione dell’Accordo di revisione del Concordato lateranen-se, firmato il 18 febbraio 1984, ha segnato il passaggio ad una nuovafase dei rapporti tra Chiesa e Stato in Italia. Tale passaggio fu chiara-mente avvertito dal mio Predecessore, il quale, nel discorso pronun-ciato il 3 giugno 1985, all’atto dello scambio degli strumenti di ratificadell’Accordo, notava che, come “strumento di concordia e collabora-zione, il Concordato si situa ora in una società caratterizzata dalla li-bera competizione delle idee e dalla pluralistica articolazione delle di-verse componenti sociali: esso può e deve costituire un fattore di pro-mozione e di crescita, favorendo la profonda unità di ideali e di senti-menti, per la quale tutti gli italiani si sentono fratelli in una stessa Pa-tria”. Ed aggiungeva che nell’esercizio della sua diaconia per l’uomo“la Chiesa intende operare nel pieno rispetto dell’autonomia dell’ordi-ne politico e della sovranità dello Stato. Parimenti, essa è attenta allasalvaguardia della libertà di tutti, condizione indispensabile alla co-struzione di un mondo degno dell’uomo, che solo nella libertà può ri-cercare con pienezza la verità e aderirvi sinceramente, trovandovi mo-tivo ed ispirazione per l’impegno solidale ed unitario al bene comu-ne”. L’Accordo, che ha contribuito largamente alla delineazione diquella sana laicità che denota lo Stato italiano ed il suo ordinamentogiuridico, ha evidenziato i due principi supremi che sono chiamati apresiedere alle relazioni fra Chiesa e comunità politica: quello delladistinzione di ambiti e quello della collaborazione. Una collaborazio-ne motivata dal fatto che, come ha insegnato il Concilio Vaticano Il,entrambe, cioè la Chiesa e la comunità politica, “anche se a titolo di-verso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stessepersone umane” (Cost. Gaudium et spes, 76). L’esperienza maturata

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negli anni di vigenza delle nuove disposizioni pattizie ha visto, ancorauna volta, la Chiesa ed i cattolici impegnati in vario modo a favore diquella “promozione dell’uomo e del bene del Paese” che, nel rispettodella reciproca indipendenza e sovranità, costituisce principio ispirato-re ed orientante del Concordato in vigore (art. 1). La Chiesa è consa-pevole non solo del contributo che essa offre alla società civile per ilbene comune, ma anche di ciò che riceve dalla società civile, comeafferma il Concilio Vaticano II: “chiunque promuove la comunità uma-na nel campo della famiglia, della cultura, della vita economica e so-ciale, come pure della politica, sia nazionale che internazionale, portaanche un non piccolo aiuto, secondo la volontà di Dio, alla comunitàecclesiale, nelle cose in cui essa dipende da fattori esterni” (Cost.Gaudium et spes, 44).

Nel guardare al lungo divenire della storia, bisogna riconoscere chela nazione italiana ha sempre avvertito l’onere ma al tempo stesso ilsingolare privilegio dato dalla situazione peculiare per la quale è inItalia, a Roma, la sede del successore di Pietro e quindi il centro dellacattolicità. E la comunità nazionale ha sempre risposto a questa consa-pevolezza esprimendo vicinanza affettiva, solidarietà, aiuto alla SedeApostolica per la sua libertà e per assecondare la realizzazione dellecondizioni favorevoli all’esercizio del ministero spirituale nel mondoda parte del successore di Pietro, che è Vescovo di Roma e Primated’Italia. Passate le turbolenze causate dalla “questione romana”, giuntiall’auspicata Conciliazione, anche lo Stato Italiano ha offerto e conti-nua ad offrire una collaborazione preziosa, di cui la Santa Sede fruiscee di cui è consapevolmente grata.

Nel presentare a Lei, Signor Presidente, queste riflessioni, invoco dicuore sul popolo italiano l’abbondanza dei doni celesti, affinché siasempre guidato dalla luce della fede, sorgente di speranza e di perse-verante impegno per la libertà, la giustizia e la pace.

Dal Vaticano, 17 marzo 2011

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Nella Festa della Presentazione del Signore

Basilica VaticanaMartedì, 2 febbraio 2011

CELEBRAZIONE DEI VESPRI

Cari fratelli e sorelle!

Nella Festa odierna contempliamo il Signore Gesù che Maria e Giu-seppe presentano al tempio “per offrirlo al Signore” (Lc 2,22). In que-sta scena evangelica si rivela il mistero del Figlio della Vergine, il con-sacrato del Padre, venuto nel mondo per compiere fedelmente la suavolontà (cfr Eb 10,5-7). Simeone lo addita come “luce per illuminarele genti” (Lc 2,32) e annuncia con parola profetica la sua offerta su-prema a Dio e la sua vittoria finale (cfr Lc 2,32-35). È l’incontro deidue Testamenti, Antico e Nuovo. Gesù entra nell’antico tempio, Luiche è il nuovo Tempio di Dio: viene a visitare il suo popolo, portandoa compimento l’obbedienza alla Legge ed inaugurando i tempi ultimidella salvezza.

E’ interessante osservare da vicino questo ingresso del BambinoGesù nella solennità del tempio, in un grande “via vai” di tante perso-ne, prese dai loro impegni: i sacerdoti e i leviti con i loro turni di ser-vizio, i numerosi devoti e pellegrini, desiderosi di incontrarsi con ilDio santo di Israele. Nessuno di questi però si accorge di nulla. Gesùè un bambino come gli altri, figlio primogenito di due genitori moltosemplici. Anche i sacerdoti risultano incapaci di cogliere i segni dellanuova e particolare presenza del Messia e Salvatore. Solo due anziani,Simeone ed Anna, scoprono la grande novità. Condotti dallo SpiritoSanto, essi trovano in quel Bambino il compimento della loro lungaattesa e vigilanza. Entrambi contemplano la luce di Dio, che viene adilluminare il mondo, ed il loro sguardo profetico si apre al futuro, co-me annuncio del Messia: “Lumen ad revelationem gentium!” (Lc 2,32).Nell’atteggiamento profetico dei due vegliardi è tutta l’Antica Alleanzache esprime la gioia dell’incontro con il Redentore. Alla vista del Bam-bino, Simeone e Anna intuiscono che è proprio Lui l’Atteso.

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La Presentazione di Gesù al tempio costituisce un’eloquente iconadella totale donazione della propria vita per quanti, uomini e donne,sono chiamati a riprodurre nella Chiesa e nel mondo, mediante i con-sigli evangelici, “i tratti caratteristici di Gesù - vergine, povero ed ob-bediente” (Esort. ap. postsinod. Vita consecrata, 1). Perciò la Festaodierna è stata scelta dal Venerabile Giovanni Paolo II per celebrarel’annuale Giornata della Vita Consacrata. In questo contesto, rivolgoun saluto cordiale e riconoscente al Cardinale João Braz de Aviz, cheda poco ho nominato Prefetto della Congregazione per gli Istituti diVita Consacrata e per le Società di Vita Apostolica, con il Segretario e icollaboratori. Con affetto saluto i Superiori Generali presenti e tutte lepersone consacrate.

Vorrei proporre tre brevi pensieri per la riflessione in questa Festa.

Il primo: l’icona evangelica della Presentazione di Gesù al tempiocontiene il simbolo fondamentale della luce; la luce che, partendo daCristo, si irradia su Maria e Giuseppe, su Simeone ed Anna e, attraver-so di loro, su tutti. I Padri della Chiesa hanno collegato questa irradia-zione al cammino spirituale. La vita consacrata esprime tale cammino,in modo speciale, come “filocalia”, amore per la bellezza divina, ri-flesso della bontà di Dio (cfr ibid., 19). Sul volto di Cristo risplende laluce di tale bellezza. “La Chiesa contempla il volto trasfigurato di Cri-sto, per confermarsi nella fede e non rischiare lo smarrimento davantial suo volto sfigurato sulla Croce ... essa è la Sposa davanti allo Sposo,partecipe del suo mistero, avvolta dalla sua luce, [dalla quale] sonoraggiunti tutti i suoi figli … Ma un’esperienza singolare della luce chepromana dal Verbo incarnato fanno certamente i chiamati alla vitaconsacrata. La professione dei consigli evangelici, infatti, li pone qualesegno e profezia per la comunità dei fratelli e per il mondo” (ibid.,15).

In secondo luogo, l’icona evangelica manifesta la profezia, donodello Spirito Santo. Simeone ed Anna, contemplando il Bambino Ge-sù, intravvedono il suo destino di morte e di risurrezione per la sal-vezza di tutte le genti e annunciano tale mistero come salvezza uni-versale. La vita consacrata è chiamata a tale testimonianza profetica,

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legata alla sua duplice attitudine contemplativa e attiva. Ai consacratie alle consacrate è dato infatti di manifestare il primato di Dio, la pas-sione per il Vangelo praticato come forma di vita e annunciato ai po-veri e agli ultimi della terra. “In forza di tale primato nulla può essereanteposto all’amore personale per Cristo e per i poveri in cui Egli vi-ve. ... La vera profezia nasce da Dio, dall’amicizia con Lui, dall’ascoltoattento della sua Parola nelle diverse circostanze della storia” (ibid.,84). In questo modo la vita consacrata, nel suo vissuto quotidiano sul-le strade dell’umanità, manifesta il Vangelo e il Regno già presente eoperante.

In terzo luogo, l’icona evangelica della Presentazione di Gesù altempio manifesta la sapienza di Simeone ed Anna, la sapienza di unavita dedicata totalmente alla ricerca del volto di Dio, dei suoi segni,della sua volontà; una vita dedicata all’ascolto e all’annuncio della suaParola. “«Faciem tuam, Domine, requiram»: il tuo volto, Signore, iocerco (Sal 26,8) … La vita consacrata è nel mondo e nella Chiesa se-gno visibile di questa ricerca del volto del Signore e delle vie che con-ducono a Lui (cfr Gv 14,8) … La persona consacrata testimonia dun-que l’impegno, gioioso e insieme laborioso, della ricerca assidua e sa-piente della volontà divina” (cfr Cong. per gli Istituti di Vita Consacra-ta e le Società di Vita Apostolica, Istruz. Il servizio dell’autorità e l’ob-bedienza. Faciem tuam Domine requiram [2008], 1).

Cari fratelli e sorelle, siate ascoltatori assidui della Parola, perchéogni sapienza di vita nasce dalla Parola del Signore! Siate scrutatoridella Parola, attraverso la lectio divina, poiché la vita consacrata “na-sce dall’ascolto della Parola di Dio ed accoglie il Vangelo come suanorma di vita. Vivere nella sequela di Cristo casto, povero ed obbe-diente è in tal modo una «esegesi» vivente della Parola di Dio. LoSpirito Santo, in forza del quale è stata scritta la Bibbia, è il medesi-mo che illumina di luce nuova la Parola di Dio ai fondatori e allefondatrici. Da essa è sgorgato ogni carisma e di essa ogni regolavuole essere espressione, dando origine ad itinerari di vita cristianasegnati dalla radicalità evangelica” (Esort. ap. postsinodale VerbumDomini, 83).

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Viviamo oggi, soprattutto nelle società più sviluppate, una condi-zione segnata spesso da una radicale pluralità, da una progressivaemarginazione della religione dalla sfera pubblica, da un relativismoche tocca i valori fondamentali. Ciò esige che la nostra testimonianzacristiana sia luminosa e coerente e che il nostro sforzo educativo siasempre più attento e generoso. La vostra azione apostolica, in partico-lare, cari fratelli e sorelle, diventi impegno di vita, che accede, conperseverante passione, alla Sapienza come verità e come bellezza,“splendore della verità”. Sappiate orientare con la sapienza della vo-stra vita, e con la fiducia nelle possibilità inesauste della vera educa-zione, l’intelligenza e il cuore degli uomini e delle donne del nostrotempo verso la “vita buona del Vangelo”.

In questo momento, il mio pensiero va con speciale affetto a tutti iconsacrati e le consacrate, in ogni parte della terra, e li affido alla Bea-ta Vergine Maria:

O Maria, Madre della Chiesa,affido a te tutta la vita consacrata,affinché tu le ottenga la pienezza della luce divina:viva nell’ascolto della Parola di Dio,nell’umiltà della sequela di Gesù tuo Figlio e nostro Signore, nell’accoglienza della visita dello Spirito Santo,nella gioia quotidiana del magnificat,perché la Chiesa sia edificata dalla santità di vitadi questi tuoi figli e figlie,nel comandamento dell’amore. Amen.

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Nella XXVI Giornata Mondiale della Gioventù

Piazza San PietroDomenica, 17 aprile 2011

Cari fratelli e sorelle, cari giovani

Ci commuove nuovamente ogni anno, nella Domenica delle Palme,salire assieme a Gesù il monte verso il santuario, accompagnarLo lun-go la via verso l’alto. In questo giorno, su tutta la faccia della terra eattraverso tutti i secoli, giovani e gente di ogni età Lo acclamano gri-dando: “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel no-me del Signore!”

Ma che cosa facciamo veramente quando ci inseriamo in tale pro-cessione – nella schiera di coloro che insieme con Gesù salivano aGerusalemme e Lo acclamavano come re di Israele? È qualcosa di piùdi una cerimonia, di una bella usanza? Ha forse a che fare con la verarealtà della nostra vita, del nostro mondo? Per trovare la risposta, dob-biamo innanzitutto chiarire che cosa Gesù stesso abbia in realtà volu-to e fatto. Dopo la professione di fede, che Pietro aveva fatto a Cesa-rea di Filippo, nell’estremo nord della Terra Santa, Gesù si era incam-minato come pellegrino verso Gerusalemme per le festività della Pa-squa. È in cammino verso il tempio nella Città Santa, verso quel luogoche per Israele garantiva in modo particolare la vicinanza di Dio alsuo popolo. È in cammino verso la comune festa della Pasqua, me-moriale della liberazione dall’Egitto e segno della speranza nella libe-razione definitiva. Egli sa che Lo aspetta una nuova Pasqua e che Eglistesso prenderà il posto degli agnelli immolati, offrendo se stesso sullaCroce. Sa che, nei doni misteriosi del pane e del vino, si donerà persempre ai suoi, aprirà loro la porta verso una nuova via di liberazio-ne, verso la comunione con il Dio vivente. È in cammino verso l’altez-za della Croce, verso il momento dell’amore che si dona. Il termineultimo del suo pellegrinaggio è l’altezza di Dio stesso, alla quale Eglivuole sollevare l’essere umano.

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La nostra processione odierna vuole quindi essere l’immagine diqualcosa di più profondo, immagine del fatto che, insieme con Gesù,c’incamminiamo per il pellegrinaggio: per la via alta verso il Dio vi-vente. È di questa salita che si tratta. È il cammino a cui Gesù ci invi-ta. Ma come possiamo noi tenere il passo in questa salita? Non oltre-passa forse le nostre forze? Sì, è al di sopra delle nostre proprie possi-bilità. Da sempre gli uomini sono stati ricolmi – e oggi lo sono quantomai – del desiderio di “essere come Dio”, di raggiungere essi stessil’altezza di Dio. In tutte le invenzioni dello spirito umano si cerca, inultima analisi, di ottenere delle ali, per potersi elevare all’altezza del-l’Essere, per diventare indipendenti, totalmente liberi, come lo è Dio.Tante cose l’umanità ha potuto realizzare: siamo in grado di volare.Possiamo vederci, ascoltarci e parlarci da un capo all’altro del mondo.E tuttavia, la forza di gravità che ci tira in basso è potente. Insiemecon le nostre capacità non è cresciuto soltanto il bene. Anche le pos-sibilità del male sono aumentate e si pongono come tempeste minac-ciose sopra la storia. Anche i nostri limiti sono rimasti: basti pensarealle catastrofi che in questi mesi hanno afflitto e continuano ad afflig-gere l’umanità.

I Padri hanno detto che l’uomo sta nel punto d’intersezione tra duecampi di gravitazione. C’è anzitutto la forza di gravità che tira in basso– verso l’egoismo, verso la menzogna e verso il male; la gravità che ciabbassa e ci allontana dall’altezza di Dio. Dall’altro lato c’è la forza digravità dell’amore di Dio: l’essere amati da Dio e la risposta del nostroamore ci attirano verso l’alto. L’uomo si trova in mezzo a questa du-plice forza di gravità, e tutto dipende dallo sfuggire al campo di gravi-tazione del male e diventare liberi di lasciarsi totalmente attirare dallaforza di gravità di Dio, che ci rende veri, ci eleva, ci dona la vera li-bertà.

Dopo la liturgia della Parola, all’inizio della Preghiera eucaristicadurante la quale il Signore entra in mezzo a noi, la Chiesa ci rivolgel’invito: “Sursum corda – in alto i cuori!” Secondo la concezione bibli-ca e nella visione dei Padri, il cuore è quel centro dell’uomo in cui siuniscono l’intelletto, la volontà e il sentimento, il corpo e l’anima.Quel centro, in cui lo spirito diventa corpo e il corpo diventa spirito;

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in cui volontà, sentimento e intelletto si uniscono nella conoscenza diDio e nell’amore per Lui. Questo “cuore” deve essere elevato. Ma an-cora una volta: noi da soli siamo troppo deboli per sollevare il nostrocuore fino all’altezza di Dio. Non ne siamo in grado. Proprio la super-bia di poterlo fare da soli ci tira verso il basso e ci allontana da Dio.Dio stesso deve tirarci in alto, ed è questo che Cristo ha iniziato sullaCroce. Egli è disceso fin nell’estrema bassezza dell’esistenza umana,per tirarci in alto verso di sé, verso il Dio vivente. Egli è diventatoumile, dice oggi la seconda lettura. Soltanto così la nostra superbiapoteva essere superata: l’umiltà di Dio è la forma estrema del suoamore, e questo amore umile attrae verso l’alto.

Il Salmo processionale 24, che la Chiesa ci propone come “canto diascesa” per la liturgia di oggi, indica alcuni elementi concreti, che ap-partengono alla nostra ascesa e senza i quali non possiamo essere sol-levati in alto: le mani innocenti, il cuore puro, il rifiuto della menzo-gna, la ricerca del volto di Dio. Le grandi conquiste della tecnica cirendono liberi e sono elementi del progresso dell’umanità soltanto sesono unite a questi atteggiamenti – se le nostre mani diventano inno-centi e il nostro cuore puro, se siamo in ricerca della verità, in ricercadi Dio stesso, e ci lasciamo toccare ed interpellare dal suo amore. Tut-ti questi elementi dell’ascesa sono efficaci soltanto se in umiltà ricono-sciamo che dobbiamo essere attirati verso l’alto; se abbandoniamo lasuperbia di volere noi stessi farci Dio. Abbiamo bisogno di Lui: Egli citira verso l’alto, nell’essere sorretti dalle sue mani – cioè nella fede –ci dà il giusto orientamento e la forza interiore che ci solleva in alto.Abbiamo bisogno dell’umiltà della fede che cerca il volto di Dio e siaffida alla verità del suo amore.

La questione di come l’uomo possa arrivare in alto, diventare total-mente se stesso e veramente simile a Dio, ha da sempre impegnatol’umanità. È stata discussa appassionatamente dai filosofi platonici delterzo e quarto secolo. La loro domanda centrale era come trovaremezzi di purificazione, mediante i quali l’uomo potesse liberarsi dalgrave peso che lo tira in basso ed ascendere all’altezza del suo veroessere, all’altezza della divinità. Sant’Agostino, nella sua ricerca dellaretta via, per un certo periodo ha cercato sostegno in quelle filosofie.

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Ma alla fine dovette riconoscere che la loro risposta non era sufficien-te, che con i loro metodi egli non sarebbe giunto veramente a Dio.Disse ai loro rappresentanti: Riconoscete dunque che la forza dell’uo-mo e di tutte le sue purificazioni non basta per portarlo veramente al-l’altezza del divino, all’altezza a lui adeguata. E disse che avrebbe di-sperato di se stesso e dell’esistenza umana, se non avesse trovato Co-lui che fa ciò che noi stessi non possiamo fare; Colui che ci solleva al-l’altezza di Dio, nonostante la nostra miseria: Gesù Cristo che, da Dio,è disceso verso di noi e, nel suo amore crocifisso, ci prende per manoe ci conduce in alto.

Noi andiamo in pellegrinaggio con il Signore verso l’alto. Siamo inricerca del cuore puro e delle mani innocenti, siamo in ricerca dellaverità, cerchiamo il volto di Dio. Manifestiamo al Signore il nostro de-siderio di diventare giusti e Lo preghiamo: Attiraci Tu verso l’alto!Rendici puri! Fa’ che valga per noi la parola che cantiamo col Salmoprocessionale; cioè che possiamo appartenere alla generazione checerca Dio, “che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe” (Sal 24,6). Amen.

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In occasione della Beatificazione del servo di DioGiovanni Paolo II

Sagrato della Basilica Vaticana Domenica, 1° maggio 2011

Cari fratelli e sorelle!

Sei anni or sono ci trovavamo in questa Piazza per celebrare i fu-nerali del Papa Giovanni Paolo II. Profondo era il dolore per la perdi-ta, ma più grande ancora era il senso di una immensa grazia che av-volgeva Roma e il mondo intero: la grazia che era come il frutto del-l’intera vita del mio amato Predecessore, e specialmente della sua te-stimonianza nella sofferenza. Già in quel giorno noi sentivamo aleg-giare il profumo della sua santità, e il Popolo di Dio ha manifestato inmolti modi la sua venerazione per Lui. Per questo ho voluto che, neldoveroso rispetto della normativa della Chiesa, la sua causa di beatifi-cazione potesse procedere con discreta celerità. Ed ecco che il giornoatteso è arrivato; è arrivato presto, perché così è piaciuto al Signore:Giovanni Paolo II è beato!

Desidero rivolgere il mio cordiale saluto a tutti voi che, per questafelice circostanza, siete convenuti così numerosi a Roma da ogni partedel mondo, Signori Cardinali, Patriarchi delle Chiese Orientali Cattoli-che, Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, Delegazioni Ufficiali,Ambasciatori e Autorità, persone consacrate e fedeli laici, e lo estendoa quanti sono uniti a noi mediante la radio e la televisione.

Questa Domenica è la Seconda di Pasqua, che il beato GiovanniPaolo II ha intitolato alla Divina Misericordia. Perciò è stata sceltaquesta data per l’odierna Celebrazione, perché, per un disegno prov-videnziale, il mio Predecessore rese lo spirito a Dio proprio la seradella vigilia di questa ricorrenza. Oggi, inoltre, è il primo giorno delmese di maggio, il mese di Maria; ed è anche la memoria di san Giu-seppe lavoratore. Questi elementi concorrono ad arricchire la nostrapreghiera, aiutano noi che siamo ancora pellegrini nel tempo e nello

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spazio; mentre in Cielo, ben diversa è la festa tra gli Angeli e i Santi!Eppure, uno solo è Dio, e uno è Cristo Signore, che come un pontecongiunge la terra e il Cielo, e noi in questo momento ci sentiamo piùche mai vicini, quasi partecipi della Liturgia celeste.

“Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29). NelVangelo di oggi Gesù pronuncia questa beatitudine: la beatitudinedella fede. Essa ci colpisce in modo particolare, perché siamo riunitiproprio per celebrare una Beatificazione, e ancora di più perché oggiè stato proclamato Beato un Papa, un Successore di Pietro, chiamato aconfermare i fratelli nella fede. Giovanni Paolo II è beato per la suafede, forte e generosa, apostolica. E subito ricordiamo quell’altra bea-titudine: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne nésangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli” (Mt16,17). Che cosa ha rivelato il Padre celeste a Simone? Che Gesù è ilCristo, il Figlio del Dio vivente. Per questa fede Simone diventa “Pie-tro”, la roccia su cui Gesù può edificare la sua Chiesa. La beatitudineeterna di Giovanni Paolo II, che oggi la Chiesa ha la gioia di procla-mare, sta tutta dentro queste parole di Cristo: “Beato sei tu, Simone” e“Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. La beatitudinedella fede, che anche Giovanni Paolo II ha ricevuto in dono da DioPadre, per l’edificazione della Chiesa di Cristo.

Ma il nostro pensiero va ad un’altra beatitudine, che nel Vangeloprecede tutte le altre. E’ quella della Vergine Maria, la Madre del Re-dentore. A Lei, che ha appena concepito Gesù nel suo grembo, santaElisabetta dice: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciòche il Signore le ha detto” (Lc 1,45). La beatitudine della fede ha il suomodello in Maria, e tutti siamo lieti che la beatificazione di GiovanniPaolo II avvenga nel primo giorno del mese mariano, sotto lo sguardomaterno di Colei che, con la sua fede, sostenne la fede degli Apostoli,e continuamente sostiene la fede dei loro successori, specialmente diquelli che sono chiamati a sedere sulla cattedra di Pietro. Maria noncompare nei racconti della risurrezione di Cristo, ma la sua presenza ècome nascosta ovunque: lei è la Madre, a cui Gesù ha affidato ciascu-no dei discepoli e l’intera comunità. In particolare, notiamo che lapresenza effettiva e materna di Maria viene registrata da san Giovanni

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e da san Luca nei contesti che precedono quelli del Vangelo odiernoe della prima Lettura: nel racconto della morte di Gesù, dove Mariacompare ai piedi della croce (cfr Gv 19,25); e all’inizio degli Atti degliApostoli, che la presentano in mezzo ai discepoli riuniti in preghieranel cenacolo (cfr At 1,14).

Anche la seconda Lettura odierna ci parla della fede, ed è propriosan Pietro che scrive, pieno di entusiasmo spirituale, indicando aineo-battezzati le ragioni della loro speranza e della loro gioia. Mi pia-ce osservare che in questo passo, all’inizio della sua Prima Lettera,Pietro non si esprime in modo esortativo, ma indicativo; scrive, infatti:“Siete ricolmi di gioia” – e aggiunge: “Voi lo amate, pur senza averlovisto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indi-cibile e gloriosa, mentre conseguite la meta della vostra fede: la sal-vezza delle anime” (1Pt 1,6.8-9). Tutto è all’indicativo, perché c’è unanuova realtà, generata dalla risurrezione di Cristo, una realtà accessibi-le alla fede. “Questo è stato fatto dal Signore - dice il Salmo (118,23) -una meraviglia ai nostri occhi”, gli occhi della fede.

Cari fratelli e sorelle, oggi risplende ai nostri occhi, nella piena lucespirituale del Cristo risorto, la figura amata e venerata di GiovanniPaolo II. Oggi il suo nome si aggiunge alla schiera di Santi e Beati cheegli ha proclamato durante i quasi 27 anni di pontificato, ricordandocon forza la vocazione universale alla misura alta della vita cristiana,alla santità, come afferma la Costituzione conciliare Lumen gentiumsulla Chiesa. Tutti i membri del Popolo di Dio – Vescovi, sacerdoti,diaconi, fedeli laici, religiosi, religiose – siamo in cammino verso lapatria celeste, dove ci ha preceduto la Vergine Maria, associata in mo-do singolare e perfetto al mistero di Cristo e della Chiesa. Karol Wojty-la, prima come Vescovo Ausiliare e poi come Arcivescovo di Cracovia,ha partecipato al Concilio Vaticano II e sapeva bene che dedicare aMaria l’ultimo capitolo del Documento sulla Chiesa significava porrela Madre del Redentore quale immagine e modello di santità per ognicristiano e per la Chiesa intera. Questa visione teologica è quella cheil beato Giovanni Paolo II ha scoperto da giovane e ha poi conservatoe approfondito per tutta la vita. Una visione che si riassume nell’iconabiblica di Cristo sulla croce con accanto Maria, sua madre. Un’icona

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che si trova nel Vangelo di Giovanni (19,25-27) ed è riassunta nellostemma episcopale e poi papale di Karol Wojtyla: una croce d’oro,una “emme” in basso a destra, e il motto “Totus tuus”, che corrispon-de alla celebre espressione di san Luigi Maria Grignion de Montfort,nella quale Karol Wojtyla ha trovato un principio fondamentale per lasua vita: “Totus tutus ego sum et omnia mea tua sunt. Accipio Te inmea omnia. Praebe mihi cor tuum, Maria – Sono tutto tuo e tutto ciòche è mio è tuo. Ti prendo per ogni mio bene. Dammi il tuo cuore, oMaria” (Trattato della vera devozione alla Santa Vergine, n. 266).

Nel suo Testamento il nuovo Beato scrisse: “Quando nel giorno 16ottobre 1978 il conclave dei cardinali scelse Giovanni Paolo II, il Pri-mate della Polonia card. Stefan Wyszynski mi disse: «Il compito delnuovo papa sarà di introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio»”. E ag-giungeva: “Desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo Spiri-to Santo per il grande dono del Concilio Vaticano II, al quale insiemecon l’intera Chiesa – e soprattutto con l’intero episcopato – mi sentodebitore. Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove ge-nerazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secoloci ha elargito. Come vescovo che ha partecipato all’evento conciliaredal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo grande patrimo-nio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo.Per parte mia ringrazio l’eterno Pastore che mi ha permesso di servirequesta grandissima causa nel corso di tutti gli anni del mio pontifica-to”. E qual è questa “causa”? E’ la stessa che Giovanni Paolo II haenunciato nella sua prima Messa solenne in Piazza San Pietro, con lememorabili parole: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate leporte a Cristo!”. Quello che il neo-eletto Papa chiedeva a tutti, eglistesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società, la cultura, isistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante –forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irre-versibile.

[Con la sua testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostoli-co, accompagnata da una grande carica umana, questo esemplare fi-glio della Nazione polacca ha aiutato i cristiani di tutto il mondo anon avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare

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del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della ve-rità, perché la verità è garanzia della libertà.]

Ancora più in sintesi: ci ha ridato la forza di credere in Cristo, per-ché Cristo è Redemptor hominis, Redentore dell’uomo: il tema dellasua prima Enciclica e il filo conduttore di tutte le altre.

Karol Wojtyla salì al soglio di Pietro portando con sé la sua profon-da riflessione sul confronto tra il marxismo e il cristianesimo, incentra-to sull’uomo. Il suo messaggio è stato questo: l’uomo è la via dellaChiesa, e Cristo è la via dell’uomo. Con questo messaggio, che è lagrande eredità del Concilio Vaticano II e del suo “timoniere” il Servodi Dio Papa Paolo VI, Giovanni Paolo II ha guidato il Popolo di Dio avarcare la soglia del Terzo Millennio, che proprio grazie a Cristo egliha potuto chiamare “soglia della speranza”. Sì, attraverso il lungo cam-mino di preparazione al Grande Giubileo, egli ha dato al Cristianesi-mo un rinnovato orientamento al futuro, il futuro di Dio, trascendenterispetto alla storia, ma che pure incide sulla storia. Quella carica disperanza che era stata ceduta in qualche modo al marxismo e all’ideo-logia del progresso, egli l’ha legittimamente rivendicata al Cristianesi-mo, restituendole la fisionomia autentica della speranza, da vivere nel-la storia con uno spirito di “avvento”, in un’esistenza personale e co-munitaria orientata a Cristo, pienezza dell’uomo e compimento dellesue attese di giustizia e di pace.

Vorrei infine rendere grazie a Dio anche per la personale esperien-za che mi ha concesso, di collaborare a lungo con il beato Papa Gio-vanni Paolo II. Già prima avevo avuto modo di conoscerlo e di sti-marlo, ma dal 1982, quando mi chiamò a Roma come Prefetto dellaCongregazione per la Dottrina della Fede, per 23 anni ho potuto star-gli vicino e venerare sempre più la sua persona. Il mio servizio è statosostenuto dalla sua profondità spirituale, dalla ricchezza delle sue in-tuizioni. L’esempio della sua preghiera mi ha sempre colpito ed edifi-cato: egli si immergeva nell’incontro con Dio, pur in mezzo alle mol-teplici incombenze del suo ministero. E poi la sua testimonianza nellasofferenza: il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è ri-masto sempre una “roccia”, come Cristo lo ha voluto. La sua profonda

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umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli ha permesso di con-tinuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancorapiù eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivanomeno. Così egli ha realizzato in modo straordinario la vocazione diogni sacerdote e vescovo: diventare un tutt’uno con quel Gesù, chequotidianamente riceve e offre nella Chiesa.

Beato te, amato Papa Giovanni Paolo II, perché hai creduto! Conti-nua – ti preghiamo – a sostenere dal Cielo la fede del Popolo di Dio.Tante volte ci hai benedetto in questa Piazza dal Palazzo! Oggi, ti pre-ghiamo: Santo Padre ci benedica! Amen.

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In occasione della Giornata Nazionaledelle Famiglie cattoliche croate

Viaggio apostolico in Croazia(4-5 giugno 2011)

Ippodromo di ZagrebDomenica, 5 giugno 2011

Cari fratelli e sorelle!

In questa Santa Messa che ho la gioia di presiedere, concelebrandocon numerosi Fratelli nell’episcopato e con un gran numero di sacer-doti, ringrazio il Signore per tutte le amate famiglie qui riunite, e pertante altre che sono collegate con noi attraverso la radio e la televisio-ne. Un particolare ringraziamento al Cardinale Josip Bozanic, Arcive-scovo di Zagabria, per le sentite parole all’inizio della Santa Messa. Atutti rivolgo il mio saluto ed esprimo il mio grande affetto con un ab-braccio di pace!

Abbiamo da poco celebrato l’Ascensione del Signore e ci preparia-mo a ricevere il grande dono dello Spirito Santo. Nella prima lettura,abbiamo visto come la comunità apostolica era riunita in preghieranel Cenacolo con Maria, la madre di Gesù (cfr At 1,12-14). E’ questoun ritratto della Chiesa che affonda le sue radici nell’evento pasquale:il Cenacolo, infatti, è il luogo in cui Gesù istituì l’Eucaristia e il Sacer-dozio, nell’Ultima Cena, e dove, risorto dai morti, effuse lo SpiritoSanto sugli Apostoli la sera di Pasqua (cfr Gv 20,19-23). Ai suoi disce-poli, il Signore aveva ordinato di “non allontanarsi da Gerusalemme,ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre” (At 1,4);aveva chiesto cioè che restassero insieme per prepararsi a ricevere ildono dello Spirito Santo. Ed essi si riunirono in preghiera con Marianel Cenacolo in attesa dell’evento promesso (cfr At 1,14). Restare in-sieme fu la condizione posta da Gesù per accogliere la venuta del Pa-raclito, e la prolungata preghiera fu il presupposto della loro concor-dia. Troviamo qui una formidabile lezione per ogni comunità cristia-

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na. Talora si pensa che l’efficacia missionaria dipenda principalmenteda un’attenta programmazione e dalla sua intelligente messa in operamediante un impegno concreto. Certo, il Signore chiede la nostra col-laborazione, ma prima di qualsiasi nostra risposta è necessaria la suainiziativa: è il suo Spirito il vero protagonista della Chiesa, da invocaree accogliere.

Nel Vangelo, abbiamo ascoltato la prima parte della cosiddetta“preghiera sacerdotale” di Gesù (cfr Gv 17,1-11a) - a conclusione deidiscorsi di addio - piena di confidenza, di dolcezza e di amore. Vienechiamata “preghiera sacerdotale”, perché in essa Gesù si presenta inatteggiamento di sacerdote che intercede per i suoi, nel momento incui sta per lasciare questo mondo. Il brano è dominato dal duplice te-ma dell’ora e della gloria. Si tratta dell’ora della morte (cfr Gv 2,4;7,30; 8,20), l’ora nella quale il Cristo deve passare da questo mondo alPadre (13,1). Ma essa è, allo stesso tempo, anche l’ora della sua glori-ficazione che si compie attraverso la croce, chiamata dall’evangelistaGiovanni “esaltazione”, cioè innalzamento, elevazione alla gloria: l’oradella morte di Gesù, l’ora dell’amore supremo, è l’ora della sua gloriapiù alta. Anche per la Chiesa, per ogni cristiano, la gloria più alta èquella Croce, è vivere la carità, dono totale a Dio e agli altri.

Cari fratelli e sorelle! Ho accolto molto volentieri l’invito rivoltomidai Vescovi della Croazia a visitare questo Paese in occasione del pri-mo Incontro Nazionale delle Famiglie Cattoliche Croate. Desideroesprimere il mio vivo apprezzamento per l’attenzione e l’impegno ver-so la famiglia, non solo perché questa fondamentale realtà umana og-gi, nel vostro Paese come altrove, deve affrontare difficoltà e minacce,e quindi ha particolare bisogno di essere evangelizzata e sostenuta,ma anche perché le famiglie cristiane sono una risorsa decisiva perl’educazione alla fede, per l’edificazione della Chiesa come comunio-ne e per la sua presenza missionaria nelle più diverse situazioni di vi-ta. Conosco la generosità e la dedizione con cui voi, cari Pastori, ser-vite il Signore e la Chiesa. Il vostro lavoro quotidiano per la formazio-ne alla fede delle nuove generazioni, come anche per la preparazioneal matrimonio e per l’accompagnamento delle famiglie, è la stradafondamentale per rigenerare sempre di nuovo la Chiesa e anche per

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vivificare il tessuto sociale del Paese. Continuate con disponibilitàquesto vostro prezioso impegno pastorale!

È ben noto a ciascuno come la famiglia cristiana sia segno specialedella presenza e dell’amore di Cristo e come essa sia chiamata a dareun contributo specifico ed insostituibile all’evangelizzazione. Il beatoGiovanni Paolo II, che per ben tre volte visitò questo nobile Paese, af-fermava che “la famiglia cristiana è chiamata a prendere parte viva eresponsabile alla missione della Chiesa in modo proprio e originale,ponendo cioè al servizio della Chiesa e della società se stessa nel suoessere ed agire, in quanto intima comunità di vita e d’amore” (Fami-liaris consortio, 50). La famiglia cristiana è sempre stata la prima via ditrasmissione della fede e anche oggi conserva grandi possibilità perl’evangelizzazione in molteplici ambiti.

Cari genitori, impegnatevi sempre ad insegnare ai vostri figli a pre-gare, e pregate con essi; avvicinateli ai Sacramenti, specie all’Eucaristia– quest’anno celebrate i 600 anni del “miracolo eucaristico di Lud-breg”; introduceteli nella vita della Chiesa; nell’intimità domestica nonabbiate paura di leggere la Sacra Scrittura, illuminando la vita familiarecon la luce della fede e lodando Dio come Padre. Siate quasi un pic-colo cenacolo, come quello di Maria e dei discepoli, in cui si vive l’u-nità, la comunione, la preghiera!

Oggi, grazie a Dio, molte famiglie cristiane acquistano sempre piùla consapevolezza della loro vocazione missionaria, e si impegnanoseriamente nella testimonianza a Cristo Signore. Il beato GiovanniPaolo II ebbe a dire: “Un’autentica famiglia, fondata sul matrimonio, èin se stessa una buona notizia per il mondo”. E aggiunse: “Nel nostrotempo sono sempre più numerose le famiglie che collaborano attiva-mente all’evangelizzazione… È maturata nella Chiesa l’ora della fami-glia, che è anche l’ora della famiglia missionaria” (Angelus, 21 ottobre2001).

Nella società odierna è più che mai necessaria e urgente la presen-za di famiglie cristiane esemplari. Purtroppo dobbiamo constatare,specialmente in Europa, il diffondersi di una secolarizzazione che por-ta all’emarginazione di Dio dalla vita e ad una crescente disgregazione

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della famiglia. Si assolutizza una libertà senza impegno per la verità, esi coltiva come ideale il benessere individuale attraverso il consumo dibeni materiali ed esperienze effimere, trascurando la qualità delle rela-zioni con le persone e i valori umani più profondi; si riduce l’amore aemozione sentimentale e a soddisfazione di pulsioni istintive, senzaimpegnarsi a costruire legami duraturi di appartenenza reciproca esenza apertura alla vita. Siamo chiamati a contrastare tale mentalità!Accanto alla parola della Chiesa, è molto importante la testimonianzae l’impegno delle famiglie cristiane, la vostra testimonianza concreta,specie per affermare l’intangibilità della vita umana dal concepimentofino al suo termine naturale, il valore unico e insostituibile della fami-glia fondata sul matrimonio e la necessità di provvedimenti legislativiche sostengano le famiglie nel compito di generare ed educare i figli.

Care famiglie, siate coraggiose! Non cedete a quella mentalità seco-larizzata che propone la convivenza come preparatoria, o addiritturasostitutiva del matrimonio! Mostrate con la vostra testimonianza di vitache è possibile amare, come Cristo, senza riserve, che non bisognaaver timore di impegnarsi per un’altra persona! Care famiglie, gioiteper la paternità e la maternità! L’apertura alla vita è segno di aperturaal futuro, di fiducia nel futuro, così come il rispetto della morale natu-rale libera la persona, anziché mortificarla! Il bene della famiglia è an-che il bene della Chiesa. Vorrei ribadire quanto ho affermato in passa-to: “L’edificazione di ogni singola famiglia cristiana si colloca nel con-testo della più grande famiglia della Chiesa, che la sostiene e la portacon sé … E reciprocamente, la Chiesa viene edificata dalle famiglie,piccole chiese domestiche” (Discorso di apertura del Convegno eccle-siale diocesano di Roma, 6 giugno 2005: Insegnamenti di BenedettoXVI, I, 2005, p. 205). Preghiamo il Signore affinché le famiglie sianosempre più piccole Chiese e le comunità ecclesiali siano sempre piùfamiglia!

Care famiglie croate, vivendo la comunione di fede e di carità, siatetestimoni in modo sempre più trasparente della promessa che il Si-gnore asceso al cielo fa a ciascuno di noi: “…io sono con voi tutti igiorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Cari cristiani croati, senti-tevi chiamati ad evangelizzare con tutta la vostra vita; sentite con for-

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za la parola del Signore: “Andate e fate discepoli tutti i popoli” (Mt28,19). La Vergine Maria, Regina dei croati, accompagni sempre que-sto vostro cammino. Amen! Siano lodati Gesù e Maria!

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LA PAROLADEI VESCOVI ITALIANI

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LA PAROLA DEI VESCOVI ITALIANICEI - CONSIGLIO PERMANENTE

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Conferenza Episcopale Italiana

CONSIGLIO PERMANENTEAncona, 24 - 27 gennaio 2011

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LA PAROLA DEI VESCOVI ITALIANICEI - CONSIGLIO PERMANENTE

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PROLUSIONE DEL CARDINALE PRESIDENTE

Venerati e cari Confratelli,

ci ritroviamo insieme, all’inizio del nuovo anno 2011, per la sessio-ne invernale del nostro Consiglio Permanente, mentre nubi ancorauna volta preoccupanti si addensano sul nostro Paese. Già la convo-cazione nella sede di una delle nostre Diocesi dice i propositi che cimuovono, l’attendere cioè all’attività della Conferenza, compresi gliappuntamenti che interessano comunitariamente le Chiese particolariche sono in Italia. Salutiamo, quindi, con grande cordialità l’Arcivesco-vo di Ancona-Osimo, Sua Eccellenza Monsignor Edoardo Menichelli, elo ringraziamo per l’ospitalità che unitamente alla sua comunità dioce-sana ci offre, assicurandolo fin d’ora della nostra corale partecipazioneal Congresso Eucaristico Nazionale che qui avrà luogo dal 3 all’11 set-tembre 2011. Sappiamo che da tempo, e d’intesa con il Comitato per iCongressi Eucaristici Nazionali, è in atto un’accurata preparazione al-l’evento che – non fatichiamo ad immaginarlo – si rivelerà non soloimpegnativo, ma anche prezioso e corroborante per la vita di questaDiocesi, nonché di tutte le Diocesi marchigiane.

Al Santo Padre Benedetto XVI vogliamo subito esprimere il nostrofiliale pensiero e la cordiale gratitudine per l’imminente beatificazionedel Servo di Dio Giovanni Paolo II: l’annuncio di questo evento hacolmato di gioia non solo l’animo dei credenti, ma il mondo interoche con ammirazione e riconoscenza custodisce il ricordo di questostraordinario pastore del nostro tempo. Contemporaneamente, autoriz-zando la pubblicazione di altri nove decreti, il Papa ha aperto la stra-da della beatificazione per il professor Giuseppe Toniolo, fondatoredelle Settimane Sociali, laico caro all’Azione Cattolica Italiana e all’U-niversità Cattolica del Sacro Cuore, e per suor Antonia Maria Verna,fondatrice delle Suore della Carità dell’Immacolata Concezione diIvrea. Ci rallegriamo per la compagnia di questi nuovi modelli che laChiesa ci propone sulla strada della santità.

1. Conserviamo come preziosa in noi l’eco delle celebrazioni na-talizie, con il loro corredo di tradizioni e di clima intensamente fami-

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liare, in coincidenza delle quali s’è potuto ancora una volta constatareil fascino benefico che la tradizione cristiana continua a far sentireovunque nel nostro Paese. E ciò sembra muoversi in un quadro inter-pretativo nel quale una de-cristianizzazione progressiva apparirebbead alcuni ineluttabile. In realtà, sugli esiti possono influire una serienon interamente ponderabile di cause, che determinano situazioni incontinua evoluzione. La fede religiosa può far fronte alle intemperie, eciascuno di noi è testimone di esperienze positive, capaci di rinvigori-re e proporre una concezione della vita tipicamente cristiana. C’è,d’altra parte, un legame personale con lo spazio e il tempo che solo lareligione riesce ad assicurare. Conosciamo il fascino che esercita il mi-stero di un Dio mai stanco degli uomini, che si fa loro incontro nellaforma scandalosamente più dimessa, fino a permettere alla nostra pre-suntuosa libertà di ignorarlo o addirittura sentirlo come rivale (cfr Be-nedetto XVI, Omelia nella Solennità dell’Epifania, 6 gennaio 2011).Dio supera il nostro metro di misura e lo sorprende, non in astrattoperò, bensì nel Bimbo deposto in una grotta. Pur inerme, è la Veritàper contemplare la quale è indispensabile «invertire la rotta» e «usciredall’autonomia del pensiero arbitrario verso la disposizione all’ascolto,che accoglie ciò che è» (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti alconvegno sull’Eredità spirituale e intellettuale di Romano Guardini, 29ottobre 2010). Certo, nel mistero del Natale riusciamo ad avvertire niti-dissimo anche lo strazio per chi si tiene lontano, e non vuol essereraggiunto neppure da un Dio Bambino; ma anche per chi è talmentecompreso di sé e della sua propria intelligenza, da non lasciarsi insi-diare dallo stupore né ghermire dal sorriso, gratuito e totale che, dallagrotta di Betlemme, si spande sul mondo. Nell’umiltà di quella carne,troviamo le parole più preziose, le verità più decisive per l’uomo pec-catore e il destino eterno del tempo e del cosmo. Il mistero colà an-nunciato si svilupperà nel corso dell’anno liturgico, dispiegando leprofondità della fede. Verità e parole che sono il corpo del Vangelo,quale risuona costantemente sulle labbra dei Pastori ed è alla base diogni gesto che appartiene alla missione della Chiesa amica dell’uomo,ma non solo, amica della società e del mondo.

Nel periodo natalizio, ad esempio, com’è consuetudine siamo stati,noi e i nostri Confratelli Vescovi, in visita alle carceri presenti nei ri-

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spettivi territori. Ed insieme alla calorosa accoglienza del gesto e delmessaggio, si è riscontrato il persistere amaro dei problemi legati prin-cipalmente al sovraffollamento, di cui già dicemmo nella prolusionedello scorso settembre.

2. La strage avvenuta ad Alessandria d’Egitto il primo giorno del2011, che ha causato la morte di ventitré cristiani copti e il ferimentodi altri novanta, è stato probabilmente l’episodio oltre il quale l’opi-nione pubblica non poteva più far finta di non vedere, ossia lo stillici-dio di situazioni persecutorie, che nell’ultimo periodo si erano verifi-cate in diverse zone del mondo, e avevano avuto i cristiani come vitti-me designate. Questi da tempo sono diventati il gruppo religioso chedeve affrontare il maggior numero di persecuzioni a motivo della pro-pria fede. Un crescendo di episodi sanguinosi che nel corso dei mesiaveva interessato India, Pakistan e Filippine, Sudan e Nigeria, Eritrea eSomalia. Ma i fatti più gravi sono avvenuti in Iraq ed infine in Egitto;in entrambe le situazioni, a precedenti episodi di sangue trascurati onon chiariti, ne sono seguiti altri sempre più gravi. Impressiona che ilmomento di preferenza scelto per condurre gli agguati contro i cristia-ni sia il giorno di festa, durante la celebrazione liturgica o all’uscita dichiesa. E ciò non fa che aggiungere orrore ad orrore. Naturalmenteciascun episodio fa caso a sé, così come ciascuna Nazione ha unoscenario proprio. Il Medio Oriente è di sicuro la regione a più altatensione; lì la cristianofobìa, che è la versione più corrente dell’intol-leranza religiosa, non è lontana dal porsi ormai nelle forme della puli-zia etnica o religiosa, benché i cristiani siano colà una componentecerto non aggiuntiva né importata, e per secoli quella terra sia stata la-boratorio di convivenza tra fedi ed etnie diverse.

Per i cattolici, e probabilmente non solo per loro, la coincidenzadella strage di Alessandria d’Egitto con la 44ª Giornata mondiale dellaPace ha gettato una luce ulteriore sul tema che quest’anno è statoscelto dal Papa, ossia «Libertà religiosa, via per la pace». Un’indicazio-ne questa – si ricorderà – che aveva avuto un’ampia trattazione neglianni Ottanta del secolo scorso, allorché si trattava di far maturare ol-tre-cortina la situazione interna ai Paesi dell’Est europeo, dove i regi-mi comunisti non potevano tollerare la libertà religiosa. Come non ri-

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cordare Giovanni Paolo II e la sua penetrante azione, volta a iscrivere– dinnanzi al mondo – il principio della libertà religiosa tra i dirittifondamentali dell’uomo, e a farne anzi il coronamento oltre che il cri-terio veritativo? Il suo Successore, Benedetto XVI, ha inteso riprendereesplicitamente quel magistero e nel Messaggio pubblicato per la Gior-nata del 1° gennaio 2011 ne offre la trattazione – ad oggi – più conse-quenziale ed organica. «Nella libertà religiosa, infatti – scrive il Papa –trova espressione la specificità della persona umana, che per essa puòordinare la propria vita personale e sociale a Dio, alla cui luce si com-prendono pienamente l’identità, il senso e il fine della persona». Econtinua: «Negare o limitare in maniera arbitraria tale libertà significacoltivare una visione riduttiva della persona umana; oscurare il ruolopubblico della religione significa generare una società ingiusta, poichénon proporzionata alla vera natura della persona» (n. 1). E se il dirittoalla libertà religiosa è radicato nella dignità umana (n. 2), e sta all’ori-gine della libertà morale (n. 3), significa anche che la stessa libertà re-ligiosa gode di uno statuto speciale giacché quando essa «è ricono-sciuta, la dignità della persona è rispettata nella sua radice, e si raffor-zano l’ethos e le istituzioni dei popoli» (n. 5). La libertà religiosa – an-cora – «è un bene essenziale: ogni persona deve poter esercitare libe-ramente il diritto di professare e di manifestare, individualmente o co-munitariamente, la propria religione o la propria fede, sia in pubblicoche in privato, nell’insegnamento, nelle pratiche, nelle pubblicazioni,nel culto e nell’osservanza dei riti. Non dovrebbe incontrare ostacolise volesse eventualmente aderire ad un’altra religione o non profes-sarne alcuna» (ib). Per questo motivo ai diritti di natura religiosa, l’or-dinamento internazionale assegna «lo stesso status del diritto alla vitae alla libertà personale, a riprova della loro appartenenza al nucleo es-senziale dei diritti dell’uomo, a quei diritti universali e naturali che lalegge umana non può mai negare […]. È elemento imprescindibile diuno Stato di diritto» (ib). La mia, qui, è un’evocazione solo per rapidis-simi cenni, desiderando piuttosto incoraggiare i credenti ad una lettu-ra approfondita del testo, notevole davvero per compattezza ed ispira-zione, e che va meditato unitamente all’Omelia tenuta nella solennitàdi Maria Madre di Dio, e al Discorso pronunciato dinanzi al Corpo Di-plomatico il 10 gennaio 2011. Anche per gli osservatori e opinionisti

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laici si va, per fortuna, diffondendo la consapevolezza che la religio-ne, elemento personale e interiore più di ogni altro, non va intesa insenso privato, e dunque isolabile, rispetto al quale assumere atteggia-menti apparentemente neutri, seppur in realtà indifferenti, quandonon scettici.

3. Nessuno Stato accetta oggi tranquillamente condizioni di disu-guaglianza nei rapporti economici, politici e culturali: se questo è ve-ro, ed è fatto valere nelle sedi internazionali, occorre che il problemadelle più elementari garanzie negate alle minoranze religiose – in nonpoche situazioni nazionali – venga posto con la lucidità e l’energia ne-cessarie. Si apre qui, è noto, un problema drammatico di reciprocità,che non si risolve minacciando ritorsioni o attenuando, in Italia e inOccidente, le garanzie dei cittadini provenienti dagli Stati che non as-sicurano parità di trattamento. Anziché procedere con mezzo passo inavanti, se ne farebbe uno indietro. Questo però non può essere unalibi per incrementare colpevoli acquiescenze o finti pragmatismi. Sipuò e si deve urgentemente porre la questione della libertà religiosanelle sedi internazionali – Unione Europea, Onu…– al fine di apriregli occhi e mantenerli aperti, insistendo affinché nei singoli Stati vi siaun sistema minimo di garanzie reali per la libertà di tutte le fedi. Esi-ste la possibilità di istituire degli osservatori internazionali in grado dicontrollare quello che concretamente avviene nei singoli territori. Èragionevole presumere ci siano, in ogni Paese, settori di opinionepubblica sufficientemente maturi da comprendere che l’estinguersidelle minoranze interne non può non segnare un’involuzione massi-malista, quando non totalitaria. Ciò spiega il dibattito magari sottotrac-cia che esiste anche nelle situazioni più blindate, come pure gli ap-poggi che i cristiani ricevono sempre di più anche da esponenti di re-ligione diversa. La questione tuttavia, di una fondamentale libertà reli-giosa, è da sollevarsi opportunamente nelle sedi multilaterali, comenelle relazioni bilaterali, e nei rapporti informali tra rappresentanti diPaesi diversi, avendo cura che l’interessamento puntuale non abbia ascatenare ritorsioni sulle spalle già oberate di chi soffre. Passi moltoimportanti in questo senso sono stati compiuti dall’Italia, e di ciò noiVescovi non possiamo non essere grati.

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Saremmo – per così dire – ancora più soddisfatti se tutti i nostri sti-mati interlocutori prendessero atto che subdole minacce ad un’effetti-va libertà religiosa esistono anche nei Paesi di tradizione democratica,a partire da quelli europei. Dovremmo guardarci infatti dai sottili tra-nelli dell’ipocrisia, che induce a cercare lontano ciò che invece è ri-scontrabile anche vicino. Il Papa nel suo Messaggio non manca di rile-varlo (cfr n. 13; e anche il Saluto all’Angelus, 1 gennaio 2011, e il Di-scorso cit.), e dal canto nostro, al pari di Confratelli di altri Paesi, nonmanchiamo di ripeterlo quando serve, ad esempio nella vicenda delCrocifisso esposto nelle scuole o in ambito pubblico. Convinti comesiamo che la libertà religiosa è un perno essenziale e delicatissimo,compromesso il quale è l’intero meccanismo sociale a risentirne, soli-tamente anche oltre le previsioni. C’è talora un argomentare infastiditosulla neutralità dello Stato che si rivela non poco capzioso. E c’èun’aggressività laicista dalle singolari analogie con certe ossessioniideologiche che ci eravamo lasciati alle spalle senza rimpianti. Colpi-sce, in questo senso, la denuncia che nel mese scorso è stata diffusadurante un convegno viennese dell’Osce secondo la quale un’astrattaapplicazione del principio di non discriminazione finisce paradossal-mente per comportare un’oggettiva limitazione al diritto dei credenti amanifestare pubblicamente la propria fede. Un male sottile insommasta affliggendo l’Europa, provocando una lenta, sotterranea emargina-zione del cristianesimo, con discriminazioni talora evidenti ma anchecon un soffocamento silente di libertà fondamentali. Il caso su cui cisi sofferma è quello dell’obiezione di coscienza sui temi di alta rile-vanza etica che, in più nazioni, si tenta ormai di ridimensionare. Ciòsegnerebbe un regresso sul crinale della libertà. Emarginare simboli,isolare contenuti, denigrare persone è arma con cui si induce alconformismo, si smorzano le posizioni scomode, si mortificano i sog-getti portatori di una loro testimonianza in favore di valori cui libera-mente credono.

Osiamo con ciò chiedere, come Vescovi, un esame di coscienza pertutti impegnativo. C’è infatti qualcosa che ciascuno può fare per deter-minare miglioramenti concreti. Chi non comprende come l’invito ri-volto dal Papa alle popolazioni bersagliate a «non cedere allo sconfor-to e alla rassegnazione» (Saluto all’Angelus, 1 gennaio 2010) suoni più

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efficace se quanti vivono in situazioni di libertà mettono in campo ge-sti concretamente volti alla solidarietà e alla condivisione? Intanto,poiché cittadini di altre religioni sono già in mezzo a noi, dobbiamoimparare a vivere con la diversità prossima a noi stessi, dando all’altroconsiderazione, facendolo esistere nell’attenzione e nel rispetto. Inquesto modo si può diventare quasi degli ambasciatori informali che,nelle forme della ferialità, danno un apporto significativo per modella-re positivamente le relazioni tra gruppi etnici e contribuiscono a de-terminare l’inflessione dei rapporti tra i popoli. Nel contempo, dobbia-mo interpretare a tutto tondo i dettami della nostra religione, senzasubire inibizioni striscianti, e ritenendo a nostra volta che vivere finoin fondo la fede, oltre a non essere uno stato di minorità, è un modoeccellente per rendere migliore il mondo. È il momento, come cristia-ni, di vincolarci di più alla Parola di Dio, in un approccio orante, per-sonale e comunitario: è quanto ci chiede l’esortazione apostolica Ver-bum Domini (cfr ad esempio i nn. 86 e 87), pubblicata il 30 settembrescorso, e proposta alla coscienza ecclesiale come un’eredità condivisadell’ultimo Sinodo mondiale dei Vescovi. In occasione del viaggio pa-pale in Gran Bretagna ci furono osservatori, solitamente non propriofavorevoli alla Chiesa cattolica, che riservarono a Benedetto XVI ap-prezzamenti non formali a proposito del suo modo di porsi, di essereconvincente, di indurre negli interlocutori interrogativi non scontati.Proprio questo stile, mite ma anche coraggioso e insieme persuasivo,vorremmo raccomandare a noi stessi e alle nostre Chiese.

È noto, inoltre, che su invito di Papa Benedetto nell’ottobre prossi-mo avrà luogo ad Assisi un Incontro interreligioso tra i rappresentantidelle Religioni mondiali, a venticinque anni da quello promosso daGiovanni Paolo II. Gesto tuttavia che nel contesto odierno rivelerànon solo la pertinenza della religione nel mondo di oggi ma il poten-ziale di pace e di sviluppo connesso alle relazioni interreligiose. E quiverrebbe spontanea una considerazione sul profilo del nostro Paese,chiamato ancora una volta a vivere da testimone privilegiato eventi digrande e universale significato simbolico. Ebbene, in vista di questoappuntamento, ci piacerebbe che i nostri fedeli mettessero fin d’ora inmoto il cuore e l’anima così da preparare spiritualmente e cultural-mente l’Italia ad accoglierlo come conviene. Per questa convocazione

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del Santo Padre, le comunità parrocchiali e quelle religiose sono chia-mate infatti a pregare in modo speciale, sulla scia della giornata dipreghiera indetta per domenica 21 novembre, affinché il Dio di ognimisericordia voglia far scendere da essa frutti copiosi di concordia edi pace. Domani, nella festa della Conversione di San Paolo, si con-clude la Settimana dedicata all’unità dei cristiani: è stata l’occasioneper interiorizzare ancora meglio che il cammino verso l’unità «abitanella preghiera» e che, dispiegandosi nella «comune responsabilità ver-so il mondo, dobbiamo rendere un servizio comune» (Benedetto XVI,Discorso all’Udienza Generale, 19 gennaio 2011).

4. Accennavo un attimo fa al profilo interiore dell’Italia. Più preci-samente, vorrei riferirmi a ciò che ancora oggi la fa essere qualcosa dipiù della somma di tanti singoli individui, ossia un popolo, e tale inforza non dello Stato, il quale viene dopo, ma di una comunità di de-stino che cammina con gli altri popoli, e tra gli altri ha una sua indole,un suo carattere, una sua vocazione, potremmo dire una sua anima.Quando, ad esempio, san Francesco e santa Caterina evocavano neiloro scritti l’Italia – molti secoli prima dell’unità raggiunta nel 1861, dicui si sta felicemente celebrando il 150° anniversario – si riferivanocon ogni evidenza ad un’entità geografica che con quel nome era giàidentificabile, tant’è che sul territorio circolava, oltre alle parlate locali,anche una lingua comune, c’erano scambi e commerci, c’erano lette-rati, giuristi ed artisti che lavoravano per le diverse corti, e in qualchemodo anzi le accomunavano. E potevano farlo in ragione di una pre-dicazione cristiana che, toccando le varie città e contrade, aveva datoforma agli archetipi fondamentali di base. Intendo dire che il vincoloreligioso è stato realmente l’incunabolo da cui è scaturita la prima co-scienza di una identità italiana. E ciò non per rimarcare diritti o prima-ti, ma per ricordare che nella storia dei popoli vi sono caratteristiche«che non possono essere negate, dimenticate o emarginate», e chequando è accaduto «si sono causati squilibri e dolorose fratture» (Be-nedetto XVI, Discorso al nuovo Ambasciatore d’Italia presso la SantaSede, 17 dicembre 2010). Va da sé che la fede, nella misura in cuipunta all’interiorità, non possa ridursi al fenomeno di «religione civile»;nello stesso tempo non si può negare che abbia una ricaduta nella vi-ta comunitaria e pubblica. La religione è certo apprezzabile nella so-

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cietà civile per le sue attività caritative e assistenziali, dunque per lasua dimensione orizzontale. Essa però prospera nella misura dell’in-tensità della dimensione verticale. L’apertura al trascendente, che pureè indisponibile allo Stato, non può essergli tuttavia indifferente, inquanto struttura la persona, la mette in grado di interpretare ciò che lacirconda, le dona quell’idealità e quella forza morale che la materialitànon garantisce. Soprattutto, la rende capace di scegliere il bene anzi-ché il male. Che per una società è la direzione primordiale e insosti-tuibile. Vale anche nella nostra attualità, in cui non è difficile riscon-trare – osserva il Papa – «una perversione di fondo del concetto diethos» (Discorso per gli auguri alla Curia romana, 20 dicembre 2010).In una situazione in cui «esisterebbe soltanto un “meglio di” e un“peggio di”. […] tutto dipenderebbe dalle circostanze e dal fine inteso.A seconda degli scopi e delle circostanze, tutto potrebbe essere beneo anche male» (ib). In una situazione del genere, quando in certi mo-menti sembra che a vacillare siano i fondamenti stessi di una civiltà, sicomprende forse meglio quale sia «il patrimonio di principi e di valoriespressi da una religiosità autentica […]. Essa parla direttamente allacoscienza e alla ragione degli uomini e delle donne, rammenta l’impe-rativo della conversione morale, motiva a coltivare delle virtù e ad av-vicinarsi l’un l’altro con amore, nel segno della fraternità, come mem-bri della grande famiglia umana» (Messaggio cit. n. 9). È la religione adaiutare la persona a distinguere tra l’assenza di costrizioni e il compor-tarsi secondo i doveri della coscienza. Non è un caso che la culturamoderna abbia indotto a sovrapporre i due concetti. Scriveva New-man: «Al giorno d’oggi, per una buona parte della gente, il diritto e lalibertà di coscienza consistono proprio nello sbarazzarsi della coscien-za, nell’ignorare il Legislatore e Giudice, nell’essere indipendenti daobblighi che non si vedono. […] La coscienza è una severa consiglie-ra, ma in questo secolo è stata rimpiazzata da una sua contraffazione,di cui i diciotto secoli passati non avevano mai sentito parlare o dallaquale, se ne avessero sentito, non si sarebbero mai lasciati ingannare:è il diritto ad agire a proprio piacimento» (Lettera al Duca di Norfolk,Milano 1999). Ora, a parte il rilievo che il secolo in cui viveva New-man sembra essersi d’incanto prolungato fino ad oggi, com’è possibilenon farsi aiutare dal nuovo Beato a identificare proprio nello stravol-

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gimento del concetto di coscienza la causa di tanti equivoci? Forsenon è vero che l’origine di troppe scelte sbagliate sta nello scambiarel’opzione di coscienza con la pretesa di essere padroni di agire comeci pare? Oppure com’è, sul momento, più conveniente e redditizio?Troppe volte, nella cultura come nella vita, si confonde il concetto dicoscienza, ossia la capacità della persona di riconoscere la verità e de-cidere di incamminarsi in essa, con l’ultima perentorietà dell’istanzasoggettiva (cfr anche Benedetto XVI, Discorso ai Dirigenti e Agentidella Questura di Roma, 21 gennaio 2011). In pratica, è lo stordimentoattorno al falso concetto di autonomia ciò che incrina la cultura odier-na, quella secondo cui la persona si pensa tanto più felice quanto sisente prossima a fare ciò che vuole. Peccato, tuttavia, che da lì in poiscoprirà che la felicità è altrove, e la si conquista in ben altro modo. Sipuò cogliere da qui il senso degli Orientamenti pastorali che l’Episco-pato ha deciso, per questo decennio (2011-2020), in ordine all’emer-genza educativa, «il cui punto cruciale sta nel superamento di quellafalsa idea di autonomia che induce l’uomo a concepirsi come un “io”completo in se stesso, laddove invece egli diventa “io” nella relazionecon il “tu” e il “noi”» (n. 9). Più di quanto non si pensi oggi è avvertito– seppur non ammesso – il bisogno di un’educazione coerente e du-ratura, che dia cioè gli ormeggi oggettivi, essendo in se stessa anchemorale (cfr Benedetto XVI, Messaggio alla 62a Assemblea Generale del-la CEI, 4 novembre 2010).

5. La crisi economica e finanziaria che, a partire dal 2009, ha in-vestito in pratica il mondo intero non è finita. E che non sia esauritalo dicono studiosi ed economisti, ma del fatto abbiamo conferma an-che nella concreta vicinanza alla gente, nostra e dei nostri cari sacer-doti, ai quali indirizziamo il pensiero grato e fraterno. Non mancanogermi di nuovo, segnali di ripresa e di innovazione, con esperimentirilevanti nelle relazioni lavorative, ma persistono varie situazioni impa-ludate. E dentro ciascuna di esse ci sono persone e, di conseguenza,famiglie in grande allarme e in comprensibile sofferenza. Noi siamoanzitutto con loro. Contribuisce poi ad impensierirci ulteriormente ilsenso di spaesamento che perdura, non come un’atmosfera evidente-mente artificiosa e momentanea, ma come stato d’animo concreto, af-fatto passeggero. Per questo resta sempre necessario ascoltare per me-

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glio comprendere e opportunamente decidere. Ad esempio, la conte-stazione studentesca, sviluppatasi nelle settimane precedenti il Natale,è un fatto che merita una riflessione non scontata. Non si è trattato diun evento ripetitivo del passato; troppo diverse le situazioni e le con-dizioni. Certo, hanno inquietato gli innesti di violenza e di grave de-vastazione che si sono registrati. Si è parlato di infiltrazioni improprie,e non tutti né ovunque sono stati pronti a dissociarsi dalla violenza.Ma in ogni campo bisogna dare ascolto alle preoccupazioni reali e aidubbi sinceri per meglio capirsi e per poter procedere con l’apportopiù ampio e onesto possibile. Riconoscendo anche, come è accadutonon di rado, che l’esperienza diretta e concreta del nuovo ha riservatosorprese positive, magari non subito colte nella concitazione degli ani-mi e degli eventi. Resta l’esigenza evidente, comunque, che ogni rifor-ma richiede risorse indispensabili.

La prospettiva infatti del ridimensionamento di quello che ai giova-ni appare come il più consistente cespite di spesa che lo Stato stanziain loro favore, deve essere apparsa incomprensibile. Ma oltre a questemotivazioni psicologiche – di impellenza immediata – ci sono quellelunghe, ossia la consapevolezza che essi hanno di arrivare alla ribaltain cui dovrebbe cominciare la vita adulta e autonoma, quando una se-rie di condizioni sono diventate sfavorevoli. Si dice che questa sia laprima generazione della decrescita, e la si chiama generazione ina-scoltata o non garantita. La disoccupazione giovanile è un drammaper l’intera società, e non solo per i giovani direttamente interessati.Stando alle statistiche, ci sono oltre due milioni di giovani tra i 15 e 34anni che non studiano, non lavorano, né ormai cercano più un impie-go. Dicono di saper già di non trovarne uno stabile e sono poco di-sponibili ad abbracciarne uno qualsiasi. La svalutazione del lavoromanuale, anche specializzato, è evidente. E questo non è un bene. Ilmondo degli adulti, secondo le diverse responsabilità, è in debito neiconfronti delle nuove generazioni, “in debito di futuro”. I giovani nonvogliono certo essere accarezzati come degli eterni adolescenti, desi-derano essere considerati responsabili e quindi trattati con serietà, machiedono di non sentirsi soli, gettati nella vita e privi di possibilità.

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6. In un documento del nostro Episcopato pubblicato trent’annior sono e che ebbe a suo tempo una notevole accoglienza (La Chiesaitaliana e le prospettive del Paese, 1981), si diceva icasticamente: «Ilconsumismo ha fiaccato tutti» (n. 11). Ed eravamo appena agli inizi diquel processo di trasformazione che interesserà l’Italia e l’Occidentenei decenni a seguire, e troverà rappresentazione nella cosiddetta“modernità liquida” dominata da quella che alcuni hanno definito“ideologia del mercato”. Colpisce l’efficacia di quella predizione, dovead apparire centrato è in particolare il verbo usato: “fiaccare”. La de-sertificazione valoriale ha prosciugato l’aria e rarefatto il respiro. Lacultura della seduzione ha indubbiamente raffinato le aspettative maha soprattutto adulterato le proposte. Ha così potuto affermarsi un’i-dea balzana della vita, secondo cui tutto è a portata di mano, bastapretenderlo. Una sorta di ubriacatura, alle cui lusinghe ha – in realtà –ceduto una parte soltanto della società. Però il calco di quel pensieroè entrato sgomitando nella testa di molti, come un pensiero molestoche pretende ascolto. Un ascolto peraltro che diventava sempre piùimprobabile, considerato il nuovo clima sociale, determinato da unvolano economico che senza tanti complimenti si era messo a girareall’incontrario. Noi siamo testimoni della dignità con cui la nostra gen-te sta normalmente reagendo alle difficoltà che si sono presentate, ar-rivando a configurare un andamento diverso nel passo del mondo.Sembrava che il trend della crescita dovesse tutto sommato aumentaresempre, in un movimento espansivo che avrebbe via via incluso sem-pre nuove fette di popolazione. Invece la crisi si è presentata comeuna sorta di drenaggio generale, obbligando un po’ tutti a rivedere leproprie ambizioni. C’è una verità, forse non troppo detta, ma che lagente ha intuito abbastanza presto: si stava vivendo al di sopra delleproprie possibilità. Bisogna allora imprimere una moderazione com-plessiva dell’andamento di vita, senza dimenticare – anzi! – tutti colo-ro che già prima vivevano sul filo e oggi si trovano sotto. Con bilancimeno ambiziosi, occorre far fronte a tutte le necessità di una societàmoderna, per di più senza poter più contare sullo sfogo del debitopubblico che invece dovrà rientrare. Ma che fare se ognuno difende aspada tratta il livello di vita già acquisito? Questo è il punto in cui iproblemi dei giovani vengono a coincidere con le questioni di ordinegenerale: bisogna infrangere l’involucro individualista e tornare a pen-

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sare con la categoria comunitaria del “noi”, perché tutto va ricalibratosecondo un diverso soggetto. Anziché una somma di tanti “io”, sicura-mente legittimi e forse un po’ pretenziosi, occorre insediare il pluraleche abita in ogni famiglia, il plurale di cui si compone ogni società.Non sarà un’operazione facile, ma occorrerà convertire una parte diciò che eravamo abituati a considerare nella nostra esclusiva disponi-bilità, e metterlo nella disponibilità di tutti. E naturalmente chi nel frat-tempo aveva accumulato di più, qualcosa di più ora deve mettere adisposizione. Quando un anno e mezzo fa cercavamo di trovare ilsenso di ciò che la crisi poteva richiedere, si parlò ad un certo puntodi una necessaria conversione degli stili di vita. Ora ci siamo arrivati.C’è un’alfabetizzazione etica su questa nuova stagione che occorre sa-per alimentare anche al livello dei nostri gruppi, delle nostre associa-zioni, dei nostri movimenti. Se una parte di reddito va ridistribuita perpoter corrispondere alle essenziali attese delle ultime generazioni, chediversamente rimarrebbero sul lastrico, ecco che c’è un lavoro di ri-motivazione da compiere per dare un orizzonte convincente alla dosedi sacrifici che bisogna affrontare. Si torna qui alla sfida educativa checi siamo prefissi. Nella mentalità più diffusa, la sofferenza è l’ambitooscuro della vita che è meglio mettere tra parentesi, e da cui in ognicaso è necessario preservare i più giovani. Ma questo, pur scaturitodalle migliori intenzioni, è l’autoinganno più fatale che si sia indottonei figli, nei nipoti, nei discepoli. Tentando di preservarli dalle diffi-coltà e dalle durezze dell’esistenza, si rischia di far crescere personefragili, poco realiste e poco generose. Se a questo si aggiunge unarappresentazione fasulla dell’esistenza, volta a perseguire un successobasato sull’artificiosità, la scalata furba, il guadagno facile, l’ostentazio-ne e il mercimonio di sé, ecco che il disastro antropologico in qualchemodo si compie a danno soprattutto di chi è in formazione. «Non esi-ste una vita senza sacrificio», ammoniva il Papa parlando proprio aigiovani (Omelia nella Domenica delle Palme, 5 aprile 2010), non sipuò diventare liberi da sé «senza osare il grande Sì» (ib). E poi spiega-va : «Se getto uno sguardo retrospettivo sulla mia vita personale, devodire che proprio i momenti in cui ho detto “sì” ad una rinuncia sonostati momenti grandi ed importanti della mia vita» (ib).

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Anche la crescente allergia che si registra nei confronti dell’evasio-ne fiscale è un segnale positivo, che va assecondato. Adesso più chemai è il momento di pagare tutti nella giusta misura le tasse che la co-munità impone, a fronte dei servizi che si ricevono. Bisogna snellire esemplificare, ma nessuno è moralmente autorizzato ad autodecretarsiil livello fiscale. Chi fa il furbo non va ammirato né emulato. Il settimocomandamento, «Non rubare», resiste con tutta la sua intrinseca peren-torietà anche in una prospettiva sociale.

7. L’intelligenza collettiva ha il dovere di riscattare l’istituto fami-liare dalle visioni ristrette e impacciate in cui è stato relegato. I ricono-scimenti che nell’ultimo periodo sono giunti da istituzioni insospetta-bili alla famiglia italiana quale soggetto-baluardo della finanza nazio-nale e salvadanaio in grado di riequilibrare la finanza pubblica agliocchi delle autorità europee, acquistano oggi il valore di una riabilita-zione culturale della famiglia stessa dinanzi a quei grandi poteri da cuiè stata spesso ignorata. Conviene appena ricordare che tale esito nonnasce accidentalmente, ma è il risultato paziente dell’antropologia diriferimento della nostra cultura, per la quale da sempre noi viviamoanzitutto in una società di famiglie. Questa è la campata sotto la qualel’Italia vive, avendo – sotto il profilo sociologico – una connotazionesua propria, la quale ha ripercussioni decisive a livello educativo, nelcontenimento dei disagi giovanili, nella resa scolastica, nelle strategiedi prevenzione sociale, nel recupero dalle dipendenze, nella comuni-cazione intergenerazionale. Va da sé che una ricognizione lucida dellacondizione nazionale deve portare il Paese a darsi una politica fami-liare preveggente, che mantenga la famiglia fondata sul matrimoniotra uomo e donna, e aperta alla vita, quale base per rilanciare il Paese,e rilanciarlo sul proprio caratteristico equilibrio esistenziale, dunquesenza ossessivi cedimenti alla struttura del «soggetto singolare». Le ri-sultanze della Conferenza nazionale sulla Famiglia, svoltasi di recentea Milano, vanno indubbiamente in questa direzione e meritano – siaper il versante culturale sia per il versante politico-fiscale – la prontaconsiderazione delle forze politiche. L’individuazione del “fattore fa-miglia” come criterio ad oggi più evoluto, in quanto più equilibrato ri-spetto ad ipotesi precedenti, suggerisce che l’auspicata, urgente rifor-ma del fisco dispone già di un elemento centrale di grande conver-

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genza. Diremo anche noi con Benedetto XVI che tutto ciò che si faper sostenere il matrimonio e la famiglia accresce la grandezza del-l’uomo, rafforzando nel contempo la società (cfr Benedetto XVI, Di-scorso all’Udienza Generale, 10 novembre 2010; e anche Discorso agliAmministratori della Regione Lazio, del Comune e della Provincia diRoma, 14 gennaio 2011).

Come ho già più volte auspicato, bisogna che il nostro Paese supe-ri, in modo rapido e definitivo, la convulsa fase che vede miscelarsi inmodo sempre più minaccioso la debolezza etica con la fibrillazionepolitica e istituzionale, per la quale i poteri non solo si guardano condiffidenza ma si tendono tranelli, in una logica conflittuale che perdu-ra ormai da troppi anni. Si moltiplicano notizie che riferiscono dicomportamenti contrari al pubblico decoro e si esibiscono squarci –veri o presunti – di stili non compatibili con la sobrietà e la correttez-za, mentre qualcuno si chiede a che cosa sia dovuta l’ingente mole distrumenti di indagine. In tale modo, passando da una situazione ab-norme all’altra, è l’equilibrio generale che ne risente in maniera pro-gressiva, nonché l’immagine generale del Paese. La collettività, infatti,guarda sgomenta gli attori della scena pubblica, e respira un evidentedisagio morale. La vita di una democrazia – sappiamo – si componedi delicati e necessari equilibri, poggia sulla capacità da parte di cia-scuno di auto-limitarsi, di mantenersi cioè con sapienza entro i confiniinvalicabili delle proprie prerogative. «Muoversi secondo una prospet-tiva di responsabilità – ammoniva il Papa in occasione dell’ultima Set-timana Sociale – comporta la disponibilità ad uscire dalla ricerca delproprio interesse esclusivo per perseguire insieme il bene del Paese»(Benedetto XVI, Messaggio alla 46a Settimana Sociale dei cattolici ita-liani, 12 ottobre 2010). Come ho già avuto modo di dire, «chiunqueaccetta di assumere un mandato politico deve essere consapevole del-la misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso com-porta, come anche la nostra Costituzione ricorda (cfr art. 54)» (Prolu-sione al Consiglio Permanente, 21-24 settembre 2009, n. 8). Dalla si-tuazione presente – comunque si chiariranno le cose – nessuno rica-verà realmente motivo per rallegrarsi, né per ritenersi vincitore. Trop-pi oggi – seppur ciascuno a modo suo – contribuiscono al turbamentogenerale, a una certa confusione, a un clima di reciproca delegittima-

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zione. E questo – facile a prevedersi – potrebbe lasciare nell’animocollettivo segni anche profondi, se non vere e proprie ferite. La comu-nità nazionale ha indubbiamente una propria robustezza e non si la-scia facilmente incantare né distrarre dai propri compiti quotidiani.Tuttavia, è possibile che taluni sottili veleni si insinuino nelle psicolo-gie come nelle relazioni, e in tal modo – Dio non voglia! – si affermi-no modelli mentali e di comportamento radicalmente faziosi. Forseche questo non sarebbe un attentato grave alla coesione sociale? Equale futuro comune potrà risultare, se il terreno in cui il Paese viverimanesse inquinato? È necessario fermarsi – tutti – in tempo, farechiarezza in modo sollecito e pacato, e nelle sedi appropriate, dandoascolto alla voce del Paese che chiede di essere accompagnato conlungimiranza ed efficacia senza avventurismi, a cominciare dal frontedell’etica della vita, della famiglia, della solidarietà e del lavoro. ComePastori che amano la comunità cristiana, e come cittadini di questo ca-ro Paese, diciamo a tutti e a ciascuno di non cedere al pessimismo,ma di guardare avanti con fiducia. È questo l’atteggiamento interioreche permetterà di avere quello scatto di coscienza e di responsabilitànecessario per camminare e costruire insieme.

Così, non possiamo non porre mente particolare alle giovani gene-razioni e al dovere educativo che investe in primissimo luogo la fami-glia, e irrinunciabilmente i genitori, sostenuti dai parenti, in particolaredai nonni. La Chiesa è consapevole di questo diritto, primordiale per-ché naturale, dei genitori quali essenziali educatori dei loro figli, e siconcepisce anzitutto al loro servizio, e questo fa con profondo rispet-to e la premura che viene da un patrimonio umano e religioso a tuttinoto. A sua volta, la Chiesa stessa ha un irrinunciabile mandato edu-cativo, che intende assolvere con dedizione assoluta e santità di vita.Certamente l’istituzione scolastica fa tutto quello che può, specialmen-te attraverso l’impegno serrato di una moltitudine di docenti e opera-tori, competenti e generosi. Eppure, questo dispiegamento di disponi-bilità pare non bastare, tanto è grande e delicata oggi «la sfida educati-va». Per questo deve entrare in campo la società nel suo insieme, edunque con ciascuna delle sue componenti e articolazioni. Se la scuo-la – come oggi si intende – dev’essere «comunità educante», bisognaconvincersi con una maggiore risolutezza che la società nel suo com-

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plesso è chiamata ad essere «comunità educante». Affermare ciò, afronte di determinati «spettacoli», potrebbe apparire patetico o inge-nuo, eppure come Vescovi dobbiamo caricarci sulle spalle anche, esoprattutto, questo onere di richiamare ai doveri di fondo, di eviden-ziare le connessioni, di scoprire i pilastri portanti di una comunità divita e di destino. Se si ingannano i giovani, se si trasmettono ideali ba-cati cioè guasti dal di dentro, se li si induce a rincorrere miraggi scin-tillanti quanto illusori, si finisce per trasmettere un senso distorcentedella realtà, si oscura la dignità delle persone, si manipolano le men-talità, si depotenziano le energie del rinnovamento generazionale. È lasperanza, pane irrinunciabile sul tavolo dei popoli, a piegarsi e veniremeno. Il cuore dei giovani tende – per natura – alla grandezza e allabellezza, per questo cerca ideali alti: bisogna che essi sappiano chenulla di umanamente valevole si raggiunge senza il senso del dovere,del sacrificio, dell’onestà verso se stessi, della fiducia illuminata versogli altri, della sincerità che soppesa ogni proposta, scartando insidie ecomplicità. In una parola, di valori perenni. Gesù è il modello affasci-nante, l’amico che non tradisce e viene sempre incontro, che prendeper mano e riaccende ogni volta la forza sorgiva che sostiene la fidu-cia verso la realizzazione di sé e la vera felicità. Questo – come adultie come giovani – abbiamo bisogno di vedere e di sentire sempre, ol-tre ogni moralismo ma anche oltre ogni libertarismo, l’uno e l’altrospesso dosati secondo le stagioni.

Bisogna che nel suo complesso il Paese ringiovanisca, torni a cre-scere dal punto di vista culturale e quindi anche sociale ed economi-co, battendo i catastrofismi. Cambiare in meglio si può e si deve. Lecortine fumogene svaniscono, arroganze e supponenze portano a po-co. I sacrifici che i cittadini stanno affrontando acquistano un senso sevengono prospettati obiettivi credibili e affidabili. Tra questi, c’è l’oriz-zonte di una maggiore giustizia sociale e di una modernizzazione ef-fettiva in ogni articolazione pubblica, anche quella a beneficio dell’u-tenza più larga, specialmente se perseguita nel rispetto delle regole, erespingendo il malaffare e le intimidazioni di ogni mafia. Come èobiettivo inderogabile l’avvio delle riforme annunciate, applicandosiin un’ottica puntigliosamente coinvolgente tutte le forze politiche, cia-scuna secondo la misura intera nella parte assegnata dai cittadini. Bi-

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sogna avere fiducia nelle nostre qualità e potenziare la capacità elabo-rativa di ogni sede responsabile, affinando l’attitudine a captare umorie orientamenti per poterli comporre in vista di una mediazione d’in-sieme la più alta possibile. Un Paese complesso richiede saggezza evirtù.

Vi ringrazio, Confratelli cari, per il Vostro paziente ascolto e perl’accoglienza ragionata che vorrete riservare a queste considerazioni.Con la discussione, entriamo già nel vivo dell’ordine del giorno,mentre ci attendono argomenti importanti in merito alla vita cristianadel nostro popolo e all’efficacia della nostra Conferenza. Ci assistaMaria, che il popolo anconetano venera come Regina di tutti Santi, eche dalla sacra Casa di Loreto ci segue e ci protegge. E ci assistano iSanti Patroni, san Ciriaco e san Leopardo, san Giuseppe da Copertinoe san Francesco di Sales: la loro compagnia ci incoraggia e ci sostie-ne. Grazie.

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COMUNICATO FINALE

Per bocca del Consiglio Episcopale Permanente – riunito ad Anconadal 24 al 27 gennaio 2011, sotto la presidenza del Card. Angelo Ba-gnasco, Arcivescovo di Genova – la Chiesa che vive in Italia ha parlatoal Paese con riconosciuta autorevolezza e credibilità. Ha saputo farlodimostrando unità di giudizio, anche nella disamina delle delicateproblematiche che ne stanno segnando la vita politica e sociale.

I Vescovi sono intervenuti in quanto pastori, animati da una chia-rezza morale lontana da ogni faziosità, capaci di una parola di fidu-cia e d’incoraggiamento, sostenuti dal desiderio dei credenti e di tutti icittadini di superare le difficoltà del momento presente. I giovani han-no rappresentato la lente, attraverso la quale leggere la realtà: di quil’attenzione alle loro attese, prima fra tutte quella dell’accesso al mon-do del lavoro. I Vescovi, consapevoli del fatto che il vincolo religioso èstato la radice da cui è scaturita la prima coscienza dell’identità na-zionale, hanno riaffermato con convinzione l’impegno educativo dellaChiesa, orizzonte che abbraccia i suoi diversi ambiti di azione nelPaese.

In tale prospettiva, alla luce degli Orientamenti pastorali per il de-cennio, hanno individuato il tema principale della prossima Assem-blea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, che si terrà a Ro-ma dal 23 al 27 maggio 2011: “Introdurre e accompagnare all’incon-tro con Cristo nella comunità ecclesiale: soggetti e metodi dell’educa-zione alla fede”, e hanno tratteggiato le linee di approfondimento dellatematica educativa nel corso del decennio.

È stato presentata e discussa la bozza del documento conclusivodella 46a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, celebrata a ReggioCalabria dal 14 al 17 ottobre scorso. Il testo sarà pubblicato nelle pros-sime settimane a firma del Comitato scientifico e organizzatore delleSettimane Sociali. Nel medesimo contesto, i Vescovi si sono confrontatisulle scuole e le esperienze di formazione socio-politica di ispirazionecattolica e sulle prospettive di un loro sviluppo.

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Ampio spazio è stato dedicato al confronto sulla formazione uma-na, spirituale e teologica offerta nei circa cento seminari maggiori esi-stenti in Italia: è stata una preziosa occasione di condivisione su untema cruciale per la vita e il futuro delle comunità ecclesiali.

Il Consiglio Permanente ha approvato i nuovi parametri per l’edili-zia di culto per il 2011 e il Messaggio d’invito al XXV Congresso Euca-ristico Nazionale, che si terrà proprio ad Ancona dal 3 all’11 settembreprossimi, per accompagnare il cammino di preparazione delle diocesiitaliane a tale importante appuntamento.

1. Una prolusione condivisa

Una forte unità di giudizio da parte dei membri del Consiglio Per-manente è emersa nell’articolato dibattito seguito alla prolusione delCardinale Presidente. Si è registrata in tutti gli interventi una profondacondivisione del tono e ancor prima dei contenuti del suo intervento.

I Vescovi hanno apprezzato la pacatezza, la profondità e l’equili-brio di una lettura della realtà né reticente né aggressiva, e nel con-tempo capace di dar conto del disagio morale che serpeggia nel no-stro Paese. In particolare – è stato rilevato – la posizione espressa dalCardinale Presidente ha saputo tener conto della complessità dei fatto-ri in gioco, senza prestarsi a interpretazioni di parte e riconducendo laquestione a un livello culturale ed etico che chiama in causa la re-sponsabilità di tutti, in particolare di quanti hanno maggiori responsa-bilità in vista del bene comune.

I Vescovi hanno anche condiviso l’apertura al futuro che ha conno-tato l’intervento del Cardinale Presidente, soprattutto laddove egli harilanciato come un’opportunità la sfida educativa, rappresentata in pri-mo luogo dal mondo giovanile. Proprio questa dimensione – è statoribadito – necessita di venir assecondata e orientata dalla società inte-ra, che dovrà essere sempre più “comunità educante”, e dalla comu-nità cristiana nel suo sforzo evangelizzatore, per superare quel cini-smo e quel disincanto che sempre più si fanno strada nelle pieghe delsentire comune.

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2. Il decennio sull’educazione: obiettivi e priorità

In vista della programmazione del decennio alla luce degli Orien-tamenti pastorali dell’episcopato italiano, Educare alla vita buona delVangelo, i Vescovi hanno fatto tesoro delle indicazioni emerse daigruppi di studio dell’Assemblea Generale tenuta ad Assisi nel novem-bre scorso, circa gli obiettivi e le priorità su cui investire. Il confrontoha permesso di rivisitare i momenti salienti dell’azione educativa del-le comunità ecclesiali, in vista di un nuovo slancio della loro missio-ne evangelizzatrice. Si tratta, è stato sottolineato, di adattare l’idealeal reale, senza rinunciare a far tendere quest’ultimo all’ideale. Con-centrandosi sulle attività direttamente indirizzate all’educazione dellapersona, i Vescovi hanno portato l’attenzione sull’iniziazione cristia-na, la catechesi, la pastorale giovanile, l’insegnamento della religionecattolica, la formazione iniziale e permanente dei presbiteri e deglioperatori pastorali, la preparazione al matrimonio, la formazione per-manente degli adulti e quella all’impegno sociale e politico.

È emersa la consapevolezza che l’iniziazione cristiana dei bambinie dei ragazzi costituisce una chiave di accesso a una realtà pastoralepiù ampia, che abbraccia in primo luogo i genitori e le famiglie.

Alla luce di queste considerazioni, è stato definito il tema principa-le della prossima Assemblea Generale, che si svolgerà a Roma dal 23al 27 maggio: “Introdurre e accompagnare all’incontro con Cristo nel-la comunità ecclesiale: soggetti e metodi dell’educazione alla fede”.

Guardando al decennio nel suo insieme, si è deciso di dedicarnela prima metà l’approfondimento tematico intorno al tema “Comunitàcristiana ed educazione alla fede”, mentre la seconda parte sarà dedi-cata al tema “Comunità cristiana e città”. A fare da spartiacque quasitra le due fasi, si porrà il Convegno ecclesiale nazionale di metà de-cennio. Sin da ora si è deciso di demandare alla Presidenza la costi-tuzione di un gruppo di lavoro con il compito di avviare la riflessio-ne sul Convegno nazionale.

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3. Sale e luce: il documento conclusivo 46a della Settimana Sociale

Nelle prossime settimane sarà pubblicato, a cura del Comitatoscientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani,il documento conclusivo della 46a Settimana Sociale, celebrata a Reg-gio Calabria dal 14 al 17 ottobre scorso.

La bozza del documento è stata esaminata dal Consiglio Permanen-te, che ne ha autorizzato la pubblicazione. Tra i motivi di speranzaevidenziati in esso, vi è anzitutto l’esperienza di quanti hanno condivi-so la volontà e l’impegno di adoperarsi per il conseguimento del benecomune, ponendo l’amore cristiano a fondamento del loro essere edel loro agire. Sono persone attente a promuovere una cultura del-l’uomo, della vita e della famiglia, quale fonte di autentico sviluppo.Per loro la fede cristiana è chiave di lettura della storia e via di cono-scenza sapienziale e costruttiva.

Il documento riconduce la questione sociale alla questione antro-pologica nella sua integralità e la declina riprendendo le sessioni te-matiche della Settimana Sociale: intraprendere (ambito nel quale lacrisi economica è stata analizzata e ricondotta alle sue cause piùprofonde); educare (dove si ribadisce la centralità del ruolo dell’adul-to e l’importanza di strumenti con cui sostenere famiglia e scuola edove non manca una lettura della realtà giovanile, colta quale risorsache chiede di trovare uno sbocco); includere (con attenzione al feno-meno migratorio, ai percorsi di cittadinanza e alle condizioni dei rifu-giati); slegare (valorizzando le opportunità che ciascuno può offrire,come anche le opportunità del mercato, all’interno di un nuovo pattosociale); completare la transizione istituzionale (evitando di escluderei giovani, i poveri e i non qualificati, come pure di snaturare l’impian-to della Costituzione).

I Vescovi, in particolare, hanno sottolineato l’importanza di pro-muovere il volontariato in tutte le sue forme; la necessità di declinareil tema del federalismo alla luce dei principi di sussidiarietà e di soli-darietà; l’importanza di additare figure emblematiche nell’impegno im-pegno sociale, quali Giuseppe Toniolo e don Pino Puglisi.

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In questa prospettiva, i Vescovi hanno condotto anche un’articolatariflessione sulle scuole e le esperienze di formazione all’impegno so-ciale e politico presenti sul territorio. Le motivazioni che le hanno ori-ginate e la loro ampia diffusione negli anni Ottanta hanno contribuitoa far conoscere e apprezzare la dottrina sociale della Chiesa e a sensi-bilizzare alla partecipazione democratica alla vita del Paese. Nel con-testo della prospettiva educativa e in sintonia con il costante richiamodel Santo Padre Benedetto XVI all’impegno dei cattolici a essereovunque luce e sale, è stata riaffermata l’importanza dell’azione di for-mazione delle coscienze, attraverso il veicolo di una cultura politicache, nel mutare dei tempi, aspiri alla ricerca del bene comune. Si in-tendono, perciò, sostenere le diocesi che hanno avviato tali luoghiformativi e incoraggiare chi è disponibile a suscitarne di nuovi.

4. La formazione dei futuri presbiteri

Il Consiglio Episcopale Permanente si è ampiamente soffermato sul-la situazione dei circa cento seminari maggiori presenti in Italia e desti-nati alla formazione dei futuri presbiteri. Si tratta di soggetti spesso di-versi fra loro per età, percorsi di studio, provenienze ed esperienzepregresse. Come è naturale, essi condividono le risorse e le fragilitàche caratterizzano i loro coetanei. Curarne la formazione significa anzi-tutto evitare un approccio meramente funzionale al ministero, ricondu-cendo la figura del sacerdote alla sua radice sacramentale e combinan-do opportunamente la crescita umana, spirituale e intellettuale dei can-didati. Affinché l’essere prete non si riduca a un atteggiamento esterio-re, ma sia una forma mentis in grado di caratterizzare tutta l’esistenza,i Vescovi avvertono la necessità di un cammino di fede adeguato alprofilo sacerdotale, unito a un’affettività matura e equilibrata. Sonoqueste le condizioni irrinunciabili per vivere con serenità l’appartenen-za alla communio presbiterale, per un’obbedienza non formale allaChiesa nella persona del proprio Vescovo, per impostare relazioniadulte con i laici e per non soccombere di fronte alle inevitabili diffi-coltà dell’esperienza pastorale. La responsabilità primaria di assicurarela qualità dei preti di domani richiede a ogni diocesi l’investimento diadeguate risorse nella formazione dei formatori dei seminari, perchésiano all’altezza del compito che la Chiesa affida loro.

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5. Nuovi parametri per l’edilizia di culto

Come ogni anno, il Consiglio Permanente ha approvato le tabelleparametriche dei costi per la costruzione di nuovi edifici di culto. Ri-spetto al 2010, esse sono state aggiornate applicando alle singole vocidi costo unitario l’incremento del 2%, secondo la variazione dell’indi-ce ISTAT.

6. Il Messaggio d’invito al Congresso Eucaristico Nazionale

L’ormai imminente celebrazione del Congresso Eucaristico Naziona-le, che si terrà ad Ancona e nelle diocesi limitrofe dal 3 all’11 settem-bre e che culminerà con l’incontro con il Santo Padre, è la ragioneche ha giustificato il fatto che, in via eccezionale, il Consiglio Perma-nente si sia riunito in quella città. Grati della calorosa accoglienza aloro riservata dall’Arcivescovo di Ancona – Osimo e dalle autorità lo-cali, i Vescovi hanno approvato il Messaggio d’invito al Congresso Eu-caristico Nazionale, rivolto a tutte le diocesi per sostenerle e accompa-gnarle nel cammino di preparazione di questo importante evento difede e di preghiera, che intende ribadire il ruolo dell’Eucaristia qualefaro di luce per la vita quotidiana. Il testo del Messaggio sarà diffuso abreve.

7. Nomine

Nel corso dei lavori, il Consiglio Permanente ha provveduto alla se-guenti nomine:

• Presidente del Comitato per l’edilizia di culto: S.E. Mons. FilippoIANNONE, Vescovo di Sora – Aquino – Pontecorvo.

• Coordinatore nazionale della pastorale per gli immigrati ucraini:don Yaroslav SEMEHEN (Ternpopil-Zboriv degli Ucraini).

• Coordinatore nazionale della pastorale degli immigrati africani fran-cofoni: don Denis KIBANGU MALONDA (Tivoli).

• Consulente ecclesiastico nazionale della Federazione Italiana Unio-ni Diocesane Addetti al culto/Sacristi: mons. Alessandro GANDINI

(Milano).

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• Consigliere spirituale nazionale dell’Associazione Rinnovamentonello Spirito Santo: don Guido PIETROGRANDE, SDB.

La Presidenza della CEI, riunitasi il 24 gennaio 2011, ha procedutoa rinnovare la Commissione Mista Vescovi – Religiosi – Istituti secolari,che risulta ora così composta: S.E. Mons. Francesco Lambiasi, Vescovodi Rimini, Presidente della Commissione Episcopale per il clero e lavita consacrata, Presidente; S.E. Mons. Domenico CANCIAN, Vescovo diCittà di Castello; S.E. Mons. Oscar CANTONI, Vescovo di Crema; S.E.Mons. Gianfranco Agostino GARDIN, Arcivescovo – Vescovo di Treviso;don Alberto LORENZELLI, SDB; padre Pier Luigi NAVA, SMM; padre Fi-denzio VOLPI, OFMCap; suor Viviana BALLARIN, OP; suor Regina CESARA-TO, PDDM; suor Amalia COLUCCIA SFAlc; prof.ssa Piera GRIGNOLO.

La Presidenza ha inoltre nominato:

• Membri del Comitato per l’edilizia di culto: don Vincenzo BARBANTE

(Milano), per l’area Nord; dott. Stefano MORI, per l’area Centro;mons. Giovanni ACCOLLA (Siracusa), per l’area Sud; ing. Andrea ZAP-PACOSTA, Segretario; mons. Giuseppe RUSSO, Responsabile del Servi-zio Nazionale per l’edilizia di culto; don Franco MAGNANI, Direttoredell’Ufficio Liturgico Nazionale.

• Membro del Comitato per la valutazione dei progetti di intervento afavore dei beni culturali ecclesiastici: don Francesco VALENTINI (Or-vieto – Todi).

• Membri della Commissione Nazionale Valutazione Film: mons. Da-rio Edoardo VIGANÒ, Presidente; dott. Massimo GIRALDI, Segretario;prof.ssa Giuliana ARCIDIACONO; suor Teresa BRACCIO, FSP; dott.ssaElisa COPPONI; dott. Mario DAL BELLO; prof. Nicola DI MARCOBERARDI-NO; dott. Francesco GIRALDO; dott. Vittorio GIUSTI; prof.ssa DaniellaIANNOTTA; prof.ssa Marina MATALONI; sig.ra Graziella MILANO; dott.Raffaele NAPOLI; dott. Lorenzo NATTA; dott. Beowulf PAESLER-LU-SCHKOWKO; mons. Domenico POMPILI; dott. Renato TARANTELLI; dott.Giancarlo TARÉ.

Roma, 28 gennaio 2011

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Per la 15a Giornata Mondiale della Vita Consacrata

2 febbraio 2011

TESTIMONI DELLA VITA BUONA DEL VANGELO

I Vescovi italiani hanno voluto concentrare l’impegno pastorale del-le nostre Chiese nel nuovo decennio su quella che il Santo Padre Be-nedetto XVI ha appropriatamente definito l’emergenza educativa1. Lasfida dell’educazione emerge, infatti, sempre più chiaramente come laquestione più urgente per la vita della società, e quindi anche dellaChiesa. È il Papa stesso a ricordarci che a causa di un errato concettodi autonomia della persona, di una riduzione della natura a mera ma-teria manipolabile e della stessa Rivelazione cristiana a momento disviluppo storico, privo di contenuti specifici, il processo di trasmissio-ne dei valori tra le generazioni è fortemente compromesso. Per questoi luoghi tradizionali della formazione, quali la famiglia, la scuola e lacomunità civile, sembrano tentati di rinunciare alla responsabilità edu-cativa, riducendola a una mera comunicazione di informazioni, che la-scia le nuove generazioni in una solitudine disorientante. In realtà, lavera esperienza educativa porta a scoprire che l’io di ogni persona èdato e si compie in relazione al “tu” e al “noi”, e ultimamente al “tu”di Dio, rivelatoci in Cristo e reso accessibile dal dono dello SpiritoSanto. Infatti, “solo l’incontro con il ‘tu’ e con il ‘noi’ apre l’‘io’ a sestesso”2. Sostenuti da queste visione antropologica e teologica, ricono-sciamo l’importanza vitale di promuovere l’educazione alla vita buonadel Vangelo.

A questo compito urgente e affascinante sono chiamate tutte lecomponenti ecclesiali. In questa Giornata, vogliamo ribadire che “unruolo educativo particolare è riservato nella Chiesa alla vita consacra-ta”3. Prima ancora delle numerose opere promosse nell’ambito educa-tivo dagli istituti di vita consacrata, è necessario aver presente che lastessa sequela di Cristo, casto, povero e obbediente, costituisce di persé una testimonianza della capacità del Vangelo di umanizzare la vitaattraverso un percorso di conformazione a Cristo e ai suoi sentimenti

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verso il Padre. Inoltre, la natura stessa della vita consacrata ci ricordache il metodo fondamentale dell’educazione è caratterizzato dall’in-contro con Cristo e dalla sua sequela. Non ci si educa alla vita buonadel Vangelo in astratto, ma coinvolgendosi con Cristo, lasciandosi at-trarre dalla sua persona, seguendo la sua dolce presenza attraversol’ascolto orante della Sacra Scrittura, la celebrazione dei sacramenti ela vita fraterna nella comunità ecclesiale. È proprio la vita fraterna,tratto caratterizzante la consacrazione, a mostrarci l’antidoto a quell’in-dividualismo che affligge la società e che costituisce spesso la resi-stenza più forte a ogni proposta educativa. La vita consacrata ci ricor-da così che ci si forma alla vita buona del Vangelo solo per la via del-la comunione.

Anche i consigli evangelici, vissuti da Gesù e proposti ai suoi disce-poli, possiedono un profondo valore educativo per tutto il popolo diDio e per la stessa società civile. Come ha affermato il venerabile Gio-vanni Paolo II, essi rappresentano una sfida profetica e sono una verae propria “terapia spirituale” per il nostro tempo4. L’uomo, che ha unbisogno insopprimibile di essere amato e di amare, trova nella testi-monianza gioiosa della castità un riferimento sicuro per imparare aordinare gli affetti alla verità dell’amore, liberandosi dall’idolatria del-l’istinto; nella povertà evangelica, egli si educa a riconoscere in Dio lanostra vera ricchezza, che ci libera dal materialismo avido di possessoe ci fa imparare la solidarietà con chi è nel bisogno; nell’obbedienza,la libertà viene educata a riconoscere che il proprio autentico svilup-po sta solo nell’uscire da se stessi, nella ricerca costante della verità edella volontà di Dio, che è “una volontà amica, benevola, che vuole lanostra realizzazione”5.

Gli Orientamenti pastorali ribadiscono che la vita consacrata “costi-tuisce una testimonianza fondamentale per tutte le altre forme di vitacristiana, indicando la meta ultima della storia in quella speranza chesola può animare ogni autentico processo educativo”6. Infatti, senzauna speranza affidabile non è possibile sostenere l’impegno della edu-cazione. La vita consacrata, esprimendo in modo peculiare l’indoleescatologica di tutta la Chiesa, richiama ogni fedele alla meta che ci èassicurata in Gesù risorto, speranza del mondo. Pellegrini nel tempo,

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abbiamo bisogno di attingere mediante la virtù della speranza a ciòche è definitivo; per questo la vita consacrata “costituisce un efficacerimando a quell’orizzonte escatologico di cui ogni uomo ha bisognoper poter orientare le proprie scelte e decisioni di vita”7.

Su queste basi fiorisce l’impegno specifico di tanti istituti di vitaconsacrata nel campo dell’educazione, secondo il carisma proprio, lacui fecondità è testimoniata dalla presenza di numerosi educatori san-ti. La vita consacrata ci ricorda che l’educazione è davvero “cosa delcuore”: non affastellamento di emozioni, ma sintesi personale, a parti-re dalla quale si orientano le scelte e le decisioni di ognuno. Tutto ilpopolo di Dio si attende che questa ricchezza, che ha lasciato tracciadi sé in tante istituzioni scolastiche e nella cura di itinerari di vita spi-rituale, si rafforzi e si rinnovi anche mediante la collaborazione con leChiese particolari.

Infine, celebrando la Giornata della vita consacrata, come non sen-tire l’urgenza educativa in riferimento alla animazione vocazionale?Oggi più che mai, abbiamo bisogno di educarci a comprendere la vitastessa come vocazione e come dono di Dio, così da poter discerneree orientare la chiamata di ciascuno al proprio stato di vita. La testimo-nianza dei consacrati e delle consacrate, attraverso la sequela radicaledi Cristo, rappresenta anche da questo punto di vista una risorsa edu-cativa fondamentale per scoprire che vivere è essere voluti e amati daDio in Cristo istante per istante: “Ciascuno di noi è voluto, ciascuno èamato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essereraggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più belloche conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui”8.

Roma, 6 gennaio 2011Solennità dell’Epifania del Signore

1 Cfr BENEDETTO XVI, Discorso alla 59a Assemblea Generale della CEI, 28 maggio 2009.2 ID., Discorso alla 61a Assemblea Generale della CEI, 27 maggio 2010.3 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pa-

storali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, 4 ottobre 2010, n. 45.

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4 Cfr GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica postsinodale Vita consecrata, 25 marzo1996, n. 87.

5 CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, Istru-zione Il servizio dell’autorità e l’obbedienza, 11 maggio 2008, n. 4.

6 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 45.7 BENEDETTO XVI, Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, 22 feb-

braio 2007, n. 81.8 ID., Omelia della Messa per l’inizio del ministero petrino come Vescovo di Roma, 24

aprile 2005.

Per la 33ª Giornata Nazionale per la Vita

6 febbraio 2011

“EDUCARE ALLA PIENEZZA DELLA VITA”

L’educazione è la sfida e il compito urgente a cui tutti siamo chia-mati, ciascuno secondo il ruolo proprio e la specifica vocazione. Auspichiamo e vogliamo impegnarci per educare alla pienezza dellavita, sostenendo e facendo crescere, a partire dalle nuove generazioni,una cultura della vita che la accolga e la custodisca dal concepimentoal suo termine naturale e che la favorisca sempre, anche quando è de-bole e bisognosa di aiuto.

Come osserva Papa Benedetto XVI, «alla radice della crisi dell’edu-cazione c’è una crisi di fiducia nella vita» (Lettera alla Diocesi e allacittà di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008).Con preoccupante frequenza, la cronaca riferisce episodi di efferataviolenza: creature a cui è impedito di nascere, esistenze brutalmentespezzate, anziani abbandonati, vittime di incidenti sulla strada e sul la-voro.

Cogliamo in questo il segno di un’estenuazione della cultura dellavita, l’unica capace di educare al rispetto e alla cura di essa in ogni

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stagione e particolarmente nelle sue espressioni più fragili. Il fattorepiù inquietante è l’assuefazione: tutto pare ormai normale e lascia in-travedere un’umanità sorda al grido di chi non può difendersi. Smarri-to il senso di Dio, l’uomo smarrisce se stesso: «l’oblio di Dio rendeopaca la creatura stessa» (Gaudium et spes, n. 36).

Occorre perciò una svolta culturale, propiziata dai numerosi econfortanti segnali di speranza, germi di un’autentica civiltà dell’amo-re, presenti nella Chiesa e nella società italiana. Tanti uomini e donnedi buona volontà, giovani, laici, sacerdoti e persone consacrate, sonofortemente impegnati a difendere e promuovere la vita. Grazie a loroanche quest’anno molte donne, seppur in condizioni disagiate, saran-no messe in condizione di accogliere la vita che nasce, sconfiggendola tentazione dell’aborto.

Vogliamo di cuore ringraziare le famiglie, le parrocchie, gli istitutireligiosi, i consultori d’ispirazione cristiana e tutte le associazioni chegiorno dopo giorno si adoperano per sostenere la vita nascente, ten-dendo la mano a chi è in difficoltà e da solo non riuscirebbe a farefronte agli impegni che essa comporta.

Quest’azione di sostegno verso la vita che nasce, per essere davve-ro feconda, esige un contesto ecclesiale propizio, come pure interven-ti sociali e legislativi mirati. Occorre diffondere un nuovo umanesimo,educando ogni persona di buona volontà, e in particolare le giovanigenerazioni, a guardare alla vita come al dono più alto che Dio ha fat-to all’umanità. «L’uomo – afferma Benedetto XVI – è veramente creatoper ciò che è grande, per l’infinito. Il desiderio della vita più grande èun segno del fatto che ci ha creati Lui, che portiamo la sua “impron-ta”. Dio è vita, e per questo ogni creatura tende alla vita; in modo uni-co e speciale la persona umana, fatta ad immagine di Dio, aspira all’a-more, alla gioia e alla pace» (Messaggio per la XXVI Giornata Mondia-le della Gioventù 2011, 6 agosto 2010, n. 1).

È proprio la bellezza e la forza dell’amore a dare pienezza di sensoalla vita e a tradursi in spirito di sacrificio, dedizione generosa e ac-compagnamento assiduo. Pensiamo con riconoscenza alle tante fami-glie che accudiscono nelle loro case i familiari anziani e agli sposi

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che, talvolta anche in ristrettezze economiche, accolgono con slancionuove creature. Guardiamo con affetto ai genitori che, con grande pa-zienza, accompagnano i figli adolescenti nella crescita umana e spiri-tuale e li orientano con profonda tenerezza verso ciò che è giusto ebuono. Ci piace sottolineare il contributo di quei nonni che, con ab-negazione, si affiancano alle nuove generazioni educandole alla sa-pienza e aiutandole a discernere, alla luce della loro esperienza, ciòche conta davvero.

Oltre le mura della propria casa, molti giovani incontrano autenticimaestri di vita: sono i sacerdoti che si spendono per le comunità loroaffidate, esprimendo la paternità di Dio verso i piccoli e i poveri; sonogli insegnanti che, con passione e competenza, introducono al misterodella vita, facendo della scuola un’esperienza generativa e un luogo divera educazione. Anche a loro diciamo grazie.

Ogni ambiente umano, animato da un’adeguata azione educativa,può divenire fecondo e far rifiorire la vita. È necessario, però, che l’a-nelito alla fraternità, posto nel profondo del cuore di ogni uomo, siailluminato dalla consapevolezza della figliolanza e dalla gratitudineper un dono così grande, dando ali al desiderio di pienezza di sensodell’esistenza umana. Il nostro stile di vita, contraddistinto dall’impe-gno per il dono di sé, diventa così un inno di lode e ci rende semina-tori di speranza in questi tempi difficili ed entusiasmanti.

Roma, 7 ottobre 2010Memoria della Beata Vergine del Rosario

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In occasione della Beatificazione del servo di DioGiovanni Paolo II

(1° maggio 2011)

Sulla riva alcuni pescatori gettavano le reti in mare: “Venite dietroa me, vi farò pescatori di uomini”. Da quel giorno i cristiani - soste-nuti dalla promessa che Lui è con loro tutti i giorni, fino alla fine delmondo - sono in viaggio su tutte le strade, cittadini e stranieri diogni terra. Non sono mancate le nostalgie per le barche lasciate, conil loro carico di sogni accarezzati e mai realizzati; non sono manca-ti i momenti di stanchezza, di delusione, perfino di tradimento. Ma,su tutto questo, più grande ancora soffia il richiamo ad essere Suoi,a dimorare in Lui, fino ad essere Sua presenza tra gli uomini di ognitempo.

A nome dei Pastori delle Chiese che sono in Italia ringraziamo ilSignore per la limpida testimonianza con cui Giovanni Paolo II ci haconfermati nella fede. Essa contiene il segreto dell’esistenza: Cristo,il Figlio del Dio vivente, la chiave che apre il mistero sigillato dellastoria umana e personale.

È impossibile delineare in poche righe una figura così imponente:il suo insegnamento parla in tanti incontri, interventi e documenticon cui ha interpretato la Chiesa e la sua missione nella storia. Parla,soprattutto, attraverso una vita che è stata il suo messaggio più effi-cace, fatto di sguardi, gesti e segni che hanno toccato i cuori. In unmondo spesso smarrito, egli ha costituito un riferimento sicuro, unprofeta che non ha mai smesso di additare la via di una speranza af-fidabile, di un amore alla portata di ogni uomo.

L’imperativo con il quale il 22 ottobre 1978 ha iniziato il suo ser-vizio – “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cri-sto!” – ha segnato il suo lungo pontificato.

“Non abbiate paura” della fede, anzitutto. Giovanni Paolo II non siè stancato di ricordare quanto sterile e fuorviante si riveli il tentativo

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di voler escludere Cristo dalla storia: Lui solo, infatti, “sa cosa c’è den-tro l’uomo”, Lui solo “rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso”. Conveemenza, il Papa ha scosso le coscienze per renderle consapevoli diquanto sia disumana la pretesa di costruire la città senza Dio: è la tor-re di Babele dell’ideologia marxista, che ha imbrigliato interi popolinelle maglie di un sistema dittatoriale; è la deriva del capitalismo, chespinge a un individualismo alieno dall’orizzonte del bene comune.

“Non abbiate paura” dell’altro. Karol Wojtyla è stato il primo Ponte-fice a coprirsi il capo per entrare in una sinagoga e pregare con i no-stri “fratelli maggiori”, gli ebrei; è stato anche il primo a togliersi lescarpe per varcare la soglia di una moschea e incontrare i “fratelli” mu-sulmani, nella memoria della comune radice in Abramo. È colui che,senza confusioni, ha invitato i rappresentanti di tutte le religioni a pre-gare per la pace, nella certezza che essa è dono di Dio e che la guerra“offende Dio, chi la soffre e chi la pratica”. Negli innumerevoli viaggiin Italia e in ogni parte del mondo ci ha resi attenti ai popoli condan-nati al sottosviluppo dalla “brama esclusiva di profitto” e dalla “sete dipotere”, da situazioni che invocano la giustizia, la remissione del debi-to e quella solidarietà che per i cristiani arriva al dono della vita.

“Non abbiate paura” nel riconoscere ritardi e responsabilità. Il suoamore per la Chiesa è stato tale da indurlo a chiedere perdono per lemancanze commesse dai credenti. A sua volta, ha assicurato il perdo-no dei cattolici per quello che essi hanno patito nella storia, impe-gnandosi, a nome dei credenti, a tendere con ogni forza alla fraternitàuniversale.

“Non abbiate paura” – mai – della vita: da quella nascente, fin dalconcepimento, a quella segnata dalla vecchiaia, ugualmente sacra einviolabile. Da anziano e sofferente, il Papa ha testimoniato in primapersona un totale rispetto per essa.

Benedetto XVI ce lo affida oggi come testimone: è un’eredità checon gratitudine ci impegniamo a raccogliere e a fare sempre più no-stra. Se Giovanni Paolo II ha saputo incrociare i drammi del nostrotempo e aprirli alla luce pasquale è stato grazie alla sua fedeltà al Van-gelo e all’uomo, “prima e fondamentale via della Chiesa”. Per questo,

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a nostra volta, non ci stanchiamo di chiedere che ne sia sempre ri-spettata la vita e promossi la dignità e il diritto alla famiglia, al lavoro,alla libertà religiosa. Sono le linee sulle quali, particolarmente in que-sto decennio dedicato all’educazione, rilanciamo il nostro impegnomissionario, convinti di svolgere così un servizio indispensabile all’u-nità e al bene del Paese.

Il nuovo Beato interceda perché ci sia data la forza di sottrarci alleschiavitù che ancora appesantiscono il passo, il coraggio di annuncia-re la Parola che apre alla vita, la libertà che nasce dalla verità e fiori-sce nella carità. Egli ci indica l’Eucaristia, pane di vita eterna, che hacelebrato su tutte le piazze del mondo: essa è il cuore pulsante dellaChiesa, che ha amato e servito sino all’ultimo; è la forza certa e fedeleper il nostro pellegrinaggio nel tempo verso l’eternità.

Roma, 29 aprile 2011

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LA PAROLADI MONS. VALENTINETTI

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LA PAROLA DI MONS. VALENTINETTINOMINE

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Nomine

• Il 25 gennaio il Sac. Oliver Hiavra è stato nominato Vicario Parroc-chiale di S. Domenico in Penne.

• Il 25 gennaio il Sac. Bruno Houssen è stato nominato Vicario Par-rocchiale della B.V.M. del Monte Carmelo e dell’Annunciazione delSignore in Penne.

• Il 25 gennaio Padre Vincenzo Di Marcoberardino, ofm capp., è sta-to nominato Commissario della Confraternita della Madonna deiSette Dolori in Pescara.

• Il 27 gennaio Padre Maurizio Erasmi, conventuale di S. Antonio, èstato nominato delegato per le Religiose dell’Arcidiocesi.

• Il 2 febbraio il Sac. Maurizio Volante è stato nominato Vicario Par-rocchiale di S. Giovanni Bosco in Montesilvano.

• Il 2 febbraio il Sac. Leo Itobore è stato nominato Vicario Parrocchia-le della B. V. Maria Madre della Chiesa in Montesilvano.

• Il 25 marzo il diacono Giampaolo Galeazzi è stato ordinato Sacer-dote nella Chiesa dello Spirito Santo in Pescara.

• Il 25 marzo la Sig.ra Federica Fiorilli ha avuto l’incarico alla presi-denza diocesana di Azione Cattolica per il nuovo quinquennio.

• Il 25 marzo il Sac. Giampaolo Galeazzi è stato nominato VicarioParrocchiale di S. Cetteo in Pescara.

• Il 25 marzo il Sac. Faustino Libakata è stato nominato Amministra-tore Parrocchiale di S. Michele Arcangelo in Pietranico.

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LA PAROLA DI MONS. VALENTINETTINOMINE

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Errata corrige

• Il 20 agosto 2010 il Sac. Paolo Sabatini non è stato nominato Am-ministratore Parrocchiale di S. Giovanni Battista in Catignano, comescritto nel precedente Bollettino ma Amministratore Parrocchiale diS. Vittoria V. M. in Castilenti (Te).

Omissis

• Nel precedente Bollettino è stata omessa la nomina il 10 luglio2010 del Vicario Giuseppe Comerlati a Monsignore Cappellano diSua Santità.

Incardinazione

• In data 25 gennaio 2011 il Sac. Paolo Sabatini è stato incardinatonel Clero di Pescara-Penne.

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IN DIOCESI

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IN DIOCESINECROLOGI

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Necrologio di don Gernio D’Intinosante

Giovedì 13 gennaio 2011 è tornato alla Casa del Padre il Rev. Sac.Don Gernio D’Intinosante, nella sua abitazione in Pescara, all’età dianni 86 e 61 di sacerdozio.

Nato a Nocciano (Pe) il 24.06.1924 da D’Intinosante Camillo e Mar-cucci Maria, ricevette il Battesimo il successivo 6 luglio, e la Confer-mazione il 21.11.1937 sempre nella Chiesa Parrocchiale del suo paesenatale, dove pure frequentò le scuole primarie.

Entrato nella formazione tra i Terziari Cappuccini dell’Addolorata,frequentò i corsi ginnasiali e liceali in varie Case di formazione dellaCongregazione in Italia, mentre i corsi teologici in Spagna, dove fu or-dinato a Pamplona il 2 aprile 1949.

Nel 1956 venne incardinato nella Diocesi di Pescara-Penne daMons. Benedetto Falcucci e da lui inviato Vicario Parrocchiale nellaCattedrale di San Cetteo a Pescara. Il 1.09.1958 fu mandato alla guidadella nascente Parrocchia di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Uni-verso in Alanno Scalo, il 1.10.1972 venne trasferito a Pescara come Vi-cario Parrocchiale del SS.mo Cuore di Gesù.

Il 1 novembre 1977 il Vescovo Mons. Antonio Iannucci lo nominaParroco della giovane Parrocchia di S. Stefano Protomartire in Pescara,dove Don Gernio profonde le sue energie sacerdotali e umane con lacura e la crescita della comunità dei fedeli, e con l’edificazione dellaChiesa e delle opere parrocchiali.

Il 1 luglio 1996 rinuncia all’ufficio di Parroco per lo stato di malfer-ma salute, e Mons. Francesco Cuccarese lo nomina Vicario Parrocchia-le nella stessa Parrocchia di S. Stefano, dove è rimasto in fedele servi-zio fino ai suoi ultimi giorni.

Nella suddetta Chiesa il giorno successivo Mons. Tommaso Valenti-netti ha celebrato le Esequie, con numerosa partecipazione di sacer-doti e fedeli; ad esse ha fatto seguito la traslazione della salma per lasepoltura nel Cimitero di Nocciano.

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IN DIOCESINECROLOGI

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Necrologio di don Gino Garlato

Lunedì 16 maggio 2011 è tornato alla Casa del Padre il Rev. Sac.Don Gino Garlato, nell’abitazione canonica di Cappelle sul Tavo (Pe),all’età di anni 78 e 45 di sacerdozio.

Nato a Venezia il 12.07.1932 da Pietro e Borgarelli Maria, fu battez-zato il 24.07.1932 e cresimato il 28.05.1939. Frequentò le scuole pri-marie della città lagunare e le scuole medie nel Seminario Patriarcale.I corsi ginnasiale e liceale li compì presso i Figli del Sacro Cuore diGesù, nelle case di formazione a Gorizia e a Gozzano (No), e succes-sivamente quelli teologici nella casa di formazione di Venegono Supe-riore (Va), per proseguire nei Seminari diocesani di Chioggia (Ve) e diAlbano (Rm).

Ordinato sacerdote per il Clero di Pescara-Penne dal VescovoMons. Antonio Iannucci, il 24.08.1965 a S. Eufemia a Maiella (Pe), fusubito inviato nella Comunità parrocchiale della Beata Vergine Laure-tana in Cappelle sul Tavo, per venirne nominato Parroco il 1.11.1965.

A Cappelle Don Gino ha vissuto tutto il suo ministero sacerdotale,profondendo le sue energie giovanili nell’accompagnare intere gene-razioni di fedeli nella crescita umana e cristiana, con numerose e fre-quenti iniziative di catechesi e testimonianza della carità, inserendosinel tessuto sociale del paese e assistendo alla sua prospera evoluzionedemografica, economica e culturale, lungo il quasi mezzo secolo dipresenza e opera pastorale.

Per gravi motivi di salute rinunciò alla guida della Parrocchia il17.09.2007 nelle mani dell’Arcivescovo Mons. Tommaso Valentinetti,rimanendovi però a vivere e a collaborare come Vicario parrocchiale.Aggravatosi ancor più nell’ultimo anno, è stato sempre accudito daisuoi parrocchiani ai quali ha dato fino alla fine esempio di cristianaadesione alla volontà di Dio, unito al sacrificio di Cristo sull’altare del-la lunga malattia, fino al giorno del suo ingresso nella grande liturgiadella Pasqua eterna.

Nella suddetta chiesa parrocchiale si sono svolte le Esequie, presie-dute dall’Arcivescovo e concelebrate dal Vicario Generale e da nume-rosi sacerdoti dell’Arcidiocesi, di fronte a una numerosa partecipazio-

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ne di fedeli in preghiera per il loro amato padre e maestro. Ad esseha fatto seguito la sepoltura accanto alla tomba dei genitori, presso illocale Cimitero comunale.

Pie Jesu dona eis requiem sempiternam

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Notizie in breve

• “Edu.care“ Genitori e figli insieme per dire “No” alla drogaQuesto il nome del progetto offerto dal Dipartimento politiche anti-droga della Presidenza del Consiglio dei Ministri a genitori, inse-gnanti e a coloro che operano nel mondo educativo presentato il26 gennaio a Pescara, alle 10.30, presso il teatro dei Gesuiti.

• Il Vescovo di Pescara incontra divorziati e risposatiParrocchia San Silvestro, 21 febbraio alle 21.

• Veglia missionaria diocesana “Restare nella speranza”Parrocchia San Gabriele Arcangelo – Collecorvino Stazione, il 24marzo dalle 20:30 alle 22:30.

• “Ac: scuola della fede”200 ragazzi dell’Azione Cattolica pescarese a Loreto Aprutino peruna grande festa diocesana il 27 marzo.

• “La capacità del dono di sé”XV Festa dei fidanzati – Oasi dello Spirito, 3 aprile.

• X Via Crucis della Solidarietà promossa dalla Caritas diocesanaChiesa dello Spirito Santo, martedì 5 aprile alle 21.

• L’urna contenente le spoglie mortali di San Gabriele dell’Ad-dolorata in pellegrinaggio a Passo Cordone e Pennedal 24 al 28 maggio.

• Le reliquie di santa Veronica Giuliani nella Parrocchia della Bea-ta Vergine Maria Addoloratadal 28 al 30 maggio.

• “Lui e Lei, camminarti accanto”, il percorso formativo per fidan-zati, compie 10 anni

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Il compleanno festeggiato da oltre 350 coppie di sposi e fidanzati aVilla Turchi, San Silvestro, 19 giugno.

Notizie in rassegna

Valentinetti, nuovo presidente Ceamdi Simone Chiappetta

L’ARCIVESCOVO DI PESCARA-PENNE SOSTITUISCE MONSIGNOR GHIDELLI

da www.laporzione.it4 gennaio 2011

È monsignor Tommaso Valentinetti il nuovo Presidente della Confe-renza Episcopale Abruzzese-Molisana. L’arcivescovo di Pescara-Penne,eletto, stamane, dall’assemblea dei presuli locali riuniti presso la curiadi Lanciano-Ortona, sostituisce monsignor Carlo Ghidelli, arcivescovoemerito della diocesi ospitante e da poco affidata alla cura di monsi-gnor Emidio Cipollone.

«Cercherò di mettermi al servizio della Regione – è il primo mes-saggio del neo presidente – ma ci tengo a ribadire che mi è stato affi-dato un ruolo di coordinamento e non di comando, un servizio chefavorisca l’unità e la comunione dei vescovi di Abruzzo e Molise».

Valentinetti, originario di Ortona e vescovo dal 2000 con prima se-de in Termoli-Larino e dal 2005 in Pescara-Penne, rappresenterà laCeam al Consiglio permanente della Cei e sarà coadiuvato nel servizioda monsignor Salvatore Visco, vicepresidente della Ceam e vesco-vo di Isernia-Venafro e da monsignor Angelo Spina, segretario, ve-scovo di Sulmona-Valva.

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San Giovanni e San Benedetto finalmente in Chiesadi Simone Chiappetta

DOPO 40 ANNI PESCARA COLLI INAUGURA UNA NUOVA STRUTTURA PARROCCHIALE

da www.laporzione.it20 gennaio 2011

L’Arcidiocesi di Pescara-Penne in festa per la dedicazione dellanuova chiesa parrocchiale di San Giovanni e San Benedetto. Sabato22 gennaio, alle 16.30, infatti, monsignor Tommaso Valentinetti, con-sacrerà l’edificio di culto sito in str.da Pandolfi a Pescara Colli.

«Sarà un evento speciale – spiega don Michele D’Andrea, parrocodal 1973 – perché è da 40 anni che la gente attende questo momen-to, dopo essersi arrangiata sotto condomini, scuole materne o dentroappartamenti».

La parrocchia nasce dalla fusione di due realtà ecclesiali, quella diSan Benedetto abate e quella di San Giovanni Battista – citandole inordine alfabetico – e, senza dubbio, non è stato facile superare cam-panilismi e concentrare le forze su un unico progetto pastorale. «Unirele due parrocchie – spiega don Massimo, co-parroco amministratoredella nuova realtà dal 2006 – è stata una impresa ardua. Inaspettata-mente, però, ho trovato due comunità vive, nonostante non avesseroun luogo di ritrovo e nonostante la vicinanza di Basilica. Paradossal-mente, però, chi partecipava era gente non attirata dalla bellezza dellastruttura o dalla devozione a Padre Pio ma credenti attivi».

La nuova struttura non sarà utilizzata solo come edificio di cultoma vuole essere un luogo di aggregazione, un punto riferimento perla zona. «Il progetto, costoso, mi ha creato scrupoli di coscienza –continua don Massimo – mi sono chiesto tante volte se tale spesa fos-se necessaria. Nella zona, però, mancano luoghi di incontro, perqualsiasi cosa bisogna scendere in centro. Le stanze e i saloni dellastruttura sono, invece, disponibili ad accogliere la gente per momenticonviviali e di confronto, oltre che per le attività pastorali».

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L’idea, realizzata su una superficie di 4511mq, infatti, è stata dasempre quella di un polo multifunzionale. «L’impianto planimetricodel complesso – sottolinea Angelo Campo, architetto – è caratterizza-to dai diversi corpi di fabbrica articolati in una composizione architet-tonica all’apparenza semplice ed ordinata ma allo stesso tempo riccadi aggetti e cambi di giacitura delle superfici orizzontali e verticaliche mostrano scorci inaspettati. I corpi di fabbrica secondari non so-no visibili dall’area di accesso della chiesa. Ne consegue un comples-so in grado di restituire diverse scale che si adeguano all’intorno ur-bano ed alle percezioni dell’edificio nel complesso contesto paesag-gistico».

Accogliente la Chiesa. «Il corpo principale – conclude l’architetto – ècaratterizzato da un senso ascensionale dell’involucro. Le pareti ester-ne, infatti, attraverso superfici verticali costituite da spezzate geometri-che ad andamento spiraliforme descrivono un percorso visivo conprincipio nella zona del battistero (inizio della vita spirituale del cristia-no), situato vicino l’ingresso ed al porticato e visibile dall’esterno attra-verso ampie vetrate, e termine, 8 metri più in alto, nel campanile ada-giato sul lato sinistro del corpo di fabbrica. All’interno l’aula principaleè caratterizzata da un asse ingresso-presbiterio-vetrata sghembo rispet-to alla geometria regolare dello spazio e culminante nel trapezio dellavetrata dietro l’altare ampia 42mq, orientata a sud-est e realizzata conspeciali vetri con cromatismi ambra ed ocra che inquadra perfettamen-te il massiccio della Majella ancora visibile da quella parte di città».

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Youcat, il catechismo che parla ai giovanidi Simone Chiappetta

PRESENTATO OGGI IL “DONO” DI BENEDETTO XVI AI GIOVANI DEL GMG

da www.laporzione.it13 aprile 2011

Si chiama “Youcat”, sembrerebbe un programma su Youtube, main realtà è l’ultimo sussidio al catechismo della Chiesa cattolica per igiovani, pensato a misura dei partecipanti alla XXVI giornata mondia-le della gioventù: «Una novità – lo definisce il card. Stanislaw Rylko,presidente del Pontificio Consiglio per i laici – un dono, un preziosocontributo allo scopo di rendere la fede dei giovani più salda, più fe-dele agli insegnamenti della Chiesa e più decisa nel condividere congli altri le ragioni della propria speranza».

Il Catechismo della Chiesa cattolica era già stato diffuso in prece-denti Gmg, ma serviva un riferimento di più facile comprensione. Pervolere dell’arcivescovo di Vienna, card. Christoph Schönborn, alcuniteologi coadiuvati da un gruppo di 50 ragazzi tra i 14 e i 20 anni, han-no realizzato il “manuale”, scritto in un linguaggio colloquiale – nelloschema domanda-risposta – ed accompagnato da semplici illustrazio-ni. Quattro le sezioni con prefazione dello stesso Benedetto XVI chelo definisce «un libro straordinario»: “Che cosa crediamo”, “La celebra-zione del mistero cristiano”, “La vita in Cristo”, “La preghiera nella vitacristiana”.

Il testo, presentato questa mattina, verrà diffuso in 700 mila copie etradotto nelle 6 lingue ufficiali della Gmg. Sono previste traduzioni an-che in cinese e arabo. I giovani lo troveranno in dono negli zaini del-la Gmg con una scritta “questo libro è un regalo personale del SantoPadre”.

«Youcat – ha spiegato il card. Rylko – non prescinde dal Catechi-smo, ma conduce ad esso. Il suo obiettivo è proprio quello di portarei giovani ad approfondire la conoscenza della loro fede. Educare i

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giovani a studiare con impegno Youcat è un passaggio fondamentaleper aiutarli a capire che la fede non è un’ispirazione spirituale sogget-tiva, né un semplice sentimento religioso o un’ideologia, ma un meto-do di conoscenza della verità, un incontro con un avvenimento, conuna Persona viva che si chiama Gesù Cristo».

Avranno pensato anche ad una versione per tablet?

Alla scoperta dei musulmani d’Italiadi Davide De Amicis

SI È SVOLTO IERI, A PESCARA, IL CONVEGNO REGIONALE MISSIONARIO SUL

RAPPORTO FRA GLI ITALIANI E GLI IMMIGRATI MUSULMANI.PADRE ALDO GIANNASI: “TUTTO È ANCORA DA FARE”

da www.laporzione.it1 maggio 2011

Sì e svolto ieri, presso il Centro Emmaus di Colle San Donato a Pe-scara, il convegno missionario regionale dal titolo “Uno sguardoall’interno delle comunità islamiche”, una mattinata d’approfondimen-to utile a delineare lo stato delle relazioni esistenti fra noi italiani e gliimmigrati musulmani che risiedono nel nostro paese.

L’incontro, organizzato dalla Commissione missionaria regionale, havisto la partecipazione di circa 20 delegati appartenenti a cinque dio-cesi abruzzesi, Pescara-Penne, Avezzano, Lanciano-Ortona, Teramo eSulmona, e di tre diocesi molisane, Campobasso, Termoli e Trivento, iquali hanno assistito alla relazione di padre Aldo Giannasi, religiosoe sacerdote presso l’ordine dei Padri Bianchi. Un uomo che ha consa-crato l’intera sua vita a Cristo e alla missione che l’ha portato 30 anni

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in giro per il mondo dapprima in Algeria e Tunisia, dove si è fermatoper 5 anni, quindi in Mali, dove ha trascorso oltre 20 anni.

Ultimamente, padre Aldo presta servizio al Cum di Verona, il Cen-tro unitario missioni dove forma i futuri missionari che abbraccerannol’Africa, un osservatorio privilegiato per studiare il rapporto esistentefra italiani e musulmani: «La Caritas – ha esordito padre Aldo – stimala presenza di un milione e quattrocento mila musulmani, nel nostropaese, che noi però conosciamo molto poco, avendo magari qualchevaga idea fornita dai media. Al contrario mi sembra necessario, daparte nostra, uno sforzo di conoscenza rispettosa e oggettiva di questomondo da noi presente».

Gli islamici che emigrano sul territorio italiano, cercando un futuromigliore, provengono essenzialmente dal Maghreb africano, dal Ma-rocco e Tunisia, e anche dall’Albania. Questo fenomeno migratorio siè, fra l’altro, radicato nel tempo eppure il cammino d’integrazione diqueste persone, in Italia, sembra quasi non essere mai iniziato: «Qual-cosa si muove – precisa il missionario dei Padri Bianchi – attraverso ilgrande lavoro svolto in ambito civile, nelle scuole, e in ambito religio-so-cristiano, con le parrocchie e le tante associazioni, ma non ci siamoancora. Manca un senso di ospitalità interiore, da offrire loro, che an-cora manca, probabilmente non ci rendiamo conto delle loro diffi-coltà, le diamo per scontato».

Analizzando, poi, nello specifico il contesto pescarese, si evincequanto la situazione non vari di molto: «Qui – ironizza don ToninoDi Tommaso, direttore dell’ufficio diocesano missionario – ci trovia-mo ancora a “caro fratello Islam”. Infatti, con oggi, è la prima voltache ci poniamo seriamente il problema dei rapporti con i musulmani,una questione non percepita dalla massa che, comunque, non dispo-ne di molte occasioni per avvicinarsi a questa realtà, se di pochi even-ti come la Festa dei popoli, a Pescara, o la Festa multietnica a Con-giunti».

E poi non mancano tutta una serie di pregiudizi, alimentati dai re-centi episodi di fondamentalismo, che hanno contribuito a seminareun certo timore fra gli italiani. Così, secondo il missionario veneto, l’u-

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nica soluzione per favorire l’integrazione dei musulmani nello “stiva-le” è da riporre nei giovani: «Li incoraggio tutti – ha concluso il mis-sionario veneto – ad incontrarsi, nel mondo della scuola e del lavoro,per intessere delle comunicazioni umane basate su una conoscenzareciproca, improntata alla collaborazione».

I giovani abruzzesi: da Termoli a Madriddi Davide De Amicis

SI È SVOLTO IERI, A TERMOLI, L’INCONTRO DEI GIOVANI ABRUZZESI

E MOLISANI (OLTRE UN MIGLIAIO) CON I VESCOVI DELLA CONFERENZA

EPISCOPALE ABRUZZESE E MOLISANA “DESTINAZIONE MADRID”,IN PREPARAZIONE ALLA PROSSIMA GMG

da www.laporzione.it3 giugno 2011

Oltre un migliaio di giovani abruzzesi e molisani, ieri, sono accorsia Termoli, in provincia di Campobasso, per partecipare a “Destinazio-ne Madrid: radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede”, il grande in-contro con gli 11 vescovi della Ceam, Conferenza episcopale abruzze-se e molisana, in preparazione alla prossima Giornata mondiale dellaGioventù che si terrà a Madrid dal 16 al 21 Agosto prossimi.

È stata dunque una grande festa, vivace e colorata, quella che hapermesso di trasformare il terminal degli autobus termolese in una diquelle “spianate da gmg”, rese vivaci dal ritmo della musica che ha ri-scaldato i cuori dei giovani presenti, in attesa del saluto iniziale: «Sia-mo venuti per dire – ha esordito monsignor Pietro Santoro, vesco-vo di Avezzano e delegato Ceam per la Pastorale Giovanile – e perdirci che Cristo è la parola definitiva della nostra storia e che la Chiesa

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ha il volto giovane. Ogni giovane è chiamato a costruire una Chiesache entri nei crocicchi della storia, grazie all’incontro tra uomo e Dio».

Terminato il saluto iniziale, i giovani si sono tuffati nella riflessione,ascoltando le parole della lettera di San Paolo apostolo ai Colossesi.Un approfondimento moderato da monsignor Gianfranco De Luca,vescovo di Termoli-Larino: «L’umanità – ha spiegato il presule – ha bi-sogno di giovani che hanno scoperto Cristo, rimanendone affascinati,che facciano appassionare gli altri alla bellezza del Vangelo. Nella ci-viltà tecnologica che ci circonda, con tutto e di più che si può avere,generante noia malinconia, siamo chiamati ad essere testimoni conta-giosi del di più di Dio».

I partecipanti, fra i quali si contavano oltre un centinaio di pesca-resi, si sono poi confrontati con la figura di santità di Chiara “luce”Badano, proclamata beata il 25 Settembre 2010 da Papa BenedettoXVI, una giovane focolarina scomparsa nel 1990, a soli 19 anni, a se-guito di un grave tumore osseo che, però, le permise di riscoprire l’a-more di Dio: «All’inizio – ha raccontato Paola, una testimone direttache ha convissuto con Chiara Badano gli anni della malattia – cometutti i giovani era proiettata sui sogni verso il futuro. Ma poi si è ritro-vata a tu per tu col dolore e con Gesù. In quel momento, Chiara hafatto una scoperta grandissima: si è posizionata nel cuore di Gesù,capendo quanto fosse l’amore di Dio più grande per ciascuno di noi».

Una figura quella della beata Chiara “luce” Badano che non hamancato di suscitare reazioni significative nei ragazzi: «Quando l’hoconosciuta – ha condiviso Caterina, una diciottenne termolese – hocapito che era inimitabile. È una persona su cui, facendovi riferimen-to, trovo la forza di superare le difficoltà del mio carattere». Quindi,un altro momento significativo ha caratterizzato la giornata: le do-mande, inviate via sms dal cellulare, ai vescovi presenti.

Dunque, monsignor Gianfranco De Luca, monsignor Pietro Santo-ro, monsignor Angelo Spina, vescovo di Sulmona-Valva, monsignorGiancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso Bojano, monsignorEmidio Cipollone, vescovo di Lanciano-Ortona, monsignor GiovanniD’Ercole, vescovo ausiliare de L’Aquila, e monsignor Domenico Scot-

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ti, vescovo di Trivento, non si sono sottratti alla risposta su quesitisecchi, posti da giovani “senza peli sulla lingua”: dai dubbi relativi alpagamento dell’otto per mille, alla visione data dalla Chiesa sulla ses-sualità, passando per la posizione degli omosessuali fra i cristiani. Atutti i quesiti, i vescovi hanno risposto con parole semplici ed effica-ci, ricevendo applausi convinti da parte dei giovani. Nel pomeriggio,inoltre, dopo il break musicale offerto dal cantante pescarese TonyNevoso, i presenti hanno potuto ascoltare due lectio divinae, sulla ve-rità e sul libro di Giona, meditate rispettivamente da monsignor Bre-gantini e monsignor D’Ercole.

Infine, la partecipazione alla messa conclusiva, presieduta da mon-signor Tommaso Valentinetti, presidente della Ceam e arcivescovodi Pescara-Penne: «Carissimi giovani – ha affermato monsignor Valenti-netti nell’omelia – la vostra giovinezza, la vostra forza, il vostro entu-siasmo deve essere lo stesso di quello dei primi apostoli che hannoannunciato il Signore Gesù, che hanno predicato l’amore del Signore,che hanno detto “Anch’io credo e posso testimoniare che Cristo è ilSignore della mia vita”».

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1 Relazione tenuta al clero dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne presso l’Oasi dello Spirito(Montesilvano) il 18 gennaio 2011

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Il confessare come “dialogo” salvificoper coscienze mature1

p. Sabatino MAJORANO cssr

Il titolo che ho indicato per questo incontro mi è stato suggeritodalla lettera con cui Benedetto XVI ha indetto l’anno sacerdotale: «Tut-ti noi sacerdoti dovremmo sentire che ci riguardano personalmentequelle parole che egli [il Curato d’Ars] metteva in bocca a Cristo: “In-caricherò i miei ministri di annunciare ai peccatori che sono semprepronto a riceverli, che la mia misericordia è infinita”. Dal Santo Curatod’Ars noi sacerdoti possiamo imparare non solo un’inesauribile fiducianel sacramento della Penitenza che ci spinga a rimetterlo al centrodelle nostre preoccupazioni pastorali, ma anche il metodo del “dialo-go di salvezza” che in esso si deve svolgere… Il Curato d’Ars, nel suotempo, ha saputo trasformare il cuore e la vita di tante persone, per-ché è riuscito a far loro percepire l’amore misericordioso del Signore.Urge anche nel nostro tempo un simile annuncio e una simile testimo-nianza della verità dell’Amore: Deus caritas est (Gv 4,8)»

Approfondire il confessare come “dialogo di salvezza” ci permettedi portare nella nostra ministerialità quella preoccupazione educativa,che in questo secondo decennio siamo invitati a sviluppare in tutta lanostra pastorale: occorre «impegnarci nel decennio pastorale 2010-2020 in una approfondita verifica dell’azione educativa della Chiesa inItalia, così da promuovere con rinnovato slancio questo servizio al be-ne della società. In piena docilità allo Spirito, vogliamo operare condisponibilità all’ascolto e al dialogo, mettendo a disposizione di tutti labuona notizia dell’amore paterno di Dio per ogni uomo» (Educare al-la vita buona del Vangelo, n. 4).

È chiaro a tutti che le difficoltà del sacramento della riconciliazionesembrano non finire mai e vanno ben al di là del sacramento stesso.

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Si pensi alla tendenza a deresponsabilizzarsi, che si va accentuandonella nostra mentalità, a causa anche di modelli ampiamente pubbli-cizzati dai media; alla crisi del senso del peccato, dovuta anche a ritar-di della nostra catechesi; alla riduzione individualistica del rapportocon Dio, che fa fatica a comprendere la mediazione ecclesiale e sacra-mentale…

La scelta di fermarci sullo stile del confessare non significa dimenti-care questi fattori più ampi. Vuole però ricordare che della crisi è re-sponsabile anche la nostra maniera di confessare.

Un confessare che faccia sperimentare l’amore misericordioso delPadre, continuando la chenosi del Redentore, è certamente un contri-buto prezioso per una convinta e condivisa riscoperta del sacramen-to.

Fiducia nel sacramento della penitenza

Un rinnovamento della pastorale del sacramento della penitenzapuò realizzarsi solo se noi presbiteri ci apriamo maggiormente alla fi-ducia in questo sacramento, dandogli lo spazio e il tempo dovuto neinostri progetti pastorali.

A convincerci di questa necessità, è sufficiente dare uno sguardoalle bacheche che troviamo all’ingresso delle nostre chiese: troppevolte non viene nemmeno segnalato l’orario delle confessioni.

Alla radice di questa poca attenzione, ci sono fattori molteplici dicarattere sia sociale sia ecclesiale, da discernere attentamente per nonrestarne condizionati. Ci sarà più facile allora ritrovare la fiducia nelsacramento della penitenza e concretizzarla in proposte pastorali chepermettano ai fedeli di sperimentarlo non solo come l’incontro gioio-so con il perdono misericordioso ma anche come momento privilegia-to di formazione e di crescita per una effettiva maturità cristiana.

Devono stimolarci le affermazioni di Presbyterorum ordinis: i pre-sbiteri «in spiritu Christi Pastoris insegnano a sottomettere con cuorecontrito i propri peccati alla Chiesa nel sacramento della penitenza,per potersi così convertire ogni giorno di più al Signore, ricordando le

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sue parole: “Fate penitenza perché si avvicina il regno dei cieli” (Mt4,17)» (n. 5).

Nel paragrafo successivo si aggiunge che «di ben poca utilità saran-no le cerimonie più belle o le associazioni più fiorenti, se non sonovolte ad educare gli uomini alla maturità cristiana. Per promuovere ta-le maturità, i presbiteri sapranno aiutarli a diventare capaci di leggere(perspicere) negli avvenimenti stessi – siano essi di grande o di minoreportata – quid res exigant, quae sit Dei voluntas. I cristiani inoltre de-vono essere educati a non vivere egoisticamente ma secondo le esi-genze della nuova legge della carità, la quale vuole che ciascuno am-ministri in favore del prossimo la misura di grazia che ha ricevuto eche in tal modo tutti assolvano cristianamente propri compiti nella co-munità umana» (n. 6).

Tutto questo esige una proposta e un accompagnamento persona-lizzato: «ciascuno dei fedeli sia condotto nello Spirito Santo a svilup-pare la propria vocazione personale secondo il Vangelo, a praticareuna carità sincera e attiva, ad esercitare quella libertà con cui Cristo ciha liberati» (ivi).

Il dialogo del sacramento della penitenza è momento privilegiato diquesta personalizzazione, indispensabile per un autentico cammino difede: deve essere tale da permettere che l’esperienza gioiosa del per-dono diventi desiderio e impegno sincero di ulteriore guarigione, libe-razione, apertura sincera alla santità.

Per poter concretizzare in maniera costruttiva questa ministerialità,la preghiera deve fondersi con lo studio. Indispensabile però è ancheil dialogo all’interno del presbiterio per individuare insieme, soprattut-to nei riguardi di problematiche particolarmente complesse, un ap-proccio condiviso nel quale carità e verità si incontrino, secondoquanto Benedetto XVI ricorda in Caritas in veritate in rapporto so-prattutto alle problematiche sociali: «coniugare la carità con la veritànon solo nella direzione, segnata da san Paolo, della “veritas in carita-te” (Ef 4,15), ma anche in quella, inversa e complementare, della “ca-ritas in veritate”. La verità va cercata, trovata ed espressa nella “econo-

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mia” della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata epraticata nella luce della verità» (n. 2).

È la prospettiva in cui già Paolo VI aveva invitato a muoversi nellaparte pastorale dell’Humanae vitae: «Non sminuire in nulla la salutaredottrina di Cristo, è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciòdeve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Re-dentore stesso ha dato l’esempio nel trattare con gli uomini. Venutonon per giudicare, ma per salvare, egli fu certo intransigente con ilmale, ma paziente e misericordioso verso i peccatori. Nelle loro diffi-coltà, i coniugi ritrovino sempre nella parola e nel cuore del sacerdotel’eco della voce e dell’amore del Redentore. Parlate poi con fiducia,diletti figli, ben convinti che lo Spirito santo di Dio, mentre assiste ilmagistero nel proporre la dottrina, illumina internamente i cuori deifedeli, invitandoli a dare il loro assenso. Insegnate agli sposi la neces-saria via della preghiera, e istruiteli convenientemente, affinché ricor-rano spesso e con grande fede ai sacramenti dell’eucaristia e della pe-nitenza, e perché mai si scoraggino a motivo della loro debolezza» (n.29).

Padre che accoglie e medico che cura

Perché possa essere effettivamente “dialogo di salvezza” che fa in-contrare la misericordia sanante e liberante di Dio, lo stile del confes-sare deve essere determinato dal convincimento che il ministero delconfessore, come scriveva S. Alfonso, è «officio di carità, istituito dalRedentore solamente in bene delle anime» (Istruzione e pratica peiconfessori, cap. XVI, punto VI, n. 110).

Il punto riferimento sarà sempre la “condotta” del Redentore (S.Alfonso). Mi limito a richiamare alcuni passi di Luca, che meglio evi-denziano il dialogare salvifico di Cristo con i peccatori: • Lc 24,13-35: condividere il cammino, ascoltare, indicare una lettura

diversa, far ardere il cuore; • Lc 7,36-50: il lasciarsi “toccare” dalla peccatrice; il dialogo con co-

me giudizio che chiude l’altro in ciò che ha fatto (l’atteggiamento diSimone), ma come far emergere il desiderio o la nostalgia di beneche c’è nel fondo del cuore anche di chi sbaglia;

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• Lc 19,1-10: il dialogo che trasforma in avvenimento salvifico il sem-plice desiderio di vederlo;

• Lc 15,11-32: il dialogo e l’abbraccio che trasformano in un tornare acasa la ricerca del figlio di un luogo in cui mangiare e questo no-nostante lo scandalo del figlio maggiore.

Due indicazioni delle Premesse al Rito della penitenza, parlandodello «esercizio pastorale di questo ministero», possono aiutarci nelconcretizzare questa “condotta” del Redentore nel nostro stile di con-fessare. Le trascrivo per facilitare la nostra riflessione: • Per svolgere bene e fedelmente il suo ministero, il confessore deve

saper distinguere le malattie dell’anima per apportarvi i rimediadatti, ed esercitare con saggezza il suo compito di giudice; deveinoltre con uno studio assiduo, sotto la guida del Magistero dellaChiesa, e soprattutto con la preghiera, procurarsi la scienza e laprudenza necessarie a questo scopo. Il discernimento degli spiriti èl’intima cognizione dell’opera di Dio nel cuore degli uomini: donodello Spirito Santo e frutto della carità» (n. 10a).

• Nell’accogliere il peccatore penitente e nel guidarlo alla luce dellaverità, il confessore svolge un compito paterno, perché rivela agliuomini il cuore del Padre, e impersona l’immagine di Cristo, buonPastore. Si ricordi quindi che il suo ministero è quello stesso di Cri-sto, che per salvare gli uomini ha operato nella misericordia la lororedenzione, ed è presente con la sua virtù divina nei sacramenti»(n. 10c).

Da queste indicazioni mi sembra emerge con chiarezza che la no-stra responsabilità è soprattutto quella di padre che accoglie e di medi-co che sana. Le pagine iniziali della Pratica del confessore diSant’Alfonso possono essere un aiuto prezioso. Ne ricordo i tratti fon-damentali, guardando però sempre le possibilità e le sfide che oggi citroviamo ad affrontare nel nostro ministero.

Al primo posto Alfonso pone l’ufficio di padre, sottolineando la ne-cessità che il confessore sia innanzitutto «pieno di carità». Il riferimentoalla parabola lucana del padre misericordioso (cf Lc 15,11-32), benchénon citata esplicitamente, sembra stare sullo sfondo delle affermazionialfonsiane. Questa carità si concretizza «nell’accogliere tutti, poveri,

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rozzi e peccatori», a cominciare da coloro che sono più segnati dalpeccato: i buoni confessori «quando si accosta un di costoro, se l’ab-bracciano dentro il cuore e si rallegrano quasi victor capta praeda,considerando di aver la sorte allora di strappare un’anima dalle manidel demonio. Sanno che questo sagramento propriamente non è fattoper l’anime divote, ma per li peccatori… Sanno che Gesù Cristo siprotestò dicendo: Non veni vocare iustos, sed peccatores (Mc 2,17). Eperciò, vestendosi di viscere di misericordia, come esorta l’Apostolo,quanto più infangata di peccati trovano quell’anima, tanto maggior ca-rità cercano d’usarle, affin di tirarla a Dio» (cap. 1, § 1, n. 3). Comenella parabola lucana, la qualità e il calore di questa accoglienza sonofondamentali perché l’incamminarsi nel figlio verso casa, diventi effet-tivamente un ritornare a casa.

Questo «abbracciare nel cuore» si concretizza nell’ascolto paziente emisericordioso: «Maggiormente dee il confessore usar carità nel sentir-lo. Bisogna pertanto ch’egli si guardi di mostrar impazienza, tedio omaraviglia de’ peccati che narra; se pure non fosse così duro e sfac-ciato che dicesse molti e gravi peccati senza dimostrarne alcun orroreo rincrescimento, perché allora è di bene fargli intendere la lorodeformità e moltitudine, bisognando allora svegliarlo dal suo mortalletargo con qualche correzione» (ivi, n. 4).

Ascoltare significa guardare le cose dall’angolazione del penitente:non per legittimare ciò che non è possibile legittimare, dato che la ca-rità chiede sempre di chiamare il bene e il male con il proprio nome;ma per cogliere l’effettivo valore di ciò che si è vissuto e così indivi-duare i passi effettivamente risolutivi. Spesso noi confessori abbiamotroppa fretta di parlare. Occorre invece prima di tutto ascoltare. Solocosì la verità non verrà percepita come imposta dall’esterno, ma fruttodi una “maieutica” che fa emergere lo Spirito già all’opera anche nelpeccatore più incallito.

L’ascolto misericordioso porta a considerare il peccato innanzituttocome malattia che contagia e debilita e da cui la confessione deveaiutare a guarire. Il dialogo con il penitente va svolto da medico eperciò mira innanzitutto ad una corretta diagnosi: «il confessore, affinedi ben curare il suo penitente, dee per prima informarsi dell’origine ecagioni di tutte le sue spirituali infermità». Solo così sarà possibile «far

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la correzione, disporre il penitente all’assoluzione ed applicargli i ri-medi» (ivi, § 2, n. 6).

La verità è il primo di questi rimedi che il confessore deve offrirecon franchezza. Dobbiamo essere convinti che la comunicazione dellaverità nella confessione è più efficace, perché ha la possibilità di in-carnarsi nella concretezza della vita: «il predicatore, scrive Alfonso,non sa le circostanze particolari, come le conosce il confessore; ondequesti assai meglio può far la correzione ed applicare i rimedi al male»(ivi, n. 7). Occorre però che il confessore non dimentichi che, inquanto medico, non può limitarsi a prescrivere la medicina appropria-ta alla malattia, ma occorre anche che sappia individuare una posolo-gia rispondente alle forze del penitente: «dev’egli sì bene insegnar leverità, ma quelle sole che giovano, non quelle che recano la danna-zione a’ penitenti».

È questa la maniera con la quale vanno affrontate le situazioni diignoranza. Va sempre ammonito, scrive Alfonso, «chi sta nell’ignoranzacolpevole di qualche suo obbligo, o sia di legge naturale o positiva».Quando invece si tratta di ignoranza incolpevole, allora se «è circa lecose necessarie alla salvezza, in ogni conto gliela deve togliere; se poiè d’altra materia, ancorché sia circa i precetti divini, e i1 confessoreprudentemente giudica che l’ammonizione sia per nocere al penitente,allora deve farne a meno e lasciare il penitente, nella sua buona fede».Il motivo è «perché si deve maggiormente evitare il pericolo del pecca-to formale che del materiale, mentre Dio solamente il formale punisce,poiché da questo solo si reputa offeso» (Pratica, cap. I, § 2, n. 8).

Il contesto pluralista e il premere martellante dei media devono far-ci ritenere che le situazioni di ignoranza invincibile siano più frequen-ti di quanto a prima vista potrebbe sembrare. Sono significativi al ri-guardo gli orientamenti pastorali del Vademecum per i confessori sualcuni temi di morale attinenti alla vita coniugale del Pontificio consi-glio per la Famiglia, trattando le problematiche concernenti la pater-nità/maternità responsabile. Trascrivo integralmente i due paragrafi (n.7 e 8) per facilitare la riflessione comune:• «Il sacramento della Riconciliazione richiede, da parte del penitente,

il dolore sincero, l’accusa formalmente integra dei peccati mortali e

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il proposito, con l’aiuto di Dio, di non ricadere mai più. In linea dimassima non è necessario che il confessore indaghi sui peccaticommessi a causa dell’ignoranza invincibile della loro malizia, o diun errore di giudizio non colpevole. Per quanto tali peccati nonsiano imputabili, tuttavia non cessano di essere un male e un disor-dine. Ciò vale anche per la malizia obiettiva della contraccezione:questa introduce nella vita coniugale degli sposi un’abitudine catti-va. E quindi necessario adoperarsi, nel modo più opportuno, per li-berare la coscienza morale da quegli errori che sono in contraddi-zione con la natura del dono totale della vita coniugale. Pur tenen-do presente che la formazione delle coscienze va fatta soprattuttonella catechesi sia generale che specifica degli sposi, è sempre ne-cessario aiutare i coniugi, anche nel momento del sacramento dellaRiconciliazione, ad esaminarsi sui doveri specifici della vita coniu-gale. Qualora il confessore ritenga doveroso interrogare il peniten-te, lo faccia con discrezione e rispetto.

• Certamente è da ritenere sempre valido il principio, anche in meri-to alla castità coniugale, secondo il quale è preferibile lasciare i pe-nitenti in buona fede in caso di errore dovuto ad ignoranza sogget-tivamente invincibile, quando si preveda che il penitente, purorientato a vivere nell’ambito della vita di fede, non modifichereb-be la propria condotta, anzi passerebbe a peccare formalmente; tut-tavia, anche in questi casi, il confessore deve tendere ad avvicinaresempre più tali penitenti, attraverso la preghiera, il richiamo e l’e-sortazione alla formazione della coscienza e l’insegnamento dellaChiesa, ad accogliere nella propria vita il piano di Dio, anche inquelle esigenze».

Da medico occorre anche che il confessore operi la scelta delle pe-nitenze da imporre. Esse vanno considerate innanzitutto come «rime-di», suggerisce S. Alfonso: «In fine il confessore deve attendere ad ap-plicare i rimedi più opportuni alla salvezza del suo penitente, con dar-gli quella penitenza che più conviene al suo male, e inoltre quegli ve-rosimilmente sarà per adempire». Riferendosi alle affermazioni tridenti-ne, continua: «È vero che nel Tridentino (Sess. 14, de Poenit. c. 8) di-cesi che la penitenza dee corrispondere alla qualità de’ delitti, ma ivistesso si aggiunge che le penitenze debbono essere pro poenitentium

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facultate, salutares et convenientes. Salutares, cioè utili alla salvezzadel penitente; et convenientes, cioè proporzionate non solo a’ peccati,ma anche alle forze del penitente. Ond’è che non sono salutari néconvenienti quelle penitenze a cui i penitenti non sono atti a soggia-cere per la debolezza del loro spirito, poiché allora queste piuttostosarebbon cagioni di lor ruina» (Pratica, cap. I, § 2, n. 11-12).

I «rimedi» vengono da Alfonso distinti in «generali», cioè «da insi-nuarsi a tutti», e «particolari per qualche particolar vizio» (ivi, n. 15). Leesplicitazioni sono radicate nella realtà popolare del tempo. Da quelligenerali emerge una proposta di vita cristiana radicata nell’amore eperciò aperta alla santità. Il primo rimedio infatti è «l’amore a Dio,giacché Dio a questo sol fine ci ha creati; e con ciò diasi ad intenderela pace che gode chi sta in grazia di Dio, e l’inferno anticipato cheprova chi vive senza Dio, colla ruina anche temporale che porta consé il peccato» (ivi).

Il dialogo con il penitente è salvifico se in esso è costante l’annun-cio della radicalità dell’amore di Dio e del costante suo “anticipo” nel-la vita di ognuno, nonostante i limiti e le chiusure. È la prospettiva ri-chiamata da Benedetto XVI in Deus caritas est: «Amore di Dio e amoredel prossimo sono inseparabili, sono un unico comandamento. En-trambi però vivono dell’amore preveniente di Dio che ci ha amati perprimo. Così non si tratta più di un “comandamento” dall’esterno checi impone l’impossibile, bensì di un’esperienza dell’amore donata dal-l’interno, un amore che, per sua natura, deve essere ulteriormentepartecipato ad altri. L’amore cresce attraverso l’amore. L’amore è “divi-no” perché viene da Dio e ci unisce a Dio e, mediante questo proces-so unificante, ci trasforma in un Noi che supera le nostre divisioni e cifa diventare una cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia “tutto in tutti”(1Cor 15,28)» (n. 18).

L’ufficio di dottore (o di maestro) esige che il confessore, comescrive S. Alfonso, «ben sappia la legge; chi non la sa, non può inse-gnarla agli altri». Deve trattarsi di una scienza finalizzata a «guidare l’a-nime per la vita eterna». Perciò esige un impegno continuo di studioper comprendere la complessità delle problematiche morali e il varia-

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re delle situazioni, dato che dalle «molte circostanze de’ casi… dipen-de il doversi mutare le risoluzioni». Limitarsi ai soli «principi generalidella morale», non basta. È necessario acquisire quella conoscenzapratica che rende capaci di aiutare le coscienze nella loro concreta at-tuazione: «Chi niega che tutti i casi si hanno da risolvere coi principi?Ma qui sta la difficoltà: in applicare a’ casi particolari i principi che lo-ro convengono. Ciò non può farsi senza una gran discussione delleragioni che son dall’una e dall’altra parte; e questo appunto è quelche han fatto i moralisti: han procurato di chiarire con quali principidebbano risolversi molti casi particolari» (Pratica, cap. I, § 3, n. 17).

È questa “praticità salvifica” che permette alla verità di essere rico-nosciuta dalle coscienze. Il confessore potrà allora stimolare e soste-nere le coscienze a discernere la volontà di Dio nel vivo delle situa-zioni e a camminare verso la santità. L’ascolto attento della storia e ilsuo vaglio retto dal Vangelo faranno della verità morale un camminoilluminato dalla “copiosa redemptio” e perciò rispettoso della gradua-lità esigita dalla fragilità della persona.

Ultimo nella presentazione alfonsiana dei compiti del confessore èquello di giudice: «il confessore per prima dee informarsi della co-scienza del penitente, indi dee scorgere la sua disposizione, e per ulti-mo dare o negare l’assoluzione» (ivi, cap. I, § 4, n. 19). Nel dettagliarequesto compito, Alfonso pone in rilievo che il giudizio deve essereaccompagnato dalla disponibilità a condividere il cammino di conver-sione del penitente. Denuncia perciò le carenze di scelte pastorali disegno contrario: «mal fanno quei confessori che licenziano i rozzi, af-finch’essi meglio esaminino la loro coscienza. Ciò il p. Segneri lo chia-ma un errore intollerabile; e con ragione» (ivi).

Condividere con i peccatori il “peso” della loro conversione èespressione autentica della comunione dei santi. In un contesto comeil nostro, in cui sono forti le tendenze a trasformare in indifferenza lostesso rispetto per la libertà degli altri, è necessario testimoniarlo inmaniera ancora più convinta. Benedetto XVI addita al riguardo l’esem-pio del Curato d’Ars: «Non rifuggiva dal mortificare se stesso a benedelle anime che gli erano affidate e per contribuire all’espiazione deitanti peccati ascoltati in confessione. Spiegava ad un confratello sacer-

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dote: “Vi dirò qual è la mia ricetta: do ai peccatori una penitenza pic-cola e il resto lo faccio io al loro posto”. Al di là delle concrete peni-tenze a cui il Curato d’Ars si sottoponeva, resta comunque valido pertutti il nucleo del suo insegnamento: le anime costano il sangue diGesù e il sacerdote non può dedicarsi alla loro salvezza se rifiuta dipartecipare personalmente al “caro prezzo” della redenzione».

Il confessare diventa così “continuazione” di quella «compassione»con cui Cristo è sceso nel nostro «inferno» e ha condiviso la nostra de-bolezza (Spe salvi, 37). In questa maniera l’esperienza del perdono sitrasforma in conversione dettata da amore e perciò capace di santità.

La diaconia alla formazione delle coscienze

Tutto questo va vissuto con la franchezza e al tempo stesso l’umiltàdi chi si sa chiamato a «continuare, sotto la guida dello Spirito conso-latore, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto nel mondo a renderetestimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire enon ad essere servito» (Gaudium et spes, 3). L’annunzio della verità èautentico solo se si dà come diaconia alle coscienze. Del resto non èforse lo Spirito che apre i cuori alla verità e alla conversione; noi sia-mo solo semplici suoi servitori?

Lo richiamava con forza Giovanni Paolo II in Veritatis splendor: «LaChiesa si pone solo e sempre al servizio della coscienza, aiutandola anon essere portata qua e là da qualsiasi vento di dottrina secondo l’in-ganno degli uomini (cfr. Ef 4,14), a non sviarsi dalla verità circa il be-ne dell’uomo, ma, specialmente nelle questioni più difficili, a raggiun-gere con sicurezza la verità e a rimanere in essa» (n. 64). E più tardiaggiungeva: «Quest’opera della Chiesa trova il suo punto di forza – ilsuo “segreto” formativo – non tanto negli enunciati dottrinali e negliappelli pastorali alla vigilanza, quanto nel tenere lo sguardo fisso sulSignore Gesù. La Chiesa ogni giorno guarda con instancabile amore aCristo, pienamente consapevole che solo in lui sta la risposta vera edefinitiva al problema morale» (n. 85).

Nel sacramento della confessione questa diaconia alla verità e allacoscienza ci porterà al sincero riconoscimento delle “competenze”

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proprie dei fedeli laici. Due passi della Gaudium et spes sono al ri-guardo particolarmente importanti:• Nel n. 43 viene affrontato il complesso campo delle scelte riguar-

danti il sociale. Dopo aver esortato «i cristiani, cittadini dell’una edell’altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveriterreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo» e sottolineatoche «la dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che profes-sano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi erroridel nostro tempo», il Concilio continua: «Ai laici spettano propria-mente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività tem-porali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, siaindividualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi propriedi ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera peri-zia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quantimirano a identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede eripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, oveoccorra, e ne assicurino la realizzazione. Spetta alla loro coscienza,già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vi-ta della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forzaspirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre espertia tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelligravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che pro-prio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piut-tosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana efacendo attenzione rispettosa alla dottrina del magistero».La nostra opera di annuncio della verità, soprattutto nel sacramentodella penitenza, non significa spropriare la coscienza della sua re-sponsabilità, dando le conclusioni del discernimento, ma aiutarla acrescere nella capacità di discernimento e sostenerla perché lo attuiin maniera corretta. Ad esempio, dovremmo ricordare gli eventualivalori che rischia di dimenticare; illuminare sulla corretta loro ge-rarchia…Il Concilio aggiunge un ulteriore elemento che il contesto attualerende ancora più urgente: la maniera di affrontare le eventuali di-versità di giudizio pratico: «Per lo più sarà la stessa visione cristianadella realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una determinata

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soluzione. Tuttavia, altri fedeli altrettanto sinceramente potrannoesprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come suc-cede abbastanza spesso e legittimamente. Ché se le soluzioni pro-poste da un lato o dall’altro, anche oltre le intenzioni delle parti,vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico,in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicareesclusivamente in favore della propria opinione l’autorità dellaChiesa. Invece cerchino sempre di illuminarsi vicendevolmente at-traverso un dialogo sincero, mantenendo sempre la mutua carità eavendo cura in primo luogo del bene comune».

• Altrettanto significative sono le affermazioni del n. 50 della stessaGaudium et spes sulla competenza dei coniugi nei riguardi del giu-dizio di paternità/maternità responsabile: «I coniugi sappiano di es-sere cooperatori dell’amore di Dio Creatore e quasi suoi interpretinel compito di trasmettere la vita umana e di educarla; ciò deve es-sere considerato come missione loro propria. E perciò adempiran-no il loro dovere con umana e cristiana responsabilità e, con docileriverenza verso Dio, di comune accordo e con sforzo comune, siformeranno un retto giudizio: tenendo conto sia del proprio benepersonale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelliche si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materialiche spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, te-nendo conto del bene della comunità familiare, della società tem-porale e della Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo de-vono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi. Però nella loro lineadi condotta i coniugi cristiani siano consapevoli che non possonoprocedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da unacoscienza che sia con forme alla legge divina stessa; e siano docilial magistero della Chiesa, che interpreta in modo autentico quellalegge alla luce del Vangelo. Tale legge divina manifesta il significa-to pieno dell’amore coniugale, lo protegge e lo conduce verso lasua perfezione veramente umana». Si tratta di affermazioni che troppe volte vengono dimenticate,anche da parte dei confessori. Lasciandoci guidare da esse, inve-ce, potremmo dare al nostro stile di confessare caratteristiche dipiù chiara ministerialità evangelica. Occorre però avere maggiore

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fiducia nello Spirito: è lui che guida le coscienze «a tutta la verità»(Gv 16,13).

Perché possa effettivamente contribuire all’educazione alla vitabuona del Vangelo credo che sia indispensabile che nel confessarenon perdiamo mai di vista le esigenze della legge della gradualità. «Larisposta al dono della vita si attua nel corso dell’esistenza. L’immaginedel cammino ci fa comprendere che l’educazione è un processo dicrescita che richiede pazienza. Progredire verso la maturità impegna lapersona in una formazione permanente, caratterizzata da alcuni ele-menti chiave: il tempo, il coraggio, la meta» (Educare…, n. 28).

Restano significative al riguardo le affermazioni della Familiarisconsortio: - innanzitutto la «grande importanza» di una «retta concezione dell’or-

dine morale, dei suoi valori e delle sue norme», che non è «qualco-sa di mortificante per l’uomo», ma «si pone al servizio della sua pie-na umanità, con l’amore delicato e vincolante con cui Dio stessoispira, sostiene e guida ogni creatura verso la sua felicità»;

- la storicità dell’uomo «chiamato a vivere responsabilmente il dise-gno sapiente e amoroso di Dio» fa sì che «egli conosce, ama e com-pie il bene morale secondo tappe di crescita»;

- in questo «incessante cammino» sono essenziali il «desiderio sinceroe operoso di conoscere sempre meglio i valori che la legge divinacustodisce e promuove» e la «volontà retta e generosa di incarnarlinelle loro scelte»;

- non può perciò «guardare alla legge solo come ad un puro idealeda raggiungere in futuro», ma «come un comando di Cristo Signorea superare con impegno le difficoltà» e a impegnarsi sinceramenteper «porre le condizioni necessarie» per osservarla (n. 34).

L’opera formativa oggi è «resa particolarmente difficile dalla separa-zione tra le dimensioni costitutive della persona, in special modo la ra-zionalità e l’affettività, la corporeità e la spiritualità. La mentalità odier-na, segnata dalla dissociazione fra il mondo della conoscenza e quellodelle emozioni, tende a relegare gli affetti e le relazioni in un orizzon-te privo di riferimenti significativi e dominato dall’impulso momenta-neo. Si avverte, amplificato dai processi della comunicazione, il peso

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eccessivo dato alla dimensione emozionale, la sollecitazione continuadei sensi, il prevalere dell’eccitazione sull’esigenza della riflessione edella comprensione» (Educare…, n. 13).

Di qui la proposta di una saggia pedagogia dei bisogni, senza dellaquale tutta l’opera di formazione della coscienza, per quanto genero-sa, rischierebbe di essere vanificata. Una tale pedagogia non significacopertura, fuga o repressione, ma riconoscimento sincero che, senzaassolutizzarne l’attuale esperienza, riporta i bisogni alla persona, sot-traendoli alle manipolazioni, sempre più frequenti nel nostro contesto.Diventa allora possibile metterli in dialogo con il senso della vita econ le scelte fondamentali in cui cerchiamo di concretizzarlo. Tuttoquesto però non si improvvisa, ma esige un cammino impegnativo dimaturazione. La coscienza del credente vive questa complessa realtàilluminandola con la consapevolezza sia del potere del peccato siadella forza ancora più decisiva della morte-risurrezione del Cristo. Il li-mite, l’insuccesso, l’errore non possono spaventare, perché su di essic’è sempre la certezza del dono dello Spirito che ci sta convertendo aun desiderare nuovo (cf Rm 8,5-6; Gal 5,13-26).

Infine, come sottolineavo nel precedente incontro, occorre impe-gnarsi di più per un saggio riequilibrio delle preoccupazioni morali, inmaniera da evitare tagli e sottolineature ingiustificate. Nel passato piùvolte l’accento è andato soprattutto sui contenuti dell’etica personale,specialmente quella sessuale. Ne è derivata l’emarginazione delle pro-blematiche sociali o almeno una loro non sufficiente sviluppo, che oc-corre aiutare a recuperare, senza però cadere in estremizzazioni disenso contrario.

In questa prospettiva, credo sia di particolare urgenza aiutare le co-scienze a:

• riscoprire la centralità del bene comune e la responsabilità moraledi partecipare alla sua definizione e attuazione;

• vivere in maniera costruttiva le responsabilità professionali, affron-tando le immancabili tensioni determinate dalla complessità dellesituazioni;

• maturare la capacità di essere soggetti consapevoli e critici della co-municazione sociale e dei nuovi mezzi in cui essa si realizza;

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• sviluppare un senso più convinto delle esigenze della legalità intutte le sue espressioni, cominciando da quelle di carattere fiscale eamministrativo;

• maturare un senso critico verso tutte le forme di chiusura (indivi-duale, familiare, professionale, territoriale…) per una effettiva soli-darietà verso tutti;

• mettere in discussione gli stili di vita in maniera da rispondere effi-cacemente alle esigenze di uno sviluppo sostenibile e condiviso, acominciare da quelle ecologiche.

Alcuni suggerimenti bibliografici

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• Convertirci a Dio, gioire nella speranza. Approfondimenti biblici, meditazioni, sussidiliturgici, a cura del Consiglio Ecumenico delle Chiese, Paoline, Milano 1998.

• DANNEELS G., Perdonare. Sforzo dell’uomo, dono di Dio, San Paolo, Cinisello Balsamo2006.

• FALSINI R., Penitenza e riconciliazione nella tradizione e nella riforma conciliare. Ri-flessioni teologiche e proposte celebrative, Ancora, Milano 2003.

• FANZAGA L., La confessione. Dove il cuore trova pace, Sugarco, Milano 2008.• FISCHER G. – BACKHAUS K., Espiazione e riconciliazione. Prospettive dell’Antico e del

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unzione degli infermi, ordine, matrimonio, EDB, Bologna 2003. • FORTE B., Confessarsi, perché? La riconciliazione e la bellezza di Dio, San Paolo, Cini-

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Edizioni, 2007.• MAZZA E., La celebrazione della Penitenza. Spiritualità e pastorale, EDB, Bologna 2001. • NOUWEN H. J., L’abbraccio benedicente. Meditazione sul ritorno del figlio prodigo, Que-

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ElleDiCi, Leumann 2005.• SODI M., La Penitenzieria apostolica e il sacramento della penitenza. Percorsi storici-

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