Bollettino (II/2009)

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ANNO LXI BOLLETTINO UFFICIALE DELL'ARCIDIOCESI METROPOLITANA DI PESCARA-PENNE MMIX - 2

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Il semestrale di documenti ufficiali dell'arcidiocesi di Pescara-Penne. Anno 2009, II semestre

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ANNO LXI

BOLLETTINO UFFICIALEDELL'ARCIDIOCESI METROPOLITANA

DI PESCARA-PENNE

MMIX - 2

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Periodico della Diocesi di PescaraAnno LXI - N° 2

Presidente:S. E. R. Mons. Tommaso VALENTINETTI

Direttore:Dott.ssa Lidia [email protected]

Direttore Responsabile:Dott. Ernesto GRIPPO

Amministratore:Can. Antonio DI GIULIO

Editore:Curia Arcivescovile Metropolitana Pescara-Penne

Sede Legale:

Curia Arcivescovile Metropolitana Pescara-Penne

Piazza Spirito Santo, 5

65121 PESCARA

Fotocomposizione e Stampa:

Tipografia Grafica LTD

65016 MONTESILVANO (PE)

Rivista Diocesana

C.C.P. n° 16126658

Periodico registrato presso il Tribunale di Pescara

al n° 11/95 in data 24.05.1995

Spedizione in abb. postale 50% PESCARA

CURIA METROPOLITANAPiazza Spirito Santo, 5 - 65121 Pescara - Tel. 085-4222571 - Fax 085-4213149

www.diocesipescara.it

ARCIVESCOVADOPiazza Spirito Santo, 5 - 65121 Pescara - Tel. 085-2058897

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LA PAROLA DEL PAPA

Nuova veste grafica per il prossimo Bollettino ................................................................. pag. 5

Messaggio al Signor Jacques Diouf, Direttore Generale della F.A.O.,in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione 2009 ....................................... pag. 9

Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (2010) .............................. “ 11

Omelia della Santa Messa di Mezzanotte solennità del Natale del Signore ........................ “ 14

Messaggio Urbi et Orbi - Natale 2009 ................................................................................. “ 19

Omelia nella Celebrazione dei Vespri e del Te Deumdi ringraziamento per la fine dell’anno ............................................................................... “ 22

Messaggio per la Celebrazione della XLIII Giornata Mondiale della Pace1° Gennaio 2010 - Se vuoi coltivare la Pace, custodisci il creato ....................................... “ 26

VITA DIOCESANA

NOMINE E DECRETI - ORDINAZIONI E MINISTERI

Nomine e Decreti .................................................................................................................. “ 39

Ordinazioni e Ministeri ........................................................................................................ “ 44

VARIE

Regolamento dell’Archivio Storico Diocesano di Pescara-Penne ....................................... “ 47

Omelia di Monsignor Giuseppe Bertello, Nunzio Apostolico in Italiapresso la Santa Sede nella Solennità di San Cetteo, Vescovo e Martire............................... “ 58

Prolusione di Mons. Prof. Giuseppe Lorizio all’Inaugurazione dell’Anno Accademicodell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Giuseppe Toniolo” - Pescara ........................... “ 63

Marcia per la Pace 2010 - Se vuoi coltivare la pace custodisci il creato .................................. “ 89

Errata Corrige ........................................................................................................................................ “ 91

SOMMARIO

MMIX - 2

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Ultimo numero del bollettino della Chiesa Metropolita di Pescara-Penne.Dal prossimo semestre, infatti, il periodico diocesano, in collaborazionecon l’Ufficio per le comunicazioni sociali, si rinnoverà nella veste graficae nel contenuto. La volontà è quella di mantenere il tono istituzionale checaratterizza un documento ecclesiale, rendendolo, però più fruibile nel-l’organizzazione degli articoli e più interessante nella scelta dei pezzi in-seriti. Si cercherà di segnalare i discorsi papali meno conosciuti, così co-me si sintetizzeranno con maggiore attenzione le attività della vita dioce-sana proponendo discorsi integrali dei momenti più significativi. Si pro-porrà, inoltre, un’appendice, con pubblicazione di decreti, statuti e fax-si-mili di documenti ufficiali, che possa essere utile all’amministrazione par-rocchiale. Il bollettino, come già sperimentato con alcuni numeri, sarà an-che scaricabile dal sito diocesano, in modo da organizzare, passo dopopasso, un archivio virtuale facilmente consultabile.

Simone Chiappetta

Per eventuali comunicazioni, proposte e consigli è possibile inviare una mail a: [email protected]

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LA PAROLA DEL PAPA

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MESSAGGIO AL SIGNOR JACQUES DIOUF,DIRETTORE GENERALE DELLA F.A.O.,

IN OCCASIONE DELLA GIORNATA MONDIALEDELL’ALIMENTAZIONE 2009

Al Signor Jacques DioufDirettore Generaledella F.A.O.

Se la celebrazione della Giornata Mondiale dell'Alimentazione richiamala fondazione della Fao e la sua azione per combattere la fame e la malnutri-zione, essa sottolinea soprattutto l'urgenza e la necessità degli interventi afavore di tutti coloro che sono privi del pane quotidiano in tanti Paesi, permancanza di condizioni di sicurezza alimentare adeguate.

La crisi attuale, che colpisce senza distinzione l'insieme dei settori dell'e-conomia, investe particolarmente e con durezza il mondo agricolo, dove lasituazione diventa drammatica. Questa crisi chiede ai Governi e alle diversecomponenti della Comunità internazionale di operare scelte determinanti edefficaci.

Garantire alle persone e ai popoli la possibilità di sconfiggere il flagellodella fame significa assicurare loro un accesso concreto a un'adeguata e sa-na alimentazione. Si tratta, in effetti, di una concreta manifestazione del di-ritto alla vita, che, pur solennemente proclamato, resta troppo spesso lonta-no da una piena attuazione.

Il tema scelto quest'anno dalla Fao per la Giornata Mondiale dell'Ali-mentazione è "Raggiungere la sicurezza alimentare in tempi di crisi". Essoinvita a considerare il lavoro agricolo come elemento fondamentale della si-curezza alimentare e, quindi, come una componente a pieno titolo dell'atti-vità economica. Per tale motivo, l'agricoltura deve poter disporre di investi-menti e di risorse sufficienti. Questo tema interpella e fa comprendere che ibeni della creazione sono limitati per loro natura: essi richiedono, dunque,atteggiamenti responsabili e capaci di favorire la sicurezza che si ricerca,

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pensando anche a quella delle generazioni future. Una profonda solidarietàe una lungimirante fraternità sono dunque necessarie.

Il conseguimento di questi obiettivi richiede una necessaria modificazio-ne degli stili di vita e dei modi di pensare. Obbliga la Comunità internazio-nale e le sue Istituzioni a intervenire in maniera più adeguata e forte. Auspi-co che tale intervento possa favorire una cooperazione che protegga i meto-di di coltivazione propri di ogni regione ed eviti un uso sconsiderato dellerisorse naturali. Auspico, inoltre, che tale cooperazione salvaguardi i valoripropri del mondo rurale e i fondamentali diritti di quanti lavorano la terra.Mettendo da parte privilegi, profitti e comodità, questi obiettivi potranno al-lora essere realizzati a vantaggio di uomini, donne, bambini, famiglie e co-munità, che vivono nelle regioni più povere del pianeta e sono, dunque, piùvulnerabili. L'esperienza dimostra che le soluzioni tecniche, anche avanzate,mancano di efficacia se non si riferiscono innanzitutto alla persona, che vie-ne per prima e che, nella sua dimensione spirituale e materiale, è all'originee al termine di ogni attività.

L'accesso al cibo, più che un bisogno elementare, è un diritto fondamen-tale delle persone e dei popoli. Potrà diventare una realtà e una sicurezza, sesarà garantito un adeguato sviluppo in tutte le diverse regioni. In particola-re, il dramma della fame potrà essere superato solo "eliminando le causestrutturali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo dei Paesipiù poveri mediante investimenti in infrastrutture rurali, in sistemi di irriga-zione, in trasporti, in organizzazione dei mercati, in formazione e diffusionedi tecniche agricole appropriate, capaci cioè di utilizzare al meglio le risorseumane, naturali e socio-economiche maggiormente accessibili a livello lo-cale" (Caritas in veritate, n. 27).

La Chiesa cattolica, fedele alla sua vocazione a essere vicina ai più indi-fesi, promuove, sostiene e partecipa agli sforzi realizzati per permettere aogni popolo e comunità di disporre dei mezzi necessari a garantire un ade-guato livello di sicurezza alimentare.

Con questi voti, Le rinnovo, Signor Direttore Generale, le espressionidella mia alta considerazione, ed invoco sulla Fao, i suoi Stati membri e ilpersonale tutto abbondanti benedizioni divine.

Dal Vaticano, 16 ottobre 2009

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MESSAGGIO PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO (2010)

"I migranti e i rifugiati minorenni"

Cari fratelli e sorelle,

la celebrazione della Giornata del Migrante e del Rifugiato mi offre nuo-vamente l'occasione di manifestare la costante sollecitudine che la Chiesanutre verso coloro che vivono, in vari modi, l'esperienza dell'emigrazione.Si tratta di un fenomeno che, come ho scritto nell'Enciclica Caritas in veri-tate, impressiona per il numero di persone coinvolte, per le problematichesociali, economiche, politiche, culturali e religiose che solleva, per le sfidedrammatiche che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale. Ilmigrante è una persona umana con diritti fondamentali inalienabili da ri-spettare sempre e da tutti (cfr n. 62). Il tema di quest'anno - "I migranti e irifugiati minorenni" tocca un aspetto che i cristiani valutano con grande at-tenzione, memori del monito di Cristo, il quale nel giudizio finale conside-rerà riferito a Lui stesso tutto ciò che è stato fatto o negato "a uno solo diquesti più piccoli" (cfr Mt 25, 40.45). E come non considerare tra "i più pic-coli" anche i minori migranti e rifugiati? Gesù stesso da bambino ha vissutol'esperienza del migrante perché, come narra il Vangelo, per sfuggire alleminacce di Erode dovette rifugiarsi in Egitto insieme a Giuseppe e Maria(cfr Mt 2,14).

Se la Convenzione dei Diritti del Bambino afferma con chiarezza che vasempre salvaguardato l'interesse del minore (cfr art. 3), al quale vanno rico-nosciuti i diritti fondamentali della persona al pari dell'adulto, purtropponella realtà questo non sempre avviene. Infatti, mentre cresce nell'opinionepubblica la consapevolezza della necessità di un'azione puntuale e incisiva aprotezione dei minori, di fatto tanti sono lasciati in abbandono e, in vari mo-di, si ritrovano a rischio di sfruttamento. Della drammatica condizione incui essi versano, si è fatto interprete il mio venerato Predecessore GiovanniPaolo II nel messaggio inviato il 22 settembre del 1990 al Segretario Gene-rale delle Nazioni Unite, in occasione del Vertice Mondiale per i Bambini."Sono testimone - egli scrisse - della straziante condizione di milioni di

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bambini di ogni continente. Essi sono più vulnerabili perché meno capaci difar sentire la loro voce" (Insegnamenti XIII, 2, 1990, p. 672). Auspico dicuore che si riservi la giusta attenzione ai migranti minorenni, bisognosi diun ambiente sociale che consenta e favorisca il loro sviluppo fisico, cultura-le, spirituale e morale. Vivere in un paese straniero senza effettivi punti diriferimento crea ad essi, specialmente a quelli privi dell'appoggio della fa-miglia, innumerevoli e talora gravi disagi e difficoltà.

Un aspetto tipico della migrazione minorile è costituito dalla situazionedei ragazzi nati nei paesi ospitanti oppure da quella dei figli che non vivonocon i genitori emigrati dopo la loro nascita, ma li raggiungono successiva-mente. Questi adolescenti fanno parte di due culture con i vantaggi e le pro-blematiche connesse alla loro duplice appartenenza, condizione questa chetuttavia può offrire l'opportunità di sperimentare la ricchezza dell'incontrotra differenti tradizioni culturali. È importante che ad essi sia data la possi-bilità della frequenza scolastica e del successivo inserimento nel mondo dellavoro e che ne vada facilitata l'integrazione sociale grazie a opportunestrutture formative e sociali. Non si dimentichi mai che l'adolescenza rap-presenta una tappa fondamentale per la formazione dell'essere umano.

Una particolare categoria di minori è quella dei rifugiati che chiedonoasilo, fuggendo per varie ragioni dal proprio paese, dove non ricevono ade-guata protezione. Le statistiche rivelano che il loro numero è in aumento. Sitratta dunque di un fenomeno da valutare con attenzione e da affrontare conazioni coordinate, con misure di prevenzione, di protezione e di accoglienzaadatte, secondo quanto prevede anche la stessa Convenzione dei Diritti delBambino (cfr art. 22).

Mi rivolgo ora particolarmente alle parrocchie e alle molte associazionicattoliche che, animate da spirito di fede e di carità, compiono grandi sforziper venire incontro alle necessità di questi nostri fratelli e sorelle. Mentreesprimo gratitudine per quanto si sta facendo con grande generosità, vorreiinvitare tutti i cristiani a prendere consapevolezza della sfida sociale e pa-storale che pone la condizione dei minori migranti e rifugiati. Risuonanonel nostro cuore le parole di Gesù: "Ero forestiero e mi avete ospitato" (Mt25,35), come pure il comandamento centrale che Egli ci ha lasciato: amareDio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente, ma unito all'a-

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more al prossimo (cfr Mt 22,37-39). Questo ci porta a considerare che ogninostro concreto intervento deve nutrirsi prima di tutto di fede nell'azionedella grazia e della Provvidenza divina. In tal modo anche l'accoglienza e lasolidarietà verso lo straniero, specialmente se si tratta di bambini, divieneannuncio del Vangelo della solidarietà. La Chiesa lo proclama quando aprele sue braccia e opera perché siano rispettati i diritti dei migranti e dei rifu-giati, stimolando i responsabili delle Nazioni, degli Organismi e delle istitu-zioni internazionali perché promuovano opportune iniziative a loro soste-gno. Vegli su tutti materna la Beata Vergine Maria e ci aiuti a comprenderele difficoltà di quanti sono lontani dalla propria patria. A quanti sono coin-volti nel vasto mondo dei migranti e rifugiati assicuro la mia preghiera eimparto di cuore la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 16 ottobre 2009

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OMELIA DELLA SANTA MESSA DI MEZZANOTTE SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

Basilica VaticanaGiovedì, 24 dicembre 2009

Cari fratelli e sorelle,

“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9, 5). Ciò cheIsaia, guardando da lontano verso il futuro, dice a Israele come consolazio-ne nelle sue angustie ed oscurità, l’Angelo, dal quale emana una nube di lu-ce, lo annuncia ai pastori come presente: “Oggi, nella città di Davide, è natoper voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2, 11). Il Signore è presente.Da questo momento, Dio è veramente un “Dio con noi”. Non è più il Diodistante, che, attraverso la creazione e mediante la coscienza, si può in qual-che modo intuire da lontano. Egli è entrato nel mondo. È il Vicino. Il Cristorisorto lo ha detto ai suoi, a noi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino al-la fine del mondo” (Mt 28, 20). Per voi è nato il Salvatore: ciò che l’Angeloannunciò ai pastori, Dio ora lo richiama a noi per mezzo del Vangelo e deisuoi messaggeri. È questa una notizia che non può lasciarci indifferenti. Seè vera, tutto è cambiato. Se è vera, essa riguarda anche me. Allora, come ipastori, devo dire anch’io: Orsù, voglio andare a Betlemme e vedere la Pa-rola che lì è accaduta. Il Vangelo non ci racconta senza scopo la storia deipastori. Essi ci mostrano come rispondere in modo giusto a quel messaggioche è rivolto anche a noi. Che cosa ci dicono allora questi primi testimonidell’incarnazione di Dio?

Dei pastori è detto anzitutto che essi erano persone vigilanti e che il mes-saggio poteva raggiungerli proprio perché erano svegli. Noi dobbiamo sve-gliarci, perché il messaggio arrivi fino a noi. Dobbiamo diventare personeveramente vigilanti. Che significa questo? La differenza tra uno che sogna euno che sta sveglio consiste innanzitutto nel fatto che colui che sogna si tro-va in un mondo particolare. Con il suo io egli è rinchiuso in questo mondodel sogno che, appunto, è soltanto suo e non lo collega con gli altri. Sve-gliarsi significa uscire da tale mondo particolare dell’io ed entrare nellarealtà comune, nella verità che, sola, ci unisce tutti. Il conflitto nel mondo,

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l’inconciliabilità reciproca, derivano dal fatto che siamo rinchiusi nei nostripropri interessi e nelle opinioni personali, nel nostro proprio minuscolomondo privato. L’egoismo, quello del gruppo come quello del singolo, citiene prigionieri dei nostri interessi e desideri, che contrastano con la veritàe ci dividono gli uni dagli altri. Svegliatevi, ci dice il Vangelo. Venite fuoriper entrare nella grande verità comune, nella comunione dell’unico Dio.Svegliarsi significa così sviluppare la sensibilità per Dio; per i segnali silen-ziosi con cui Egli vuole guidarci; per i molteplici indizi della sua presenza.Ci sono persone che dicono di essere “religiosamente prive di orecchio mu-sicale”. La capacità percettiva per Dio sembra quasi una dote che ad alcuniè rifiutata. E in effetti – la nostra maniera di pensare ed agire, la mentalitàdel mondo odierno, la gamma delle nostre varie esperienze sono adatte a ri-durre la sensibilità per Dio, a renderci “privi di orecchio musicale” per Lui.E tuttavia in ogni anima è presente, in modo nascosto o aperto, l’attesa diDio, la capacità di incontrarlo. Per ottenere questa vigilanza, questo sve-gliarsi all’essenziale, vogliamo pregare, per noi stessi e per gli altri, perquelli che sembrano essere “privi di questo orecchio musicale” e nei quali,tuttavia, è vivo il desiderio che Dio si manifesti. Il grande teologo Origeneha detto: se io avessi la grazia di vedere come ha visto Paolo, potrei adesso(durante la Liturgia) contemplare una grande schiera di Angeli (cfr in Lc 23,9). Infatti – nella Sacra Liturgia, gli Angeli di Dio e i Santi ci circondano. IlSignore stesso è presente in mezzo a noi. Signore, apri gli occhi dei nostricuori, affinché diventiamo vigilanti e veggenti e così possiamo portare latua vicinanza anche ad altri!

Torniamo al Vangelo di Natale. Esso ci racconta che i pastori, dopo averascoltato il messaggio dell’Angelo, si dissero l’un l’altro: “'Andiamo fino aBetlemme' … Andarono, senza indugio” (Lc 2, 15s.). “Si affrettarono” diceletteralmente il testo greco. Ciò che era stato loro annunciato era così im-portante che dovevano andare immediatamente. In effetti, ciò che lì era sta-to detto loro andava totalmente al di là del consueto. Cambiava il mondo. Ènato il Salvatore. L’atteso Figlio di Davide è venuto al mondo nella suacittà. Che cosa poteva esserci di più importante? Certo, li spingeva anche lacuriosità, ma soprattutto l’agitazione per la grande cosa che era stata comu-nicata proprio a loro, i piccoli e uomini apparentemente irrilevanti. Si affret-tarono – senza indugio. Nella nostra vita ordinaria le cose non stanno così.La maggioranza degli uomini non considera prioritarie le cose di Dio, esse

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non ci incalzano in modo immediato. E così noi, nella stragrande maggio-ranza, siamo ben disposti a rimandarle. Prima di tutto si fa ciò che qui edora appare urgente. Nell’elenco delle priorità Dio si trova spesso quasi al-l’ultimo posto. Questo – si pensa – si potrà fare sempre. Il Vangelo ci dice:Dio ha la massima priorità. Se qualcosa nella nostra vita merita fretta senzaindugio, ciò è, allora, soltanto la causa di Dio. Una massima della Regola disan Benedetto dice: “Non anteporre nulla all’opera di Dio (cioè all’ufficiodivino)”. La Liturgia è per i monaci la prima priorità. Tutto il resto vienedopo. Nel suo nucleo, però, questa frase vale per ogni uomo. Dio è impor-tante, la realtà più importante in assoluto nella nostra vita. Proprio questapriorità ci insegnano i pastori. Da loro vogliamo imparare a non lasciarcischiacciare da tutte le cose urgenti della vita quotidiana. Da loro vogliamoapprendere la libertà interiore di mettere in secondo piano altre occupazioni– per quanto importanti esse siano – per avviarci verso Dio, per lasciarlo en-trare nella nostra vita e nel nostro tempo. Il tempo impegnato per Dio e, apartire da Lui, per il prossimo non è mai tempo perso. È il tempo in cui vi-viamo veramente, in cui viviamo lo stesso essere persone umane.

Alcuni commentatori fanno notare che per primi i pastori, le anime sem-plici, sono venuti da Gesù nella mangiatoia e hanno potuto incontrare il Re-dentore del mondo. I sapienti venuti dall’Oriente, i rappresentanti di coloroche hanno rango e nome, vennero molto più tardi. I commentatori aggiun-gono: questo è del tutto ovvio. I pastori, infatti, abitavano accanto. Essi nondovevano che “attraversare” (cfr Lc 2, 15) come si attraversa un breve spa-zio per andare dai vicini. I sapienti, invece, abitavano lontano. Essi doveva-no percorrere una via lunga e difficile, per arrivare a Betlemme. E avevanobisogno di guida e di indicazione. Ebbene, anche oggi esistono anime sem-plici ed umili che abitano molto vicino al Signore. Essi sono, per così dire, isuoi vicini e possono facilmente andare da Lui. Ma la maggior parte di noiuomini moderni vive lontana da Gesù Cristo, da Colui che si è fatto uomo,dal Dio venuto in mezzo a noi. Viviamo in filosofie, in affari e occupazioniche ci riempiono totalmente e dai quali il cammino verso la mangiatoia èmolto lungo. In molteplici modi Dio deve ripetutamente spingerci e darciuna mano, affinché possiamo trovare l’uscita dal groviglio dei nostri pensie-ri e dei nostri impegni e trovare la via verso di Lui. Ma per tutti c’è una via.Per tutti il Signore dispone segnali adatti a ciascuno. Egli chiama tutti noi,perché anche noi si possa dire: Orsù, “attraversiamo”, andiamo a Betlemme

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– verso quel Dio, che ci è venuto incontro. Sì, Dio si è incamminato versodi noi. Da soli non potremmo giungere fino a Lui. La via supera le nostreforze. Ma Dio è disceso. Egli ci viene incontro. Egli ha percorso la parte piùlunga del cammino. Ora ci chiede: Venite e vedete quanto vi amo. Venite evedete che io sono qui. Transeamus usque Bethleem, dice la Bibbia latina.Andiamo di là! Oltrepassiamo noi stessi! Facciamoci viandanti verso Dio inmolteplici modi: nell’essere interiormente in cammino verso di Lui. E tutta-via anche in cammini molto concreti – nella Liturgia della Chiesa, nel servi-zio al prossimo, in cui Cristo mi attende.

Ascoltiamo ancora una volta direttamente il Vangelo. I pastori si diconol’un l’altro il motivo per cui si mettono in cammino: “Vediamo questo avve-nimento”. Letteralmente il testo greco dice: “Vediamo questa Parola, che lìè accaduta”. Sì, tale è la novità di questa notte: la Parola può essere guarda-ta. Poiché si è fatta carne. Quel Dio di cui non si deve fare alcuna immagi-ne, perché ogni immagine potrebbe solo ridurlo, anzi travisarlo, quel Dio siè reso, Egli stesso, visibile in Colui che è la sua vera immagine, come dicePaolo (cfr 2 Cor 4, 4; Col 1, 15). Nella figura di Gesù Cristo, in tutto il suovivere ed operare, nel suo morire e risorgere, possiamo guardare la Parola diDio e quindi il mistero dello stesso Dio vivente. Dio è così. L’Angelo avevadetto ai pastori: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto infasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2, 12; cfr 16). Il segno di Dio, il se-gno che viene dato ai pastori e a noi, non è un miracolo emozionante. Il se-gno di Dio è la sua umiltà. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo; diventabambino; si lascia toccare e chiede il nostro amore. Quanto desidereremmonoi uomini un segno diverso, imponente, inconfutabile del potere di Dio edella sua grandezza. Ma il suo segno ci invita alla fede e all’amore, e per-tanto ci dà speranza: così è Dio. Egli possiede il potere ed è la Bontà. Ci in-vita a diventare simili a Lui. Sì, diventiamo simili a Dio, se ci lasciamo pla-smare da questo segno; se impariamo, noi stessi, l’umiltà e così la veragrandezza; se rinunciamo alla violenza ed usiamo solo le armi della verità edell’amore. Origene, seguendo una parola di Giovanni Battista, ha vistoespressa l’essenza del paganesimo nel simbolo delle pietre: paganesimo èmancanza di sensibilità, significa un cuore di pietra, che è incapace di ama-re e di percepire l’amore di Dio. Origene dice dei pagani: “Privi di senti-mento e di ragione, si trasformano in pietre e in legno” (in Lc 22, 9). Cristo,però, vuole darci un cuore di carne. Quando vediamo Lui, il Dio che è di-

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ventato un bambino, ci si apre il cuore. Nella Liturgia della Notte Santa Dioviene a noi come uomo, affinché noi diventiamo veramente umani. Ascol-tiamo ancora Origene: “In effetti, a che gioverebbe a te che Cristo una voltasia venuto nella carne, se Egli non giunge fin nella tua anima? Preghiamoche venga quotidianamente a noi e che possiamo dire: vivo, però non vivopiù io, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20)” (in Lc 22, 3).

Sì, per questo vogliamo pregare in questa Notte Santa. Signore Gesù Cri-sto, tu che sei nato a Betlemme, vieni a noi! Entra in me, nella mia anima.Trasformami. Rinnovami. Fa’ che io e tutti noi da pietra e legno diventiamopersone viventi, nelle quali il tuo amore si rende presente e il mondo vienetrasformato. Amen.

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MESSAGGIO URBI ET ORBINATALE 2009

Cari fratelli e sorelle di Roma e del mondo intero,e voi tutti, uomini e donne amati dal Signore!

“Lux fulgebit hodie super nos,quia natus est nobis Dominus.- Oggi su di noi splenderà la luce,Perché è nato per noi il Signore” (Messale Romano, Natale del Signore, Messa dell’Aurora, Antifona

d’ingresso).

La liturgia della Messa dell’Aurora ci ha ricordato che ormai la notte èpassata, il giorno è avanzato; la luce che promana dalla grotta di Betlemmerisplende su di noi.

Tuttavia, la Bibbia e la Liturgia non ci parlano della luce naturale, ma diuna luce diversa, speciale, in qualche modo mirata e orientata verso un“noi”, lo stesso “noi” per cui il Bambino di Betlemme “è nato”. Questo“noi” è la Chiesa, la grande famiglia universale dei credenti in Cristo, chehanno atteso con speranza la nuova nascita del Salvatore ed oggi celebranonel mistero la perenne attualità di questo evento.

All’inizio, attorno alla mangiatoia di Betlemme, quel “noi” era quasi in-visibile agli occhi degli uomini. Come ci riferisce il Vangelo di san Luca,comprendeva, oltre a Maria e a Giuseppe, pochi umili pastori, che giunseroalla grotta avvertiti dagli Angeli. La luce del primo Natale fu come un fuo-co acceso nella notte. Tutt’intorno era buio, mentre nella grotta risplendevala luce vera “che illumina ogni uomo” (Gv 1,9). Eppure tutto avviene nellasemplicità e nel nascondimento, secondo lo stile con il quale Dio opera nel-l’intera storia della salvezza. Dio ama accendere luci circoscritte, per ri-schiarare poi a largo raggio. La Verità, come l’Amore, che ne sono il conte-nuto, si accendono là dove la luce viene accolta, diffondendosi poi a cerchiconcentrici, quasi per contatto, nei cuori e nelle menti di quanti, aprendosiliberamente al suo splendore, diventano a loro volta sorgenti di luce. È la

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storia della Chiesa che inizia il suo cammino nella povera grotta di Betlem-me, e attraverso i secoli diventa Popolo e fonte di luce per l’umanità. Ancheoggi, mediante coloro che vanno incontro al Bambino, Dio accende ancorafuochi nella notte del mondo per chiamare gli uomini a riconoscere in Gesùil “segno” della sua presenza salvatrice e liberatrice e allargare il “noi” deicredenti in Cristo all’intera umanità.

Dovunque c’è un “noi” che accoglie l’amore di Dio, là risplende la lucedi Cristo, anche nelle situazioni più difficili. La Chiesa, come la VergineMaria, offre al mondo Gesù, il Figlio, che Lei stessa ha ricevuto in dono, eche è venuto a liberare l’uomo dalla schiavitù del peccato. Come Maria, laChiesa non ha paura, perché quel Bambino è la sua forza. Ma lei non lo tie-ne per sé: lo offre a quanti lo cercano con cuore sincero, agli umili della ter-ra e agli afflitti, alle vittime della violenza, a quanti bramano il bene dellapace. Anche oggi, per la famiglia umana profondamente segnata da unagrave crisi economica, ma prima ancora morale, e dalle dolorose ferite diguerre e conflitti, con lo stile della condivisione e della fedeltà all’uomo, laChiesa ripete con i pastori: “Andiamo fino a Betlemme” (Lc 2,15), lì trove-remo la nostra speranza.

Il “noi” della Chiesa vive là dove Gesù è nato, in Terra Santa, per invita-re i suoi abitanti ad abbandonare ogni logica di violenza e di vendetta e adimpegnarsi con rinnovato vigore e generosità nel cammino verso una convi-venza pacifica. Il “noi” della Chiesa è presente negli altri Paesi del MedioOriente. Come non pensare alla tribolata situazione in Iraq e a quel piccologregge di cristiani che vive nella Regione? Esso talvolta soffre violenze eingiustizie ma è sempre proteso a dare il proprio contributo all’edificazionedella convivenza civile contraria alla logica dello scontro e del rifiuto delvicino. Il “noi” della Chiesa opera in Sri Lanka, nella Penisola coreana enelle Filippine, come pure in altre terre asiatiche, quale lievito di riconcilia-zione e di pace. Nel Continente africano non cessa di alzare la voce versoDio per implorare la fine di ogni sopruso nella Repubblica Democratica delCongo; invita i cittadini della Guinea e del Niger al rispetto dei diritti diogni persona ed al dialogo; a quelli del Madagascar chiede di superare le di-visioni interne e di accogliersi reciprocamente; a tutti ricorda che sono chia-mati alla speranza, nonostante i drammi, le prove e le difficoltà che conti-nuano ad affliggerli. In Europa e in America settentrionale, il “noi” della

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Chiesa sprona a superare la mentalità egoista e tecnicista, a promuovere ilbene comune ed a rispettare le persone più deboli, a cominciare da quellenon ancora nate. In Honduras aiuta a riprendere il cammino istituzionale; intutta l’America Latina il “noi” della Chiesa è fattore identitario, pienezza diverità e di carità che nessuna ideologia può sostituire, appello al rispetto deidiritti inalienabili di ogni persona ed al suo sviluppo integrale, annuncio digiustizia e di fraternità, fonte di unità.

Fedele al mandato del suo Fondatore, la Chiesa è solidale con coloro chesono colpiti dalle calamità naturali e dalla povertà, anche nelle società opu-lente. Davanti all’esodo di quanti migrano dalla loro terra e sono spinti lon-tano dalla fame, dall’intolleranza o dal degrado ambientale, la Chiesa è unapresenza che chiama all’accoglienza. In una parola, la Chiesa annunciaovunque il Vangelo di Cristo nonostante le persecuzioni, le discriminazioni,gli attacchi e l’indifferenza, talvolta ostile, che – anzi – le consentono dicondividere la sorte del suo Maestro e Signore.

Cari fratelli e sorelle, quale grande dono far parte di una comunione cheè per tutti ! È la comunione della Santissima Trinità, dal cui cuore è discesonel mondo l’Emmanuele, Gesù, Dio-con-noi. Come i pastori di Betlemme,contempliamo pieni di meraviglia e di gratitudine questo mistero d’amore edi luce! Buon Natale a tutti!

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OMELIA NELLA CELEBRAZIONE DEI VESPRI E DEL TE DEUM DI RINGRAZIAMENTO

PER LA FINE DELL’ANNO

Basilica VaticanaGiovedì, 31 dicembre 2009

Cari fratelli e sorelle!

Al termine di un anno ricco di eventi per la Chiesa e per il mondo, ci ri-troviamo questa sera nella Basilica Vaticana per celebrare i Primi Vespridella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e per elevare un inno diringraziamento al Signore del tempo e della storia.

Sono, anzitutto, le parole dell’apostolo Paolo, che abbiamo poc’anziascoltato, a gettare una luce particolare sulla conclusione dell’anno: «Quan-do venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato dadonna…perché ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5).

Il denso brano paolino ci parla della “pienezza del tempo” e ci illuminasul contenuto di tale espressione. Nella storia della famiglia umana, Dio havoluto introdurre il suo Verbo eterno, facendogli assumere un’umanità co-me la nostra. Con l’incarnazione del Figlio di Dio, l’eternità è entrata neltempo, e la storia dell’uomo si è aperta al compimento nell’assoluto di Dio.Il tempo è stato - per così dire - “toccato” da Cristo, il Figlio di Dio e diMaria, e da lui ha ricevuto significati nuovi e sorprendenti: è diventato tem-po di salvezza e di grazia. Proprio in questa prospettiva dobbiamo conside-rare il tempo dell’anno che si chiude e di quello che inizia, per porre le piùdiverse vicende della nostra vita - importanti o piccole, semplici o indeci-frabili, gioiose o tristi - sotto il segno della salvezza ed accogliere la chia-mata che Dio ci rivolge per condurci verso una meta che è oltre il tempostesso: l’eternità.

Il testo paolino vuole anche sottolineare il mistero della vicinanza di Dioall’intera umanità. E’ la vicinanza propria del mistero del Natale: Dio si fauomo e all’uomo viene data l’inaudita possibilità di essere figlio di Dio.Tutto questo ci riempie di gioia grande e ci porta ad elevare la lode a Dio.

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Siamo chiamati a dire con la voce, il cuore e la vita il nostro “grazie” a Dioper il dono del Figlio, fonte e compimento di tutti gli altri doni con i qualil’amore divino colma l’esistenza di ciascuno di noi, delle famiglie, delle co-munità, della Chiesa e del mondo. Il canto del Te Deum, che oggi risuonanelle Chiese di ogni parte della terra, vuole essere un segno della gioiosagratitudine che rivolgiamo a Dio per quanto ci ha offerto in Cristo. Davvero«dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» (Gv 1,16).

Seguendo una felice consuetudine, questa sera vorrei insieme con voiringraziare il Signore, in particolare, per le grazie sovrabbondanti elargitealla nostra comunità diocesana di Roma nel corso dell’anno che volge altermine. Desidero rivolgere, innanzitutto, un particolare saluto al CardinaleVicario, ai Vescovi Ausiliari, ai sacerdoti, alle persone consacrate, come pu-re ai tanti fedeli laici qui convenuti. Saluto, altresì, con deferente cordialitàil Signor Sindaco e le Autorità presenti. Il mio pensiero si estende poi achiunque vive nella nostra Città, in particolare a quanti si trovano in situa-zioni di difficoltà e di disagio: a tutti e a ciascuno assicuro la mia vicinanzaspirituale, avvalorata dal costante ricordo nella preghiera.

Per quanto riguarda il cammino della Diocesi di Roma, rinnovo il mioapprezzamento per la scelta pastorale di dedicare tempo ad una verifica del-l’itinerario percorso, al fine di accrescere il senso di appartenenza alla Chie-sa e favorire la corresponsabilità pastorale. Per sottolineare l’importanza diquesta verifica, anch’io ho voluto offrire il mio contributo, intervenendo,nel pomeriggio del 26 maggio scorso, al Convegno diocesano in San Gio-vanni in Laterano. Mi rallegro perché il programma della diocesi sta proce-dendo positivamente con una capillare azione apostolica, che viene svoltanelle parrocchie, nelle prefetture e nelle varie aggregazioni ecclesiali su dueambiti essenziali per la vita e la missione della Chiesa, quali la celebrazionedell’Eucaristia domenicale e la testimonianza della carità. Desidero incorag-giare i fedeli a partecipare numerosi alle assemblee che si svolgeranno nellevarie parrocchie, così da poter offrire un valido contributo all’edificazionedella Chiesa. Ancora oggi il Signore vuole far conoscere il suo amore perl’umanità agli abitanti di Roma ed affida a ciascuno, nella diversità dei mi-nisteri e delle responsabilità, la missione di annunciare la sua parola di ve-rità e di testimoniare la carità e la solidarietà.

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Solo contemplando il mistero del Verbo incarnato, l’uomo può trovare larisposta ai grandi interrogativi dell’esistenza umana e scoprire così la veritàsulla propria identità. Per questo la Chiesa, in tutto il mondo e anche qui,nell’Urbe, è impegnata a promuovere lo sviluppo integrale della personaumana. Ho appreso, pertanto, con favore la programmazione di una serie di“incontri culturali in Cattedrale”, che avranno come tema la mia recente En-ciclica Caritas in veritate.

Da diversi anni tante famiglie, numerosi insegnanti e le comunità parroc-chiali si dedicano ad aiutare i giovani a costruire il loro futuro su solide fon-damenta, in particolare sulla roccia che è Gesù Cristo. Auspico che questorinnovato impegno educativo possa sempre più realizzare una feconda si-nergia fra la comunità ecclesiale e la città per aiutare i giovani a progettarela propria vita. Formulo voti, altresì, che un prezioso contributo in questoimportante ambito possa scaturire dal Convegno promosso dal Vicariato eche si terrà nel prossimo mese di marzo.

Per essere testimoni autorevoli della verità sull’uomo è necessario unascolto orante della Parola di Dio. A questo proposito, desidero soprattuttoraccomandare l’antica tradizione della lectio divina. Le parrocchie e le di-verse realtà ecclesiali, anche grazie al sussidio preparato dal Vicariato po-tranno utilmente promuovere questa antica pratica, in modo che essa diventiparte essenziale della pastorale ordinaria.

La Parola, creduta, annunciata e vissuta ci spinge a comportamenti di so-lidarietà e di condivisione. Nel lodare il Signore per l’aiuto che le comunitàcristiane hanno saputo offrire con generosità a quanti hanno bussato alle lo-ro porte, desidero incoraggiare tutti a proseguire nell’impegno di alleviarele difficoltà in cui versano ancora oggi tante famiglie provate dalla crisieconomica e dalla disoccupazione. Il Natale del Signore, che ci ricorda lagratuità con la quale Dio è venuto a salvarci, facendosi carico della nostraumanità e donandoci la sua vita divina, possa aiutare ogni uomo di buonavolontà a comprendere che solo aprendosi all’amore di Dio l’agire umanocambia, si trasforma, diventando lievito di un futuro migliore per tutti.

Cari fratelli e sorelle, Roma ha bisogno di sacerdoti che siano annuncia-tori coraggiosi del Vangelo e, allo stesso tempo, rivelino il volto misericor-dioso del Padre. Invito i giovani a non avere paura di rispondere con il dono

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completo della propria esistenza alla chiamata che il Signore rivolge loro aseguirlo nella via del sacerdozio o della vita consacrata.

Auspico, fin d’ora, che l’incontro del 25 marzo prossimo, 25° anniversa-rio dell’istituzione della Giornata Mondiale della Gioventù e 10° anniversa-rio di quella, indimenticabile, di Tor Vergata, costituisca per tutte le comu-nità parrocchiali e religiose, i movimenti e le associazioni un momento fortedi riflessione e di invocazione per ottenere dal Signore il dono di numerosevocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata.

Mentre ci congediamo dall’anno che si conclude e ci avviamo verso ilnuovo, la liturgia odierna ci introduce nella Solennità di Maria Santissima,Madre di Dio. La Vergine Santa è Madre della Chiesa e madre di ciascunodei suoi membri, cioè Madre di ciascuno di noi, in Cristo. Chiediamo a Leidi accompagnarci con la sua premurosa protezione oggi e sempre, perchéCristo ci accolga un giorno nella sua gloria, nell’assemblea dei Santi: Aeter-na fac cum sanctis tuis in gloria numerari. Amen!

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MESSAGGIO PER LA CELEBRAZIONE DELLA XLIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2010

SE VUOI COLTIVARE LA PACE, CUSTODISCI IL CREATO

1. In occasione dell’inizio del Nuovo Anno, desidero rivolgere i più fer-vidi auguri di pace a tutte le comunità cristiane, ai responsabili delle Nazio-ni, agli uomini e alle donne di buona volontà del mondo intero. Per questaXLIII Giornata Mondiale della Pace ho scelto il tema: Se vuoi coltivare lapace, custodisci il creato. Il rispetto del creato riveste grande rilevanza, an-che perché «la creazione è l’inizio e il fondamento di tutte le opere di Dio»[1] e la sua salvaguardia diventa oggi essenziale per la pacifica convivenzadell’umanità. Se, infatti, a causa della crudeltà dell’uomo sull’uomo, nume-rose sono le minacce che incombono sulla pace e sull’autentico sviluppoumano integrale – guerre, conflitti internazionali e regionali, atti terroristicie violazioni dei diritti umani –, non meno preoccupanti sono le minacce ori-ginate dalla noncuranza – se non addirittura dall’abuso – nei confronti dellaterra e dei beni naturali che Dio ha elargito. Per tale motivo è indispensabileche l’umanità rinnovi e rafforzi «quell’alleanza tra essere umano e ambien-te, che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio, dal quale provenia-mo e verso il quale siamo in cammino» [2].

2. Nell’Enciclica Caritas in veritate ho posto in evidenza che lo sviluppoumano integrale è strettamente collegato ai doveri derivanti dal rapportodell’uomo con l’ambiente naturale, considerato come un dono di Dio a tutti,il cui uso comporta una comune responsabilità verso l’umanità intera, inspecial modo verso i poveri e le generazioni future. Ho notato, inoltre, chequando la natura e, in primo luogo, l’essere umano vengono consideratisemplicemente frutto del caso o del determinismo evolutivo, rischia di atte-nuarsi nelle coscienze la consapevolezza della responsabilità [3]. Ritenere,invece, il creato come dono di Dio all’umanità ci aiuta a comprendere la vo-cazione e il valore dell’uomo. Con il Salmista, pieni di stupore, possiamoinfatti proclamare: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna ele stelle che hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il fi-

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glio dell’uomo, perché te ne curi?» (Sal 8,4-5). Contemplare la bellezza delcreato è stimolo a riconoscere l’amore del Creatore, quell’Amore che «mo-ve il sole e l’altre stelle» [4].

3. Vent’anni or sono, il Papa Giovanni Paolo II, dedicando il Messaggiodella Giornata Mondiale della Pace al tema Pace con Dio creatore, pacecon tutto il creato, richiamava l’attenzione sulla relazione che noi, in quantocreature di Dio, abbiamo con l’universo che ci circonda. «Si avverte ai no-stri giorni – scriveva – la crescente consapevolezza che la pace mondiale siaminacciata... anche dalla mancanza del dovuto rispetto per la natura». E ag-giungeva che la coscienza ecologica «non deve essere mortificata, ma anzifavorita, in modo che si sviluppi e maturi, trovando adeguata espressione inprogrammi ed iniziative concrete» [5]. Già altri miei Predecessori avevanofatto riferimento alla relazione esistente tra l’uomo e l’ambiente. Ad esem-pio, nel 1971, in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’Enciclica Re-rum Novarum di Leone XIII, Paolo VI ebbe a sottolineare che «attraversouno sfruttamento sconsiderato della natura, (l’uomo) rischia di distruggerlae di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione». Ed aggiunse che intal caso «non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanen-te: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è ilcontesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il do-mani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vastedimensioni che riguarda l’intera famiglia umana» [6].

4. Pur evitando di entrare nel merito di specifiche soluzioni tecniche, laChiesa, «esperta in umanità», si premura di richiamare con forza l’attenzio-ne sulla relazione tra il Creatore, l’essere umano e il creato. Nel 1990, Gio-vanni Paolo II parlava di «crisi ecologica» e, rilevando come questa avesseun carattere prevalentemente etico, indicava l’«urgente necessità morale diuna nuova solidarietà» [7]. Questo appello si fa ancora più pressante oggi,di fronte alle crescenti manifestazioni di una crisi che sarebbe irresponsabilenon prendere in seria considerazione. Come rimanere indifferenti di frontealle problematiche che derivano da fenomeni quali i cambiamenti climatici,la desertificazione, il degrado e la perdita di produttività di vaste aree agri-cole, l’inquinamento dei fiumi e delle falde acquifere, la perdita della biodi-versità, l’aumento di eventi naturali estremi, il disboscamento delle areeequatoriali e tropicali? Come trascurare il crescente fenomeno dei cosiddetti

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«profughi ambientali»: persone che, a causa del degrado dell’ambiente incui vivono, lo devono lasciare – spesso insieme ai loro beni – per affrontarei pericoli e le incognite di uno spostamento forzato? Come non reagire difronte ai conflitti già in atto e a quelli potenziali legati all’accesso alle risor-se naturali? Sono tutte questioni che hanno un profondo impatto sull’eserci-zio dei diritti umani, come ad esempio il diritto alla vita, all’alimentazione,alla salute, allo sviluppo.

5. Va, tuttavia, considerato che la crisi ecologica non può essere valutataseparatamente dalle questioni ad essa collegate, essendo fortemente connes-sa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell’uomo e delle sue relazio-ni con i suoi simili e con il creato. Saggio è, pertanto, operare una revisioneprofonda e lungimirante del modello di sviluppo, nonché riflettere sul sensodell’economia e dei suoi fini, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni.Lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta; lo richiede anche e soprat-tutto la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi sono da tempo evi-denti in ogni parte del mondo [8]. L’umanità ha bisogno di un profondo rin-novamento culturale; ha bisogno di riscoprire quei valori che costituisconoil solido fondamento su cui costruire un futuro migliore per tutti. Le situa-zioni di crisi, che attualmente sta attraversando – siano esse di carattere eco-nomico, alimentare, ambientale o sociale –, sono, in fondo, anche crisi mo-rali collegate tra di loro. Esse obbligano a riprogettare il comune camminodegli uomini. Obbligano, in particolare, a un modo di vivere improntato allasobrietà e alla solidarietà, con nuove regole e forme di impegno, puntandocon fiducia e coraggio sulle esperienze positive compiute e rigettando condecisione quelle negative. Solo così l’attuale crisi diventa occasione di di-scernimento e di nuova progettualità.

6. Non è forse vero che all’origine di quella che, in senso cosmico, chia-miamo «natura», vi è «un disegno di amore e di verità»? Il mondo «non è ilprodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso... Ilmondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha voluto far parteci-pare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà» [9]. Il Li-bro della Genesi, nelle sue pagine iniziali, ci riporta al progetto sapiente delcosmo, frutto del pensiero di Dio, al cui vertice si collocano l’uomo e ladonna, creati ad immagine e somiglianza del Creatore per «riempire la ter-ra» e «dominarla» come «amministratori» di Dio stesso (cfr Gen 1,28).

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L’armonia tra il Creatore, l’umanità e il creato, che la Sacra Scrittura descri-ve, è stata infranta dal peccato di Adamo ed Eva, dell’uomo e della donna,che hanno bramato occupare il posto di Dio, rifiutando di riconoscersi comesue creature. La conseguenza è che si è distorto anche il compito di «domi-nare» la terra, di «coltivarla e custodirla» e tra loro e il resto della creazioneè nato un conflitto (cfr Gen 3,17-19). L’essere umano si è lasciato dominaredall’egoismo, perdendo il senso del mandato di Dio, e nella relazione con ilcreato si è comportato come sfruttatore, volendo esercitare su di esso un do-minio assoluto. Ma il vero significato del comando iniziale di Dio, ben evi-denziato nel Libro della Genesi, non consisteva in un semplice conferimen-to di autorità, bensì piuttosto in una chiamata alla responsabilità. Del resto,la saggezza degli antichi riconosceva che la natura è a nostra disposizionenon come «un mucchio di rifiuti sparsi a caso» [10], mentre la Rivelazionebiblica ci ha fatto comprendere che la natura è dono del Creatore, il quale neha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l’uomo possa trarne gliorientamenti doverosi per «custodirla e coltivarla» (cfr Gen 2,15) [11]. Tut-to ciò che esiste appartiene a Dio, che lo ha affidato agli uomini, ma nonperché ne dispongano arbitrariamente. E quando l’uomo, invece di svolgereil suo ruolo di collaboratore di Dio, a Dio si sostituisce, finisce col provoca-re la ribellione della natura, «piuttosto tiranneggiata che governata da lui»[12]. L’uomo, quindi, ha il dovere di esercitare un governo responsabile del-la creazione, custodendola e coltivandola [13].

7. Purtroppo, si deve constatare che una moltitudine di persone, in diver-si Paesi e regioni del pianeta, sperimenta crescenti difficoltà a causa dellanegligenza o del rifiuto, da parte di tanti, di esercitare un governo responsa-bile sull’ambiente. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ricordato che «Dioha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomi-ni e di tutti i popoli» [14]. L’eredità del creato appartiene, pertanto, all’inte-ra umanità. Invece, l’attuale ritmo di sfruttamento mette seriamente in peri-colo la disponibilità di alcune risorse naturali non solo per la generazionepresente, ma soprattutto per quelle future [15]. Non è difficile allora costata-re che il degrado ambientale è spesso il risultato della mancanza di progettipolitici lungimiranti o del perseguimento di miopi interessi economici, chesi trasformano, purtroppo, in una seria minaccia per il creato. Per contrasta-re tale fenomeno, sulla base del fatto che «ogni decisione economica ha unaconseguenza di carattere morale» [16], è anche necessario che l’attività

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economica rispetti maggiormente l’ambiente. Quando ci si avvale delle ri-sorse naturali, occorre preoccuparsi della loro salvaguardia, prevedendoneanche i costi – in termini ambientali e sociali –, da valutare come una voceessenziale degli stessi costi dell’attività economica. Compete alla comunitàinternazionale e ai governi nazionali dare i giusti segnali per contrastare inmodo efficace quelle modalità d’utilizzo dell’ambiente che risultino ad essodannose. Per proteggere l’ambiente, per tutelare le risorse e il clima occorre,da una parte, agire nel rispetto di norme ben definite anche dal punto di vi-sta giuridico ed economico, e, dall’altra, tenere conto della solidarietà dovu-ta a quanti abitano le regioni più povere della terra e alle future generazioni.

8. Sembra infatti urgente la conquista di una leale solidarietà inter-gene-razionale. I costi derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni nonpossono essere a carico delle generazioni future: «Eredi delle generazionipassate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degliobblighi verso tutti e non possiamo disinteressarci di coloro che verrannodopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietàuniversale, ch’è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere. Si trattadi una responsabilità che le generazioni presenti hanno nei confronti diquelle future, una responsabilità che appartiene anche ai singoli Stati e allaComunità internazionale» [17]. L’uso delle risorse naturali dovrebbe esseretale che i vantaggi immediati non comportino conseguenze negative per gliesseri viventi, umani e non umani, presenti e a venire; che la tutela dellaproprietà privata non ostacoli la destinazione universale dei beni [18]; chel’intervento dell’uomo non comprometta la fecondità della terra, per il benedi oggi e per il bene di domani. Oltre ad una leale solidarietà inter-genera-zionale, va ribadita l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietàintra-generazionale, specialmente nei rapporti tra i Paesi in via di sviluppo equelli altamente industrializzati: «la comunità internazionale ha il compitoimprescindibile di trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfrutta-mento delle risorse non rinnovabili, con la partecipazione anche dei Paesipoveri, in modo da pianificare insieme il futuro» [19]. La crisi ecologicamostra l’urgenza di una solidarietà che si proietti nello spazio e nel tempo.È infatti importante riconoscere, fra le cause dell’attuale crisi ecologica, laresponsabilità storica dei Paesi industrializzati. I Paesi meno sviluppati e, inparticolare, quelli emergenti, non sono tuttavia esonerati dalla propria re-sponsabilità rispetto al creato, perché il dovere di adottare gradualmente mi-

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sure e politiche ambientali efficaci appartiene a tutti. Ciò potrebbe realizzar-si più facilmente se vi fossero calcoli meno interessati nell’assistenza, neltrasferimento delle conoscenze e delle tecnologie più pulite.

9. È indubbio che uno dei principali nodi da affrontare, da parte della co-munità internazionale, è quello delle risorse energetiche, individuando stra-tegie condivise e sostenibili per soddisfare i bisogni di energia della presen-te generazione e di quelle future. A tale scopo, è necessario che le societàtecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti impron-tati alla sobrietà, diminuendo il proprio fabbisogno di energia e migliorandole condizioni del suo utilizzo. Al tempo stesso, occorre promuovere la ricer-ca e l’applicazione di energie di minore impatto ambientale e la «ridistribu-zione planetaria delle risorse energetiche, in modo che anche i Paesi che nesono privi possano accedervi» [20]. La crisi ecologica, dunque, offre unastorica opportunità per elaborare una risposta collettiva volta a convertire ilmodello di sviluppo globale in una direzione più rispettosa nei confronti delcreato e di uno sviluppo umano integrale, ispirato ai valori propri della ca-rità nella verità. Auspico, pertanto, l’adozione di un modello di sviluppofondato sulla centralità dell’essere umano, sulla promozione e condivisionedel bene comune, sulla responsabilità, sulla consapevolezza del necessariocambiamento degli stili di vita e sulla prudenza, virtù che indica gli atti dacompiere oggi, in previsione di ciò che può accadere domani [21].

10. Per guidare l’umanità verso una gestione complessivamente sosteni-bile dell’ambiente e delle risorse del pianeta, l’uomo è chiamato a impiega-re la sua intelligenza nel campo della ricerca scientifica e tecnologica e nel-l’applicazione delle scoperte che da questa derivano. La «nuova solida-rietà», che Giovanni Paolo II propose nel Messaggio per la Giornata Mon-diale della Pace del 1990 [22], e la «solidarietà globale», che io stesso horichiamato nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2009[23], risultano essere atteggiamenti essenziali per orientare l’impegno di tu-tela del creato, attraverso un sistema di gestione delle risorse della terra me-glio coordinato a livello internazionale, soprattutto nel momento in cui vaemergendo, in maniera sempre più evidente, la forte interrelazione che esi-ste tra la lotta al degrado ambientale e la promozione dello sviluppo umanointegrale. Si tratta di una dinamica imprescindibile, in quanto «lo sviluppointegrale dell’uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell’uma-

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nità» [24]. Tante sono oggi le opportunità scientifiche e i potenziali percorsiinnovativi, grazie ai quali è possibile fornire soluzioni soddisfacenti ed ar-moniose alla relazione tra l’uomo e l’ambiente. Ad esempio, occorre inco-raggiare le ricerche volte ad individuare le modalità più efficaci per sfrutta-re la grande potenzialità dell’energia solare. Altrettanta attenzione va poi ri-volta alla questione ormai planetaria dell’acqua ed al sistema idrogeologicoglobale, il cui ciclo riveste una primaria importanza per la vita sulla terra ela cui stabilità rischia di essere fortemente minacciata dai cambiamenti cli-matici. Vanno altresì esplorate appropriate strategie di sviluppo rurale in-centrate sui piccoli coltivatori e sulle loro famiglie, come pure occorre ap-prontare idonee politiche per la gestione delle foreste, per lo smaltimentodei rifiuti, per la valorizzazione delle sinergie esistenti tra il contrasto aicambiamenti climatici e la lotta alla povertà. Occorrono politiche nazionaliambiziose, completate da un necessario impegno internazionale che appor-terà importanti benefici soprattutto nel medio e lungo termine. È necessario,insomma, uscire dalla logica del mero consumo per promuovere forme diproduzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione esoddisfacenti per i bisogni primari di tutti. La questione ecologica non vaaffrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientaleprofila all’orizzonte; a motivarla deve essere soprattutto la ricerca di un’au-tentica solidarietà a dimensione mondiale, ispirata dai valori della carità,della giustizia e del bene comune. D’altronde, come ho già avuto modo diricordare, «la tecnica non è mai solo tecnica. Essa manifesta l’uomo e le sueaspirazioni allo sviluppo; esprime la tensione dell’animo umano al gradualesuperamento di certi condizionamenti materiali. La tecnica, pertanto, si in-serisce nel mandato di «coltivare e custodire la terra» (cfr Gen 2,15), cheDio ha affidato all’uomo, e va orientata a rafforzare quell’alleanza tra essereumano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio»[25].

11. Appare sempre più chiaramente che il tema del degrado ambientalechiama in causa i comportamenti di ognuno di noi, gli stili di vita e i model-li di consumo e di produzione attualmente dominanti, spesso insostenibilidal punto di vista sociale, ambientale e finanche economico. Si rende ormaiindispensabile un effettivo cambiamento di mentalità che induca tutti adadottare nuovi stili di vita «nei quali la ricerca del vero, del bello e del buo-no e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli

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elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investi-menti» [26]. Sempre più si deve educare a costruire la pace a partire dallescelte di ampio raggio a livello personale, familiare, comunitario e politico.Tutti siamo responsabili della protezione e della cura del creato. Tale re-sponsabilità non conosce frontiere. Secondo il principio di sussidiarietà, èimportante che ciascuno si impegni al livello che gli corrisponde, operandoaffinché venga superata la prevalenza degli interessi particolari. Un ruolo disensibilizzazione e di formazione spetta in particolare ai vari soggetti dellasocietà civile e alle Organizzazioni non-governative, che si prodigano condeterminazione e generosità per la diffusione di una responsabilità ecologi-ca, che dovrebbe essere sempre più ancorata al rispetto dell’ «ecologia uma-na». Occorre, inoltre, richiamare la responsabilità dei media in tale ambito,proponendo modelli positivi a cui ispirarsi. Occuparsi dell’ambiente richie-de, cioè, una visione larga e globale del mondo; uno sforzo comune e re-sponsabile per passare da una logica centrata sull’egoistico interesse nazio-nalistico ad una visione che abbracci sempre le necessità di tutti i popoli.Non si può rimanere indifferenti a ciò che accade intorno a noi, perché il de-terioramento di qualsiasi parte del pianeta ricadrebbe su tutti. Le relazionitra persone, gruppi sociali e Stati, come quelle tra uomo e ambiente, sonochiamate ad assumere lo stile del rispetto e della «carità nella verità». In taleampio contesto, è quanto mai auspicabile che trovino efficacia e corrispon-denza gli sforzi della comunità internazionale volti ad ottenere un progressi-vo disarmo ed un mondo privo di armi nucleari, la cui sola presenza minac-cia la vita del pianeta e il processo di sviluppo integrale dell’umanità pre-sente e di quella futura.

12. La Chiesa ha una responsabilità per il creato e sente di doverla eser-citare, anche in ambito pubblico, per difendere la terra, l’acqua e l’aria, donidi Dio Creatore per tutti, e, anzitutto, per proteggere l’uomo contro il peri-colo della distruzione di se stesso. Il degrado della natura è, infatti, stretta-mente connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui«quando l’«ecologia umana» è rispettata dentro la società, anche l’ecolo-gia ambientale ne trae beneficio» [27]. Non si può domandare ai giovani dirispettare l’ambiente, se non vengono aiutati in famiglia e nella società a ri-spettare se stessi: il libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambientecome su quello dell’etica personale, familiare e sociale [28]. I doveri versol’ambiente derivano da quelli verso la persona considerata in se stessa e in

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relazione agli altri. Volentieri, pertanto, incoraggio l’educazione ad una re-sponsabilità ecologica, che, come ho indicato nell’Enciclica Caritas in veri-tate, salvaguardi un’autentica «ecologia umana» e, quindi, affermi con rin-novata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e inogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione dellafamiglia, nella quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto dellanatura [29]. Occorre salvaguardare il patrimonio umano della società. Que-sto patrimonio di valori ha la sua origine ed è iscritto nella legge morale na-turale, che è fondamento del rispetto della persona umana e del creato.

13. Non va infine dimenticato il fatto, altamente indicativo, che tanti tro-vano tranquillità e pace, si sentono rinnovati e rinvigoriti quando sono astretto contatto con la bellezza e l’armonia della natura. Vi è pertanto unasorta di reciprocità: nel prenderci cura del creato, noi constatiamo che Dio,tramite il creato, si prende cura di noi. D’altra parte, una corretta concezionedel rapporto dell’uomo con l’ambiente non porta ad assolutizzare la naturané a ritenerla più importante della stessa persona. Se il Magistero dellaChiesa esprime perplessità dinanzi ad una concezione dell’ambiente ispirataall’ecocentrismo e al biocentrismo, lo fa perché tale concezione elimina ladifferenza ontologica e assiologica tra la persona umana e gli altri esseri vi-venti. In tal modo, si viene di fatto ad eliminare l’identità e il ruolo superio-re dell’uomo, favorendo una visione egualitaristica della «dignità» di tuttigli esseri viventi. Si dà adito, così, ad un nuovo panteismo con accenti neo-pagani che fanno derivare dalla sola natura, intesa in senso puramente natu-ralistico, la salvezza per l’uomo. La Chiesa invita, invece, ad impostare laquestione in modo equilibrato, nel rispetto della «grammatica» che il Crea-tore ha inscritto nella sua opera, affidando all’uomo il ruolo di custode eamministratore responsabile del creato, ruolo di cui non deve certo abusare,ma da cui non può nemmeno abdicare. Infatti, anche la posizione contrariadi assolutizzazione della tecnica e del potere umano, finisce per essere ungrave attentato non solo alla natura, ma anche alla stessa dignità umana[30].

14. Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato. La ricerca della paceda parte di tutti gli uomini di buona volontà sarà senz’altro facilitata dal co-mune riconoscimento del rapporto inscindibile che esiste tra Dio, gli esseriumani e l’intero creato. Illuminati dalla divina Rivelazione e seguendo la

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Tradizione della Chiesa, i cristiani offrono il proprio apporto. Essi conside-rano il cosmo e le sue meraviglie alla luce dell’opera creatrice del Padre eredentrice di Cristo, che, con la sua morte e risurrezione, ha riconciliato conDio «sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col1,20). Il Cristo, crocifisso e risorto, ha fatto dono all’umanità del suo Spiritosantificatore, che guida il cammino della storia, in attesa del giorno in cui,con il ritorno glorioso del Signore, verranno inaugurati «nuovi cieli e unaterra nuova» (2 Pt 3,13), in cui abiteranno per sempre la giustizia e la pace.Proteggere l’ambiente naturale per costruire un mondo di pace è, pertanto,dovere di ogni persona. Ecco una sfida urgente da affrontare con rinnovatoe corale impegno; ecco una provvidenziale opportunità per consegnare allenuove generazioni la prospettiva di un futuro migliore per tutti. Ne sianoconsapevoli i responsabili delle nazioni e quanti, ad ogni livello, hanno acuore le sorti dell’umanità: la salvaguardia del creato e la realizzazione del-la pace sono realtà tra loro intimamente connesse! Per questo, invito tutti icredenti ad elevare la loro fervida preghiera a Dio, onnipotente Creatore ePadre misericordioso, affinché nel cuore di ogni uomo e di ogni donna ri-suoni, sia accolto e vissuto il pressante appello: Se vuoi coltivare la pace,custodisci il creato.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2009

[1] Catechismo della Chiesa Cattolica, 198. [2] Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2008, 7. [3] Cfr n. 48.[4] Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, XXXIII, 145.[5] Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 1.[6] Lett. ap. Octogesima adveniens, 21.[7] Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 10.[8] Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 32.[9] Catechismo della Chiesa Cattolica, 295.[10] Eraclito di Efeso (535 a.C. ca. – 475 a.C. ca.), Frammento 22B124, in H. Diels-W.Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, Weidmann, Berlin 19526.

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[11] Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 48.

[12] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 37.

[13] Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 50.

[14] Cost. Past. Gaudium et spes, 69.

[15] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 34.

[16] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 37.[17] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Socialedella Chiesa, 467; cfr Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 17.[18] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 30-31.43.

[19] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 49.

[20] Ibid.

[21] Cfr San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 49, 5.

[22] Cfr n. 9.

[23] Cfr n. 8.

[24] Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 43.

[25] Lett. enc. Caritas in veritate, 69.

[26] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 36.

[27] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 51.

[28] Cfr ibid., 15.51.

[29] Cfr ibid., 28.51.61; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 38.39.

[30] Cfr Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 70.

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VITA DIOCESANANOMINE E DECRETIORDINAZIONI E MINISTERI

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NOMINE E DECRETI

Don REMO CHIODITTIParroco della Parrocchia dei SS. Inno-centi Martiri in Montesilvano

Don VITO CANTO’Amministratore Parrocchiale della Par-rocchia San Panfilo in Spoltore

Don EMILIO LONZIAmministratore Parrocchiale della Par-rocchia Cuore Immacolato di Maria inPescara

Don CHRISTIAN DI BIASEVicario Parrocchiale delle ParrocchieS. Caterina, Gesù Maestro, Cuore Im-macolato di Maria in Pescara

Don AUGUSTO GOBEOAmministratore Parrocchiale della Par-rocchia S. Stefano in Cugnoli

Don PAOLO LEMBOVicario Parrocchiale della ParrocchiaSSmo Cuore di Gesù in Pescara

Don MASSIMILIANO DE LUCAReferente Pastorale Aeroporto

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Don RINALDO LAVEZZOParroco della Parrocchia S. Panfilo inSpoltore

Don MASSIMO DI LULLOAmministratore Parrocchiale delle Par-rocchia Trasfigurazione del Signore inPescara

Don VENANZIO DELL’AQUILAVicario Parrocchiale della ParrocchiaTrasfigurazione del Signore in Pescara

Don ANTONIO DEL CASALEParroco della Parrocchia S. Antonio diPadova in Montesilvano

Don RODOLFO SOCCIOAmministratore Parrocchiale della Par-rocchia Gesù Buon Pastore in Pescara

Don LUCA ANELLIVicario Parrocchiale delle ParrocchieB.V.M. del Rosario e Gesù Buon Pasto-re in Pescara

Don CAMILLO SMIGLIANIVicario Parrocchiale della ParrocchiaCuore Immacolato di Maria in Pescara

Don UMBERTO FRANCHIVicario Parrocchiale della ParrocchiaSpirito Santo in Pescara

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Don CAMILLO SMIGLIANICanonico Penitenziere della CattedraleS. Cetteo in Pescara

Don ARTURO FATIBENECanonico Semplice della Cattedrale S.Cetteo in Pescara

Don UMBERTO FRANCHICanonico Semplice della Cattedrale S.Cetteo in Pescara

Don PIETRO LEONECanonico Semplice della Cattedrale S.Cetteo in Pescara

Don MARIO MASNERICanonico Semplice della Cattedrale S.Cetteo in Pescara

Don MICHELE D’ANDREACanonico Semplice della Cattedrale S.Cetteo in Pescara

Don ERMETE PALOMBOCanonico Semplice della Cattedrale S.Cetteo in Pescara

Don ANTONIO DI GIULIODon REMO CHIODITTIMons. GIOVANNI GASPARIDon ROBERTO BERTOIA

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Don ANTONIO DE GRANDISCanonici Onorari del Capitolo Metro-politano

Prof. BRUNO MARIENDirettore dell’Ufficio Pastorale Scola-stica

Don LUCIANO VOLPEParroco delle Parrocchie S. GiovanniBosco in Villa Celiera e S. Michele Ar-cangelo in Vestea di Civitella Casanova

Don LEO ITOBOREVicario Parrocchiale della ParrocchiaS. Giovanni Bosco in Montesilvano

Don BRUNO VALENTEAssistente Spirituale nella Clinica “Vil-la Serena” di Città Sant’Angelo

Don GIORGIO CAMPILIDon GIUSEPPE FEMMINELLADon VITO CANTO’

Vicari Foranei

Padre COSTANTE BARONE omiParroco della Parrocchia S. AndreaApostolo in Pescara

Padre GIOVANNI BINI omiVicario Parrocchiale della ParrocchiaS. Andrea Apostolo in Pescara

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Padre GUIDO SARTORI o. carm.Vicario Parrocchiale della ParrocchiaS. Antonio Abate in Pianella

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ORDINAZIONI E MINISTERI

Fr. PAOLO PALOMBARINI ofmÈ stato ordinato presbitero nella Catte-drale di S. Cetteo in Pescara da S. E.Mons. Tommaso Valentinetti il 17 otto-bre 2009

Sem. CARMINE DI MARCOÈ stato ordinato diacono a Macerata daS. E. Mons. Claudio Giuliodori il 17ottobre 2009

Sem. CORRADO DE DOMINICISÈ stato ammesso all’Ordine Sacro

Sem. ANDREA CERICOLAÈ stato istituito accolito da S. E. Mons.Bruno Forte nella Cattedrale S. Giusti-no in Chieti il 7 dicembre 2009

Sem. LORENZO DI DOMENICOÈ stato istituito lettore da S. E. Mons.Bruno Forte nella Cattedrale S. Giusti-no in Chieti il 7 dicembre 2009

Sem. PIERLUIGI PISTONEÈ stato istituito lettore da S. E. Mons.Bruno Forte nella Cattedrale S. Giusti-no in Chieti il 7 dicembre 2009

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VITA DIOCESANAVARIE

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REGOLAMENTO DELL’ARCHIVIO STORICODIOCESANO di PESCARA-PENNE

Il presente regolamento si prefigge di integrare le norme contenute nelCodice di Diritto Canonico e quelle emanate dalle competenti autorità inmateria di archivi ecclesiastici nel rispetto delle norme concordatarie1.

Premessa storicaL’Antica Diocesi di Penne (V-VI sec.) divenne nel 1252 Diocesi di Pen-

ne ed Atri. Il 1 luglio 1949, la sede diocesana mutata in Penne-Pescara futrasferita a Pescara, divenendo il 2 marzo 1982 Arcidiocesi Metropolitanadi Pescara-Penne, avente come diocesi suffraganea quella di Teramo-Atri.

Il materiale cartaceo contenuto nell’Archivio Storico di Penne arriva finoagli anni ‘50, e raccoglie l’attività dei vari Enti della Diocesi, in alcuni casia partire dal XV secolo. Il materiale pergamenaceo conservato si estendedal X secolo fino ai primi anni del XX. Nel 1847 il vescovo Mons. Vincen-zo D’Alfonso volle che l’Archivio fosse riordinato, ma di quel lavoro pococi resta a causa delle successive vicende, fino ai bombardamenti dell’ultimaguerra, che arrecarono gravissimi danni alla Cattedrale ed alle contiguestrutture ecclesiastiche. Dopo il restauro del materiale pergamenaceo, essen-do l’Archivio dichiarato di interesse storico dalla Sovrintendenza Archivi-stica dell’Abruzzo e del Molise nel 1982, Mons. Antonio Iannucci, volleche tutto l’Archivio fosse riordinato, costituendo una fonte preziosa per laricostruzione della storia della Diocesi di Penne e del suo territorio.

Il notevole materiale, cartaceo e pergamenaceo, che vi si conserva testi-monia in modo unico la plurisecolare attività di una Diocesi (che la tradi-zione vuole essere stata fondata agli albori del cristianesimo) nei suoi variEnti (Vescovi, Curia, Seminario, Parrocchie, Capitoli, Confraternite) ed allostesso tempo impegna l’Arcidiocesi di Pescara-Penne, legittima proprieta-ria, ad una fedele edattenta conservazione, oltre che alla disponibilità per glistudiosi, ferme restando le disposizioni canoniche in materia (cfr. cann.486-490 del CIC).

Come già detto il materiale archivistico di Penne abbia subito varie vicis-situdini, dai danni dell’ultima guerra, che recarono distruzione e danni gra-vissimi agli immobili che lo ospitavano, alle infermità del vescovo Carlo

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Pensa, dalla successiva amministrazione Apostolica di Penne ed Atri, nellapersona di Mons. Gremigni, fino alla creazione della nuova Diocesi di Pen-ne-Pescara il 1 luglio 1949, con relativo spostamento della sede diocesana aPescara.

Tuttavia, già da circa dieci anni addietro, Mons. Iannucci si preoccupavadi far restaurare i documenti deteriorati; e a norma poi del can. 491 § 2 delCIC, dichiarava che l’Archivio diocesano di Penne fosse considerato qualeArchivio Storico; ne affidava l’ordinamento ad un sacerdote diocesano, e daquella data, la denominazione ufficiale dell’Archivio è: “Archivio Storicodell’Arcidiocesi di Pescara-Penne” in Penne.

A norma poi del can. 491 § 2 del CIC, l’Archivio Diocesano di Penneveniva stabilito dallo stesso Arcivescovo quale Archivio Storico, essendoneaffidata la cura dell’ordinamento, ad un sacerdote diocesano. Da quella da-ta, la denominazione ufficiale dell’Archivio è: Archivio Storico dell’Arci-diocesi di Pescara-Penne, in Penne.

In data 15 novembre 1982 il Soprintendente Archivistico per l’Abruzzo eil Molise,fermo restando il carattere di bene culturale di proprietà dell’enteecclesiastico e come tale soggiacendo alle leggi del diritto canonico, dichia-rava il detto Archivio di interesse storico.

A seguito del nuovo Accordo tra la santa Sede e la repubblica Italiana(18 febbraio 1984) con particolare riferimento all’art. 12 n. 1, tra il Ministrodei Beni e delle Attività Culturali e il Presidente della Conferenza Episco-pale Italiana, in data 18 aprile 2000 fu promulgata una Intesa per la salva-guardia, la valorizzazione e il godimento degli archivi di enti e istituzioniecclesiastiche.

L’Arcidiocesi di Pescara-Penne, già prima di tali accordi aveva permessoa studiosi e studenti di consultare il suo Archivio Storico: a far data dal 27ottobre 1987 vengono accolte sia le richieste di singoli studiosi o di Istitutidi ricerca, sia di numerosi studenti che preparavano tesi di laurea presso leUniversità di Teramo, Pescara, Chieti, Roma e Napoli.

Titolo IDefinizione

Art.1L’Archivio Storico Diocesano di Pescara-Penne (in seguito ASDP) è la

raccolta ordinata e sistematica di atti e di documenti prodotti e ricevuti dal-l’Arcidiocesi di Pescara-Penne e degli enti pubblici ecclesiastici eretti nel-

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l'ordinamento canonico (cfr. cann. 486 § 2; 491§ 2; 535 §§ 4-5; 173 § 4;1283, 3°; 1284 § 2, 9°; 1306,§ 2) o da persone esercitanti nella Chiesa unafunzione pubblica.

L'ASDP nasce e si sviluppa a servizio della persona o dell'ente che lo haprodotto. Di regola solo l'archivio storico (can. 491 § 2), in quanto bene cul-turale, diventa accessibile agli studiosi, secondo le norme emanate dallecompetenti autorità (cfr. can. 491 § 3).

Art. 2L’ASDP è una delle fonti documentarie più importanti per la storia della

Chiesa di Pescara-Penne, intrecciata con quella di altre vicissitudini e circo-scrizioni ecclesiastiche.

Art. 3L'ASDP costituisce uno dei luoghi della memoria ecclesiale ed è pertan-

to un bene di notevole interesse culturale e di testimonianza storica, utilenondimeno a favorire la funzione pratica di conoscenza, nel pieno rispettodelle norme contenute nel CIC e quelle emanate dalle competente autorità.

Art. 4L'ASDP è l'istituzione archivistica preposta alla conservazione, alla sal-

vaguardia, alla valorizzazione culturale e alla fruizione da parte di studiosidel patrimonio archivistico della diocesi e quello di altri fondi archivisticiche a diverso titolo sono legittimamente custoditi o raccolti in esso, e dipen-denti dall’autorità del vescovo diocesano: parrocchie, capitolo cattedraleconfraternite, associazioni, seminario, ordini e congregazioni religiose (chevivono e operano all’interno della diocesi di Pescara-Penne), gruppi e movi-menti ecclesiali.

Art.5L’ASDP è costituito dall’Archivio dell’antica Curia Vescovile di Penne e

da ulteriori fondi archivistici in esso affluiti, dei quali l’Arcidiocesi di Pe-scara-Penne è legittima proprietaria.

Art. 6La sede dell'ASDP è situata in quegli ambienti a ciò assegnati e apposita-

mente allestiti nel Seminario Vescovile di Penne, in Piazza Duomo, 7.

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Titolo IIOrdinamento interno

Capitolo I - Acquisizione dei documenti

Art. 7Nella gestione archivistica di un atto si distinguono le seguenti fasi: ar-

chivio corrente, archivio di deposito temporaneo, archivio storico.

Art. 8L’ASDP conserva tutta la documentazione che, dall’archivio corrente

passata all’archivio di deposito, viene in esso versata.

Art. 9Il deposito nell'ASDP costituisce la fase finale della vita di un atto. In li-

nea di principio un atto entra a far parte dell'ASDP quando ha esaurito lapropria funzione specifica, ha superato il limite convenzionale alla consulta-bilità (settanta – 70 – anni).

Art. 10ll passaggio dei documenti dall'archivio corrente a quello di deposito e a

quello storico dev’essere registrato, descrivendo l’elenco dei fondi e indi-cando il periodo storico riguardante la documentazione consegnata dai variuffici.

Capitolo II - Confluenza di archivi diversi

Art. 11È possibile collocare in deposito temporaneo o permanente presso l’A-

SDP l’archivio di altri enti ecclesiastici nel caso in cui il vescovo diocesanolo ritenga necessario per motivi di sicurezza o per facilitare la consultazionedegli studiosi. In tali casi verrà redatto un verbale di consegna, avente in al-legato un dettagliato inventario del materiale consegnato, in cui risulti cheproprietario dell’archivio resta sempre l’ente che lo ha prodotto.

Art. 12Si raccomanda vivamente alle associazioni, ai gruppi informali, ai movi-

menti e ai fedeli che svolgono particolari mansioni nella Chiesa di Pescara-

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Penne di non disperdere i loro singoli archivi, ma di disporre che conflui-scono nell’ASDP.

Art. 13La direzione dell’ASDP nei confronti degli archivi parrocchiali e degli

altri enti che fanno riferimento alla diocesi ha funzione di consulenza, coor-dinamento, promozione e controllo. Nella fase iniziale gli atti sono prodottidai singoli organi o uffici con criteri e metodi dettati dalle rispettive esigen-ze ad normam juris e collocati nell’archivio corrente. In vista di una mag-giore funzionalità ed economia, è opportuno stabilire una mutua collabora-zione fra l’archivista diocesano e i responsabili dei singoli organi o ufficidella diocesi per uniformare la redazione degli atti e l’impiego del materiale

In particolare la direzione dell’ASDP:• Aiuta i parroci e gli amministratori degli enti nella gestione degli archivi

storici, in attuazione di un apposito regolamento, anche attraverso inizia-tive destinate alla formazione degli amministratori degli enti ecclesiasticie dei loro collaboratori;

• È a disposizione, soprattutto in occasione delle visite pastorali e dell’av-vicendamento dei parroci, per interventi di verifica, consulenza, conser-vazione, verbalizzazione di consegna, presso gli archivi parrocchiali;

• Custodisce copia dell’inventario dei beni archivistici relativi a ciascunaparrocchia o ente;

• Offre pareri ai parroci e ai responsabili degli enti circa la consultabilitàdegli archivi storici locali;

• Garantisce il deposito temporaneo o permanente dei documenti la cuiconsultazione richiedesse tempi particolarmente ampi o modalità com-plesse, tali da rendere difficile un’adeguata vigilanza da parte dei respon-sabili.

• Assiste gli enti ecclesiastici nei rapporti con gli enti pubblici.

L’ASDP collabora con l’Ufficio diocesano e nazionale per i Beni Cultu-rali per quanto concerne in particolare i profili di tutela e di valorizzazioneculturale dei beni archivistici di proprietà della Diocesi, delle parrocchie edegli altri enti ecclesiastici.

I fondi archivistici donati o depositati devono conservare sempre la loroindividualità e integrità. Le serie di documenti non dovranno essere mesco-late a quelle dell'ASDP, né tanto meno a quelle di altri archivi in deposito.

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Capitolo III - Direzione

Art. 14§ 1. La Direzione dell’ASDP è affidata all’Archivista diocesano, nomi-

nato dall’Arcivescovo ad quinquennium.§ 2. All’Archivista diocesano spetta l’ordinaria gestione scientifica, tec-

nica e culturale dei fondi.§ 3. L’Archivista diocesano ha anche il compito di vigilare perché l'in-

gente patrimonio culturale custodito negli Archivi soggetti alla giurisdizio-ne dell’Arcivescovo non sia disperso e venga opportunamente valorizzato.A tal fine l’ASDP offre consulenza e supporto tecnico a tutti gli Archiviparrocchiali e altri enti diocesani.

Art.15L’Archivista diocesano può avvalersi, d’intesa con l’Arcivescovo, della

collaborazione di persone qualificate per l’espletamento di quelle mansioniche sono relative al riordino, all’inventariazione dei fondi, alla vigilanza eal servizio del pubblico. Tali persone operano sotto la responsabilità e la di-rezione dell’Archivista diocesano.

Art. 16§ 1. Alla Direzione compete, entro i termini fissati, indirizzare al Consi-

glio Diocesano per gli Affari Economici, alla CEI e al Ministero per Beni ele Attività culturali, le richieste inerenti alla gestione dell’ASDP.

§ 2. La Direzione, previa istruttoria interna e acquisizione dell’assenso(tramite firma di ciascun proprietario di quei beni archivistici e librari anti-chi affidati alla sua gestione), propone e invia, entro i termini stabiliti, le ri-chieste di contributo per la gestione ordinaria dell’ASDP indirizzandole aisingoli Enti a ciò delegati dall’amministrazione sia pubblica sia ecclesiasti-ca.

§ 3. L’Archivista diocesano, relazionerà agli Enti eroganti sui contributi,una volta siano stati concessi.

§ 4. La documentazione relativa agli atti amministrativi dell’ASDP ordi-naria è conservata presso la Curia Metropolitana e in copia presso l’ASDP.

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Capitolo IV - Classificazione e ordinamento

Art. 17I documenti conservati sono ordinati secondo un’opportuna classificazio-

ne, che ne rispetti la successione cronologica e la loro progressione nel tem-po, secondo i criteri della più avvertita scienza archivistica.

Art. 18L'Archivista diocesano provvede alla conservazione di tutta la documen-

tazione in condizioni ambientali idonee; provvede inoltre a inviare al re-stauro, presso laboratori specializzati e abilitati, i documenti dell’ASDP darestaurare.

Capitolo V - Strumenti di ricerca

Art. 19§ 1. L’ASDP, è dotato di una apposita biblioteca, contenente un reperto-

rio essenziale di fonti, dizionari, enciclopedie, di ricerche storiche anche lo-cali e quant'altro possa essere utile sia al personale dell'Archivio sia alle ri-cerche degli studiosi.

§ 2. La conoscenza dei fondi archivistici sarà diffusa, salvi i diritti dellaprudente o necessaria loro riservatezza, anche grazie al sistema di rete tele-matica.

§ 3. Agli inventari o cataloghi, nonché agli indici, repertori ed altri stru-menti e alla biblioteca di supporto hanno libero accesso i ricercatori.

Art. 20§ 1. Salvo deroga dell’Arcivescovo, possono essere consultati solo i do-

cumenti anteriori agli ultimi settanta anni.§ 2. La consultazione di documenti ritenuti come riservati o relativi a si-

tuazioni private di persone può essere concessa solo su previa e scritta auto-rizzazione di deroga da parte del Vescovo diocesano, conforme al relativomodulo.

§ 3. La consultazione di altri documenti può essere concessa anche primadella scadenza dei termini sopra indicati alle condizioni di cui al paragrafoprecedente.

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Art. 21§ 1. Nell’ASDP è prevista la sezione di microfilms o di dischi ottici per

integrare la documentazione esistente con fonti di altri archivi che riguarda-no avvenimenti, luoghi, enti, persone con cui l'ASDP è implicato. L’acquisi-zione degli stessi è valutata di alto interesse perché concernenti la storia e levicende cui afferisce il patrimonio in esso conservato. Tali riproduzioni po-tranno essere utilizzate per la ricostruzione degli originali, in caso della lorodistruzione e per facilitare all’utente il loro studio e l’eventuale riproduzio-ne.

§ 2. Al fine di proteggere i documenti più preziosi e delicati da una ec-cessiva e dannosa manipolazione, la Direzione provvede a farli riprodurresu supporti elettronici.

In questa sezione possono essere raccolti anche CD-ROM, microfilms odischi ottici relativi ai fondi principali dell'archivio stesso.

Art. 22Per proteggere la preziosa e unica documentazione dell’ASDP, gli am-

bienti della sua sede sono dotati di sistema d’allarme e di antincendio, d'im-pianto elettrico di sicurezza e di deumidificazione con regolatori di tempe-ratura costante.

Art. 23Periodicamente sarà curata la disinfestazione degli ambienti dell'ASDP e

della stessa documentazione, servendosi di ditte specializzate.

Titolo IIIConsultazione dell’ASDP

Capitolo I – Accesso, assistenza agli utenti e disciplinanelle sale di lettura

Art. 24L’accesso all’ASDP per scopi di ricerca e di studio è libero e regolamen-

tato. Non sono ammesse persone minorenni. La Direzione adotterà le pru-denti e necessarie cautele per l’ammissione dei richiedenti alla consultazio-ne sia degli Archivi sia dei beni codicologici e librari antichi.

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Art. 25Gli studenti universitari possono svolgere le personali ricerche e quindi

essere ammessi alla consultazione solo se referenziati con nota scritta indi-cante l’oggetto della ricerca da parte del docente che la guida.

Art. 26A giudizio dell’Archivista, l’ammissione all’ASDP può essere revocata

quando sia stato constatato che in precedenti occasioni il ricercatore non ab-bia avuto sufficiente cura nel trattare i documenti archivistici e i beni librariantichi dati in consultazione

Art. 27L’apertura al pubblico dell'ASDP è regolata da opportune norme emana-

te dalla Direzione.

Art. 28§ 1. Lo studioso può essere ammesso alla consultazione dopo aver pre-

sentato una regolare domanda su modulo prestampato, nel quale saranno in-dicati i fondi che intende consultare e i motivi della ricerca.

§ 2. Lo studioso è tenuto a dichiarare preventivamente se intenda fruiredella consultazione dei documenti ai fini della pubblicazione. In caso affer-mativo, gli è fatto obbligo d’indirizzare in tal senso la domanda scritta (sumodulo apposito) alla Direzione, dichiarando inoltre che, a pubblicazioneavvenuta, ne invierà gratuitamente un esemplare.

§ 3. Lo studioso ammesso alla consultazione è tenuto a prendere atto delpresente regolamento e dei relativi obblighi sin dall'ingresso nell'ArchivioStorico Diocesano.

§ 4. Lo studioso è tenuto ad apporre giornalmente la firma e altre even-tuali indicazioni in un apposito registro di presenza compilandolo nelle suesingole voci.

Art. 29Per nessun motivo è permesso a chiunque di portare i documenti fuori

dalla sede dell'Archivio Storico Diocesano. Solo la Direzione ha facoltà diautorizzare la concessione di documenti dell'Archivio per mostre e ogni al-tra iniziativa culturale previa stipula di un contratto di assicurazione nella

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formula “da chiodo a chiodo”, a carico della parte richiedente. Ogni fasedella riproduzione – dal trasporto, alla riproduzione, al rientro del bene –sarà seguita personalmente da chi è delegato dalla Direzione e retribuito dalrichiedente.

Capitolo II – Servizi di reprografia

Art. 30§ 1. La reprografia di documenti archivistici (dai fondi conservati o de-

positati) e di opere del patrimonio codicologico e librario antico, in qualsia-si modo sia realizzata, sarà effettuata solo previo rilascio dell’autorizzazio-ne della Direzione, che fa seguito alla domanda scritta del richiedente.

§ 2. Le esigenze della conservazione sono riconosciute come prioritarierispetto a quelle della riproduzione.

§ 3. Rimangono salvi tutti i diritti di proprietà di ciascun Ente sulle opereche sono in qualsiasi modo riprodotte, conforme alla normativa vigente.

§ 4. La riproduzione sarà effettuata soltanto se, a discrezione insindaca-bile della Direzione, le condizioni di conservazione dei documenti lo con-sentano.

§ 5. Il rimborso delle spese di riproduzione è totalmente a carico del ri-chiedente.

§ 6. È fatto obbligo a chi ottiene il permesso di riprodurre immagini arti-stiche, parti di manoscritti, di codici, libri a stampa di consegnare all’ASDPun numero di copie della medesima da convenirsi, effettuata a proprie spe-se. Ulteriori obblighi saranno, di volta in volta, definiti dalla Direzione.

§ 7. La riproduzione avviene di norma esclusivamente nella sede dell'A-SDP e nei tempi stabiliti.

§ 8. Non è permesso riprodurre interi fondi archivistici o librari, e neppu-re procedere alla riproduzione di manoscritti e di codici in quantità numeri-ca tale che, in proporzione alla totalità del fondo stesso, ne risultino com-promessi i diritti di possesso morale propri dell’Ente proprietario. Si terràun registro dettagliato dei richiedenti in relazione ai documenti per i quali èstata effettuata la riproduzione.

Art. 31Non è consentito a chiunque riprodurre documenti manoscritti o a stam-

pa con scopi editoriali, a meno che non sia prima stata stipulata un’apposita

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convenzione tra la Direzione dell’ASDP con il legale responsabile della ini-ziativa e con la casa editrice o la tipografia, convenzione in cui siano indica-te e sottoscritte le circostanziate modalità dell’accordo bilaterale.

Titolo IVDisposizioni finali

Art. 32Salvi i diritti della propria autonomia e nello spirito dell’Intesa tra il Mi-

nistero e la CEI, l’ASDP instaura con le Sovrintendenze Archivistiche Sta-tali, con l’Assessorato alla Cultura della Regione Abruzzo, con gli Archividi Stato, con le Università statali, e con ogni istituzione culturale regionale,nazionale, europea e intercontinentale, la cui natura sia afferente alle finalitàconservative e scientifiche dell’ASDP, quei fattivi e cordiali rapporti di col-laborazione che siano fruttuosi per la sua gestione, incrementino lo sviluppoe gli scambi della ricerca e ne favoriscano la conoscenza e la promozioneculturale.

Art. 33Questo Statuto annulla tutte le normative diocesane in materia di ASDP

che siano in contrasto con esso. Per quanto non espressamente menzionato,si rimanda al diritto comune e alle leggi vigenti.

Il presente regolamento è approvato ad experimentum.

Pescara, presso la Curia Metropolitana, 29 Aprile 2009.

† Tommaso ValentinettiArcivescovo

Sac. Roberto BertoiaCancelliere

1 Intesa tra il Ministro per i beni e le attività culturali e il Presidente CEI, relativa alla con-servazione e la consultazione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche apparte-nenti a enti e istituzioni ecclesiastiche, prot. n. 904/00, Roma, 10 luglio 2000: NotiziarioCEI, 6/2000, p. 169.

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OMELIA DI MONSIGNOR GIUSEPPE BERTELLO, NUNZIO APOSTOLICO IN ITALIA PRESSO LA

SANTA SEDE NELLA SOLENNITÀ DI SAN CETTEO,VESCOVO E MARTIRE

Pescara, 10 ottobre 2009

Sono sentitamente grato al vostro Arcivescovo, che ha avuto la bontà ininvitarmi ad essere tra voi e a partecipare alla vostra festa, che stasera ci riu-nisce intorno alla mensa del Signore nel glorioso ricordo del martire SanCetteo, Patrono di Pescara e Compatrono dell’Arcidiocesi, le cui spogliemortali sono venerate in questa Chiesa Cattedrale.

La celebrazione del Santo Patrono non è solo una festa religiosa, macoinvolge tutte le componenti di una città, al di là del loro credo, perché at-torno alla figura del santo, nel corso dei secoli, sono fiorite tradizioni e ma-nifestazioni caratteristiche, che ne hanno segnato la storia e resistono all’u-sura del tempo costituendo un momento di incontro di tutte le componentidella società. La presenza delle autorità cittadine, che saluto cordialmente,ne è un segno.

Voi conoscete la storia di questo Santo che, vissuto al tempo di San Gre-gorio Magno, diede la sua testimonianza durante l’invasione dei Longobar-di. Per amore del Signore e per difendere il suo popolo egli non esitò ad af-frontare le sofferenze del martirio e la sua figura rifulge ancora oggi davantiai nostri occhi come un modello di uomo e di cristiano capace di coniugarel’amore per la giustizia e il servizio per la causa del Vangelo in un eserciziosublime di vera libertà.

Le letture che sono state proclamate evidenziano come solo la fede è ingrado di motivare la scelta del martirio e come il martire, nel totale abban-dono alla volontà di Dio, acquisisce il coraggio di affrontare le sofferenzepiù atroci con spirito di vera libertà. “L’eroismo dei testimoni della fede –diceva il Papa a Praga – ricorda che solo dalla conoscenza personale e dal

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legame profondo con Cristo è possibile trarre l’energia spirituale per realiz-zare appieno la vocazione cristiana. Solo l’amore di Cristo rende efficacel’azione apostolica, soprattutto nei momenti della difficoltà e della prova”(26.9.2009).

Nella pagina evangelica, abbiamo ascoltato parole chiare ed esigenti:«Se rimanete fedeli alla mia parola – dice Gesù – sarete davvero miei disce-poli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8, 31). Rimanerenella Parola di Gesù significa perseverare nella fedeltà e vivere a contattocon la Sua Persona. La fede, infatti, non è solo l’accettazione teorica di al-cune verità o l’assenso astratto ad un sistema dottrinale bensì è adesione ef-fettiva ad una persona alla quale si manifesta il proprio amore e la propriafiducia.

Il discepolo di Gesù è colui che accoglie, vive e penetra in profondità laSua Parola intessendo con lui un dialogo di amore e eliminando dalla suavita e dalla sua condotta quanto non è conforme al suo insegnamento. Attra-verso la fedeltà alla sua Parola, conosce la Verità, che si identifica con ilMaestro stesso, con la sua presenza salvifica e liberatrice, come diceva SanGregorio Magno. Dimorare nella Parola e conoscere la Verità significa, ap-punto, per il credente rimanere uniti a Gesù e penetrare giorno per giornonell’intimità della sua amicizia al punto da condividerne la sua stessa men-talità e le medesime sue scelte di vita. “Io sono la Via, la Verità e la Vita”,ha detto ai suoi.

Gesù, che ha sempre obbedito al Padre, ha accettato un corpo e si è ab-bassato fino alla morte di Croce per la nostra salvezza, ci fa fare un passoavanti nella nostra meditazione: aderendo senza riserve al suo progetto noiparteciperemo anche della sua libertà. In lui, Dio ci dona e ci restituiscequella libertà che noi avevamo perduta per sempre a causa del peccato ori-ginale.

Noi possiamo tentare senz’altro di costruire la nostra esistenza prescin-dendo da lui e dalla sua parola perché Dio ha a cuore la nostra libertà, civuole liberi, ci ama in quanto liberi ed accetta il rischio che noi abbiamo diallontanarci da lui pur di salvare in noi la possibilità di riconoscerlo senza

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costrizioni. Ne facciamo la prova tutti i giorni: correndo dietro ai nostri de-sideri, al nostro egoismo, al nostro orgoglio, pensiamo di poter realizzarcicome vogliamo. E dopo, ci accorgiamo di essere come il giovane ricco delVangelo, che, passata l’euforia del momento, si sente solo, povero e sconso-lato.

San Cetteo ha esercitato la sua libertà nella verità quando si è lasciatogettare nel fiume Aterno con una grossa macina al collo, nel pieno e totaleabbandono alla volontà di Dio, ed è questa fede e questa libertà che hannocondotto al martirio i sette fratelli Maccabei insieme alla loro madre.

Se leggiamo la pagina della lettera di San Paolo agli Efesini alla luce del-le Parole di Gesù, possiamo trovare il cammino per custodire intatta questalibertà interiore quando ricorda a ciascuno di noi che la vita del cristiano sisvolge come un combattimento spirituale. Il credente è chiamato ad agirecome un soldato per «resistere alle insidie del diavolo» (Ef 6,11). Da un la-to, la mancanza di vigilanza e di discernimento e l’indebolimento della vitadi fede dei cristiani permettono alle forze del male di strumentalizzare l’in-telligenza degli uomini e di intessere quella rete di corruzione e di male nel-la quale molti cadono senza neppure accorgersene.

Dall’altro, vi è l’equipaggiamento spirituale, che l’Apostolo ci consegnacon sollecitudine e ci insegna come usarlo: la cintura sia la verità per discer-nere il bene dal male; la corazza, le opere “giuste”, cioè secondo la giustiziadi Dio, che è amore misericordioso; la calzatura, vale a dire la prontezzanell’annunciare il messaggio del Vangelo e diffondere la pace di Cristo; loscudo della fede, per respingere le tentazioni del dubbio, dell’incredulità,della disperazione; l’elmo della salvezza è la Parola di Dio perché, come di-cevamo, dobbiamo imparare a pensare e ragionare secondo Dio e non se-condo il mondo.

“Diceva S. Ambrogio a questo proposito: “dobbiamo porre ogni attenzio-ne nel raccogliere le parole di Dio perché diventino in noi il principio diret-tivo della coscienza, delle sollecitudini, dei pensieri e delle azioni affinchéogni nostro atto sia conforme alle parole della Scrittura e nulla sia discor-dante dai precetti divini” (cit. da Canopi, Scelti per essere santi, pag.84-85).

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Tuttavia, l’arma, che racchiude e riassume tutte le altre e quindi la piùefficace di tutte, è la preghiera, fatta nel riconoscimento della propria debo-lezza e del bisogno che si ha dell’aiuto di Dio. Per il cristiano, è l’arma in-vincibile se pervade tutta la vita ed è orientata ad ottenere, con cuore umilee fiducioso, la libertà interiore necessaria per annunciare con la vita il Van-gelo di Cristo. Il richiamo di Paolo mi sembra particolarmente urgente per-ché la molteplicità e lo stress delle nostre attività ci porta quasi inconscia-mente a dimenticarci di Dio e a ricordarci di lui solo quando ne abbiamo bi-sogno, quasi fosse l’ultima risorsa a cui risorgere.

Avere il coraggio di essere cristiani, oggi come ieri, significa imboccarela strada che San Paolo ci ha indicato ed accettare anche di andare contro-corrente di fronte alle difficoltà, che può incontrare la nostra fede in una so-cietà secolarizzata e agnostica. La società attuale, con la sua proposta diidoli sempre nuovi ed allettanti, tende a sfilacciare la fede, a renderla insta-bile e legata tutt’al più ad una percezione intimistica, con il rischio diconfonderla con un’emozione o un sentimento privato.

Pochi giorni or sono, il Papa diceva a Praga che “c’è oggi bisogno dipersone che siano credenti e credibili, pronte a diffondere in ogni ambitodella società quei principi ed ideali cristiani ai quali si ispira la loro azione”(28.9.09). In realtà il termine martire nella lingua greca parlata al tempo diGesù non aveva solo il significato che oggi per lo più gli diamo, ma signifi-cava semplicemente «testimone».

“Quello che abbiamo veduto ed udito – scriveva San Giovanni ai primicristiani – noi lo annunciamo anche a voi”. Ora, se noi ci lasciamo illumina-re dalla luce dolce e penetrante della Parola di Dio, se consentiamo che loSpirito Santo pervada con la soavità del suo amore le fibre più profondedella nostra interiorità, possiamo vivere giorno per giorno con piena libertàla nostra testimonianza, il nostro «martirio» secondo quanto ci ha illustratoSan Paolo e lo annunciamo agli altri con la nostra vita.

La fede non ci è stata consegnata solo per la salvezza della nostra anima,ma per gli altri, per il nostro tempo. Dobbiamo collocarla in questo mondoaffinché diventi in esso una forza viva ed attraente. Annunciare Gesù Cristo

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in tutta la sua interezza, giungendo a mostrarne tutte le implicazioni, èquanto oggi è domandato a noi cristiani. L’insegnamento più efficace ed im-mediato, il Vangelo più accessibile ed accettabile per il mondo d’oggi nonsono le nostre parole, ma la nostra condotta. Siamo chiamati a diventare pergli altri quello che Gesù è per noi.

La rievocazione della figura di San Cetteo, assume quindi per noi cre-denti un impegno particolare a vivere con autenticità la nostra fede e a nonstancarci di proporla alla nuove generazioni. Vorrei che facessimo nostra lapreghiera del Card. Newman: “Aiutami o Signore a diffondere la tua fra-granza ovunque io vada. Fa che io non ti predichi con le parole, ma con ilmio esempio, con l’influsso delle mie azioni, col fulgore visibile dell’amoreche il mio cuore riceve da Te”.

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0. L’ “arameo errante”

’!rammî ’"b#d ’$bî “Mio padre era un arameo errante…” (Dt 26,5). La formula di fede o “credo storico” del pio israelita, da pronunciarsi unita-mente all’offerta delle primizie, ci consegna un prezioso punto di partenza per un cammino speculativo che non intende interpellare e coinvolgere solo i credenti, ma stimolare e provocare il pensiero stesso e il suo formularsi filosofico nell’orizzonte della modernità compiuta o della postmodernità. In questo senso si può rievocare un ulteriore elemento della pittura di Mac Chagall, laddove, in diverse sue opere è presente la figura dell’ebreo che erra, inscrivendosi in diversi degli scenari che il pittore rappresenta.

La formula biblica non ci offre un contenuto dottrinale cristallizzato in un sistema concettuale, ma ci racconta una storia, invitandoci a farne memoria. Si tratta di non dimenticare, ossia di non consegnare all’oblio, nel momento della vita sedentaria e mentre si raccolgono e si consumano i frutti della terra promessa, l’essere stati nomadi e pellegrini. La figura dell’arameo errante viene anche plasticamente, simbolicamente e liturgica-mente espressa nel suggestivo rituale connesso alla festa delle capanne (sukkot). Ma chi è l’arameo e quale il senso del suo errare?

L’esegesi1 ci suggerisce un duplice significato connesso al termine arameo (che in ebraico forma una felice assonanza con “mio padre”). Nel suo significato geografico ed etnico si alluderebbe ai contatti di Giacobbe-Israele, attraverso la propria madre e a causa del suo viaggio, con la Mesopotamia (Aram Naharaim), nel suo più profondo senso morale e culturale l’allusione andrebbe verso una caratteristica certamente poco

PROLUSIONE DI MONS. PROF. GIUSEPPE LORIZIOALL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO

DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE“GIUSEPPE TONIOLO” – PESCARA

“IL PENSIERO NOMADE COME FIGURA DEL PENSIEROCREDENTE NELLA TRADIZIONE EBRAICO-CRISTIANA”

26 NOVEMBRE 2009

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apprezzata degli aramei, popolo nomade e senza patria e per questo anche considerati razziatori e ladri (in Ger 3,2 è usato nello stesso significato il termine arabo).

La memoria della situazione nomadica che la professione di fede esige ha così una duplice valenza: in primo luogo quella di non attribuirse alla propria iniziativa il bene che si sperimenta mentre si colgono i frutti della sedentarizzazione, in secondo luogo l’invito a non coprire di disprezzo colui che vive ancora la situazione dell’erranza, ossia il nomade. Se poi volessimo attribuire un nome proprio all’arameo errante dovremmo ovvia-mente identificarlo in prima istanza e immediatamente (visto il prosieguo del racconto) con Israele-Giacobbe e, con riferimento più ampio, a colui che ebrei, islamici e cristiani, unanimemente considerano il padre della fede: Abramo, che abitava Canaan “come straniero” (Gen 17,8).

In quanto credenti nel Dio del Signore Gesù Cristo, l’esperienza nomadica ci appartiene altrettanto originariamente, in quanto all’errare abramitico possiamo facilmente accostare il vagare di Maria e Giuseppe (Lc 2,7) che depongono il neonato in una mangiatoia “perché non c’era posto [oÙk Ãn aÙto‹j tÒpoj] per loro nell’albergo” e il nomadismo del Figlio dell’uomo, che, a differenza delle volpi e degli uccelli, “non ha dove posare il capo” (Mt 8,20 ! ! Lc 9,58). Per tornare al Natale possiamo anche ricordare come il farsi carne del Verbo e il suo abitare fra noi fa riferimento ad una dimora che di fatto è una tenda (originariamente la “tenda del convegno”), come suggerisce il greco dei LXX, che riprende l’ebraico della shekinah: Kaˆ " lÒgoj s#rx ™g$neto kaˆ ™sk»nwsen ™n %m‹n (Gv 1,14). La condizione dell’erranza si viene così a manifestare come costitutiva-mente cristica, in quanto alla domanda di Mc 1,35ss. “La risposta è questa: ‘Andiamocene altrove’. Egli infatti è per essenza colui che si sposta da un luogo all’altro, che si sottrae: ‘Oggi, domani e il giorno seg-uente bisogna che io vada per la mia strada’”2. Di qui consegue, per il pensare credente a) sul piano cristologico: “Il Cristo […] non si lascia mai racchiudere in formule. Quando la formula, nella sua fredda astrattezza. Si richiama alla concretezza della libera pienezza di Cristo, c’è motivo di sperare che la riflessione teologica sia efficace”3.; b) sul piano teo-logico: “Dio infatti non è un sistema e nessun sistema può rappre-sentare Dio. Noi non possiamo neppure, con un cammino a ritroso e

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partendo dalla rivelazione che ci è stata comunicata, accertare le con-dizioni che l’hanno resa possibile nel senso che, conosciuto l’amore mas-simale di Dio, possiamo da questo dedurre che cosa tale amore deve a se stesso e che cosa deve al mondo”4.

Se ora ci soffermiamo a riflettere sul participio che la formula di fede attri-buisce all’arameo, siamo indotti a pensare il triplice senso del verbo abad, che traduciamo con errare, indicando in primo luogo appunto la condizione nomadica dell’arameo, che non ha una meta prestabilita, né un itinerario ben tracciato, in quanto, allorché, nella esperienza abramitica, viene invitato a lasciare la propria terra, non gli viene contestualmente indicata alcuna destin-azione, né promesso alcun ritorno. Storia biblica, ma anche filosofica, se possiamo far credito a Levinas e alla sua contrapposizione tra Ulisse e Abramo: “La filosofia occidentale coincide con quel disvelamento dell’Altro in cui l’Altro, manifestandosi come essere, perde la propria alterità. Sin dalla sua infanzia, la filosofia è affetta da un orrore verso l’Altra che rimane Altro, da un’inguaribile allergia. Per questo essa è essenzialmente una filosofia dell’essere, per la quale la comprensione dell’essere rimane l’ultima parola e la struttura fondamentale dell’uomo. Per questo anche, essa diviene filosofia dell’immanenza e dell’autonomia, o ateismo. Il Dio dei filosofi, da Aristotele a Leibniz, passando per il Dio degli scolastici, è un Dio adeguato alla ragione, un dio compreso che non potrebbe turbare l’autonomia della coscienza, la quale ritrova se stessa attraverso tutte le sue avventure, ritorna presso di sé come Ulisse che, lungo tutte le sue peregrinazioni, si spinge unicamente verso la sua isola natale […]. Pensata radicalmente, l’Opera è, infatti, un movimento dello Stesso verso l’Altro che non ritorna mai allo Stesso. Al mito di Ulisse che ritorna a Itaca, noi vorremmo contrapporre la storia di Abramo che lascia per sempre la sua patria per una terra ancora ignota e che interdice al suo servo persino di ricondurre suo figlio al punto di partenza”5.

La serietà drammatica dell’errare risulta ancor più marcata quando conside-riamo gli altri due significati del verbo ebraico abad, che significa anche perdersi o smarrirsi: lo’arameo errante è colui che vive nel disorientamento, in una condizione di smarrimento o di “perdizione”. È colui che si è perduto o sta per perdersi. Ma nell’esperienza nomadica perdersi significa anche perire (ecco il terzo significato di abad). L’arameo che erra, sta per perire.

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E, nel momento in cui non è più consegnato al nomadismo, non deve né può dimenticare il suo essere caduco, mortale, perituro. La coscienza della caducità impedisce ogni ybris religiosa o filosofica, culturale o morale. In questo senso ha ragione Vladimir Jankélévitch, quando dice che la morte, il pensiero della morte è una sorta di metafisica consumata dall’uso di quanti rifiutano la metafisica.

E allora, se non è grazie alle proprie mappe culturali o concettuali, né alle proprie capacità di sopravvivenza, chi o cosa ha consentito all’arameo di non perdersi e quindi di non perire? Come ha potuto orientarsi nel tempo del disorientamento e della note del mondo? Chi lo ha guidato fin qui, dove è invitato, offrendo le primizie, a professare la propria fede e celebrare la memoria del suo stato nomadico? La parola anzi la voce ha compiuto il mira-colo, per cui l’arameo non si è perduto e non è perito. Si tratta di una voce che si ascolta, ma anche che, in quanto destinata ad orientare, addirittura si vede: “Il popolo vide la voce” (Es 20,18) e il narrante si volta per “vedere la voce” [bl$pein t&n fwn&n] (Ap 1,12). “L’espressione – scriverà l’alessandrino Filone – è altamente significativa. La voce umana è fatta per essere ascoltata, ma la voce di Dio è verità che dev’essere vista. Per quale motivo? Perché ciò che Dio pronuncia non sono parole, ma opera, che l’occhio discerne meglio dell’orecchio”6. Il tentativo, rischioso e affasci-nante di far dialogare Atene e Gerusalemme, la cultura dell’ascolto e della parola con quella della visione e del concetto, conserva ancora una sua validità, a causa della perenne ansia che abita chi lo ripropone, senza rasseg-narsi di fronte al dilemma di inquietanti e false alternative.

1. Esodo dalla modernità?7

Alla luce della radice che ci porta [(e„ d' katakauc©sai, oÙ s( t&n r…zan bast£zeij ¢ll# % r…za s$. - Ma, se ti vanti, ricordati che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te (Rm 11,18)], tentiamo ora di pensare il trapasso epocale che caratterizza questo inizio di secolo non facilmente decifrabile dal punto di vista di una filosofia che intenda caratter-izzarsi come ihre Zeit in Gedanken erfasst [= “il proprio tempo appreso col pensiero”8]. Il nostro errare assume oggi la forma di un esodo culturale, del quale, a partire dalla nostra condizione sedentaria, stentiamo a convincerci. La situazione nomadica dell’uomo postmoderno è stata ben descritta da

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Jacques Attali, il quale mostra come lo stato nomade risulti luogo particolar-mente significativo nel tentativo di “inventarsi un dio”9. La prospettiva rovesciata del pensiero biblico suggerisce invece il luogo nomadico come privilegiato per l’incontro con Dio.

Mentre la querelle “tra ingegni moderni e postmoderni”10 sembra tutt'altro che risolvibile in termini di idee chiare e distinte, la domanda che continua ad assillarci (e ne avremo ancora per molto) ci sembra possa esprimersi in questi termini: in che misura siamo ed intendiamo rimanere ancora nella modernità e in che misura intendiamo uscirne? O ancora: in che senso il cosiddetto postmoderno si può considerare figlio legittimo del moderno e in che senso esso si declina nei termini dell'antimoderno? Il fatto stesso che non si riescono a coniare termini più precisi che valgano in qualche modo a designare il nuovo, che faticosamente tenta di emergere, è sintomo del disorientamento radicale che caratterizza i momenti di passaggio e le svolte epocali, che non accadono in un istante, ma si fanno strada fati-cosamente nella storia, aprendo dei varchi e tracciando dei sentieri, che solo “il lungo tempo nel quale il vero avviene” (Hölderlin)11 trasformerà in strade più facilmente percorribili.

2. Una "fortezza inespugnabile"? (Gerico della modernità)

Se da un lato certamente risponde al vero la connotazione soggettivistica e razionalistica della modernità filosofica, verso la quale la Chiesa cat-tolica ha assunto un atteggiamento di comprensibile diffidenza e a causa della quale possiamo salutare con un certo sospiro di sollievo la “fine dell'epoca moderna”12, d'altra parte bisogna riconoscere che la modernità filosofica è molto più complessa di quanto non sia possibile leggere nei manuali o nelle semplificazioni ad uso didattico o genericamente pasto-rale. Un punto tuttavia possiamo assumere come acquisito, ed è proprio il punto di partenza della modernità filosofica, al cui principio si pone, senza ombra di dubbio, né metodico né sistematico, il pensiero cartesiano. In principio era Cartesio con il suo cogito ergo sum e con il teocentrismo che caratterizza la sua filosofia e che in questo senso lo situa, oltre che al prin-cipio della nuova era, anche alla fine della precedente, sicché non sembra del tutto errato descrivere questo gentiluomo francese come l'ultimo dei medi-evali ed insieme il primo dei moderni.

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Se abbandoniamo per un momento la dominante interpretazione della storiografia idealistica relativa a questo autore e al suo percorso di ricerca della verità, possiamo considerare in una luce del tutto diversa i contenuti nodali della sua filosofia, dalla quale ancora abbiamo qualcosa da imparare. È merito di un'ermeneutica spiritualistica ed esistenziale averci donato un Cartesio dal volto umano, molto meno pericoloso di quanto possa apparire e molto più fecondo di quanto possiamo attenderci. Non vorremmo tuttavia sostituire dei luoghi comuni storiografici ad altri, senza il necessario vaglio critico e col rischio di inseguire semplicemente delle mode interpretative.

La scoperta del cogito, mentre riveste certamente una valenza liberatoria nei confronti del dubbio metodico, e quindi viene salutata con l'entusiasmo di chi finalmente approda ad una certezza dopo tanto vagare nelle tenebre dell'incerto, d'altro canto pone il soggetto in una situazione di radicale solitudine, imprigionandolo all'interno della “fortezza inespugnabile” che è la propria autocoscienza. Il soggetto di Cartesio, a differenza di quello dell'idealismo, è tutt'altro che connotato dal trionfalismo e dall'ebrezza dell'onnipotenza, al contrario è un soggetto indigente, la cui povertà è infinitamente più grande della ricchezza e che ha bisogno di un qualche intervento esterno per poter recuperare il rapporto con gli altri, con Dio, col mondo e con la stessa corporeità.

“Cartesio sente il cogito come solitudine e vuole uscire da esso, come un prigioniero che vuol uscire dalla sua cella: egli sente la nostalgia della realtà esterna, della trascendenza religiosa, della comunicazione diretta con gli altri esseri umani, e intanto - come un prigioniero - esamina le pareti della sua cella, nella speranza di trovare una via d'uscita all'aria aperta. E il paragone è calzante, perché come le pareti della cella sono formate da pietre, così le pareti che rinchiudono Cartesio sono formate da idee, di esse solo egli può essere certo, ammobiliano le res cogitans, ma al tempo stesso la precludono da ogni partecipazione diretta con l'esterno”13. Se dunque vi è certamente una valenza gnoseologica e metafisica del dubbio e del cogito, in essi permane e risulta decisiva la dimensione esistenziale, per cui la paura di poter ancora essere ingannato (dal genio maligno o dalle proprie false rappresentazioni poco importa) non è affatto fugata dall'esperienza intu-itiva del cogito ergo sum. Come il soggetto potrà dunque aprirsi

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all'accoglienza degli altri, come la soggettività potrà in qualche modo esprimere l'intersoggettività, che pure fa parte del nostro essere nella storia? Come l'io potrà sapere con certezza che le figure che passeggiano sotto la propria finestra non sono “cappelli e mantelli che potrebbero coprire spettri o automi” (II meditazione)14, ma altre soggettività pensanti come la propria?

La ricerca di una via d'uscita dal labirinto della soggettività richiede che l'io non rivolga la propria attenzione tanto all'esterno, bensì che semplice-mente aguzzi la vista per scorgere, tra le tante idee che abitano la propria coscienza, un'idea che ha un contenuto e uno statuto proprio, per i quali non è assimilabile alle altre idee: si tratta dell'idea dell'essere assolutamente perfetto. Traccia dell'infinito nella coscienza, quest'idea fa immediata-mente trasecolare l'io, che al suo cospetto coglie ancor più la misura della propria indigenza ed imperfezione. Ed è proprio l'enorme spro-porzione tra la soggettività e l'idea dell'essere perfettissimo a suggerire che tale idea non può in alcun modo considerarsi prodotto del soggetto pensante. Essa non può non aver origine nello stesso Essere perfettissimo, la cui esistenza a questo punto è necessaria ed imprescindibile per il prosieguo del discorso e per il cammino della conoscenza. Solo a questo punto può riten-ersi definitivamente debellato il regime del genio maligno e possiamo sperare di sapere qualcosa degli altri, del mondo e di Dio. Come scrive Paolo Filiasi Carcano, cogliendo la dimensione soteriologica del teocentrismo cartesiano: “[...] il Dio di Cartesio non è molto diverso dal Dio di Lutero, di S. Ignazio o di Pascal, ed è ugualmente ragione di vita o di morte per colui che lo ricerca”15, tanto che Cartesio stesso non prosegue il suo cammino senza prima essersi prostrato nell'adorazione: “[...] prima di esaminare ciò con maggiore attenzione e passare a considerare altre verità che si possono raccogliere, mi sembra molto opportuno fermarmi qualche tempo a contem-plare questo Dio perfettissimo, a soppesarne i meravigliosi attributi, a considerare, ammirare e adorare l'incomparabile bellezza di questa immensa luce, fino a quando almeno la forza del mio spirito, che ne resta in qualche modo abbagliato, me lo possa permettere. Come la fede ci dice che la sovrana felicità dell'altra vita non consiste che in questa contemplazione della maestà divina, così proviamo fin da ora che una simile meditazione, sebbene incomparabilmente meno perfetta, ci fa gioire della più grande felic-ità di cui siamo capaci in questa vita” (III meditazione)16.

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Condizione di possibilità per un autentico incontro con gli altri è quindi il ri-conoscere, che si fa riconoscenza, in sé la traccia dell'infinito e nello stesso tempo sentire intimamente il senso della propria indigenza e povertà, sperimentare fino in fondo quella solitudine radicale, che sola ci può condurre a rintracciare colui che è interior intimo meo et superior summo meo (Agostino). L'accoglienza dell'altro passa dunque attraverso il ri-conoscimento dell'Altro in noi stessi e negli altri. Di qui il senso di queste brevi considerazioni e di qui la possibilità di andare oltre l'esperienza della solitudine radicale propria della stessa morte: “Siamo ridicoli - scrive Pascal - a cercar riposo in compagnia dei nostri simili: miserabili come noi, impo-tenti come noi, non ci aiuteranno, si morrà soli. Bisogna dunque fare come se si fosse soli; ma allora, si costruirebbero superbi palazzi eccetera? Si cercherebbe la verità senza esitare e, se si rifiuta di farlo, si mostra di preferire la stima degli uomini alla ricerca della verità”17. Se la solitudine radicale che costituisce la condizione originaria della soggettività si può in qualche modo spezzare è a causa di questa presenza dell'Altro in ciascuno di noi, ospite discreto e al tempo stesso esigente, che impone alla nostra cosci-enza di aprirsi all'accoglienza dell'altro che bussa alla nostra porta.

3. Solitudine e Intersoggettività

La modernità, nei suoi esiti illuministici ed idealistici, dimenticherà la dimensione di contingenza e di povertà che caratterizza l'io cartesiano e si sbarazzerà del teocentrismo proprio di questa filosofia per approdare ad una concezione dell'uomo che, come si esprime Rosenzweig, citando Schiller, “avanza col suo bel ramo di palma in mano”18, artefice del proprio destino, della storia e del progresso. La sistematica ideologica prodotta da tale atteggiamento condurrà ad Auschwitz, ad Hiroshima, al Goulag, ponendo interrogativi radicali sulla possibilità stessa di continuare a filosofare dopo lo sterminio dell'uomo ridotto a carne da cannone o da forno crematorio.

Il Novecento filosofico, mentre vive queste situazioni drammatiche, prudentemente ricupera il senso delle proporzioni e l' “io polvere e cenere”19 fa capolino nelle filosofie dell'esistenza che si nascono e si sviluppano in senso radicalmente anti-ideologico. Il soggetto, mentre prende sempre più coscienza della propria fragilità e caducità (del proprio perire), fino a definirsi semplicemente come un sein-zum-Tode (essere-per la morte), si

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apre all'alterità attraverso l'esperienza del Mit-sein (con-esserci), in cui incontra ed accoglie gli altri tentando rapporti di autentica condivisione. La lezione heideggeriana risulta significativa a riguardo e, in un certo senso, finisce col ricongiungere questa filosofia a quella cartesiana, recuper-ando l'originario della soggettività moderna. Heidegger, mentre da un lato avverte che l'incontro con gli altri dovrà necessariamente tener conto dell'io, ossia di quel qualcuno che è l'esserci, d'altro canto sottolinea l'orizzonte di trascendenza (beninteso in senso fenomenologico e non propriamente ontologico), entro cui deve inscriversi il con-essere. “Gli altri - [...] non sono coloro che restano dopo che io mi sono tolto. Gli altri sono piuttosto quelli dai quali per lo più non ci si distingue e fra i quali, quindi, si è anche.

Questo anche-esser-ci con essi, non ha il carattere ontologico di un esser-semplicemente-presente-con dentro un mondo. Il con è un con conforme all'Esserci e l'anche esprime l'identità di essere quale essere-nel-mondo prendente cura e preveggente ambientalmente. Con e anche sono da intendersi esistenzialmente, non categorialmente. Sul fondamento di questo essere-nel-mondo-con, il mondo è già sempre quello che io con-divido con gli altri. il mondo dell'esserci è con-mondo. L'in-essere è un con-essere con gli altri. L'esser-in-sé intramondano degli altri è un con-esserci”20.

L'orizzonte, dicevamo, di questo essere-con autentico è comunque la trascendenza, che, in un famoso e suggestivo testo, Heidegger riferisce alla lontananza originaria dell'uomo: “[questi] in quanto trascendenza esistente, slanciandosi in avanti verso delle possibilità, è un essere della lonta-nanza. Solo attraverso lontananze originarie che egli si forma nella sua trascendenza rispetto a ogni ente, cresce in lui la vera vicinanza alle cose. E solo il saper ascoltare nella lontananza fa maturare nell'esserci, in quanto se stesso, il risveglio della risposta dell'altro, nell'essere assieme al quale esso può rinunciare all'egoità per conquistarsi come autentico se stesso”21. Il superamento dell'egocentrismo che preclude ogni accoglienza dell'a(A)ltro è possibile a partire dalla coscienza del proprio provenire da lontano, del proprio essere altrove, in una dimensione di trascendenza, che qui esprime semplicemente la distanza dell'uomo dal mondo. Punto di arrivo dell'intersoggettività così intesa è comunque di nuovo il sé, ossia la soggettività. Il cammino verso l'altro in fondo è sempre un ritornare a casa

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propria: è l'esperienza del viandante di “Una sera d'inverno”, la poesia di Georg Trakl, ampiamente commentata dal filosofo in Unterwegs zu Sprache22:

Una sera d'inverno

Quando la neve cade alla finestraA lungo risuona la campana della sera,

Per molti la tavola è prontaE la casa è tutta in ordine.

Alcuni nel loro errareGiungono alla porta per oscuri sentieri.

Aureo fiorisce l'albero delle grazieDalla fresca linfa della terra.Silenzioso entra il viandante;

Il dolore ha pietrificato la soglia.Là risplende in pura luce

Sopra la tavola pane e vino.

Lo stesso linguaggio, che consente la comunicazione intersoggettiva, richiede l'orizzonte del silenzio e dell'ascolto per potersi attuare autentica-mente, così come la lontananza è la condizione di possibilità di ogni vici-nanza, la solitudine di ogni relazione, l'io di ogni rapporto con il tu. Il circolo così si chiude con un reditus che impedisce un vero e proprio exitus dall'egoità, paga di essersi autenticamente realizzata nel rapporto con gli altri. L'accoglienza è tale solo e nella misura in cui rientra nell'intenzionalità della coscienza e nelle sue attese. Ritorna il paradigma di Ulisse, nel quale tuttavia continua ad esprimersi il senso del disorientamento e dello smarri-mento.

4. Rivelazione è Orientamento23

Il nostro tempo è il tempo della povertà, ed è diventato tanto povero da non avvertire la mancanza di Dio come mancanza: “La mancanza di Dio significa che non c’è più nessun Dio che raccolga in sé, visibilmente gli uomini e le cose, ordinando in questo raccoglimento [il LÒgoj di Identità e differenza24] la storia universale e il soggiorno degli uomini in essa. Ma nella mancanza di Dio si manifesta qualcosa di peggiore ancora. Non solo gli Dei e Dio sono fuggiti, ma si è spento lo splendore di Dio nella storia univer-sale. Il tempo della notte del mondo è il tempo della povertà perché diviene

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sempre più povero”25. Nella postmodernità si realizza e si esprime in termini eclatanti quel fenomeno della “perdita del centro”, che Hans Sedl-mayr aveva così efficacemente descritto, assumendo come sintomo dell’epoca il messaggio proveniente dalle arti figurative degli ultimi due secoli26 e che Oswald Spengler aveva, con espressione felice e coraggiosa, denominato “tramonto dell’Occidente”27. Evocherò qui soltanto il threnos per Hiroschima di Penderecky e il suo corrispettivo pittorico in Guernica di Picasso, dove non c’è colore: solo nero, bianco, grigio. Tutto è chiaro: le linee disegnano con precisione i piani destinati a colmarsi di colore, ma il colore non c’è: è andato via. Né c’è il rilievo. Colore e rilievo sono due modalità con cui la natura si dà ala percezione dei sensi, eliminare il colore e il rilievo è tagliare il rapporto con l’uomo e col mondo: tagliandolo non c’è più la natura o la vita. In questo quadro c’è, invece, la morte, ma non rappresentata con le sembianze della natura e della vita, perché la morte di Guernica non è la morte naturale al termine della vita, ma il contrario: è la strage. «L’arte di Picasso respinge i modelli della natura e dell’antichità. Non cerca più l’uomo perfetto nel suo complesso; ha perduto la percezione unitaria, strappa un involucro dopo l’altro per rivelare la struttura interna dell’essenza naturale, penetrando sempre più in profondità e mettendo a nudo le immagini di semplici mostri, che Picasso crea con tanta forza e tanta espressione. Si può dire che tutte le correnti futuriste, assai meno importanti della pittura di Picasso, procedano sempre più nella via del dissolvimento» (N. Berdjaev).

L’epoca del disorientamento registra come propria componente non marginale e non meramente epistemologica la frammentazione del senso e del sapere che in esso si produce. Come scrive la Fides et ratio: «E da osservare che uno dei dati più rilevanti della nostra condizione attuale consiste nella “crisi del senso”. I punti di vista, spesso di carattere scientifico, sulla vita e sul mondo si sono talmente moltiplicati che, di fatto, assistiamo all'affermarsi del fenomeno della frammentarietà del sapere. Proprio questo rende difficile e spesso vana la ricerca di un senso. Anzi - cosa anche più drammatica - in questo groviglio di dati e di fatti tra cui si vive e che sem-brano costituire la trama stessa dell'esistenza, non pochi si chiedono se abbia ancora senso porsi una domanda sul senso. La pluralità delle teorie che si contendono la risposta, o i diversi modi di vedere e di interpretare il mondo e la vita dell'uomo, non fanno che acuire questo dubbio radicale,

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che facilmente sfocia in uno stato di scetticismo e di indifferenza o nelle diverse espressioni del nichilismo»28. In questo contesto di “disperazione epistemologica” e di dispersione antropologica, un messaggio particolar-mente illuminante le tenebre della notte del mondo è quello che promana dall’espressione, che Franz Rosenzweig ha adottato come Leitmotiv della propria riflessione e Giovanni Paolo II ha incastonato nella Fides et ratio (n. 15): “Si tratta del mio punto di Archimede in filosofia, che cercavo da lungo tempo […]. Rivelazione è orientamento. Dopo la rivelazionenella natura c'è un "alto" e un "basso", reale, non più relativizzabile: "cielo" e "terra" [...] e nel tempo c'è un "prima" e un "dopo", reale, stabile. Quindi nello spazio naturale e nel tempo naturale il centro è sempre il punto in cui io in quel momento sono [¨ntrwpoj m$tron ap£ntwn]; nello spazio-tempo-mondo rivelato il centro è invece un punto fisso inamovibilmente, un punto che non sposto se io stesso mi trasformo o mi allontano: la terra è il centro del mondo e la storia universale si estende prima e dopo Cristo [qeÕj kaˆ lÒgoj autoà m$tron ap£ntwn] ”29.

La metafora del “punto di Archimede” interpella in maniera più evidente i cultori di discipline fisico-matematiche, mentre quella della “stella polare” chiama in causa l’astronomia e la cosmologia, ma è evidente che il messaggio, con tutta la sua carica profetica tende a coinvolgere lo scienziato (e naturalmente il filosofo e il teologo), piuttosto che le discipline e i saperi, in quanto la verità di cui è portatore non può prescindere dall’esercizio della libertà e quindi non può esprimersi se non in termini storico-salvifici, invocando le nostre scelte fondamentali ed esigendo la nostra sequela. E, d’altra parte, il precedente riferimento al “labirinto” della soggettività consente di rilevare come una “uscita di sicurezza” sia possibile solo in quanto data da un “filo” che viene dal di fuori, ossia è donato da un’alterità non riconducibile ai ghirigori dell’immanenza.

Tornando alla formula dell’Offenbarung-Orienterung,il nesso inscindi-bile tra persona e verità che il “pensiero rivelativo” riconosce come costitu-tivo di un’autentica e liberante conoscenza è stato tematizzato dal pen-siero contemporaneo in alcune sue figure rappresentative ed efficace-mente esposto nelle pagine introduttive dell’importante volume di Luigi Pareyson intitolato, Verità e interpretazione: “quando la libertà cessa di reggere il vincolo originario di libertà e persona, tutto si trasforma. La

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verità dilegua, lasciando il pensiero vuoto e disancorato, e scompare anche la persona, ridotta a mera situazione storica. L’armonia fra dire, rivelare ed esprimere, si rompe, e tutti i rapporti ne risultano sconvolti e profonda-mente alterati. Rivelazione ed espressione si separano definitivamente: senza verità, l’aspetto rivelativo della parola è puramente apparente e si riduce a una razionalità vuota e priva di contenuto; non più riferita alla persona nella sua apertura rivelativa, ma alla situazione nella sua mera temporalità, l’espressione diventa inconsapevole e occulta. La natura della parola degen-era e si sfalda: da un lato un discorso la cui vuota razionalità non si presta che a un’utilizzazione tecnica e strumentale, e dall’altro, mascherato dal discorso esplicito, il vero significato di esso, cioè l’espressione del tempo”30. L’assunzione di una prospettiva rivelativa indica al pensiero alcuni percorsi che Pareyson indica con le seguenti formule: non il nulla, ma l’essere – non l’Abgrund, ma l’Ugrund, non il misticismo dell’ineffabile, ma l’ontologia dell’inesauribile, dove si invoca una “trasvalutazione della parola”31, che ci consente di spezzare una lancia contro il pensiero dominante sia nella cultura diffusa che in quella accademica, che assume una concezione utili-taristica e convenzionalistica del linguaggio, ponendolo nel dominio mera-mente antropologico, come mera espressione di quel “pensiero calcol-ante”, corrispondente heideggeriano del “pensiero espressivo”, che il “pen-siero rivelativo” è chiamato a smascherare e oltrepassare. “Dipendenza senza eteronomia” è la formula che Paul Ricoeur ha coniato per indicare il rapporto testimonianza-parola-rivelazione nel tentativo di superare sia lo scoglio del sacrificium intellectus, inammissibile in rapporto all’idea di rivelazione, sia la pretesa filosofica della “trasparenza totale” della verità, dove “la conquista di un nuovo concetto di verità come mani-festazione – nel senso di rivelazione – richiede il riconoscimento della vera dipendenza dell’uomo che non è sinonimo di eteronomia”32.

5. L'irruzione dell'a(A)ltro

È merito del pensiero di ispirazione biblica, ebraico e cristiano, aver offerto una riflessione profonda sull'intersoggettività e la reciprocità, tale da escludere ogni ritorno all'egoità e rendere possibile un autentico atteg-giamento di accoglienza dell'a(A)ltro33. Se l'esserci heideggeriano conti-nua a muoversi in un orizzonte fondamentalmente soggettivistico, da cui non riescono a sottrarlo neppure le suggestive pagine, poetiche e filoso-

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fiche insieme, prodotte dalla cosiddetta Kehre, non così in autori come Buber34 e Levinas, che si situano nell'orizzonte neo-ebraico, e come Gabriel Marcel35, che elabora una filosofia dell'esistenza di chiara ispirazione cris-tiana. Ragioni di spazio e di ospitalità fanno sì che ci soffermiamo soprat-tutto sul pensiero levinasiano, che si situa esattamente agli antipodi di ogni concezione soggettivistica, elaborando una eterologia, ricca di spunti per una filosofia dell'accoglienza.

Il punto di vista di questo autore complesso e insieme affascinante è quello dell'etica, il cui primato sull'ontologia risulta chiaramente affer-mato in ogni pagina sia delle sue opere più propriamente filosofiche che di quelle comunemente definite “confessionali”. La Torà e il Talmud sono le fonti inesauribili di questo pensiero, che merita tutta la nostra attenzione anche perché assume come prospettiva privilegiata quella dell'a(A)ltro. Si tratta di capovolgere tutto l'itinerario della filosofia occi-dentale, che “dalla Ionia a Iena”36 non sa pensare se non in termini di soggettività. Il nichilismo, pratico e speculativo, che sembra sempre più caratterizzare la post-modernità, non solo filosofica, è frutto di questa direzione impressa al pensiero che non sa “pensare altrimenti” e all'uomo che non sa “essere altrimenti”, dove l'avverbio significa semplicemente dal punto di vista altrui, assumendo l'altro come punto prospettico del nostro fare e del nostro dire.

L'espressione “mettersi nei panni dell'altro” non è qui soltanto metaforica. L'a(Altro) infatti irrompe nella mia esistenza provocando la mia respon-sabilità ed esigendo risposte che giungono alla denucleazione dell'io, al proiettarlo fuori di sé, appunto nell'altro, il cui volto mi interpella scardi-nando tutte le mie pre-comprensioni intenzionali. L'esperienza del lager costituisce l'orizzonte storico ed esistenziale entro cui questo pensiero si situa. In questo senso l'ebreo è coscienza critica della nostra civiltà occiden-tale e della nostra Europa, sicché Levinas dedica una delle sue opere prin-cipali, significativamente intitolata Altrimenti che essere o al di là dell'essenza, “alla memoria degli esseri più vicini tra i sei milioni di assas-sinati dai nazional-socialisti, accanto ai milioni e milioni di uomini di ogni confessione e di ogni nazione, vittime dello stesso odio dell'altro uomo, dello stesso antisemitismo”37. Il razzismo antisemita è dunque il para-digma di ogni pensiero egocentrico, che costituendosi in sistema, non

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si fa scrupolo di sopprimere il diverso o di soggiogarlo. A condizione di pensare altrimenti è possibile il vero esodo del soggetto, che non percorre più l'itinerario di Ulisse, il quale al termine del lungo viaggio si ritrova nella sua stessa casa, allo stesso punto di partenza, bensì il cam-mino di Abramo, che esce dalla propria terra affidandosi completamente all'Altro che lo conduce non più presso il sé, ma nel luogo che gli ha preparato.

L'etica non è scritta su tavole morte, e tanto meno in trattati teorici, essa è rivelata nel volto dell'altro, che è la traccia dell'Altro o dell'Infinito. In particolare lo sprovveduto, il povero, lo straniero, il diverso, la vittima portano impresso nel loro sguardo il comandamento originario: “Tu non mi ucciderai!”, che non va inteso soltanto nel senso della soppressione fisica opera del carnefice, bensì di ogni atteggiamento che porta all'affermazione di noi stessi, prevaricando sugli altri e non mettendoci al loro servizio. L'a(A)ltro è misura di tutte le cose. Pertanto non sarà autenticamente accogliente l'atteggiamento di chi esercita l'ospitalità solo verso persone in grado di ricambiare il suo gesto, magari offrendo semplice-mente una presenza gratificante. La sua irruzione nella mia vita viene piut-tosto a destabilizzare il mio ego ed in quanto tale questo incontro porta l'esperienza della pura trascendenza, non riconducibile ad alcuna attesa previa.

In questo senso Levinas invita a rompere con una concezione dell'amore, inteso platonicamente come nel mito riportato nel Convivio, dove l'amore non fa che ricongiungere due metà originariamente apparte-nenti allo stesso essere, allo stesso androgino primordiale. Se così fosse, l'amore sarebbe semplicemente il nome di una forma di egoismo, perché in esso l'uomo in fondo cerca e trova se stesso e non l'a(A)ltro nella esterior-ità del suo essere diverso. La bontà e quindi l'amore consistono “nell'andare là dove non l'ha preceduta nessun pensiero illuminante - cioè panoramico -, nell'andare senza sapere dove. Avventura assoluta in un'imprudenza primor-diale, la bontà è proprio la trascendenza. La trascendenza è trascendenza di un io. Solo un io può rispondere all'ingiunzione di un volto”38.

L'io così pensato viene da Levinas interpretato come ostaggio nelle mani dell'a(A)altro: “io,vale a dire eccomi per gli altri, che perde radicalmente il suo posto - o il suo riparo nell'essere - che entra nell'ubiquità che è anche

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un'utopia”39. Il Re mendicante che bussa alla porta della mia soggettività esige l'ospitalità, che non consiste solo nell'assunzione di un atteggiamento di buona educazione o di elemosina. “L'altro come lo straniero è l'ospite, verso il quale sono tenuto a esercitare il primo dovere etico: l'ospitalità. La sua condizione di apolide, di senza patria, che lo fa straniero in ogni Paese qualunque esso sia, universalizza l'esigenza dell'accoglienza”40. Levinas riprende l'ospitalità esercitata da Abramo verso i tre misteriosi visitatori.

La “traccia degli dei fuggiti”41 che Heidegger intravvedeva nella poesia, diviene, nel pensiero levinasiano, traccia del totalmente Altro, presente nel volto dell'altro, che rende manifesta la Trascendenza, rivelando la Torà. La presenza dell'Altro nel volto dell'altro è da ritenersi nel senso di una luce riflessa, obliqua, un'esperienza che richiama quella dei posteriora Dei, nel famoso brano dell'Esodo, che pure Cohen aveva commentato42: “L'Altro come traccia. Non la traccia che lascia l'impronta delle dita, dei passi, ma la traccia che è lui stesso o che s'iscrive nel volto. Essenzialmente fuggitiva e traccia cancellata, come una traccia che si è cercato di confondere, e che non è più che la rovina d'una traccia, illeggibile e indelebile. È con-forme alla natura della traccia che essa sia allusiva e nascosta [...]”43.

Il tema della traccia rimanda a quello della gloria. A questo proposito Levinas richiama il nascondersi di Adamo nell'eden, nel tentativo di sottrarsi a Dio che lo cerca: «La gloria si glorifica attraverso l'uscita del soggetto fuori dagli angoli bui del “quanto a sé” che offrono - come i cespugli del paradiso in cui si nascondeva Adamo mentre udiva la voce dell'Eterno Dio percor-rendo il giardino dal lato in cui sorge il sole - una scappatoia alla convoca-zione in cui si mette in moto la posizione dell'Io all'inizio e la possibilità stessa della origine»44. Ma di fronte all'a(A)altro che mi interpella, la soggettività del mio io, è priva di vie d'uscita che le consentano in qualche modo di imboscarsi: l'accoglienza dell'a(A)ltro è dunque la prima respon-sabilità etica, il primo dovere, non estrinsecamente inteso come obbedienza ad una legge convenzionale, bensì inscritto nella stessa traccia che l'a(Altro) porta sul proprio volto. Se le spalle che Dio mostra a Mosé, si possono interpretare come la stessa Torà, che Dio ha donato e continua a donare al suo popolo, allora il primo comandamento e la sua attuazione nella nostra vita, altro non è che l'espressione della gloria di Dio che ci è concessa, mentre abitiamo la contigenza della storia.

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Come il rapporto con l'Altro trascendente, così quello con gli altri, risulta sempre a-simmetrico e mai paritario: non vi è reciprocità tra la mia solitudine radicale (M. Henry)45 e l'irruzione dell'altro, che scon-volge la mia esistenza soggettiva. Questi, nella prospettiva levinasiana, ha sempre e comunque il primato, il suo punto di vista, la sua cultura, il suo orizzonte, per quanto immensamente distanti dai miei, richiedono comunque un atteggiamento di profonda e radicale accoglienza. L'apertura della soggettività non costituisce dunque una sorta di hobby, cui dedicare magari il proprio tempo libero e quanto rimane delle proprie energie dopo una gior-nata o una settimana di duro lavoro. Essa dovrà al contrario costituire una dimensione originaria della nostra esistenza autenticamente intesa: ne va infatti della nostra apertura all'Altro, che viene a redimere la nostra vita: ne va cioè della stessa redenzione.

6. Un triplice esodo verso la “metafisica della agape”

Le vicende della nozione di Dio nel pensiero del Novecento filosofico sembrano percorrere un triplice esodo o subire una triplice metamorfosi, ma si tratta di istanze che hanno caratterizzato l’intero percorso della metafisica cristiana attraverso i secoli46:

• in primo luogo si tratta di liberare il discorso su Dio dalle reti ousio-logiche, ossia di pensare Dio al di là dell’essenza (come diceva Levi-nas e sembra suggerire Marion), superando la metafisica sostanzialis-tica;

• in secondo luogo la nozione di Dio va liberata anche dall’inclusione ontologica, per cui non risulta sufficiente affermare che Dio è l’essere, spesso entificandolo e cadendo nelle aporie di quella onto-teologia tanto deprecata da Heidegger47;

• infine si tratta di pensare Dio come amore agapico, inclusivo (e non esclusivo) sia dell’orizzonte ousiologico e relazionale che di quello onto-logico.

Sicché, piuttosto che pensare Dio senza l’essere, bisogna avere il coraggio di pensarlo oltrel’essere, il che consente il superamento di ogni idolatria, anche speculativa, possibile solo nel permanere di un atteggiamento autenticamente nomadico. In questa prospettiva filosofica la “differenza” lascia così il posto alla “distanza” e la sacralità neopagana è chiamata a

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dissolversi dinanzi alla kenosi. Il pensiero rivelativo recupera così una dimensione “iconica”48, abbandonando l’“idolo” e le sue pretese ege-moniche. Ecco come Marion svolge la propria critica all’idolatria filoso-fica, chiamando in gioco la rivelazione cristiana ed i suoi eventi fon-damentali: “[...] avanziamo una prima domanda: l’Incarnazione e la Resur-rezione del Cristo investono il destino ontologico o restano un avveni-mento puramente ontico? E poi quest’altra: un’obiezione all’indipendenza ontologica di Dio è strettamente legata all’anteriorità irre-futabile del «soggiorno divino» che dovrebbe accoglierlo; ma appunto, in che cosa può dipendere Dio dal soggiorno che Gli prepara l’umanità (in questa o quella figura della storia del mondo)? In realtà, un idolo dipendeintera-mente da questo presupposto, in quanto lo riflette, gli dà un nome e vi trova il proprio volto. Ma l’annuncio ebraico e la rivelazione cristiana mettono in gioco, sullo sfondo di una critica all’idolatria di cui il pensiero moderno non ha ancora potuto fare a meno, una venuta del Dio fra i suoi che si attesta persino quando «i suoi non lo ricevettero» (Gv 1, 11). L’assenza del «soggiorno divino» più che limitare o impedire la manifestazione, ne diventa invece la condizione - come distruzione di ogni idolo che abbia preceduto l’impensabile - la caratteristica - Dio solo può rivelarsi nel momento e nel luogo in cui nessun altro ente divino può esistere - e persino il rischio più grande - Dio si rivela spogliandosi della gloria divina”49.

La rivelazione è allora puro dono e questa sua caratteristica fonda-mentale ha valenza speculativa, ossia mette in gioco lo stesso pensiero, chiamato a “regredire dalla metafisica”, “superando la differenza ontologica”50, e preoccupandosi del darsi stesso dell’amore originario ed originante: “Solo la distanza può dare all’essere che la vanità divenga dono senza ragione, poiché solo lei, che si abbandona in questi doni, sa riconos-cere nella Gelassenheit un’icona della carità”51.La prospettiva sopra indicata di un dono che non ammette alcuna forma di scambio risulta qui roves-ciata e contraddetta, in quanto si dà una dimensione autentica della restituzi-one: “[...] il dire Dxio impone di ricevere il dono, e - poiché il dono avvi-ene solo nella distanza - di restituirlo. Restituire il dono, giocare in ridon-danza la donazione impensabile è qualcosa che non si dice, ma si fa. Alla fine dei conti, l’amore non si dice, ma si fa. Solo allora può rinascere il discorso, ma come un godimento, un giubilo, una lode”52.

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Il tema dell’attesa si coniuga con la metafora dell’“in-crocio”. Qui si tratta dell’in-crocio dell’Essere, al quale è dedicata una lunga sezione del libro Dio senza essere, e la cui realizzazione viene riconosciuta come appartenente solo a Dio: “In-crocio dell’Essere: sino a questo punto non si intravvede chi possa realizzarlo se non Dio. E dunque, dato che solo Dixo potrebbe realizzarlo e dato che, nel migliore dei casi, Dio, possiamo intrav-vederlo solo negli spazi di tempo intermittenti lasciati dalle nostre idolat-rie, negli intervalli dei nostri giochi di specchi, sui margini dell’abbagliamento solare nel quale culminano i nostri sguardi, è evidente che questo in-crocio possiamo scorgerlo solo a momenti. Infatti ciò che in-crocia l’Essere, eventualmente, si chiama agape. L’agape sorpassa ogni conoscenza, con un’iperbole che la definisce e, indissolubilmente, ne preclude l’accesso. L’in-crocio dell’Essere si gioca al nostro orizzonte, innanzitutto perché solo l’Essere apre lo spazio nel quale appaiono gli enti; in secondo luogo perché l’agape non ciappartiene di per sé. Noi dipendiamo - in quanto enti - dal governo dell’Essere. E non accediamo neppure in quanto «peccatori» all’agape. L’in-crocio dell’Essere, dunque, ci eccede e ci sfugge [...]”53.

Sul piano più propriamente antropologico, mi sembra particolarmente istruttivo, stimolante, ma anche necessario di approfondimento, quanto rilevato a proposito della spiritualità dell’uomo postmoderno e della “metamorfosi di Dio”54 che in essa si producono, ancora una volta nel tenta-tivo di mostrare la capacità della Rivelazione orientante di intercettare tali istanze e di offrire delle risposte credibili. La pertinenza rispetto alla tematica di questo momento del nostro percorso, è fin dall’inizio facilmente rilevabile: “L’uomo religioso moderno – scrive F. Lenoir – è un nomade più che un sedentario. Segue diverse piste, percorre cammini, rimane aperto agli incontri della vita, senza mai poter affermare di essersi stabilito da qualche parte. Non costruisce, più che altro si accampa. […] Come possiamo capire quest’abbondanza di credenze e di pratiche così diverse che si esprimono sotto i nostri occhi, questa religiosità fluttuante – à la carte – che si sviluppa nel cuore o a margine delle tradizioni religiose?”55. La pos-sibilità per il messaggio cristiano di incrociare l’uomo nomade del nostro tempo, risiede nella capacità di mettersi in cammino e di indicare la stella capace di orientarne il vagare errante, non senza tener conto dei rischi con-nessi all’adozione acritica dell’immagine di Dio che alberga nella mente e nel cuore di molti nostri contemporanei.

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In questo senso si tratta di prendere sul serio le tre metamorfosi descritte da Lenoir. La prima di esse riguarda la parabola da una immagine del Dio persona a quella di un divino impersonale, non ben definibile ed identificabile56. Non sempre ci si rende conto, infatti che tale metamorfosi teologica implica piuttosto un regresso che un vero e proprio progresso nella nozione di Dio e del divino, con l’aggravante che la spersonalizzazione di Dio comporta inevitabilmente e drammaticamente la spersonalizzazi-one dell’uomo e quindi la sua reificazione. La rivelazione di fronte a questa istanza non può che dialetticamente, o meglio profeticamente, denunciarne gli esiti catastrofici e disumanizzanti.

Una seconda metamorfosi viene descritta come passaggio da una modalità estrinseci sta di Dio a una percezione del divino capace di abitare nel sé57. Si tratta dell’istanza dell’interiorità che una teologia attenta non può facilmente eludere, ma che non può non cercare di integrarsi con quella alterità, sopra richiamata, a salvaguardia della trascendenza del Dio d’Israele e di Gesù Cristo, che non si lascia immanentizzare, col rischio dell’antropomorfizzarsi. Sul piano più propriamente antropologico, si tratta di non rassegnarsi al solipsismo, che stranamente quella che denomin-iamo società della comunicazione spesso induce.

Una terza ed ultima trasformazione riguarda la configurazione del divino rispetto al mondo, per cui si passerebbe dalla immagine di un Dio estraneo rispetto al cosmo a quella dell’animamundi, con l’ulteriore processo ten-dente a determinare una sorta di “femminilizzazione del divino”58. Di fronte a questa sfida la teologia dovrà continuare a riflettere la tematica della creazione, mostrando al suo interno la consistenza del legame crea-turale che rende il senso della presenza di Dio nel mondo e nell’uomo, ma al tempo stesso non rinunziando ancora una volta all’alterità che il codice creazionista impone, a fondamento di quella “autonomia delle relatà terrene”, che tra l’altro rende possibile e plausibile la ricerca scientifica e filosofica, incrociando in maniera feconda un’istanza moderna da non lasciar cadere. In quanto questa terza metamorfosi – come Lenoir stesso riconosce – esprime una nostalgia degli dei e una sorta di neopaganesimo, anch’essa non può non essere interpretata nella sua dinamica regressiva, che comporterebbe un configurarsi del post-cristianesimo in senso pre-cristiano e quindi anche pre-moderno, con conseguenze devastanti per la

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civiltà occidentale e non solo. Resta comunque ancora molto lavoro sia teologico che pastorale da compiere perché l’uomo di oggi riesca a percepire il volto materno di Dio, nella comunità credente e in Maria, alla quale la devozione popolare è sempre costantemente attenta e della quale è giusta-mente gelosa.

La situazione nomadica, dell’uomo biblico come di quello postmod-erno, rimanda alla necessità di stipulare alleanze, non senza un accurato discernimento relativamente ai partners da assumere come compagni di viaggio. Non a caso Dio stesso ha voluto utilizzare e privilegiare questa modalità nomade di rapportarsi all’uomo e al popolo. L’esegesi ha mostrato come la struttura dell’alleanza di Dio col popolo adotti lo schema dei trattati di vassallaggio. La corrispondenza degli elementi di questo schema (presentazione – prologo storico – clausole – sacrificio cruento – aspersione dei contraenti – benedizioni/maledizioni – eventuale riferimento ai testi-moni) con quelli soggiacenti ai patti di vassallaggio tipici dell’ambiente mesopotamico, oltre che indicare l’asimmetria della relazione con Dio, mostra il profondo rapporto fra la Sua automanifestazione e la storia e la cultura del popolo cui è destinata, in quanto ne adotta la lingua, i costumi, la mentalità, secondo una legge fondamentale della rivelazione biblica, che, per noi cristiani, troverà in Cristo il suo compimento: la legge dell’incarnazione: “La storia, quindi, diventa il luogo in cui possiamo costatare l'agire di Dio a favore dell'umanità. Egli ci raggiunge in ciò che per noi è più familiare e facile da verificare, perché costituisce il nostro contesto quotidiano, senza il quale non riusciremmo a comprenderci” (FeR, 12).

7. Viatico

Questo percorso, allora, ben lungi dal costituire una professione di ateismo, neppure metodologico, non significherà che la spoliazione del divino e la sua inanizione59, ma anche il carattere “nomadico” del Dio biblico. Insieme all’orientamento della voce, all’arameo errante (che sta per perdersi e per perire) viene offerto un nutrimento e un sostegno. Nelle antiche scritture questo cibo porta un nome enigmatico, che esprime un interrogativo: man hû’. Nel Nuovo Testamento il viatico dell’errante, si chiama eucaristia. Marion - sulla scia di Blondel60 - recupera la tematica eucaristica, inserendola nel suo discorso “fenomenologico”, che a questo

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punto assume sembianze teologiche: “L’Eucaristia diventa così il banco di prova di ogni sistematica teologica, perché, conglobando tutto, lancia al pensiero la sfida più decisiva”61. Il filosofo tenta di mettere in luce la dimensione rivelativa del mistero eucaristico, attraverso il concetto di “presenza” come “dono”, in un saggio fuori testo, che richiama (nel titolo soltanto) le riflessioni di Derrida, ma che può essere letto come prezioso contrappunto alla tematica del “dono senza presente”, che caratterizza il commercio in cui esercita i propri calcoli la ragione economica: qui al contrario il dono è al presente, in quanto realizza la presenza dell’Altro nella storia e nella vita di ciascuno. L’atteggiamento adorante di fronte al pane e al vino, consegnati per noi, realizza la “presenza” del Signore e vince ogni idolatria religiosa e speculativa: “Solo nella preghiera diventa possi-bile una «spiegazione», cioè una lotta tra l’umana incapacità di ricevere e l’insistente umiltà di Dio che non cessa di colmare. E se non sarà sconfitto in questa lotta, il pensiero non riuscirà mai a vincere speculativamente”62.

Per ulteriori approfondimenti dei temi trattati: G. LORIZIO, Le frontiere dell’Amore, Saggi di teologia fondamentale, Lateran University Press, Roma 2009 [www.e-lup.com].

1 Cf Deuteronomio, a cura di A. PENNA, Marietti, Torino – Roma 1976, 218-219. Anche se l’esegesi più recente tende a minimizzare la dimensione cultuale-simbolica del testo, ritenendo di rinvenire in esso una pura e semplice dichiarazione di identità, la lettura “teo-logica” che qui proponiamo sulla scorta dell’esegesi precedente ci sembra plausibile e particolarmente significativa ai fini della nostra tematica. L’opposizione tra la figura del nomade e quella del pellegrino che certa letteratura recente accoglie e propaganda, manca di fondamento biblico-teologico, in quanto il pellegrinaggio cristiano risulta fondato sul nomadismo originario della fede ed è solo ulteriore rispetto ad esso. Il pellegrinaggio, infatti, esige un un tempio o comuqnue un luogo di culto “sedentario” che né l’Israele né il Cristianesimo delle origini conoscono (ricorderemo soltanto che il culto dei primi cristiani era un culto domestico e quindi “nomade” da una casa all’altra).

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2 H.U. VON BALTHASAR, La verità è sinfonica, op. cit., 93.3Ib., 29.4Ib., 54.5 E. LEVINAS, Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger, Raffaello Cortina, Milano 1998, 217-219.6 De Decalogo, 47.7 Il confronto serrato con la modernità è ineludibile e, con riferimento alla storia della filoso-fia moderna, mi sono in più occasione cimentato con i testi più significativi che l’epoca moderna ha prodotto, cercando di superare una visione manualistica della stessa. Qui riprendo alcuni risultati del mio ormai quasi trentennale lavoro, in altri miei saggi già cristallizzati. Non si tratta né di assumere un antistorico atteggiamento antimoderno, né di soccombere al modernismo, bensì di leggere ed interpretare gli esiti del pensiero moderno secondo la duplice dimensione simpatetica e profetica, che la fede impone nel momento in cui si attua il discernimento anche culturale rispetto all’umano, così come nelle diverse epoche storiche esso si esprime.8 G.F.W. HEGEL, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Bari 1979, 18.9 Cf J.ATTALI, L’homme nomade, Fayard, Paris 2003. Per approfondimenti in chiave filosofica del tema cf E. BACCARINI (ed.), Il pensiero nomade. Per un’antropologia planetaria, Cittadella, Assisi 1994.10 Cf P. ROSSI, Paragone degli ingegni moderni e postmoderni, Il Mulino, Bologna 1989. Sul "post-moderno" cf anche: P. POUPARD (ed.), Parlare di Dio all'uomo postmoderno. Linee di discussione, Città Nuova, Roma 1994; J. VERHAAR, "Aspetti del postmoderno", in Civ. Catt. 3470 (1995), I, 135-142. La letteratura è comunque molto abbondante: per quel che concerne il nostro punto di vista cf G. LORIZIO, "Prospettive teologiche del post-moderno", in RdT 30 (1989) 539-559.11 “Lang ist / Die Zeit, es ereignet sich aber / Das Wahre” (Mnemosyne - zweite Fassung) [F. HÖLDERLIN, Le liriche, Adelphi, Milano 1977, II, 288].12 Cf R. GUARDINI, La fine dell'epoca moderna, Morcelliana, Brescia 1960.13 P. FILIASI CARCANO, Carattere e critica della problematica cartesiana, Bulzoni, Roma 1974 (ad instar manuscripti), 101s.14 R. DESCARTES, Opere filosofiche, UTET, Torino 1981, 210.15 P. FILIASI CARCANO, Carattere e critica della problematica cartesiana, op. cit., 26.16 R. DESCARTES, Opere filosofiche, op. cit., 227.17 B. PASCAL, Pensieri, Opuscoli, Lettere, Rusconi, Milano 1978, 529 [fr. 211 Brunschvicg - 351 Chevalier].18 La citazione si trova nella cosiddetta Urzelle [= cellula originaria de La stella della redenzi-one]: F. ROSENZWEIG, Il nuovo pensiero, Arsenale, Venezia 1983, 21.19 Ibidem.

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20 M. HEIDEGGER, Essere e tempo, a Longanesi, Milano 19764, 153 [= ? 26: "Il con-esserci degli altri e il con-essere quotidiano"].21 M. HEIDEGGER, Dell'essenza del fondamento, in ID., Segnavia, Adelphi, Milano 1987, 131.22 M. HEIDEGGER, In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1973, 27-44.23 Riprendo qui il confronto col pensiero d’ispirazione ebraica più volte riproposto nei miei scritti, non tanto per voler ripetere cose già dette, quanto per il fatto che alla luce del contesto nomadico contemporaneo, tali acquisizioni possono risultare ulteriormente pregnanti ed essere rivisitate in una nuova prospettiva. Risulta particolarmente significa-tivo a questo riguardo il percorso messo in atto dal filosofo tedesco Werner Stegmaier, che, a partire dali anni novanta del secolo scorso, ha organizzato l’intero istituto di filoso-fia a lui affidato intorno al concetto di “orientamento” e che recentemente ha pubblicato un ponderoso volume, nel quale individua le possibili implicanze, non solo filosofiche, di questa prospettiva: W. STEGMAIER, Philosophie der Orientierung, de Gruyter, Berlino – New York 2008. Tra i classici del pensiero cui far riferimento è imprescindibile il saggio di Kant del 1786 (cf I. KANT, Che cosa significa orientarsi nel pensiero?, Adelphi, Milano 1996. A partire da questo contributo e nella linea della sua interessante interpretazione di Kant, il filosofo italiano Adriano Fabris, si è audacemente cimentato con la tematica dell’orientamento, inscrivendola nell’orizzonte della ricerca sul senso (cf A. FABRIS, “Kant e il problema del senso. Un percorso attraverso metafore”, Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia 2 (2000) [inserito il 10 aprile 2000], disponibile su World Wide Web: http://mondodomani.org/dialegesthai/af01.htm).24 “Il LÒgoj raccoglie ogni cosa in ciò che è generale fondando [gründend] e raccoglie ogni cosa a partire da ciò che è unico giustificando la fondazione [begründend]. Che questo LÒgoj inoltre, celi in sé la provenienza essenziale dell’impronta [Prägung] dell’essenza del linguaggio e determini quindi il modo del dire in quanto tale dire è, nel senso più ampio, qualcosa di logico, può qui essere notato soltanto di passaggio” [M. Heidegger, Identità e differenza, trad. di U. M. Ugazio, in Aut Aut 187-188 (1982) 34].25 M. HEIDEGGER, Perché i poeti?, in Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 19916, 247. 26 H. SEDLMAYR, Perdita del centro, cit.27 O. SPENGLER, Il tramonto dell’Occidente, Longanesi, Milano 19814, 36-37.28 FeR, 81.

29 GS, III, 1984, 125-138: F. ROSENZWEIG, Cellula originaria della «Stella della redenzione» (= Urzelle) in ID., Il nuovo pensiero, cit., 19-20. Il riferimento cristologico non deve trarci in inganno, esso è dovuto ad Eugen Rosenstock, l'interlocutore epistolare di Rosenzweig, al quale aveva rivolto la domanda su cosa intendesse per "rivelazione". Il testo sopra riportato è praticamente la risposta dell'amico, convertito al cristianesimo. Cf natural-mente il capolavoro di questo pensatore: F. ROSENZWEIG, La stella della redenzione, Mari-etti, Casale Monferrato 1985.

30 L. PAREYSON, Verità e interpretazione, Mursia, Milano 19823, 19.

31 Cf ib., 27-28.

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32 P. RICOEUR, Testimonianza, parola e rivelazione, Dehoniane, Roma 1997, la cit. a p. 133. 33 Per ulteriori approfondimenti cf X. TILLIETTE, "Dall'uno all'altro. Solitudine e intersogget-tività", in ID., Il Cristo dei non credenti e altri saggi di filosofia cristiana, AVE, Roma 1994, 143-172.34 Cf M. BUBER, Il principio dialogico, Comunità, Milano 1959.35 Cf G. MARCEL, Giornale metafisico, Abete, Roma 1966; ID., Il mistero dell'essere, Borla, Torino 1970.36 ROSENZWEIG, La stella della redenzione, cit., 12.37 E. LEVINAS, Altrimenti che essere o aldilà dell'essenza, Jaca Book, Milano 1983, V.38 E. LEVINAS, Totalità e Infinito. Saggio sull'esteriorità, Jaca Book, Milano 1980, 313.39 E. LEVINAS, Altrimenti che essere, op. cit., 228.40 X.TILLIETTE, "Il discorso lancinante di Emmanuel Levinas", in Civ. Catt. 3181 (1983), I, 21s.41 Cf M. HEIDEGGER, Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze, 247ss.42 Cf H. COHEN, Religione della ragione dalle fonti dell'ebraismo, S. Paolo, Cinsiello Balsamo 1994, 158. Abbiamo presentato questo testo classico del pensiero neo-ebraico in G.LORIZIO, "Ragione e Rivelazione tra Ebraismo e Modernità", in RdT 36 (1995) 97-105. Per un’interpretazione teologico-fondamentale dei posteriora Dei si veda il cap. V del presente volume.43 X. TILLIETTE, "Il discorso lancinante di Emmanuel Levinas", art. cit., 25s.44 E. LEVINAS, Altrimenti che essere, op. cit., 181-182.45 A proposito dell'immanenza radicale della soggettività e di questo filosofo, cf G. LORIZIO, "La parousia dell'assoluto nel pensiero di Michel Henry", in ID., Morte e sopravvivenza, AVE, Roma 1995, 73-106.46 A giustificazione critica dell’itinerario qui sopra proposto, si veda l’Excursus posto al termine di questo capitolo.47 Cf M. HEIDEGGER, Identität und Differenz, G. Neske, Pfüllingen 1957, in particolare il saggio «Die onto-theo-logische Verfassung der Metaphysik» [trad. it in Teoresi 21 (1966) 5-22 e 213-235 e in Aut Aut 187-189 (1982) 2-37].48 Una ripresa di questa prospettiva in chiave cristologica in: C. SCHÖNBORN, L'icona di Cristo. Fondamenti teologici, San Paolo, Cinisello Balsamo 1988; C. GRECO, «Gesù Cristo, icona del Dio invisibile», in ID., Cristologia e Antropologia. In dialogo con Marcello Bordoni, AVE, Roma 1994, 156-180.49 J. L. MARION, L'idolo e la distanza, Jaca Book, Milano 1979, 218.50 Ib., 236.51 Ib., 249.52 J. L. MARION, Dio senza essere, Jaca Book, Milano 1987, 135.

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53 Ib., 137.54 Cf a tal proposito F. LENOIR, Le metamorfosi di Dio. La nuova spiritualità occidentale, Garzanti, Milano 2005. Più in generale e sempre come termine di confronto si può leggere R.DEBRAY, Vita e morte dell’immagine. Una storia dello sguardo in Occidente, Il Castoro, Milano 1999.55 F.LENOIR, Le metamorfosi di Dio, op. cit., 7.56 Cf ib., 272-281.57 Cf ib. 282-289.58 Cf ib., 289-306.59 Il riferimento alla kenosis del Logos può risultare pregante anche per la riflessione filosofica (“Si potrebbe però pensare che l’origine della razionalità della kenosi sia per l’appunto l’esperienza riflessiva della ragione umana che spera, che ha fiducia in un evento di cui non può realmente impossessarsi” – P. GILBERT, "L’unità della fede e i molti modi della razionalità”, art. cit., 307). Non si tratta di cedere alla debolezza del pensiero, qualora si abbia presente quanto abbiamo più volte richiamato, ossia il fatto che la logica della fede cristiana ha certamente un principio kenotico, ma poggia sul fondamento agapico (ma su questo avremo modo di tornare).60 Cf a proposito di Blondel, M. ANTONELLI, L'Eucaristia nell' "Action" (1893) di Blondel. La chiave di volta di un'apologetica filosofica, Glossa, Milano 1993; H. VERWEYEN, «Maurice Blondels Philosophie der Offenbarung im Horizont «postmodernen» Denkens”, in Archivio di filosofia 62 (1995) 423-437.61 J. L. MARION, Dio senza essere, op. cit., 193. Cf l'intero capitolo, intitolato «Del sito eucaris-tico della teologia» (ib., 169-189).62 Ib., 218-219.

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MARCIA PER LA PACE 2010Se vuoi coltivare la pace custodisci il creato

SABATO 23 GENNAIO 2010

In concomitanza con le celebrazioni dedicate a San Pietro Celestino, sa-bato 23 Gennaio prossimo, si rinnoverà l’appuntamento con la Marcia perla Pace attraverso le vie di Pescara. L’evento fortemente voluto dall’arcive-scovo di Pescara - Penne monsignor Tommaso Valentinetti e organizzatodalla Caritas diocesana, dagli uffici di Pastorale Giovanile e Sociale con di-verse associazioni laicali ecclesiali e non, quest’anno sposerà la tematicaambientale avendo come slogan il titolo del messaggio di Papa BenedettoXVI pubblicato in occasione della Giornata Mondiale per la Pace del 1Gennaio:”Se vuoi coltivare la Pace, custodisci il Creato”. «L’idea – spiegaValeria Pellicciaro, responsabile dell’ufficio Mondialità della Caritas – èquella di sensibilizzare la collettività alla salvaguardia del creato». La Mar-cia per la Pace 2010 prenderà il via alle ore 21 dall”Ex Aurum”, dove ingiornata si terranno laboratori sull’educazione ambientale che coinvolgeran-no scuole e parrocchie, per poi transitare in via della Pineta, viale Pindaro,viale D’Annunzio e concludersi nella Cattedrale di San Cetteo.

Interverrà agli eventi don Fabio Corazzina

Il Programma:

• ore 10.30Laboratori sulla educazione ambientaleScuola direzione didattica VII circolo - Pescara

• ore 16.00Labotori sulla educazione ambientale e la salvaguardia del creatoEx Aurum - Pescara

• ore 19.00Santa MessaStella Maris - Pescara

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• ore 20.00Stand informativiEx Aurum - Pescara

• ore 21.00Apertura e preghiera iniziale MarciaEx Aurum - Pescara

• ore 22Arrivo della MarciaCattedrale San Cetteo

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ERRATA CORRIGE

Nel Bollettino n 1. del 2009 alla voce QUESTUE IMPERATE (Anno2008) nella Sezione Vita Diocesana/Amministrazione si è omesso ilversamento di euro 150,00 ricevuto dalla Parrocchia S. Luigi in Pescara perl’UNIVERSITÀ CATTOLICA.