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ANALISI DELLE STRATEGIE COMMERCIALI E DI MARKETING DELLE COOPERATIVE AGRO-ALIMENTARI: APPROFONDIMENTO SULLE PROBLEMATICHE RELATIVE ALLEXPORT E POTENZIALITÀ DI ESPANSIONE SUI MERCATI ESTERI Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

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ANALISI DELLE STRATEGIECOMMERCIALI E DI MARKETING DELLE COOPERATIVE AGRO-ALIMENTARI:

APPROFONDIMENTO SULLE PROBLEMATICHE RELATIVE ALL’EXPORT E POTENZIALITÀ DI ESPANSIONE SUI MERCATI ESTERI

Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

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Documento prodotto con il contributo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali

Responsabile della pubblicazione:

EGIDIO SARDO

Responsabile scientifico:

CAMILLO ZACCARINI BONELLI

Responsabile del progetto:

ROBERTO D’AURIA

Redazione:

FRANCO TORELLI, GILBERTO PESCI,

PAOLO GHIACCI

Elaborazione dati:

GIUSEPPE FORNACIARI

Progetto grafico ed impaginazione:

DAVIDE BARILLÀ

Il presente studio è stato realizzato grazie alla preziosa collaborazione, nella raccolta delle informazioni, degli operatori della cooperazione agroalimentare e della distribuzione e del commercio alimentare italiana ed estera, nonché gli Enti e le Istituzioni impegnati a sostenere le imprese esportatrici. Si segnala l’importante contributo delle Centrali cooperative nella fase di progettazione e organiz-zazione dell’indagine. In questo ambito un sentito ringraziamento va agli esperti Giorgio Unis e Giuseppe Piscopo, intervenuti fattivamente nel gruppo di lavoro di progettazione e di verifica dei risultati.

Un sentito riconoscimento va alla Direzione gene-rale per la promozione della qualità agroalimentare e dell’ippica del MiPAAF e all’ufficio competente, in particolare a Stefano Soldano, Vincenzo D’Ambrosio e Patrizia Colasanti, per il sostegno ricevuto nella fase di sviluppo e discussione dei risultati dello studio.

ANALISI DELLE STRATEGIE COMMERCIALI E DI MARKETING DELLE COOPERATIVE

AGRO-ALIMENTARI:

APPROFONDIMENTO SULLE PROBLEMATICHE RELATIVE ALL’EXPORT E POTENZIALITÀ DI

ESPANSIONE SUI MERCATI ESTERI

Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

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INDICE4

1. GLI OBIETTIVI DELL’INDAGINE 6

2. LE METODOLOGIE ADOTTATE 8 3. LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE 10

3.1. Il campione 103.2. L’attività di esportazioni 113.3. Le strategie attuate 123.4. Le principali barriere e le difficoltà incontrate 163.5. Essere cooperativa 213.6. La conoscenza, l’utilizzo e le valutazioni degli strumenti istituzionali di supporto all’export 233.7. Gli atteggiamenti relativi alla contraffazione 263.8. Le previsioni e le preoccupazioni per il futuro 28

4. LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LERELATIVE CONSEGUENZE 294.1. Inquadramento 294.2. Barriere non tariffarie 314.3. Bric: barriere tariffarie 464.4. Alcune considerazioni 49

5. LA TUTELA DEI MARCHI, LA CONTRAFFAZIONE, L’ITALIAN SOUNDING 515.1. Premessa 515.2. Ambiti 515.3. Settori, canali, consumatori 535.4. Anche gli italiani 545.5. Catene Gdo e Private Label 555.6. I risultati delle rilevazioni nei punti vendita 565.7. Dimensioni e produttori 655.8. Protezione e opportunità 67

6. GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE 696.1. Gli strumenti in Italia 69

6.1.1. Premessa 696.1.2. L’agroalimentare italiano: una eccellenza 716.1.3. Il supporto del settore pubblico all’internazionalizzazione 756.1.4. La cabina di regia per l’Italia internazionale 776.1.5. Il coordinamento tra i vari attori 816.1.6. Il sistema italiano di supporto all’export 826.1.7. Gli strumenti istituzionali finanziari e assicurativi 104

6.2. Gli strumenti in Germania 1106.2.1. Il mercato alimentare tedesco: caratteristiche e opportunità di business 1106.2.2. Il sistema tedesco di promozione all’estero 1146.2.3. Il sistema tedesco di supporto all’export agroalimentare 1176.2.4. Il supporto finanziario e assicurativo all’export tedesco 1226.2.5. Case History - Il modello bavarese 127

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5INDICE

7. L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE 141

7.1. Ungheria 1417.1.1. La fotografia del paese 1417.1.2. L’import e l’export 1417.1.3. I consumi alimentari e la distribuzione commerciale 1437.1.4. Requisiti richiesti al fornitore 1467.1.5. Prodotti concorrenti di quelli italiani 1477.1.6. Forze e debolezze dell’offerta italiana 1477.1.7. I canali di vendita del prodotto italiano 1487.1.8. Barriere all’importazione 1517.1.9. Le prospettive dell’economia ungherese e dell’export italiano 152

7.2. Regno Unito 1537.2.1. Il contesto 1537.2.2. I pareri delle istituzioni 1547.2.3. I pareri degli operatori 1577.2.4. I pareri dei consumatori 161

7.3. Svezia 1687.3.1. Il contesto 1687.3.2. I pareri delle istituzioni 1697.3.3. I pareri degli operatori 1717.3.4. I pareri dei consumatori 1737.3.5. Il gioco competitivo attraverso la lettura degli scaffali 1807.3.6. Una analisi quantitativa 1807.3.7. Alcuni spunti qualitativi 192

8. ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI 2008.1. Le valutazioni e le previsioni espresse dalle cooperative 2008.2. Le barriere tariffarie e non tariffarie 2038.3. La tutela dei marchi, la contraffazione, l’Italian sounding 2048.4. Gli strumenti a supporto dell’internazionalizzazione 2078.5. Dalla lettura degli scaffali 2108.6. Contesto e potenzialità delle esportazioni in Ungheria 2128.7. Contesto e potenzialità delle esportazioni in Svezia 2148.8. Contesto e potenzialità delle esportazioni nel Regno Unito 216

9. ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI 218

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La ricerca si è focalizzata sul settore della cooperazione agro-alimentare, sotto l’aspetto delle scelte e delle politiche commerciali e di marketing con una particolare attenzione al mercato estero. Queste tematiche si sono rivelate nodi particolarmente critici nella gestione commerciale, verso cui le cooperative hanno mostrato una accentuata sensibilità.Data la saturazione della domanda interna, gran parte delle cooperative cerca infatti strade di sviluppo sui mercati esteri, tanto che molti interlocutori hanno definito l’attività di export come una strategia di sopravvivenza o comunque di vitale importanza. L’obiettivo ultimo era l’identificazione di spazi e di potenzialità di miglioramen-to in termini di incisività, di relazioni commerciali con i diversi gruppi di clienti esteri, di potere contrattuale e, in definitiva, di margini economici ottenibili.Più in dettaglio, le tematiche conoscitive oggetto dello studio possono essere sintetizzate nei punti di seguito riportati.

La tutela dei marchi e la lotta alla contraffazione/Italian sounding

Solo potendo disporre di dati certi, le imprese cooperative potranno pianifi-care strategie promozionali e commerciali tese a riappropriarsi di parte della domanda di Made in Italy oggi soddisfatta da imitazioni, e potranno trasformare l’Italian sounding da minaccia a opportunità. Si è analizzata quindi la presenza di contraffazioni e di quella zona “grigia” di prodotti a scaffale che non possono essere chiamati di contraffazione, ma che sono in grado di evocare lo stile italiano ed eventualmente di creare confusione percettiva nel consumatore estero.

Gli atteggiamenti, le opinioni e i comportamenti che caratterizzano la clientela estera in relazione alle cooperative italiane

Questa fase ha studiato, presso operatori commerciali e consumatori esteri, le valenze dell’origine italiana e in modo specifico della provenienza da una cooperativa italiana, i fattori di stimolo rispetto all’accettazione di prodotti prove-nienti dal mondo della cooperazione italiana, le richieste da parte degli operatori esteri rivolte al fornitore, i vincoli nei rapporti commerciali, le attese corrisposte e non corrisposte, le strategie da implementare. Si sono presi in esame da un lato i clienti intermedi (grossisti, buyer della distribuzione moderna, imprese di trasformazione, operatori dell’Horeca), dall’altro i consumatori finali. Dato l’obiettivo principale, costituito dalla raccolta di opinioni sui prodotti italiani e sulla matrice cooperativa di questi prodotti, si è ritenuto utile indagare paesi in cui la presenza italiana sia già ora effettiva. Si sono considerati tre paesi appartenenti a tipologie diverse, tutti però caratteriz-zati dall’esistenza di relazioni commerciali da parte per lo meno delle maggiori cooperative italiane (per molte cooperative di minore dimensione, si tratterebbe invece di mercati ancora da scoprire): il Regno Unito, quale paese caratterizzato

1. GLI OBIETTIVI DELL’INDAGINE

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GLI OBIETTIVI DELL’INDAGINE

da una tradizionale buona presenza delle produzioni italiane, ma coinvolto dalla crisi economica, al fine di capire come affrontare un mercato buon cliente, ma in un’ottica e con esigenze legate a un periodo critico; la Svezia, come paese che mantiene una buona capacità di spesa e un elevato livello di reddito, nonostan-te la crisi economica mondiale, al fine soprattutto di capire i motivi per cui le cooperative hanno visto ridurre i propri volumi di vendita nonostante la tenuta del livello di ricchezza, oltre che per identificare soluzioni opportune; un paese dell’Est Europa (Ungheria), per individuare esigenze e attese espresse da parte di un mercato emergente in cui la rete di rapporti commerciali con le cooperative italiane è meno sviluppata.

Le conseguenze delle barriere tariffarie e non tariffarie

Al fine di lavorare per ridurre le barriere tariffarie e non tariffarie cui sono sottoposti i prodotti nelle nostre aziende in ambito internazionale (restrizioni alle importazioni di alcuni paesi europei a causa dalla mancata armonizzazione dei residui sui fitofarmaci, dazi e normative igienico-sanitarie in molti paesi terzi con lo scopo di tutelare le produzioni locali, ecc.), si è effettuato un esame del fenome-no, per quanto riguarda alcuni mercati di interesse per il prodotto italiano.

Gli strumenti a supporto dell’internazionalizzazione

In Italia esiste una serie di strumenti istituzionali che svolgono il ruolo di sup-porto all’internazionalizzazione. Con questa fase di indagine si sono studiati la conoscenza e l’utilizzo di questi strumenti, la loro rispondenza alle esigenze delle cooperative, gli spazi e le modalità di miglioramento, la necessità di uno strumento operativo unico sul modello delle EX-IM (Export-Import) Bank. Inoltre, si sono analizzati alcuni importanti casi esteri di istituzioni ed organismi che offrono alle proprie aziende un supporto pubblico esteso e integrato.

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Fase desk

Una fase di lavoro è stata di tipo desk, attraverso la raccolta, la selezione e la ri-elaborazione di dati e informazioni esistenti, al fine di tracciare un quadro sotto l’aspetto delle problematiche commerciali e in particolar modo con questi scopi:

• mappare il fenomeno delle barriere sanitarie e tariffarie, a livello globale e disaggregando per settori merceologici o gruppi di prodotti, per quanto riguarda alcuni mercati;

• identificare gli strumenti istituzionali a supporto dell’internazionalizzazione in Italia e soprattutto analizzare alcuni importanti casi esteri di istituzioni od organismi che offrono alle proprie aziende un valido supporto pubblico;

• delineare, descrivere e classificare il fenomeno dell’Italian sounding legato ai prodotti agroalimentari italiani nel mondo.

Case history di strumenti a supporto dell’internazionalizzazione

Un’altra fase di studio è stata l’analisi sul campo di alcuni importanti casi esteri di strumenti che offrono alle aziende un supporto pubblico esteso ed integrato, al fine di esaminarne caratteristiche, modalità di gestione, ecc.

Questa fase è stata realizzata tramite colloqui personali con dirigenti di alcune istituzioni italiane ma soprattutto estere.

Interviste a operatori commerciali esteri

Una fase di studio ha preso in esame i tre paesi di interesse definiti nell’ambi-to degli obiettivi (Regno Unito, Svezia, Ungheria) per realizzare una serie di interviste personali a un piccolo campione stratificato di operatori intermedi,clienti o potenziali clienti dei prodotti agroalimentari italiani, per mezzo di un que-stionario semistrutturato. In queste interviste si sono affrontate le tematiche della valenza della provenienza italiana, e in modo specifico da una cooperativa italiana, delle richieste rivolte al fornitore da parte degli operatori esteri, delle attese corrisposte e non corrisposte, delle strategie da implementare.

Sulle stesse tematiche si sono realizzati anche alcuni colloqui con testimoni pri-vilegiati, quali Ice, Ambasciata Italiana, Camere di Commercio Italiane all’estero.

Rilevazioni nei punti vendita e focus group con consumatori

In due paesi si è realizzata una analisi sul tema della tutela dei marchi aziendali e di prodotto in ambito internazionale per mezzo di rilevazioni degli scaffali in punti vendita della distribuzione moderna.

2. LE METODOLOGIE ADOTTATE8

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LE METODOLOGIE ADOTTATE

Parallelamente, si sono realizzati focus group con consumatori responsabili degli

acquisti per il nucleo familiare, per ricavarne indicazioni su tipologia di consu-matori orientati ad acquistare prodotti fake made in Italy, la loro consapevolezza, gli atteggiamenti, le conoscenze, ecc. In questi focus group si sono trattate anche alcune tematiche riferite a un altro punto degli obiettivi: le valenze che i consu-matori attribuiscono alla provenienza italiana e in modo specifico alla cooperati-va, i fattori di stimolo rispetto all’accettazione di prodotti provenienti dal mondo della cooperazione italiana.

Interviste a un campione di cooperative

Un’ulteriore fase di lavoro è consistita nell’intervista a un campione stratificato di imprese cooperative italiane in attività nel comparto agro-alimentare, dove i parametri di stratificazione sono stati la dimensione, il settore specifico di attivi-tà, l’area geografica di ubicazione. Si sono ovviamente prese in considerazione le cooperative che svolgono attività di esportazione.

Nell’universo statistico delle cooperative da considerare, si sono fatti rientrare an-che i consorzi di secondo grado e altri organismi analoghi, mentre non si sono prese in considerazione le imprese cooperative che non commercializzano direttamente, ma si avvalgono esclusivamente del conferimento del proprio prodotto, delegando ad altri le decisioni strategiche e le fasi operative della commercializzazione.

Più precisamente, si sono attuate 60 interviste face to face per mezzo di un que-stionario semistrutturato, durante le quali si sono indagati in profondità gli items oggetto di analisi:

• la capacità delle cooperative di guardare ai nuovi mercati, i livelli di concen-trazione del proprio volume di affari, i paesi di destinazione, le strategie attua-te e gli investimenti per arrivare a commercializzare i propri prodotti su nuovi mercati, le strategie pianificate per il futuro;

• le barriere tariffarie e non tariffarie da fronteggiare in ambito internazionale;

• la conoscenza e l’utilizzo degli strumenti istituzionali a supporto dell’interna-zionalizzazione, la loro rispondenza effettiva alle esigenze delle cooperative, le attese di uno strumento operativo unico, i suggerimenti per migliorare gli strumenti attualmente in uso;

• le opinioni sul tema della tutela dei marchi aziendali e di prodotto in ambito internazionale, le strategie per fronteggiare il fenomeno dell’Italian sounding;

• le valenze della provenienza italiana e in modo specifico da una cooperativa italiana sui mercati esteri, i fattori di stimolo rispetto all’accettazione di pro-dotti provenienti dal mondo della cooperazione italiana.

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3.1. IL CAMPIONE

Il campione è costituito da imprese cooperative esportatrici. Più precisamente, l’intervista è stata effettuata se la cooperativa aveva esportato nell’anno preceden-te per almeno un 10% del proprio fatturato. Si è realizzata l’intervista anche se nell’ultimo anno la cooperativa aveva esportato per almeno 4 milioni di euro. Per esportazione si è inteso l’export con fatturazione al cliente estero, non il prodotto fatturato a un cliente italiano, come un esportatore, che poi provvede a esportarlo.

Il campione è distribuito nelle diverse aree nazionali, con una prevalenza del nord-est, ossia delle regioni maggiormente caratterizzate da imprese cooperative che intrattengono rapporti con l’estero.

Un quarto delle cooperative intervistate ha un fatturato complessivo al massimo di 10 milioni di euro, mentre al polo opposto un terzo abbondante del campione si colloca oltre i 45 milioni di euro.

L’analisi dei terzili relativi al giro d’affari svolto con l’estero vede il primo scaglio-ne fino a 4 milioni di euro, il secondo fino a 16 milioni, l’ultimo oltre questa soglia.

3. LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

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DISTRIBUZIONE DEL CAMPIONE IN BASE AL SETTORE DI APPARTENENZA

N. COOPERATIVE %

Lattiero-caseario 12 20,0%

Ortoflorofrutticolo 21 35,0%

Vitivinicolo 18 30,0%

Altro 9 15,0%

Totale 60 100,0%

Nella categoria altro, rientrano per esempio carne e salumi, prodotti ittici, olio, pasta

DISTRIBUZIONE DEL CAMPIONE IN BASE AL FATTURATO COMPLESSIVO NEL 2012

N. COOPERATIVE %

Fino a 10 ml di euro 15 25,0%

Da 11 a 45 ml di euro 24 40,0%

Oltre 45 ml di euro 21 35,0%

Totale 60 100,0%

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3.2. L’ATTIVITÀ DI ESPORTAZIONE

I principali paesi di esportazione, per le cooperative facenti parte del campio-ne, sono i mercati europei tradizionalmente clienti del prodotti agroalimentari italiani (Germania, Regno Unito, Francia, Spagna, Svizzera) a cui si affiancano altri paesi europei (come Svezia, Finlandia, Austria, Danimarca, Slovenia, Polo-nia, Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca), e mercati di altri continenti: in pri-mo luogo, Stati Uniti, Canada, Giappone, Emirati Arabi, Argentina, Russia, Cina. Questi ultimi due paesi sono stati più spesso citati (insieme alla Germania) come i mercati che hanno evidenziato una crescita più sostenuta, negli ultimi due anni, nel ruolo di clienti delle cooperative intervistate.

I paesi su cui si punta maggiormente, come sviluppo delle esportazioni per i pros-simi cinque anni, sono rappresentati in primo luogo da Germania, Russia, Cina, Stati Uniti; seguono Regno Unito, Francia, Danimarca, Svizzera e Canada; sono poi stati citati con una frequenza inferiore: Giappone, Brasile, Sud Corea, Olanda, Spagna, Austria, Emirati Arabi, Slovacchia, Polonia.

Nell’ambito dei principali clienti esteri, i commercianti all’ingrosso e gli impor-tatori detengono un ruolo molto importante. Sono abbastanza frequenti, comun-que, anche i rapporti diretti con le catene della Gdo, mentre più raramente ciò si verifica con piccoli dettaglianti (tradizionali e specializzati), ristorazione - cate-ring, industria.

Il rapporto diretto con le catene della Gdo estera è intrattenuto soprattutto dalle grandi imprese cooperative.

Al di là del cliente a cui le cooperative vendono, i canali finali verso cui si orienta il prodotto esportato sono principalmente le grandi superfici di vendita, il detta-glio specializzato (per esempio, le delicatessen), la ristorazione.

LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

DISTRIBUZIONE DEL CAMPIONE IN BASE AL FATTURATO ATTRIBUIBILE ALL’EXPORT NEL 2012

N. COOPERATIVE %

Fino a 4 ml di euro 20 33,3%

Da 5 a 16 ml di euro 20 33,3%

Oltre 16 ml di euro 20 33,3%

Totale 60 100,0%

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LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

3.3. LE STRATEGIE ATTUATE

Analizzando i fattori che hanno consentito alle aziende del campione di svilup-pare ed eventualmente di incrementare l’export nel corso degli anni, si evince che una carta vincente è di sicuro lo sviluppo di buoni rapporti di medio-lungo periodo con importatori seri nei paesi di riferimento: sono operatori che svolgo-no funzioni commerciali, in alcuni paesi svolgono ruoli di interfaccia culturale e soprattutto funzioni logistiche, a maggior ragione quando la distanza è notevole. In altri termini, lo sviluppo di una buona rete commerciale e delle giuste relazioni con operatori del settore, unitamente a una valida gestione commerciale del clien-te, investendo sui clienti già acquisiti in termini di fidelizzazione.

Importante è anche curare le attività promozionali per aumentare in questi mer-cati la conoscenza del proprio prodotto, gestendo anche i rapporti con i giornalisti in loco. Per fare ciò, essenziale risulta l’organizzazione aziendale con personale qualificato, al fine di migliorare il servizio.

PRINCIPALI CATEGORIE DI CLIENTI DELLE COOPERATIVE ESPORTATRICI

N. COOPERATIVE %

Società commerciali partecipate o controllate 6 10,0%

Importatori - commercianti all’ingrosso 52 86,7%

Catene della Gdo 40 66,7%

Piccoli dettaglianti (tradizionali e specializzati) 5 8,3%

Ristorazione, catering 9 15,0%

Industria 8 13,3%

Altri 13 21,7%

La somma delle risposte è superiore al numero di cooperative rispondenti, in quanto era possibile indicare più risposte

PRINCIPALI CANALI FINALI A CUI SI INDIRIZZA IL PRODOTTO DELLE COOPERATIVE ESPORTATRICI

N. COOPERATIVE %

Grandi superfici di vendita 51 85,0%

Dettaglio tradizionale 19 31,7%

Dettaglio specializzato (es. delicatessen) 32 53,3%

Ristorazione, catering 36 60,0%

Industria 5 8,3%

Altri 3 5,0 %

La somma delle risposte è superiore al numero di cooperative rispondenti,in quanto era possibile indicare più risposte

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LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

Altra corrente di pensiero è quella di chi preferisce un approccio diretto, senza la figura intermediaria dell’importatore, diversificando l’offerta e ricercando nic-chie che aumentino la marginalità.

Si denota inoltre una forte crescita dell’attenzione al “Made in Italy”, della cono-scenza del marchio e della percezione di questo.

Ovviamente, aiutano avere un buon rapporto qualità/prezzo e la conseguente aggressività sui prezzi, senza andare a discapito di un miglioramento continuo della qualità dei prodotti. Anche le certificazioni di qualità sono un buon biglietto da visita.

La partecipazione a iniziative di promozione diretta in loco aiuta a migliorare la percezione della propria immagine; cercando clienti in un’ottica di medio termi-ne, con una ragionata politica di marketing basata sulla segmentazione del mer-cato e sul conseguente posizionamento del brand più coerente e adeguato. Avere perciò un prodotto studiato per mirare alla domanda, soddisfacendola, e quindi avere all’interno dell’azienda chi conosce i mercati esteri di riferimento, puntan-do principalmente ai paesi emergenti e con clima sociale favorevole.

Chi si discosta da questo pensiero è chi ha mirato sull’aumento della domanda interna, investendo in ricerca, innovazione del prodotto, puntando sull’investi-mento prima in Italia per poi da lì crearsi canali esteri.

Anche l’ampiezza della gamma di prodotti offerti e la conseguente entrata in nuo-ve catene di Gdo sono state in diversi casi fattori che hanno consentito di aumen-tare l’export.

C’è invece chi sostiene che un elemento fondamentale sia l’introduzione nella propria offerta di prodotti bio, anche come conseguenza dell’attenzione da parte di molti mercati alla sostenibilità ambientale, alla tracciabilità, ecc.

Non molto dissimili sono i fattori su cui si baseranno le strategie per sviluppare nei prossimi anni i mercati esteri. Risulta fondamentale la partecipazione a fiere, anche come visitatori per conoscere nuovi clienti, e a manifestazioni ed eventi di promozione e comunicazione, come incontri B2B e attività di incoming.

Importanti sono anche gli accordi di lungo termine con gli importatori, quindi workshop per un primo approccio, poi eventuali attività di co-marketing. L’im-portatore viene visto come figura fondamentale, un filtro positivo, ed è importan-te anche il suo affiancamento per poi essere personalmente presenti sul mercato.

È fondamentale acquisire nuovi clienti, ai quali poi dare supporto, tramite attente informazioni di mercato. Ciò è possibile grazie anche ad approcci diretti con la Gdo, a maggiori relazioni con i distributori, all’individuazione di partner affi-dabili, a una diffusione della conoscenza del proprio prodotto, eventualmente tramite l’apertura di punti vendita sul mercato estero.

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LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

Alla base di tutto ciò sta una forte conoscenza e consapevolezza delle richieste dei mercati per poter poi lavorare in funzione di queste. Adeguarsi perciò al mercato, proponendo prodotti specifici per ogni area; il cliente estero chiede una gamma tendenzialmente più vasta rispetto a quello italiano.

D’altra parte bisogna praticare un’adeguata assistenza verso i clienti già acquisiti: investire nella relazione, presenza di figure aziendali che visitino il cliente, sito in lingua; insomma, una gestione attiva dei propri clienti.

Si ritiene importante puntare sui valori del nostro territorio, enfatizzando le pe-culiarità dei prodotti con iniziative anche di tipo turistico. E a questo proposito, è utile istituire organizzazioni di produttori, per garantire tutela e per raggiungere la massa critica.

Anche le collaborazioni con imprese di settori diversi, i cui prodotti possono es-sere affiancabili e sinergici, risulta una possibile strategia: proporre al cliente un paniere completo di prodotti alimentari made in Italy.

Fondamentale rimane puntare sulla qualità e sul servizio, per soddisfare le ri-chieste specifiche, migliorando i cicli produttivi, garantendo disponibilità del prodotto e quindi un presidio stabile sul mercato. A questo riguardo, si intende necessaria l’innovazione nella logistica e nel prodotto stesso.

In modo particolare, si è posta una domanda per capire l’importanza rivestita dall’innovazione di prodotto nella conquista dei mercati esteri. Ciò che è emerso è che in tutti i settori, in qualcuno di più in altri meno, è comunque importante l’innovazione di prodotto per quanto riguarda i mercati esteri. Si può affermare che per la maggior parte delle aziende intervistate è fondamentale, praticamente un’esigenza, l’adeguamento al paese d’esportazione, ognuno diverso; e questo comporta studi aziendali approfonditi. Importante è capire le esigenze, centrare i gusti dei mercati, e orientarsi verso una produzione studiata per il mercato estero da affiancare a una gamma base di prodotti, quindi offrire una maggiore varietà. Nel fare ciò si incontrano anche dei limiti, caratterizzati dalle regole delle Dop e delle Igp che impongono il rispetto di determinate caratteristiche; altre proble-matiche riguardano le risorse disponibili da investire in questo senso; ed altre ancora sono dovute al fatto che spesso la singola cooperativa è troppo piccola per affrontare da sola innovazioni di una certa rilevanza.

C’è chi ritiene che si debba partire dall’esportare la produzione classica e tradizio-nale per poi adeguarsi ed innovare la produzione in un secondo momento. Quin-di l’importante in questo caso diventa la tradizione assecondata dalla novità.

Alcune aziende non ritengono utile innovare il prodotto, anche perché necessi-terebbero di anni di lavoro, ma magari soltanto parte del packaging o dei servi-zi incorporati. L’innovazione del packaging e della presentazione del prodotto serve per adattarsi alle diverse esigenze dei mercati esteri e per differenziarsi.

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LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

L’importanza della componente immagine è molto cresciuta negli ultimi anni, e quindi tutto quello che riguarda il confezionamento e l’etichettatura è diventato fondamentale per farsi spazio sui mercati esteri.

Qualcuno invece pensa che l’innovazione di packaging comporterebbe il rischio di creare un’immagine incoerente di sé; il confezionamento deve essere unifor-mato anche per abbassare i costi logistici.

Le strategie di comunicazione adottate dalle cooperative verso i mercati esteri sono variegate, ma si può affermare che la più comune sia la partecipazione a fiere di settore. Altrettanto diffusa è la creazione del proprio sito internet in più lingue, con l’invio eventuale di mail e newsletter. Affiancata a ciò, ma meno dif-fusa, è la presenza su riviste di settore, come forma di pubblicità classica.

Si cercano anche di promuovere eventi che diano visibilità al prodotto, come le degustazioni, per rendere il consumatore consapevole, fornendogli informazioni ed “educandolo” alla qualità. Questo tramite presenza diretta sul punto vendita e tramite una comunicazione diretta. Sempre in quest’ottica, vengono sviluppati brochure e cataloghi della propria azienda in più lingue, e viene distribuito mate-riale pubblicitario nei punti vendita.

Diverse aziende non si muovono sole: c’è chi si avvale di agenzie di comunica-zione in loco; chi aderisce a consorzi di promozione all’estero; chi ancora adotta politiche di co-marketing con distributori e con catene della Gdo.

Qualche azienda punta sul packaging adattato a ogni paese, con etichette diver-sificate.

Qualche cooperativa ammette di non adottare nessuna particolare strategia di comunicazione rivolta ai mercati esteri, sia perché non ci sono fondi disponibili, sia perché si reputa che la propria azienda sia già conosciuta all’estero, sia infine perché si intravvede un ritorno economico troppo lento.

Per conquistare spazi sui mercati esteri, la partecipazione alle fiere (nonostante sia alquanto diffusa, come sopra affermato) si caratterizza per opinioni piuttosto controverse.

Per la maggior parte delle cooperative intervistate, le fiere sono un momento di incontro e scambio importante ed essenziale, soprattutto per i mercati nuovi e se gestite direttamente dall’azienda. Sono utili e fondamentali per conoscere i mer-cati, per consolidare i rapporti; sono una vetrina, un momento di incontro diret-to con operatori e consumatori, anche per individuare nuovi partner; sono utili anche per controllare la concorrenza. Anzi, nelle grandi fiere di settore diventa quasi obbligatorio essere presenti per un discorso d’immagine.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

Da questa visione si distacca leggermente chi vede un’utilità soltanto parziale della partecipazione alle fiere. È stato sostenuto che in queste situazioni non si ap-procciano clienti nuovi, ma si mantengono soltanto i contatti con i clienti già ac-quisiti. C’è chi individua la loro utilità soltanto per agevolare i contatti nei mercati già consolidati. O comunque solo se si è affiancati e aiutati da consorzi ed enti.

Diffusa è la valutazione che le fiere siano inflazionate: occorre quindi fare valuta-zioni in merito e focalizzarsi su poche ma interessanti manifestazioni. Per molti, le fiere sono adatte soltanto alle grandi aziende: risultano costose ed impegnative per i piccoli produttori. Sono interessanti per i paesi in via di sviluppo, ma nei mercati maturi risultano più significative altre iniziative come workshop, incontri con i buyer. Le fiere hanno parecchi limiti, secondo alcune cooperative del cam-pione: sono importanti soltanto se si hanno prodotti nuovi da promuovere; sono utili solamente se si è già presenti sul territorio e solo in un’ottica di lungo perio-do; necessitano di prendere contatti già prima della fiera stessa.

Per qualche cooperativa intervistata, le fiere non sono per niente utili, forniscono pochi ritorni e scarsi risultati; non sono più efficaci anche perché troppo dispersi-ve; si tende a prediligere le fiere estere comunque rispetto quelle italiane, a parte poche eccezioni.

3.4. LE PRINCIPALI BARRIERE E LE DIFFICOLTÀ INCONTRATE

Le principali difficoltà incontrate sui mercati esteri nel 2012 e nella prima parte del 2013 riguardano una serie di aspetti molto diffusi e condivisi tra le coopera-tive italiane.

Primo tra questi è la forte pressione concorrenziale, soprattutto da parte dei cosid-detti paesi emergenti, oltre a una produzione propria interna dei mercati di espor-tazione. Se a questo si aggiunge il periodo di generale congiuntura economica negativa, si può facilmente capire come i prezzi minori applicati dai concorrenti vadano a schiacciare al ribasso i prezzi applicati dalle cooperative esportatrici.

Altro forte elemento di difficoltà è il doversi adeguare a richieste di tipo buro-cratico alquanto gravose: l’aumento di tasse e di dazi, la pretesa di certificazioni impegnative (sia di tipo sanitario che di qualità), la documentazione richiesta alla dogana, le formalità di controllo della spedizione con relativi costi e ritardi nella stessa. Tutto ciò con diverse interpretazioni per ogni mercato di riferimento e con cambi improvvisi di contesti.

Si denota una scarsa cultura del prodotto esportato, con conseguente necessità di informare che le produzioni sono di qualità, sicure, garantite e sane. Le abitudini di consumo estere sono diverse dalle nostre, e non vi è uniformità di pensiero nel considerare il prodotto italiano, con conseguente difficoltà nella differenziazione dei prezzi. Non si riconosce nel prezzo lo spessore qualitativo del prodotto.

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LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

Altri problemi riguardano il packaging e il fatto che ogni paese richiede il suo, con relativi costi per l’etichettatura, e quindi con un relativo aumento di costo comples-sivo. Anche la logistica può essere complicata: i costi di trasporto incidono pesan-temente, mancano infrastrutture destinate alla giacenza temporanea delle merci, i trasportatori sono in diminuzione e non sempre appaiono adeguatamente attrezza-ti, e in caso di trasporti lunghi sussiste un rischio di deterioramento merce.

Pure la realtà distributiva può diventare complicata, appare concentrata e di dif-ficile reperimento per quanto riguarda importatori affidabili.

I clienti non sono sempre affidabili, non è trascurabile il rischio di insolvenze ed è forte la percentuale di contestazioni merce. In più, non tutti hanno la consapevo-lezza di avere a che fare con cooperative.

Si denota anche una mancanza di liquidità necessaria per gli investimenti verso i nuovi mercati.

Una manciata di intervistati non ha rilevato nessun tipo di difficoltà nell’esportare.

In modo particolare, le principali difficoltà incontrate nell’esportare verso la Cina da parte delle cooperative riguardano principalmente la sfera della burocrazia. Questa risulta estremamente pesante e complessa, così come la documentazione richiesta. Il cambiamento repentino di normative in quest’ambito non va di certo ad aiutare. Altro problema riguarda le pratiche di sdoganamento, che risultano lunghe (causando problemi ai prodotti deperibili), oltre che complicate, il che richiede massima precisione per l’azienda esportatrice.

I dazi risultano molto onerosi, si può parlare di azioni di dumping contro l’im-portazione.

Qui ancora si parla di un consumo di nicchia, nel senso che non si conseguono alti volumi di fatturato causa abitudini di consumo estremamente differenti dalle nostre. Si fatica perciò a posizionarsi sul mercato, anche a causa della concorrenza interna; nonostante si denoti un buon potenziale di mercato, questo non si pensa possa concretizzarsi a breve.

Altre difficoltà riguardano la comunicazione e la percezione del prodotto esportato: è scarsa la cultura del prodotto italiano, spesso non lo si conosce, così come le abitudini alimentari (si richiedono prodotti a lunghissima sca-denza). Inoltre, i due mercati in esame sono diversi tra loro: Hong Kong ap-pare già più professionale, mentre la Cina risulta ancora poco interessata a investire nei prodotti italiani.

Un altro problema è quello logistico legato alla distanza, ai trasporti e alla lin-gua. Problema quest’ultimo che si concretizza nella formazione delle etichette, in cui il nome prescelto non dovrà risultare poi troppo distante dal nome del prodotto italiano.

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LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

Si denota, anche se non frequentemente, una mancanza di affidabilità di continu-ità degli operatori con cui si va a trattare, e anche una sorta di imprevedibilità, in quanto chi decide agisce incontrastato.

Il cliente inoltre è difficile da controllare, se per esempio la sua decisione è di con-testare il prodotto.

Sempre legata a una distanza geografica quanto culturale, affiora la difficoltà di ottenere certificazioni riconosciute.

Qualche intervistato sta iniziando adesso ad esportare in questi paesi, e per qual-cuno non sussistono problemi rilevanti.

Ciò che appare molto evidente quando si parla del mercato russo è la scarsa tra-sparenza dello stesso: mancano regole chiare, non sussistono certezze. È difficile il rapporto con gli importatori, è difficile la comunicazione con gli stessi, i quali risultano in tanti casi poco seri e affidabili. Esistono barriere all’entrata costituite da licenze e dazi agevolati per determinati paesi. Vengono introdotti ed eliminati permessi all’importazione in modo repentino e senza valide motivazioni, e in questo le autorità periferiche risultano scollegate da quella centrale.

Le normative relative alla sicurezza sanitaria vedono la frequenza richiesta di certificazioni particolari. A questo si aggiungono difficoltà doganali, riguardanti la discrezionalità nell’applicare queste norme. La burocrazia appare pesante, la normativa complessa. Ma ciò che più pesa è l’instabilità delle regole, unitamente al fatto che il mercato appare “chiuso” cioè con liste restrittive nelle quali si entra; si importa quindi grazie a conoscenze e rapporti in loco.

Altro elemento rilevante è l’inaffidabilità del cliente: molti acquirenti risultano a rischio, causando difficoltà nell’incassare i crediti; a ciò si aggiungono fre-quenti contestazioni dove il lungo trasporto costituisce un alibi per riuscire a pagare meno.

Qualche cooperativa non esprime difficoltà, ma anzi intravvede forti possibilità di crescita, in quanto il mercato della Russia è ancora giovane.

Parlando dell’esportazione verso gli Stati Arabi. non si denota invece un elemento di difficoltà che accomuni un certo numero di cooperative. Sicuramente rilevante è la richiesta di lavorazioni particolari, quindi di una produzione ad hoc e di un relativo costo per determinate certificazioni e codifiche richieste, come ad esem-pio etichettatura particolare. In questo senso la burocrazia diventa pesante.

Inoltre le condizioni sociali, religiose ed economiche parecchio diverse dalle no-stre causano abitudini di consumo altrettanto differenti ed una relativamente scarsa conoscenza del mercato italiano e dei suoi prodotti.

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Qualche cooperativa individua problemi riguardanti il trasporto, la lingua e l’as-sicurazione dei crediti, ma la maggior parte di esse non riscontra difficoltà rile-vanti in questi mercati.

Il Brasile ha instaurato un forte sistema protezionistico al suo interno, quindi i dazi particolarmente alti e il loro relativo aumento causano difficoltà all’export delle cooperative italiane. Ci sono forti complessità doganali e burocratiche, inol-tre i dazi sono agevolati per altri paesi, e le cooperative italiane risultano così meno competitive rispetto ad altre produzioni: o si aumentano i prezzi di vendita con il conseguente rischio di vendere poco, o si abbassano per poter comunque competere sul mercato. La concorrenza risulta in questo modo sleale.

La documentazione e le certificazioni richieste sono molto meticolose e quindi costose. È inoltre difficile la ricerca di agenti e partner affidabili.

La distanza con questo paese e i relativi tempi lunghi dei trasporti non agevolano i rapporti. A fianco di questo aspetto notiamo che la scarsa cultura che si ha in Brasile del prodotto italiano, e le differenze nelle abitudini di consumo, vanno ad aggravare queste difficoltà.

C’è anche però chi non rileva difficoltà di nessun genere.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, l’elemento principale di difficoltà da parte del-le nostre cooperative riguardo l’esportazione è ciò che concerne gli aspetti legali, le normative e la burocrazia. Vi è una sorta di protezionismo, ma è stato definito sostanzialmente ragionevole; i dazi doganali sono comunque alti, causando un aumento del prezzo finale di vendita e un conseguente rischio di diminuzione dei volumi di vendita. La complessità e la variabilità della documentazione richiesta, soprattutto per quanto riguarda le etichette, diventano problematiche, così come le certificazioni e i controlli ai quali la merce deve essere sottoposta.

La concorrenza sta acquisendo un ruolo importante, sia quella statunitense abba-stanza aggressiva, sia il fatto che la maggior parte degli operatori a libello mon-diale voglia vendere su questo mercato.

La distanza e quindi i trasporti vanno poi a incidere sul costo di vendita e a volte sulla qualità finale del prodotto.

È un mercato relativamente nuovo per molte delle nostre cooperative, e soprat-tutto talmente ampio, che varia da stato a stato. Ciò che cambia da stato a stato è anche la distribuzione, per questo si rende necessaria la figura dell’importatore. In alcuni stati la distribuzione è concentrata in grandi colossi.

Come per altri paesi, anche per quanto riguardo gli Stati Uniti qualche cooperati-va non individua problemi rilevanti.

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Le principali difficoltà che si incontrano sul mercato canadese sembrano innan-zi tutto riconducibili al fatto che in questo paese esiste una forma di monopolio per quanto riguarda la distribuzione. Ciò costituisce una chiara barriera all’e-sportazione.

Sussiste una sorta di protezionismo, a causa dell’esistenza di dazi elevati e della richiesta di certificazioni e controlli in loco. Quindi, una problematica conseguen-te risulta la concorrenza riguardante i prezzi.

A ciò si aggiunge una difficoltà di approccio a questo paese, dovuta al doversi adeguare a standard particolari, il che rende necessaria la figura dell’importatore. Inoltre, le licenze per l’importazione sono in mano a pochissimi soggetti.

Data la posizione geografica, anche la distanza con l’Italia e i relativi trasporti possono risultare onerosi.

Molte cooperative invece non denotano difficoltà di nessun tipo.

Prescindendo dai singoli paesi, le principali barriere tariffarie a cui le cooperative vanno incontro sono i dazi, le tasse e le accise particolarmente elevati. La loro incidenza poi si ritrova sul prezzo del prodotto finale. Spesso le tariffe variano a seconda del periodo dell’anno, o, come nel caso degli Stati Uniti, a seconda del paese. È emersa poi la minaccia di ulteriori dazi che saranno introdotti a breve.

Le principali barriere in riferimento agli ostacoli di tipo non tariffario riguardano sostanzialmente i contingentamenti, strumenti di protezione della produzione lo-cale, che si attivano e disattivano durante l’anno, e hanno forti oscillazioni.

Altra difficoltà riguarda le licenze di importazione. Il cliente ne fa richiesta al suo stato di appartenenza, ma questi permessi sono spesso in mano a pochi operatori, con una forte incertezza riguardo la loro continuità.

Barriere non tariffarie sono considerate anche la distribuzione, che risulta scar-samente libera e vincolata da logiche di vario tipo, e i controlli scrupolosi a cui spesso i prodotti sono sottoposti.

Parlando di barriere normative, i requisiti richiesti sono differenti e spesso le nor-me risultano pesanti e complesse; in tanti casi non è semplice venirne a conoscen-za; inoltre, sono in continuo cambiamento. La non chiarezza della normativa di riferimento la rende poi soggetta a interpretazioni personali, e anche ad applica-zioni soggettive.

Altra barriera è la richiesta di certificazioni (di qualità, igienico-sanitarie, bio, ecc.), e di particolari ed onerose registrazioni, come la lista di prodotti ammessi nel singolo paese.

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LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

Problema non irrilevante è l’obbligo di codifiche ad hoc per quanto riguarda la confezione e l’etichetta del prodotto esportato.

La burocrazia risulta complessa, con minuziosi controlli in fase di sdoganamento, e manca uniformità riguardo i metodi dei controlli.

Altre barriere si rispecchiano nel problema dell’embargo, nella normativa anti-dumping e nei monopoli di stato.

Per quanto riguarda le norme igienico-sanitarie, vengono richieste apposite certificazioni da specifici enti accreditati, la cui difficoltà di ottenimento varia a discrezione di ogni paese. I protocolli sanitari diventano sempre più rigidi e, se non si rispettano certi parametri, si è fuori dal mercato. I controlli su additivi, conservanti e residui fitofarmaci risultano severi, con parametri restrittivi e strin-genti rispetto alle norme comunitarie. Tutto ciò diventa gravoso, prima gli stan-dard erano più accessibili, e questo cambiamento è avvenuto per proteggere la produzione locale e inibire l’importazione. Anche la documentazione richiesta è alquanto laboriosa. Vengono effettuati controlli per problemi sanitari che in Italia non si sono mai verificati.

Si nota anche carenza di idonei depositi temporanei.

3.5. ESSERE COOPERATIVA

Secondo parte delle opinioni raccolte, essere cooperativa ha una valenza positiva nella percezione dei clienti sui mercati esteri, principalmente per quanto riguarda l’aspetto della gestione della filiera. Il controllo su di essa aumenta esponenzial-mente la credibilità che si ha come produttori; offrire prodotti dei soci dà più sicurezza al cliente, la gestione è percepita come più controllata e trasparente. La filiera corta migliora l’immagine del prodotto della cooperativa.

Legata all’aspetto della gestione della filiera, risulta molto rilevante la vicinanza ai produttori; la cooperativa rappresenta la produzione stessa con un conseguente miglioramento di immagine. In alcuni casi, il cliente riesce a “toccare con mano” il prodotto durante visite organizzate.

Il consumatore percepisce quindi maggiori garanzie di qualità attraverso la coo-perativa ed ulteriori garanzie di controllo. Importante è inoltre la possibile trac-ciabilità delle materie prime, ulteriore garanzia di fiducia riguardo la provenien-za del prodotto.

L’offerta aggregata garantisce inoltre determinate quantità, una tutela dell’ap-provvigionamento data dalla disponibilità del prodotto.

Si nota come positiva la percezione che la cooperativa possa investire nel lungo periodo, garantendo continuità nel portafoglio prodotti e nella programmazione di produzione.

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LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

Un po’ più marginale sembra il fatto che la cooperativa possa vantare finalità so-ciali, di salvaguardia dei diritti dei lavoratori e di sostegno alle zone rurali.

Qualche intervistato invece non riscontra nessun effetto positivo in confronto alle imprese private.

I principali effetti negativi sottolineati a proposito della natura cooperativa, ri-levati da parte delle stesse cooperative intervistate, riguardano il complesso si-stema decisionale. Risulta difficile comunicare all’esterno l’organizzazione della cooperativa, ma il neo maggiore sta proprio nel fatto che la struttura decisionale interna è complessa e lunga, risultando perciò meno snella e reattiva nel rapporto con il mercato.

I soci sono in certi casi poco propensi all’innovazione e a investimenti in comuni-cazione e promozione, i CdA non sempre vogliono investire nella struttura com-merciale con la conseguenza che le cooperative vengono percepite come meno reattive e meno flessibili; ciò anche perché “la loro prospettiva frequentemente non supera il medio termine”.

Secondo altri pareri, determinati clienti percepiscono il prodotto della cooperati-va come produzione di massa, percepiscono che la finalità della cooperativa sia la quantità a discapito della qualità, ma contemporaneamente “la cooperativa risulta troppo rigida sui prezzi”.

Si denotano inoltre problemi amministrativi e una organizzazione non adeguata per risolvere determinate problematiche; può mancare un interlocutore che sia costante nel rapporto con i clienti.

La rigidità nell’acquisto di prodotti che non siano dei soci causa un minor assor-timento rispetto alla concorrenza, ed è un limite per l’offerta. Proprio perché la mission della cooperativa è vendere la produzione dei soci si possono verificare casi di surplus produttivo o talvolta di produzione carente: la compagine dei soci è limitata quanto a volumi che possono essere introdotti sul mercato, si fatiche-rebbe a rispondere a richieste di consistenti aumenti di fornitura. ulteriori vincoli riguardano l’impossibilità di delocalizzare.

Un altro aspetto rilevato è che in diversi casi manca nel consumatore la consape-volezza che si stia trattando di una cooperativa.

Un numero abbastanza significativo di intervistati non ha evidenziato effetti negativi.

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LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

3.6. LA CONOSCENZA, L’UTILIZZO E LE VALUTAZIONI DEGLI STRUMENTI ISTI-TUZIONALI DI SUPPORTO ALL’EXPORT

Per quanto riguarda gli strumenti istituzionali di supporto finanziario all’inter-nazionalizzazione, le cooperative del campione hanno fornito un numero molto limitato di indicazioni, in quanto il ricorso a questi strumenti è poco diffuso. Due cooperative intervistate hanno indicato SACE, una ha accennato a SIMEST, tre hanno indicato la Cassa Depositi e Prestiti (a proposito di quest’ultima si inten-deva un utilizzo diretto, non mediato da altri strumenti).

Il supporto ricevuto, relativamente a questi strumenti utilizzati, è rappresentato da contributi a fondo perduto, contributi per investimenti sulla base di progetti, finanziamenti per strutture.

Tra i suggerimenti e le opinioni espressi in proposito, è affiorato in genere un discreto livello di soddisfazione, a fianco di qualche motivo di insoddisfazione o parziale soddisfazione: per esempio, i tempi lunghi a volte costringono a rivol-gersi al credito privato nel periodo di attesa del finanziamento pubblico; occorre-rebbe riuscire a ridurre i tempi e rendere più leggera la burocrazia.

Leggermente superiore (nove intervistati) è il numero di cooperative che hanno utiliz-zato strumenti istituzionali per l’assicurazione del rischio su crediti commerciali oppure per il recupero dei crediti relativamente all’attività di esportazione. Sono stati citati Sace, strumenti istituzionali del mondo cooperativo, ma anche assicurazioni private come Heuler Siac e Coface.

Diversi intervistati hanno specificato che si cercano di utilizzare le lettere di credito o le riscossioni anticipate, oppure che non ci sono solitamente problemi di insolvenze con l’estero che invece si verificano in Italia.

Una parte dei rispondenti si è dichiarata soddisfatta del servizio ricevuto, altre coopera-tive utilizzatrici hanno invece fatto emergere suggerimenti o spazi di miglioramento; per esempio, costi molto alti, riduzione delle coperture, estrema rigidità, scarsa dinamicità. È stato poi affermato che si tende ad assicurare solo quando il rischio è limitato, oppure tutte le esportazioni in blocco. D’altra parte, è stato sottolineato, anche le coperture delle società assicurative private stanno riducendosi per i sempre maggiori rischi.

Ben diverso è il grado di utilizzo di strumenti istituzionali per il supporto di mercato o di consulenza commerciale all’internazionalizzazione. Oltre l’80% delle cooperative rispondenti ha dichiarato di avere usufruito di tali servizi. Ice, Regioni e Camere di Com-mercio sono stati i riferimenti più spesso citati. Sono emersi con una certa frequenza i fondi OCM di sostegno all’export verso paesi terzi.Approfondendo sui supporti ricevuti, sicuramente il finanziamento della partecipazione a fiere, o per lo meno l’agevolazione finanziaria della partecipazione, è ciò che è stato

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

maggiormente utilizzato. Altri tipi di supporti ricevuti sono: incontri con buyer e im-portatori, workshop con importatori, fondi da utilizzare nella promozione del prodotto, aiuti nella ricerca di nuovi contatti, organizzazione di eventi, manifestazioni per pro-muovere i prodotti, organizzazione di incontri con la GDO.Andando maggiormente nello specifico, con l’Ice molte cooperative hanno potuto par-tecipare a fiere; hanno avuto informazioni riguardo le varie schede paese e le relative procedure per entrare nel mercato; hanno avuto facilitazioni nell’incontro con buyer e operatori di settore.Le Camere di Commercio hanno agevolato la partecipazione a fiere, a workshop e a in-contri B2B, hanno dato informazioni su procedure fiscali e pratiche burocratiche, e hanno sostenuto la promozione dei prodotti delle cooperative che ne hanno chiesto il supporto.La Regione ha favorito la partecipazione a fiere, spesso anche con stand collettivi.

I principali motivi per cui una parte seppur minoritaria di cooperative tende a non uti-lizzare strumenti di questo tipo, sono riconducibili all’assenza di necessità di utilizzo, per l’impiego di partner e collaboratori in zona che creano contatti o per l’orientamento a gestire direttamente queste problematiche.

DISTRIBUZIONE DEL CAMPIONE IN BASE ALL’UTILIZZO DI STRUMENTI ISTITUZIONALI PER IL SUPPORTO DI MERCATO O DI CONSULENZA COMMERCIALE

ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

N. COOPERATIVE %

Hanno utilizzato 50 83,3%

Non hanno utilizzato 7 11,7%

Non risposto 3 5,0%

Totale 60 100,0%

PRINCIPALI STRUMENTI ISTITUZIONALI UTILIZZATI

N. COOPERATIVE %

ICE 12 20,0%

Camere di Commercio 21 35,0%

Regioni 18 30,0%

Altro 9 15,0%

La somma delle risposte è superiore al numero di cooperative rispondenti, in quanto era possibile indicare più rispo-ste; le percentuali sono calcolate sulle 50 cooperative utilizzatrici. Nella voce altro rientrano per esempio i consorzi di tutela, le organizzazioni agricole, le centrali cooperative, associazioni e federazioni di vario genere, istituti bancari.

25LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

La rispondenza di questi strumenti alle esigenze degli utilizzatori vede una concen-trazione di risposte in corrispondenza della voce “abbastanza rispondente”. Una quota non del tutto trascurabile, tuttavia, si è espressa per una scarsa rispondenza.

Tra le cooperative che hanno ritenuto che gli strumenti utilizzati non abbiano ri-sposto alle esigenze, si evidenzia che gli interventi delle istituzioni di riferimento sono risultati approssimativi, generici, dispersivi. Le manifestazioni a cui hanno partecipato sono apparse inconcludenti, senza risultati o con scarso ritorno, spes-so perché carenti di una comunione di intenti.

Si è inoltre evidenziato che i finanziamenti richiesti sono soggetti a molti vincoli, e con tempi per il rilascio alquanto lunghi.

Le iniziative proposte in alcuni casi sono risultate frazionate e hanno mancato di concretezza; in altri casi, necessitavano di una forte organizzazione commerciale che non tutte le cooperative hanno.

Per la maggior parte di cooperative non è stato complesso attingere a queste risor-se: non hanno avuto particolari problemi, soltanto normali adempimenti buro-cratici. Si è trattato solamente di richiedere il servizio e di pagarne il corrispettivo, tutto ciò coadiuvato dal fatto che in molti casi sono poche le aziende che richiedo-no questo tipo di servizio.

Per altre cooperative, al contrario, è risultato alquanto complesso accedere ai fondi, perché le normative appaiono complicate e le relative competenze si sovrappongono.

I pareri riguardanti i criteri di selezione per accedere ai finanziamenti sono abba-stanza unanimi: la maggior parte ritiene che siano adeguati, appropriati anche se selettivi, congrui, non troppo stringenti e non problematici.

Poche cooperative li ritengono inadeguati, con presenza di eccessivi controlli.

C’è anche chi non sa rispondere, in alcuni casi perché non è stata necessaria la selezione, in quanto le aziende richiedenti erano inferiori alla disponibilità dei finanziamenti.

DISTRIBUZIONE DELLE COOPERATIVE UTILIZZATRICI IN BASE ALLA VALUTAZIONE SULLA RISPONDENZA DI QUESTI STRUMENTI ALLE ESIGENZE DEGLI UTILIZZATORI

N. COOPERATIVE %

Completamente rispondente 9 18,0%

Abbastanza rispondente 30 60,0%

Poco rispondente 9 18,0%

Per nulla rispondente 0 0,0%

Non so 2 4,0%

Totale 50 100,0%

26 LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

Per stimolare le esportazioni, le cooperative intervistate sono abbastanza concor-di nel constatare che l’ente pubblico dovrebbe snellire le pratiche burocratiche, limitare le barriere doganali, soprattutto per quanto riguarda i paesi extraeuro-pei. Quindi maggiori accordi a livello politico, per aumentare poi il peso decisio-nale dell’Italia in tali trattative.

Lo Stato dovrebbe poi agevolare gli incontri tra operatori dello stesso settore, per creare iniziative significative e non frammentate, per favorire l’aggregazione e trovare punti di riferimento comuni, e quindi anche un’aggregazione della pro-duzione stessa.

Si dovrebbe istituire un marchio Italia, un “Made in Italy”, un sistema paese per coordinare e creare un’immagine a livello nazionale, e far conoscere maggior-mente l’Italia e i suoi prodotti. A questo proposito, si dovrebbero favorire iniziati-ve di promozione, facendosi carico di queste attività di comunicazione, promuo-vendo le eccellenze e facendo conoscere il territorio. Andrebbero inoltre proposte iniziative di educazione del consumatore.

Di conseguenza, l’ente pubblico dovrebbe concedere finanziamenti per favorire chi fa attività di export, e investire maggiormente nelle esportazioni. Dovrebbero essere maggiormente coordinati i diversi enti.

Si necessita di azioni concrete contro le imitazioni e le contraffazioni, più controlli in questa direzione.

Andrebbero armonizzate le tariffe doganali e di trasporto, e si dovrebbero creare infrastrutture adeguate alle attività di esportazione.

Le cooperative vorrebbero inoltre dall’ente pubblico più aiuti nell’esser tutelati dal punto di vista finanziario.

Si chiede una maggior formazione dei funzionari pubblici e degli operatori del settore; una più incisiva protezione delle certificazioni di qualità come le Dop e le Igp; una maggior stimolazione dell’innovazione e ricerche di mercato specifiche.

C’è anche chi non nutre grandi aspettative verso lo Stato riguardo ad aiuti per agevolare l’esportazione.

3.7. GLI ATTEGGIAMENTI RELATIVI ALLA CONTRAFFAZIONE

L’esistenza di problemi di imitazione o di contraffazione dei prodotti italiani all’estero è stata dichiarata da quasi quattro cooperative su cinque. Una parte di queste, tuttavia, ha specificato che si tratta di episodi infrequenti. Sono state so-prattutto le imprese del settore lattiero-caseario e le cooperative di minore dimen-sione a porre in evidenza l’esistenza di questi problemi, anche per una maggiore frequenza di casi esistenti nel settore in esame.

La distribuzione delle cooperative in base all’opinione sulla natura di questi pro-

LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

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blemi di imitazione o di contraffazione dei prodotti italiani all’estero, vede una supremazia dei pareri tesi a evidenziare la coesistenza di entrambi gli aspetti sul-lo stesso mercato, alla pari delle cooperative che invece hanno puntato maggior-mente sulle caratteristiche di Italian sounding piuttosto che sulla contraffazione vera e propria.

DISTRIBUZIONE DELLE COOPERATIVE IN BASE ALL’OPINIONE SULL’ESISTENZA DI PROBLEMI DI IMITAZIONE O DI CONTRAFFAZIONE DEI PRODOTTI ITALIANI ALL’ESTERO

N. COOPERATIVE %

Si 34 56,7%

Raramente 13 21,7%

No 12 20,0%

Non so 1 1,7%

Totale 60 100,0%

QUOTA DI COOPERATIVE CHE AFFERMANO L’ESISTENZA DI PROBLEMI DI IMITAZIONE O DI CONTRAFFAZIONE DEI PRODOTTI ITALIANI ALL’ESTERO NEI DIVERSI SETTORI E

NELLE DIVERSE FASCE DI FATTURATO

SETTORE %

Lattiero-caseario 83,3%

Ortoflorofrutticolo 38,1%

Vitivinicolo 55,6%

Altro 66,7%

FATTURATO

Fino a 4 ml di euro 70,0%

Da 4 a 16 ml di euro 45,0%

Oltre 16 ml di euro 55,0%

In complesso 56,7%

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

3.8. LE PREVISIONI E LE PREOCCUPAZIONI PER IL FUTURO

I principali fattori che preoccupano per l’immediato futuro, relativamente ai rap-porti con l’estero, sono concentrati principalmente sulla concorrenza, anche ita-liana, a fronte della quale però si cerca di mantenere comunque gli standard qua-litativi per non far scadere l’immagine dei prodotti. La concorrenza che si teme è spesso quella di Spagna e Grecia, come similarità di produzioni, ma anche quella di paesi emergenti, che spesso diventa concorrenza sleale. La concorrenza più temuta è quella di chi va a screditare il nostro made in Italy. Inoltre i costi di pro-duzione italiani sono più elevati con una conseguente perdita di competitività.

Un altro aspetto che preoccupa è che non vadano a prevalere le barriere: si denota una sorta di selva burocratica che va ad appesantire le procedure di esportazio-ne, senza nessuna tutela da parte delle istituzioni. Anzi, le normative sono molto complesse, ed eccessive sono le richieste di certificazioni; inoltre i tassi di cambio rendono l’Europa meno competitiva e l’Italia ne risente perché a causa di tutto ciò esce con una bassa forza contrattuale, sua e delle sue aziende.

La crisi economica globale spaventa perché causa contrazione di domanda, e a questa va aggiunto il periodo di crisi propriamente italiano: il mercato italiano risulta fermo; ciò è peggiorato in alcuni casi da sfavorevoli eventi climatici che hanno svantaggiato le produzioni interne. Si necessita di politiche d’insieme, per-ché ormai non si pianifica più a livello regionale o nemmeno italiano; c’è troppa polverizzazione dei settori e della produzione stessa.

C’è molta difficoltà nel far riconoscere che il prezzo applicato è giusto rispetto alla qualità garantita; manca all’estero la cultura del prodotto italiano. Ciò comporta il rischio che non vengano poi valorizzate le nostre produzioni ma che si punti a qualità inferiori. Bisogna lavorare per differenziarsi ancora di più dalle contraffa-zioni, che danneggiano il made in Italy.

Preoccupano anche i rischi d’insolvenza dei clienti esteri, la loro affidabilità, il problema quindi della riscossione dei crediti.

I piccoli produttori hanno difficoltà ad affrontare i mercati esteri, non hanno forza finanziaria e volumi di fatturato sufficienti. Si necessita quindi di forme di coor-dinamento, per contrastare l’eccessiva forza delle grandi catene che schiaccia le piccole e medie imprese.

Esiste anche chi ritiene che non esista nessun motivo fonte di preoccupazione riguardo al futuro dell’export nel proprio settore.

LE STRATEGIE, LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

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Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari: approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri

Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

4.1. INQUADRAMENTO

Le barriere sono ostacoli di diversa natura creati da un paese al fine di limitare o controllare le importazioni da uno o più altri paesi e in questo modo divengono ostacoli oggettivi all’export per questi ultimi.

Le barriere possono avere molteplici motivazioni:

• proteggere l’industria e la produzione locale;

• proteggere la salute dei cittadini;

• creare ritorsioni nei confronti di paesi che hanno a loro volta eretto barriere nel settore o in altri settori o hanno espresso atteggiamenti non di favore;

• favorire il rapporto con un paese ai danni di un altro;

• …

e le motivazioni riferentesi alla stessa barriera possono essere più di una.

Le barriere si suddividono in due grandi categorie:

• tariffarie

• non tariffarie (non tariff barriers - NTB).

Quelle tariffarie sono i cosiddetti “dazi”, cioè tasse, normalmente rapportate al valore dei prodotti importati.

Possono configurarsi come normali dazi o come countervailing measures (CVD), misure compensative il cui obiettivo è quello di bilanciare gli effetti di sovvenzio-ni del paese esportatore tendenti a favorire la penetrazione dei suoi prodotti nei paesi d’importazione.

E’ evidente che i dazi limitano la competitività del paese esportatore o comprimo-no i margini delle sue aziende esportatrici qualora queste si impegnino a mante-nere il medesimo livello di prezzo al cliente, facendosi quindi carico dell’assorbi-mento del dazio.

Quelle non tariffarie possono assumere le vesti più diverse:

• contingentamenti, cioè limitazioni imposte alla quantità di prodotti che posso-no essere importate;

• restrizioni volontarie alle esportazioni, dette pure accordi negoziali (bi o multi laterali), da parte dei paesi esportatori;

• licenze per le importazioni;

• norme igienico sanitarie da rispettare;

4. LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

• richiesta di certificazioni;

• modalità amministrative e doganali che rendono complesse le pratiche;

• non interventi di protezione delle denominazioni dei paesi esportatori;

• ecc.

Non è sempre facile valutare se un provvedimento non tariffario ha, nelle inten-zioni del paese che lo adotta, lo scopo precipuo di limitare le importazioni; alcuni provvedimenti, infatti, possono avere semplicemente scopi di regolamentazione del commercio, di tutela della salute, di trasparenza circa l’origine, ecc.

In ogni caso i provvedimenti hanno ricadute negative, almeno nel breve termine, sulla capacità del paese esportatore di elevare le proprie prestazioni e i volumi esportativi.

Vi è poi da sottolineare che anche la complessità interpretativa e applicativa di tanti provvedimenti diventa un ostacolo psicologico ed operativo per gli espor-tatori, soprattutto per quelli di piccole dimensioni che debbono impegnarsi non poco al fine di corrispondere alle prescrizioni dei provvedimenti.

E ciò comporta, inoltre, doversi affidare in tante occasioni ad importatori non sol-tanto per il normale percorso commerciale-distributivo, ma per tutte le pratiche doganali, relative all’etichettatura, per i controlli sanitari, ecc.

Qualche volta poi le grandi imprese delocalizzano nei paesi troppo protetti per aggirare le barriere erette.

Vi sono poi le barriere implicite, cioè situazioni che non dipendono dall’esplicita volontà degli stati, ma che in ogni caso creano difficoltà alle esportazioni come la distanza fisica, l’ambiente sociale, le tradizioni, la religione, il grado di trasparen-za della pubblica amministrazione, ecc.

Nel suo rapporto 2013 “L’Italia nell’economia internazionale” Ice dichiara che, “pur non essendosi verificato il temuto rialzo generalizzato delle barriere tariffarie, cresce la preoccupazione che sia in atto un processo di sostituzione tra le misure tariffarie e quelle non-tariffarie.

Alcuni studi riportano sia l’esistenza di una correlazione negativa tra il livello delle tariffe e l’equivalente in valore delle misure non-tariffarie, sia un legame causale tra l’abbassamento dei dazi e il ricorso alle misure non tariffarie.

Anche se queste ultime sono spesso espressione di politiche pubbliche volte a tutelare la salute, la sicurezza, l’ambiente, e dunque perseguono obiettivi legittimi, molte rego-lamentazioni sono per loro natura poco trasparenti. Pertanto si prestano ad essere usate dai governi per rispondere alle istanze dei gruppi di interesse nazionali, anche se ap-parentemente il fine dichiarato è il perseguimento di un obiettivo di politica pubblica.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

L’impatto delle misure non tariffarie sui flussi di commercio internazionale sem-bra essere peraltro considerevole: alcuni studi indicano che, riducendo l’equiva-lente in valore delle misure non tariffarie dal 10% al 5%, si otterrebbe un incre-mento degli scambi commerciali intorno al 2-3%.

Le misure non tariffarie sarebbero in grado di determinare degli effetti restritti-vi sui flussi di scambio anche maggiori rispetto ai dazi, soprattutto nel caso dei prodotti agricoli. Va anche considerato che le stime effettuate per valutare il loro impatto sui flussi commerciali non tengono conto dei loro effetti sulle reti globali di produzione che, come noto, implicano per i beni intermedi un attraversamento ripetuto dei confini, e che quindi possono avere un effetto cumulativo.”

“Si stima che eliminare gli effetti delle barriere non tariffarie sulle reti transnazio-nali di produzione potrebbe far crescere il Pil mondiale del 4,7%, contro lo 0,7% in caso di rimozione delle sole barriere tariffarie.”

4.2. BARRIERE NON TARIFFARIE

Venendo al settore di interesse, vediamo, assumendo come riferimento principale il quadro delineato da Federalimentare nel luglio 2013, alcuni esempi, riferiti a importanti paesi non comunitari, di barriere soprattutto non tariffarie che frenano le potenzialità esportative delle nostre aziende.

Questi casi offrono uno spaccato interessante che ci fa toccare con mano la com-plessità e frammentarietà di una situazione in continua evoluzione e ci rende meglio consapevoli di quanto può essere importante l’intervento degli organismi nazionali e sovranazionali per ridurre le spigolosità, i cavalli di frisia del com-mercio internazionale.

Australia

Il sistema di protezione non tariffario continua a destare preoccupazione, con particolare riferimento agli standard fitosanitari.

L’orientamento restrittivo dell’Australia in materia di bio-sicurezza rappresenta il primario fattore di attrito fra UE ed Australia.

La principale criticità della politica di bio-sicurezza è costituita dal generale di-vieto alle importazioni in assenza di una preventiva analisi di valutazione del rischio. La tempistica e le procedure per l’analisi del rischio non sono, però, pre-determinate in anticipo.

Nel febbraio 2008, il Governo australiano ha avviato un processo di riforma complessiva del sistema di bio-sicurezza, con l’obiettivo di venire incontro alle critiche dei principali partner commerciali.

32 LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

Il processo di riforma procede tuttavia molto lentamente.

A livello bilaterale, l’Italia ha ottenuto nel 2006 l’autorizzazione definitiva alle im-portazioni di prosciutto crudo disossato, ma a condizioni restrittive e sono tuttora vietate le esportazioni di salumi cotti e prodotti a breve stagionatura.

Brasile

Si registrano occasionalmente blocchi di importazione di generi alimentari italia-ni per ragioni sanitarie e fitosanitarie.

Nel 2009 é stato concordato un nuovo modello di certificato sanitario che ha per-messo di risolvere buona parte dei problemi.

Il Brasile ha varato una regolamentazione, in vigore dall’1 gennaio 2011, per le etichettature dei prodotti di origine animale importati, che appesantisce in ma-niera esagerata le procedure per gli esportatori. La UE ne ha chiesto la modifica e si è tuttora in attesa delle decisioni del Ministero dell’Agricoltura brasiliano.

Nel caso di prodotti alimentari, soprattutto se di origine animale, è necessario avvalersi della collaborazione di un operatore (di preferenza importatore) locale.

Dal 2002 è vietata l’esportazione dei prodotti di salumeria stagionati per periodi inferiori ai 10 mesi (es. salami, coppe, pancette ecc), mentre la chiusura del mer-cato ai prodotti a breve stagionatura - stabilita a seguito dei focolai di malattia vescicolare del suino in Italia - si pone in contrasto con i principi che regolano l’intesa tecnica, siglata nel 1995, per la disciplina delle importazioni di prodotti a base di carne provenienti dall’Italia.

Per quanto concerne i vini, qualche anno fa è stata modificata in senso meno re-strittivo la legislazione laddove prevedeva che un prodotto per essere considerato vino non potesse eccedere i 13 gradi alcolici (oltre tale soglia il prodotto veniva considerato “vino liquoroso” e pertanto si applicava una imposta del 40% contro il 27% dei vini comuni).

In base a una nuova normativa a partire dall’1 gennaio 2011, le bottiglie di vino devono avere un bollo anti-contraffazione della “Receita Federal” (Agenzia Doga-nale brasiliana), la cui apposizione appesantisce le procedure di sdoganamento.

Le bevande spiritose, unitamente ai vini, sono soggette alle analisi di controllo al momento dell’importazione.

Per alcune tipologie di vini e le bevande spiritose è previsto l’obbligo di apporre un contrassegno a seconda del tipo di prodotto e della categoria fiscale di appar-tenenza, tale procedura risulta molto macchinosa.

Sia per i vini che per le bevande spiritose vanno presentati dettagliati certificati di origine e di analisi.

33LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

La legislazione brasiliana prevede che al momento dell’importazione del vino (accompagnato da un certificato unificato di analisi e di origine) possano essere prelevate due bottiglie per ogni partita per effettuare le analisi di controllo.

Il prodotto non può essere venduto sul territorio nazionale prima del risultato delle analisi. Si sono registrati casi in cui il risultato delle analisi è stato reso noto dopo un anno.

L’atteggiamento del governo brasiliano nei confronti delle importazioni di vino è stato sempre piuttosto ambiguo. Ad alcuni momenti di relativa apertura se ne sono alternati altri di protezionismo estremo.

Fino all’autunno 2012 il Brasile ha applicato misure di salvaguardia sui vini (in conformità ai regolamenti del WTO), con l’obiettivo di proteggere il settore dall’aumento delle importazioni.

La clausola di salvaguardia è stata rimossa grazie all’intermediazione italiana, ma è importante monitorare la situazione per scongiurarne un futuro ripristino.

Canada

Il Department Foreign Affairs and International Trade (DFAIT) richiede le licenze di importazione per certe specie di piante e animali, prodotti agricoli, alcuni pro-dotti alimentari come i lattiero-caseari, le uova e il pollame.

Agriculture and Agri-Food Canada accorda invece le licenze di importazione per le carni lavorate.

In genere sono richiesti dei certificati sanitari per i prodotti agroalimentari.

Tutte le province del Canada hanno un ente di monopolio (Liquor Board) che controlla l’importazione e la commercializzazione delle bevande alcoliche. Nono-stante la rigidità del sistema, il mercato canadese figura spesso tra i primi mercati di sbocco per molti esportatori italiani.

Nel 2010, l’agenzia delle dogane canadesi (CBSA) ha reso noti cambiamenti in re-lazione a diritti doganali e contenuto alcolico di spumanti e vini importati. Quello più importante riguarda gli spumanti che da gennaio 2010 vengono importati in esenzione di dazio.

L’accordo Canada-UE sui vini e le bevande alcoliche del 2003 prevede una regi-strazione che consente di inserire le Indicazioni Geografiche nel registro canadese dei Trade Marks.

In virtù di tale accordo l’Italia ha registrato oltre 500 denominazioni di origine presso le locali autorità federali.

In Canada è obbligatorio l’arricchimento con sostanze vitaminiche della farina bianca venduta sia all’industria alimentare che al dettaglio e tutti gli alimenti con-tenenti farina bianca devono essere preparati con farina bianca arricchita.

34 LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

Tale normativa crea problemi per l’esportazione di alcuni prodotti dolciari come i lievitati di ricorrenza (ad es. il panettone) ed altri prodotti da forno (ad es. i wa-fer), in quanto sussistono delle difficoltà tecnologiche per uniformarsi ai requisiti richiesti.

Cina

La cucina cinese è estremamente radicata nella cultura popolare, è quindi impro-babile che la cucina italiana qui possa incontrare il successo avuto in altre aree, dove ha spesso rappresentato un nuovo modello di riferimento.

I cinesi apprezzano però il gusto e ancor di più l’aspetto culturale associato al cibo e la sua esclusività, quindi la cucina italiana può ritagliarsi discreti spazi.

Detto ciò veniamo alle barriere in senso stretto.

Per tutti i prodotti agroalimentari confezionati importati è obbligatoria l’etichetta-tura originale in lingua cinese.

Oltre al controllo delle etichette, le merci che arrivano in dogana sono sottopo-ste ad una serie numerosa di controlli previsti dalle procedure di ispezione e quarantena.

La normativa locale richiede la presentazione di numerosi documenti tra cui particolare rilievo hanno le certificazioni, soprattutto di carattere sanitario.

A partire dal 1° ottobre 2010, la General Administration of Quality Supervision, Inspection and Quarantine (AQSIQ) richiede l’anticipo per via informatica dei certificati veterinari rilasciati per i prodotti a base di carne, nonché la certificazio-ne per l’influenza A/H1N1.

L’autorizzazione degli impianti di trasformazione delle carni suine per l’esporta-zione in Cina è subordinata all’ispezione degli stessi da parte delle autorità cinesi.

Numerosi prodotti agroalimentari italiani, soprattutto freschi, continuano ad es-sere vietati all’importazione in Cina per ragioni di carattere sanitario.

Tra le principali categorie di prodotti ancora vietati vanno ricordati:

• gli ortofrutticoli freschi (con la recente eccezione del kiwi), a causa del virus della mosca mediterranea;

• le carni di origine bovina per il morbo BSE (c.d. mucca pazza);

• le carni di origine ovina per il virus che ha colpito gli ovini (c.d. lingua blu);

• le carni suine e prodotti a base di carne suina, ad eccezione dei prodotti cotti e del prosciutto crudo stagionato 313 giorni;

• le carni di origine aviaria per la malattia definita bird flu (c.d. peste aviaria).

35LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

Sussistono problemi di importazione di latticini freschi in quanto vi è un proble-ma sul certificato veterinario concordato: il latte deve provenire solo dall’Italia e non dall’UE, come nei certificati concordati da altri Paesi. Il Ministero della Salute ha emesso una nota interpretativa che consente l’impiego di latte comunitario.

Numerose, inoltre, sono le difficoltà riscontrate dalle aziende produttrici di grap-pe e distillati. Tra questi si segnalano:

• limiti alcol metilico: la quantità massima ammessa dalla normativa cinese è nettamente inferiore ai limiti imposti da quella comunitaria e il tema ha parti-colare rilevanza per la IG Grappa;

• certificazione di analisi sulla presenza di ftalati (sostanze chimiche utilizzate negli imballaggi) che deve dimostrare che il loro livello sia inferiore ai limiti stabiliti dalla normativa cinese;

• tutela indicazioni geografiche protette: la legislazione cinese non le tutela in modo adeguato;

• capacità delle bottiglie: gli standard cinesi non sono uniformi alla normativa UE e creano costi per la predisposizione del diverso packaging;

• tempistiche particolarmente lunghe per lo sdoganamento.

Recentemente il Governo cinese ha notificato alla Commissione Europea l’avvio dell’indagine anti dumping e anti sovvenzioni sul vino di provenienza UE, a se-guito della richiesta di un’associazione cinese di produttori di vino.

L’indagine è ancora in corso e ha costretto 1300 aziende italiane alla compilazione di un articolato questionario per iscriversi ad una lista che, nel caso di inaspri-mento tariffario, potrebbe garantire un dazio ridotto.

Corea del Sud

L’attenzione delle autorità di impedire l’ingresso di malattie animali comporta una serie complessa di controlli.

A seguito di negoziati condotti dall’Ambasciata con le autorità locali, sono stati comunque raggiunti alcuni, importanti risultati:

• è ora possibile esportare in Corea parmigiano reggiano, grana padano ed altri formaggi a base di latte crudo;

• il mercato è aperto ai prodotti a base di carne suina cotti e stagionati almeno 400 giorni; permane però il vincolo della materia prima di origine italiana e il di-vieto di esportazione per la carne suina fresca e i prodotti a breve stagionatura;

• è stato superato il bando alle importazioni di mozzarella di bufala adottato nel 2008;

36 LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

• sono state riconosciute le certificazioni di prodotti biologici da parte degli enti italiani autorizzati e si sta sensibilizzando il Ministero dell’Agricoltura perché la nuova legislazione in materia sia semplificata;

• sono in corso negoziati fra ambasciata e autorità fitosanitarie coreane per apri-re il mercato alle esportazioni di kiwi ed è stata fatta richiesta per avviare le esportazioni di arance, pere, mele ed uva da tavola italiane;

• è stato aperto un contingente per le importazioni della varietà di riso italiano usato per i risotti.

Emirati Arabi Uniti

Gli Emirati Arabi Uniti promuovono una politica economica piuttosto liberale, anche se permangono barriere non tariffarie.

Le imprese straniere per ampliare il proprio raggio d’azione nell’area hanno ne-cessariamente bisogno di uno sponsor locale. La legge federale prevede inoltre che la distribuzione dei prodotti da parte di aziende straniere avvenga esclusiva-mente tramite agenti di nazionalità emiratina, persone fisiche o giuridiche.

Gli agenti per ottenere la necessaria licenza commerciale esclusiva, oltre che per usufruire di tutela legale relativa al contratto, devono essere registrati presso il Ministero dell’Economia e del Commercio.

Gli importatori possono commerciare esclusivamente prodotti conformi ai termi-ni previsti dalla loro licenza.

I prodotti commestibili sottostanno a restrizioni che possono considerarsi barrie-re minori, come la presenza delle date di produzione e di scadenza sull’etichetta.

Sono inoltre previste ferree limitazioni, dovute a norme religiose, che riguardano l’importazione di alcolici, carne di maiale e prodotti derivati.

Per lo stesso motivo le carni bovine ed il pollame d’importazione necessitano del-la certificazione di macellazione Halal, rilasciata da un apposito centro islamico nel paese d’origine.

In tale ambito, va ricordato il riconoscimento ottenuto dalla Comunità Religiosa Islamica Italiana da parte del Ministero dell’Ambiente e Acque emiratino, al rila-scio delle certificazioni Halal sui prodotti italiani da esportare negli EAU.

Giappone

Sui seguenti prodotti alimentari provenienti dall’Italia o di origine italiana, grava il divieto d’importazione:

• carne bovina (problemi legati alla BSE);

37LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

• ortofrutticoli freschi non a foglia (eccetto le arance tarocco);

• provolone (presenza dell’additivo conservante Esamina/ Esametile Te-trammina E329);

• pollame (peste aviaria);

• alimenti contenenti il colorante Sudan I.

Le barriere fito-sanitarie sono tra i principali ostacoli per i molti prodotti ortofrut-ticoli italiani.

Risulta al momento possibile solo l’importazione di carciofi, asparagi, tartufi, funghi, radicchio rosso, cicoria fresca, lattuga, pistacchi, mandorle, cipollotti e carote. Cipolle e cipollotti sono soggetti ad esame con obbligo di certificato di quarantena.

La liberalizzazione delle importazioni delle arance di Sicilia “tarocco”, ottenuta sulla base del Protocollo d’intesa che riconosce l’efficacia del trattamento a freddo per l’eliminazione della mosca mediterranea, ha aperto interessanti possibilità per i nostri prodotti ortofrutticoli.

Da parte italiana è stata, inoltre, avanzata la richiesta di includere le varietà di arance “moro” e “sanguinello” all’interno del Protocollo bilaterale per le impor-tazioni della varietà “tarocco”, sulla base della similarità tra queste esistenti.

In merito all’apertura del mercato giapponese alle importazioni dall’Italia di kiwi, mele, pere e uva da tavola, sono stati da tempo avviati i contatti con le autorità giapponesi.

Il Giappone non accetta gli standard internazionali per l’impiego di additivi ali-mentari. In numerose occasioni è stato richiesto a Tokyo di adottare i metodi di ricerca comunemente in uso in Europa e nel resto del mondo (in linea con il CO-DEX Alimentarius).

La UE è tuttora in attesa che il Giappone completi l’iter di approvazione per una serie di additivi compresi in una lista considerata prioritaria e presentata alle Au-torità giapponesi nel 2002 (ad oggi ne rimangono 15 su un totale di 46).

Il Ministero della Salute nipponico ha presentato una lista di 80 additivi che in-tende eliminare dal novero degli autorizzati, senza per questo vietarne l’uso qua-lora vengano riconosciuti come ingredienti naturalmente presenti nel prodotto.

L’intenzione dichiarata è quella di semplificare il processo di controllo sanitario, eliminando la verifica per additivi non più in uso.

Ad oggi il Giappone ha deciso di mantenere nella lista 25 additivi, eliminandone 55.

La normativa giapponese prevede tolleranza zero nei confronti del batterio Liste-ria e la creazione di una “lista nera” in cui vengono iscritte le aziende qualora i campionamenti effettuati sui salumi da queste esportati diano esito positivo.

38 LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

Per contrassegnare i prodotti ottenuti secondo gli standard agricoli locali, esiste il marchio JAS (Japan Agricultural Standards) semplice e quello biologico.

Le norme JAS stabiliscono che i prodotti alimentari biologici debbano essere cer-tificati da un ente, giapponese o estero, registrato presso il Ministero dell’Agricol-tura giapponese e devono riportare il logo JAS col nome dell’ente certificatore, ma le procedure di registrazione per l’applicazione del logo stesso sono complicate e costose.

La UE attende ora di conoscere gli effetti che deriveranno dall’accordo del maggio 2010 sulla piena equivalenza in fatto di certificazione.

Il divieto di importazioni di carni bovine e prodotti derivati per timore dei rischi BSE sono contrari ai principi del WTO in materia sanitaria e fitosanitaria. Pertan-to, è auspicabile che il Giappone giunga a un riconoscimento della classificazione ai fini del rischio BSE secondo i principi dell’Organizzazione Mondiale della Sa-lute Animale (OIE).

Relativamente alle capacità nominali delle bottiglie, gli standard giapponesi non risultano uniformi alla normativa UE. Una soluzione a tale problematica consen-tirebbe una riduzione dei costi sostenuti dalle imprese per la predisposizione del diverso packaging.

La legislazione giapponese inoltre non tutela in modo adeguato le indicazioni geografiche né le denominazioni di origine.

Relativamente allo sdoganamento delle merci, si segnalano tempistiche partico-larmente lunghe ed è spesso richiesta documentazione, talvolta superflua e/o non prevista dalla normativa.

Relativamente agli ingredienti e alle aromatizzazioni, sarebbe poi auspicabile il recepimento delle possibili aromatizzazioni con vegetali naturali e la possibilità di utilizzare tutti gli ingredienti previsti dalla normativa comunitaria (es. ruta, genziana, ecc.).

India

Vi sono numerose restrizioni che limitano l’accesso al mercato dei prodotti ali-mentari importati.

Le importazioni di molte specie animali e di prodotti derivati da animali sono vietate in base ai requisiti richiesti dalle normative vigenti.

Questo divieto riguarda latticini, salumi, pollame, ovini, caprini e alimenti per animali domestici.

Le importazioni di carne bovina sono, invece, vietate per motivi religiosi.

39LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari: approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri

Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

Le importazioni di bevande alcoliche sono soggette ad elevati dazi, ad imposte locali e ad un complesso sistema di licenze che di fatto ne limitano i volumi e gli esportatori non possono prescindere dall’operare a stretto contatto con gli impor-tatori locali.

Nonostante l’espansione economica l’India continua a presentare una serie di sfi-de per coloro che vogliono esportare:

• tariffe elevate sui prodotti di importazione;

• rigorose norme sanitarie e fitosanitarie;

• restrizioni agli investimenti esteri (IDE) che non sono consentiti in agricoltura;

• difficoltà per la distribuzione dei prodotti nei mercati rurali.

L’India applica una tariffa del 30 % sulla pasta importata e probabilmente ridurrà strada facendo questo dazio. Infatti vi sono solo poche aziende locali produttrici di pasta (vedi bluebirdpasta). Molte hanno tentato di produrre pasta nel sud del paese negli anni ‘70 e ‘80, ma non sono riuscite a ottenere i risultati attesi a causa della scarsa domanda e del loro basso livello di competenza ed esperienza.

Le conserve di frutta e verdura sono regolate dal Fruit Products Order gestito dal Department of Food Processing Industries e quindi l’importazione di questi prodotti deve rispettare le disposizioni del provvedimento.

Tariffe elevate sulla maggior parte dei prodotti alimentari unitamente alle barrie-re non tariffarie continuano ad ostacolare la crescita del commercio.

I dazi di importazione sulla maggior parte dei prodotti alimentari di consumo rientrano nella fascia tra il 26% e il 74%. Ma il governo indiano tende a modificare la struttura dei dazi, di volta in volta, in base alle esigenze del suo mercato.

Il calcolo del dazio effettivo è spesso complesso e coinvolge una serie di accise: dazio base (doganale), dazio addizionale o compensativo (Countervailing Duty - CVD) e un Cess Education (supplemento particolare su tutte le tasse dirette e indirette pari al 3%, introdotto nel 2007).

Il dazio di base sulla maggior parte dei prodotti alimentari trasformati è pari al 30%. Eccezioni riguardano vino, liquori, frumento, riso, mais, caffè, tè, oli ve-getali, le sigarette e il tabacco e diversi prodotti lattiero-caseari, per i quali sono applicati dazi di base molto più alti.

Inoltre in India vigono numerose normative per il settore alimentare che ricadono sotto la competenza di vari Ministeri.

Gli esportatori devono seguire le normative relative all’utilizzo di additivi e colo-ranti, ai requisiti di etichettatura, all’imballaggio, ai pesi e misure, alla shelf life e ai certificati fitosanitari.

Il governo indiano ha recentemente costituito un’Autorità per la sicurezza ali-mentare (FSSAI).

40 LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari: approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri

Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’obiettivo del FSSAI è quello di unificare le diverse normative e creare un’unica agenzia di regolamentazione in luogo delle molteplici attuali.

Alcune delle principali normative che riguardano gli importatori di prodotti alimentari sono:

• The Prevention of Food Adulteration (PFA) Act, 1954, and PFA Rules of 1955 e successive modifiche. Questa legge protegge i consumatori contro i cibi adul-terati e riguarda i coloranti e conservanti, i residui di pesticidi, l’imballaggio, l’etichettatura e regola le vendite. Questa legge riguarda sia i prodotti impor-tati che locali;

• The Standards of Weights and Measures Act, 1976, and the Standards of Weights and Measures (Packaged Commodities) Rules, 1977 e successive mo-difiche. Questa legge determina gli standard per i pesi e le misure per regolare il commercio interstatale e prevede le diciture per le etichette: denominazione di vendita, nome e indirizzo del produttore, quantità, data di produzione e di scadenza, il prezzo massimo di vendita al dettaglio. I requisiti sono richiesti sia per prodotti confezionati importati che locali.

Per le importazioni vengono richiesti il certificato di origine (rilasciato dalla Ca-mera di Commercio) e il certificato fitosanitario.

Russia

Non si può più parlare di sola “Russia”, ma si deve fare riferimento all’Unione Doganale (Russia, Bielorussia e Kazakistan).

Per il settore lattiero-caseario, al di là delle questioni inerenti l’autorizzazione de-gli stabilimenti nella lista Russia, i parametri di riferimento sono in molti casi differenti da quelli comunitari e possono richiedere un valore inferiore al limite di rilevabilità con metodica ISO.

Ne consegue che, quando vengono effettuati controlli, ad esempio sui coliformi, le merci sono bloccate. Segue la richiesta al Ministero della Salute di una relazio-ne alla quale fa seguito comunque la sospensione dell’impianto. Ed è da definire la procedura di reintegro.

Inoltre, secondo la legge federale russa, rientrano fra i prodotti lattiero-caseari anche i gelati, categorizzazione criticabile ed in disaccordo con la normativa co-munitaria.

Ai fini dell’accertamento dell’idoneità strutturale ed igienico-sanitaria degli stabi-limenti, le aziende iscritte in liste e quindi abilitate ad esportare nell’Unione Do-ganale (Russia, Bielorussia e Kazakistan) sono sottoposte ad un inutile e oneroso piano di campionamento per determinare, fra gli altri, livelli di radionuclidi ed una serie di ulteriori contaminanti. Risultano inoltre, allo stato attuale, chiuse le liste per l’esportazione a fronte di una motivata quanto urgente esigenza da parte delle aziende del comparto di farne parte.

41LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari: approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri

Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

Ogni misura sanitaria e fitosanitaria applicata in Russia e nell’Unione Doganale dovrà essere in linea con gli standard WTO.

La Russia si impegna a garantire che ogni regolamento in tema di regole, stan-dard e procedure di conformità sia in linea con l’Agreement on Technical Barriers to Trade.

Purtroppo, però, è costante la frapposizione di ostacoli burocratici all’attività di esportazione.

La costituzione dell’Unione Doganale, con l’obiettivo di creare un mercato comu-ne con un sistema di regole interne armonizzate, anche in ambito sanitario e fito-sanitario, sta creando difficoltà alle nostre carni lavorate, a causa dell’incertezza sulla normativa in vigore.

A ciò si aggiunge la decisione di autorizzare all’esportazione di prodotti a base di carne, solamente stabilimenti comunitari preventivamente ispezionati dalle Au-torità sanitarie dell’Unione.

Stati Uniti

La tutela delle indicazioni geografiche e dei nomi semi-generici che identificano i prodotti italiani è una tematica di particolare rilevanza.

La Commissione Europea è titolare del negoziato con gli Stati Uniti in ambito WTO.

Pur nei limiti posti dalla competenza comunitaria in materia, la rete diplomatico-consolare, d’intesa con ICE, segue con attenzione la tutela delle indicazioni geo-grafiche e dei nomi semigenerici.

Ciò, anche con specifico riferimento alla problematica posta dalla diffusa presenza di prodotti che utilizzano impropriamente nomi ed indicazioni geografiche italiane.

Per il settore vinicolo, è in vigore un accordo specifico (2005/798/EC) tra l’UE e gli Stati Uniti e gli elementi principali di tale accordo sono i seguenti:

• alcune denominazioni di vini europei (Burgundy, Claret, Chablis, Champa-gne, Chianti, Malaga, Marsala, Madeira, Moselle, Port, Prosecco, Retsina, Rhi-ne Wine Hock, Sauterne, Haute Sauterne, Sherry e Tokay) sono considerate semigeneriche. Il loro uso viene limitato negli Stati Uniti, i quali si adoperano per modificare lo status giuridico di tali denominazioni e riservarne l’uso sul mercato statunitense ai soli vini UE;

• sono accettate le pratiche enologiche degli Stati Uniti ma gli Stati Uniti potran-no esportare i vini ottenuti in base a tali pratiche solo dopo aver modificato lo status giuridico dei nomi semigenerici. Le nuove pratiche enologiche saranno valutate e accettate nell’UE soltanto se non saranno sollevate obiezioni. Non si tratta di un riconoscimento reciproco;

42 LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari: approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri

Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

• gli Stati Uniti e l’UE hanno convenuto di adoperarsi per risolvere eventuali contenziosi bilaterali attraverso consultazioni bilaterali informali anziché fa-cendo ricorso a meccanismi formali di composizione delle controversie.

In attuazione dell’accordo, il 20 dicembre 2006 è stato promulgato negli Stati Uniti il “Tax Relief on Health Care Act 2006”, in cui è inserito il provvedimento dello stato giuridico dei 17 nomi semigenerici.

Con tale provvedimento, le COLAs (Certification of Label Approval) esistenti ed approvate fino al 10 marzo 2006 sono confermate, permettendo così ai produttori americani in possesso delle certificazioni di continuare ad usare i nomi sia sul ter-ritorio nazionale che in paesi terzi, ad esclusione di quelli UE. Le condizioni sta-bilite dall’accordo fra Stati Uniti e UE per il commercio del vino diventano in tal modo applicabili unicamente alle richieste di COLAs successive al 10 marzo 2006.

L’approvazione preventiva delle etichette, le numerose informazioni e l’obbligo di registrazione dei produttori richieste in virtù del Bioterrorism Act sono com-plesse per i piccoli operatori.

In alcuni Stati è richiesto il permesso federale per l’importazione, mentre in altri esistono veri e propri monopoli per importare e distribuire bevande alcoliche.

Oltre alle tasse federali i prodotti importati sono soggetti alle tasse interne appli-cate diversamente in ogni singolo Stato.

Relativamente alle grappe, è da rilevare che la quantità massima di alcool metili-co che può essere presente nelle bevande spiritose è inferiore a quanto ammesso dalla legge comunitaria.

Nell’ottica di individuare possibili forme di cooperazione con gli Stati Uniti nell’ambito dei diritti di proprietà intellettuale (IPR), si evidenzia come l’Italian Sounding sia una pratica molto più sofferta rispetto alla contraffazione vera e propria e che erode gran parte della quota di mercato Stati Uniti destinata alle aziende italiane, danneggiando l’immagine dei prodotti italiani di qualità.

Ovviamente i nomi più utilizzati dai produttori locali riguardano soprattutto i prodotti protetti da indicazioni geografiche, ma il fenomeno riguarda anche quel-li propriamente industriali mediante anche l’uso di bandierine, monumenti na-zionali, città, ecc. che ne richiamano l’italianità.

Le norme generali di etichettatura della FDA stabiliscono che nelle etichette di tutti i prodotti alimentari debbano essere riportate informazioni riguardanti, tra l’altro, il Paese di origine (“Product of Italy”) e il nome e l’indirizzo del produttore e/o importatore mentre non è regolamentato l’uso di simboli e fregi che possano enfatizzare la nazionalità di un particolare prodotto.

Il “Food Safety Modernization Act” (FSMA) stabilisce il quadro di riferimento per la modifica delle disposizioni sul controllo sanitario dei prodotti alimentari americani e stranieri, in particolare ortofrutticoli ed ittici.

43LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

La nuova disciplina prevede l’introduzione di standard sanitari più elevati, con-trolli più frequenti presso le aziende nazionali ed estere, e l’identificazione di enti riconosciuti ai fini della certificazione di conformità.

Le aziende straniere che sono parte della catena di produzione di derrate ali-mentari destinate al mercato americano avranno l’obbligo, dal 2012, di registrarsi presso la FDA ogni due anni.

Numerose sono le barriere di carattere sanitario e fitosanitario per i prodotti agro-alimentari.

Per quanto riguarda i prodotti vegetali, gli Stati Uniti permettono l’importazione soltanto di alcune categorie di derrate ortofrutticole dall’UE.

Relativamente al settore lattiero-caseario, si segnala che sono state fermate alla dogana partite di formaggio molle a latte pastorizzato per il superamento del nuovo limite stabilito per gli E. coli.

E criticità si hanno anche per la Listeria m..

E’ in vigore il divieto d’importazione di carne bovina e di prodotti a base di carne bovina dall’UE a causa della BSE.

Tutti i prodotti a base di carne suina importati dall’Italia devono essere lavorati esclusivamente in stabilimenti approvati dall’United States Department of Agri-culture (USDA).

L’USDA consente l’importazione dall’Italia di prosciutti crudi stagionati alme-no 400 giorni, di prodotti cotti (esempio mortadella, prosciutto cotto,cotechino) e dalle regioni del Centro Nord Italia indenni da malattia vescicolare, anche di carni suine e di prodotti a base di carne suina, senza vincoli sulla durata della stagionatura.

L’apertura all’import di carni fresche e di prodotti a breve stagionatura, in vigore dal 28 maggio 2013, è un importantissimo risultato, ma sarebbe auspicabile che si giungesse al riconoscimento di indennità da malattia vescicolare di tutto il ter-ritorio italiano.

Turchia

Le merci importate in Turchia devono essere sdoganate entro il termine peren-torio di 20 giorni se provenienti via terra o aria, oppure entro 40 giorni se prove-nienti via mare. Qualora la merce non venga sdoganata in tempo utile, può essere nazionalizzata e venduta all’asta.

Tale procedura comporta spesso problemi per gli operatori italiani che, per via di ostacoli burocratici (verifiche sul rispetto di standard tecnici, certificazioni sanita-rie) o a causa dell’operato di importatori turchi che tardano a ritirare la merce in dogana, vengono espropriati.

44 LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

Le più numerose restrizioni alle importazioni riguardano i prodotti agricoli ed agroalimentari, sottoposti di fatto a un regime di importazione a licenza. Le au-torizzazioni sono concesse, in via discrezionale dal Ministero dell’Agricoltura e, per i vini, dal TAPDK (Ente per la regolamentazione del mercato del tabacco, derivati del tabacco e delle bevande alcoliche).

Per l’esportazione di prodotti agroalimentari, gli operatori devono munirsi di un certificato di analisi sanitaria del prodotto ottenuto presso i laboratori pubblici (per l’Italia le ASL).

Da un punto di vista generale, la Commissione Europea e la comunità degli inve-stitori internazionali in Turchia richiedono ad Ankara di abbandonare il sistema dei controlli preventivi all’ingresso dei beni nello spazio doganale turco, in quan-to ritenuto inefficiente ed inutilmente costoso per gli importatori che devono pro-durre un’ingente, ma non significativa, documentazione.

In alternativa, essi suggeriscono di sviluppare un meccanismo di controlli ex post sui beni circolanti nel mercato, offrendo una più accurata tutela delle esigenze di sicurezza e di protezione dei consumatori.

Ulteriori problemi segnalati dagli operatori italiani sono legati all’embargo sul-la carne bovina proveniente dall’UE, introdotto per far fronte ad eventuali con-tagi da BSE, nonché alle difficoltà di importare dalla Turchia olio d’oliva non raffinato (gli esportatori turchi, infatti, vengono incentivati ad esportare olio d’oliva raffinato).

La Commissione ha ritenuto necessario che la Turchia riapra le sue frontiere al commercio di carni e bovini con l’UE, mettendo fine a quella che si configura come infrazione rispetto alle obbligazioni internazionali.

Per quanto riguarda gli Organismi Geneticamente Modificati, il Ministero dell’A-gricoltura turco (MARA) aveva varato nel 2009 una regolamentazione relativa all’importazione, alla lavorazione, all’esportazione e al controllo dei prodot-ti OGM. Nove sono le categorie di sostanze che rendono obbligatori i controlli: mais e derivati, semi di soia, colza, patate, prodotti a base di cotone, riso grezzo, papaya, pomodori e barbabietole da zucchero.

Dopo vari interventi della UE la materia continua ad essere caratterizzata da fluidità ed incertezza.

Thailandia

Sono richiesti permessi sanitari e fitosanitari per le importazioni di prodotti di origine animale e vegetale.

Una specifica normativa di tipo sanitario disciplina l’importazione dei prodotti alimen-tari, farmaceutici e cosmetici: è richiesta una procedura specifica per la registrazione ed approvazione di tali prodotti, che alle volte può divenire piuttosto lenta e difficoltosa.

45LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

Le bevande alcoliche ed il tabacco richiedono una licenza di importazione, appro-vata dal Thai Excise Department.

Per quanto riguarda i prodotti alcolici, nel settembre 2006 è stata promulgata una legge sul controllo del consumo di alcool che tra l’altro impone un divieto di pub-blicità per le bevande alcoliche. Questo provvedimento costituisce un ostacolo all’attività promozionale e pubblicitaria per tutto il settore dei vini e delle bevan-de alcoliche.

4.3. BRIC: BARRIERE TARIFFARIE

Vediamo infine con riferimento ai soli quattro paesi Bric (Brasile, Cina, India e Russia):

• il valore e la quota della UE e dell’Italia relativamente all’import ed export dei prodotti alimentari e bevande sul totale del paese (Ice - Gti - Onu);

• il quadro dei dazi, per gruppo di prodotti, riferiti alla Nazione Più Favorita (MFN - la normale tariffa non discriminatoria) e la quota del gruppo sul totale delle importazioni, così come li presenta il WTO.

Da questo quadro leggiamo una situazione piuttosto variegata con dazi medi per gruppo di prodotti che toccano punte del 56% per il gruppo caffè e the in India e scendono a 0 per il cotone in Russia.

Il quadro è in continua evoluzione e, in base agli accordi che via via si raggiungo-no in sede Wto, destinato a vedere i dazi ridursi, come nel caso della Russia, che ha appena aderito all’organismo del commercio mondiale.

Brasile

Il Brasile è entrato nel WTO al momento della sua costituzione, l’1 gennaio 1995.

Nel 2012 i valori, in milioni di dollari, dell’export e dell’import di prodotti alimen-tari e bevande, la quota della UE e dell’Italia erano i seguenti:

EXPORT IMPORT

Mil $ Quota % Mil $ Quota %

UE 10.082 23,0 1.664 24,1

ITALIA 592 1,4 166 2,4

MONDO 43.775 100,0 6.919 100,0

46 LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

I dazi medi riferiti alla Nazione Più Favorita, la tariffa massima applicata ad uno specifico prodotto del gruppo e la quota del gruppo sul totale delle importazioni sono i seguenti:

Cina

La Cina è entrata nel WTO l’11 dicembre 2001.

Nel 2012 i valori, in milioni di dollari, dell’export e dell’import di prodotti alimentari e bevande, la quota della UE e dell’Italia erano i seguenti:

PRODUCT GROUPS MFN APPLIED DUTIES IMPORTS

AVG % Max % Share %

Animal products 8,9 16,0 0.1

Dairy products 18,5 28,0 0.2

Fruit, vegetables, plants 9,7 14,0 1.0

Coffee, tea 13,3 20,0 0.2

Cereals & preparations 11,8 20,0 1.8

Oilseeds, fats & oils 8,0 12,0 0.5

Sugars and confectionery 16,5 20,0 0.0

Beverages & tobacco 17,2 20,0 0.3

Cotton 6,4 8,0 0.0

Other agricultural products 7,6 14,0 0.3

Fish & fish products 10,0 14,0 0.6

EXPORT IMPORT

Mil $ Quota % Mil $ Quota %

UE 5.694 13,5 6.905 15,4

ITALIA 348 0,8 384 0,9

MONDO 42.259 100,0 44.769 100,0

47LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

I dazi medi riferiti alla Nazione Più Favorita, la tariffa massima applicata ad uno specifico prodotto del gruppo e la quota del gruppo sul totale delle importazioni sono i seguenti:

I dazi doganali sono notevolmente diminuiti nel corso degli anni, soprattutto a seguito dell’adesione della Cina al WTO, ma combinati con l’IVA continuano comunque ad inci-dere sensibilmente sul prezzo del prodotto importato.

India

L’India è entrata nel WTO al momento della sua costituzione, l’1 gennaio 1995.

Nel 2012 i valori, in milioni di dollari, dell’export e dell’import di prodotti alimentari e bevande, la quota della UE e dell’Italia erano i seguenti:

PRODUCT GROUPS MFN APPLIED DUTIES IMPORTS

AVG % Max % Share %

Animal products 14,8 25,0 0.2

Dairy products 12,0 20,0 0.2

Fruit, vegetables, plants 14,8 30,0 0.4

Coffee, tea 14,7 32,0 0.0

Cereals & preparations 24,3 65,0 0.3

Oilseeds, fats & oils 10,8 30,0 2.9

Sugars and confectionery 27,4 50,0 0.1

Beverages & tobacco 22,3 65,0 0.2

Cotton 15,0 40,0 0.4

Other agricultural products 11,3 38,0 0.6

Fish & fish products 10,8 23,0 0.5

EXPORT IMPORT

Mil $ Quota % Mil $ Quota %

UE 2.510 9,0 609 4,6

ITALIA 223 0,8 57 0,4

MONDO 27.788 100,0 13.127 100,0

48 LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

I dazi medi riferiti alla Nazione Più Favorita, la tariffa massima applicata ad uno specifico prodotto del gruppo e la quota del gruppo sul totale delle importazioni sono i seguenti:

Russia

E’ entrata nel WTO soltanto il 22 agosto 2012.

Nel 2012 i valori, in milioni di dollari, dell’export e dell’import di prodotti alimentari e bevande, la quota della UE e dell’Italia erano i seguenti:

PRODUCT GROUPS MFN APPLIED DUTIES IMPORTS

AVG % Max % Share %

Animal products 31,6 100,0 0.0

Dairy products 33,7 60,0 0.1

Fruit, vegetables, plants 30,3 100,0 0.9

Coffee, tea 56,1 100,0 0.1

Cereals & preparations 30,7 150,0 0.1

Oilseeds, fats & oils 18,8 100,0 1.9

Sugars and confectionery 34,4 60,0 0.2

Beverages & tobacco 70,8 150,0 0.1

Cotton 12,0 30,0 0.0

Other agricultural products 21,5 70,0 0.4

Fish & fish products 29,6 30,0 0.0

EXPORT IMPORT

Mil $ Quota % Mil $ Quota %

UE 1.410 15,7 10.474 40,9

ITALIA 212 2,4 978 3,8

MONDO 8.973 100,0 25.587 100,0

49LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

I dazi medi riferiti alla Nazione Più Favorita, la tariffa massima applicata ad uno specifico prodotto del gruppo e la quota del gruppo sul totale delle importazioni sono i seguenti:

4.4. ALCUNE CONSIDERAZIONI

Federalimentare stima che se si eliminassero i dazi e gli ostacoli non tariffari l’export potrebbe raddoppiare il ritmo di crescita e nel 2020 le nostre esportazioni potrebbero raggiungere i 60 miliardi contro i 43 attesi dalla crescita fisiologica.

E per il superamento delle barriere ritiene che si debba spingere soprattutto sulle nego-ziazioni tra paesi e, in alternativa, sulle negoziazioni in sede UE (vedi recente positivo accordo con Corea del Sud).

La Commissione UE a sua volta nella relazione 2013 sugli ostacoli al commercio e agli investimenti dichiara che “la diplomazia commerciale costituisce solitamente il mezzo più rapido per lottare contro gli ostacoli agli scambi in quanto non richiede un contesto specifico, come nel caso dei negoziati relativi agli accordi di libero scambio, né una lunga e complessa strategia contenziosa come nel caso delle vertenze commerciali.

I contatti diretti con le autorità locali possono essere sufficienti per mettere in eviden-za gli ostacoli e segnalare l’incompatibilità di alcune misure con gli obblighi derivan-ti dal WTO.

Inoltre, questo modo di affrontare gli ostacoli al commercio rappresenta effettivamen-te uno strumento diplomatico: il suo obiettivo è infatti proprio quello di risolvere i problemi, proponendo che nessuna parte abbia la meglio a scapito di un’altra. Si evita così il rischio di un’escalation delle controversie e di misure di ritorsione, in ambito giuridico o meno.

PRODUCT GROUPS MFN APPLIED DUTIES IMPORTS

AVG % Max % Share %

Animal products 24,7 80,0 3.0

Dairy products 17,7 25,0 0.9

Fruit, vegetables, plants 11,0 19,0 4.5

Coffee, tea 7,7 20,0 1.3

Cereals & preparations 18,7 90,0 1.0

Oilseeds, fats & oils 8,7 25,0 1.1

Sugars and confectionery 13,3 50,0 0.7

Beverages & tobacco 35,2 335,0 1.8

Cotton 0,0 0,0 0,1

Other agricultural products 5,8 25,0 0.7

Fish & fish products 12,3 109,0 1.1

50 LA SITUAZIONE DELLE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE E LE RELATIVE CONSEGUENZE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’efficacia della diplomazia commerciale dipende però dalla possibilità di convincere il paese con cui si sta trattando che è nel suo interesse eliminare gli ostacoli in questione. Ciò dipende in particolare dalla:

• possibilità di dimostrare in modo convincente che l’eliminazione dell’ostacolo ge-nererebbe, per i consumatori e le imprese di tale paese, vantaggi superiori alle perdite che avrebbero le altre imprese in concorrenza diretta con le imprese dell’UE che subi-scono gli effetti negativi di tale ostacolo;

• capacità dell’UE di fornire soluzioni alternative convincenti e proposte concrete, preferibilmente basate sulla propria esperienza e sul bagaglio di esperienza degli Stati membri come pure sugli insegnamenti ricavati. La cooperazione in materia nor-mativa o i dialoghi sono molto utili a tal fine. Tale cooperazione dovrebbe rientrare pienamente nell’agenda economica globale esterna dell’UE nei confronti di un deter-minato paese e rafforzarla, integrando i negoziati commerciali e agevolando l’accesso al mercato;

• possibilità di portare il caso in tribunale: questo può funzionare se la minaccia di una controversia ha un effetto sufficientemente dissuasivo da spingere il paese ad eli-minare l’ostacolo. A tal fine, un processo di risoluzione delle controversie credibile ed efficace è essenziale per ottenere risultati sul fronte della diplomazia commerciale.”

Come si vede l’obiettivo della riduzione delle barriere all’import non può essere affidato al solo WTO, ma deve essere perseguito a tutti i livelli comunitari e nazionali, coinvol-gendo ministeri, reti consolari e senza trascurare i confronti tra le istanze più tecniche, rappresentanze imprenditoriali, enti di certificazione e perfino comunità religiose.

In sostanza si deve fare sistema paese, ma in un ambito di sistema Europa.

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5.1. PREMESSA

Per Italian sounding possiamo intendere il fenomeno che attraverso l’utilizzo di:

• nomi e marchi

• simboli (di luoghi, monumenti, personaggi, …)

• colori (verde, bianco, rosso)

• tecniche produttive

tende a far vivere come prodotti italiani prodotti che tali non sono o tende a ricre-are atmosfere italiane attorno a prodotti realizzati all’estero.

Si parla di Italian sounding con riferimento ai mercati esteri, ma il fenomeno po-trebbe domani assumere rilievo anche nel mercato domestico, pur considerando che, trattandosi di prodotti tipici o della tradizione, è più difficile per le imitazioni riuscire a penetrare sul nostro mercato.

I consumatori italiani conoscono, infatti, sufficientemente bene le loro produzioni tipiche e non sono troppo disponibili ad accettare surrogati.

Inoltre i prezzi di questi prodotti, portati qui in Italia, non possono di certo essere così competitivi come nel paese di origine e per di più devono trovare canali di-stributivi disposti a veicolarli.

5.2. AMBITI

Gli ambiti dell’Italian sounding non sono ben definiti, in ogni caso dobbiamo escludere le palesi false dichiarazioni e contraffazioni, purtroppo sempre tante, all’estero come in Italia, che vanno considerate azioni illecite a tutti gli effetti e in quanto tali dovrebbero essere relativamente semplici da perseguire.

Provando, senza pretesa di offrire un quadro esaustivo, a delimitare il campo di questo fenomeno pensiamo di trovarci di fronte a parecchie situazioni, che in taluni casi possono anche sovrapporsi:

a) il prodotto è protetto da una denominazione: Dop, Igp o Stg.

In questo caso viene utilizzato un nome senza le specifiche che identificano la denominazione (caciocavallo, provolone, romano, mozzarella, asiago, op-pure parmesan, mortadella, …, anziché caciocavallo silano, provolone valpa-dana, pecorino romano, mozzarella stg, parmigiano reggiano, mortadella di Bologna …, vedi: sartoricheese.com - columbussalame.com - cravecheese.com - belgioioso.com) per produrre similari che possono avvicinarsi nel gusto e nelle modalità produttive molto o poco al prodotto originario.

Quindi l’imitazione diventa un prodotto con nome comune non protetto da tutti utilizzabile.

515. LA TUTELA DEI MARCHI, LA CONTRAFFAZIONE, L’ITALIAN SOUNDING

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

LA TUTELA DEI MARCHI, LA CONTRAFFAZIONE, L’ITALIAN SOUNDING

A proposito di Parmigiano Reggiano, tante volte ritroviamo Parmesao o Par-mesan, però, come semplici traduzioni in lingua portoghese o inglese del ter-mine Parmigiano (Reggiano).

b) Analogo il caso dei vini, dove il prodotto è protetto da una Doc (lambrusco grasparossa, chianti classico) e l’imitazione utilizza soltanto il nome generico del prodotto o del vitigno in lingua italiana (lambrusco, chianti, prosecco, san-giovese…, vedi: debortoli.com.au - carlorossi.com) o in quella del paese (pro-sek) per ottenere un vino comune senza denominazione che riporta in qualche misura al prodotto protetto.

c) Il prodotto è molto conosciuto nel mondo come tipicamente italiano (ragù bo-lognese, sugo all’arrabbiata, …) e il nome non è protetto da alcuna denomina-zione o da un marchio registrato.

Si utilizzano nomi adattati (bolognese sauce, arrabiata - con una B soltanto, …) per prodotti simili, non di rado lontani dalla ricetta originaria e vicini invece al gusto del paese di produzione (dolmio.co.uk - unileverfoodsolutions.co.uk).

d) Il nome è molto conosciuto nel mondo e non è protetto da alcuna precisa denominazione o da un marchio registrato.

Identifica un prodotto di chiara origine italiana, così noto nel mondo che tal-volta non si pensa neppure di associarlo al paese di origine (spaghetti, fusilli, ravioli, ma anche focaccia, soppressata, mascarpone, burrata, … pizza, vedi: distefanocheese.com - annabellacheese.com - bluebirdpasta.com).

L’imitazione utilizza lo stesso nome per proporre un prodotto analogo a quel-lo italiano, anche se non di rado di qualità e gusto diversi e con componenti diversi (ad esempio pasta con grano tenero).

e) Poi vi sono i nomi di fantasia (cambozola - mix di gorgonzola e camembert, vedi: cambozola.de - tinboonzola - reggianito, vedi: lapaulina.com.ar) che ri-portano, con maggiore o minore aderenza alla tradizione produttiva, a uno specifico prodotto italiano talvolta protetto da una denominazione.

Il nome di imitazione può a sua volta essere registrato.

Il prodotto di imitazione può essere molto o poco simile per forma, gusto, … al prodotto originario.

f) Infine vi sono tantissimi prodotti che riportano, attraverso nomi propri, co-gnomi, luoghi geografici (vesuviopasta.com - mokate.eu), segni grafici, colori, … a un’origine italiana, ma che non si identificano con uno specifico prodotto italiano da imitare, bensì con l’immagine che del prodotto si ha in quell’area (ad esempio: Roberto’s Sauce, Mario’s cheese, Napoli …).

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Non va trascurato neppure il mondo della ristorazione con:

• menu italiani realizzati nei modi più diversi e su tutti spicca la pizza;

• un’infinità di locali in stile e con ambientazioni italiane che spesso hanno legami molto labili con questa origine,

ma forse è preferibile non fare rientrare questa situazione nel grande fenomeno dell’Italian sounding in senso stretto: diverrebbe proprio difficile definire confini.

Per di più contiamo ormai numerose importanti società acquisite da stranieri che operano nell’ambito dei prodotti tipicamente italiani e con marchi leader nei loro settori: Star, Parmalat e Galbani (Invernizzi, Mozarì, Gim, Cadermatori, Pizzaiola, Vallelata, Certosa, Santa Lucia, …), Deoleo - ex Sos Cuetara (Carapel-li, Bertolli, Sasso), Nestlè, … un vero patrimonio di immagine ed esperienze non più in mani italiane.

Queste società, se tenderanno nel breve - medio periodo a valorizzare al meglio i marchi in portafoglio, domani potranno svuotarli e renderli contenitori utili a tante operazioni commerciali, fruttuose e legittime. Ma entrando su questo argo-mento si aprirebbe un altro grande capitolo dell’agroalimentare italiano da af-frontare con tutta la dovuta attenzione.

5.3. SETTORI, CANALI, CONSUMATORI

Tutti i settori merceologici sono in qualche misura coinvolti nel fenomeno dell’I-talian sounding, che, come visto, è più rilevante nei formaggi, nei vini, nella pa-sta, nelle salse, settori dove peraltro sono particolarmente elevati i nostri livelli di esportazione.

È evidente che queste imitazioni del prodotto italiano da parte di tanti operatori stranieri le riscontriamo in ogni parte del mondo, ma prevalentemente:

• nei paesi dove vi sono radicate comunità italiane più sensibili ai richiami della terra di origine (Stati Uniti, Canada, Argentina, Germania, Francia, Gran Bre-tagna, Australia, …) e che costituiscono segmenti di mercato interessanti che possono esprimere buoni volumi in acquisto;

• laddove il nome del prodotto è veramente forte e cattura l’interesse di tanti consumatori, di origine italiana o meno (parmesan, romano, pizza, chianti, bolognese, …) e quindi può essere speso ottenendo ritorni.

Si deve poi riflettere sul canale a cui si indirizzano i prodotti similari.

L’imitazione ritrova senza dubbio maggiore evidenza nei prodotti veicolati dai canali di vendita (grandi superfici, negozi tradizionali e specializzati) ai quali si rivolge il consumatore finale, mentre nell’Horeca, pur essendovi di sicuro un grandissimo utilizzo di similari, il prodotto, salvo che non debba esprimere buo-na visibilità per offrire prestigio al locale (vedi carta dei vini), viene manipolato

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e utilizzato come componente per la preparazione di una portata, quindi difficil-mente è riconosciuto dal cliente. Ma questo è un fenomeno che riscontriamo in ogni parte del mondo, anche in Italia.

Il prodotto di imitazione può essere ben veicolato dai punti vendita retail in quan-to il consumatore, soprattutto quello nativo del paese, mai del tutto preparato e competente, è sempre alla ricerca del prodotto diverso e della nuova piccola emo-zione da provare e quindi è più facile che si faccia allettare da un prodotto che richiama a un’origine straniera, anche in modo talvolta improbabile, proposto a un prezzo interessante.

Mentre gli italiani immigrati, di prima e seconda generazione, presumibilmen-te sono più preparati e desiderosi di ritrovare il segno, il profumo, il sapore, la marca vera del loro territorio, inteso non soltanto come nazione, ma anche come espressione di ambiti più limitati (regione, provincia, …).

Il valore della marca, però, per un prodotto di origine straniera è spesso molto relativo in quanto, eccetto che per poche marche in portafoglio alle multinazio-nali, raramente una realtà straniera riesce, infatti, a sviluppare vera politica di marca fuori dai propri confini. Di conseguenza la fiducia del consumatore si orienta verso la proposta del punto vendita, che viene elevato anche al ruolo di selettore dell’offerta.

Nel merito della qualità vi è da osservare che, l’acquirente, in particolare nativo del paese, essendo spesso un consumatore non continuativo e occasionale, non è in grado di effettuare confronti, né di apprezzare fino in fondo differenze, salvo là dove si manifestano spiccate evidenze.

5.4. ANCHE GLI ITALIANI

È tutt’altro che semplice valutare se e quando un’imitazione si deve considerare illegale anche perché, come abbiamo visto, le casistiche di imitazione sono innu-merevoli e ogni paese esprime normative proprie relative alla proprietà e prote-zione di marchi, simboli, brevetti.

Fatto positivo è che l’Italia risulta il paese maggiormente coinvolto nel processo di imitazione, pur riscontrandosi fenomeni simili, ma di dimensioni ben più li-mitate, anche in Italia, fenomeni a cui non sempre prestiamo grande attenzione (sushi, kebab, wurstel, chili, baguette, muffin, …).

Ciò significa che i nostri prodotti sono tra i più conosciuti e apprezzati nel mondo, primato derivante dalla nostra tradizione enogastronomica e dalla emigrazione di tanti lavoratori nel corso di oltre un secolo che ha visto coinvolti i principali paesi guida dello sviluppo, dalla Germania, alla Gran Bretagna, dall’Australia agli Stati Uniti, paesi che hanno contribuito a fare cultura e tendenza nel resto del mondo.

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Questo processo di imitazione, come osservato in precedenza, si è sostanzialmen-te fermato alle soglie dei confini nazionali.

Ma vi sono produttori italiani, in particolare nel settore caseario, che stanno andando con determinazione verso similari, realizzati e proposti in Italia o all’e-stero e altri ancora che commercializzano all’estero prodotti similari di produ-zione estera.

Non possiamo permetterci di valutare le scelte dei primi anche perché il mercato ha le sue regole e se una scelta trasparente, con prodotto ben identificabile, con-fezionato a marchio del produttore, è vincente significa che è una buona scelta, almeno per quella azienda e in un certo momento, pur se crea disorientamento tra i competitori produttori di tipici.

Mentre qualche riflessione in più può rendersi necessaria per gli operatori italia-ni che commercializzano all’estero prodotti similari realizzati in paesi stranieri, talvolta unitamente a prodotti tipici italiani: ciò non soltanto crea confusione nel mercato, ma non offre una bella immagine di coerenza circa le nostre politiche relative alla tipicità, pur essendo comprensibile l’esigenza da parte di un’azienda di offrire una gamma che soddisfi le esigenze di tante tipologie di clienti.

Per di più abbiamo operatori italiani, in particolare nelle conserve vegetali, che commercializzano con nomi di fantasia (probabilmente ben protetti) che riportano all’origine italiana, ma che sono realizzati con materie prime di pa-esi con tradizioni e riconoscimenti qualitativi molto meno prestigiosi rispetto a quelli italiani.

Anche questo fenomeno non depone a favore di un rafforzamento dell’immagine italiana e delle nostre politiche di qualità.

5.5. CATENE GDO E PRIVATE LABEL

Ma vi è un fatto da considerare: per giungere al consumatore il produttore di ti-pico italiano deve passare sotto le forche caudine del distributore e nel caso delle grandi catene, che in tutti i paesi detengono le quote di mercato maggiori, non si confronta soltanto con un canale distributivo, con un partner, ma talvolta con un vero competitor.

Il fenomeno delle private label è ormai dirompente e mentre anni addietro si fermava, pur con quote importanti, ai prodotti commodities, oggi le catene più importanti scandagliano con più linee molteplici segmenti: dal primo prezzo al posizionamento medio, dal biologico - salutistico, al tipico.

Parioli è senza dubbio uno dei casi più emblematici: Tesco, primo retailer europeo, ha lanciato nel 2011 questa linea di “autentici prodotti italiani” (pasta, salse, olio di oliva, aceto balsamico, …), che “realizzati secondo ricette italia-ne offrono il vero gusto italiano”. E la linea, supportata da un sito dedicato:

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pariolicucina.com, sta riscontrando notevole successo, almeno con riferimento alle dichiarazioni di Tesco stessa.

E oltre a Tesco abbiamo pure Rewe, Aldi, … che si stanno cimentando con linee di prodotti italiani.

Quindi il produttore italiano ha una difficoltà in più ad entrare in contatto con il consumatore in quanto si ritrova di fronte non soltanto un tenace interlocutore, ma un competitore agguerrito, con molti mezzi, che gioca sul proprio terreno.

Al riguardo si deve per di più considerare che nessuna delle grandi catene ope-ranti sui mercati esteri è italiana e queste catene, da Tesco a Auchan, da Carrefour a Metro, a Lidl non tenderanno certamente, ceteris paribus, a favorire produttori italiani con il loro volto, i quali per affermarsi nei grandi spazi di vendita dovran-no forse pensare a forme nuove di alleanze e sinergie tra loro.

E senza dubbio è sempre più necessario un intervento delle istituzioni italiane per aiutare gli operatori a tenere alta la bandiera dell’origine e della qualità attraverso un maggiore coordinamento delle iniziative di promozione dell’immagine e delle attività in store.

5.6. I RISULTATI DELLE RILEVAZIONI NEI PUNTI VENDITA

Per concretizzare quanto fino ad ora esposto, si riportano diversi esempi, frutto delle rilevazioni e dei sopralluoghi effettuati nei punti vendita del Regno Unito e della Svezia.

SOSTITUTO DEL PANE CON

SAPORE DI PIZZA,

PRODOTTO IN SVEZIA;

GRAFICA E COLORI

RICHIAMANO

EVIDENTEMENTE L’ITALIA

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MINESTRONE PRODOTTO IN SVEZIA, RICHIAMA LO STILE ITALIANO NELLA

PRESENTAZIONE DEL PRODOTTO

ZUPPA PRODOTTA IN SVEZIA, CON RICHIAMO A UNA DETERMINATA AREA GEOGRAFICA (TOSCANA)

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FORMAGGIO PRODOTTO NEL REGNO UNITO, CON TRICOLORE E RICHIAMO A SITUAZIONE ITALIANA

PRIMO PIATTO PRODOTTO

NEL REGNO UNITO;

PRODOTTO DI ORIGINE

ITALIANA, DI CUI SI

RICHIAMA CHIARAMENTE

L’ASSOCIAZIONE AL PAESE

DI ORIGINE

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QUARTA GAMMA DI

PRODUZIONE LOCALE,

REGNO UNITO,

CON L’ITALIAN STYLE IN

EVIDENZA

QUARTA GAMMA DI PRODUZIONE SVEDESE CON EVIDENZIATE L’ISPIRAZIONE MEDITERRANEA,

IL RICHIAMO ALLA SICILIA, IL SENTIMENTO ITALIANO, IL CONTRASTO DI COLORI ITALIANO

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PIZZA PRODOTTA NEL REGNO

UNITO: LA PIZZA È CONOSCIUTA NEL MONDO COME

TIPICAMENTE ITALIANA, E IN QUESTO CASO SI RIPORTA

IL COLLEGAMENTO ALLA RICETTA DEL NOSTRO PAESE E

ALL’ISPIRAZIONE ITALIANA

PASTA ITALIAN INSPIRATION A PRIVATE LABEL “THE CO-OPERATIVE”, REGNO UNITO

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FORMAGGIO PER PIZZA DI PRODUZIONE OLANDESE, IN VENDITA IN SVEZIA

GRATTUGIATO CON MATERIA PRIMA ITALIANA,

CONFEZIONATO IN ITALIA PER UNA AZIENDA CON

SEDE NEL REGNO UNITO

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PARMIGIANO-REGGIANO A PRIVATE LABEL INGLESE

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PRESENTAZIONE DEL PARMIGIANO-REGGIANO IN UN BANCO FORMAGGI IN SVEZIA

PASTA ITALIANA CON

PRIVATE LABEL SVEDESE E

RICHIAMO A SENSAZIONI

ITALIANE CON L’IMMAGINE

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PRIMO PIATTO PRODOTTO NEL REGNO UNITO, CON IL PARMIGIANO EVIDENZIATO COME INGREDIENTE

SALAME SVEDESE CON FORMAGGIO (PARMIGIANO)

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5.7. DIMENSIONI E PRODUTTORI

Ma quanto vale l’Italian sounding nel mondo? Difficile, se non impossibile, dirlo.

Tutte le dichiarazioni di cui si sente parlare e si legge non vanno definendo il pe-rimetro e non si sa esattamente come siano costruite.

La CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) nel novembre 2012 dichiara che “se il made in Italy agroalimentare registra un danno medio di circa 60 miliardi di euro l’anno per colpa dell’invasione mondiale di prodotti taroccati, il made in Europe arriva a 100 miliardi”.

La Coldiretti in un recente rapporto ipotizza che negli Usa il peso delle imitazioni per quattro prodotti: vino, pasta, olio, formaggi raggiunga un livello pari al 2,4 volte il valore delle esportazioni italiane. Un numero effettivamente molto elevato.

Federalimentare nel luglio 2013 dichiara che “il giro di affari del falso italiano è un fardello che pesa per oltre 60 miliardi di euro (6 miliardi di contraffazione e 54 miliardi di Italian sounding), quasi 3 volte il valore dell’export, e raggiunge livelli macroscopici (24 miliardi circa) sui mercati più ricchi, come quello nord-americano (Usa e Canada). Ma anche negli altri paesi dove le comunità italiane sono più radicate e la nostra emigrazione è stata più massiccia”.

Ed anche la Commissione parlamentare di inchiesta sui “fenomeni della contraf-fazione e della pirateria in campo commerciale”, istituita nel 2010, nella relazione conclusiva del 2013 stima che “a livello mondiale, il giro d’affari dell’Italian soun-ding superi i 60 miliardi di euro l’anno, cifra 2,6 volte superiore al valore delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari 2009”.

Al di là dei numeri, si può in termini di buon senso ritenere che se nel perimetro facciamo rientrare soltanto le categorie di cui sopra:

a) nome che rende generico una Dop, Igp, Stg;

b) nome che rende generico una Doc, Igt;

non si possa parlare di grandi fatturati, mentre se nel perimetro rientrano anche le categorie:

c) nome adattato di un nome molto conosciuto non protetto;

d) semplice utilizzo di un nome generico molto conosciuto non protetto;

e) nome di fantasia che imita un nome molto conosciuto o una Dop, Igp, Stg;

f) nomi propri, cognomi, luoghi geografici, segni grafici, colori, … che collocano il prodotto in un’atmosfera italiana

il fatturato aumenta notevolmente; pensiamo soltanto a quanta pasta viene pro-dotta nel mondo, da produttori non italiani utilizzando nomi italiani (spaghetti, fusilli, macaroni, …) e quanti nomi di origine italiana si trovano su prodotti ali-mentari nel mondo, del tutto impossibili da censire.

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Se vogliamo inserire anche l’offerta della ristorazione non vi sono più confini: sol-tanto l’offerta di pizza è “infinita” e ormai della pizza non rimane che un lontano ricordo.

Ma qui entriamo in ambiti sociali e di costume che poco ci servono ai fini di una seria valutazione economica e di prospettiva per i nostri produttori.

Ma chi sono i produttori di Italian sounding?

Anche a questa domanda una risposta precisa naturalmente non c’è, proviamo però di costruire un minimo quadro di riferimento.

Senz’altro il maggior numero dei produttori sono italiani emigrati e loro discendenti che hanno iniziato pensando di riproporre nei paesi nei quali si trovavano quello che sapeva-no fare e che potesse rispondere alle attese di mercati inizialmente anche ristretti.

Quindi il fenomeno nasce dal desiderio di onorare le tradizioni della terra di ori-gine e dalla voglia di fare “affari” di italiani che spesso poi hanno messo anche il loro nome o cognome (jiuliano.com.au - ronzoni.newworldpasta.com)

Alcune imprese sono cresciute e hanno fatto scuola, così altri operatori, non ita-liani, si sono inseriti in questo filone di attività.

È poi evidente che, se si riscontrano spazi di mercato interessanti, tanti operatori entrano e arriviamo a dimensioni tipo Pizza Hut.

Ma la maggioranza dei produttori sono senz’altro oggi di piccole e medie dimen-sioni, pochi con un brand aziendale forte e riconosciuto al di fuori dei confini regionali o nazionali (Zott- con la Zottarella e Panzani forse sono le aziende più note, vedi: zott.de - panzani-international.com).

D’altra parte, quando un’azienda cresce e il suo brand si afferma ha tutto l’inte-resse:

• a proteggerlo e a evitare che ne possa essere inibito l’utilizzo per una disputa perduta sulla proprietà industriale;

• a caratterizzarsi non con nomi generici di prodotto, ma il più possibile esclusi-vi, interessanti, ben memorizzabili e difendibili.

Inoltre vuole essere percepita come una realtà vera, che non copia, ma che espri-me una precisa identità e un rapporto con il consumatore che va rafforzandosi anche con un portafoglio prodotti ricco e variegato.

Poi vi è tutto il mondo dei truffaldini, sofisticatori, … ma il mondo è grande.

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5.8. PROTEZIONE E OPPORTUNITÀ

E’ inoltre evidente che il livello di protezione di numerosi nostri nomi è senza dubbio più robusto nei paesi comunitari.

In particolare le Dop, Igp e Stg, quali strumenti dell’UE funzionali alla valorizza-zione del tipico e degli specifici territori, sono più difficili da imitare impunemen-te, mentre nelle altre aree del mondo anche il contrasto alle imitazioni delle deno-minazioni si rileva impegnativo, specialmente se le modalità di registrazione non hanno coperto adeguatamente.

I costi dell’opposizione all’utilizzo del nome, sempre piuttosto elevati, sono da valutare con attenzione e da rapportare al beneficio che l’inibizione all’utilizzo improprio di un nome può produrre. Per cui, con ogni probabilità, i nostri pro-duttori e i consorzi di tutela si concentreranno laddove il fenomeno acquisisce dimensioni veramente rilevanti, tralasciando di perseguire tanti piccoli operatori attivi in ambiti limitati.

E costoro continueranno a spendere le imitazioni in quanto non vi sono normati-ve che inibiscano l’utilizzo di un nome, di un marchio senza che vi sia la denun-cia, l’opposizione del soggetto che vede lesi i propri diritti di proprietà.

L’Italian sounding può considerarsi, però, anche un’opportunità.

Come detto, nessun altro paese come il nostro è così imitato nell’agroalimentare, pur essendoci stati casi da manuale che hanno coinvolto altri paesi, tipo Emmentaler - emmentaler.com (Svizzera) o Budwar - budejovickybudvar.cz (Repubblica Ceca).

Possiamo perciò considerare questa proliferazione di prodotti similari e a imma-gine italiana come un’apripista, un diffusore di cultura ed emozioni italiane.

È evidente che il prezzo e la piacevolezza della presentazione giocano un ruolo importante, nel senso che il prodotto similare, considerato che non può esprimer-si appieno sul terreno della tipicità, del gusto e della qualità così come il prodotto originario, fa leva soprattutto sul prezzo.

Ma se il prodotto viene proposto da un’azienda veramente competitiva, atten-ta al mercato, anche nella vestizione, nelle modalità di presentazione, in tutte le tecniche di marketing più opportune può conquistare il consumatore e il cliente rivenditore e mantenerli fedeli nel tempo.

Quindi ci troviamo in una situazione circolare, in un loop: il prodotto similare na-sce in quanto c’è attesa di italianità da parte di consumatori, il prodotto similare contribuisce a diffondere atmosfera, cultura alimentare italiana e, di conseguen-za, incrementa il bisogno di prodotto italiano.

Si possono ampliare perciò gli spazi di mercato al cui interno il produttore di tipi-co deve tentare di conquistare quote, con intelligenza, lavorando, oltre che sulla qualità intrinseca e la corrispondenza piena alle ricette originali e ai disciplinari, sul prezzo, sui formati, sulle confezioni, su tutte le migliori tecniche commerciali.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

LA TUTELA DEI MARCHI, LA CONTRAFFAZIONE, L’ITALIAN SOUNDING

E’ un percorso senz’altro lungo, difficile, irto di tentazioni, ma, se i produttori ita-liani opereranno in questa direzione con caparbietà, si rafforzerà la credibilità nei confronti dei partner commerciali, l’autorevolezza nel dialogo con le istituzioni, l’immagine del paese e di conseguenza aumenterà il livello di fiducia dei consu-matori e il loro desiderio e capacità di scoprire il vero italiano.

E in questo percorso devono aiutare anche le istituzioni italiane ed europee a sostenere l’origine e la qualità italiana attraverso iniziative a livello dei maggiori paesi del mondo, che consentano di proteggere più facilmente le nostre identità, i nostri nomi e simboli, così come già qualche piccolo progresso si è realizzato avvenuto nel vini con:

• Canada: un accordo con UE del 2003 consente di inserire le Indicazioni Geogra-fiche nel registro canadese dei Trade Marks e in virtù di tale accordo l’Italia ha registrato oltre 500 denominazioni di origine presso le locali autorità federali;

• Stati Uniti: un accordo con UE del 2005, recepito da normativa statunitense nel 2006, offre parziale protezione a 17 nomi europei tra cui Chianti, Marsala e Prosecco.

Nel contempo è opportuno operare per una presentazione sempre più chiara della immagine italiana che realizzi un vero denominatore comune tra tutte le nicchie territoriali che senza troppe risorse e talvolta senza una visione strategica di lungo periodo si presentano sul fronte dei mercati esteri.

E ciò può avvenire anche grazie a riflessioni sincere e approfondite sulla situa-zione di oggi, dando il giusto peso ai fenomeni che ci troviamo di fronte nei tanti paesi del mondo e riflettendo altresì sulle coerenze dei nostri produttori.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

6.1. GLI STRUMENTI IN ITALIA

6.1.1. PREMESSA

L’export nazionale ha registrato un rallentamento negli ultimi anni rispetto al trend di crescita registrato nel biennio 2010/2011 ove si registravano incrementi a due cifre.

Le proiezioni economiche sono sostanzialmente peggiorate a livello mondiale, e soprattutto europeo, anche a causa:

• della crisi di liquidità e conseguente contrazione degli investimenti;

• dell’andamento dei cambi, con un valore dell’Euro sistematicamente oltre l’1,30 sul dollaro che sta penalizzando l’export italiano;

• del quadro economico internazionale assai fragile anche in termini di PIL e produttività;

• della decelerazione globale che non ha risparmiato nemmeno le economie più dinamiche (quali Cina, Russia e Brasile) sia pure su tassi di crescita ancora sostenuti.

In una fase di recessione e di persistente calo della domanda interna, è importan-te potere contare sulla domanda estera, l’unica forza trainante che può sostenere la nostra economia e riportarla alla crescita. In proposito, il CSC di Confindustria, stima che un aumento di un punto percentuale del tasso di crescita dell’export di merci sia associato ad un aumento di 0.24 punti percentuali del tasso di crescita del PIL italiano.

In Italia si è fermata la crescita delle esportazioni registrata negli scorsi anni, se-gnando nel 2013 lo stesso dato del 2012 (circa 390 miliardi di euro) - si veda grafico.

6. GLI STRUMENTI A SUPPORTODELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

La destinazione delle esportazioni italiane nel 2013, come si evidenzia nella ta-bella che segue, ha riguardato gran parte delle aree geografiche, ma si è verificata una riduzione del peso dei paesi dell’Unione Europea, in favore dei paesi europei non UE. E’ cresciuta l’importanza delle esportazioni verso gli Stati Uniti, la Rus-sia e la Cina, in ripresa quest’ultima rispetto al calo dell’anno precedente, mentre risulta in calo la Turchia. Negli altri paesi si registrano incrementi a due cifre per il Nord Africa, l’Arabia Saudita e Corea del Sud mentre in calo le esportazioni 2013 verso alcuni paesi in via di sviluppo, come Messico e India.

Da una recente riunione della Cabina di Regia per l’Italia Internazionale - la cui attività è descritta nel prosieguo - è emersa un’interessante analisi di confronto delle performance del grado di penetrazione del nostro paese rispetto ai nostri principali competitors, Germania e Francia, nelle diverse aree del mondo.

L’Italia registra una performance migliore rispetto alle due potenze europee solo nell’area africana del Mediterraneo e nei paesi europei non UE, mentre registra un ritardo nei paesi Bric, confermando il trend dei dati sopradescritti. Per quanto ri-guarda le esportazioni per macrosettori, si riscontra che, anche nel settore Alimentari e bevande, la quota dell’Italia nel mondo rimane inferiore a quelle dei competitors europei e si attesta al 3,9% rispetto al 7,6% della Germania e del 6.3% della Francia.

Nel settore agroalimentare, in particolare, i margini di crescita sono ampi, se si considera che il peso percentuale dei beni esportati è soltanto del 6,7% (fonte Ice su dati Istat), rispetto a valori ben superiori degli altri settori, che rischiano di esaurire la spinta all’export.

Passando ad analizzare le principali caratteristiche degli operatori italiani dell’ex-port, in relazione al numero elevato di piccole e medie imprese che caratterizza la

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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

struttura produttiva italiana, il numero delle PMI che esportano è molto limitato.

Secondo le stime di Unioncamere, considerando soltanto le aziende manifatturie-re, le imprese esportatrici sono infatti così suddivise:

• Imprese esportatrici occasionali (-10 % fatturato export) 31,5% pari a circa 36.000 aziende;

• Imprese esportatrici abituali (da 10 a 50% fatturato export) 40,1% pari a circa 45.000 aziende;

• Imprese esportatrici prevalenti (fatturato export superiore al 50%) 28,5% pari a oltre 25.000 aziende.

Sempre secondo Unioncamere sarebbero 73.000 le potenziali imprese esportatri-ci, che hanno le caratteristiche di prodotto e di fatturato per affacciarsi sui mercati internazionali ma che ancora non si sono internazionalizzate.

E’ auspicabile quindi che vengano attuate tutte le azioni necessarie a stimolare e so-stenere le imprese italiane che vogliono affrontare i mercati internazionali e che le aziende che già hanno intrapreso questo percorso dell’internazionalizzazione abbia-no gli strumenti per ampliare la propria attività puntando di più sull’esportazione.

6.1.2. L’AGROALIMENTARE ITALIANO: UNA ECCELLENZA

L’industria agroalimentare italiana costituisce sicuramente un’eccellenza per la qualità, il valore e l’ampia varietà dei prodotti offerti e detiene, nell’Unione Euro-pea, il record per numero di prodotti a denominazione d’origine garantita e a in-dicazione geografica protetta. Negli anni la domanda di prodotti agroalimentari Made in Italy ha registrato considerevoli aumenti, al punto che il settore alimen-tare è giunto ad assumere un ruolo di rilievo nel nostro export.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Il valore totale delle esportazioni agroalimentari nel 2013 ha quasi raggiunto i 32 miliardi di euro, confermando il trend positivo, con una crescita al 5,2% rispetto al 2012, seppure in rallentamento rispetto al biennio 2010/2011. Il miglioramento delle esportazioni deriva da un miglioramento qualitativo dei prodotti esportati e dalla capacità di posizionarsi nella fascia più alta dei prodotti, in modo da non risentire della competizione di prezzo dei paesi emergenti. Peraltro le previsioni di crescita della domanda mondiale di alimentari e bevande evidenziano possibi-lità di aumenti nei prossimi anni di oltre il 9% (elaborazione Ice in collaborazione con Prometeia).

L’Italia esporta principalmente nei paesi della Comunità Europea (Germania e Francia sono ai primi 2 posti) mentre il principale partner non europeo sono gli Stati Uniti.

A livello geografico, l’andamento delle esportazioni si è contraddistinto per varia-zioni positive generalizzate. Da segnalare la costante crescita, con trend in miglio-ramento, per la Russia (€ 687 milioni + 14.2%) il Canada con circa 650 milioni di euro e la Polonia (€558 milioni +9%). Le vendite in Asia orientale, in particolare, sono aumentate di oltre 20 punti percentuali grazie alla crescita della domanda proveniente da Giappone (con circa € 730 milioni) e Cina (€ 314 milioni +10% sul 2012 e +22% sul 2011). In evidenza alcuni paesi con forte potenziale di sviluppo - percentuali di crescita a due cifre - come l’Australia (€ 420 milioni +12.2%), la Libia (€218 milioni +30%) e la Turchia (€190 milioni + 15,4%).

Il Rapporto Ice 2012-2013, di cui si riporta un estratto relativo al settore alimen-tare, analizza specificamente gli andamenti dell’import-export sia del settore alimentare che di quello agricolo, individuandone le caratteristiche. Nel settore, Prodotti alimentari e bevande, nel 2012, il disavanzo commerciale nei Prodotti

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

alimentari e bevande si è trasformato in un avanzo. Da un lato, il deficit relativo ai Prodotti alimentari si è ridotto notevolmente, soprattutto grazie alla crescita delle esportazioni (+6,6%). Le importazioni invece sono diminuite solo dell’1% rispetto al 2011. I dati relativi agli scambi in quantità riflettono la stessa dinamica. Dall’altro lato, l’avanzo relativo alle Bevande si è ampliato in virtù di una crescita delle esportazioni del 7,1 per cento.

Le importazioni di Prodotti alimentari e bevande stanno scontando il calo della domanda interna. La quota di mercato dell’Italia sulle esportazioni mondiali di Prodotti alimentari, nel 2012 non ha subito variazioni rispetto al 2011 (3,3 per cen-to), ma resta lontana dai livelli del 2003 (3,8 per cento) (elaborazioni Ice su dati Eurostat e Istituti nazionali di Statistica).

Attualmente, i primi dieci Paesi esportatori di prodotti agroalimentari, or-dinati rispetto alla loro quota del biennio 2010/2011, coprono il 53% delle esportazioni mondiali di tali prodotti, mentre i primi venticinque ne copro-no l’80% - si veda grafico.

Fonte: Elaborazioni su dati Un-Comtrade

Primo esportatore mondiale nel settore sono gli Stati Uniti con un importo di ol-tre 106 miliardi di euro - un decimo del totale - seguiti dalla Germania con oltre 65 miliardi di euro. Il Brasile ricopre la terza posizione con oltre 61 miliardi di euro, subito seguito dai Paesi Bassi e dalla Francia con oltre 59 miliardi di euro.

L’Italia è decima, superata peraltro negli ultimi anni, oltre dai paesi soprarriferiti, dalla Cina, Belgio, Argentina e Canada. In relazione allo specifico settore degli alimentari e bevande, si riportano alcuni commenti forniti dall’ICE in merito agli andamenti delle principali produzioni italiane nel 2012.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

VINOIl vino si conferma una delle colonne portanti dell’export agroalimentare italiano.

Il comparto del vino, che in Italia coinvolge oltre 383 mila imprese, nel 2012 ha inviato oltreconfine 21 milioni di ettolitri, con un fatturato di 4,7 miliardi di euro (+ 6,5% sul 2011), nonostante la contrazione dei volumi dell’8,8%.

PRODOTTI ORTOFRUTTICOLINel 2012 il fatturato da esportazioni di prodotti ortofrutticoli è risultato in calo del 2,4% e ammonta a 4 miliardi di euro derivanti da volumi pari a 4,1 milioni di tonnellate (-1,6%). Anche l’aspetto prezzo medio non fornisce segnali positivi. L’indice euro/chilo, infatti, è lievemente calato rispetto al 2010 e comunque si mantiene in un range 0,94-0,97 euro, segno di una forte competizione sui mercati mondiali che fa evidentemente perno sulla leva del prezzo.

PRODOTTI DOLCIARIIl 2012 si è chiuso molto positivamente per le aziende del settore superando i buoni dati del 2011. Le esportazioni di prodotti dolciari hanno registrato un incre-mento del 10,2%, arrivando a più di 3 miliardi di euro, derivanti da oltre 1 milione di tonnellate di prodotto esportato.

CONSERVE VEGETALIIl 2012 si è chiuso, per le aziende del settore conserviero, con un aumento delle esportazioni pari al 6,1% rispetto al 2011. Il prezzo medio per chilo di prodotto esportato è in lieve rialzo rispetto ai valori del 2010/11 ma ancora inferiore se con-frontato con il 2009.

CARNI Nel comparto delle carni l’Italia è un importatore netto con un saldo negativo che, nel 2012, è stato pari a 3,7 miliardi di euro. Tuttavia, l’analisi delle voci che compongono l’import evidenzia una netta preponderanza delle carni fresche, re-frigerate o congelate, mentre sul lato export la quasi totalità del valore è costituito dalle carni preparate.

Il 2012 si è chiuso in modo soddisfacente per le aziende del settore il cui fatturato export è aumentato del 5,1% a 2,6 miliardi di euro.

Calo delle esportazioni dei prodotti ittici che hanno chiuso il 2012 a -9,3% in valore.

LATTIERO CASEARIORispetto agli anni precedenti ha perso slancio l’export in valore di formaggi e lat-ticini (che ha segnato un +3,5% dopo due anni di incrementi di circa il 15%). Sono state più consistenti le esportazioni in volume (+7,1%).

Il 2012 si è chiuso in modo comunque positivo per le aziende del settore lattiero-caseario: le esportazioni di formaggi sono cresciute di oltre il 7% rispetto al 2011

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

superando le 300.000 tonnellate, per un valore che ha sfiorato i 2 miliardi di euro (+3,5% rispetto al 2011).

PASTE ALIMENTARI Continua a crescere la domanda estera di paste alimentari: nel 2012 l’export delle paste nazionali ha raggiunto il valore record di circa 2,1 miliardi di euro (+ 7% rispetto al 2011). Le esportazioni di pasta secca non all’uovo, che rappresentano la percentuale più ingente delle esportazioni totali di paste alimentari, hanno re-gistrato una crescita del 7,8% rispetto al dato del 2011.

In leggero calo, rispetto ai valori dell’anno precedente, le esportazioni di riso (-0,3%).

OLIO D’OLIVAL’olio d’oliva italiano, che conta quasi 1 milione di aziende, nel 2012 guadagna posizioni all’estero chiudendo con un bilancio di 378.040 tonnellate esportate, per un valore superiore a 1,2 miliardi di euro, in crescita del 2,5 per cento. A contribu-ire in maniera determinante alla performance, gli oli di pregio extravergini, che rappresentano il 70% delle quote dell’export.

Il valore dell’export di olio di oliva italiano nel 2012 ha però perso slancio rispetto al 2010 (+15%) ed al 2011 (+3,5%).

CAFFE’Il 2012 si è chiuso, per le esportazioni di caffè con un brillante +20,3% raggiungen-do quota 974 milioni di euro pari più di 130 mila tonnellate di prodotto.

Non si arresta la tendenza al rialzo generalizzato dei prezzi medi all’export che, già nel 2011 aveva registrato una impennata del 13,7% a euro 6,82 per chilo di prodotto.

6.1.3. IL SUPPORTO DEL SETTORE PUBBLICO ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Iniziamo ad analizzare il ruolo svolto dal sistema pubblico a favore dell’interna-zionalizzazione del sistema produttivo e del sostegno dei prodotti italiani all’este-ro, definito anche “Sistema paese”.

Come rappresentato graficamente dalla figura 1 (fonte Banca d’Italia), l’Italia è caratterizzata da un’articolazione del “Sistema paese” estremamente com-plessa e frammentata.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Al vertice del Sistema paese, quali decisori delle linee d’indirizzo e delle strategie, si collocano il Ministero degli Affari Esteri (MAE), il Ministero dello Sviluppo Eco-nomico (MiSE), competente per il commercio estero, e, per le materie di pertinenza, il Ministero con delega al Turismo. Questi ministeri, ove del caso su delega del Presidente del Consiglio dei Ministri, presiedono i due comitati di coordinamento attualmente esistenti, la V Commissione Permanente del CIPE (area blu nella fi-gura) e la neo istituita Cabina di Regia (area gialla) che coinvolge - in seguito alla devoluzione delle competenze dello Stato centrale - le regioni, nonché i soggetti privati. Ai due comitati partecipano anche il Ministero dell’Economia e le Finanze (MEF) e il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (MiPAAF).

L’attuazione degli interventi è affidata a un complesso di attori pubblici definiti come “Enti operativi”. In particolare, si tratta dell’Istituto per il Commercio con l’estero (ICE), della SACE - Servizi assicurativi del commercio estero, della Società italiana per le imprese all’estero (Simest), del sistema delle Camere di Commercio in Italia e all’estero, degli enti regionali di promozione, della Finest, di Informest e dell’Ente Nazionale Italiano per il Turismo (ENIT).

Nella figura, oltre a Cassa Depositi e Prestiti (CDP), sono rappresentati solo i pri-mi tre per importanza.

Negli ultimi anni il settore è stato ridefinito con svariati interventi normativi e, anche a causa della stratificazione di norme, le competenze dei vari attori dell’export non sono sempre perfettamente delineate; inoltre manca un’unica amministrazione Ministeriale al vertice del Sistema paese, che possa assicu-rare una strategia efficace e organica a supporto dell’internazionalizzazione commerciale delle imprese.

Come dimostrato dalla tavola che segue, anche al livello degli “Enti operativi” si verifi-cano alcune sovrapposizioni di competenze tra i diversi attori, sia pubblici che privati.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Le attività caratteristiche di un “Sistema paese” - promozione, consulenza, finanziamento, formazione - sono svolte in sovrapposizione tra diversi enti, solo l’assicurazione all’export e l’assunzione di partecipazione al capitale di rischio, quest’ultima peculiare all’esperienza italiana, sono riconducibili a un unico e ben identificato attore. La convenzione Export Banca che coinvolge CDP, SACE e Simest appare semplificare il quadro almeno nel campo della concessione di finanziamenti.

6.1.4. LA CABINA DI REGIA PER L’ITALIA INTERNAZIONALE

Al fine di coordinare le politiche del Paese in tema di internazionalizzazione, coinvolgendo tutti gli attori, pubblici e privati dell’export italiano, nel 2011 è stata istituita la Cabina di Regia per l’Italia Internazionale. L’obiettivo è di definire le linee guida e mettere a sistema iniziative per la promozione, strumenti di analisi e penetrazione sui mercati e concentrare l’uso delle risorse finanziarie verso obiet-tivi specifici e condivisi.

Tale organismo, è co-presieduto dal Ministro degli Affari Esteri e dal Ministro dello Sviluppo Economico, e vede anche la partecipazione dei principali attori governativi ed economici nazionali e regionali nel settore, quali il Ministro per i Beni, le Attività Culturali e il Turismo (che co-presiede per le materie di propria competenza) il Ministro dell’Economia e Finanze, il Ministro per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, i Presidenti della Conferenza delle Regioni, di UnionCamere, Confindustria, Rete Imprese Italia, ABI e Alleanza delle Cooperative.

La Cabina di Regia si è riunita tre volte (18 luglio 2012, 22 ottobre 2012 e 10 luglio 2013) e, nella riunione del 10 luglio 2013, ha definito le linee guida sul piano promozionale 2014 in coerenza con l’auspicato aumento delle risorse promozionali e di funzionamen-

FUNZIONI DEGLI ENTI OPERATIVI DEL SISTEMA PAESE

ISTITUTO COMMERCIO

ESTERO / AGENZIA ICE

CDP SACE SIMESTENTI

REGIONALI DI PROMOZIONE

CAMERE COMM.

INDUSTRIA E ARTIGIANATO

CAMERE COMM.

ITALIANE ALL’ESTERO

ASSOCIAZIONI IMPRENDITOR.

(CONFINDUSTRIA RETE IMPRESE

COOP ABI)

Promozione X X X X X

Consulenza X X X X X X X

Finanziamento X X X

Formazione X X X X X X

Capitale di Rischio X

Assicurazione X

Fonte Questioni di Economia e Finanza edito dalla Banca d’Italia - settembre 2013

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

to a servizio del presidio di nuovi mercati. Questi sono i punti fondamentali:

• missioni economiche - rilancio dello strumento delle missioni, sia istituzionali che imprenditoriali, aumentando il numero di paesi e di settori presidiati, de-finendo tre diversi formati per le missioni all’estero:

a) missioni di sistema con rappresentanza politica ad alto livello, presenza multisettoriale e del sistema bancario;

b) missioni settoriali di follow up, dedicate a settori specifici;

c) missioni Government to Government, intese come preparazione delle mis-sioni di sistema.

• maggiore focalizzazione su progetti integrati di filiera, puntare su forme di aggregazione di imprese;

• impegno accresciuto per i settori più innovativi: meccatronica, biotecnologie, aerospazio, energia per l’ambiente;

• valorizzazione dei progetti in chiave di sinergia e complementarietà con i fondi Made in Italy e il Piano Export Sud;

• inserimento della promozione di Expo 2015 in tutte le grandi manifestazio-ni della filiera alimentare, sostenibilità ambientale, ecc. al fine di sfruttare le grandi potenzialità dell’evento come vetrina per il rilancio dell’intera econo-mia italiana.

Sono stati inoltre previsti due progetti speciali:

• il roadshow, che ha iniziato la sua attività nel Gennaio 2014, toccherà una ven-tina di località italiane tra il 2014 e il 2015. L’obiettivo è di stimolare le aziende con potenziale ma non ancora o poco internazionalizzate, offrendo informa-zioni sulle opportunità offerte dai mercati e consulenza diretta mirata sulle potenzialità di export di ogni singola azienda. In particolare verranno illustra-ti gli strumenti pubblici e privati che possono sostenere l’azienda nell’ingresso sui mercati esteri. Scopo dell’iniziativa è contribuire al raggiungimento dell’o-biettivo d’incremento di circa 20 mila del numero delle aziende stabilmente esportatrici, illustrando gli strumenti a loro disposizione per favorirne una maggiore presenza all’estero;

• progetti promozionali volti a consolidare la rete distributiva sul mercato USA e a promuovere il Made in Italy in preparazione dell’accordo TTIP - Transat-lantic Trade and Investiment Partnership cioè la costruzione di un mercato unico per merci, investimenti e servizi fra Europa e Nord America.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Piano promozionale 2013 e 2014

Nella tabella che segue, relativa all’anno 2013 (elaborazione ICE) si evidenziano le risorse nazionali messe a disposizione per la promozione dell’attività di esporta-zione, rispetto alle risorse dei nostri principali competitors europei. I fondi nazio-nali per il piano promozionale - ultima colonna della tabella - sono stati nel 2013 pari a 28 milioni di Euro, contro i 170 della Germania, 150 milioni della Francia e 140 della Spagna. Per quanto riguarda l’Italia, si fa notare la sproporzione fra il valore del budget istituzionale rispetto a quello promozionale (quest’ultimo pari solo a un terzo dei fondi complessivi) rispetto alle diverse proporzioni dei princi-pali paesi oggetto del confronto.

Nella tabella sono altresì confrontati i principali elementi che contraddistinguono l’organizzazione destinata all’export da parte dei principali paesi europei - uffici nello specifico paese e all’estero, i dipendenti dedicati - oltre al budget dei costi delle strutture istituzionali.

TIPOUFFICI

DOMESTICI

UFFICI

ALL’ESTERO

DIPENDENTI

NAZIONALI*

BUDGET

ISTITUZIONALE (MILIONI EURO)

BUDGET

PROMOZIONALE (MILIONI EURO)

ICE - Agenzia per la promozione

all’estero e internaz.

2 65 434 82 28

GTAI - German Trade & Invest** 2 48

344 + 1700 (Camere di

Commercio)42

170 (Camere di

Commercio)

UBIFRANCE 23 63 1388 152 150

ICEX - Instituo Espanol del Commercio

Exterior

31 100 1170 64 140

* non include il personale locale** L’attività di GTAI si limita ai servizi di assistenza alle imprese mentre l’attività promozionale viene realizzata dai singoli Lander o dalle Camere di Comm.

Fonte: Ice sui dati delle singole TPO

 

 

 

 

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

Si tratta di un dato che rappresenta il minimo storico e che ha comportato no-tevoli limitazioni delle attività finanziate. Causa la limitatezza delle risorse, le attività promozionali 2013 sono state orientate alla conservazione della posizione dell’Italia sui mercati maturi, poiché un’azione più incisiva sui nuovi mercati e diversificata su base geografica e settoriale avrebbe richiesto risorse promozionali e di funzionamento più sostanziose.

Per quanto riguarda più specificamente il settore agroalimentare, il sostegno è stato di una quota del 7.4% per oltre 2,7 milioni di euro, compresi i fondi “Made in Italy”.

Nella riunione del 10 luglio 2014, di cui si è detto, la Cabina di Regia, nella consi-derazione che “ il volano dell’export è una leva fondamentale per elevare il ritmo di sviluppo dell’economia italiana” ha definito per il 2014 linee guida sul piano promozionale, in considerazione di un correlato aumento degli stanziamenti.

Il finanziamento è avvenuto tramite il Decreto legge “Destinazione Italia”, che ha stanziato ulteriori 22,6 milioni di euro, che si vanno ad aggiungere ai fondi del Made in Italy per 8 milioni di euro, accentrando la gestione delle risorse finanzia-rie sull’ICE-Agenzia.

L’obiettivo posto dalla Cabina di Regia è il raggiungimento nel 2015 di 545 miliar-di di Euro di esportazioni, prevedendo in particolare:

• coinvolgimento dagli attuali 40 a 60 Paesi;

• presidio da 50 a 90 sottosettori;

• realizzazione da 300 a 800 iniziative;

• effetto moltiplicatore derivante dall’integrazione con programmi di Regioni, Numero Unioncamere, ecc.

Verranno quindi rafforzate:

• azioni presso la GDO;

• missioni imprenditoriali di settore con incontri B2B;

• incoming a fiere e distretti industriali;

• corsi di formazione.

Sono stati confermati gli interventi nei paesi BRICS, UE e Nord America ed inol-tre verranno potenziati o inseriti stanziamenti per i principali paesi emergenti.

La partecipazione complessiva stimata è di circa 18.000 aziende italiane. 25.000 gli incontri B2B che si prevede di realizzare nel corso di missioni, seminari e workshop.

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

6.1.5. IL COORDINAMENTO TRA I VARI ATTORI

Particolare importanza, come si è detto, è insita nella chiarezza dei rapporti tra i vari attori in gioco, pubblici e privati, nella gestione strategica e nell’utilizzo delle risorse messe a disposizione, per evitare che si verifichino sovrapposizioni e con-flitti di competenze.

In particolare, si riportano di seguito i fondamentali rapporti interistituzionali tra i vari soggetti coinvolti nella promozione dell’export e il Ministero degli Esteri MAE che è il soggetto deputato ad effettuare attività di coordinamento tra Pre-sidenza del Consiglio dei Ministri, altri Ministeri, articolazioni interne al MAE, Istituzioni UE, Ambasciate, Consolati e Istituti di Cultura, Regioni, Province e Comuni, mondo produttivo ed accademico.

Rete estera delle strutture di promozione.

Importante il coordinamento tra Ice /Agenzia e Enit nell’ambito delle Rappresen-tanze diplomatiche, in particolare nei Paesi e mercati con maggiori potenziali di crescita.

Rapporti con le Autonomie territoriali

Il Commercio internazionale è una delle materie che la riforma del titolo V della Costituzione attuata nel 2001 definisce “a legislazione concorrente” delle regioni rispetto allo Stato nazionale. Ciò comporta una sovrapposizione di competenze e una complessità che rendono necessaria un’importante opera di coordinamento per assicurare unitarietà e coerenza alla politica estera del Paese e per definire le attività di promozione dei territori italiani.

Si ritiene utile evidenziare come a livello nazionale tale impostazione Costituzionale sia in fase di discussione, visti anche i numerosi conflitti di competenze tra Stato e Re-gioni che si sono verificati in questi anni, oltre che l’aumento della Spesa Regionale.

Il coordinamento rientra tra le competenze del Ministero Affari esteri MAE e av-viene mediante l’Intesa tra Governo e Regioni nell’ambito della Conferenza Stato Regioni. In relazione a ciò, importante è anche il ruolo svolto dalla Cabina di Regia.

Inoltre sul piano delle attività regionali sono state individuate le seguenti linee guida per favorire l’internazionalizzazione:

• formazione di export manager e supporto all’attività delle imprese, anche at-traverso l’impiego di temporary manager;

• raccordo con l’attività di promozione nazionale del Governo per promuovere il primo approccio delle imprese al mercato;

• supporto nello svolgimento del roadshow per l’aumento delle imprese espor-tatrici attraverso attività dedicate sul territorio.

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Nella riunione del luglio 2013 della Cabina di Regia, è stato evidenziato che i fon-di spesi dalle Regioni per l’internazionalizzazione sono ca. 100 milioni di Euro, di cui fondi regionali 50 milioni, contributi europei 30 milioni, accordi con le Came-re di Commercio 20 milioni, che solo per un ammontare limitato si integrano con la programmazione nazionale.

Relazioni con il sistema camerale

Il Ministero degli Affari Esteri, attraverso l’Amministrazione centrale e la rete di Uffici all’estero, mantiene uno stretto raccordo con Unioncamere e il siste-ma camerale italiano e con l’Associazione delle Camere di Commercio Italiane all´Estero, Assocamerestero.

Il sistema camerale partecipa attivamente ai lavori della Conferenza dei Servizi e dei diversi Consigli per gestire l’attività internazionale delle Camere di Commer-cio italiane all’estero, delle Camere miste e delle Camere di Commercio nazionali. Contribuisce al riconoscimento delle Camere di Commercio italiane all’estero e all’erogazione dei contributi economici governativi e favorisce, nel pieno rispetto dell’autonomia del sistema camerale, iniziative di promozione tramite la condi-visione degli obiettivi di promozione triennale elaborati dalla Rete diplomatica e consolare per la realizzazione congiunta di piani promozionali annuali che con-sentano la massimizzazione dei risultati e la razionalizzazione delle risorse.

Relazioni strategiche con Enti, Associazioni e imprese

Il Ministero degli Affari Esteri si raccorda con i vertici degli enti economici, dei principali gruppi industriali e finanziari nazionali e delle piccole e medie impre-se che intendono espandere la propria attività all’estero per l’elaborazione delle necessarie strategie e per gestire le problematiche. Le tematiche settoriali e geo-grafiche vengono trattate in appositi incontri.

Per il settore agroalimentare il principale referente è Federalimentare.

6.1.6. IL SISTEMA ITALIANO DI SUPPORTO ALL’EXPORT

L’analisi del sistema italiano di supporto all’export, è stata effettuata mediante una serie di interviste ad Enti ed operatori del sistema nazionale e di quello terri-toriale, al fine di evidenziarne le caratteristiche e le attività svolte in favore delle imprese.

Per quanto riguarda il sistema nazionale, abbiamo incontrato l’ICE, Istituto per il Commercio con l’Estero, oggi “ICE - Agenzia per la promozione all’estero e l’in-ternazionalizzazione delle imprese italiane”.

In seguito è stato analizzato il ruolo di un’Agenzia Regionale di sviluppo dell’ex-

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

port - si riferirà di una struttura modello, quella Altoatesina - per passare poi all’analisi delle iniziative del sistema camerale territoriale, con interviste a Union-camere Emilia Romagna e CCIAA di Ferrara.

Inoltre sono state verificate le azioni per l’internazionalizzazione di una impor-tante struttura unitaria nazionale nel settore dell’ortofrutta - il CSO - Centro Ser-vizi Ortofrutta.

Per finire, per quanto riguarda il sostegno finanziario e assicurativo alla interna-zionalizzazione delle imprese, sono state sintetizzate le attività di SACE, Simest e Cassa Depositi e Prestiti.

L’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane - Ice

L’analisi del sistema italiano di supporto all’export dei prodotti agroalimentari è iniziata con l’incontro presso l’ICE, Agenzia sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero dello sviluppo economico che li esercita, per le materie di rispettiva competenza, d’intesa con il Ministero degli affari esteri e sentito il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

L’ICE ha subito in questi anni un radicale processo di revisione: infatti l’ente ven-ne soppresso nel luglio 2011 e successivamente nel dicembre 2011 ricostituito con apposita legge, in forma di Agenzia come “ICE - Agenzia per la promozione all’e-stero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane”.

Il nuovo modello adottato si è basato su azioni di semplificazione, focalizzazione e coordinamento di tutto il sistema, in primo luogo attraverso l’integrazione con la rete estera delle Ambasciate. In tale contesto, l’Agenzia per l’Internazionalizza-zione vuole rappresentare una discontinuità importante rispetto al passato.

Le sue linee d’azione sono:

• maggiore orientamento al servizio nei confronti delle imprese;

• nuova gamma di servizi e temporary management;

• massima trasparenza gestionale e apertura verso tutti i soggetti che intendano utilizzare la Rete estera;

• maggiore proattività, innovatività e creatività nell’azione promozionale;

• marketing aggressivo sulle aziende potenzialmente clienti (Roadshow, Digital Promotion, ecc.);

• discontinuità comunicativa: nuovo logo - ITA (Italian Trade Agency) - e nuo-vo portale www.ice.gov.it che fornisce direttamente e gratuitamente servizi on line indispensabili per un primo approccio sui mercati di riferimento e www.italtrade.com banca dati dedicata agli operatori esteri.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Il piano di razionalizzazione ha comportato un taglio dei costi di funzionamento e degli addetti e un riassetto della rete di uffici italiani e nel mondo: in Italia re-stano solo le sedi di Roma e Milano, mentre la rete estera ha subito un sensibile ridimensionamento nell’area geografica europea che si ritiene più facilmente ac-cessibile alle imprese italiane, mentre è stata confermata con prospettive di raf-forzamento in aree geografiche e Paesi che presentano opportunità di espansione.

In relazione a questo cambiamento, il Piano Strategico dell’Agenzia Ice ha previ-sto l’aumento futuro degli stanziamenti, se saranno confermate su base triennale le risorse, (+ 10 milioni all’anno per funzionamento e + 25 milioni anno per pro-mozione) per il raggiungimento degli obiettivi legati all’aumento delle iniziative promozionali, del rafforzamento della Rete estera sui mercati a più alto potenzia-le e dell’aumento dei ricavi da servizi nel triennio (a condizione che si attivino gli incentivi fiscali sulla spesa in promozione su rete estera ICE), come già riferito nel capitolo della Cabina di Regia.

L’ICE-Agenzia ha il compito di agevolare, sviluppare e promuovere i rapporti economici e commerciali italiani con l’estero - con particolare attenzione alle esigenze delle piccole e medie imprese, dei loro consorzi e raggruppamenti - e opera al fine di sviluppare l’internazionalizzazione delle imprese italiane nonché la commercializzazione dei beni e servizi italiani nei mercati internazionali.

Attraverso la sede di Roma, l’Ufficio di Milano e la rete nel mondo - attuali 65 sedi - l’Agenzia svolge attività di informazione, assistenza, promozione a imprese e isti-tuzioni, di formazione a imprese e a giovani laureati e promuove la cooperazione nei settori industriale, agricolo e agro-alimentare, della distribuzione e del terziario. L’ICE-Agenzia opera all’estero nell’ambito delle Rappresentanze diplomatiche italiane, in sinergia con le organizzazioni imprenditoriali e gli altri soggetti pub-blici e privati interessati, assicurando un supporto coordinato alle imprese e reti nazionali che si impegnano nel processo di internazionalizzazione, con l’obiet-tivo di promuovere l’immagine del prodotto italiano nel mondo e l’Italia quale destinazione degli investimenti esteri.

Come rilevato in diverse sedi, il settore della promozione all’estero soffre dell’ec-cessiva frammentazione dei soggetti e necessita quindi di una importante opera di coordinamento. In alcuni paesi sono infatti presenti rappresentanze delle Re-gioni italiane e addirittura dei Comuni italiani. La Cabina di regia nazionale ha sollecitato tutti gli operatori a svolgere le proprie attività, in raccordo con l’ICE /Agenzia che opera con le Regioni, le Camere di commercio, industria, artigia-nato e agricoltura, le Organizzazioni Imprenditoriali e gli altri soggetti pubbli-ci e privati interessati, ai sensi di linee guida e di indirizzi strategici in materia di promozione ed internazionalizzazione delle imprese assunte dalla Cabina stessa.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Passando a trattare più specificamente il settore agroalimentare, il modello pre-vede l’integrazione dei seguenti soggetti:

• la Camera di Commercio e/o le Associazioni di categoria che svolgono un supporto di prima informazione e sviluppano programmi di promozione sul territorio nei diversi settori;

• Unioncamere e/o le Agenzie Regionali per l’export che a loro volta sviluppa-no programmi di promozione;

• ICE/ Agenzia che organizza;

• iniziative promozionali;

• supporti alla partecipazione di fiere internazionali (collettive italiane);

• attività di incontri con GDO estere in collaborazione con le Associazioni di categorie - cofinanziamento - vedi Federalimentare, Assica (carni lavorate) e Aidepi (settori poste e dolciario);

• iniziative autonome / workshop (modello Borsa vini) nelle quali 40/50 pro-duttori italiani presentano i loro prodotti a diversi operatori del settore estero;

• iniziative promozionali di cucina italiana presentate a scuole di cucina in-ternazionali, che permettono di diffondere il made in Italy e far crescere il proprio personale.

Per quanto riguarda in particolare l’organizzazione di workshop/borse vini, il criterio adottato è quello di prevedere 2/3 tappe a distanza di 1 o 2 giorni su mercati vicini (vedi novembre 2013 Singapore, Taiwan e Tokyo), prevedendo ove possibile anche una ricognizione sulla distribuzione locale, in modo da consenti-re alle aziende partecipanti di razionalizzare le spese.

Le principali iniziative dell’ICE nel biennio 2013 - 2014 nel settore agroalimen-tare sono:

• azioni con la GDO in Giappone, Hong Kong, Cina,

• fiere:

• Anuga, Colonia

• Hofex, Hong Kong

• Summer Fancy Food, New York

• Fine Food, Australia

• Food and Hospitality China, Shanghai

• Vinexpo, Bordeaux

• missioni operatori presso SANA, FLORMART, MACFRUT, SIGEP, CIBUS

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

• grandi degustazioni in CANADA

• Borse vini in Estremo Oriente

Nel corso dell’incontro è emerso che per accedere ad alcuni mercati, è necessario che il sistema agroalimentare italiano si rivolga agli importatori specializzati, in relazione alle diverse normative; in particolare si segnala:

• Usa: è presente in prevalenza una struttura distributiva piramidale con 3 livel-li: 1-importatore grossista 2-Distributore grossista e 3-distributore al dettaglio. La legge Antitrust Usa consente di esercitare al massimo 2 delle 3 suddette funzioni;

• Russia: normalmente il produttore straniero si affida a un operatore logistico/commerciale russo, che affida la merce a un operatore commerciale specia-lizzato in vendite all’ingrosso il quale provvede alla distribuzione presso il consumatore finale (negozi, ristoranti, reti commerciali);

• Giappone: non esiste un vincolo normativo ma la tradizione, molto importan-te in Giappone, impone il passaggio attraverso gli importatori.

Per contro nella Comunità Europea queste intermediazioni sono sempre meno utilizzate e si fa ricorso ad un contatto diretto con gli operatori commerciali della distribuzione finale.

Si sottolinea che per le imprese italiane è importante migliorare sul fronte della distribuzione del prodotto, creando accordi diretti con la GDO; a tal fine l’ICE sta attivandosi per valorizzare e promuovere accordi con la GDO Europea, anche organizzando incontri B2B tra imprese e operatori della grande distribuzione, per consentire ad imprese di ogni dimensione di internazionalizzarsi.

Dall’esperienza degli operatori dell’ICE, i principali canali cui le imprese italia-ne si rivolgono cambiano sui diversi mercati; ad esempio:

• UE ripartito equamente fra GDO, distribuzione specializzata e Horeca;

• USA CANADA: 50% GDO 50% Horeca/distribuzione specializzata;

• ASIA CINA e GIAPPONE prevalenza Horeca (>70%).

I paesi nei quali è cresciuta maggiormente la penetrazione, negli ultimi due anni, (premesso che l’1% di crescita in un paese dell’UE o del Nord America in volumi vale molto di più del +200% della Thailandia), sono:

• Usa e Canada, con segnali decisamente positivi in particolare aumento nel settore vinicolo);

• Giappone con un aumento incoraggiante;

• Corea del Sud: mercato interessante che esce da due anni di blocco in relazione alla crisi economica;

• Asia: vi sono alcuni paesi da tenere in osservazione (per es. Thailandia, Male-

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

sia Vietnam e Taiwan) mentre in Cina, dopo una serie di aumenti, si è registra-ta una stasi e oggi si avvertono segnali di recupero.

I fattori che hanno consentito di incrementare l’export in questi paesi consistono essenzialmente nel riconoscimento dell’eccellenza del prodotto italiano con una attenzione sempre maggiore da parte dei consumatori alla ricerca del prodotto originale. Si è riscontrato che, parallelamente all’evoluzione dei Paesi nella ricerca della qualità, crescono le richieste di prodotti italiani - vedi sviluppo Cina, Russia, Brasile e Asia in generale. Per contro in Europa possiamo parlare di tenuta della posizione.

Per quanto riguarda la possibilità di conquistare spazi sui mercati esteri per le cooperative agroalimentari, si registrano:

• Effetti positivi: nel caso di grandi strutture lanciate e riconosciute - vedi orto-frutta, vino e vivaismo vitivinicolo;

• Effetti negativi: spesso le piccole realtà cooperative hanno una scarsa capacità di commercializzare il prodotto e sono poco attente alle richieste del mercato. E’ necessario invece che le cooperative acquisiscano mentalità rivolta ai mer-cati e non pretendano di imporre al mercato il proprio prodotto, al contrario devono imparare ad adeguare la propria attività produttiva alle richieste del mercato.

Infine i principali fenomeni che Ice segnala per l’immediato futuro, riguardo i rapporti con l’estero, si riferiscono al fermento dei mercati in crescita.

Per evitare di entrare in competizione con nuovi produttori locali, che hanno prezzi più bassi dei nostri, è opportuno collocarsi nella fascia alta come qualità e valore dei prodotti esportati.

Le previsioni a medio termine circa la propensione ad importare prodotti agroali-mentari, italiani e non, evidenziano che il nostro export aumenta in valore, nono-stante siano calate le quantità. Ciò accade ad es. per il vino e in taluni casi anche per l’ ortofrutta e settore caseario.

EOS - Export Organisation Sudtirol della Camera di Commercio di Bolzano

Passiamo ora all’analisi di un’Agenzia Regionale di sviluppo all’export.

La fondazione nel 2007 dell’Organizzazione Export Alto Adige (in breve EOS) è stata un passo importante per la crescita del volume delle esportazione dei pro-dotti altoatesini. E’ stata costituita infatti un’unica organizzazione che concentra le forze per il sostegno dell’export in Alto Adige, svolgendo compiti preceden-temente di competenza di diversi enti e promuovendo le iniziative di export delle imprese altoatesine.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

L’obiettivo dell´Eos è di assistere le imprese altoatesine nell’apertura e nel con-solidamento di mercati internazionali e nell’aumento dell’attività di export, oltre a rafforzare la notorietà dei prodotti di qualità altoatesini in Alto Adige e all’estero.

Per raggiungere questo scopo, EOS individua nuovi trend e opportunità e, gra-zie anche alla disponibilità della cooperazione e delle imprese altoatesine, crea nuove sinergie per rendere competitiva l’attività di export dell’Alto Adige. Aver istituito una rete efficace nell’ambito dell’economia, della politica e dei media, in Italia e all’estero, è la chiave per accedere a nuovi mercati con successo.

EOS si rivolge alle imprese altoatesine e ai loro clienti, per i quali cerca di essere un punto di riferimento, fungendo da piattaforma che offre un’assistenza completa.

La società è controllata al 100% dalla Camera di Commercio di Bolzano ed è go-vernata da un CdA. Il management opera su direttive previsionali annuali, con forte attenzione alle dinamiche dei mercati e sulle misure di indirizzo indicate dal CdA in merito alle attività.

EOS ha ottenuto uno specifico incarico dalla Provincia autonoma di Bolzano, in base alla Legge Provinciale 4/97 “interventi per il sostegno dell’economia”, con l’obiettivo di incrementare la notorietà dei prodotti tipici altoatesini e di incre-mentare le vendite attraverso la Gdo e Horeca, il tutto attraverso un messaggio comune chiaro, semplice ed integrato.

L’organizzazione consta di due settori: International trade support e Marketing support.

Il primo settore, International trade support, offre vari servizi per sostenere l’in-ternazionalizzazione dell’impresa con le seguenti attività:

• Missioni all’estero

• Incontri B2B

• Fiere

• Export Coach

• Studi analisi di mercato

Attraverso un network costruito negli anni nei diversi paesi del mondo, le impre-se possono contare su riferimenti e consulenti in modo da confezionare progetti su modello “Taylormade”.

Tali supporti possono essere rivolti sia alle singole aziende ma anche con misure collettive - tipo missioni all’estero o fiere - purché si superi il numero minimo di 3 aziende per essere finanziate, come indicato dalla UE e nel rispetto della legge del De minimis.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Per aver successo nell’intraprendere ed estendere attività di export, secondo l´EOS è necessario compiere in maniera sistematica alcuni passi veramente decisivi per l’entrata in un nuovo mercato estero. Si elencano quindi una serie di consigli utili da seguire, forniti da EOS, per redigere agevolmente la pianificazione, gli obietti-vi e i provvedimenti necessari per procedere:

a) fissare un punto di partenza: punti forti + punti deboli dell’azienda in confronto alla concorrenza - consulenza per l’export;

b) fissare gli obiettivi: prodotti, mercati, timing, volumi - giornate di consulenza;

c) scegliere paesi e mercati: analisi, potenziale di crescita, segmentazione del mer-cato - ricerca desk e analisi del mercato;

d) creare le condizioni nell’impresa: adattamento del prodotto, management, or-ganizzazione, finanze - seminari;

e) canali di distribuzione: scelta, realizzazione, ottimizzazione - viaggi d’affari;

f) stipulare il contratto: requisiti per contratti d’acquisto, contratti di vendita e con-tratti di licenza - contratti internazionali;

g) attività di marketing: dinamiche dei prezzi che si riferiscono all’estero, condi-zioni di consegna e di pagamento adatte al mercato, strumenti di promozione - promozione;

h) pianificazione delle vendite e del successo: budget per il primo e secondo anno di export - coach per l’export.

Il secondo settore è quello del Marketing support che offre sostegno alle produ-zioni tipiche, tenendo conto che l’Alto Adige è stata la prima regione della UE ad avere un marchio di qualità del territorio - 1976 - e che da diversi anni vanta i seguenti importanti marchi di origine Europea:

• Mela Alto Adige Igp

• Speck Alto Adige Igp

• Vini Alto Adige Doc

• Formaggio Stelvio Dop.

Il settore del Marketing support porta avanti iniziative legate alla promozione con eventi dedicati. Gestisce la comunicazione via internet, strumento sempre più diffuso ed apprezzato. Vengono svolte attività di marketing in Italia e all’estero, su mercati tradizionali e nuovi, con azioni mirate sia per incentivare le vendite, che per rafforzare l’immagine dei prodotti altoatesini e aumentarne la notorietà. Le iniziative come degustazioni al punto vendita, manifestazioni, attività PR e attività online sono realizzate per più gruppi di prodotti. Per ogni gruppo di inte-resse esiste inoltre un programma d’azione specifico.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Il settore organizza inoltre la partecipazione ad alcune fiere specializzate come- Cibus a Parma e Anuga a Colonia.

Le attività nel 2014 sono sostenute anche dall’ICE e, relativamente al settore agroalimentare, si sviluppano progetti in Usa, paesi Scandinavi e Germania.

EOS conduce specifiche attività promozionali congiunte al territorio grazie alla collaborazione con ALTO ADIGE MARKETING, che si occupa di marketing ter-ritoriale, in modo da collegare i prodotti tipici al territorio Alto Adige.

Gli interlocutori ai quali si rivolgono sono:

• i consorzi, in particolare quelli del vino, speck e mela, con i quali concordano le azioni e i budget dei prodotti principali;

• le singole imprese ed in particolare quelle riferite al target specifico;

• responsabili acquisti della GDO - in particolare settore latte e latticini, speck e mele - vedi campagna pubblicitaria “Una Spesa che cambia la vita”;

• negozi specializzati - vedi vino.

I dati dell’export altoatesino si confermano rispetto al trend del Sistema paese - in forte crescita nel 2010 e 2011, con un leggero rallentamento nella crescita nel 2012 ma in recupero nel 2013.

Si riporta una tabella con le esportazioni per i principali gruppi merceologici, evidenziando i dati del settore agroalimentare:

Le peculiarità dei prodotti esportati e delle relative produzioni si possono così riassumere:

• mele - quantità prodotta in media 950.000 tonnellate all´anno (10-12% del rac-colto europeo e 50% del raccolto italiano) su 18.400 ettari attraverso più di 7.000 frutticoltori nelle 2 cooperative produttive VOG e VIP, l´associazione dei commercianti privati Fruttunion e l´associazione Astefrutta FOS raggruppate nel Consorzio Mela Alto Adige. Il 50% della produzione é destinata all´export, in particolare Germania, paesi Scandinavi, Gran Bretagna, area mediterraneo ed Europa centrale e Russia- in totale 25 nazioni;

ALTO ADIGE: ESPORTAZIONI PER GRUPPO MERCEOLOGICO

(DATI /000 EURO) 2010 2011 2012 2013

Prodotti dell’agricoltura e silvicoltura e della pesca 483.065 571.048 598.142 614.456

Prodotti alimentari, bevande e tabacco 614.765 651.277 679.607 698.364

Altri Prodotti 2.224.067 2.442.007 2.406.422 2.547.762

TOTALE EXPORT 3.321.896 3.664.333 3.684.170 3.860.582

Variazione % rispetto all’anno precedente 10,3% 0,5% 4,8%

Fonte dei dati: Coeweb ISTAT elaborati Istituto di ricerca economica Bz

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

• latte e latticini - produzione di circa 370 milioni di litri di latte l’anno, di cui 22 milioni venduti come latte fresco e 90 tipi di formaggi di cui lo Stelvio/ Stilfser riconosciuto come Dop attraverso oltre 5.000 contadini allevatori, con in me-dia 14 mucche a testa, e il prodotto risulta raccolto da 10 cooperative lattiero casearie;

• vino - produzione di circa 330.000 ettolitri di vino (42% rossi, 58% bianchi) su una superficie totale di produzione di oltre 5.300 ettari su altezze tra i 200 e i 1.000 metri di altitudine. Il 98% della superficie vitata è classificata DOC. I vitigni autoctoni sono la Schiava, il Lagrein e il Gewürztraminer. Il 70% del prodotto viene commercializzato dalle 13 cantine sociali mentre il restante at-traverso 40 tenute private e più di 100 vignaioli. Il 35% della produzione è rivolto all`export;

• speck - produzione di 2.4 milioni di baffe di Speck Alto Adige Igp attraverso 29 produttori.

Altre produzioni minori ma di rilievo sono il pane e prodotti da forno, l’ortofrut-ta, miele, grappa, carne bovina e le erbe aromatiche.

Le cooperative rappresentano una fetta molto importante dell’economia altoate-sina e sono spesso caratterizzate dai seguenti elementi di pregio:

• organizzazione della produzione

• gestione delle aree produttive

• gestione dei contributi pubblici ed agevolati

mentre debbono migliorare rispetto alle produzioni su larga scala in quanto, no-nostante gli sforzi, non arrivano a modelli industriali performanti - vedi effetti leverage industriali tipo per i latticini (grandi in Italia ma piccoli per Europa) o a lentezze decisionali nei diversi processi da affrontare.

La prima cooperativa è stata fondata nell’ottocento - la cantina di Terlano - su modello Raiffeisen per rafforzare i piccoli nei confronti dei grandi produttori. Il modello diffuso, con identificazione del coltivatore diretto con azienda pro-pria che produce qualità e commercializza il prodotto tramite la cooperativa. In tale modo anche il piccolo produttore può fronteggiare il mercato con una visione di gruppo.

Per trasmettere questo messaggio, EOS ha prodotto dei video dimostrativi dif-fusi ai clienti e ha organizzato eventi per i clienti internazionali alla presenza di un produttore agricolo e di un cuoco. Il fine é valorizzare la diversità dei prodotti dell`Alto Adige.

In merito alle cooperative, va enfatizzata l’esigenza di proporre modelli di ge-stione equilibrata, con sistemi di controllo interni sul management - vedi sistema delle Raiffeisen Bank - nonché ispirate al principio della trasparenza, non confron-tabile con le normali società.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Un’importante novità nel settore della commercializzazione internazionale delle mele è rappresentata da una realtà commerciale fondata 5 anni fa: FROM consor-zio sotto forma di associazione a tempo indeterminato, dopo un test durato 3 anni.

Costituito dalle quattro organizzazioni dei produttori cooperativi del Trentino - Alto Adige (Melinda, Trentina, Val Venosta e Marlene), FROM si occupa di com-mercializzazione extra Ue - per es. Russia, India - permettendo di concentrare il prodotto e di superare i provincialismi, in modo da fornire il prodotto con le caratteristiche adatte allo specifico mercato. Va evidenziato che la grande collabo-razione su questo obiettivo permette di fare fronte a concorrenti molto attivi sul piano europeo.

Le iniziative promozionali dell´EOS si basano su mezzi di comunicazione sem-pre più evoluti, in quanto essendo in contatto con un’importante clientela, com-prendono le esigenze del consumatore moderno, in particolare:

• stampa a internet

• internet Tv o TV con format specifici

e, con il supporto di agenzie esterne specializzate, diffondono messaggi che ten-dono ad essere diversi da quelli della concorrenza (USP = unique selling proposi-tion) con i seguenti elementi

• qualità

• abito semplice

• tradizione

• legame con il Territorio

• lifestyle.

I paesi in cui sono cresciuti maggiormente negli ultimi anni sono gli Stati Uniti, i paesi scandinavi e i paesi dell’est Europeo - in particolare la Polonia, la Repub-blica Ceca e la Russia, la Svizzera e il Benelux - mentre risulta stabile la relazione con la Germania e con l’Austria per effetto di produzioni similari e con il Regno Unito, sempre alla ricerca del label, per la forte concorrenza dei paesi ex Com-monwealth - Australia e Cile.

Le recenti iniziative di sviluppo si rivolgono a paesi quali:

• Asia e in particolare India, Singapore e Giappone

• Nord Africa con mele

• Paesi Arabi

attraverso uno sportello unico - International Trade Support - ove le aziende al-toatesine che intendono esportare, espongono le loro esigenze per valutare se sia possibile sviluppare un progetto su misura, oppure collegialmente con altre aziende. Ad esempio per sviluppare l’attività in un paese estero ci si rivolge al

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

partner, si forniscono dati di mercato, si valuta la partecipazione alla fiera del po-sto, che spesso è la porta di ingresso per il Paese, oppure un viaggio conoscitivo per incontri B2B.

In merito ai supporti istituzionali, viene fatto presente che in Germania e Au-stria l’attività dello sportello unico a supporto delle aziende, è caratterizzata dalla massima trasparenza, con sedi distaccate che funzionano, procedure trasparenti, supporti informatici ed elettronici che rendono fruibili i sistemi a tutti gli opera-tori e un regolamento chiaro e visibile da tutti.

Inoltre il turnover dei manager è molto ridotto, nella considerazione che dove i manager permangono e di conseguenza operano per periodi lunghi si riescono ad organizzare solidi progetti di sviluppo, che necessitano di almeno alcuni anni di lavoro. Il succedersi continuo dei manager non rende profittevoli questi progetti.

Viene inoltre sottolineato che in Italia, nonostante ci siano valide professionalità nei Ministeri (Ministero Agricoltura e Sviluppo Economico in particolare) o nelle diverse strutture a supporto dell’export, manca un’efficace regia che supervisioni le diverse attività; manca inoltre una certa autonomia dei territori, nel rispetto delle regole nazionali, in quanto non sempre la centralizzazione è vincente. Inol-tre manca governabilità, gestione e rispetto dei tempi.

Per quanto riguarda i rapporti con l’ICE, purtroppo a causa della trasformazione e della riduzione delle risorse, EOS rimarca come i progetti interregionali non sempre risultino soddisfacenti, visto che in alcune regioni sono operative strut-ture meno sviluppate di quelle altoatesine. I finanziamenti ricevuti dall’ICE sono stati particolarmente esigui e insufficienti. Per contro l`EOS è stata riconosciuta capace di ottenere buoni risultati rispetto ai fondi ricevuti.

Risultano essere molto importanti i fondi europei - vedi OCM vino - che hanno permesso iniziative di sviluppo negli Stati Uniti e Russia.

I fattori su cui bisogna lavorare per il futuro sono:

• innovazione - bisogna essere i migliori - confronto con l’eccellenza del vicino Trentino che opera attraverso la fondazione MART e l’Università;

• cluster in determinate categorie - per es. erbe aromatiche - nella logica che oc-corre passare dal ruolo di artigiano al gruppo specializzato nell’export.

Le previsioni a medio termine di EOS consistono nella crescita dalla quota del 16% attuale di export al 25%, sviluppando una cabina di regia locale fra le eccel-lenze altoatesine, ed in particolare valorizzando la galassia dei piccoli produttori che risultano essere elastici e dinamici attraverso l’integrazione con:

• le principali strutture agroalimentari;

• le Raiffeisen Bank;

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

• gli Enti pubblici con bilanci equilibrati;

• le strutture del turismo;

• gli operatori dell’industria, in particolare delle costruzioni ed energetiche.

Le strutture territoriali delle Camere di Commercio

Passiamo ora ad analizzare le strutture territoriali delle Camere di Commercio, attraverso le interviste effettuate con Unioncamere Emilia Romagna e CCIAA di Ferrara.

Unioncamere sviluppa la propria attività secondo le seguenti 5 direttrici:

1. attività di rappresentanza istituzionale delle Camere di commercio;

2. informazioni, studi, ricerche e monitoraggio statistico ed economico per tut-to il sistema regionale;

3. iniziative per le imprese;

4. servizi regionali a supporto delle Camere di commercio;

5. servizi di accesso al credito attraverso i Consorzi di garanzia fidi (Fidindu-stria, Cofiter, Cooperfidi).

Per coordinare le politiche per l’internazionalizzazione, è stata istituita una ap-posita Cabina di regia alla quale partecipano, oltre Unioncamere, l’Assessorato alle attività produttive e l’assessorato Agricoltura della Regione Emilia Romagna.

Recentemente si sta sviluppando un progetto regionale che prevede il collega-mento fra il settore agroalimentare e il turismo e che vede protagonisti Union-camere e APT-Azienda di promozione turistica. Tale attività non è comune a tutte le regioni italiane, alcune delle quali hanno istituito società promozionali per l’e-stero (vedi Toscana, Piemonte e Veneto).

La Direzione Generale Agricoltura della Regione Emilia-Romagna reputa la qualità dei prodotti agroalimentari come un obiettivo imprescindibile, dove la qualità è intesa come un insieme di caratteristiche legate al prodotto, al sistema produttivo e al forte legame con il territorio, che rendono tali produzioni uniche al mondo. In effetti, le diverse tipologie di produzione della Regione hanno in comune un consolidato sistema di controllo delle tecniche produttive e dei parametri di qualità e possono, quindi, essere riconosciute dal consumatore at-traverso specifici marchi ed etichettature consentendo così una scelta di acquisto più consapevole.

Le produzioni a qualità certificata riconducibili al territorio della Regione Emi-lia-Romagna, attraverso specifiche Leggi di riferimento, sono rappresentate dai prodotti:

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

• D.O.P. denominazione d’origine protetta, I.G.P. indicazione geografica pro-tetta (LEGGE REGIONALE 21 marzo 1995, n. 16 “Promozione economica dei prodotti agricoli ed alimentari regionali”);

• produzioni ottenute da agricoltura biologica (LEGGE REGIONALE 2 agosto 1997, n. 28 “Norme per il settore agroalimentare biologico” Abrogazione della L.R. 26 ottobre 1993, n. 36);

• produzioni ottenute da agricoltura integrata a marchio QC Qualità controllata (LEGGE REGIONALE 28 ottobre 1999, n.28 “Valorizzazione dei prodotti agri-coli ed alimentari ottenuti con tecniche rispettose dell’ambiente e della salute dei consumatori” Abrogazione delle L.R. n. 29/92 e n.51/95);

• produzioni vitivinicole D.O.P. (ex Docg e Doc) e I.G.P. (ex IGT) (LEGGE RE-GIONALE 27 dicembre 1993 n.46 “Contributi per la promozione dei prodotti enologici regionali”).

Le attività sono altresì sviluppate dai Consorzi di Tutela - vedi Parmigiano e Pro-sciutto di Parma - nonché l’Enoteca che ha fatto da apripista con azioni promozio-nali e di valorizzazione estero.

Inoltre per il settore agroalimentare va evidenziato il recente progetto “Deli-ziando”, un marchio creato dalla Regione Emilia-Romagna, in partnership con Unioncamere Emilia-Romagna e con l’Istituto per il Commercio Estero e in colla-borazione con le Camere di Commercio provinciali, i consorzi di tutela e valoriz-zazione e l’Enoteca Regionale per i prodotti aventi determinati requisiti.

Relativamente al paniere di Deliziando, la promozione riguarderà i seguenti comparti:

• 36 prodotti Dop e Igp;

• prodotti a Qualità Controllata e prodotti bio da agricoltura biologica;

• vini Dop (ex Docg e Doc) ed Igp (ex Igt), prioritariamente da vitigni autoctoni;

• prodotti selezionati dall’elenco dei prodotti agro-alimentari tradizionali dell’E-milia-Romagna, al fine di completare l’offerta enogastronomica regionale;

• ulteriori prodotti quali caffè e cioccolato.

Gli strumenti operativi per promuovere questo marchio consistono in un pro-gramma di attività promozionali quali fiere, workshop, incontri B2B, in Italia e all’estero, attività che valorizzino le eccellenze enogastronomiche emiliano-roma-gnole, nei seguenti mercati di riferimento:

• Area Europa: Austria, Francia, Germania, Regno Unito, Danimarca e Russia;

• America Latina: Brasile, Messico e Colombia;

• Nord America: USA, Canada;

• Asia-Pacifico: Thailandia, Hong Kong, Corea del Sud e Vietnam.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Vengono altresì organizzate missioni di operatori e giornalisti in Italia per in-contri B2B con imprese emiliano-romagnole e visite alle realtà produttive più rappresentative e all’estero per attività promo-commerciali, anche nell’ambito di progetti nazionali nonché campagne promozionali con le reti distributive estere ed il canale Horeca, campagne supportate da giornate gastronomiche e degusta-zioni guidate.

Quanto agli strumenti non operativi, sono state svolte attività formative in colla-borazione con Scuole Alberghiere e di Ristorazione, oltre ad attività di comunica-zione e pubblicità finalizzate sia alla promozione delle produzioni delle singole aziende regionali, che alla valorizzazione delle eccellenze.

Nel 2012, per la prima volta sono state realizzate attività in collaborazione con due Catene alberghiere (una londinese ed una svedese) e si sono avviati contat-ti con alcuni nuovi mercati di potenziale interesse, in maniera particolare per il comparto vitivinicolo (Canada, Cina, Korea del Sud, Francia e Germania).

Tra le altre iniziative volte a favorire l’export, importanti sono anche gli incontri con catene della GDO europea. Talvolta per garantire le quantità richieste, è ne-cessario creare delle alleanze con sistemi associativi aggregativi (per es. associa-zioni temporanee di imprese) o fare ricorso a innovativi sistemi organizzativi (per es. temporary manager) in modo da dare professionali risposte agli operatori di reti distributive o reti di logistica estere.

Anche lo sviluppo di progetti di rete di imprese per la promozione, in alcuni casi ha prodotto effetti positivi, nonostante le difficoltà iniziali.

Abbiamo chiesto a Unioncamere, quali suggerimenti può fornire ad un operatore che voglia affrontare i mercati esteri. Premesso che le iniziative debbono avere una prospettiva di rapidità e di azione, Unioncamere ritiene necessario:

• possedere un’adeguata preparazione;

• avere una strategia basata sulla differenziazione per canali;

• individuare i giusti interlocutori imprenditoriali;

• al fine di sviluppare efficaci azioni, fare progetti a medio termine, ovvero dai 3 ai 5 anni.

Per quanto riguarda la partecipazione a Fiere e Missioni, posto che è sempre ne-cessaria la presenza del titolare o del responsabile con deleghe al fine di conclu-dere le trattative. Si sintetizzano nella tabella che segue i suggerimenti di Union-camere:

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Nell’ambito di questi incontri, l’uso della lingua si rivela il primo problema. Di norma è importante avere un proprio referente del territorio e in proposito si può fare riferimento al desk dell’ICE o di Assocamere che sono in grado di dare un buon supporto e fare la differenza. L’obiettivo è trovare un partner affidabile, da monitorare per proseguire il rapporto.

Inoltre Unioncamere può fornire supporti operativi per conoscere meglio il paese o attivare le proprie referenze di collaborazione, compreso supporti di chef, som-melier o scuole alberghiere.

Sul fronte finanziario e assicurativo esiste un accordo quadro con Sace e Simest che vanta 300/350 mila euro di fondi per il supporto delle attività attraverso i principali Istituti di credito disponibili per mercati consolidati e soprattutto per le grandi imprese. Per le piccole imprese esiste un agreement che coinvolge le banche italiane ed estere con l’obiettivo di semplificare il sistema.

Successivamente si è svolto un incontro con lo Sportello estero - International Marketing Department - Worldpass - della Camera Commercio di Ferrara.

Nell’ambito delle attività che la CCIAA di Ferrara svolge a sostegno delle imprese ferraresi, hanno un particolare rilievo i servizi per l’internazionalizzazione, rivolti sia alle aziende che esportano sia a quelle che vogliono iniziare un’attività di export,

Worldpass è la rete degli Sportelli per l’internazionalizzazione, che offre servizi di primo orientamento, informazione e assistenza sui temi legati al commercio estero e mette a disposizione le informazioni delle altre istituzioni che supporta-no l’export italiano.

Come illustrato sul sito, lo sportello Worldpass o la piattaforma web www.worldpass.camcom.it permettono di ottenere:

• accesso a informazioni su Paesi e mercati, settori economici, normative inter-nazionali e trend di mercato;

• informazioni sulle formalità per aprire un’impresa di import-export e sui passi da compiere per intraprendere un’operazione commerciale internazio-nale, sui principi di marketing internazionale indispensabili per la costruzio-ne di un’adeguata strategia, e conoscere il livello di esportabilità dei prodotti;

UNIONCAMERE SUGGERISCE:

FIERE

• vanno individuate iniziative prima e dopo lo svolgimento della manifestazione in modo da rendere efficace la presenza

• vanno sviluppati specifici desk sia in Italia che c/o la fiera

• azioni collaterali - tipo ER Day con degustazione prodotti e vini

MISSIONI• vanno organizzate specifiche visite a supermercati organizzati, Enoteche e negozi specia-lizzati

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

• assistenza specializzata su certificazione, procedure doganali, fiscali e assi-curative; normative internazionali; costituzione di società all’estero, contrat-tualistica internazionale; finanziamenti internazionali e comunitari, informa-zioni sulle opportunità offerte da Simest e Sace;

• conoscere le normative e le disposizioni sui documenti necessari per espor-tare, le convenzioni internazionali, i certificati, i visti e tutti gli atti necessari per intraprendere rapporti commerciali con l’estero;

• consultare l’elenco delle iniziative promozionali quali missioni, partecipa-zione a fiere e iniziative speciali intraprese dentro e fuori dal Sistema camerale;

• accedere - in particolare attraverso il sito worldpass.camcom.it - a un servi-zio gratuito di consulenza, per ottenere risposte personalizzate sui quesiti di maggiore complessità sorti nel corso delle operazioni con l’estero. In questo caso, un team di esperti fornirà entro 3 giorni una risposta dedicata.

Per lo specifico settore agroalimentare, la Camera di Commercio di Ferrara, nell’ambito delle iniziative per l’internazionalizzazione, sostiene la partecipazio-ne delle imprese ferraresi al progetto Regionale “Deliziando” che promuove le eccellenze enogastronomiche emiliano romagnole - di cui si è già sopra riferito.

Per il 2014, la Camera di Commercio di Ferrara, anche in relazione al progetto Deliziando, ha previsto l’organizzazione di Missioni all’estero, Manifestazioni Fieristiche e Incoming come di seguito riportata:

MISSIONI ALL’ESTERO CHE POSSONO INTERESSAREL’AGROALIMENTARE O SETTORI ATTINENTI

PAESE PERIODO SETTORE ATTIVITÀ

Russia AprileMeccanica Agricola Macchinari e attrezzatu-re per il food processing

Workshop con esperti russi ed italiani sullo stato dell’arte delle tecnologie e tecniche di coltivazione in ambito ortofrutticolo e vitivinicolo, visite ad aziende agricole e centri raccolta ortofrutta e incontri B2B con imprese russe

Cile e Perù Giugno Multisettoriale Organizzazione in loco di incontri d’affari con controparti locali

India Autunno Tecnologie e macchinari per il food processing

Organizzazione di un retails tour, visite aziendali e incontri B2B in almeno due città indiane

Messico e Colombia Novembre Multisettoriale Organizzazione in loco di incontri d’affari

con controparti locali.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Manifestazioni fieristiche

• SIAL CANADA - Montreal 2-4 aprile

• VINITALY - Verona 6-9 aprile

• CIBUS - Parma 5-8 maggio

• THAIFEX - Bangkok Thailandia 21-25 maggio

• LONDON WINE FAIR - Londra 2-4 giugno

• SIAL BRAZIL - San Paolo 24-27 giugno

• I.F.E.A. - Johannesburg Sud Africa - 5-7 novembre

La Camera ha organizzato degli incoming di buyer e ha organizzato incontri B2B all’interno delle principali fiere di settore (Vinitaly - Verona, MACFRUT - Cesena, CIBUSTEC -Parma, EIMA - Bologna). Ha inoltre organizzato incontri B2B telema-tici tra buyer canadesi e imprese regionali con supporto ad una decina di cantine, per favorirne l’accesso al mercato canadese e attività promozionali all’interno di 13 punti vendita della catena Big C in Thailandia e di City Mart in Birmania.

Proseguendo l’analisi delle iniziative della Camera, si segnalano:

• servizi di informazione e assistenza: consulenze specialistiche, informazioni commerciali su imprese all’estero, newsletter, ricerche di mercato e ricerche di partner, assistenza su gare di appalto internazionale, desk all’estero. In merito agli esperti la Camera mette a disposizione un gruppo di esperti selezionati in base ad una graduatoria per varie materie, con la disponibilità di una prima consulenza gratuita entro 3 giorni dalla richiesta e, nel caso di ulteriori approfondimenti, una prestazione a pagamento con tariffa fissata di € 70 all’ora oltre IVA;

• check up per valutare la propensione all’internazionalizzazione;

• disponibilità di Temporary export manager in comarketing con le associazioni di categoria.

Per quanto riguarda le analisi che le imprese chiedono alla Camera, gli opera-tori hanno a disposizione le informazioni sui vari paesi presenti sul sito della CCIAA, sul portale Worldpass o sul portale Promos, ovvero fanno riferimento al sito dell’ICE, benché non sempre aggiornato.

Nel caso non siano disponibili da queste fonti, si rivolgono direttamente agli sportelli delle Camere di Commercio all’estero o dell’ICE, se presenti, o alle Am-basciate italiane; utile anche il ricorso alle informazioni presenti sul sito dell’A-genzia americana CIA, in primis per informazioni riguardo i paesi a rischio.

Sul fronte del supporto finanziario e assicurativo, è possibile fare ricorso ai con-sulenti selezionati dalla Camera, in primis per la verifica dell’affidabilità degli operatori e del loro comportamento commerciale.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

100 GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Per offrire alle imprese strumenti di gestione e recupero dei crediti commerciali, relative all’attività di esportazione, la CCIAA di Ferrara ha recentemente stipula-to una convenzione con Atradius Collections, una delle società leader nel mondo, con 80 anni di esperienza nel campo della gestione del credito. Tale società, con sede centrale in Olanda e uffici in 20 paesi, garantisce una copertura mondiale del servizio con i suoi 250 gestori e i suoi contatti con professionisti ed avvocati. La società gestisce il servizio di recupero crediti con un intervento diretto nel Pa-ese del debitore: l’azione di recupero viene quindi svolta nella stessa lingua del debitore e secondo le procedure legali e di riscossione proprie di ciascun Paese. Tale convenzione offre alle imprese ferraresi le migliori condizioni contrattuali per l’attività di recupero (stragiudiziale), nazionale ed internazionale, dei crediti commerciali certi ed esigibili.

Per offrire un aiuto alle imprese estere interessate a iniziative in Italia, la Came-ra si avvale della collaborazione di Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo dell’impresa, che agisce su mandato del Governo Italiano per accrescere la competitività del Paese e per sostenere i settori strategici per lo sviluppo. I suoi obiettivi prioritari sono favorire l’attrazione d’investimenti esteri, sostenere l’innovazione e la crescita del sistema produttivo e valorizzare la potenzialità dei territori.

Il Centro Servizi Ortofrutticoli di Ferrara

Al termine della serie delle nostre visite in Italia, abbiamo incontrato il CSO - Centro Servizi Ortofrutticoli di Ferrara.

CSO è una società cooperativa che opera dal 1998 in Italia e conta ad oggi più di 65 soci che esprimono un fatturato complessivo aggregato di oltre il 14% dell’or-tofrutta italiana. Nel 2012 Cso ha inglobato le attività di Mfc, Mediterranean Fruit Company, società creata per dare un respiro più internazionale alle aziende loca-li. L’integrazione tra Mfc e Cso ha permesso di potenziare l’attività esistente e di far sì che le aziende locali si presentino all’estero con più peso specifico e con un abbattimento dei costi.

La base sociale è costituita da imprese di produzione e da aziende operanti nell’ambito dell’intera filiera ortofrutticola dal packaging, alle macchine per la lavorazione dei prodotti, alle tecnologie, alla logistica. CSO si posiziona di fatto come struttura di riferimento dell’intero sistema dell’ortofrutta italiana, leader in Europa sia per entità di produzioni che per livello di tecnologie.

L’attività del CSO si articola in quattro fasi:

• Statistica e Osservatorio dei mercati - ha il compito di elaborare le informa-zioni e monitorare il mercato e le produzioni, per fornire agli operatori gli elementi di conoscenza utili per la messa a punto di strategie commerciali sui mercati nazionali ed esteri. L’obiettivo principale è fornire tempestivamente

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

ed in modo articolato una fotografia del mondo ortofrutticolo, dall’analisi pro-duttiva del settore, agli aspetti inerenti la commercializzazione, fino ad arriva-re alle problematiche relative al consumo;

• Marketing e Comunicazione - realizza attività di comunicazione e promozio-ne in Italia e all’estero a sostegno dei consumi di ortofrutta. Il CSO vanta un’e-sperienza pluriennale sulla valorizzazione dei prodotti ortofrutticoli di qualità come le Pere dell’Emilia Romagna Igp e le Pesche e Nettarine di Romagna Igp. L’attività di CSO nella sezione Marketing comprende anche l’organizzazione della partecipazione dei propri associati a Fiere nazionali e internazionali e la progettazione e gestione di grandi eventi di comunicazione. Nell’ambito della Comunicazione cura inoltre l’attività di ufficio stampa e public relation sia in Italia che all’estero;

• Internazionalizzazione e Filiera - l’obiettivo è quello di rafforzare l’immagine del “Sistema Italia” e favorire nuove opportunità di business nei nuovi mer-cati. CSO rappresenta oggi un sistema di imprese leader nel settore, attente e sensibili ai mercati di tutto il mondo. Il CSO può essere identificato come un punto di riferimento per venire in contatto con il sistema delle imprese italiane leader del settore, dalla produzione ai servizi, passando per tecnologia, logi-stica e packaging. L’attività consiste nell’organizzare le missioni e gli eventi all’estero, accompagnando le imprese nei primi approcci dei nuovi mercati;

• Progettazione e Legislazione - ha il compito di gestire e fornire conoscenze, intrattenendo relazioni esterne, al fine di monitorare l’evoluzione normativa europea per l’internazionalizzazione. Il focus dell’osservatorio è costituito dai provvedimenti, nazionali, europei ed internazionali, connessi all’igiene, alla sicurezza alimentare, alle norme di commercializzazione, alla qualità dei pro-dotti ortofrutticoli, nonché tutte le disposizioni nazionali ed europee in mate-ria di prodotti fitosanitari (autorizzazioni e revoche) e di fissazione dei livelli di residui massimi ammessi (RMA). A livello europeo, CSO è attivo per far sì che venga definito ed applicato il regolamento europeo relativo all’armoniz-zazione degli RMA, mentre a livello internazionale è fortemente impegnato per far rimuovere le barriere fitosanitarie (SPS) che impediscono l’export dei prodotti italiani su alcuni mercati di Paesi Terzi.

Il CSO attua un notevole numero di progetti per la promozione del consumo della frutta e della verdura, in Europa e nei paesi extra europei con attività di Marketing e comunicazione molto innovative, svolte anche grazie al sostegno di fondi dell’Unione Europea o Italiani, come illustrato di seguito.

Importante è la campagna di comunicazione promossa da CSO per favorire il con-sumo di ortofrutta fresca e di stagione e la conoscenza dei prodotti ortofrutticoli italiani di qualità. La campagna “Ortofrutta d’Italia” vede la partecipazione delle più importanti imprese del settore e prevede una serie di iniziative pubblicitarie sia sulla carta stampata nazionale che sulla televisione oltre che sui social network.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Va sottolineato che, per la prima volta, le organizzazioni dei produttori si uniscono sotto lo stesso slogan per comunicare i valori dell’ortofrutta organizzata italiana.

Di particolare rilevanza, il nuovo modello di partecipazione alle principali fiere del settore ortofrutticolo, FRUIT LOGISTICA 2014 a Berlino e ad ASIA FRUIT LOGISTICA 2013 di Hong Kong, fiera leader del settore e punto di riferimento per l’accesso ai mercati asiatici. A Berlino il CSO, in collaborazione con Fruitim-prese e con il supporto dell’ICE Agenzia hanno organizzato un unico stand col-lettivo, con il formato “Italy the beauty of Quality” al quale hanno partecipato diverse imprese del settore ortofrutticolo provenienti da varie regioni d’Italia.

All’interno dello spazio espositivo, di oltre 900 mq, sono previste degustazio-ni di piatti realizzati da famosi chef italiani, oltre che eventi e presentazioni. In particolare nello spazio “Fruits and Veg Experience” vengono proposte modalità innovative e accattivanti per incentivare il consumo della frutta e della verdura.

Sul mercato italiano, è stato condotto un progetto di marketing e valorizzazione della tipicità per le Pere dell’Emilia Romagna Igp. Sono state portate avanti azioni di promozione e comunicazione con l’obiettivo di aumentare la visibilità e notorietà di marchi aziendali per valorizzare le pere, come il caso Solarelli o Valfrutta fresco.

CSO è inoltre promotrice di un importante progetto di promozione dell’Unione Europea, attivo già da sette anni, il progetto FRUITNESS, che si rivolge a bam-bini e adolescenti in Germania, Danimarca, Polonia, Regno Unito e Svezia per incentivare il consumo della frutta con modalità innovative e ludiche. Viene data informazione sulla qualità nutrizionale e sugli effetti del consumo della frutta in paesi che hanno un consumo pro capite inferiore alla quantità consigliata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Mr.FRUITNESS è il supereroe dai poteri speciali che gli derivano dalle sostanze nutritive contenute nella frutta. Da sottolineare l’utilizzo di nuovi strumenti come i social network per promuovere i consumi di ortofrutta adattandosi al linguaggio dei più giovani, permettendo

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

di raggiungere 40 milioni di contatti nel primo triennio e 70 milioni di contatti nell’ultimo triennio.

Il progetto, promosso dal CSO, è cofinanziato dall’Unione Europea e dal Ministero delle Politiche Agricole e Agea, per un ammontare complessivo in tre anni di 5,3 milioni di euro.

Per quanto riguarda i progetti extra Europa, progetto di rilievo è quello dei Sa-pori di Europa (European Flavors), progetto che mira a promuovere - negli Stati Uniti, Russia, Giappone e Canada - i sapori e le caratteristiche di frutta e verdura prodotte sulla base delle migliori tradizioni europee, che, come suggerito anche dalla dieta mediterranea, sono tra i componenti di base di una dieta ricca e sana. È supportato da un finanziamento di 5 milioni di euro in tre anni e prevede un sostegno del 50% da parte della Unione Europea, 20% del Ministero Italiano e la restante parte dalle imprese.

Il progetto - che sarà prossimamente riproposto - è stato concepito con azioni apripista che permettono di introdurre le singole imprese parlando in generale di frutta europea (non si può trattare solo la frutta italiana) e permette azioni aggre-gate tra imprese che sul mercato sono concorrenti.

Ad esempio sono stati previsti incontri con importatori e giornalisti del settore (in-contri B2B) a New York nell’ambito delle iniziative della valorizzazione delle pere.

A proposito di Stati Uniti, si evidenzia l’accordo fra l’assessorato dell’Agricoltura della Regione Emilia Romagna e lo stato del Delaware con l’aspettativa di impor-tanti sviluppi nelle relazioni con il mercato statunitense. Avrà una durata in via sperimentale di un anno ed è il frutto di un riuscito gioco di squadra che ha visto coinvolti, oltre al Cso e Assomela, il Ministero delle politiche agricole, la Regione Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento e Bolzano.

Determinante è stato il ruolo svolto dal Servizio fitosanitario della Regione Emilia-Ro-magna che ha consentito di superare le restrizioni dovute alla rigida normativa fitosa-nitaria statunitense, offrendo tutte le garanzie richieste nelle diverse fasi produttive. Un ruolo questo già giocato con successo a favore di un altro prodotto di cui l’Emilia-Romagna è leader - il kiwi - per permetterne l’esportazione nella Corea del sud.

Il Servizio fitosanitario regionale, in stretta collaborazione con il Cso e gli ispettori statunitensi, hanno effettuato anche continui controlli sulla pera Abate presso i magazzini che hanno partecipato al programma.

Per concludere, va sottolineato anche l’importante ruolo svolto dal CSO nel pre-sidio della normativa del settore e in particolare nell’abbattimento delle barriere fitosanitarie dei paesi esteri.

Come accennato sopra, il CSO ha recentemente svolto con successo un intervento in Corea del Sud, nei confronti di un movimento cooperativo coreano che ha pra-tiche commerciali fortemente protezionistiche.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

La filiera distributiva coreana è fortemente concentrata e l’Italia ha impiegato anni per ottenere l’accesso dei soli kiwi con un lavoro congiunto al Ministero del-le politiche agricole e della nostra Ambasciata a Seul.

Il CSO ha contribuito a facilitare questa vicenda fornendo un supporto molto uti-le al Ministero, dal quale è stato incaricato di raccogliere e strutturare i dati sugli stabilimenti in Italia e di assistere gli agronomi coreani in missione in Italia.

6.1.7. GLI STRUMENTI ISTITUZIONALI FINANZIARI E ASSICURATIVI

Per un’azienda che esporta, è particolarmente importante trovare le soluzioni assicurative e finanziarie che permettano di ridurre i rischi di mancato pagamento dei crediti relativi alle esportazioni e accedere alle risorse finanziarie necessarie in maniera adeguata.

Recentemente è stato creato un apposito Polo della finanza per l’Internazionaliz-zazione formato da Cassa Depositi e Prestiti (CDP), SACE e SIMEST, che hanno siglato in data 3 luglio 2013 la convenzione Export Banca, proprio al fine di garan-tire a costi competitivi la disponibilità di risorse, servizi finanziari e assicurazione commerciale per le aziende che esportano e/o effettuano investimenti all’estero.

L’accordo ha l’obiettivo di rafforzare la competitività internazionale; l’operatività potrà contare su un plafond di complessivi 6 mld. di euro a fronte delle cifre stan-ziate nel 2012 all’estero per decine di miliardi di euro in Germania a favore dell’I-pex Bank o decine di miliardi di dollari stanziati in favore dell’omologa cinese e statunitense, solo per citare alcuni esempi significativi e certamente eloquenti.

Questo è il modello del nuovo polo per l’export, tratto da un documento della Cassa e Depositi e Prestiti:

La convenzione ha lo scopo organizzare le operazioni di finanziamento alle im-prese esportatrici italiane per il sostegno dell’export, con un supporto finanziario della CDP e dell’ABI, con la garanzia di SACE e con un intervento di stabilizza-zione del tasso di interesse predisposto da SIMEST, permettendo così di integrare le competenze e le risorse finanziarie dei tre attori.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Come evidenziato precedentemente, molte delle attività caratteristiche del “Siste-ma paese”, promozione, consulenza, finanziamento, formazione, sono attribuite a diversi attori e spesso svolte in sovrapposizione tra diversi enti. L’assicurazio-ne all’export e dell’assunzione di partecipazione al capitale di rischio, quest’ulti-ma peculiare all’esperienza italiana, hanno come unico attore, rispettivamente la SACE e la SIMEST.

Nelle pagine che seguono, analizzeremo i soggetti che formano il polo della finanza.

Sace

SACE S.p.A. deriva dalla trasformazione in società per azioni - con decorrenza dal l° gennaio 2004 del preesistente ente pubblico economico denominato Istituto per i Servizi Assicurativi del Commercio Estero (SACE). Il capitale è interamente posseduto dalla Cassa depositi e prestiti.

Il gruppo SACE è composto dalla capogruppo che opera nell’assicurazione dei rischi del credito all’esportazione, da SACE BT, attiva nei settori della copertura rischio di credito, delle cauzioni e della copertura dei rischi legati all’edilizia, da SACE Fct specializzata nel factoring e dalla società di servizi SACE SRV.

La struttura è costituita da 12 uffici in Italia e 8 uffici all’estero, impiega 700 dipen-denti e dispone di un patrimonio netto di oltre Euro 6.200 mln; opera con oltre 25 mila imprese in più di 180 Paesi.

Oggetto dell’attività di SACE consiste nella copertura del rischio di mancato pa-gamento nelle transazioni internazionali e dei rischi natura politica per gli inve-stimenti all’estero ed è svolta con la garanzia dello Stato; vi si aggiunge l’attività assicurativa e di garanzia dei cosiddetti rischi di mercato, esercitata senza garan-zie pubbliche.

Le due fasi principali di ampliamento dell’operatività della SACE consistono nell’estensione della tipologia di transazioni assicurabili: oltre le originarie espor-tazioni di prodotti italiani, la società è stata autorizzata ad assicurare anche le transazioni delle controllate e collegate estere di imprese italiane nella loro attivi-tà con l’estero (denominate “made by Italy”) e, con la legge finanziaria per il 2007, anche le operazioni di imprese estere “di rilievo strategico per l’economia italiana sotto i profili dell’internazionalizzazione, della sicurezza economica e dell’attiva-zione di processi produttivi e occupazionali in Italia” (il cosiddetto “made for Italy”).

L’obiettivo di quest’ultimo ampliamento è il sostegno a progetti che presentino ri-levanti ricadute per l’Italia in termini occupazionali, strategici o di sicurezza eco-nomica, anche quando tali iniziative siano realizzate senza il concorso di aziende italiane o di loro controllate estere. In generale, l’operatività è concentrata su reti e infrastrutture energetiche, infrastrutture di trasporto o fisiche (come i corridoi europei) e sui grandi progetti commerciali o di investimento. In questa categoria

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

di operazioni, condotte a condizioni di mercato ed individuate discrezionalmente dagli organi amministrativi della SACE, sono recentemente rientrate transazioni relative a materie prime energetiche e non. Le altre attività del gruppo compren-dono il factoring, la consulenza e la formazione.

Da un punto di vista gestionale, SACE si finanzia con il proprio patrimonio e non riceve contributi dallo Stato. Entro il 30 giugno di ciascun anno, però, il CIPE delibera, su proposta del MEF e di concerto con il MiSE, il Piano previsio-nale degli impegni assicurativi, con cui si fissano i limiti globali degli impegni assistiti dalla garanzia dello Stato, nonché la quota massima delle garanzie e co-perture assicurative per il “made by Italy”.

Nella relazione dei saggi nominati dalla Presidenza della Repubblica nel 2013 si è suggerito di superare i limiti che ha oggi SACE sulla disponibilità del capitale, concentrazione e tipologia dei rischi: “si deve favorire lo sviluppo di schemi di garanzie, in linea con il modello tedesco e francese, che hanno il vantaggio di fa-vorire un accesso diretto alle garanzie pubbliche statali sia per le operazioni stra-tegiche del paese, sia per il sistema di crediti all’esportazione, pur non avendo un impatto diretto sull’indebitamento pubblico”. La relazione propone inoltre che gli utili della SACE siano reinvestiti “ in progetti promozionali” come già fatto per la Simest e per sviluppare strumenti informativi di supporto alle PMI.

Le sollecitazioni che la Cabina di regia nazionale ha raccolto per quanto riguarda la SACE, in particolare rispetto alle necessità manifestate dalle imprese riguardano:

• miglioramento accessibilità e abbassamento del costo dei servizi per le PMI;

• potenziamento risorse disponibili attraverso interventi di policy sui rischi sovrani;

• sviluppo di meccanismi semplificati per agevolare la partecipazione alle gran-di gare internazionali di aziende italiane;

• sviluppo sinergie con Simest (per due diligence, info, ecc.);

• potenziamento presidio su alcune geografie chiave (Asean, Africa Subsaharia-na, Asia Centrale).

Simest

La Simest SpA è una finanziaria controllata dalla CDP (partecipazione del 76%), con partecipazione di minoranza di banche e imprese e dispone di un patrimonio netto di circa Euro 246 mln. Opera negli uffici di Roma e Milano attraverso 156 dipendenti.

Nel 2013 ha erogato oltre 400 finanziamenti per un totale di oltre 5 miliardi di euro, supportando le aziende per lo sviluppo dell’internazionalizzazione con vari strumenti: credito all’esportazione, inserimento sui mercati esteri, partecipa-zione e patrimonializzazione delle aziende che investono sull’export.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Simest partecipa al capitale di aziende italiane che costituiscono società fuori dal-la UE, con quote di minoranza. L’assunzione di partecipazioni si svolge senza contributi pubblici, tramite il capitale sociale della Simest. Svolge inoltre attività di consulenza allo sviluppo per le imprese italiane, specie le PMI, che vogliono realizzare un progetto di investimento all’estero.

In particolare SIMEST offre il credito all’esportazione, nella duplice forma del credito acquirente e del credito fornitore.

Grazie al supporto della SIMEST che si sostanzia in un contributo agli interessi su finanziamenti concessi da banche italiane o straniere, le imprese esportatrici italiane possono proporre agli acquirenti/committenti esteri, di pagare fino ad un massimo dell’85% del prezzo della fornitura mediante una dilazione di paga-mento a medio/lungo termine (comunque non inferiore a due anni) a condizioni e tassi di interesse in linea con gli accordi OCSE. Il restante 15% del prezzo della fornitura verrà corrisposto dall’acquirente in contanti.

Dal 2004 alla Simest è stata affidata la gestione di fondi rotativi di venture capi-tal mirati a specifiche aree geografiche (Europa orientale, Balcani, Mediterraneo, Africa, Medio Oriente, Estremo Oriente, America centrale e meridionale) poi uni-ficati in un fondo con la legge finanziaria per il 2007.

È stato istituito un Fondo di venture capital per imprese start up volte all’inter-nazionalizzazione, alimentato con le disponibilità attribuite al MiSE sulla base degli utili realizzati dalla Simest. Lo strumento consente il finanziamento in equi-ty transitorio e di minoranza (fino al 49 per cento del capitale) di società che rea-lizzino progetti d’internazionalizzazione attraverso la costituzione di un veicolo societario apposito, eventualmente abbinati anche all’innovazione di prodotto e di processo. Destinatari dell’agevolazione sono i raggruppamenti di PMI (costi-tuiti sotto forma di società di capitali), singole PMI e, prioritariamente, piccole imprese, anche artigiane ed imprenditoria femminile.

Simest è ente gestore dei Fondi rotativi ex lege 295/1973 (Fondo 295) ed ex lege 394/1981 (Fondo 394), alimentati da stanziamenti annuali del MEF. Tramite il pri-mo si offre un finanziamento agevolato dei crediti all’esportazione, di durata non inferiore ai 24 mesi mentre, tramite il Fondo 394, vengono concessi finanziamenti agevolati a medio e lungo termine.

Le sollecitazioni che la Cabina di regia nazionale ha raccolto per quanto riguardo la Simest, in particolare rispetto alle necessità manifestate dalle imprese riguardano:• potenziamento ruolo geografico: maggiore attenzione verso i next eleven e

Africa Sub-Sahariana;• velocizzazione delle tempistiche relative alle pratiche di investimento;• rilancio gestione fondi Venture Capital e riduzione costi relativi;• potenziamento della comunicazione per far conoscere i servizi Simest alle

aziende italiane (livello di conoscenza ancora molto basso).

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Infine Simest partecipa al sistema Export Bank insieme a CDP, Abi e Sace.

Cassa Depositi e Prestiti (CDP)

La CDP S.p.A. è la società risultante dalla trasformazione, avvenuta nel 2003, in società per azioni della Cassa depositi e prestiti - Amministrazione dello Stato. E’ controllata per l’80,1% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, mentre il 18,4% è posseduto da fondazioni bancarie.

La CDP è quindi esterna al perimetro della Pubblica amministrazione, come isti-tuti simili in Europa (KFW in Germania e la CDC francese), pertanto i debiti as-sunti dalla CDP non costituiscono debito pubblico.

CDP gestisce una parte consistente del risparmio nazionale, il risparmio postale e reimpiega risorse per il sostegno della crescita del paese e precisamente:

• finanziando gli investimenti della Pubblica Amministrazione;

• favorendo lo sviluppo delle infrastrutture;

• sostenendo l’economia e del sistema imprenditoriale nazionale.

Rientra in questa linea di attività anche il finanziamento di operazioni legate alla internazionalizzazione delle imprese italiane, attraverso il sistema “Export Banca” di cui si è detto sopra.

La legge prescrive la separazione organizzativa e contabile tra le attività di in-teresse economico generale e le altre attività per le quali CDP opera in concor-renza con il settore privato. In particolare fanno capo alla cosiddetta “Gestione Separata” le attività di finanziamento delle regioni, degli enti locali degli enti pubblici e degli organismi di diritto pubblico, la concessione di finanziamenti, destinati a operazioni di interesse pubblico promosse dai medesimi soggetti, le operazioni di interesse pubblico per sostenere l’internazionalizzazione delle imprese (quando le operazioni sono assistite da garanzia o assicurazione della SACE), le operazioni effettuate a favore delle PMI per finalità di sostegno dell’e-conomia e la fornitura di servizi di consulenza alle amministrazioni pubbliche. La Gestione Separata è finanziata tramite i Buoni fruttiferi e i Libretti postali, che beneficiano della garanzia dello Stato.

Un altro strumento per agevolare l’accesso al credito e offrire un sostegno stabile al sistema produttivo, è il PLAFOND PMI. Nel gennaio 2013 la CDP ha incrementato la dotazione del PLAFOND PMI INVESTIMENTI di ulteriori 2,5 miliardi di euro, ampliando la platea delle imprese beneficiarie. Nel nuovo Plafond PMI, la Cassa Depositi e Prestiti ha introdotto la provvista a “Ponderazione Zero” creando un link con i principali strumenti di garanzia pubblica (fino all’80% del finanziamento PMI assistito da garanzia pubblica) e con il sistema dei Confidi (pari all’importo del finanziamento PMI controgarantito da garanzia pubblica).

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Si riporta lo schema del Nuovo Plafond PMI, proveniente da documentazione della Cassa Depositi e Prestiti.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

6.2. GLI STRUMENTI IN GERMANIA

6.2.1. IL MERCATO ALIMENTARE TEDESCO: CARATTERISTICHE E OPPORTUNITÀ DI BUSINESS

Passiamo ora ad analizzare il sistema tedesco di supporto all’export, evidenzian-do le caratteristiche del paese e le sue eccellenze.

Gli oltre 80 milioni di consumatori rendono la Germania il più grande mercato retail nella commercializzazione dei prodotti alimentari e nella ristorazione in Europa.

La Germania, è altresì il più grande produttore europeo di prodotti alimentari e bevande, seguita dalla Francia, dall’Italia, dal Regno Unito e dalla Spagna, come evidenziato nel grafico che segue.

L’industria alimentare tedesca è il quarto settore industriale in Germania con un fatturato registrato nel 2011 di oltre 163,3 miliardi di euro e un valore aggiunto di oltre 11,5 miliardi di euro attraverso le circa 6 mila imprese, prevalentemente piccole e medie, che impiegano 550 mila lavoratori.

La produzione alimentare è costantemente in crescita così come costantemente in crescita è l’aumento dei beni alimentari e bevande esportati e la relativa incidenza sul PIL.

• I dati riferiti in questa sezione sono stati forniti dai diversi interlocutori incontrati nel corso delle interviste effettuate in Germania - settembre 2013 - e si riferiscono prevalentemente agli anni 2011 e 2012.

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

I più importanti settori sono quelli della carne e prodotti derivati per oltre il 23%, seguito dai latticini (16%) e dai dolciumi e dal pane e prodotti da forno.

Fra le principali imprese sono annoverati brand come Nestlè, dr.Oekter,Vion Food Group, Tschibo, Coca-Cola and Kraft Foods.

Il totale delle esportazioni agroalimentari tedesche ha superato i 64 miliardi di euro nel 2012 con una crescita del 6,4%.

I principali paesi di destinazione sono quelli europei e registrano un trend in cre-scita negli anni 2010-2012, salvo l’Italia che nel 2012 ha registrato un -1.5% preva-lentemente legato al contesto socio-economico del nostro paese. In forte crescita l’export verso gli altri paesi + 9,8%.

Il mercato tedesco conosce e apprezza i prodotti italiani anche grazie alla forte presenza della ristorazione italiana e alla particolare attenzione alla tracciabilità dei prodotti ed al biologico ove l’Italia registra un ruolo primario.

Infatti l’Italia si colloca al 3° posto fra i paesi fornitori, dopo i Paesi Bassi e la Fran-cia, con una quota di oltre l’8% pari a 6 miliardi di euro (un quinto dell’export italiano) e in continua crescita.

I prodotti più richiesti, oltre l’ortofrutta, sono la pasta, l’olio e il vino.

Gli attuali trend dei consumi in Germania sono:

• BIOLOGICO: la Germania è il 1° consumatore europeo mentre, per contro, l’Italia è il primo produttore ed esportatore in Europa; nel 2012 il mercato tedesco di biologico è stato quotato oltre 7 miliardi di euro (10% del mercato

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

mondiale) e tale richiesta va soddisfatta con prodotti importati (dal 2008 l’im-port in Germania si è duplicato) e i principali prodotti sono di origine vegetale (vino, pasta, conserve, olio, verdura e agrumi);

• CONVENIENCE: è un trend riferito a nuclei familiari piccoli o single e riguar-da le insalate/macedonie tagliate e lavate e piatti veloci e pronti;

• REGIONALE: in relazione all’ultimo scandalo della carne di cavallo, è emersa l’esigenza di garantire la rintracciabilità dei prodotti, in particolare della carne fresca, delle uova e dell’ortofrutta;

• PRODOTTI DI ALTISSIMA QUALITA’ E DI NICCHIA: prodotti certificati Dop e Igp, olio di oliva monovarietà, pasta trafilata a bronzo, ecc.

Si riportano di seguito alcune indicazioni sulle importazioni tedesche dei prin-cipali prodotti tradizionali:

VINOIl totale del valore importato ammonta a oltre 1,8 miliardi di cui oltre un terzo dall’Italia - costantemente in crescita - seguita dalla Francia (30%). Il prodotto è commercializzato in larga misura presso la GDO (85%).

SALUMIIl settore dei salumi sviluppa oltre un terzo del suo fatturato attraverso i discount e, includendo anche la catena Aldi, supera il 50%. La restante parte riferita alla distribuzione tra negozi specializzati riguarda per il 18% la GDO tradizionale, per il 17% le macellerie e per il 12% gli altri settori minori.

FRUTTA FRESCA E ORTAGGIIn Germania il consumo di frutta e verdura è abbastanza limitato: mediamente il consumatore tedesco consuma 92,7 kg/capite di ortaggi all’anno e 102,2 kg/capite di frutta, peraltro in costante diminuzione.

Le principali categorie di frutta consumate in Germania sono le mele, banane, uva da tavola, arance, clementine, pesche, pere mentre gli ortaggi più consumati sono: pomodori, carote, cipolle, cetrioli, cavoli bianchi e rossi, lattughe, verze, rapa.

Il primo paese fornitore di ortofrutta è l’Italia con il 28%, grazie alla prevalenza dell’export nella frutta, seguito dalla Spagna con il 24% e dall’Olanda con il 7%.

Per quanto riguarda la frutta fresca, nello specifico, il principale prodotto espor-tato dall’Italia in Germania è rappresentato dalle mele, a cui fanno seguito le uve fresche, le pesche, le pere e le cotogne, le ciliegie e le fragole. Tra gli agrumi, al primo posto troviamo le arance (oltre il 50%).

Nel comparto degli ortaggi, il principale prodotto esportato dall’Italia in Germania è costi-tuito dalle lattughe. Seguono pomodori, cavoli e cavolfiori, carote, finocchi e zucchine.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Per i soli ortaggi invece l’Olanda rappresenta oltre il 38% del fatturato importato, seguita dalla Spagna con il 29% e in terza posizione l’Italia con il 10%.

FORMAGGINel 2011 il consumo di formaggi in Germania ha raggiunto un volume di 2.078,1 mila tonnellate, con un consumo pro capite è di 22.2 kg. L’abitudine alimentare è di un consumo abbinato con il pane, spesso per colazione o a cena, mentre hanno poco successo i piatti di formaggio serviti dopo il pasto. Il trend di mercato del segmento dei formaggi self-service è sempre in aumento.

I formaggi italiani conosciuti dai consumatori tedeschi sono il Parmigiano Reg-giano, il Grana Padano, il Gorgonzola, il Pecorino e la Mozzarella; tra i formaggi preferiti dai tedeschi ricordiamo il Gouda tedesco, Camembert, Edamer e Til-siter. I principali prodotti caseari italiani importati sono stati i formaggi grat-tugiati (16,2%), formaggi freschi (8,8%) e formaggi a pasta erborinata (6,2%). (Fonte: ICE, 2013).

L’Italia è il 3° fornitore per valore e 6° per volume, nel 2012 i prodotti importati dall’Italia hanno raggiunto un valore di 291,2 milioni di Euro con un volume di 37,6 migliaia di tonnellate.

Il paese è contraddistinto da un sistema distributivo molto strutturato ed efficien-te, in cui i cinque principali operatori della GDO (Edeka, Rewe group - fra cui il marchio Penny -, Schwarz Group - fra cui il marchio Lidl -, Aldi Group e Metro Group) coprono oltre l’80% del mercato, svolgendo una funzione di forte stimolo sui produttori tedeschi, che li avvantaggia nell’approccio sul mercato estero. Le catene della GDO hanno una forte presenza sui mercati dell’est e ciò permette lo sviluppo nelle vendite dei prodotti tedeschi.

Posizioni di rilievo sono ricoperte dalla presenza di discount e dal canale cosid-detto “etico” che fornisce prevalentemente la ristorazione.

Si tratta quindi di un mercato maturo e complesso, che richiede grandi investi-menti promozionali ed una chiara strategia di marketing.

Per un’azienda italiana che voglia muoversi sul mercato tedesco è necessario quindi:

• studiare il mercato, la struttura e le esigenze anche attraverso visite a fiere, perché per affrontare il mercato in maniera adeguata è necessario avere sintonia culturale;

• verificare la rispondenza della propria offerta rispetto alle esigenze del mercato;

• analizzare i propri punti di forza rispetto ai competitors presenti sul mercato;

• individuare il canale commerciale adeguato ed impostare una strategia coerente;

• sviluppare attività di promozione del prodotto assieme al proprio distributo-re- partner commerciale.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

6.2.2. IL SISTEMA TEDESCO DI PROMOZIONE ALL’ESTERO

Va premessa innanzitutto la rilevanza che le esportazioni hanno per il tutto il si-stema economico tedesco. Nel 2012 infatti le esportazioni costituivano il 43% del PIL della Germania contro il 30% italiano.

Per ottenere queste eccellenti performance il modello tedesco si avvale di un siste-ma di promozione all’estero particolarmente efficace ed efficiente affidato a due principali organizzazioni:

• Camere di Commercio Tedesche all’Estero (AHK);

• Germany Trade and Invest (GTAI).

Le Camere di Commercio all’estero rappresentano la struttura operativa di sup-porto alle imprese ed alle istituzioni tedesche ed interagiscono con GTAI, di cui si riferirà in seguito, formando un sistema di promozione unico.

Le Camere rappresentano il partner più importante all’estero per le attività di internazionalizzazione svolte dal Ministero dell’Economia e rappresentano uffi-cialmente, accanto ad Ambasciate e Consolati, gli interessi dell’economia tede-sca nei confronti delle amministrazioni e della politica nei rispettivi Paesi esteri.

Dal punto di vista puramente organizzativo il sistema delle AHK comprende tre forme a seconda del Paese in cui opera:

• Camera bi-laterale;

• Delegazione economica;

• Rappresentanza economica.

Si tratta di formule organizzative adottate in relazione al grado di interscambio tra la Germania ed il Paese specifico. Sono previste delle strutture piú “leggere”, ma con un maggiore o quasi esclusivo finanziamento da Berlino, laddove non ci siano ancora le condizioni in grado di garantire ad una Camera bilaterale un buon grado di copertura dei costi attraverso le entrate per servizi e quote associative.

L’organizzazione delle Camere all’estero si compone di 120 Camere in 80 Paesi (esistono quindi anche Paesi pluricamera) e 1.500 dipendenti in tutto il mondo. Le Camere fungono da cappello per tutte le attivitá di promozione economica della Germania nei rispettivi Paesi, coordinando ad esempio tutte le missioni economi-che ma fungendo anche da punto di riferimento per i singoli Länder, qualora in-tendano aprire le proprie rappresentanze all’estero, che vengono collocate presso le Camere.

Le Camere svolgono tre funzioni:

1. Rappresentanza ufficiale degli interessi dell’economia tedesca all’estero;

2. Organismi associativi per le imprese;

3. Provider di servizi di assistenza alle imprese.

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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Non esiste una legge specifica che regoli ed ordini le Camere di Commercio all’E-stero. Esse costituiscono un sistema integrato ma allo stesso tempo indipendente rispetto al sistema camerale tedesco, tuttavia a livello centrale riportano al DIHK che é l’Unioncamere tedesca. Il DIHK coordina ed assiste tutte le Camere tede-sche all’estero e funge da elemento di connessione tra la rete estera e tutti gli or-ganismi associativi delle imprese in Germania.

In virtù dell’attribuzione delle competenze di cui al punto 1) le Camere all’estero ricevono un contributo ministeriale che viene stanziato in un apposito capitolo del bilancio statale tedesco ogni anno. Sullo stesso capitolo di spesa afferiscono gli stanziamenti sia per le Camere che per il GTAI.

Entro il mese di Ottobre di ogni anno le Camere presentano il loro budget per l’anno successivo al Ministero dell’Economia ed entro il mese di dicembre vie-ne definita la somma stanziata. Al massimo entro il mese di gennaio le Camere all’estero ricevono la comunicazione dell’esatto importo che loro spetta per l’anno corrente. Nel corso dell’anno sono ammessi degli aggiustamenti del budget e la possibilità di richiedere (con adeguata motivazione) delle piccole integrazioni.

Per lo svolgimento di tale funzione le Camere ricevono ogni anno un contributo che corrisponde approssimativamente al 23% del loro budget. Per l’anno 2011 lo stanziamento dello Stato tedesco per il supporto all’internazionalizzazione, come desunto dal bilancio dello Stato, é stato di € 55 Milioni di cui circa 36 Milioni per le Camere all’estero (il rimanente per il GTAI). Per l’anno 2012 l’importo stanziato per le Camere tedesche all’estero é stato pari a circa 40 Milioni di euro.

Con riferimento alla funzione di cui al punto 3) é stato definito uno schema ope-rativo valido per tutte le Camere estere: con il marchio DE INTERNATIONAL (di proprietà di Unioncamere tedesca) si identificano tutte le società di servizi che fanno capo alle Camere all’estero. In sostanza quindi le Camere all’estero (che sono di natura associativa di diritto del Paese ospite) hanno al loro interno una so-cietà denominata DE INTERNATIONAL (nel caso della Camera Italo-Germanica a Milano la società è la DE INTERNATIONAL srl) che svolge tutti i servizi e si finanzia al 100% attraverso queste entrate.

Il funzionamento prevede che:

• proprietario del 100% delle quote è la Camera di Commercio;

• amministratore è il Direttore della Camera, affiancato eventualmente da altri due amministratori che sono dirigenti della struttura camerale e alla società fan-no capo la maggior parte dei dipendenti della struttura e tutte le entrate vengo-no fatturate dalla società;

• tutte le attività commerciali/di servizi vengono svolte dalla società che usufrui-sce dei locali e dell’infrastruttura della Camera;

• le tipologie e gli standard dei servizi sono definiti in maniera omogenea in tutte

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

le Camere all’estero e sono quindi oggetto di uno stretto coordinamento, scam-bio di esperienze attraverso un portale Intranet e meeting tra i responsabili di struttura delle diverse AHK.

Il budget che le Camere inviano a Berlino risulta dal consolidamento dei bilancio della Camera e della rispettiva società di servizi (quindi comprende tutti i costi e tutte le entrate).

Organi delle Camere sono i rispettivi Consigli che eleggono in loco un Presi-dente, mentre il Direttore viene in genere nominato all’interno dei funzionari di carriera che sono pagati da Berlino. Questa regola non é tuttavia ferrea, ovvero esiste anche la possibilità che il Consiglio camerale proponga una candidatura “esterna” che deve venire avallata da Berlino. In ogni caso il costo del Direttore viene coperto dal Ministero dell’Economia in quanto svolge le funzioni di “dele-gato dell’economia tedesca”.

Le Camere inoltre possono venire incaricate dal Ministero dell’Economia di svol-gere alcuni specifici progetti finanziati su base pluriennale con fondi specifici.

In particolare, al momento esistono due grandi iniziative pluriennali:

• Iniziativa sul tema energie rinnovabili ed efficienza energetica;

• Progetti di supporto per l’Agroalimentare tedesco.

In entrambi i casi si tratta di un framework in cui afferiscono progetti ed attivitá svolte dalle Camere all’Estero ed i cui costi (compresi quindi quelli di struttura delle Camere) vengono coperti dal Ministero. Il coordinamento afferisce all’orga-nismo che fa da riferimento per le Camere Estere presso l’Unioncamere tedesco.

Le Camere all’estero rappresentano altresì l’interlocutore per tutte le Camere di Commercio ed Industria in Germania (IHK) e ricevono da queste, in via quasi esclusiva, tutti gli incarichi per svolgere attività di supporto all’internazionaliz-zazione ed a loro vengono canalizzate tutte le richieste di servizi delle imprese tedesche.

Infine per quanto riguarda Germany Trade and Invest (GTAI), le funzioni sono molto ben definite, e consistono nello svolgimento di studi di mercato e nel forni-re assistenza per l’attrazione di investimenti in Germania.

Il rapporto con DIHK/AHK(il sistema camerale tedesco) é definito sulla base di un apposito accordo.

All’estero il GTAI ha una struttura estremamente snella: si avvale di alcuni fun-zionari (complessivamente 50 persone in tutto il mondo) che lavorano presso la Camera e ne utilizzano i locali messi a disposizione con un eventuale collabora-tore (a Milano opera una persona con un’assistente). Anche per l’organizzazione e lo svolgimento di attività in loco il GTAI si avvale dell’organizzazione della Camera affidandole gli incarichi.

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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

6.2.3. IL SISTEMA TEDESCO DI SUPPORTO ALL’EXPORT AGROALIMENTARE

Per il sostegno all’esportazione agroalimentare, la Germania si avvale della GEFA - German Export Food Association, un’associazione di tipo privatistico, supportata dalle PMI tedesche, che opera con delega del Ministero dell’Agricol-tura della Repubblica Federale Tedesca e che abbiamo incontrato nella loro sede di Berlino.

GEFA rappresenta il settore tedesco alimentare ed agro-industriale ed è un part-ner chiave per il mercato dell’esportazione.

Lavora a stretto contatto con le organizzazioni industriali e commerciali e con il Governo tedesco e può contare su una fitta rete di rapporti internazionali, con l’obiettivo di mettere in contatto acquirenti internazionali con società tedesche del settore alimentare ed agro-industriale, al fine di facilitare la crescita dei mer-cati dell’export esistenti ed emergenti.

Fino al 2009, la promozione dei prodotti alimentari era attuata da un soggetto statale denominato CMA. Tale ente beneficiava, attraverso un supporto legislati-vo, di risorse derivanti dalle trattenute ai produttori (per es. una trattenuta fissa per capo di bestiame, per quantità di prodotti ecc.); tali somme negli ultimi anni ammontavano a circa 120 milioni di euro e venivano destinate per 3/4 a sostegno di iniziative sul territorio tedesco e per la restante parte per iniziative di sviluppo all’export. Nel 2009 una sentenza della Corte Costituzionale tedesca ha decretato l’abolizione di questo ente che è stato messo in liquidazione. Ritenendo necessa-rio dotarsi di un organismo di tipo privatistico, seppur con un cofinanziamento pubblico, che risponde meglio alle esigenze di efficienza e risparmio di risorse, è stata quindi costituita la GEFA, organismo di tipo associativo di cui fanno parte tutte le associazioni di settore della filiera dell’alimentare che lo supportano fi-nanziariamente.

Lo stato tedesco mette a disposizione annualmente un budget per la promozione verso l’estero (nel primo anno è stato di €6,5 milioni e si è progressivamente ri-dotto) al quale si aggiungono le quote che le imprese sostengono in proporzione al fatturato.

Nella tabella che segue sono indicati i dati più significativi dell’export tedesco 2011: i due principali settori della carne e dei latticini, sono seguiti dai settori dei dolciumi e delle apparecchiature meccaniche agricole.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Quasi tutti i settori registrano margini di crescita a due cifre con punte di eccellen-za nell’export di macchine agricole e di bestiame.

La Germania è al 3°posto nella commercializzazione dei prodotti della filiera agroalimentare, dopo gli Stati Uniti e l’Olanda - quest’ultima grazie anche alle movimentazioni attraverso i suoi porti commerciali. La percentuale dei prodotti esportati sul Pil registra un costante trend in aumento (nel 2006 era del 23.2% oggi supera il 30%) con circa un 80% verso i paesi europei - in particolare Polonia - e consistenti sviluppi nei paesi terzi, in particolare quelli asiatici con percentuali di crescita a due cifre (per es. Cina in pochi anni più che decuplicato).

In generale i fattori che hanno consentito di incrementare l’export dei prodotti tedeschi si basano sull’elevata considerazione del Made in Germany, rappresen-tato da marchi riconosciuti nel mondo, con elevati standard qualitativi e di buon funzionamento e da operatori affidabili e seri anche nel settore agroalimentare.

Va evidenziato che il settore tedesco dell’agro-industriale tedesco gode di un’ec-cellente fama in tutto il mondo e che l’eccellenza raggiunta nell’industria delle macchine agricole ha fatto da apripista nei mercati internazionali ai settori delle sementi e dell’allevamento del bestiame.

Ottimi risultati anche per l’export delle piante coltivate, dei prodotti alimentari e delle bevande.

In relazione all’industria del food and beverage, si sostengono spese per Ricerca e Sviluppo R&D con il supporto del Governo federale e degli enti regionali per circa 500 milioni di euro.

Source: Federal Statistic Office / AMI - Report Gefa 2011/2012

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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Sebbene l’export di prodotti agroalimentari tedeschi abbia raggiunto standard di elevati livelli, il paese è un netto importatore di food and beverage e il più impor-tante mercato europeo di prodotti stranieri.

Importante sottolineare che, oltre all’eccellente qualità dei prodotti, la Germania può vantare una valida organizzazione nazionale per il supporto dell’export, che ha permesso alle imprese tedesche di sviluppare una profonda esperienza ade-guandosi alle evoluzioni dei mercati esteri. Infatti le imprese del settore sono di medie dimensioni e si sono organizzate per affrontare i mercati esteri in quanto non sarebbero in grado di gestirli in autonomia.

In particolare, per facilitare l’internazionalizzazione delle imprese agroalimenta-ri, le caratteristiche del servizio fornito da GEFA sono le seguenti:

• accesso diretto a quasi 1.200 società tedesche di alimentari ed agro-industriali;

• punto centrale di contatto per importatori, grossisti, dettaglianti, negozi di specialità & cibi gourmet, Horeca ed altri;

• attività di marketing e promozionali per aiutare a sviluppare i mercati dell’export;

• fiere ed esposizioni commerciali internazionali, padiglioni tedeschi;

• informazioni di background su società e prodotti;

• consulenza e supporto in generale;

• contatti con studi legali per la difesa degli interessi delle imprese tedesche.

GEFA mette a disposizione delle imprese un pacchetto di servizi che comprende:

• info mercati;

• supporto logistici durante le fiere per hotel e servizi connessi - traduzioni ecc.;

• ricerca partner commerciali.

In particolare GEFA permette di far ottenere alle imprese tedesche i se-guenti vantaggi:

1. possono offrire una vasta gamma di prodotti - per es. la German Food at-traverso le 65 aziende che rappresenta (oltre 200 marchi e 1260 prodotti) fa da traino anche per gli altri settori;

2. organizzano missioni con rappresentanti esteri ed iniziative con tutti gli ambasciatori accreditati a Berlino, fornendo una visione completa dell’as-sortimento dell’offerta tedesca;

3. sono in grado di fornire alle imprese dei servizi a condizioni migliori ri-spetto al mercato - vedi analisi di mercato, condizioni sul credito - ed in tal modo fidelizzano il rapporto.

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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Molto importante anche il ruolo svolto per il coordinamento dell’attività fieristi-ca, che costituisce un elemento fondamentale per l’internazionalizzazione. Ogni anno il Ministero dell’Agricoltura Federale definisce attraverso GEFA, in stretto raccordo con le Associazioni che rappresentano il 90% delle imprese esportatrici, un programma di partecipazione a fiere all’estero che nel 2014 prevede la presen-za a 14 fiere. Di regola esistono fiere con stand di GEFA di metratura dai 300 ai 1.000 mq, ai quali partecipano le imprese, che suddividono i costi in proporzione alla presenza negli stand. Vengono organizzati anche specifici stand a tema, pur-chè vi sia la partecipazione di almeno 5/6 imprese.

Le principali manifestazioni alle quali è prevista una partecipazione, sono:

• USA S. Francisco, New York;

• RUSSIA Mosca, Novosibirsk e Kiew in Ucraina e Astana in Kazakistan;

• EUROPA Bordeaux, Amsterdam e Colonia;

• ASIA Tokio, Shangai, Dubai, Hong Kong, Seoul, Bangalore in India e Istanbul;

• AFRICA Marocco e AMERICA SUD Brasile.

A tal fine si fa rilevare anche il coordinamento dell’Associazione fieristica nazio-nale (Ausstellungs und Messe Ausschuss, AUMA) che, pur ricevendo risorse dal Ministero dell’Economia, rimane un soggetto privato e collabora con le Associa-zioni di categoria.

Anche le imprese tedesche riscontrano problematiche nell’accesso ad alcuni mer-cati esteri. Solitamente le soluzioni vengono trovate da parte degli organi della Comunità Europea in base a convenzioni fra i paesi, in particolare per quanto riguarda le convenzioni sanitarie.

Le principali problematiche riguardano i seguenti paesi:

• Russia - difficoltà nell’esportazione di animali, carne e prodotti caseari, limita-zione a partire dal 1 marzo 2013 che coinvolge tutta l’unione doganale (com-presa Ucraina e i paesi minori);

• Stati Uniti - categorie di prodotti con forti restrizioni;

• Cina - barriere all’entrata non corrette per quanto riguarda gli insaccati ed il pollame con richiesta di documentazione difficile da produrre. Sentito anche il problema del cosiddetto German Sounding a livello di singole imprese, in particolare con riferimento alle imprese Cinesi che imitano qualsiasi prodotto.

L’Associazione GEFA è sostenuta dai seguenti soci promotori:

• BGA - Bundesverband Großhandel, Außenhandel, Dienstleistungen e.V. - la Federazione del Commercio all’Ingrosso, del Commercio Estero e dei Servizi della Repubblica Federale di Germania.

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GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

• BVE - Bundesvereinigung der Deutschen Ernährungsindustrie e.V. - la Fede-razione delle Industrie Tedesche degli Alimentari e delle Bevande (BVE).

• Ministerium für Landwirtschaft, Umwelt und ländliche Räume des Landes Schleswig-Holstein - Il Ministero dell’Agricoltura, dell’Ambiente e delle Aree Rurali (MLUR) è responsabile, tra l’altro, di portare avanti gli interessi dell’in-dustria agricola ed alimentare dello Schleswig-Holstein.

• Ost-Ausschuss der deutschen Wirtschaft - È un’organizzazione tedesca che si occupa di intrattenere relazioni economiche con i paesi dell’Est e la Russia nell’interesse delle imprese e di Enti tedeschi.

• Bayerisches Staatsministerium für Ernährung, Landwirtschaft und Forsten - Il Ministero si occupa della valorizzazione dei prodotti alimentari della Baviera e delle imprese produttrici.

I soci ordinari sono oltre 1200 imprese tedesche attraverso le proprie associazioni o le relative società per l’export, che supportano volontariamente le attività della GEFA fra cui:

Per i prodotti alimentari

• German Meat GMBH per carni e salumi;

• Export-Union fur Milchproducte e.V. per il latte e prodotti derivati;

• German Sweets e.V. per i prodotti dolciari;

• German Brewers e Bayerischer Brauertund e.V. per le birre;

• Bundesvereinigung der Erzeugerorganisationen Obst und Gemüse e.V. (BVEO) per i prodotti ortofrutticoli;

• Food Made in Germany per gli altri prodotti.

Per i prodotti utili in agricoltura

• VDMA (Verband Deutscher Maschinen- und Anlagenbau e.V.) per le macchine agricole;

• Bundesverband Deutscher Pflanzenzuchter e.V. (BDP) per i coltivatori di piante;

• German Livestock per i produttori di bestiame.

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Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari: approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri

Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

6.2.4. IL SUPPORTO FINANZIARIO E ASSICURATIVO ALL’EXPORT TEDESCO

In Germania i progetti di investimento per l’export possono ricevere una specifica assistenza finanziaria attraverso diversi strumenti derivanti sia da risorse private che da incentivi pubblici e sono ottenibili da tutti i tipi di impresa - con specificità in relazione al territorio di provenienza - come illustrato nel seguente modello.

Al di là del sistema bancario privato, gli istituti di riferimento o i principali pro-dotti sono:

• KFW Development Bank e Regional Development Bank che possono offrire prestiti con tassi di interesse agevolati in combinazione con sistemi di rim-borso al termine del periodo dello start up, in particolare per piccole e medie imprese. In merito si precisa che in Germania gli incentivi sono di norma am-ministrati dalle regioni federali. In particolare il Joint Task Program (Gemein-schaftsaufgabe, GRW) è un programma istituito dal Ministero dell’Economia e della Tecnologia che regola la distribuzione di sostegni a fondo perduto at-traverso la Germania. La determinazione del sostegno varia da regione a re-gione, in relazione ai programmi di sviluppo con sostegni dal 20 al 50%.

• BVK German private Equity and Venture capital Association per start up tecnologicamente innovative.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

• L’Investment Allowance (Investitionszulage, IZ) è uno speciale program-ma di incentivazione per promuovere investimenti in attività nella Germania dell’Est.

Per lo specifico settore agroalimentare, il supporto fornito da GEFA, di cui si è precedentemente riferito, non si estende alle trattative fra le imprese e il sistema bancario o le istituzioni, ma fornisce informazioni o organizza speciali eventi o conferenze sui temi finanziari.

Il gruppo KFW e KWF - IPEX BANK - Progetti internazionali e finanza per l’esportazione

Un fondamentale strumento per promuovere la competitività e l’internazionaliz-zazione degli esportatori tedeschi, è la banca KWF - IPEX BANK, controllata al 100% dalla KFW (Kreditanstalt für Wiederaufbau - Istituto di credito per la Rico-struzione), nata nel 1948 per gestire i fondi del Piano Marshall.

Va premesso che KFW è uno dei più grandi gruppi bancari, interamente control-lato dallo Stato: per l’80% dal governo federale mentre il restante 20% è detenuto dai Länder cioè le regioni in cui è divisa la Germania. Tale istituzione beneficia della garanzia statale di ultima istanza per gran parte delle sue attività; non paga imposte né distribuisce dividendi ai suoi azionisti. I fondi necessari sono pre-valentemente raccolti attraverso emissioni di titoli a medio-lungo termine (nel quinquennio 2008-2012 €70-80 miliardi di emissioni ogni anno) che ricevono fa-vorevole accoglienza sia per la copertura statale sia per il massimo di rating a lungo termine (AAA) ricevuto dalle tre agenzie internazionali. Le attività totali ammontano ad oltre 500 miliardi di euro.

Le principali aree d’intervento dell’attività del GRUPPO KWF sono le seguenti:

• Esportazione: quasi la metà della produzione economica della Germania e un posto di lavoro su quattro in Germania dipendono dalle esportazioni. Quindi è di particolare importanza garantire agli esportatori le giuste soluzio-ni di finanziamento.

• Infrastrutture: l’ampliamento delle infrastrutture e trasporti è indispensabile per garantire lo scambio globale delle merci e l’integrazione del mercato euro-peo. Vengono finanziate strade, ferrovie, aeroporti e porti marittimi.

• Protezione del clima e dell’ambiente: KFW finanzia l’energia innovativa e progetti di tutela ambientale, nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi na-zionali, europei e mondiali di protezione dell’ambiente e del clima.

• Approvvigionamento di materie prime: viene finanziato l’approvvigiona-mento di materie prime, per garantire le performance dell’economia tedesca, poiché la Germania è un paese altamente industrializzato con limitata presen-za di materie prime.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Per le attività di International Finance, KFW Group opera attraverso le seguenti principali strutture:

• KFW IPEX-Bank - fornisce alle aziende soluzioni di finanziamento su misura per l’esportazione e il commercio internazionale, mettendo a disposizione la propria esperienza e competenza specifica per specifici paesi e settori;

• DEG - offre consulenza alle aziende o agli enti statali che investono in paesi via di sviluppo, in alcuni casi partecipando direttamente all’investimento con l’acquisizione di quote minoritarie;

• KFW Development Bank - finanzia progetti e programmi di cooperazione allo sviluppo in tutto il mondo, per conto del governo federale tedesco.

Finanziamento dell’export tramite KFW IPEX - Bank

La mission della banca KFW -IPEX BANK è di sostenere l’internazionalizzazio-ne e la competitività delle aziende tedesche ed europee, fornendo finanziamenti per l’economia tedesca ed europea con diversi strumenti finanziari quali l’Export finance, il Project finance, la finanza strutturata, il Trade finance e la Finanza di investimenti.

La banca ha la sede principale a Francoforte e una sede estera a Londra oltre che a numerosi uffici di rappresentanza a Abu Dhabi, Bangkok, Istanbul, Johanne-sburg, Mosca, Mumbai, New York, Singapore, San Paolo. È stata costituita nel 2002 e dal 2008 ha una entità giuridica autonoma.

Il volume dei prestiti concessi è di circa 61 miliardi di euro e impiega oltre 500 dipendenti.

Da sottolineare che l’esperienza e la competenza di KFW IPEX-Bank nei vari settori e paesi, permettono una ottimale valutazione dei rischi di un progetto di esportazione che necessita l’analisi di fattori quali, fra l’altro, lo sviluppo del mer-cato di un settore e le condizioni competitive e tecnologiche.

Il ruolo di KFW IPEX - Bank Export nel sostegno finanziario dell’esportazione si sviluppa anche attraverso i seguenti strumenti di cui si riferisce successivamente:

• Programma di Finanziamento ERP Export;

• Finanziamento a piccole e medie imprese - progetto Northstar Europe;

• KFW-Unternehmerkredit (Prestito imprenditore) - Debt Capital;

• ERP Loan Start-up - Universal.

Programma di Finanziamento ERP Export

Il programma di finanziamento delle esportazioni ERP, condotto da KFW IPEX

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

-Bank per conto del governo federale e KFW, fornisce prestiti per finanziare le esportazioni tedesche verso i paesi in via di sviluppo, consentendo agli esporta-tori tedeschi di attingere a nuovi mercati.

I fondi per i prestiti del programma sono previsti dal Fondo speciale ERP, fondo che risale al Piano Marshall, ufficialmente conosciuto come il “Programma euro-peo di ripresa” dopo la fine della seconda guerra mondiale. È gestito da KFW a nome della Repubblica Federale ed è ancora in uso oggi per sostenere l’economia tedesca.

Nell’ambito del programma, KFW IPEX-Bank e AKA Ausfuhrkredit-Gesellschaft concedono prestiti ad acquirenti stranieri di esportazioni tedesche. Questi fondi, noti anche come “prestiti TICR” (TICR: interesse commerciale di riferimento), devono soddisfare determinati criteri del programma. Ad esempio, le operazioni di esportazione devono essere coperte da una garanzia di credito all’esportazione della Repubblica federale (Euler Hermes).

L’AKA è uno speciale istituto di credito per il finanziamento a medio e lungo ter-mine di esportazione con un totale attivo di 3,8 miliardi di euro. Lavora a stretto contatto con le banche partner, sia nazionali che regionali, per lo più con sede in Germania, e insieme operano a livello mondiale nel finanziamento delle imprese. La sede della Banca AKA si trova nel centro di Francoforte sul Meno.

Finanziamento a piccole e medie imprese - progetto Northstar Europe

La KFW IPEX -Bank Export fornisce una gamma di soluzioni di finanziamento specifiche altresì per le piccole e medie imprese tedesche che sono interessate a portare a termine piccoli progetti di esportazione e che difficilmente trovano of-ferte di finanziamento sostenibili. Si sottolinea che molte imprese tedesche hanno medie dimensioni ed effettuano transazioni di limitati volumi che costituiscono comunque un importante campo di attività.

In particolare KFW fornisce prestiti commerciali da Euro 500 mila a 5 milioni, con scadenze che vanno da due a cinque anni per le piccole operazioni di esportazione.

I prodotti finanziari sono offerti nell’ambito della partnership con la Northstar Europe e la condizione per accedere al finanziamento è che le operazioni di espor-tazione siano coperte da una polizza di assicurazione del credito all’esportazione a cura di una delle Agenzie di credito all’esportazione ufficiali o ACE (più note in inglese con l’acronimo ECA). Per la Germania l’Agenzia ufficiale di credito all’e-sportazione è la Euler Hermes Kreditversicherungs-AG.

Nell’ambito di questo progetto è attiva una procedura accelerata per il credito acquirente “buyer credit cover - express” con la garanzia di Euler Hermes. Per credito acquirente si intende il finanziamento concesso al cliente straniero perché possa pagare l’esportatore attraverso un intermediario finanziario.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

KFW-Unternehmerkredit (Prestito imprenditore) - Debt Capital

È un prodotto che permette di finanziare investimenti sia in Germania che in altri paesi ed è rivolto alle imprese tedesche, alle loro controllate estere e joint venture con alta partecipazione tedesca, ai liberi professionisti e alle società di leasing te-desche e di altri Paesi che sono attivi sul mercato tedesco da più di tre anni.

KfW Unternehmerkredit, consente di ottenere un prestito KFW con una durata fino a 20 anni e un importo massimo di 25 milioni di euro a copertura delle spese in conto capitale e capitale circolante, sostenute in Germania e all’estero.

Caratteristiche di questo prestito KFW sono:

• Finanziamento al 100% per joint venture e investimenti in partecipazioni al di fuori della Germania ma all’interno dell’Unione Europea, anche la spesa in conto capitale al di fuori della Germania sarà finanziata in proporzione alla quota di partecipazione;

• Tassi d’interesse vantaggiosi fissi per 10 anni o per tutta la durata del prestito, particolarmente vantaggiosi per le piccole e medie imprese;

• Nel periodo iniziale non è richiesto il pagamento della quota capitale e può essere combinato con altri programmi KFW e fondi pubblici promozionali;

La banca di riferimento assume solo il 50% del rischio di credito in quanto KFW sopporta il restante 50%.

ERP Loan Start-up - Universal

Questo prodotto si rivolge a imprenditori, liberi professionisti e piccole e medie imprese (PMI) che sono attive sul mercato da meno di tre anni e hanno esigenze di finanziamento fino a 10 milioni di euro.

Si può contrarre un prestito con durata fino a 20 anni e per un importo fino a 10 milioni di euro per spese in conto capitale e per il capitale circolante.

• Per la costituzione o acquisizione di un’impresa, per l’acquisizione di una par-tecipazione in un’impresa, anche per un’attività part-time se il progetto è quel-lo di arrivare a realizzare un’attività autonoma a tempo pieno.

• Per il consolidamento di un’impresa nei primi tre anni di attività, nello speci-fico per spese in conto capitale e per il capitale circolante.

Caratteristiche di questo prestito KFW sono:

• tasso di interesse del prestito più favorevole rispetto a un prestito bancario tradizionale; è fisso per 10 anni, o anche per l’intero periodo;

• possibilità di iniziare il rimborso delle rate di capitale a partire dal terzo anno dalla concessione del prestito.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

EULER HERMES

La gestione delle garanzie tedesche per l’export è nelle mani dell’azienda leader Euler Hermes Deutschland AG, una sussidiaria di Euler Hermes, società con sede a Parigi ma controllata con il 68% da Allianz.

Il gruppo e le sue principali società di assicurazione crediti hanno ricevuto il ra-ting AA- da Standard & Poor’s (agosto 2012).

Il Gruppo è presente in oltre 50 paesi in tutto il mondo, nel 2011 disponeva di più di 6.000 dipendenti e assicurava transazioni commerciali per 702 miliardi di euro, pari al 36% del mercato totale delle assicurazioni del credito.

E’ pertanto leader assoluto del mercato per fatturato e numero di clienti e di buyers assicurati.

La sua attività consiste nel principalmente nell’assicurare e fornire garanzie alle imprese impegnate nell’interscambio estero, attività svolta su mandato del go-verno tedesco secondo un contratto di servizio triennale, soggetto a periodico rinnovo.

La società sviluppa anche operazioni a breve termine, in questo caso a condizioni di mercato.

Il tipico strumento tedesco noto come Hermes cover è un modo comune di riferir-si ad una garanzia di credito all’esportazione (ECG) da parte del governo federale tedesco.

Queste garanzie sono una parte importante della politica tedesca del commercio estero e permettono agli esportatori di coprirsi contro i rischi economici (rischio cliente) e i rischi politici (rischio paese).

Dal punto di vista dello stato tedesco, la copertura fornita da Hermes consente di promuovere le esportazioni, contribuendo allo sviluppo dell’economia e dei posti di lavoro tedeschi.

6.2.5. CASE HISTORY - IL MODELLO BAVARESE

La Regione della Baviera rappresenta la regione più attiva della Germania, in particolare con riferimento ai progetti di internazionalizzazione.

Con un Pil pari a quello di Grecia e Portogallo messi insieme, l’economia ba-varese rappresenta, senza ombra di dubbio, il “motore” per la crescita della Ger-mania. Basti pensare che i beni e servizi che si producono in Baviera in un anno “pesano” per quasi un quinto sull’intera produzione nazionale.

Attraverso una serie di incontri, abbiamo potuto analizzare dei casi concreti di Enti e Associazioni che ci hanno permesso di verificare “sul campo” la validità del sistema tedesco di supporto all’export.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Per inquadrare le caratteristiche produttive e commerciali della regione Baviera, i principali prodotti dell’industria agroalimentare esportati sono nell’ordine (re-lativamente al fatturato):

• formaggi

• latte e derivati

• carne e derivati

• prodotti di origine vegetale

• prodotti da forno

• prodotti dell’industria del tabacco

• birra

• zucchero

• frumento

• luppolo

Le esportazioni bavaresi dei prodotti del settore agroalimentare, sono rivolte principalmente ai Paesi dell’Unione Europea e l’Italia rappresenta il primo paese cliente, seguita da Austria, Olanda e Francia. Si registra anche un importante svi-luppo nei paesi dell’Est.

Le ragioni che hanno consentito di avere un costante aumento dell’export sono legate all’eccellente qualità dei prodotti bavaresi ma anche alla grande tradizione di specialità tipiche regionali e alle tradizioni culinarie: le salsicce grigliate di Nu-remberg, le birre e i Bretzel bavaresi, l’Emmental dalla regione di Allgäu e molti altri prodotti sono conosciuti in tutto il mondo. A tutto ciò va abbinato il senso del divertimento bavarese, l’ospitalità e lo stile di vita e un territorio estremamente ricco anche dal punto di vista naturale e culturale.

I canali commerciali utilizzati dalle imprese bavaresi sono diversi a seconda del Paese e della strategia aziendale (distributori, importatori, GDO).

Per avere un riferimento nella lettura di questo case-history, si tenga presente che in Baviera si genera un quarto del PIL nazionale e l’export bavarese si colloca sui 170 miliardi di euro, di cui l’agroalimentare rappresenta il 5% (soprattutto for-maggi, altri latticini e derivati della carne). Le destinazioni vedono ai primi posti l’Italia (oltre il 20% del totale dell’agroalimentare) e l’Austria (oltre il 10%).

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Ministero Agricoltura bavarese - Alp Bayern

Per iniziare a comprendere il modello Bavarese, in primo luogo abbiamo intervi-stato operatori dell’Agenzia di sviluppo bavarese Alp Bayern.

Per valorizzare il marchio “Bayern” per i prodotti agricoli e alimentari, e per promuovere i prodotti agroalimentari della Baviera, è stata istituita nel luglio 2011 Alp Bayern, agenzia per i prodotti alimentari dalla Baviera, entità indipen-dente ma controllata dal Ministero di Stato bavarese dell’alimentazione, dell’agri-coltura e foreste.

Obiettivo di Alp Bayern è far conoscere le aziende produttrici bavaresi e i loro prodotti, tenendo conto che il 50% dei prodotti è commercializzato in Germania e il restante 50% esportato all’estero.

Le attività sono supportate dai fondi del Ministero in collaborazione con le As-sociazioni dei produttori con le quali organizzano le attività: i fondi ministeriali possono supportare al massimo il 50% delle iniziative. I programmi sono biennali e ammontano a 6 milioni di euro (erano 2 milioni 2 anni fa), di cui il 50% destinati a iniziative in Germania e il resto all’estero.

A differenza di GEFA, Alp Bayern sostiene determinate iniziative che altrimenti gli imprenditori bavaresi non avrebbero potuto sviluppare.

Analoghe iniziative sono sviluppate da altre Regioni, direttamente o attraverso società specializzate di marketing.

Alle iniziative di Alp Bayern accedono 400 imprese a livello informativo e 100 con continuità di presenza alle loro iniziative, di cui 30/40 attive con contatti gior-nalieri. Strategici i rapporti con le Associazioni, partner rappresentativi delle im-prese e delle diverse istituzioni bavaresi.

In particolare si segnalano le Associazioni degli Agricoltori, dei produttori e Tra-sformatori del latte - incontrate nel corso delle interviste effettuate in Germania e di cui si riferirà nel seguito - le Associazioni delle Cooperative, delle Industrie di trasformazione della carne, dei birrai e viticoltori, gli industriali, gli artigiani e i commercianti del settore alimentare e gli albergatori.

Fra gli Enti si segnala l’Università di Monaco - area Marketing e consumi - l’Isti-tuto bavarese per l’Agricoltura e il Centro per Eccellenza per gli alimenti.

Presso l’Alp Bayern opera un Comitato Consultivo, composto dai rappresentan-ti delle istituzioni chiave e confederazioni di settore. Attraverso questo “canale aperto” è possibile seguire i problemi attuali dell’economia e rispondere con mi-sure concrete. Tali misure possono essere attuate in modo efficiente attraverso una stretta collaborazione con l’industria e le associazioni.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Gli obiettivi dell’Agenzia sono:

• focalizzazione sul profilo e l´immagine della denominazione “Bayern”;

• sviluppo ed elaborazione del marchio “Marke Bayern” di prodotti agricoli e alimentari per i consumatori e produttori;

• rafforzare la consapevolezza della qualità per i prodotti agricoli e alimentari bavaresi con i consumatori e produttori;

• miglioramento dell’apprezzamento e della stima e valore aggiunto dei prodot-ti agricoli e alimentari bavaresi ai diversi livelli di mercato;

• espansione della posizione di mercato della cucina bavarese e dei prodotti agricoli, insieme con lo sviluppo economico.

Alp Bayern promuove la vendita di piatti bavaresi e prodotti agricoli attraverso attività in Germania e all’estero e offre alle aziende bavaresi i seguenti servizi:

• organizzazione di stand collettivi presso fiere settoriali rivolte sia ad addetti del settore che ai consumatori in Germania e all’estero e presentazioni di pro-dotti presso fiere specializzate;

• organizzazione di azioni di informazione ed iniziative in Germania e all’estero (ad esempio “Le settimane bavaresi” nel settore del commercio alimentare);

• inviti di partner commerciali stranieri o promozioni presso catene della Gdo e presso sistemi commerciali organizzati;

• match making che consistono in incoming di operatori stranieri, giornalisti spe-cializzati nel settore alimentare e visite aziendali presso le aziende produttrici;

• organizzazione di viaggi informativi per aziende e delegazioni commerciali e uf-ficiali per conoscere i mercati nel corso delle quali vengono presentati i prodotti;

• realizzazione di campagne di informazione e di relazioni pubbliche o di semi-nari informativi e conseguente fornitura di materiali per azioni di informazio-ne sui prodotti alimentari;

• studi di mercato.

Le attività sono sviluppate attraverso 18 rappresentanze in tutto il mondo e la rete delle Camere di commercio tedesche nel mondo, con il supporto di altre reti istituzionali quali: Ministero degli esteri, le Camere di Commercio straniere fra cui quella Italo-Tedesca con sede a Monaco, consulenti privati ed esperti del settore.

In occasione delle principali fiere del settore vengono programmate iniziative nei paesi partner ove non sono previste iniziative del programma federale.

E’ importante evidenziare che viene mantenuto un costante contatto con il livello centrale, per non creare sovrapposizioni, ma integrarsi ricercando iniziative che corrispondano alle peculiarità delle aziende bavaresi.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Per la fornitura di servizi di tipo legale e doganale, il Ministero mette in contatto le imprese con la Camera di Commercio ed Industria della circoscrizione relativa.

La Baviera vanta 26 prodotti Dop la cui difesa e tutela è garantita dalla legislazio-ne comunitaria. La difesa del German sounding non sempre è efficace: un insuc-cesso, per esempio, sono state le diverse iniziative intentate verso un produttore di birre olandese che usava il marchio Bavaria ma che non hanno prodotto risul-tati in quanto il marchio è esistente da oltre 100 anni.

I fattori che preoccupano il sistema bavarese in futuro potrebbero essere rap-presentati dai problemi con Bruxelles per la promozione del marchio Baviera in quanto è consentito fare pubblicità solamente nell’ambito ristretto dei prodotti con denominazione di origine tutelati.

Altro problema è connesso al rischio di riduzione dei consumi nei paesi grandi importatori (si veda la riduzione dei consumi in Italia e problematiche di export del latte in alcuni paesi). Si sta valutando quindi come ampliare l’attività su altri paesi, in particolare la Cina che ha un potenziale di crescita importante su prodot-ti specifici - vedi latte in polvere - anche se non è il partner principale.

Landesvereinigung der Bayerischen Milchwirtschaft e.V. - Associazione Produttori e Trasformatori di Latte della Baviera

Nel corso della visita in Baviera abbiamo avuto modo di incontrare alcune im-portanti realtà della Regione. Il primo incontro si è svolto con l’Associazione che raggruppa i produttori e trasformatori delle due principali produzioni agroali-mentari bavaresi - latte e formaggi.

A tale Associazione aderiscono sia gli agricoltori che i produttori di latte, le azien-de di trasformazione private e cooperative (40 cooperative - fra cui Bayerland -, piccoli caseifici e 40 imprese private - fra cui anche Müller) nonchè le strutture commerciali dedicate e le associazioni dei consumatori.

Va premesso che il settore lattiero-caseario rappresenta il settore più importante dell’industria alimentare bavarese, con un fatturato di 9,4 miliardi di euro. Tale eccellenza deriva dall´impegno comune delle organizzazioni del settore lattiero, che da oltre 50 anni supportano l’industria casearia bavarese.

I principali paesi di destinazione sono, per il latte, l’Italia (per oltre il 25% dei beni esportati), l’Olanda e l’Austria e per i formaggi sempre l’Italia al primo posto con oltre il 32% dei prodotti esportati seguiti da Austria e Francia; si segnala che quest’ultima nazione rappresenta anche il primo importatore di formaggi.

Il consiglio direttivo dell’Associazione, composto dai rappresentanti delle diver-se componenti, decide le azioni da intraprendere, in particolare per il supporto delle attività di marketing e le informazioni da veicolare al consumatore, nella logica del “Milk is good.” Da rilevare l’importanza strategica della presenza in

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Consiglio di un rappresentante dei consumatori, figura che fornisce importanti spunti per lo sviluppo nei consumi del latte.

Le iniziative sono decise dal Consiglio direttivo e il Ministero, se condivide, dispone di conseguenza.

Riunendo gli interessi delle diverse organizzazioni che lavorano nel settore lattiero-caseario, l’Associazione promuove la qualità e le vendite dei prodotti lattiero-case-ari bavaresi anche all’estero e rafforza l’industria, anche tramite le seguenti attività:

• rappresentanza del settore lattiero-caseario bavarese a livello federale e difesa degli interessi dell’industria casearia bavarese - leggi, regolamenti;

• partner di coordinamento dell’industria casearia per la difesa degli interessi presso i Ministeri, le Autorità, le scuole, gli istituti di ricerca e altri istituzioni.

Le attività sono finanziate attraverso una trattenuta ai produttori stabilita an-nualmente dall’assemblea dei soci, che attualmente ammonta a 0,0043 centesimi per litro di latte. Tali trattenute vengono devolute al Ministero dell’Agricoltura della Baviera e un terzo dell’importo va a finanziare il supporto commerciale in Germania e all’estero, ed in particolare fiere, comunicazioni e missioni.

A differenza delle trattenute all’epoca effettuate per la struttura CMA, oggi in liquidazione - si veda il riferimento nel precedente capitolo dedicato alla GEFA - che venivano obbligatoriamente effettuate a tutti i produttori del latte - quelle in Baviera sono volontarie così come in altri 7 regioni, con dimensioni diverse da regione a regione.

Importante è anche l’attività svolta dall’Associazione per organizzare la parteci-pazione a fiere di categoria in collaborazione con il Ministero dell’Agricoltura. Ogni anno viene effettuata una verifica con i soci, si negozia con il Ministero la partecipazione ad una fiera - per es. Anuga di Colonia - e si decide lo stand, ov-vero se la partecipazione è limitata ai produttori latte o estesa ad altri in relazione alle diverse iniziative. A queste iniziative di solito partecipano le imprese di me-die dimensioni e, talvolta, le grandi e i costi vengono equamente suddivisi.

Per l’organizzazione in loco si fa riferimento alla Camera di Commercio tedesca nel paese interessato oppure (laddove non sia presente una Camera tedesca all’e-stero) all’agenzia che sviluppa i contatti e organizza le iniziative. In altri casi le iniziative promozionali si sviluppano attraverso i contatti dei soci o loro presenze sul territorio interessato.

Altro elemento da evidenziare è che le imprese che sono concorrenti sul territorio di riferimento si supportano per l’accesso sui mercati esteri.

Fattore di successo è il Ministero dell’Agricoltura che ha permesso lo sviluppo di canali di commercializzazione all’estero, particolarmente strategici se si conside-ra che la produzione bavarese corrisponde al 300% del consumo.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Il marchio Baviera, apprezzato in Europa, non necessariamente lo è fuori dall’Eu-ropa e di conseguenza è necessario sviluppare attività su altri mercati finalizzate alla conoscenza delle specificità. Si prevedono importanti iniziative all’estero, ad es. in Brasile, per incrementare i contatti commerciali su iniziativa del Ministero dell’Agricoltura e attraverso il coinvolgimento dei soci.

Le problematiche sanitarie, rappresentano un problema per la Germania, in quanto le regole non sono federali, ma ogni regione applica una propria rego-lamentazione e ciò costituisce una complicazione. In particolare, per quanto ri-guarda la Russia, che preferisce la regolamentazione fortemente centralizzata del sistema francese, il Ministero dell’Agricoltura Federale sta discutendo con le au-torità russe come migliorare i requisiti richiesti. In proposito va segnalato che si è registrata una riduzione dei volumi esportati verso la Russia.

Va segnalato che questo sistema di controllo, particolarmente rigoroso, ha per-messo di trovare tracce di melamina nel latte cinese e ciò ha provocato la richiesta di forti quantitativi di latte in polvere bavarese che al momento sono contingen-tati. Il latte in polvere in Asia è in grande sviluppo ma occorre verificare potenzia-lità e prezzi in quanto talvolta la Nuova Zelanda risulta essere più competitiva.

Si forniscono alcuni esempi di iniziative dell’Associazione che hanno visto il con-senso dei diversi operatori coinvolti:

• Formazione del personale di vendita;

• Seminari informativi per i consumatori;

• Formazione di ostetriche, medici, dietisti, insegnanti;

• Opuscoli e materiale per il web;

• “Milch & Käsebote” (rivista specializzata per la ristorazione);

• Formazione di “sommelier del formaggio”.

Nell’ottica di ampliare i mercati di riferimento, le aziende grandi produttrici si stanno organizzando per l’ottenimento della certificazione halal per l’accesso ai mercati islamici o comunque ai consumatori di tale tradizione, così come per il rispetto dei disciplinari e della certificazione kosher per la religione ebraica.

Per quanto riguarda i prodotti certificati, non incontrano grandi difficoltà salvo contrasti su Emmental - con svizzeri e austriaci.

Private Brauereien Bayern e.V. - Associazione Birrai privati bavaresi

L’altra Associazione che abbiamo incontrato raggruppa i piccoli - medi produt-tori artigianali bavaresi di birra, prodotto riconosciuto ed apprezzato nel mondo.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Va premesso che in Baviera esistono due associazioni di produttori di birra:

1. privati grandi produttori - fra cui per es. Paulaner e le altre grandi aziende - che conta 240 associati che sviluppano l’80% del volume complessivo di birra prodotta annualmente

2. piccoli birrifici a gestione familiare, composta da 620 produttori.

L’associazione intervistata riguarda quest’ultima categoria che aderisce alla Ca-mera dell’Artigianato - diversa dalla Camera di Commercio.

Tenuto conto delle dimensioni ridotte degli associati, l’Associazione offre sup-porto nei seguenti settori:

• assistenza legale;

• marketing;

• processi produttivi/prodotti con tecnici specializzati.

Le grandi aziende produttrici invece non necessitano di questi servizi essendo organizzate autonomamente mentre le aziende assistite esportano anche in paesi lontani e l’Associazione offre la propria consulenza e ne supporta le attività alla luce di un know how acquisito negli anni.

Il primo supporto consiste nell’emissione dei certificati da allegare ai prodotti ed è offerto in collaborazione con la Camera dell’Artigianato a titolo gratuito in quanto l’associazione ne è socia.

L’associazione non ha statistiche sull’export dei propri soci, ma a livello gene-rale di settore (quindi grandi e piccoli produttori) si registra un 25% di prodotto esportato. Ad oggi le proporzioni dell’export sono 70% relativamente ai grandi produttori mentre il restante 30% riguarda i piccoli: l’associazione confida che si possa mantenere in futuro tale proporzione, tenuto conto della continua richiesta dall’Europa di prodotti speciali, che proprio le birrerie di piccole dimensioni, e quindi piú flessibili, potrebbero essere le più adatte a soddisfare.

Il mercato esprime potenzialità ma va verificata la disponibilità dei piccoli produt-tori a sostenere lo sviluppo, più facile da realizzare da parte dei grandi produttori.

Nel 2012 su 22 milioni di tonnellate prodotte risultano 5,6 ton. esportate: l’Italia risulta essere il primo cliente e il partner più affidabile, viste le forti relazioni tra i produttori bavaresi che visitano il paese e i clienti italiani.

Da qualche tempo si registra una forte richiesta dalla Cina per l’aumento della capacità di acquisto da parte dei consumatori cinesi che cercano prodotti tedeschi o bavaresi - immagine fattore di successo. Rispetto ai nuovi paesi, l’associazio-ne s’interroga sulla sostenibilità della crescita e sull’instabilità dello sviluppo, in quanto il rapporto si basa unicamente sull’importatore. Anche in Russia ci sono difficoltà a creare un rapporto con il cliente finale, anche per le problematiche legate alla lingua visto che i referenti russi non parlano altre lingue.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Per quanto riguarda le iniziative specifiche e l’accesso ai mercati, l’Associazione utilizza i contatti del Ministero dell’Agricoltura bavarese e le Camere di Com-mercio all’estero con le quali concorda le modalità di partecipazione alle diverse iniziative: per quanto riguarda le fiere si valuta la partecipazione diretta o negli stand già organizzati con altre imprese, comunque su iniziativa dell’Associazione.

Per contro le missioni “Programma paese” sono organizzate con la Camera dell’Artigianato e il supporto del Ministero dell’Agricoltura nelle seguenti fasi:

1. descrizione e conoscenza del mercato di riferimento;

2. colloqui individuali per valutare il reale interesse;

3. definizione della delegazione all’estero con piccolo contributo delle aziende produttrici.

In merito alle spese da sostenere per la fase 2 e 3, le tariffe dipendono da paese a paese - per un’iniziativa in repubblica Ceca le imprese hanno sopportato una spesa di € 800,00.

La Camera dell’Artigianato in occasione di queste missioni valuta se organizzare delle iniziative in collaborazione con altri settori - per es. birra e latte.

Per quanto riguarda la difesa del prodotto, la denominazione “Birra Bavarese” ri-sulta protetta dalla UE consentendo pertanto di fruire di strumenti legali per agire contro un uso improprio. Come già sopra riferito, da molti anni tuttavia si stanno combattendo battaglie legali con un produttore olandese che ha denominato la bir-ra “Bavaria”, tuttavia senza grandi risultati in quanto tale marchio risale a molto tempo addietro e ben prima della decisione di proteggere la denominazione.

LfA Förderbank Bayern

Per quanto riguarda il supporto finanziario, a Monaco di Baviera ha sede una importante banca regionale bavarese, la LfA Förderbank Bayern (LFA), fondata nel 1951 per finanziare la ricostruzione economica della Baviera dopo la guerra, ed attualmente considerata la banca di sviluppo della Regione di Baviera.

Il capitale sociale ammonta a € 368.000.000 e il patrimonio netto è di circa un miliardo di euro.

Ha la forma giuridica di un istituto di diritto pubblico ed è diretta dal Consi-glio di Gestione e dal Consiglio di amministrazione. In qualità di banca, LfA è soggetta alla vigilanza della “Bundesanstalt für Finanzdienstleistungsaufsicht” (BaFin - il Federal Financial Supervisory Authority) e alle disposizioni del “Kre-ditwesen-Gesetz” (KWG - Testo Unico Bancario tedesco).

In quanto istituzione pubblica, LfA è esente dall’imposta sulle società inoltre per legge la responsabilità grava integralmente sul Libero Stato di Baviera.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Come risultato di ciò e grazie alle ridotte dimensioni della Banca (dispone sola-mente di circa 300 dipendenti) le operazioni sono altamente convenienti.

La mission della banca LfA, è di garantire il successo della Baviera nel tempo e sostenere gli effetti positivi sul mercato del lavoro, concedendo prestiti in linea con il criterio di “banca di casa“. LfA mantiene una posizione neutrale nei con-fronti delle banche commerciali e non è in concorrenza con loro.

Dalla sua fondazione, la Banca ha fornito circa 370.000 prestiti commerciali con un importo a credito complessivo di 56 miliardi.

LfA Förderbank Bayern aiuta a realizzare i progetti delle imprese bavaresi quando la finanza praticabile solo attraverso le banche commerciali non sareb-be possibile. La banca offre alle piccole e medie aziende bavaresi un programma di supporto flessibile nelle diverse aree del business (avvio, crescita, innovazione, tutela ambientale, consolidamento e infrastrutture) mediante prestiti a lungo ter-mine e spesso a ridotti interessi.

Nel 2012, circa 5.400 aziende hanno ottenuto prestiti per un totale di quasi € 2,5 miliardi contribuendo a creare circa 6.100 nuovi posti di lavoro, garantendo nel contempo il futuro di più di 156.000 posti di lavoro esistenti

In qualità di banca di sviluppo regionale, LfA supporta i progetti delle aziende bavaresi, anche nel caso in cui trasferiscano attività in altri paesi, in quanto i benefici delle opportunità nei mercati esteri possono essere particolarmente im-portanti, in particolare per le piccole imprese. Fornisce inoltre assistenza per le attività estere che hanno influenza positiva sulla piazza economica bavarese.

In relazione alle operazioni di esportazione, LfA offre un valido sostegno alle piccole - medie imprese, mediante controgaranzie e garanzie di pagamento (ga-ranzia d’ordine e garanzia di indennizzo) che rendono possibile il finanziamento di Commesse internazionali.

LfA offre “garanzia di ordine” in relazione a offerta, pagamento anticipato, con-segna e altri tipi di garanzie, che sono spesso necessari in relazione a operazioni di esportazione. Offre inoltre “garanzia di indennizzo” di norma pari al 50%, per i prestiti ceduti da “banche di casa“ o compagnie di assicurazione per commesse internazionali e nazionali.

Sono inoltre presenti “impegni quadro” a garanzia di ordini, nei quali le ga-ranzie all’esportazione e le garanzie nazionali possono essere collocati in via continuativa per un periodo concordato di non più di due anni e che sono a disposizione di aziende o gruppi con un fatturato annuo non superiore a € 500 milioni.

Come sopra accennato, LfA sostiene con i propri prodotti finanziari, gli in-vestimenti in paesi stranieri, in quanto contribuiscono alla capacità compe-titiva della regione (effetto Baviera). L‘assistenza di LfA rende più facile per

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

le imprese locali stabilire le proprie sedi e siti produttivi in paesi stranieri, o stabilire relazioni con i partner di distribuzione e di marketing o partecipare in joint venture.

Il sostegno finanziario è previsto per:

• gli investimenti e joint venture con una sostanziale quota di investimento ba-varese;

• la costituzione di imprese controllate;

• l’acquisizione di immobili aziendali;

• gli investimenti in costruzioni e macchinari;

• gli investimenti in attrezzature per ufficio e operative, scorte di magazzino iniziali e immobilizzazioni immateriali.

I prestiti, con tasso di interesse più basso degli attuali tassi di interesse di merca-to, possono coprire fino al 100% delle somme di investimento richieste e possono avere una durata di 10, 15 o 20 anni, di cui due senza rimborsi.

A titolo di garanzia e, a seconda del paese in cui sono realizzati gli investimenti, è possibile garantire per rischi fino al 70%.

Camera di Commercio Italo-Tedesca di Monaco di Baviera

Il tour in Baviera si conclude con l’intervista alla Camera di commercio Italo-te-desca che ci ha assistito nella creazione dei contatti e nel supporto alle interviste.

La Camera, con sede a Monaco di Baviera, è un’associazione di imprese, liberi professionisti e istituzioni che promuove le relazioni commerciali tra Italia e Germania: è presente sul territorio tedesco con la sede principale di Monaco di Baviera e con la filiale nella città di Stoccarda.

Costituita nel 1926 a Monaco, è riconosciuta dal Governo italiano ai sensi della legge 1 luglio 1970, n. 518 ed ha come missione la promozione e lo sviluppo dei contatti commerciali tra Italia e Germania, offrendo un punto di riferimento af-fidabile per tutti i soggetti che hanno interesse ai contatti con il mercato tedesco, che costituisce il primo partner commerciale per l’Italia.

Grazie all’esperienza pluridecennale ed ai radicati contatti con il mondo imprendi-toriale ed istituzionale, mette a disposizione un’ampia gamma di servizi in grado di soddisfare sia le esigenze delle imprese che si affacciano sul mercato tedesco, o che intendano ampliarvi la propria presenza, sia quelle dei soggetti istituzionali che desiderino sviluppare assieme a loro delle attività di promozione in Germania.

Aderisce ad Assocamerestero che è l´Associazione delle Camere di Commercio Italiane all´Estero (CCIE), nata alla fine degli anni ´80 per valorizzare le attività delle Camere e per diffondere la conoscenza della rete delle CCIE presso le isti-

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

tuzioni italiane ed internazionali e presso le organizzazioni imprenditoriali. La rete conta 74 Camere nel mondo, presenti in 49 paesi con 140 uffici, e oltre 24.000 imprese associate (il 70% sono aziende locali).

L’Associazione nazionale svolge una costante azione di indirizzo strategico per le attività svolte dalle Camere di Commercio Italiane nel mondo a sostegno dell’ internazionalizzazione delle PMI e la promozione del Made in Italy, rappresen-tando le esigenze e le potenzialità delle CCIE attraverso un’assistenza specifica, sia sul versante organizzativo che su quello progettuale. La sua funzione di rap-presentanza e di lobbyng istituzionale è avvalorata dalla continua ricerca di colla-borazioni con soggetti pubblici e privati e da un’intensa azione di comunicazione verso i media italiani, le istituzioni e le imprese.

I soci della Camera di Commercio Italo-Tedesca possono usufruire di un’estesa rete di contatti e di una serie di vantaggi esclusivi per essere accompagnati nello sviluppo del proprio business.

La Camera supporta le decisioni attraverso l’individuazione delle migliori op-portunità sul mercato tedesco, basata su un’analisi settoriale di dati statistici ed economico-congiunturali a livello nazionale, di Länder o singole città.

Il servizio comprende:

• analisi accurata del prodotto/servizio che si vuole proporre sul mercato tedesco;

• relazione con descrizione del settore del mercato che interessa (principali atto-ri del settore, dati statistici settoriali rilevanti), finalizzata a verificare la fattibi-lità dell’introduzione del prodotto/servizio sul mercato tedesco;

• fruizione di servizi di assistenza a condizioni agevolate o a titolo gratuito a seconda della tipologia richiesta;

• partecipazione agli eventi associativi con la possibilità di sviluppare contatti con potenziali clienti e/o partner;

• fruizione di agevolazioni presso esercizi convenzionati in tutto il Mondo attra-verso la Membership Card di Assocamerestero.

Le aziende che necessitano di un supporto per l’individuazione di opportunità commerciali in Germania o per l’ampliamento della rete commerciale attraverso una ricerca di potenziali distributori od agenti di commercio, ottengono dalla Ca-mera una consulenza specializzata, a partire dalla fase di start-up dell’attività in Germania, fino allo sviluppo di progetti di ampliamento della presenza commer-ciale, strutturata in diverse soluzioni di ricerca personalizzate, compreso:

• identificazione della tipologia di agenti/ distributori/ clienti;

• implementazione di una piattaforma di potenziali leader sul mercato tedesco sulla base delle caratteristiche specifiche dell’azienda e del prodotto;

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

• avvio dei contatti con i potenzali partners commerciali con presentazione dell’azienda e follow-up;

• organizzazione incontri B2B presso i business center di Monaco di Baviera e/o Stoccarda o presso altra sede;

• report finale a conclusione del servizio e consegna banche dati.

Nel caso si abbia necessità di acquisire informazioni importanti per un’analisi dell’affidabilità di un’impresa tedesca, con cui si intende avviare o già si intrat-tengono dei rapporti di lavoro, la Camera fornisce informazioni dettagliate su liquidità, solvibilità, dati di bilancio, organi aziendali, soci, partecipazioni, va-riazioni di capitale societario o di forma societaria, e ulteriori aspetti di interesse relativi a singole aziende tedesche. La Camera è in grado di fornire visure dal Registro delle imprese su tutto il territorio tedesco. L’estratto dal Registro delle imprese è un documento ufficiale con valore legale che comprende generalmente:

• data di apertura/chiusura dell’attività;

• forma giuridica;

• nominativi degli amministratori;

• nomi di eventuali soci di maggioranza;

• breve descrizione dell’attività svolta.

La CCIT è autorizzata dall’Agenzia delle Entrate italiana e dall’Ufficio Imposte tedesco a prestare il proprio servizio di assistenza per aziende con sede in Italia che vogliano richiedere il rimborso dell’IVA tedesca, fungendo da intermediario tra l’azienda richiedente e l’ufficio competente in Germania.

Seguono per conto delle aziende tutto l’iter previsto dalla legislazione per il rim-borso dell’IVA pagata in Germania da una ditta appartenente ad un altro Paese EU: dall’esame della documentazione necessaria, alla presentazione della doman-da di rimborso per via telematica curando i contatti con l’Ufficio delle Imposte te-desco per eventuali chiarimenti e quesiti fino al bonifico dell’importo recuperato.

Anche per quanto concerne l’organizzazione di eventi di promozione dei pro-dotti italiani, di incontri con la stampa, convegni e missioni commerciali, la Camera Italo-Tedesca mette a disposizione dei propri partners e clienti il suo know how e i suoi consolidati contatti. In proposito sono in grado di offrire un servizio completo per l’organizzazione dell’evento in ogni dettaglio, dalla sua pianificazione all’individuazione della location più adatta e funzionale, dall’e-laborazione grafica degli inviti alla sua promozione al target di partecipanti che interessa raggiungere.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Per le aziende che intendono partecipare ad una manifestazione fieristica, pos-sono fornire un pacchetto di servizi che comprende:

• l’organizzazione dello Stand;

• il Direct Marketing a potenziali visitatori;

• l’organizzazione di incontri d’affari con i clienti;

• il follow-up dei contatti dopo la fiera.

Il sito internet della Camera di Commercio Italo-Tedesca è visitato mensilmente da oltre 3000 persone. È una piattaforma interattiva a disposizione di aziende e professionisti che desiderino sviluppare i propri affari nel mercato tedesco.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

7.1. UNGHERIA

Il presente capitolo è sostanzialmente frutto di colloqui personali (otto) e via e mail o telefono (due) svoltisi tra giugno ed agosto 2013 con importatori di prodotti agro alimentari di diversi settori, società di consulenza all’imprenditoria e rappresentanti di istituzioni, quali Agenzia Ice e Ambasciata d’Italia di Budapest.

In occasione del viaggio in Ungheria si sono, inoltre, effettuate rilevazioni prez-zi, relative a prodotti italiani confezionati, in alcuni punti vendita di Auchan, Cba, Spar, Tesco e si sono visitati il mercato ortofrutticolo all’ingrosso e lo storico mercato al dettaglio al centro di Budapest.

7.1.1. LA FOTOGRAFIA DEL PAESE

L’Ungheria è un paese di poco più di 10 milioni di abitanti.

La capitale Budapest ha una popolazione di 1,8 milioni che con l’agglomerato urbano sale a 2,5.

Budapest è il centro motore del paese e, con il suo grande afflusso turistico, rappresenta il 30 - 35% dei consumi alimentari ungheresi.

L’Ungheria ha una superficie di 93.000 kmq, circa un terzo di quella italiana e una densità di 108 abitanti per kmq, la metà di quella italiana.

Suo punto di forza è l’essere il crocevia dell’Europa centrale, confina infatti con ben sette stati: Austria, Slovenia, Croazia, Serbia, Slovacchia, Romania, Ucraina.

Il suo sistema autostradale è molto migliorato rispetto a 6-7 anni fa e ora tutte le autostrade che s’irradiano da Budapest raggiungono gli stati confinanti, mentre in precedenza terminavano in territorio ungherese a 150 - 200 km dalla capitale.

Il Pil ungherese nel 2013 supera i 98 miliardi di euro, circa il 6% di quello italiano e ha ripreso a crescere dopo la contrazione del 2012.

La moneta ufficiale è il fiorino: a luglio 2013 un euro valeva 295 fiorini, nel feb-braio 2014 310.

Il tasso di inflazione nel 2013 ha superato l’8%.

7.1.2. L’IMPORT E L’EXPORT

Nel 2012 l’export ungherese è stato pari a 83 miliardi di euro, con l’Italia in 5a posizione tra i paesi importatori dietro a Germania (il grande partner), Romania, Slovacchia e Austria.

L’import ammonta a 79 miliardi, con l’Italia in 7a posizione tra i paesi esporta-tori, preceduta da Germania, Russia (grazie ai prodotti energetici), Cina, Austria, Slovacchia, Polonia.

7. L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

L’import di alimentari e bevande (escluso ortofrutta fresca) rappresenta il 5,2% del totale (cioè 3,9 miliardi) e qui l’Italia si colloca al sesto posto dopo Germania, il cui peso è di circa 4 volte quello dell’Italia, Polonia, Slovacchia, Austria, Paesi Bassi.

L’import di alimentari, bevande e ortofrutta fresca provenienti dall’Italia nel 2013 vale 254 milioni di euro.

ESPORTAZIONI ITALIANE IN UNGHERIA (000 EURO)

CATEGORIE 2000 2012 2013

101 - Carne lavorata e conservata e prodotti a base di carne 6.870 26.296 18.444

102 - Pesce, crostacei e molluschi lavorati e conservati 693 4.141 4.872

103 - Frutta e ortaggi lavorati e conservati 4.174 21.459 23.747

104 - Oli e grassi vegetali e animali 6.040 21.069 31.175

105 - Prodotti delle industrie lattiero-casearie 535 6.297 9.669

106 - Granaglie, amidi e di prodotti amidacei 8.812 18.141 21.452

107 - Prodotti da forno e farinacei 4.687 14.027 14.686

108 - Altri prodotti alimentari 8.092 36.906 33.030

109 - Prodotti per l’alimentazione degli animali 3.434 15.402 15.493

SUBTOTALE 43.337 163.738 172.568

11010 - Bevande alcoliche distillate, rettifiche e miscelate 497 509 794

11021 - Vini da tavola e vini di qualità 1.276 34.510 27.793

11022 - Vino spumante e altri vini speciali 867 2.417 3.384

11030 - Sidro e altri vini a base di frutta 1 18 10

11040 - Altre bevande fermentate non distillate 4 1.053 945

11050 - Birra . 560 566

11070 - Bibite analcoliche, acque minerali 1.908 4.235 4.949

SUBTOTALE 4.553 43.302 38.441

012 - Prodotti di colture permanenti (frutta fresca) 9.342 37.541 27.029

01130 - Ortaggi 1.548 16.122 16.553

01134 - Patate 89 240 130

SUBTOTALE 10.979 53.903 43.712

TOTALE 58.869 260.943 254.721

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

L’Italia esporta principalmente:

• ortofrutta fresca e conservata

• vino, in grande quantità sfuso

• carni lavorate e prodotti a base di carne

• pasta e prodotti da pasticceria, freschi e conservati

• riso

• caffè

• piatti pronti

• derivati del latte

oltre a prodotti per l’alimentazione animale.

Nel 2013 si registra una flessione di circa il 2% da imputare in particolare all’orto-frutta fresca, alle carni e ai vini, in contenitori superiori ai 2 lt, ma il nostro export rispetto all’anno 2000 è incrementato di quasi cinque volte.

Questa flessione, a fronte di un incremento delle importazioni agroalimentari ungheresi porta ad una perdita di quota del nostro export di circa mezzo punto percentuale, quota che scende al 5,3%.

7.1.3. I CONSUMI ALIMENTARI E LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE

I consumi alimentari ungheresi, concentrati nella carne suina e salumi, nella carne avicola, nelle patate e cipolle, nel latte e derivati, non sono particolarmente effervescenti.

Dal 2000, in base ai dati dell’Ufficio Centrale di Statistica (KSH), poche catego-rie appaiono in crescita e alcune, come carni, uova e anche ortofrutta segnano flessioni non marginali.

Sulla base dei colloqui con gli operatori e degli ultimi dati Nielsen e KSH emerge, anche nell’ultimo periodo, un quadro dei consumi alimentari sostanzialmente statico, se non flettente.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Nel sistema distributivo ungherese le grandi catene inglesi, francesi, tedesche e austriache stanno dominando.

CONSUMI PRO-CAPITE (KG, ECCETTO UOVA)

CATEGORIE 2000 2010 2011

Carne totale, di cui 70,2 56,7 55,8

Suino 28,0 25,3 24,8

Avicoli 33,7 24,6 24,4

Pesce 3,0 3,5 3,6

Latte e derivati esc. burro 160,6 156,8 152,3

Uova - Pz 275,0 235,0 217,0

Grassi, di cui 39,0 34,6 34,4

Burro 0,9 1,2 1,2

Olio e margarina 18,0 20,1 19,9

Farina 89,4 83,2 80,3

Riso 4,7 5,1 4,6

Patate 64,0 60,5 63,5

Frutta e verdura 217,0 190,0 177,0

Zucchero 33,6 29,2 28,4

Caffè 2,8 2,3 2,2

Vino 28,3 23,4 26,0

Birra 71,6 66,4 69,1

Spirits 6,4 6,3 6,5

PRESENZA DELLE GRANDI CATENE DELLA GDO (FATTURATO 2011 MIL. EURO - FONTE NIELSEN)

CATENA NAZIONE FATTURATO N. PUNTI VENDITA

IPER SUPER DISCOUNT ALTRI DETTAGLIO

TOTALEDETTAGLIO

INGROSSO

Tesco GB 2.526 118 57 0 37 212

Cba HU 2.170 8 819 22 2.255 3.104 94

Coop HU 1.927 0 131 73 5.039 5.243 55

Spar AU 1.395 31 358 0 0 389

Real HU 1.314 0 540 0 1.600 2.140

Auchan FR 1.131 19 0 0 0 19

Lidl DE 840 0 0 148 0 148

Metro DE 659 0 0 0 0 0 13

Penny DE 604 0 0 189 0 189

Aldi DE 247 0 0 78 0 78

Totale 12.154 176 1.905 510 8.931 11.522 162

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Le grandi catene hanno cominciato la loro scalata al mercato ungherese nel 1996.

Sono stati i costruttori di centri commerciali a dare il via: iniziavano a costruire, poi affittavano gli spazi.

Il primo nuovo centro è il Duna Plaza a Budapest, che vede un Cba Prima come grande punto vendita alimentare.

Hanno seguito Tesco e Auchan, dando vita a parchi commerciali dove la locomotiva è l’ipermercato, in genere di notevoli dimensioni e proprio in Ungheria, a Budaors nei pressi di Budapest, è localizzato uno dei maggiori punti vendita Auchan d’Europa.

Negli anni 90 non vi era programmazione commerciale e tante micro botteghe hanno così cessato l’attività.

Le licenze per attivare grandi superfici sono state poi bloccate a partire dall’1 gennaio 2012 per almeno tre anni.

Nel 2011 erano attivi 176 ipermercati, 1905 supermercati, 530 discount, con una densità, rapportata al numero degli abitanti, superiore, per i primi due format, a quella italiana.

Tesco è il principale competitore, seguito da Cba, Coop e Spar.

Cba e Coop sono due catene ungheresi e quest’ultima pare in una fase non particolar-mente brillante.

I suoi punti vendita, di piccole dimensioni e in franchising, sono localizzati soprattutto nelle periferie delle città e nei piccoli centri abitati.

I competitori più temibili appaiono Tesco, Cba, Spar, Auchan, oltre ai discounter Aldi, Lidl, Penny (Rewe) che stanno acquisendo sempre più quote di mercato ed esprimono una notevolissima aggressività: molti punti vendita sono aperti 24 ore su 24, 7 giorni su 7 o, in ogni caso, 7 giorni su 7.

Non va trascurata neppure Metro, attiva con ben 13 cash and carry nei principali centri del Paese, che sviluppa un fatturato di 650 milioni di euro, da considerarsi, rapportato alle potenzialità di acquisto del paese, doppio rispetto a quello di Metro Italia.

KSH dichiara attivi 45.000 punti vendita al dettaglio, ma il numero sembra elevato considerando la popolazione e la quota di mercato acquisita dalle grandi catene (70-75% nel grocery).

A parte gli 11.500 punti vendita delle grandi catene, gli altri sono senz’altro piccole realtà, operanti soprattutto in mercati rionali e nei piccoli centri abitati.

PUNTI VENDITA AL DETTAGLIO PER TIPOLOGIA

PUNTO VENDITA 2000 2011 2012

Non specializzato con prevalenza food 37.154 25.398 25.320

Specializzato food, beverages e tabacco 14.571 19.008 19.885

Totale 51.725 44.406 45.205

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Questi punti vendita offrono per lo più:

• ortaggi, con notevoli quantità di cipolle, patate, rape, cetrioli e frutta di stagione so-prattutto ungherese: albicocche, ciliegie, pesche, di qualità non eccelsa e prezzi piut-tosto alti in rapporto al potere d’acquisto ungherese;

• carni e salumi ungheresi (Pick marca principale).

Sempre KSH dichiara attivi oltre 55.000 ristoranti, buffet e pub, numero che si è mante-nuto sostanzialmente stabile negli ultimi 7-8 anni.

Si stima, inoltre, che operino 80 società italiane nei servizi di ristorazione e gastronomia, con 14 ristoranti a Budapest insigniti del marchio di qualità “Ospitalità Italiana”.

7.1.4. REQUISITI RICHIESTI AL FORNITORE

Non vi sono particolari barriere all’import del prodotto italiano, considerato di buona qualità e ben apprezzato dai consumatori più attenti.

In genere l’esportatore italiano si avvale di importatori, soprattutto per i prodotti confe-zionati e di grossisti per l’ortofrutta.

Per quello che ci risulta, soltanto Ferrero è presente in Ungheria, con ottima visibilità nei punti vendita, direttamente con una propria società (Ferrero Magyarország Kft).

I requisiti più importanti richiesti dai clienti ungheresi al fornitore sono sostanzialmente:

• la serietà nel rapporto;

• la volontà di investire con una prospettiva di lungo periodo;

• la disponibilità a piccole concessioni (tipo invio di campionature) che possono agevo-lare il lavoro del cliente;

• la determinazione a lavorare al fine di accreditare, in una certa misura, la marca;

• la disponibilità a sostenere, in partnership con l’importatore, attività sui punti vendita della gdo;

• l’attenzione, soprattutto in ortofrutta, a corrispondere pienamente agli standard ri-chiesti e a offrire un prodotto ben lavorato e selezionato;

• l’attenzione al giusto rapporto qualità prezzo;

• la capacità di offrire prodotti nuovi e diversi.

Non pare, invece, avere fondamentale interesse per il cliente che il prodotto provenga o meno da una realtà cooperativa e anche la dimensione del fornitore ha scarso rilievo, anche se si può presumere che un operatore di maggiori dimensioni sia in genere meglio strutturato per affrontare i mercati esteri.

Ciò che rileva è la qualità del rapporto.

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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

7.1.5. PRODOTTI CONCORRENTI DI QUELLI ITALIANI

Prodotti concorrenti di quelli italiani ve ne sono parecchi, in particolare:

• in ortofrutta, a seconda delle tipologie di prodotto, incalzano quelli provenienti da Spagna, Grecia e Paesi Bassi, apprezzati, specialmente questi ultimi, per qualità, lavorazione, calibratura e prezzo;

• nell’olio d’oliva il prodotto spagnolo ha un posizionamento analogo a quello delle marche italiane, ma è presente in quantità minori nei punti vendita;

• nelle mozzarelle sono i produttori ungheresi, oltre al tedesco Zott, i dominanti (Szarvasi in primis), con qualità ritenuta di tutto rispetto;

• nella pasta si ritrovano grandi quantità di prodotto ungherese, considerato però di qualità inferiore e in ogni caso diversa rispetto a quella del prodotto italiano. E nei punti vendita si ritrova pure la franco-spagnola Panzani.

Gyermelyi è il maggior produttore ungherese con oltre 430 addetti e 30% di quota nel mercato domestico.

Il primo grande concorrente del prodotto confezionato a marca italiana si può, però, considerare quello a marca privata: ormai le principali catene stanno gestendo con note-vole attenzione e accuratezza le loro linee.

7.1.6. FORZE E DEBOLEZZE DELL’OFFERTA ITALIANA

I punti di forza del prodotto italiano risiedono:

• nella sua qualità e nella sua immagine di qualità;

• in una certa misura nella ristorazione che può contribuire a veicolare ed accreditare le positive valenze delle nostre produzioni e tradizioni culinarie;

• nella logistica, in quanto l’Italia è un paese vicino, facilmente raggiungibile, almeno più comodamente di Spagna, Paesi Bassi, Grecia.

I punti di debolezza si ritrovano invece:

• nel prezzo, particolarmente elevato, a cui viene proposto al consumatore, prezzo che fa sì che si indirizzi sostanzialmente a quella fascia medio e medio alta della popolazione con maggiori disponibilità, che già lo conosce in virtù di viaggi in Italia, di passaparola, di informazione dei media. Il prezzo determina altresì il posiziona-mento e, nel contempo, ne è una risultante, quindi un prezzo elevato non sempre deve considerarsi una vera debolezza;

• nella non sempre convinta e continua azione del fornitore che talvolta si colloca in una prospettiva di “cogli l’opportunità al volo”, anziché lavorare in un’ottica di medio lungo periodo;

• nel non costante rispetto degli standard concordati, in particolare in ortofrutta.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

7.1.7. I CANALI DI VENDITA DEL PRODOTTO ITALIANO

Il prodotto italiano si indirizza verso molteplici canali distributivi: grandi catene, ristora-zione, delicatessen e pure piccolo dettaglio.

I piccoli dettaglianti, in particolare di prodotti ortofrutticoli, non è raro che si approvvi-gionino nei mercati all’ingrosso locali o in quelli italiani (Udine, Verona, Padova e anche Bologna), con trasporto gestito direttamente da loro.

Pur con pesi ancora molto marginali, sta nascendo il canale della vendita online, come, ad esempio, il negozio Punto Italia di Budapest, attivo con una ricca offerta di prodotti italiani (Barilla, Lavazza, Kimbo, Fattorie Ferrarini, Roberto, Mutti, Brimi,…), secchi e freschi (incluso ortofrutta confezionata).

Nei grandi punti vendita della gdo il prodotto italiano è meglio rintracciabile e qui le marche che si ritrovano più di frequente sono:

ma pure Illy, Isola Bio, Kimbo, Ferrarini, Gran Moravia, Rio Mare, Zanetti,…

Entrare nelle catene significa, come avviene in Italia, investire nei listing fee e poi seguire il prodotto per aumentarne la rotazione e la notorietà, partecipando alle attività promo-zionali che le catene vanno costruendo nel corso dell’anno (volantini e tagli prezzo).

È certo però che le principali catene distributive, quelle che dispongono dei punti vendi-ta di maggiori dimensioni, con un parco clienti più disponibile a sperimentare prodotti diversi, non locali, di maggiore valore aggiunto, sono quelle inglesi, francesi, tedesche, austriache e ciò di certo non aiuta, a parità di ogni altra condizione, il referenziamento del prodotto italiano.

L’importatore ha un ruolo fondamentale: è lui che dialoga con la catena e valuta le op-portunità di inserimento e di vivacizzazione nel punto vendita, ma in ciò deve essere supportato dal fornitore che valuterà a sua volta i costi a proprio carico e i ritorni degli investimenti.

MARCHI

ALCE NERO LAVAZZA

BARILLA MARTINI

BERIO MONINI

BERTOLLI MUTTI

CINZANO OLITALIA

CIRIO PARMALAT

COLAVITA SEGAFREDO

FERRERO (NUTELLA, KINDER,…) VERGNANO

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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Mentre non pare che, salvo eccezioni, i fornitori italiani stipulino accordi direttamente con le catene.

In ortofrutta le catene esprimono comportamenti d’acquisto diversi le une dalle altre, comportamenti che le caratterizzano, ad esempio:

• Tesco acquista molto dai produttori dei diversi paesi, direttamente o attraverso intermediari;

• Spar acquista parte da produttori, parte da grossisti nei mercati all’ingrosso ungheresi;

• Lidl fa giungere il prodotto dalle sue piattaforme;

• Cba acquista soprattutto da grossisti dei mercati all’ingrosso ungheresi.

Le maggiori catene richiedono precisi standard (tracciabilità, tenore zuccherino, specifi-ca varietà, pack) e prezzi contenuti, d’altra parte il potere contrattuale è nelle loro mani.

Sempre nel settore ortofrutta il prodotto italiano può essere acquistato dalle catene presso grossisti in uno dei sei mercati ungheresi, presso grossisti operanti fuori mercato o direttamente in Italia.

Nel caso di acquisto presso un operatore italiano, l’acquirente non di rado si avvale di agenti o intermediari che aiutano a selezionare il fornitore, garantiscono, in una certa misura, quest’ultimo da rischi di credito e aiutano ad ottenere condizioni più vantaggiose.

I mercati ortofrutticoli all’ingrosso ungheresi sono alimentati anche da tanti agricoltori che portano giornalmente il loro prodotto di stagione ai grossisti o per la vendita diretta a negozianti e ristoratori.

Numerosi sono i prodotti italiani confezionati che si ritrovano nei grandi punti vendita, anche se talvolta in piccole quantità.

In tre settori la presenza italiana del prodotto confezionato appare più massiccia: pasta, caffè e olio di oliva, per quest’ultimo si deve osservare che non sempre si tratta di extravergine, ma pure di olio di oliva e di oliva e sansa.

Nell’olio di oliva, il prodotto a marca italiana è dominante, incalzato da qualche refe-renza spagnola; si deve però considerare che i consumi ungheresi sono molto orientatati verso l’olio di semi.

Mentre nella pasta, come detto in precedenza, grande è la quantità di prodotto ungherese (di qualità inferiore alla pasta italiana), e così pure nelle mozzarelle, considerate invece di buona qualità.

Anche i sughi pronti, con Barilla e Cirio, godono di un buono spazio.

Si deve poi osservare che le catene giocano fortemente le Private Label, non di rado con più linee, in tutti i prodotti che hanno una spiccata caratterizzazione di italianità: dalla pasta alle conserve di pomodoro, dall’olio al vino.

Nel vino, però, la presenza delle marche italiane è piuttosto debole: si rileva qualche sporadica e non sempre nota etichetta.

Segnaliamo, per semplice informazione, i prezzi (non in offerta - in euro) di alcune referenze rilevati in punti vendita a Budapest e nell’area circostante (cambio luglio 2013:1 euro = 295 huf).

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La ristorazione è un canale di indubbio interesse, soprattutto nell’area di Budapest e in particolare per il vino, ma è un canale da valutare con attenzione.

Vi sono società ungheresi specializzate nel foodservice, ma non si caratterizzano per di-mensioni robuste (tipo Marr o Quartiglia in Italia), d’altra parte pare che i ristoratori sia-no attivi nell’acquisto diretto da produttori e grossisti, anche oltre confine, con trasporto gestito in proprio.

PREZZI DI ALCUNE REFERENZE RILEVATI A BUDAPEST

PRODOTTO MARCA FORMATO PREZZO

caffè Lavazza Qualità Oro 250 gr. 3,878

caffè Segafredo 250 gr. 4,064

caffè Vergnano - barattolo 250 gr. 6,776

caffè Pellini Top - barattolo 250 gr. 8,603

crema spalmabile Nutella 400 gr. 2,834

burro Gran Moravia 250 gr. 1,963

gorgonzola Plus Bon - Dop 1000 gr. 15,220

latte Parmalat - intero 100 cl. 0,980

latte di riso Isola Bio 100 cl. 2,607

mozzarella Bufala Dop - Zanetti 100 gr. 2,468

panna spray Hoplà Tre Valli 250 gr. 1,692

olio extra vergine Monini 1000 ml. 8,102

olio extra vergine Olitalia 1000 ml. 8,407

olio extra vergine Berio 500 ml. 4,573

olio extra vergine Basso 500 ml. 4,664

passata Cirio - cartone 500 gr. 1,319

passata Mutti - cartone 500 gr. 1,488

pasta Colavita 500 gr. 1,251

pasta Barilla 500 gr. 1,285

sugo pronto Alce Nero Bio 200 gr. 3,441

sugo pronto Barilla 400 gr. 3,695

vino La Gioiosa 250 ml. 1,359

vino Lambrusco Casa Dell’Albero 750 ml. 3,725

vino Gavi Doc 750 ml. 5,081

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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Una variabile non marginale da considerare è la propensione dei ristoratori all’acquisto senza fattura, che l’elevata aliquota iva, passata nel 2102 dal 25 al 27%, sembra incentivare.

Si deve, inoltre, considerare il forte peso che Metro, la cui offerta si rivolge prioritaria-mente al canale Horeca, esprime nel panorama ungherese.

I ristoranti italiani sono di certo i più interessati al prodotto italiano e alcuni di questi, in particolare i più importanti, vedono tra i loro fornitori importatori di prodotti italiani.

Va però osservato che non pochi ristoranti ad insegna italiana, ad esempio “Da Raffael-lo” a Budapest, sono gestiti da ungheresi che in genere li hanno rilevati dal precedente titolare italiano.

In questi ristoranti ad insegna italiana e gestione ungherese, cuochi italiani vengono spesso chiamati per fare formazione sulla nostra cucina.

Nell’ambito degli ortaggi i ristoranti ungheresi sono orientati verso cipolle, patate, cavolfiori, peperoni, cetrioli, quelli italiani verso rucola e insalata mista.

Le pizzerie di Budapest si approvvigionano di filoni di pasta filata da produttori ungheresi.

Un altro canale di interesse per il prodotto italiano risulta quello dei negozi specializ-zati, i “delicatessen”, concentrati in Budpapest, tipo Culinaris Kft, Gusti Meditarreneo Kft, Olaszbolt Kft, ma non vi sono informazioni precise sul loro numero e sulle loro potenzialità in termini di acquisto.

I prodotti italiani, come tutti quelli di fascia alta e di qualità, subiscono ricarichi notevoli nei diversi passaggi che naturalmente variano in funzione di diversi parametri.

Dalle dichiarazioni raccolte risulta che gli importatori possono ricaricare a seconda delle tipologie di prodotto e delle marche, dal 30 al 50%, mentre le catene della gdo dal 40 al 150%, anche se questa ultima cifra ci sembra elevata.

7.1.8. BARRIERE ALL’IMPORTAZIONE

Non esistono barriere all’importazione dall’Italia, né sostanziali ostacoli burocratici.

Pare, però, che vi siano da parte delle autorità di vigilanza controlli frequenti sui vini di importazione circa la regolarità delle etichette e la corrispondenza del magazzino fisico con quello contabile. E anche in ortofrutta si segnalano numerosi controlli della polizia sugli automezzi che trasportano il prodotto ai punti vendita.

Nel caso di contestazioni, riguardanti prevalentemente l’origine del prodotto, il fornitore ungherese, responsabile del trasporto, deve fornire in poche ore la documentazione che attesti la regolarità del suo operato.

Le oscillazioni del fiorino nei confronti dell’euro, valuta dei paesi che rappresentano almeno il 60% dell’interscambio ungherese, senza dubbio qualche problema lo stanno creando agli importatori, almeno per una programmazione di medio periodo, ma sembra altresì che costoro già si siano abituati e riescano a convivere sufficientemente bene con le fluttuazioni della loro valuta.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

7.1.9. LE PROSPETTIVE DELL’ECONOMIA UNGHERESE E DELL’EXPORT ITALIANO

Il 2012 è stato un anno particolarmente critico per l’economia ungherese con il pil in fles-sione, per la prima volta dal 2009, dell’1,7%.

Il governo sta tenendo sotto controllo il deficit e il debito e nel giugno 2013 l’Unghe-ria è uscita dalla procedura di deficit eccessivo, pur non essendo un obiettivo ancora consolidato.

Nel perseguimento di questo obiettivo sono state introdotte nuove imposte che hanno colpito banche, catene gdo, terreni agricoli, utilities (gas, energia elettrica), tutti settori dove è forte la presenza di capitale estero e nei quali il governo ritiene che si siano realiz-zati nel recente passato grandi utili.

Inoltre vi sono stati aggravi di tariffe (vedi quelle autostradali), di tasse su transazioni fi-nanziarie, su rendite da capitale, su imballaggi,… ed è stata elevata al 27% l’aliquota iva.

Questa politica, restrittiva, di risanamento dei conti pubblici non ha certamente stimola-to i consumi.

Ma l’Ungheria ha buoni atout:

• logistica: il paese è un crocevia tra mercati dell’Est e dell’Ovest Europa;

• elevato livello di formazione delle giovani generazioni;

• costo del lavoro contenuto

che certamente aiuteranno nei prossimi anni, come già hanno aiutato negli anni scorsi.

Ora pare intravedersi qualche segnale di ripresa dei consumi, mentre il pil già nel 2013 ha messo a segno un dignitoso recupero pari all’1%.

Il trend dell’export italiano pare ben correlato al ciclo economico ungherese, quindi una ripresa del pil e dei consumi non può che favorirlo.

Ma il recupero del nostro export alimentare viene dai più posto in relazione soprattutto all’incremento turistico ungherese, di Budapest in particolare, e quindi al canale Horeca.

Riteniamo tuttavia che, come ha dichiarato un autorevole nostro interlocutore nel corso della visita nel paese, gli italiani per trarre buone soddisfazioni debbono lavorare con metodo, conoscere bene il territorio, i clienti e i canali di vendita e porsi obiettivi di lungo periodo, senza andare a caccia di occasioni mordi e fuggi, che possono offrire qualche ritorno nell’immediato, ma non consolidano la presenza e la qualità delle relazioni.

TREND DELL’EXPORT ITALIANO (MILIONI DI EURO)

2000 2008 2009 2010 2011 2012 2013

Alimentari 43 158 134 137 164 163 173

Bevande 5 22 13 19 41 43 38

Ortofrutta 11 65 42 55 59 54 43

Totale 59 245 189 211 264 260 254

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Per di più gli importatori e operatori ungheresi richiedono ancora maggiore collabo-razione, disponibilità ad investire e in ortofrutta grande attenzione agli standard del prodotto: il made in Italy si rafforza anche e soprattutto attraverso la qualità della relazione e la buon reputazione del fornitore.

7.2. REGNO UNITO

7.2.1. IL CONTESTO

Il contesto del Regno Unito, tracciato dalle pubblicazioni di Ice-Italian Trade Agency, Assocamerestero, The Italian Chamber of Commerce for the UK e Studio Cerbone, indi-ca una popolazione pari a 63,5 milioni di persone, di cui 8,2 milioni residenti a Londra. La comunità italiana si colloca sui 220 mila abitanti. È la sesta economia al mondo (la ter-za in Europa), oltre ad essere una delle più globalizzate. L’economia risente ancora, tut-tavia, della crisi iniziata nel 2009. Per arginare il problema del calo della domanda di beni di consumo, si sono diffuse strategie come il taglio dei prezzi e le vendite promozionali.

Il Regno Unito è uno dei maggiori mercati di sbocco per le produzioni alimentari del nostro paese. Le esportazioni italiane di prodotti alimentari e bevande verso il Regno Unito si collocano su un fatturato di 2,7 miliardi di euro (anno 2013). La variazione media annua dell’ultimo quinquennio è stata del 5,5%. La quota in valore detenuta dall’Italia è intorno al 6% dell’import complessivo britannico agroalimentare.

Nell’ambito dell’export italiano, si notano il vino con il 23%, la pasta (12%), gli ortaggi trasfor-mati - soprattutto derivati del pomodoro (16%), i formaggi (8%), i salumi (8%), l’olio (3%).

Per i prodotti alimentari, l’IVA è pari allo 0%, con poche eccezioni peraltro non riguar-danti i nostri flussi di export. I vini sono soggetti all’IVA del 20% e ad accise elevate (in-torno a £ 2,5 per litro).

Lo scenario della distribuzione alimentare vede un dominio dalle catene della Gdo bri-tannica.

Le prime quattro catene controllano circa l’80% della spesa complessiva delle famiglie britanniche per i prodotti alimentari. Negli ultimi anni è cresciuto il peso di distributori che adottano politiche di discount.

Tempi e costi di trasporto si possono rivelare una barriera importante per le aziende italiane di dimensione non elevata.

I consumatori di beni alimentari possono essere suddivisi in quattro categorie:

• i gourmless: acquirenti che prestano poca attenzione alla qualità e si focalizzano sulla praticità;

• gli unconvenience, che considerano la qualità e la freschezza elementi importanti nella scelta;

• i locals, che acquistano prodotti alimentari freschi in punti vendita di ridotte dimensioni;

• i puristi, che acquistano esclusivamente prodotti qualitativamente elevati, freschi e genuini.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

La sfida per l’imprenditore italiano che intende avere successo nel mercato britannico è quella di trovare la formula che coniughi tradizione e innovazione.

È importante puntare su qualità e su sapori particolari, su canali distributivi come ri-storazione e punti di vendita di alto livello che servono i segmenti di mercato sensibili a qualità, su rispetto per l’ambiente e consumo etico. La ristorazione italiana di alto livello negli ultimi anni si è andata sempre più affermando nel Regno Unito e special-mente a Londra.

Sono sempre più numerosi i consumatori sensibili alle problematiche dell’impatto del produttore sull’ambiente: si tratta di un tasto che è sempre più spesso considerato dalle imprese un elemento indispensabile per acquisire vantaggio competitivo. Le maggiori catene di supermercati hanno eliminato i contenitori non bio-degradabili in numerose linee di prodotto.

Prodotti biologici e commercio equo e solidale sono un fenomeno a crescente rilevanza.

7.2.2. I PARERI DELLE ISTITUZIONI

Il mercato del Regno Unito cresce sotto l’aspetto numerico, anche perché l’immigrazione si caratterizza per una elevata natalità. Si riscontra una immigrazione di livello piuttosto alto, se confrontata con quella che arriva in Italia.

Il mercato del Regno Unito è molto ricettivo verso i prodotti esteri e nei confronti del-le innovazioni. In particolare, è ricettivo verso le imprese alimentari italiane. Ci sono abitudini proprie del Regno Unito in ambito alimentare, ma la storia è un po’ povera da questo punto di vista. Anche per questo una larga fascia di popolazione è aperta al prodotto estero.

C’è un atteggiamento positivo verso il prodotto italiano, si è convinti che esista una buo-na tutela delle indicazioni geografiche. A Londra, soprattutto, il consumatore è attento, anche all’Italian style; nelle aree più rurali ci sono invece minori attenzioni e conoscenze.

Il consumatore dei grandi centri è più consapevole dei plus del prodotto italiano, per esempio in riferimento alla salvaguardia del territorio. Nelle altre zone, sono diversi gli atteggiamenti e pure gli stili alimentari. Londra è un caso particolare, dove la sensi-bilità è elevata e l’apertura verso costumi alimentari diversi è superiore. Nella capitale, esistono mercati finanziari pronti a sponsorizzare iniziative come Eataly. Le banche incentivano l’ingresso di nuovi operatori nella ristorazione e nella distribuzione, anche per cercare alternative alla Gdo. La ristorazione aiuta il prodotto italiano, in quanto offre solitamente i prodotti migliori.

L’Italia ha un rilevante spazio potenziale di crescita, ma la principale difficoltà è la di-mensione della classica azienda italiana; in tanti casi, non ci sono le risorse per investire in maniera adeguata. Le imprese italiane si dovrebbero organizzare in gruppi e consorzi, per affrontare adeguatamente questo mercato.

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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Altre importanti difficoltà nell’esportare nel Regno Unito sono legate ai costi di trasporto, alle accise su alcuni prodotti, e a tutto ciò che fa lievitare i prezzi finali, al punto che in tanti casi si rischia di essere fuori mercato rispetto ai prodotti locali. Ci sono inoltre referenze di altre provenienze molto competitive (dal punto di vista del prezzo) rispetto ai prodotti italiani, come i vini australiani venduti nei canali della Gdo.

L’Italia è vista come un paese di alto livello, in riferimento al food, ma l’italiano è percepito a volte come poco affidabile, un fornitore che non dà sicurezze. L’azienda italiana quindi genera prudenza e timori. Un consorzio di cooperative, data la maggiore dimensione, potrebbe fornire maggiori garanzie.

È necessario avere un buon rapporto qualità/prezzo, sono importanti la partecipazione alle fiere, una buona attenzione alla logistica, mentre gli investimenti nel brand richiedo-no cifre alquanto elevate, che solo le multinazionali riescono ad affrontare.

Altri problemi sono costituiti dal fatto che il mercato britannico dei prodotti alimentari è molto affollato e peraltro maturo, e da una piuttosto evidente e diffusa obesità.

È infatti in vigore un sistema di segnalazioni sulle confezioni dei prodotti, che indica le quantità di grassi, zuccheri, calorie, ecc. presenti nel prodotto. Da questo punto di vista, l’Italia offre referenze piuttosto pesanti, in genere, e la caratteristica peculiare del prodot-to italiano è in tanti casi da bollino rosso.

In questo momento, stanno affiorando molte rimostranze, per esempio da parte del setto-re dolciario, nei confronti del semaforo, ossia nei confronti della normativa che ha gene-rato una sorta di classificazione dei prodotti alimentari e che in un certo senso prevarica le posizioni dell’UE, tanto che è in corso una chiarificazione a livello europeo su questo sistema.

Quello del Regno Unito è un mercato che si caratterizza per una marcata presenza della Gdo, la quale detta letteralmente legge.

A fianco di una forte concentrazione della funzione di buyer, affiora la tendenza del consumatore a tornare ai supermercati a scapito degli ipermercati. I trend migliori li han-no per esempio i Sainsbury Local, con piccole dimensioni di vendita. Si sviluppa anche la vendita on line per le grandi spese.

Rispetto al mercato delle delicatessen, la Gdo è in aumento, a causa anche della crisi che ha favorito le soluzioni tendenzialmente economiche. C’è comunque una parte di popolazione con elevata capacità di acquisto, grazie alla quale le delicatessen mantengo-no una discreta quota di mercato.

Il prodotto italiano in tanti casi non entra nei canali della Gdo, trattandosi solitamente di un prodotto pregiato; le referenze italiane che entrano nella distribuzione moderna sono quelle che hanno un prezzo di base ridotto.

Un canale da non trascurare è quello dei fornitori della famiglia reale, si tratta di circa 250 prodotti, ri-selezionati ogni anno. I fornitori sono provenienti da tanti paesi.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Nel corso degli ultimi anni, gli inglesi hanno iniziato ad amare i mercatini locali, anche perché sono sempre più attenti alla natura e al concetto di km zero. C’è stata quindi una rivalutazione del prodotto locale, quello di stagione.

Il prodotto italiano meno tipico, per esempio ortofrutta, si scontra con la produzione locale; per gli ortaggi, per esempio, la provenienza locale è posta bene in evidenza. Si cerca di promuovere anche la salvaguardia ambientale e quella del lavoratore.

È anche vero però che, dal momento che si importa anche da Africa e Sud America, la provenienza italiana non è percepita come troppo distante, e se un prodotto non è pre-sente in loco, la referenza italiana è quasi considerata come una referenza locale.

L’Italian sounding porta via spazio ai prodotti realmente italiani, ma apre anche la porta a questi. In svariati casi, peraltro, se non ci fosse l’imitazione, difficilmente molti acqui-renti del prodotto imitatore si rivolgerebbero alla referenza realmente italiana, per il gap di prezzo in tanti casi rilevante. Forse si genera confusione, ma il consumatore è sempre più consapevole. L’imitazione fa leva spesso sull’acquisto di impulso.

Relativamente alla tutela rispetto all’Italian sounding, si fanno azioni legali e tante con-sultazioni pubbliche.

Nel Regno Unito, il concetto di cooperativa è piuttosto vago e non bene delimitato, fino a comprendere anche la joint-venture; si capiscono invece i significati degli enti no profit.

Il consumatore inglese, insomma, non ha chiaro il concetto di cooperativa, anche perché esistono cooperative di tipologia del tutto diversa, come The Cooperative nell’ambito della Gdo. È un plus da spendere maggiormente con il buyer, ma occorrerebbe raggiun-gere volumi maggiori, per garantire una massa critica superiore a quella che caratterizza la cooperativa media. Una dimensione maggiore comporterebbe una superiore resa de-gli investimenti.

Il consumatore inglese è attento al fair trade, per il contenuto e il significato etico, che viene collegato ai paesi in via di sviluppo, mentre per la cooperazione italiana si dovreb-be puntare sulla valenza della tracciabilità, sul controllo della filiera, sulla vicinanza alla produzione, sulla specificità del territorio, sulla genuinità del prodotto.

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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

7.2.3. I PARERI DEGLI OPERATORI

Gli operatori intervistati sono soprattutto importatori che riforniscono il canale Ho-reca (alberghi, ristoranti italiani di alto livello, ma anche trattorie di medio livello), le delicatessen, in alcuni casi la Gdo. Qualche importatore gestisce direttamente negozi o esercizi misti, come bar-ristoranti e delicatessen.

Ci sono sostanzialmente due categorie di importatori, specializzati per paese o specializ-zati per merceologia. Per esempio, nel caso del vino, ci sono importatori che trattano solo vino e comprano da tanti paesi, e quelli che lavorano su una gamma ampia di prodotti (non solo vino) e che sono specializzati sull’Italia.

Parte degli importatori non serve la Gdo, in alcuni casi a seguito di episodi spiacevoli. La Gdo non ha scrupoli morali ed è arrogante, ha affermato qualcuno, e nelle grandi superfici domina la private label. I buyer sono consapevoli del fatto che il mercato italiano è in crisi e che le imprese italiane sono costrette ad esportare; se ne approfittano, rendendo aspra la battaglia sui prezzi.

I prodotti italiani trattati dal singolo importatore possono essere anche oltre il migliaio, e spesso sono affiancati da acquisti di referenze di altri paesi, in special modo Spagna e Portogallo, poi Svizzera e altri.

Generalmente, i fornitori sono piccoli e medi produttori specializzati, in alcuni casi qual-che grande produttore.

In buona parte del Regno Unito, verso i prodotti italiani c’è molta apertura, non c’è più la diffidenza dei decenni scorsi. Si tratta di uno dei paesi europei più aperti ai prodotti esteri in generale. L’inglese verso la cucina straniera è innovativo e curioso. A Londra si trovano prodotti provenienti da tutto il mondo, ma soprattutto ciò che in loco non si può produrre o non sarebbe conveniente produrre.

IL SEMAFORO INGLESE SUGLI ALIMENTI

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

La domanda del prodotto italiano non proviene più solo da emigrati italiani, quindi, ma da un pubblico generalizzato di estrazione inglese, che apprezza il food italiano. La qualità richiesta oggi è ben superiore a quella richiesta decenni indietro dagli italiani residenti in UK. Spesso, chi cerca il prodotto italiano rappresenta una clientela tenden-zialmente ricca che cerca qualità superiore rispetto ai prodotti locali. Gli effetti della crisi economica sono ancora concreti per vaste fasce di popolazione.

La cucina italiana è ben apprezzata, per alcuni è l’unica vera cucina. A livello alimentare l’Italia viene associata alla tradizione. La tv inglese fa molta pubblicità all’Italia e ai suoi prodotti alimentari.

Per quanto riguarda i requisiti richiesti ai produttori italiani, emergono in modo parti-colare la precisione e l’efficienza, aspetti sui cui, secondo alcuni, le aziende italiane sono piuttosto carenti (“come qualità l’Italia è il meglio, ma è deludente nell’organizzazione e nel marketing”; “il prodotto italiano è più genuino di quelli concorrenti, quello che manca è l’orga-nizzazione”): molte aziende sono poco organizzate e non riescono ad assicurare la qualità in modo costante nel tempo (“il fornitore deve consegnare i prodotti ogni settimana, altrimenti viene scartato dalla catena”; “la chiusura in agosto provoca forti rischi di rotture di stock”; “oc-corre affidabilità nelle consegne, altrimenti a valle non si riescono a evadere gli ordini”).

Per altri, gli italiani sono molto approssimativi ma anche poco flessibili sulle esigenze del cliente. Per esempio, in riferimento alla disponibilità a consegnare bancali misti: si tende a consegnare 15 cartoni di una stessa referenza. Se è vero che il trasporto da Milano a Londra si fa in un week-end (diversi importatori impiegano un sistema logistico basato su corrieri e su piattaforma nel nord Italia: “la parte difficile è fare arrivare i prodotti dal sud Italia al nord Italia”), è altrettanto vero che in tanti casi il produttore non si rende bene conto delle problematiche del trasporto. Sulla pasta, il trasporto arriva a incidere fino al 50% del costo complessivo del prodotto. Il produttore deve impegnarsi per ot-timizzare i volumi di trasporto. La logistica è un problema quando si ha a che fare con aziende poco organizzate.

Il fornitore avveduto è quello che ascolta le esigenze e si rende disponibile a collaborare. Soprattutto inizialmente, deve fornire campioni e deve vendere bancali misti di prodotti, per sperimentare la vendita e vedere quali hanno successo.

Anche il tasting, per certi prodotti, può essere importante, magari nell’ambito di degu-stazione presso i ristoratori.

Spesso i fornitori non capiscono le esigenze del mercato locale, lo conoscono poco, e hanno una mentalità orientata al prodotto. In realtà, la situazione è molto diversa dal mercato italiano.

Una volta che il prezzo è stato concordato, è insomma importante la mentalità di business per garantire una costanza nella qualità. Il fornitore deve dare continuità alla qualità, e deve essere efficiente in modo da non ribaltare sul prezzo finale i suoi costi di produzione. La Spa-gna e l’Olanda sono entrate nella mentalità del consumatore, soprattutto garantendo conti-nuità e costanza qualitativa che l’Italia in tanti casi non è in grado di garantire. In Italia ci sono tante piccole realtà con buone potenzialità, ma è difficile aggregarle e coordinarle, è stato affermato. I produttori non devono necessariamente crescere, devono organizzarsi meglio.

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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

È soprattutto la fascia media del mercato ad essere dominata da Olanda e Spagna. Quest’ultima sta crescendo, anche come quantità, e secondo alcuni importatori ha un migliore rapporto qualità/prezzo. Ci sono prodotti spagnoli di buona qualità e a prezzi più bassi di quelli italiani (per esempio, le olive). Rispetto all’Italia, i produttori spa-gnoli sono penalizzati dal fatto di non avere la reputazione dei prodotti italiani, così come gli svizzeri, che tuttavia hanno i vantaggi legati alla serietà, alla puntualità, alla buona organizzazione.

A proposito di innovazioni, è stato affermato che l’Italia è positivamente percepita per le tradizioni, ma questo non esclude innovazioni per esempio in termini di packaging o restyling, magari finalizzate a una migliore conservazione o a una maggiore praticità. Se il prodotto non ha radicate tradizioni, allora può valere la pena di proporre referenze diverse da quelle già esistenti sul mercato in coerenza comunque con i sapori richiesti in UK (è stato fatto l’esempio dei tarallucci al caffè come prodotto pensato per il mercato inglese). Per servire la Gdo, in modo particolare, occorre fare innovazioni, altrimenti il prodotto rischia di sembrare antico o antiquato. Molte catene richiedono di innovare continuamente per poter restare tra i fornitori.

L’innovazione deve essere funzionale, ragionata e motivata, non può essere fine a se stessa (dal momento peraltro che comporta costi).

Cosa si chiede alle istituzioni, secondo i pareri degli operatori intervistati? Collaborare a livello europeo per ridurre la problematicità della legislazione e i problemi di univocità di interpretazione.

All’interno dell’Italia, occorre sburocratizzare (“ci sono almeno sedici enti che controllano produttori e distributori di vino; ne basterebbero tre, uno per la sanità, uno per la qualità, uno per le frodi di marchio”): in Italia è tutto difficile a livello burocratico, e questo ostacola l’intraprendenza. Lo Stato italiano deve facilitare la vita degli imprenditori: mentre nel Regno Unito si apre una società in un giorno, in Italia il procedimento è lungo e complicato, con un esercito di middle men che intervengono; “ci sono 3 mila leggi in Uk, 10 mila in Francia, 100 mila in Italia”. Sembra quasi, è stato affermato, che l’istituzione italiana intenda punire le iniziative; ci sarebbe ben maggiore competitività se lo Stato italiano rendesse tutto più semplice.

Un problema specifico su cui si chiede alle istituzioni italiane di intervenire è quello delle assicurazioni, che non dovrebbero essere legate all’intera attività svolta nel Paese, se si intendono assicurare solo ordinativi ridotti, altrimenti non è conveniente stipularle. Le compagnie di assicurazione non vogliono assumersi rischi, e per le nuove imprese diventa praticamente impossibile assicurare i propri crediti. La gestione dei crediti, è stato affermato, non dovrebbe essere in mano alle iniziative private (che hanno costi troppo elevati), sarebbero necessarie alternative a queste. Occorrerebbe insomma una tutela pubblica anche rispetto alle insolvenze.

Altri operatori hanno poi parlato delle imposte (le accise inglesi); si arriva infatti sul mercato con prezzi alti, anche con prodotti base, per cui se non si ha un marchio forte, diventa difficile sopravvivere.

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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

La pubblica amministrazione dovrebbe inoltre controllare maggiormente l’autenticità dei prodotti ed emettere normative più efficaci per la tutela. Molti produttori inglesi stanno imitando le referenze italiane: mozzarella Made in England, oliveti piantati in Galles, pizze surgelate, ecc.

Le opinioni raccolte sulle cooperative, nel ruolo di fornitori, sono state di vario genere.

Intanto, è stato specificato che ci sono cooperative ben organizzate ed efficienti (“certe co-operative sono esempi di eccellenza”), però ci sono anche cooperative che dal punto di vista commerciale sono alquanto carenti, scarsamente intraprendenti, a volte intersecate dalla sfera politica. In modo particolare, quando la cooperativa non delega ai dirigenti, diventa piuttosto difficile dialogare (“bisogna sempre trattare con il presidente”; “quando non c’è una figura incaricata delle vendite, si ha l’impressione che non ci sia nemmeno un grande interesse a vendere”).

Essendo aggregazioni di tante teste, l’iter decisionale tende a prolungarsi nel tempo; diventa più difficoltoso decidere di investire nell’innovazione ed è inferiore la disponibi-lità a prendersi il rischio di investire in generale. Secondo diversi operatori interpellati, insomma, le cooperative sono poco orientate al rischio, preferiscono il profitto di oggi e la ripartizione di un buon margine tra i soci.

Molte cooperative, poi, non hanno la massa critica e sono bloccate nella produzione con-ferita dai soci.

Per quanto riguarda la percezione e la conoscenza del consumatore inglese, è stato affer-mato dagli operatori intervistati che proclamare di essere una cooperativa non è molto rilevante, dal momento che nel Regno Unito non è diffusa la conoscenza delle coopera-tive come quelle italiane. Semmai, si pensa a un’entità di grande dimensione perché ci si collega a The Co-operative, che in origine era una vera cooperativa, oggi è in realtà un colosso della distribuzione diversificato in tanti settori (tra cui quello creditizio).

In altri termini, comunicare di essere una cooperativa di per sé non serve; ciò nono-stante, si tratta di un potenziale valore, ma occorre che sia ben spiegato come struttura e obiettivi, e si devono porre alcuni punti di forza in evidenza: per esempio, il rispetto dell’ambiente (cresce l’attenzione all’ambiente e all’adozione di processi in linea con la salvaguardia ambientale, allo spopolamento dell’agricoltura, ecc.); l’idea della vicinanza all’agricoltore e gli effetti positivi per i soci; il controllo della filiera; ecc. Occorre, natu-ralmente, avere la capacità di comunicare questi plus; “lo stesso Parmigiano non comunica nessun messaggio sul beneficio per i soci allevatori”.

In Inghilterra, esistono tante charity foundations a cui sono collegate le singole aziende; l’inglese è sensibile e vuole esprimere questa sensibilità in atti di acquisto quotidiani. Alcune aziende creano proprie charity, altre aderiscono a charity esistenti. Ovviamente, il fair trade non è percepito adatto all’Italia, ma la cooperativa può ugualmente porre in risalto il proprio impegno di tipo sociale, ambientale, ecc. affinché possa salire di livello rispetto alle altre aziende.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

7.2.4. I PARERI DEI CONSUMATORI

Dalle discussioni di gruppo è emerso chiaramente che la reputazione dei prodotti ali-mentari italiani è davvero eccellente.

Un numero crescente di inglesi ha una passione per la cucina, e il cibo italiano è adatto a questo uso, dato che non rientra nel concetto di fast food, è percepito come fresco e facile da preparare. Soprattutto comunica salute, entusiasmo, freschezza, tutti fattori che si possono porre in evidenza da parte dei produttori italiani. Per esempio, le preferenze vanno decisamente alla mozzarella italiana, rispetto a una versione inglese o tedesca. Un prodotto troppo basico, dal prezzo basso, come la mozzarella Cheese Ball, non viene attribuita all’Italia, proprio in virtù di queste caratteristiche.

La percezione della provenienza italiana è nel contempo quella di prodotti costosi; nono-stante questo, si comprano, se non c’è un corrispondente prodotto locale, come avviene per le arance. Nel caso del vino, per esempio, i prodotti realizzati nel Regno Unito sono poco numerosi in confronto a Francia o Italia.

In altri casi, si tratta di acquisti fatti non in modo routinario, bensì per occasioni partico-lari o per concedersi un lusso.

Alcuni ipotizzano che i produttori italiani siano piuttosto grandi, ma limitatamente ai prodotti che si trovano nei supermercati, dal momento che hanno la forza e l’organiz-zazione per arrivare alla Gdo del Regno Unito. Il prodotto italiano reperibile nel piccolo negozio è invece più probabilmente proveniente da un piccolo agricoltore.

La dimensione del produttore incide sulla scelta, con una preferenza per la piccola azien-da (che “tende ad essere più attenta alla qualità, mentre crescendo perde parte delle sue motiva-zioni”), anche se a volte la confezione volutamente richiama l’idea di un piccolo podere, ma in modo non corrispondente alla realtà.

La Gran Bretagna è un’isola, rientra nella sua cultura il ricorso all’importazione. A Lon-dra, in modo particolare, l’offerta di prodotti esteri è molto vasta, fuori dalle grandi città c’è meno scelta; i piccoli paesi non sono altrettanto multietnici.

Si è abituati ad acquistare svariate tipologie di frutta e verdura da tanti paesi al mondo, in quanto il Regno Unito non ne produce. Per altre varietà, come le mele, dispiace invece vedere una bella produzione locale a fianco di tante referenze estere.

Se un prodotto è realizzato anche in loco, solitamente si privilegia il prodotto locale, anche per sostenere il piccolo produttore e l’economia locale; dall’estero, si apprezza-no le specialità che non sono realizzate in loco o che non sono disponibili in quantità sufficienti.

La conoscenza dell’origine del prodotto è importante per certe categorie merceologiche (per esempio, la pasta o il pesto devono essere italiani): questo vale soprattutto per i prodotti che si ipotizzano come tipici.

In certi casi, la provenienza non è chiara. Se questa scarsa chiarezza si ha quando si acquistano determinati prodotti (come la carne e il pesce), si tende a rifiutare l’acquisto.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Quanto deve essere precisa la provenienza? In certi casi, è sufficiente citare la nazione, in altri casi l’indicazione della regione è (da parte di alcuni) gradita. Una provenienza dall’UE è senza dubbio troppo generica. È ritenuto ancora più riprovevole chi importa prodotti poi li spaccia per inglesi; è quanto si verifica per esempio per pasta, olio di oliva, pomodoro.

Dai focus group realizzati, è emersa una delimitazione piuttosto chiara fra un’origine italiana e il richiamo a una ricetta o a uno stile italiano.

Se si scrive che un prodotto è ispirato all’Italia, si ipotizza che non provenga da questo paese (“per esserne certi, però, bisognerebbe leggere attentamente le etichette, ma non sempre si ha il tempo per farlo”). In linea di massima, quindi, il consumatore inglese non è tratto in inganno dalle parole Italian style, e ritiene che questi termini siano evidenziati sulla con-fezione semplicemente per ricordare la cultura e l’ambiente dell’Italia.

Nel caso della confezione di spaghetti alla carbonara, mostrata agli intervistati, sembra chiaro che il prodotto non è italiano, e che “potrebbe avere al massimo qualche ingrediente italiano”. Nulla di illegale, insomma: si legge che è pasta italiana, ma non che è stata pro-dotta in Italia.

Anche nel caso dell’Italian salad, si tratta di stile italiano, non si vuole convincere che la provenienza è italiana.

Medesima affermazione può essere ripetuta a proposito della pizza, sulla cui confezione si dice che è un prodotto ispirato all’Italia.

Fanno eccezione alcune strategie valutate come discutibili, basate per esempio su scritte piccole o su ingannevoli suggestioni italiane; è stata citata la Dolmio, che pubblicizza in Tv prodotti dallo stile italiano, basandosi su una famiglia pseudo-italiana, che inganna anche tramite l’accento.

Se si escludono queste eccezioni, solo una parte minoritaria di consumatori, meno accorti oppure che acquistano velocemente, di fronte a un prodotto che dichiara “ispirato all’Ita-lia” potrebbero pensare a un’origine italiana.

Se invece sulla confezione figura scritto solamente “Italian”, si deduce che il prodotto sia italiano. Se così non fosse, si tratterebbe di un atto disonesto e ingannevole: questo parere è stato praticamente unanime; “la legge consente, come produzione locale del Regno Unito, un prodotto tipo prosciutto di Parma, ma non il Parma vero e proprio; così come è legale la confezione che riporta la dicitura: yogurt tipo greco”.

Ci sono però situazioni più complesse e articolate. Intanto, entra in gioco la credibilità dell’insegna del distributore: M&S per esempio viene giudicata una insegna affidabile, che non cerca di mistificare la provenienza.

Se un formaggio, un salume o un vino vengono realizzati da una famiglia di emigrati italiani da lunga data presenti sul territorio del Regno Unito, questi prodotti non sono considerati italiani a tutti gli effetti, sia perché i produttori si sono in un certo senso “in-glesizzati”, sia perché la materia prima è prodotta nel Regno Unito. È una sorta di ibrido, come nel caso di un’azienda italiana che si è delocalizzata nel Regno Unito, da conside-rare semi-italiana per la sua base e per l’esperienza pregressa.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Dubbi emergono a proposito delle private label: il prodotto si ipotizza realizzato in loco da una fabbrica di proprietà del distributore oppure da un’azienda che ha contratti speciali con la catena, e in questo secondo caso l’impresa in questione potrebbe essere italiana.

Per quanto riguarda il concetto di cooperativa, per molti consumatori affiora l’evoca-zione di una grande dimensione, in virtù del collegamento all’insegna della Gdo “The Cooperative”. Ad altri, questo termine non fa pensare a nulla (“non è un concetto familiare al consumatore britannico, non ci sono informazioni evidenziate al riguardo, nei negozi o sulle confezioni”); tanto che spesso non si sa nemmeno come affrontare una eventuale scel-ta in negozio fra provenienza cooperativa e altra provenienza. Anche in riferimento al prezzo, non si immaginano diversità tra cooperativa e privato, sempre per il fatto che non si hanno impressioni al riguardo.

Solo per una minoranza di consumatori, il termine cooperativa si associa a un gruppo di contadini che vendono insieme i loro prodotti (“e che non lavorano con scopi di lucro”, ha aggiunto qualcuno).

Adottando quest’ultima ottica, il valore da comunicare non è quello della cooperati-va, in sé e per sé, ma il fatto che questo “gruppo di produttori” può curare e seguire il proprio prodotto fino dall’origine, offrendo così garanzie e maggiore protezione a prodotto e produttori. Si ipotizza che sia più probabilmente un prodotto non trasformato come l’insalata, emotivamente vicina al produttore oltre che più facile da realizzare (non occorrono impianti complicati), ad avere come matrice una cooperativa.

Per entrare nel Regno Unito, è stato affermato, oltre che proporre una buona qualità del prodotto, le cooperative italiane dovrebbero caratterizzarsi da un marchio collettivo con fondo etico, quasi come il marchio del fair trade. Ma non proprio aderente alla logica del fair trade, che sarebbe sorprendente in relazione a prodotti italiani, in quanto adatta a paesi in via di sviluppo.

Per inciso, è emerso dalle discussioni con i consumatori che quando si acquistano prodotti nell’ambito del fair trade, non sono assenti dubbi sul fatto che questa etichetta venga impiegata in modo sempre corretto. Soprattutto, non si è sicuri che il differenziale di prezzo vada a beneficio del produttore.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Prodotti mostrati ai consumatori

PRIMO PIATTO PRODOTTO NEL REGNO UNITO

PASTA FRESCA ITALIANA

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Prodotti mostrati ai consumatori

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

MOZZARELLA PRODOTTA IN ITALIA

MOZZARELLA PRODOTTA IN GERMANIA

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

PARMIGIANO REGGIANO GRATTUGIATO

MIX DI QUARTA GAMMA, STILE ITALIANO, PRODOTTO LOCALE

Prodotti mostrati ai consumatori

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

PIZZA PRODOTTA NEL REGNO UNITO

Prodotti mostrati ai consumatori

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

7.3. SVEZIA

7.3.1. IL CONTESTO

Il contesto del paese, tracciato dalle pubblicazioni di Ice-Italian Trade Agency, Assocamerestero e Studio Cerbone, indica una popolazione di 9,4 milioni di abi-tanti, in crescita grazie ad immigrazione e incremento delle nascite.

Più del 30% della popolazione è concentrato nel triangolo Stoccolma, Goteborg e Malmö, mentre il settentrione è piuttosto spopolato, ad eccezione della costa.

L’economia della Svezia, in termini di PIL, è la nona per dimensione dell’Unione Europea e contribuisce per il 2,4% al PIL dell’UE a 27 a fronte dell’1,8% della po-polazione. Il reddito medio pro capite è pari al 117% del livello medio UE 27. Con un indice Gini di 25 la Svezia vanta il terzo miglior coefficiente a livello mondiale in termini di distribuzione della ricchezza. ueste caratteristiche rendono la Svezia un mercato attrattivo soprattutto per i produttori di beni di largo consumo.

La crisi economico-finanziaria internazionale iniziata nel 2008 ha avuto ricadute anche sull’economia svedese, ma a partire dalla fine del 2009 si sono evidenziati segnali di una progressiva uscita dalla crisi.

Il sistema distributivo svedese è tra i più oligopolisti al mondo, e questo attribui-sce ai buyer un rilevante potere contrattuale.

Le singole catene distributive stanno diventando sempre più grosse, specializzate ed integrate; il potere d’acquisto dei dettaglianti sta diventando sempre più forte grazie anche al ruolo svolto dalle loro strutture associative.

Stanno scomparendo i magazzini dei punti vendita per cui sempre più un pro-dotto viene immesso negli scaffali solamente se il fornitore può assicurare un rifornimento puntuale.

Questi centri d´acquisto e catene di distribuzione curano “centralmente” tutti gli aspetti relativi agli acquisti, al marketing, ai contatti con i fornitori nazionali ed esteri.

Per introdursi nel mercato svedese dei beni di consumo è importante collaborare con agenti, grossisti, importatori che abbiano non solo una buona conoscenza del gusto dei consumatori e delle loro abitudini di acquisto e consumo ma soprattut-to sappiano rapportarsi con la distribuzione.

La Svezia è un mercato di interesse per diverse tipologie di prodotti italiani, tra cui i vini e i prodotti agro-alimentari di qualità.

Le esportazioni italiane in Svezia hanno raggiunto, nel 2013, il livello di 380 milioni di euro per gli alimentari, 150 milioni di euro per le bevande. Negli ultimi cinque anni, il tasso medio annuo di incremento dell’export italiano agro-alimentare verso la Svezia è stato superiore al 10%. Tra le categorie più importanti, figura il vino, con quasi il 27% del totale. Il ”Made in Italy” in Svezia gode di un’ottima reputazione.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Le bevande alcoliche di gradazione superiore al 2,8% possono essere distribuite al pubblico unicamente tramite Systembolaget, oppure possono essere vendute al comparto Horeca; in entrambi i casi, l’importazione avviene solo tramite importatori registrati e dotati di licenza svedese.

L’aliquota Iva sui prodotti alimentari è del 12%.

Il consumatore svedese è piuttosto selettivo, consapevole di quanto è prepara-to a spendere per i singoli prodotti, attento agli aspetti ecologici ed etici delle produzioni.

Il mercato dei prodotti biologici continua a conquistare quote a scapito del mercato convenzionale. Anche il ventaglio dei prodotti biologici è sempre più´vasto. Ciò è legato anche alla crescente affezione della classe media urbana (circa il 90% della popolazione) verso stili di consumo salutistici.

7.3.2. I PARERI DELLE ISTITUZIONI

Secondo i principali pareri raccolti, per entrare nel mercato svedese occorre innanzi tutto evitare la concorrenza diretta con aziende già presenti, cercando di offrire qualche aspetto di novità o un plus diverso (servizio, tipicità, ecc.).

Si entra più facilmente con prodotti di nicchia e differenziati, per esempio con olio di oliva extravergine di livello qualitativo superiore.

Lo svedese è aperto alle novità, ma questo non significa una apertura a tutti i prodotti, indistintamente. Per un prodotto nuovo, occorre quindi capire se è adatto al consumatore svedese e alle sue peculiarità, ai suoi gusti.

Una fase importante è l’analisi delle merceologie esistenti sugli scaffali, che eventualmente possano svolgere un ruolo di traino o che abbiano già svolto una funzione di apripista.

In linea generale, la Svezia è un mercato piuttosto accessibile. I fattori principali a cui prestare attenzione sono il prodotto (non tutti i prodotti hanno una domanda consistente in Svezia), la lingua (non è raro che l’impresa ambisca a esportare in Svezia senza conoscere nemmeno l’inglese) e una serietà di comportamento.

Per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto, gli importatori (a volte si tratta di svedesi, altre volte di italiani, magari emigrati in Scandinavia) sono fondamentali per individuare i profili corretti; non raramente, il successo sul mercato dipende proprio da queste figure commerciali.

Gli svedesi sono estremamente corretti dal punto di vista commerciale (il paga-mento è preciso a 30 giorni) e pretendono altrettanta serietà (per esempio, puntua-lità delle consegne). Con i clienti svedesi occorre essere sempre trasparenti e diretti.

Il settore alimentare vede svariate aziende italiane presenti sugli scaffali svedesi.

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Questo è vero soprattutto per le grandi città. Le altre zone hanno una densità abitativa molto limitata. Se un prodotto è accettato, si può diffondere ovunque, insomma, ma buona parte del mercato è nel sud del Paese.

C’è una buona apertura verso i prodotti esteri e l’Italia gode di un’ottima fama relativamente al food, tanto da essere il paese meglio posizionato. Non a caso, spesso sugli scaffali si rischia la rottura di stock nel caso dell’olio extravergine, della pasta, del pomodoro, ecc. L’apertura degli svedesi fa sì che si cerchi anche il prodotto asiatico, quello sudamericano, ma l’Italia per ora è imbattibile, anche rispetto a Francia e Spagna.

Non avendo forti e radicate tradizioni alimentari, il consumatore svedese non necessariamente è in grado di capire subito come si utilizza un prodotto, con quali piatti e bevande va accostato, con quali ricette deve essere impiegato. Fa eccezione il caso in cui il prodotto è stato conosciuto tramite la frequentazione dei canali della ristorazione. Occorre quindi spiegare le modalità di utilizzo, senza dare per scontato aspetti che in Italia sarebbero da ritenere consolidati. Positive, solitamente, sono le iniziative basate su stand e dimostratori al supermercato.

C’è attenzione al prodotto di prossimità, nell’ottica di ridurre le fonti di inquina-mento, ma la Svezia non produce tanti prodotti alimentari, per esempio nell’ambito della verdura, quindi gli svedesi sono abituati a prodotti provenienti dall’estero.

Il biologico sta crescendo in misura rilevante, in particolar modo per quanto ri-guarda i vini. La Svezia si sta indirizzando con sempre maggiore decisione verso il consumo di prodotti biologici, ma in questo mercato i canali sono affollati, so-prattutto se si considerano i prodotti base. Cresce anche la domanda di biodina-mico, per segmenti più piccoli, ma pure di valenze etiche, equosolidali (riferite ai paesi in via di sviluppo).

La distribuzione svedese è in mano a poche insegne; tre di queste, in modo parti-colare, gestiscono una quota assolutamente maggioritaria degli acquisti food. Le cooperative, se vogliono servire la Gdo, devono consorziarsi, anche per raggiun-gere quantità sufficienti per la fornitura.

Oltre alla Gdo, ci sono gli importatori che trattano prodotti di nicchia, e quelli che si interfacciano con la ristorazione. Questi distributori non gestiscono solamente il mercato svedese, ma anche quelli norvegese e danese.

Una parte prioritaria degli importatori, quindi, serve l’Horeca e/o le delicatessen, altri servono pure la Gdo, soprattutto in riferimento a quella fascia di acquisti ge-stiti con una certa libertà a livello di punto vendita, in base alle peculiarità della domanda di una determinata zona. Per fare un esempio, gli importatori di vino sono circa 600. Nel caso del food, il numero è senz’altro superiore.

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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Alcuni importatori stanno perseguendo una strategia di integrazione verticale a valle, aprendo loro stessi punti vendita al dettaglio. Altri importatori, a volte di origine italiana, hanno creato proprie marche.

Il consumatore svedese conosce il concetto di cooperativa, ma sull’esempio di Coop Konsum, nell’ambito della Gdo. A parte questo, il concetto di cooperativa non è conosciuto e non è rilevante. Sono però rilevanti la leva della componente etica e quella del controllo della filiera.

Occorrono quindi strategie di marketing e comunicazione che pongano in evidenza tutti gli aspetti presenti alle spalle di una cooperativa tipo italiana, che la possono caratterizzare. Per esempio, la particolare cura delle fasi di lavora-zione, le componenti etiche, il benessere animale, la sostenibilità ambientale, ecc.

7.3.3. I PARERI DEGLI OPERATORI

Dai pareri raccolti dagli operatori commerciali risulta che l’orientamento ai pro-dotti italiani è forte, ma risente di problemi legati ad alcuni scandali, come quello della Terra dei Fuochi. Anche le notizie sulla mafia colpiscono negativamente l’opinione pubblica.

L’Italian sounding è un fenomeno molto diffuso in tanti settori: per esempio, formaggi, salumi, gelati, ecc. Sul mercato svedese, il lavoro da fare è ancora molto per contrastare i prodotti italiani di bassa qualità e per diffondere una chiara immagine dei prodotti di elevata qualità.

Il sud della Svezia presenta una mentalità più aperta al mondo, soprattut-to nell’ambito delle grandi città, mentre le regioni settentrionali sono più chiuse e maggiormente nazionaliste. Le abitudini di consumo sono di conseguenza alquanto differenti.

Date le distanze che caratterizzano questo mercato e la forte concentrazione del mercato in alcune città del sud del Paese, difficilmente si ha la convenienza e conomica a raggiungere mercati lontani. Si rischierebbe di affrontare costi logistici altissimi per vendere poche unità di prodotto.

La Svezia produce pochi prodotti alimentari, quindi non ci sono grossi rischi di andare in sovrapposizione con le produzioni locali. Per esempio, le mele svedesi sono molto diverse da quelle italiane.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Tra i principali criteri di scelta dei fornitori, rientrano l’attenzione alle materie prime e alla loro provenienza, oltre a un packaging curato; per esempio, è vivace il dibattito sulla latta nell’ambito del confezionamento.

È importante l’affidabilità in materia logistica, altrimenti lo stesso importatore rischia di perdere l’immagine e la reputazione. Sono state riportate situazioni di piccole imprese in difficoltà anche solamente nel arrivare al centro logistico sul territorio italiano da cui partono i prodotti per raggiungere la Svezia.

Altre carenze riguardano il packaging, in tanti casi trascurato, eccessivamente semplice, quasi povero rispetto allo spessore qualitativo del prodotto contenuto. La confezione ha un ruolo importante nel creare un impatto positivo nei confronti del consumatore svedese. Questo è a maggior ragione vero per i prodotti impor-tati, che sono mediamente più costosi di quelli locali, per cui le pretese sono di conseguenza superiori.

Un prodotto dal packaging povero è percepito come un prodotto che vale la pena di acquistare solo se il prezzo è molto conveniente. In altri termini, è stato affer-mato, “non si può avere successo con prodotti ottimi per qualità, ma proposti con confe-zioni adatte al discount”.

Il packaging italiano, inoltre, rispetto a quello richiesto sul mercato svedese, soli-tamente contiene troppo testo.

Per una piccola azienda, è più facile esportare in Svezia nell’ambito dei prodotti di nicchia, per i quali si cerca la qualità, mentre nei canali della Gdo occorre pro-durre e assicurare grandi volumi.

Il rischio delle piccole imprese è legato a una organizzazione non adeguata, per esempio in riferimento all’etichettatura, all’utilizzo non corretto della lingua loca-le, alla movimentazione poco tempestiva delle merci.

Secondo gli operatori interpellati, una gestione cooperativa non presenta aspetti negativi, ma nemmeno particolarmente positivi. Il concetto di cooperativa non è ben conosciuto, al massimo si capisce che si tratta di un insieme di produttori. Lo svedese può però essere sensibile al fatto che con la cooperazione si sostengono gli agricoltori; un’altra leva su cui puntare è quella della tracciabilità.

Occorre dare una chiara giustificazione collegata all’acquisto di un prodotto che ha compiuto tanti km di trasporto, altrimenti si preferisce il prodotto a km zero o comunque quello che proviene da aree limitrofe. Il consumatore svedese è infatti sempre più attento all’ambiente. La giustificazione, nel caso di una cooperativa, può consistere nel profilo qualitativo particolarmente interessante, nel sostegno a piccole realtà territoriali, oltre che nell’assenza di prodotti analoghi in loco.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

7.3.4. I PARERI DEI CONSUMATORI

L’Italia ha un’ottima immagine presso i consumatori svedesi, la cucina italiana non è altezzosa come quella francese, genera anzi l’idea di contesti amichevoli per tutti, di piatti piuttosto facili da preparare, con il calore del piccolo produttore.

Alcuni ipotizzano che in Italia ci siano tante piccole aziende, spesso a gestione familiare, ma che quelle che arrivano in Svezia siano probabilmente le più grandi.

Sarebbe invece opportuno diffondere l’idea che anche piccoli gruppi, se bene organizzati, possono esportare, dal momento che emerge una preferenza, almeno teorica, a favore della piccola impresa in confronto alla grande azienda.

Le multinazionali sono sempre meno amate. Si ritiene che parte di queste sfruttino la manodopera, per cui emerge la volontà di boicottarle.

Il trend del consumatore è rivolto all’eco-friendly. Diversi intervistati scelgo-no frutta e verdura in base ai contenuti etici o di salvaguardia dell’ambiente; si riscontra anche una disponibilità a pagare una cifra leggermente superiore, evitando brand internazionali, considerati scarsamente etici.

Un numero crescente di consumatori svedesi sembra orientato a preferire prodotti locali, almeno come pulsione, pensando sia all’ambiente, sia all’economia locale, sia infine alla salute. Ma si tollerano anche i trasporti, da un lato per sostenere lo sviluppo dell’economia di paesi in difficoltà, dall’altro quando un prodotto non viene realizzato nel proprio territorio. Soprattutto in certe stagioni (inverno), è normale per esempio vedere frutta e verdura proveniente dall’estero o addirittura da altri continenti. Anche per il vino non si cerca il prodotto locale, dal momento che la Svezia non ne produce, se non in minima parte.

È importante che la provenienza sia specificata in modo chiaro. Infastidisce il fatto di non trovare l’indicazione precisa della provenienza, soprattutto per certe categorie di prodotti alimentari, al punto di rinunciare all’acquisto. Diversa è la situazione relativa a prodotti non food, come i detersivi.

Tra le provenienze estere preferite, rientrano la Spagna e soprattutto l’Italia, entrambe caratterizzate da tante specialità.

Si ha però l’impressione che il prodotto italiano abbia un sapore migliore se acquistato in Italia, ma diversi consumatori hanno ammesso che si tratta soprattutto di un fattore emotivo, connesso al contesto. Diventerebbe quin-di una variabile importante la ricostruzione di un certo contesto anche per i momenti di acquisto e di consumo in Svezia, per esempio con ambientazioni particolari nel punto vendita.

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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

L’osservazione di alcuni prodotti da parte degli intervistati nel corso dei focus group ha evidenziato che esiste una chiara differenza fra origine italiana e il con-cetto di ispirazione all’Italia.

Il mix di quarta gamma, per esempio, non è stato attribuito all’Italia, si ritiene che sia svedese; i termini “Italiensk mix” starebbero a indicare uno stile. Lo stesso packaging, nel suo complesso, dà l’idea di una produzione svedese. È stato quin-di giudicato legale, anche se si richiama al concetto di italiano.

Pure il nome bolognese, riferito al condimento per pizza, significa ispirato all’Ita-lia, ma non prodotto in Italia. Bolognese è come il termine pizza, molto comune in Svezia, riferito a una ricetta, a un modo di cucinare. È sinonimo di pasta al ragù.

Anche salami è una parola di uso assolutamente comune.

Pure alcuni simboli, come la sagoma della penisola o la bandiera italiana, sono giudicati da parte di molti consumatori legalmente utilizzabili, dal momento che si limitano a suggerire il collegamento alla cultura italiana, senza dichiarare una provenienza italiana.

È emerso anche che un prodotto italiano che ha come portabandiera un testimo-nial svedese rischia di perdere un poco di nitidezza della percezione, per lo meno a livello emotivo. È il caso del Parmigiano-Reggiano garantito dal politico natu-ralizzato svedese Anna Maria Bildt.

A proposito di cooperative, l’associazione che molti consumatori effettuano si ri-ferisce alla Coop Konsum (“è una realtà industriale, non è più una vera cooperativa”; “è sullo stesso livello di Ica”). Di conseguenza, un’azienda privata è immaginata come un’impresa più piccola e quindi, in tanti casi, con maggiore attenzione de-dicata alla qualità.

Altri consumatori, non esistendo in Svezia cooperative come quelle italiane, non hanno nemmeno un sentimento nei confronti delle cooperative stesse, perché non capiscono di cosa si stia parlando.

Sarà importante per le cooperative italiane fornire una serie di informazioni per dimostrare che si tratta di piccole realtà legate al settore primario. I consumatori svedesi sono disposti a spendere qualcosa in più per contenuti di garanzia, genu-inità, rispetto dell’ambiente, biologico, ecc.

Occorre insomma comunicare l’immagine della cooperativa italiana, facendo ca-pire che si tratta di piccoli gruppi di agricoltori legati alla terra. In questo caso, potrebbe ispirare l’idea di aiutare le cooperative, se piccole, a resistere all’econo-mia globale e alla grande industria.

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Prodotti mostrati ai consumatori

GRATTUGIATO DISIDRATATO, PRODOTTO IN ITALIA

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Prodotti mostrati ai consumatori

ANTIPASTO, PRODOTTO IN ITALIA, CON TESTIMONIAL SVEDESE

CONDIMENTO DISIDRATATO, PRODOTTO IN SVEZIA

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Prodotti mostrati ai consumatori

MIX DI QUARTA GAMMA, PRODOTTO IN SVEZIA

FORMAGGIO PER PIZZA, PRODOTTO IN SVEZIA

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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Prodotti mostrati ai consumatori

CREMA DI PESTO, CON GARANZIA DI UN PERSONAGGIO SPORTIVO SVEDESE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Prodotti mostrati ai consumatori

PARMIGIANO-REGGIANO CON GARANZIA DI UN TESTIMONIAL LOCALE (ANNA MARIA BILDT, POLITICO NATURALIZZATO SVEDESE)

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

7.4. IL GIOCO COMPETITIVO ATTRAVERSO LA LETTURA DEGLI SCAFFALI

7.4.1. UNA ANALISI QUANTITATIVA

I risultati esposti in questo capitolo derivano da rilevazioni in store compiute in una serie di punti vendita della distribuzione moderna svedese e inglese (medie e grandi superfici). Il campione non ha la pretesa di essere statisticamente significa-tivo per le realtà nazionali nel loro complesso, ma intende comunque fornire una serie di spunti conoscitivi sugli orientamenti strategici adottati. Per esempio, in riferimento alle tecniche di merchandising, mirate a ottenere la redditività dello spazio nel negozio, e al layout del punto vendita, quindi alla ripartizione degli spazi e all’impiego di determinate attrezzature.

Le rilevazioni sono state effettuate nella seconda settimana di settembre 2013 (Svezia) e nella settimana centrale di ottobre 2013 (Regno Unito).

I principali parametri presi in considerazione sono:

• la superficie di vendita destinata al food e la superficie di vendita di alcuni reparti (salumi, formaggi, ortofrutta, vino);

• il numero medio di livelli espositivi, ossia il numero medio di piani (in verti-cale) dello scaffale;

• il lineare del singolo reparto, ossia l’estensione degli scaffali in una dimensione lineare. Più precisamente, si è considerato sia il lineare a terra, sia il lineare complessivo del singolo reparto; per calcolare quest’ultimo, si è moltiplicato il numero medio di livelli espositivi per il lineare a terra;

• relativamente alle singole referenze, oltre ad effettuare un semplice conteggio per tipologia, si sono presi in considerazione il prezzo di vendita, lo spazio occupato (in termini di lineare), il posizionamento sullo scaffale (livello alto, occhi, mani, terra).

A livello di reparto, è stato possibile calcolare il coefficiente di occupazione dello spazio di vendita (rapporto, moltiplicato per 100, tra metri lineari a terra e mq di superficie di vendita). Questo indicatore esprime il grado di densità espositiva di un reparto; ci sono negozi sul 50%, altri sul 25%, ecc. È nota l’attuale tendenza a ridurre il livello di occupazione dello spazio di vendita per migliorare la spaziosi-tà ed offrire al consumatore una sensazione piacevole. La percezione di spaziosità e piacevolezza è legata anche all’altezza dello scaffale, strettamente associata al numero di livelli espositivi.

A proposito di tipologia di display, ossia della modalità con cui sono esposti i singoli prodotti sullo scaffale, in termini di ampiezza dello spazio espositivo e di livello di collocazione, si è partiti dall’assunto che, all’aumentare dello spazio espositivo, si incrementino le vendite, seppur a tassi decrescenti. Sono gli acquisti di impulso a risultare maggiormente condizionati dall’esposizione dei prodotti.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Lo spazio minimo (da letteratura) è in genere di 20 cm lineari, ma si sono spesso riscontrate referenze con un lineare inferiore.

Naturalmente, l’esistenza di un piccolo spazio per un prodotto comporta mag-giori probabilità di finire in rottura di stock; favorisce però al gestore del punto vendita la possibilità di introdurre molte referenze.

Anche il posizionamento sullo scaffale ha la sua importanza nella vendibilità di un prodotto, tanto che non raramente si tende a compensare la penalizzazione del posizionamento con un maggiore spazio espositivo. Per quantificare i diversi posizionamenti, si sono utilizzati questi parametri:

• alto 0,6

• occhi 1,0

• mani 0,8

• terra 0,6

La letteratura in proposito sostiene infatti che il livello occhi, per probabilità di vendita, supera del 25% il livello mani, del 60-70% i livelli alto e terra. L’indicato-re ricavato, quindi, è prossimo a 1 nel caso di una esposizione alquanto favorevo-le, e decresce nel caso di una esposizione penalizzante.

Tutti i risultati che si esporranno di seguito fanno riferimento a un punto vendita standard in termini di dimensioni: una superficie food di 2500 metri quadrati per la Svezia, di 1500 metri quadrati per il Regno Unito. In altri termini, i dati sono stati riparametrati su queste superfici food, per avere un riferimento univoco.

Per quanto riguarda il reparto vino in Svezia, ci si riferisce a un punto vendita Systembolaget di dimensioni piuttosto grandi.

In Svezia, il banco formaggi e il banco salumi sono presenti solo in una par-te dei punti vendita, peraltro con un numero piuttosto contenuto di referenze. Per esempio, in un punto vendita con superficie food di 2500 metri quadrati, il numero di referenze nel banco formaggi si colloca tra 18 e 22; di queste, 6-7 sono costituite da erborinati, nell’ambito dei quali il Gorgonzola è ben posizionato con circa 2-3 referenze (prezzo medio 25-25,5 euro/kg, di poco superiore alla me-dia degli erborinati). Si trovano inoltre un paio di referenze di formaggio grana italiano (soprattutto Parmigiano, intorno ai 33-34 euro/kg) e un paio di pecorini.

Per quanto riguarda il banco salumi, sempre in Svezia, la numerosità riferita a un punto vendita con superficie food di 2500 metri quadrati, oscilla sulle 18-20 referenze (esclusi i cotti e i wurstel). L’Italia è bene posizionata, con 7-8 tipologie di salami (su circa 12 in complesso), una referenza di mortadella e circa tre di crudo (solitamente, almeno un Parma e un San Daniele).

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Anche nel Regno Unito, il banco formaggi e il banco salumi sono presenti in una parte dei punti vendita. Per esempio, in un negozio con superficie food di 1500 metri, il numero di referenze nel banco formaggi si colloca tra 35 e 40, esclusi i cotti e i wurstel; per il banco salumi, questa numerosità oscilla sulle 15-20 referenze.

Nel banco formaggi, un paio di referenze spettano solitamente al formaggio grana italiano (con prezzi sui 20 euro/kg per il Padano e sui 26 euro/kg per il Parmigia-no). Normalmente, gli erborinati contano 5-6 referenze (Blue Stilton, Saint Agur, Roquefort, Cambozola, ecc.), di cui un paio di Gorgonzola (circa 15 euro/kg).

Nel banco salumi, in genere si ha un paio di referenze di crudo (spesso, una italiana e una spagnola), una tipologia di mortadella e tre salami, di cui uno o due italiani.

Le produzioni locali di salumi sono prevalentemente focalizzate sui cotti. Come sostiene Ice, per i salumi cotti il made in Italy entra in diretta concorrenza con le produzioni locali, irlandesi e tedesche. I reparti gastronomia dei maggiori super-mercati non inducono all’acquisto di salumi. La modesta presentazione dei pro-dotti, la scarsa conoscenza del personale di vendita, non favoriscono le vendite di salumi al taglio.

Analizzando gli altri reparti rilevati (formaggi a scaffale, salumi a scaffale, orto-frutta e vino), si osserva che l’incidenza dei reparti salumi e formaggi a scaffale, sulla superficie complessiva del punto vendita, si colloca sul 4% in Svezia, sull’1-1,5% nel Regno Unito. In quest’ultimo paese, infatti, quote importanti di super-ficie sono destinate a una serie di prodotti trasformati refrigerati (per esempio, primi piatti refrigerati).

Senz’altro superiore è la percentuale di superficie dedicata al reparto vino (pur tralasciando la situazione della Svezia, del tutto particolare per l’esistenza dei punti vendita specifici a gestione Systembolaget).

È interessante sottolineare come il campione dei punti vendita svedesi si carat-terizzi per un lineare medio per referenza superiore rispetto a quello britannico. Il coefficiente di occupazione dello spazio vede una superiorità del Regno Unito rispetto ai punti vendita svedesi campionati, e questo significa che nel Regno Uni-to è maggiore la tendenza a premiare il fattore della densità espositiva, mentre il punto vendita svedese sembra premiare maggiormente la percezione di spazio-sità e vivibilità da parte del consumatore. Questo vale in modo particolare per i salumi e per l’ortofrutta, mentre la tendenza a sfruttare ogni centimetro di spazio raggiunge livelli più marcati nel caso del reparto vino inglese. È proprio quest’ul-timo a evidenziare una estensione di lineare per referenza più contenuta, mentre si rilevano più di 40 cm di lineare a disposizione della referenza media nel reparto formaggi svedese.

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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Concentrando l’attenzione su alcune categorie di prodotti del reparto formaggi a libero servizio che più di altre vedono una buona presenza del nostro Paese, si nota che nell’ambito dei negozi svedesi sia gli erborinati, sia le mozzarel-le, sia i formaggi grana e i duri grattugiati hanno incidenze in termini nume-rici sistematicamente più elevate delle corrispondenti incidenze in ponderata sul lineare (in altri termini, il lineare medio concesso a queste referenze è più ridotto rispetto alla media dell’intero reparto). Ciò vale anche nel Regno Unito, ad esclusione però delle mozzarelle.

Nei negozi svedesi, l’incidenza ponderata sul lineare è sostanzialmente equivalente all’incidenza ponderata contemporaneamente sul lineare e sul posizionamento, mentre nel Regno Unito quest’ultimo indicatore è superiore all’incidenza valutata solo sul lineare, in virtù di un posizionamento sullo scaffale premiante per le referenze in oggetto, in confronto alla media dello scaffale.

ALCUNE CARATTERISTICHE DEI REPARTI FORMAGGI, SALUMI, VINO E

ORTOFRUTTA IN SVEZIA E NEL REGNO UNITO (RIFERIMENTI:

NEGOZIO CON SUPERFICIE DI VENDITA FOOD DI 2500 MQ IN SVEZIA E DI 1500 MQ NEL

REGNO UNITO - PER I VINI IN SVEZIA: NEGOZIO SYSTEMBOLAGET DI 680 MQ)

FORMAGGI SALUMI VINO ORTO FRUTTA

SVEZIAREGNOUNITO

SVEZIAREGNOUNITO

SVEZIAREGNOUNITO

SVEZIAREGNOUNITO

Superficie reparto (mq) 107 20 103 16 490 94 295 148

Numero medio di livelli espositivi 5 7 5 5 3,9 4,5 1 1

Lineare a terra (mt) 43 8,7 19,5 6,8 181 45,4 54 56

Lineare complessivo (mt) 215 60,9 97,5 34 705,9 204,3 56 58

Numero referenze 509 218 267 98 2093 698 144 235

Incidenza % super-ficie reparto sulla

superficie food4,3 1,3 4,1 1,1 72,1 6,3 11,8 9,9

Coefficiente di occupazione dello

spazio40,2 43,5 18,9 42,5 36,9 48,3 19,0 39,2

Lineare medio per referenza (cm) 42,2 27,9 36,5 34,7 33,7 29,3 38,9 24,7

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L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Nel caso specifico delle mozzarelle, l’incidenza dell’origine italiana nel negozio svedese supera il 75% in numerica, quota che però si riduce se si considera il line-are corrispondente e se si prende in considerazione pure il posizionamento. Me-desimo meccanismo si verifica nel Regno Unito, dove l’incidenza delle referenze italiane, in numerica, si colloca sull’80%.

Per gli erborinati, quote in numerica e in ponderata sono molto simili, e l’Italia raggiunge percentuali intorno al 18% in Svezia e al 21% nel Regno Unito.

Il Parmigiano e il Padano, nell’ambito dei duri grattugiati, si collocano sul 33% di incidenza in numerica in Svezia, sul 40% nel Regno Unito. In entrambi i paesi, le corrispondenti quote in ponderata si riducono, per un lineare inferiore rispetto alla referenza media dei grattugiati.

PRESENZA E PREZZO DELLE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI FORMAGGI RILEVATI

(A LIBERO SERVIZIO) IN SVEZIA E NEL REGNO UNITO (RIFERIMENTI: NEGOZIO CON

SUPERFICIE DI VENDITA FOOD DI 2500 MQ IN SVEZIA, 1500 MQ NEL REGNO UNITO)

SVEZIA REGNO UNITO

N. REFER.LINEARE MEDIO (CM)

PREZZO MEDIO (€/KG)

INDICE POSIZ.

N. REFER.LINEARE MEDIO (CM)

PREZZO MEDIO (€/KG)

INDICE POSIZ.

ERBORINATO:

Gorgonzola 4 18,8 22,18 0,80 3 14,2 15,92 0,80

In complesso 22 19,1 22,40 0,76 14 14,5 17,06 0,82

FORMAGGIO GRANA INTERO:

Padano 7 15,3 27,37 0,89 1 15,0 18,93 0,80

Parmigiano 9 14,1 38,38 0,84 4 19,2 28,97 0,87

FORMAGGIO DURO GRATTUGIATO:

Padano 2 10,0 34,81 0,90

Parmigiano 1 10,0 31,29 1,00 2 21,7 35,10 0,80

In complesso 9 10,9 29,40 0,93 5 23,2 18,40 0,84

MOZZARELLA:

Italiana 8 27,7 17,45 0,80 4 24,5 14,08 0,80

In complesso 11 30,5 15,28 10,9 5 28,6 13,56 0,84

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Su 270 referenze del reparto salumi a libero servizio nel negozio svedese, circa 50 sono attribuibili alle famiglie merceologiche che maggiormente vedono la presenza del nostro Paese (crudo, salame e mortadella). Nel Regno Unito, su un centinaio di referenze complessive, una quota analoga a quella del punto vendita svedese (circa il 20%) è ascrivibile alle suddette categorie merceologiche.

Il prezzo medio del prodotto di origine italiana è in genere superiore alle referen-ze di diversa provenienza, in alcuni casi in misura assolutamente rilevante.

Rispetto al negozio svedese, quello britannico si caratterizza per una quota maggiore del prodotto italiano; la superiorità del prezzo medio della referen-za italiana comporta una incidenza in termini ponderati sul valore che è ben maggiore dell’incidenza in termini numerici.

La numerosità di referenze nel reparto ortofrutta, riferita al negozio standard come prima specificato, vede per la Svezia quasi 50 referenze nell’ambito della verdura e poco più di 40 per la frutta; si tratta di numeri ben inferiori a quelli riscontrati nel Regno Unito, a maggior ragione se si considera la differenza di superficie dedicata al food per il negozio standard dei due paesi. Del resto, si era precedentemente visto che il reparto ortofrutta svedese si caratterizza per un basso coefficiente di occupazione dello spazio e per una ambientazione che mira decisamente alla piacevolezza.

PRESENZA E PREZZO DELLE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI SALUMI RILEVATI (LIBERO

SERVIZIO) IN SVEZIA E NEL REGNO UNITO (RIFERIMENTI: NEGOZIO CON SUPERFICIE

DI VENDITA FOOD DI 2500 MQ IN SVEZIA, 1500 MQ NEL REGNO UNITO)

SVEZIA REGNO UNITO

N. REFER.PREZZO MEDIO

(€/KG)N. REFER.

PREZZO MEDIO (€/KG)

CRUDO:

Parma 3 68,70 3 42,60

San Daniele 1 69,50

In complesso 13 49,90 6 42,40

MORTADELLA:

Italiana 2 32,30 1 18,70

In complesso 3 24,20 1 18,70

SALAME:

Italiano 13 38,18 6 30,34

In complesso 35 29,08 14 22,94

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

L’Italia è praticamente assente dal reparto degli ortaggi in Svezia, mentre conta una discreta presenza nell’ambito della frutta (intorno al 12% delle referenze). Importanti sono l’Olanda e la Spagna, rispettivamente per verdura e frutta.

Medesima affermazione può essere ripetuta per il Regno Unito, dove però la pro-duzione locale raggiunge una quota rilevante nell’ambito delle referenze orticole esposte. In riferimento alla frutta, oltre alla Spagna è ben presente il Sud Africa, e l’incidenza italiana non è molto consistente (intorno al 6-7%).

PRESENZA E PREZZO DELLE PRINCIPALI CATEGORIE DEL REPARTO ORTOFRUTTA IN

SVEZIA (RIFERIMENTO: NEGOZIO CON SUPERFICIE DI VENDITA FOOD DI 2500 MQ)

PRINCIPALI CATEGORIE N. REFER. PREZZO MEDIO (€/KG)

Carote 3 2,44

Insalate 7 2,65

Patate 3 1,48

Peperoni 6 5,29

Pomodori 16 8,70

TOTALE ORTAGGI 47 5,42

Susine 3 3,20

Uva 5 5,07

Pesche e nettarine 3 3,23

Pere 3 3,42

Mele 8 2,94

TOTALE FRUTTA 42 3,24

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Il reparto vino nel Regno Unito è stato analizzato considerando il solito punto vendita standard di 1500 mq, mentre per la Svezia si è preso in considerazione un negozio Systembolaget di dimensioni piuttosto grandi (680 metri quadrati, di cui 490 destinati al vino).

Come già accennato, lo stato svedese ha assegnato a Systembolaget la missio-ne di gestire la rivendita al dettaglio delle bevande alcoliche secondo modalità rispettose della salute pubblica. Systembolaget ha una rete di vendita di 412 nego-zi propri distribuiti su tutto il territorio nazionale e una rete di oltre 500 venditori delegati in aree che non motivano economicamente l’apertura di propri negozi. I venditori delegati non hanno depositi, ma si riforniscono in uno dei magazzini centralizzati dove Systembolaget tiene l’assortimento completo.

Nel Regno Unito, le referenze italiane sono 95 su quasi 700 in complesso. Il prodotto del nostro Paese è leggermente penalizzato rispetto alla media del re-parto, sia in termini di spazio lineare occupato, sia per quanto riguarda il posizio-namento sugli scaffali. Si nota anche una inferiorità, seppur non particolarmente marcata, in riferimento al prezzo unitario. Da questo punto di vista, il prezzo medio di reparto è sospinto verso l’alto dai vini francesi e, in minor misura, da quelli della Nuova Zelanda. La Francia ha una posizione di leader di mercato,

PRESENZA E PREZZO DELLE PRINCIPALI CATEGORIE DEL REPARTO ORTOFRUTTA NEL

REGNO UNITO (RIFERIMENTO: NEGOZIO CON SUPERFICIE DI VENDITA FOOD DI 1500 MQ)

PRINCIPALI CATEGORIE N. REFER. PREZZO MEDIO (€/KG)

Broccoli 4 6,09

Carote 5 3,22

Cavoli, cavolfiore 5 1,12

Lattuga 3 7,78

Patate 12 2,20

Peperoni 4 5,77

Pomodori 8 6,86

TOTALE ORTAGGI 70 4,87

Mandarini 5 4,51

Mele 19 3,02

Pere 6 3,64

Pesche e nettarine 3 5,79

Uva 8 5,75

TOTALE FRUTTA 67 4,83

190

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

con un 22% di numerica e un 35% di ponderata sul valore, seguita dall’Australia e, in terza posizione, dal nostro Paese.

Nel punto vendita di Systembolaget, l’Italia fa riscontrare una quota del 12,9%, che si abbassa all’11,4% se si considerano i valori, in virtù di un prezzo media-mente più basso rispetto alla media del negozio nel suo complesso. I vini francesi, per esempio, nell’ambito del Systembolaget, fanno riscontrare un prezzo medio di 29,20 euro/litro.

L’incidenza delle referenze italiane sulla gamma complessiva del punto vendita è compressa da una quota inferiore al 9% riscontrata per lo spumante. Quest’ul-timo, nel negozio considerato nella sua globalità, ha una incidenza su tutta la gamma dei vini intorno al 10%, che si riduce se invece del numero di referenze si considerano le superfici di vendita dei singoli segmenti. Quote non dissimili caratterizzano il vino in bag in box.

CARATTERISTICHE DEL VINO ITALIANO NEL REGNO UNITO (RIFERIMENTO: NEGOZIO

CON SUPERFICIE DI VENDITA FOOD DI 1500 MQ)

N. REFER. LINEARE MEDIOPREZZO MEDIO

(€/LT)INDICE POSIZ.

ITALIANO 95 26,9 12,35 0,74

IN COMPLESSO 698 28,4 13,98 0,78

PREZZO MEDIO (€/KG) E INCIDENZA DELLE DIVERSE PROVENIENZE DEL VINO NEL REGNO

UNITO (RIFERIMENTO: NEGOZIO CON SUPERFICIE DI VENDITA FOOD DI 1500 MQ)

PROVENIENZE N. REFER.PREZZO MEDIO

(€/LT)% NUMERICA

% PONDERATA SUL VALORE

Argentina 12 10,95 1,7 1,3

Australia 119 11,45 17,0 14,0

Cile 36 11,24 5,2 4,1

Francia 150 22,45 21,5 34,5

Germania 24 8,61 3,4 2,1

Italia 95 12,35 13,6 12,0

Nuova Zelanda 24 15,94 3,4 3,9

Regno Unito 5 13,62 0,7 0,7

Spagna 65 13,35 9,3 8,9

Sudafrica 70 9,93 10,0 7,1

Usa 74 10,32 10,6 7,8

Altri 24 13,89 3,4 3,4

In complesso 698 13,98 100,0 100,0

191

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

CARATTERISTICHE DELLE DIVERSE TIPOLOGIE DI VINO NEL SYSTEMBOLAGET

(RIFERIMENTO: PUNTO VENDITA DI 680 MQ)

BOTTIGLIA NON

SPUMANTE

BOTTIGLIA SPUMANTE

BAG IN BOX BRIK IN COMPLESSO

Superficie reparto (mq) 375 45 48 22 490Numero medio di livelli

espositivi 4 4,5 3 2,5 3,9

Lineare a terra (mt) 157 21 20 6 204

Numero referenze in complesso 1684 224 160 25 2093

Numero referenze italiane 225 20 23 3 271

% Italia numerica 13,4 8,9 14,4 12,0 12,9

CARATTERISTICHE DEL VINO ITALIANO NEL SYSTEMBOLAGET (RIFERIMENTO:

PUNTO VENDITA DI 680 MQ)

N. REFER.PREZZO MEDIO

(€/LT)% ITALIA NUMERICA

% ITALIA PONDERATA SUL VALORE

ITALIANO 271 16,62 12,9 11,4

IN COMPLESSO 2093 18,90 100,00 100,00

192

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

7.4.2. ALCUNI SPUNTI QUALITATIVI

Lo store check compiuto e la corrispondente lettura degli scaffali, oltre agli aspetti quantitativi sopra esposti, hanno fatto affiorare una serie di elementi che contri-buiscono efficacemente all’interpretazione delle richieste del consumatore locale. Non è un caso che, dalle interviste alle cooperative esportatrici, sia emersa l’impor-tanza di effettuare monitoraggi in loco dei punti vendita, come fase determinante di lavoro, per scoprire e dimensionare orientamenti dei consumatori, preferenze, linee evolutive delle richieste, oltre che comportamenti e tattiche dei distributori.

Si riportano, di seguito, alcuni esempi riscontrati nei punti vendita del Regno Unito e della Svezia, da cui si deducono abitudini peculiari dei singoli mercati esaminati o scelte che sono presenti anche in Italia, ma con minore intensità.

Per esempio, riguardo alle pezzature dei prodotti e alle soluzioni multipack, il Re-gno Unito vede una forte accentuazione delle tendenze chiare a livello europeo, con proposte di pezzature veramente minime e di confezioni con mix di prodotti.

Sempre a proposito di packaging, si riscontrano con una certa frequenza soluzio-ni che coniugano una pezzatura ridotta, un forte contenuto di servizio in termini di praticità di consumo e in alcuni casi una originalità estetica. A volte, l’obiettivo è quello di avvicinare al prodotto le giovanissime generazioni.

In parte, si tratta di proposte presenti anche in Italia ma con peculiarità diverse o con frequenze minori; oppure, si tratta di proposte in un certo senso inedite per un’azienda che non conosca il mercato di quel paese.

CONFEZIONE MULTIPLA DI FORMAGGI IN MICROPEZZATURE, REGNO UNITO

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

MINIDESSERT IN BICCHIERE, REGNO UNITO

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

VINO ITALIANO IN CALICE, REGNO UNITO

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

I dispenser presenti nelle grandi superfici della distribuzione moderna svede-se coinvolgono una gamma di prodotti rilevante: pasta; patate; cipolle; salami mignon; ecc.

FORMAGGIO PER DIVERTIMENTO, REGNO UNITO

196

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

Dall’osservazione di svariati prodotti e scaffali, è risultato evidente l’orienta-mento del mercato ad apprezzare da un lato la vicinanza geografica con la fonte della materia prima (si vedano le evidenziazioni della bandiera del Regno Unito o di quella svedese), dall’altro la leva, utilizzata da alcuni produttori, dello stretto collegamento con il produttore primario e quindi di una componente etica cen-trata sull’aiuto economico alla permanenza in attività delle piccole aziende rurali. Per esempio, la fotografia sulla confezione cerca di fare conoscere l’agricoltore direttamente al pubblico.

DISTRIBUTORE DI GAMBERETTI, SVEZIA

197

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

VERDURA PRETAGLIATA, REGNO UNITO

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

198 L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

CONTENITORE DI ORTAGGI SUGLI SCAFFALI, REGNO UNITO

ESPOSIZIONE DI MELE, REGNO UNITO

199

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

L’ATTUALE CONTESTO DELLE ESPORTAZIONI E LE POTENZIALITÀ DELLE COOPERATIVE ITALIANE

ESPOSIZIONE DI MELE, SVEZIA

200

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

8.1. LE VALUTAZIONI E LE PREVISIONI ESPRESSE DALLE COOPERATIVE

I fattori che hanno consentito alle aziende del campione di sviluppare l’export nel corso degli anni sono gli stessi elementi su cui si baseranno le strategie nel prossimo futuro:

• lo sviluppo di buoni rapporti di medio-lungo periodo con importatori seri (interfaccia commerciale, culturale e logistico), con eventuali attività di co-marketing;

• la partecipazione a fiere, a manifestazioni ed eventi di promozione e comuni-cazione, come incontri B2B, attività di incoming, degustazioni per rendere il consumatore più consapevole;

• una buona conoscenza e consapevolezza delle richieste dei mercati per poter poi lavorare in funzione di queste;

• l’innovazione di prodotto per adeguarsi ai mercati esteri, anche solo dal punto di vista del servizio fornito o del packaging (l’importanza della componente immagine è molto cresciuta negli ultimi anni, e quindi tutto quello che riguar-da il confezionamento e l’etichettatura diventa fondamentale per farsi spazio);

• contemporaneamente, l’enfatizzazione delle peculiarità dei prodotti e dei va-lori del territorio.

In certi casi, è stato fondamentale istituire organizzazioni di produttori, per garantire tutela e per raggiungere massa critica. Anche le collaborazioni con im-prese di settori diversi, i cui prodotti possono essere abbinabili, risulta una possi-bile strategia per proporre al cliente un paniere più completo di prodotti alimen-tari Made in Italy, concetto al quale sembra sia dedicata una crescente attenzione.

A proposito della partecipazione alle fiere, per la maggior parte delle cooperative intervistate si tratta di un momento di incontro e scambio importante ed essenzia-le, soprattutto per i mercati nuovi, fondamentale per conoscere e farsi conoscere, per individuare partner, per controllare la concorrenza.

Una parte minoritaria di cooperative vede un’utilità soltanto parziale della par-tecipazione alle fiere:

• queste occasioni aiutano a sviluppare nuovi contatti, che però raramente si riesce a tradurre in nuovi clienti, mentre aiutano a mantenere i contatti con clienti già acquisiti;

• risultano costose ed impegnative per i piccoli produttori;

• nei paesi maturi risultano più significative altre iniziative come workshop e incontri con i buyer;

• possono essere importanti soltanto se si hanno prodotti nuovi da promuovere.

8. ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI 200

201

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

Le principali difficoltà incontrate sui mercati esteri sono:

• la forte pressione concorrenziale, soprattutto da parte dei cosiddetti paesi emergenti;

• il periodo di generale congiuntura economica negativa, parallelamente a una disinformazione sul prodotto esportato e a una barriera nel riconoscere sul prezzo lo spessore qualitativo del prodotto stesso;

• la necessità di adeguarsi a dazi, a richieste di certificazioni impegnative e spe-cifiche etichettature, a formalità di controllo con relativi costi e ritardi nella spedizione; tutto ciò con diverse interpretazioni per ogni mercato di riferi-mento e con cambi improvvisi di contesti;

• la logistica che spesso è complicata: i costi di trasporto incidono pesantemente, a volte mancano infrastrutture destinate alla giacenza temporanea delle merci, i trasportatori sono in diminuzione e non sempre appaiono adeguatamente attrezzati;

• la questione delle licenze per l’importazione, che in certi mercati sono in mano a pochissimi soggetti, con forte incertezza riguardo alla loro continuità;

• l’esistenza di problemi di imitazione o di contraffazione dei prodotti italiani all’estero, dichiarati da quasi quattro cooperative su cinque, che danneggiano il Made in Italy;

• il rischio di insolvenza dei clienti esteri e la loro non sempre sufficiente affida-bilità.

I piccoli produttori, in modo specifico, hanno difficoltà ad affrontare i mercati esteri, non hanno forza finanziaria e volumi di fatturato sufficienti. Si necessita quindi di forme di coordinamento, per contrastare l’eccessiva forza dei grandi clienti che schiaccia le piccole e medie imprese.

Per il campione interpellato, i paesi su cui si punta maggiormente, come sviluppo delle esportazioni per i prossimi cinque anni, sono rappresentati in primo luogo da Germania, Russia, Cina, Stati Uniti; seguono Regno Unito, Francia, Danimar-ca, Svizzera e Canada; sono poi stati citati con una frequenza inferiore Giappone, Brasile, Sud Corea, Olanda, Spagna, Austria, Emirati Arabi, Slovacchia, Polonia.

Per quanto riguarda gli strumenti istituzionali di supporto finanziario all’in-ternazionalizzazione, è affiorato in genere un discreto livello di soddisfazione, a fianco di qualche motivo di insoddisfazione o parziale soddisfazione: per esempio, i tempi lunghi che a volte costringono a rivolgersi al credito privato nel periodo di attesa del finanziamento pubblico e la pesantezza della burocrazia.

In riferimento agli strumenti istituzionali per l’assicurazione del rischio su crediti commerciali oppure per il recupero dei crediti relativamente all’attività di espor-

202

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

tazione, una parte dei rispondenti si è dichiarata soddisfatta del servizio ricevuto, altre cooperative hanno invece fatto emergere spazi di miglioramento, per esem-pio in riferimento ai costi, alle coperture ridotte e alla rigidità.

Oltre l’80% delle cooperative rispondenti ha dichiarato di avere usufruito di stru-menti istituzionali per il supporto di mercato o di consulenza commerciale all’in-ternazionalizzazione. Lo strumento maggiormente utilizzato è stato il finanzia-mento della partecipazione a fiere, seguito da workshop con buyer o importatori e dall’organizzazione di eventi per promuovere prodotti.

La rispondenza di questi strumenti alle esigenze degli utilizzatori è stata valu-tata abbastanza positivamente, ma qualche cooperativa ha parlato di interventi approssimativi, generici, dispersivi, poco produttivi. In qualche caso, è risultato alquanto complesso accedere ai fondi.

Per stimolare le esportazioni, l’ente pubblico dovrebbe snellire le pratiche bu-rocratiche, irrobustire gli accordi a livello politico, cercare di accrescere il peso decisionale dell’Italia nelle trattative.

Sarebbe opportuno istituire un marchio “Made in Italy”, un sistema paese per coordinare l’immagine a livello nazionale. A questo proposito, si dovrebbero pro-muovere le eccellenze e fare conoscere il territorio. Andrebbero inoltre proposte iniziative di educazione per il consumatore. Dovrebbero essere maggiormente coordinati i diversi enti che intervengono nel sostegno all’internazionalizzazione.

Si chiede poi una maggior formazione dei funzionari pubblici e degli operatori del settore alimentare, una maggiore stimolazione dell’innovazione e ricerche di mercato specifiche.

Secondo parte delle opinioni raccolte, essere cooperativa ha una valenza positiva nella percezione dei mercati esteri principalmente per quanto riguarda l’aspetto della gestione della filiera. Il controllo su di essa aumenta esponenzialmente la credibilità che si ha come produttori; offrire i prodotti dei soci dà più sicurezza al cliente.

Legata all’aspetto del controllo della filiera, risulta rilevante la vicinanza ai produt-tori; la cooperativa rappresenta la produzione stessa con un conseguente miglio-ramento d’immagine, e il consumatore percepisce maggiori garanzie di qualità.

Si nota come positiva la percezione che la cooperativa possa investire nel lungo periodo, garantendo continuità nel portafoglio prodotti e nella programmazione di produzione.

Un po’ più marginale sembra il fatto che la cooperativa possa vantare finalità so-ciali, di salvaguardia dei diritti dei lavoratori e di sostegno alle zone rurali.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

I principali effetti negativi sottolineati a proposito della natura cooperativa ri-guardano il complesso sistema decisionale: si può quindi risultare meno snelli e meno reattivi nel rapporto con il mercato.

I soci sono in certi casi poco propensi all’innovazione e a investimenti in promo-zione e nella struttura commerciale, anche perché la loro prospettiva frequente-mente non supera il medio termine.

Secondo altri pareri, il cliente a volte percepisce il prodotto della cooperativa come un prodotto di massa, a discapito della qualità.

8.2. LE BARRIERE TARIFFARIE E NON TARIFFARIE

Come abbiamo visto, si stima che se si eliminassero i dazi e gli ostacoli non tariffari l’export potrebbe raddoppiare il suo ritmo di crescita e che nel 2020 le nostre espor-tazioni potrebbero toccare i 60 miliardi contro i 43 attesi in base ai tassi attuali.

D’altra parte sappiamo che per il superamento delle barriere sono fondamentali soprattutto le negoziazioni tra paesi e quelle in sede UE.

La stessa Commissione UE è convinta che la diplomazia commerciale costituisca solitamente il mezzo più rapido per combattere contro gli ostacoli agli scambi, ma che la sua efficacia dipenda dalla possibilità di convincere il paese con cui si sta trattando che è nel suo interesse eliminare gli ostacoli.

L’obiettivo della riduzione delle barriere non può essere affidato, quindi, al solo WTO, ma deve essere perseguito a tutti i livelli comunitari e nazionali, coinvolgen-do ministeri, reti consolari e, senza trascurare i confronti tra le istanze più tecniche, rappresentanze imprenditoriali, enti di certificazione e perfino comunità religiose.

In sostanza si deve fare sistema paese, ma sempre più in un ambito di sistema Europa.

Naturalmente le barriere hanno le medesime ricadute su tutte le aziende italiane, cooperative o non.

Le aziende si debbono impegnare per le tante pratiche, certificazioni, analisi di prodotto,… che consentono loro di accedere ai mercati e nel caso di barriere, tariffarie e non, insuperabili o eccessivamente elevate, non possono fare altro che constatare passivamente i vincoli posti dai diversi paesi.

E le cooperative a fronte di questa tipologia di barriere hanno una sola alterna-tiva: sostenere con le loro organizzazioni il sistema paese e il sistema Unione Europea nelle diverse sedi internazionali, bilaterali o multilaterali, che operano per rendere sempre più fluidi gli scambi.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

A fronte, invece, di barriere superabili pur con un certo impegno, che richiedono pratiche complesse per accedere ai mercati, le cooperative di maggiori dimen-sioni tendono ad attivarsi direttamente, anche con il concorso di loro importatori preparati e consolidati nel rapporto, mentre quelle di dimensioni più contenute sono spesso indotte a ricorrere a contributi esterni e ad avvalersi della assistenza dei consorzi di tutela e valorizzazione, delle camere di commercio, ecc.

E qui si apre una riflessione: possono le organizzazioni di rappresentanza delle cooperative attivarsi ancor più per offrire assistenza alle loro associate su un ver-sante dove notevoli sono le difficoltà legate a procedure farraginose oppure è più opportuno che lascino ad altri enti il compito di assistere su questo versante?

Certo è che le cooperative di minori dimensioni hanno difficoltà ad affrontare da sole in particolare i mercati extra UE, quelli che offrono gli spazi di crescita più interessanti.

Per accedere a tali mercati tante volte debbono ricercare l’appoggio di importatori locali, con i quali non di rado, però, i rapporti di forza sono sbilanciati a favore di questi ultimi e sono ben liete quando possono ritrovare appoggi di organizzazio-ni ed enti italiani a loro vicini.

8.3. LA TUTELA DEI MARCHI, LA CONTRAFFAZIONE, L’ITALIAN SOUNDING

L’indagine svolta a livello desk ha posto bene in evidenza la complessità e le tante sfaccettature della problematica dell’Italian sounding, che a volte sfocia in una vera e propria contraffazione.

Si tratta di una materia indubbiamente complessa, e la stessa normativa incontra molte difficoltà nel controllare e proteggere la provenienza, in un’epoca di delo-calizzazioni, joint ventures internazionali, contoterzismo, step di lavorazioni in aree mondiali diverse, ecc.

L’ampiezza dell’indagine svolta sul campo, pur affiancata a quella desk, non consente di quantificare con precisione il fenomeno dell’Italian sounding e delle contraffazioni, i cui confini peraltro non sono univocamente tracciabili. Si vuole tuttavia dare qualche generico ordine di grandezza, se non altro per delineare le diverse tipologie e i relativi impatti sul mercato.

A livello di Europa in complesso, si può a grandi linee stimare che l’export di prodotti italiani rappresenti poco meno di un terzo dei consumi dell’insieme di prodotti realmente italiani, Italian sounding e contraffazioni. Da questa quota si è volutamente escluso l’export di produzione realizzata in Italia che può esse-re considerata in ambito contraffazione o Italian sounding, in quanto imitazione spesso non trasparente di prodotti italiani tipici e blasonati.

Una quota poco più elevata è attribuibile ai prodotti che richiamano lo stile ita-liano, le ricette del nostro Paese, ecc., in modo trasparente e facilmente leggibile

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

dal consumatore. Sono queste le tipologie di concorrenti che affrontano con una maggiore chiarezza la competizione con le autentiche referenze italiane a marca aziendale. Si stimola l’associazione allo stile alimentare italiano (attra-verso nomi propri, luoghi geografici, segni grafici, colori), ma è chiaro il ruolo dell’Italia (è ciò che si verifica per una parte delle referenze targate Italian style o Italian inspiration).

Si evita di parlare di matrice italiana, ma ci si limita a sottolineare che si sono seguiti canoni legati alla tradizione italiana o che un ingrediente, in grado di fornire un particolare valore all’intero prodotto, proviene dall’Italia. Ci si basa anche sul fatto che tanti nomi e prodotti sono ben conosciuti nel mondo come tipicamente italiani e questi nomi non sono protetti da alcuna denominazione o da marchi registrati.

In queste situazioni, si sviluppa la capacità di scelta del consumatore fra refe-renze italiane e referenze non italiane, che si può accompagnare a un ricorso ai prodotti competitor spesso come scelta mirata al risparmio.

Se la competizione è serrata ma trasparente e ben delineata, con una chiarez-za informativa destinata al consumatore, le aziende italiane si trovano a dover migliorare ulteriormente la qualità pure in termini di costanza e di servizio fornito, differenziandosi anche sull’area emozionale legata al Made in Italy, a fronte della minore convenienza di prezzo. Si tratta di attuare strategie opportune per investire nel perimetro dell’Italian sounding trasparente fuori dall’area delle contraffazioni.

Diventa importante per le nostre imprese valorizzare le caratteristiche del proprio prodotto e sensibilizzare sui vantaggi della qualità, conquistando la fiducia di buyer e consumatori con strategie improntate alla serietà, eviden-ziando il concetto che il prodotto non è Italian style, ma è italiano autentico. L’Italian styling può fare da cassa di risonanza, può agevolare la conoscenza trasparente e leggibile ed è quindi una sorta di potenziale trampolino di lancio. Ci si trova in una situazione circolare: il prodotto similare nasce in quan-to c’è attesa di italianità da parte di consumatori; nel contempo, il prodot-to similare contribuisce a diffondere atmosfera, cultura alimentare italiana e, di conseguenza, incrementa il bisogno di prodotto italiano.

Non raramente, il consumatore inizia ad acquistare in un’ottica di Italian style, poi fa un salto di qualità verso il vero italiano, magari in seguito a una prova del prodotto avvenuta in una particolare circostanza.

A fronte di prodotti e produttori che manovrano la leva dell’Italian sounding in modo trasparente, una proporzione non molto inferiore di prodotti si tro-va nell’ambito di quell’area che è definibile come Italian sounding equivoco. È importante sottolineare che parte dell’Italian sounding equivoco è realizzato da aziende italiane.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

Nei fatti, il confine fra l’imitazione equivoca (o parzialmente equivoca) e l’Italian sounding trasparente è piuttosto labile. Parte dei consumatori, secondo quanto emerso dai focus group svolti, potrebbe infatti attribuire una provenienza ita-liana a referenze che invece ad altri risultano chiaramente di matrice diversa e che semplicemente richiamano sensazioni e concetti legati all’italianità. Non solo: nell’ambito dello stesso consumatore, può verificarsi un contrasto percettivo tra la sua sfera emotiva e quella razionale.

Anche per questi motivi, non è semplice applicare una specifica normativa co-munitaria (regolamento 1169 del 2011) la quale stabilisce che le informazioni sui prodotti alimentari non devono indurre in errore il consumatore.

Può essere comunque interessante sottolineare il fatto che, all’interno del perime-tro dell’imitazione equivoca, solo una parte (minoritaria) rappresenta una reale sottrazione di spazio di mercato per il prodotto realmente italiano. Si possono infatti identificare due tipi di situazioni:

• i consumatori che, se avessero la consapevolezza che si tratta di una imita-zione, sarebbero indotti ad interrompere l’acquisto, per passare al prodotto autentico;

• i consumatori che acquistano l’imitazione percependola come italiana, ma non acquisterebbero comunque il prodotto autentico italiano perché su una fascia di prezzo troppo diversa.

Esiste poi l’area delle contraffazioni vere e proprie, quantificabile per l’Europa in qualche punto percentuale, che è assolutamente da contrastare, a livello azienda-le e istituzionale.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

A livello mondiale, è probabile che le proporzioni fra export italiano e Italian sounding non siano molto differenti da quelle relative all’Europa; in diversi pae-si extra-europei, invece, le proporzioni interne all’Italian sounding fra soluzioni trasparenti e soluzioni equivoche sono maggiormente sbilanciate in direzione dei casi equivoci; inoltre, i casi di contraffazione sono proporzionalmente superiori.

La cooperativa opera sul mercato alla stregua delle altre realtà imprenditoria-li e quindi dovrebbe essere coinvolta nella stessa misura rispetto al fenomeno dell’Italian sounding.

Questo fenomeno, tuttavia, penetra meno intensamente, crediamo, là dove si gio-ca in modo spinto sulla caratterizzazione territoriale e sulla tipicità; quindi, chi opera con maggiore forza su questi valori e ne fa la bandiera della propria offerta, è maggiormente al riparo da fenomeni banali di imitazioni.

Non pensiamo che per evitare speculazioni imitative che coinvolgono interi setto-ri dell’industria alimentare italiana si debba per forza di cose ripensare al proprio portafoglio e caratterizzarlo maggiormente nel senso della tipicità e della territo-rialità, è certo però che la cooperativa, qualora intenda farlo, ha maggiori frecce nella propria faretra ed è un’operazione che le può riuscire in modo più semplice e credibile rispetto ad altri.

8.4. GLI STRUMENTI A SUPPORTO DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE

Dall’analisi e comparazione dei dati delle esportazioni nazionali relative ai pro-dotti agroalimentari emerge come le performance dell’Italia siano inferiori a quel-le dei principali competitors europei, nonostante l’indiscussa eccellenza dei pro-dotti italiani sul fronte della qualità, del valore e le certificazioni di qualità Dop - Igp. Segnali positivi provengono dai dati dell’export dei prodotti agroalimentari nel 2013, cresciuto del 5.2% mentre si registra una battuta di arresto della crescita del totale dell’export italiano.

Il numero di imprese esportatrici è ancora troppo basso, occorre che le piccole e medie imprese, che compongono il nostro tessuto produttivo, siano sostenute nello sforzo dell’internazionalizzazione, vista l’importanza per tutta l’economia italiana. Per contro, le iniziative commerciali degli imprenditori italiani che, di-stricandosi tra le numerose problematiche, sono riusciti a inserirsi con successo in mercati lontani, hanno sicuramente una ricaduta generale sulla conoscenza del nostri prodotti ma non sono sufficientemente “messe a sistema” come invece sarebbe auspicabile per fare conoscere e apprezzare tutto ciò che è Made in Italy, dal cibo, all’artigianato, al turismo e alla cultura.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

L’analisi ha evidenziato un “sistema paese” complesso e frammentato: anche a causa della stratificazione normativa, le competenze sono spesso svolte in so-vrapposizione tra i vari enti. La Cabina di Regia nasce nel 2011 proprio per la necessità di coordinamento tra i vari attori dell’internazionalizzazione del Paese, fra cui lAlleanza delle Cooperative.

Si notano i primi segnali di cambiamento, in linea con i più organizzati paesi fo-calizzati sull’export, dalla razionalizzazione delle attività promozionali in seguito alla riorganizzazione dell’Ice, alle azioni delle Agenzie regionali ed al supporto delle Camere di Commercio, in Italia e all’estero.

Sotto il profilo del supporto finanziario all’internazionalizzazione, è stato creato recentemente un polo della finanza - modello EXPORT BANCA - che grazie al supporto della Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e dell’ABI con la garanzia della SACE e con un intervento di stabilizzazione del tasso di interesse da SIMEST, tende a rendere più efficace il supporto alle imprese. Da rilevare le scarse risorse messe a disposizione rispetto alle decine di miliardi disponibili da strutture ana-loghe all’estero - tipo Ipex Bank in Germania.

Come abbiamo avuto modo di valutare nella disamina delle varie strutture incon-trate, la Germania è caratterizzata da una lineare definizione delle competenze a livello centrale - che si fonda su una chiara strategia perseguita dal Governo Federale Tedesco - e da una straordinaria efficacia degli strumenti pubblici a so-stegno dell’internazionalizzazione delle imprese.

L’export dei prodotti tedeschi costituisce oltre il 43% del PIL della Germania con-tro il 30% italiano. La Germania è il più grande produttore europeo di prodotti alimentari - quarto settore del paese - con performance in continua crescita.

La possibilità di far ricorso a diversi strumenti e organizzazioni dedicate allo sviluppo dell’export ha permesso alla Germania di concentrarsi anche sui paesi emergenti, cogliendone i vantaggi, mentre le esportazioni dei prodotti agroali-mentari italiani sono ancora molto concentrate entro i confini dell’Europa, anche se nel 2013 si sono registrati importanti sviluppi sui nuovi mercati.

I principali fattori di successo riscontrati dall’analisi del modello di supporto all’e-sportazione dei prodotti della Germania possono essere così sintetizzati:

• organizzazioni nazionali snelle ed efficienti con funzioni ben definite e ottimo sostegno da parte del sistema camerale, che si pone come unico interlocutore per l’azienda che vuole espandersi sui mercati esteri nonché forte ruolo econo-mico dei diplomatici nelle rappresentanze all’estero;

• le strutture tedesche di supporto all’export operano in stretto contatto con le aziende, con le loro associazioni di categoria (comprese quelle dei consuma-tori) e le Istituzioni;

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

• disponibilità di strumenti finanziari forniti dall’export bank di matrice pub-blica KFW-Ipex insieme alle banche regionali, anche grazie ad un sostegno pubblico e supporto fornito da Euler Hermes Deutschland AG, su mandato del Governo tedesco, per la copertura dei rischi.

La Germania è al 3° posto nella commercializzazione dei prodotti della filiera agroalimentare dopo gli Stati Uniti e l’Olanda. Per il sostegno all’esportazione agroalimentare, la Germania si avvale della GEFA - German Export Food Associa-tion, un’associazione di tipo privatistico, supportata dalle PMI tedesche, che opera con delega del Ministero dell’Agricoltura della Repubblica Federale Tedesca.

La Germania sostiene le proprie PMI agroalimentari mediante le Associazioni di categoria che sono fortemente proiettate all’obiettivo dell’incremento dell’ex-port, finanziando le attività di sviluppo attraverso trattenute ai produttori, pre-sidiano i tavoli consultivi con le istituzioni e sono alleate per l’ottenimento di risultati comuni.

Anche le imprese italiane dovrebbero riuscire ad affrontare nuovi mercati, come ad esempio quello asiatico, per sfruttare al meglio le potenzialità, con la consa-pevolezza che nel momento in cui si esce dall’Europa e dal mondo occidentale, aumentano le difficoltà e gli ostacoli all’esportazione. Innanzitutto le abitudini alimentari sono radicalmente diverse non solo rispetto all’Italia ma anche rispetto ad altri paesi europei e sono necessari tempo e costanza per modificarle e quindi per fare apprezzare i nostri prodotti. Inoltre si devono fronteggiare le barriere fitosanitarie poste a protezione dei mercati e produttori interni dall’arrivo di pro-duzioni concorrenziali. Abbiamo già evidenziato come interventi promossi da strutture come il CSO facilitano il superamento di tali ostacoli.

Un altro aspetto importante sono le relazioni con le aziende importatrici che, è stato sperimentato, costituiscono un inevitabile passaggio fra l’esportatore stra-niero e il mercato di destinazione interno, vista la necessità di curare gli aspetti procedurali d’importazione. La grande distribuzione può essere un importante alleato, a condizione di disporre di una filiera organizzata ed efficiente.

Le cooperative stanno affrontando questi nuovi mercati anche con iniziative in-novative in grado di fare fronte a concorrenti molto attivi, come il consorzio costituito dalle quattro organizzazioni dei produttori cooperativi del Trentino - Alto Adige che si occupa di commercializzazione extra Ue di mele, permetten-do di concentrare il prodotto e di superare i provincialismi e di fornirlo con le caratteristiche adatte allo specifico mercato.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

È evidente infine che, affinché le nostre imprese riescano a fronteggiare i nuovi mercati dei paesi emergenti e coglierne le opportunità di sviluppo, è necessario che possano contare su un sostegno efficiente alla propria attività di esportazione, come quello sul quale possono contare le imprese tedesche.

8.5. DALLA LETTURA DEGLI SCAFFALI

Dall’opinione di cooperative esportatrici e imprese di importazione intervistate, è emersa chiaramente l’importanza di effettuare monitoraggi in loco dei punti vendita, come fase determinante di lavoro, per scoprire e dimensionare orien-tamenti dei consumatori, abitudini peculiari dei singoli mercati (scelte che magari sono presenti anche in Italia, ma con minore intensità), linee evolutive delle richieste, oltre che comportamenti e tattiche dei distributori.

Per esempio, riguardo alle pezzature dei prodotti e alle soluzioni multipack, il Re-gno Unito vede una forte accentuazione delle tendenze chiare a livello europeo, con proposte di pezzature veramente minime e di confezioni con mix di prodotti.

Sempre a proposito di packaging, si riscontrano con una certa frequenza soluzio-ni che coniugano una pezzatura ridotta e un forte contenuto di servizio in termini di praticità di consumo

Dall’osservazione di svariati prodotti e scaffali in Svezia e Regno Unito, è risul-tato evidente l’orientamento del mercato ad apprezzare da un lato la vicinanza geografica con la fonte della materia prima (si vedano le evidenziazioni della bandiera del Regno Unito o di quella svedese), dall’altro la leva, utilizzata da al-cuni produttori, dello stretto collegamento con il produttore primario e quindi di una componente etica centrata sull’aiuto economico alla permanenza in attività delle piccole aziende rurali. Per esempio, la fotografia sulla confezione cerca di fare conoscere l’agricoltore direttamente al pubblico.

Questo può rappresentare un problema per prodotti di importazione che non siamo diversi dai prodotti locali, ma anche un’opportunità per le cooperative che possono vantare tra i propri fini il sostegno di aree produttive e la vicinan-za all’agricoltore. Questo è vero soprattutto in città come Londra, Stoccolma, Malmo, caratterizzate da una forma mentale orientata all’internazionalizza-zione dei consumi.

Un altro dato da sottolineare è che nel Regno Unito è maggiore la tendenza a premiare il fattore della densità espositiva, mentre il punto vendita svedese sem-bra premiare maggiormente la percezione di spaziosità e vivibilità da parte del consumatore, con conseguenze positive sulla valorizzazione dei prodotti. Questo vale in modo particolare per i salumi e per l’ortofrutta.

La tendenza a sfruttare ogni centimetro di spazio raggiunge livelli più marcati nel caso del reparto vino inglese. È proprio quest’ultimo a evidenziare una esten-

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

sione di lineare per referenza più contenuta, mentre si rilevano più di 40 cm di lineare a disposizione della referenza media nel reparto formaggi svedese. L’indice di sfruttamento dello spazio con tante referenze riscontrato nel Regno Unito può essere letto come una maggiore opportunità di ingresso, ma anche come un problema di superiore esposizione alla concorrenza dei nuovi entranti. È inoltre più difficile vedere le proprie referenze valorizzate adeguatamente e con spazi opportuni.

In Svezia, il banco formaggi e il banco salumi sono presenti solo in una parte dei punti vendita, peraltro con un numero piuttosto contenuto di referenze. Anche nel Regno Unito, questi reparti caratterizzano solo una quota dei negozi della Gdo. Questo si traduce in qualche difficoltà per il produttore italiano, la qualità dei cui prodotti potrebbe esaltarsi proprio in una gestione accurata del banco.

Concentrando l’attenzione su alcune categorie di prodotti del reparto formaggi a libero servizio che più di altre vedono una buona presenza del nostro Paese, si nota che nell’ambito dei negozi svedesi sia gli erborinati, sia le mozzarelle, sia i formaggi grana e i duri grattugiati hanno incidenze in termini numerici sistema-ticamente più elevate delle corrispondenti incidenze in ponderata sul lineare (in altri termini, il lineare medio concesso a queste referenze è più ridotto rispetto alla media dell’intero reparto). Ciò vale anche nel Regno Unito, ad esclusione però delle mozzarelle. In complesso, tuttavia, si osserva un evidente orientamen-to verso acquisti di routine+ che premiano in quantità i prodotti diversi dalle ti-piche categorie merceologiche italiane, le quali hanno una presenza sicuramente minoritaria, per numero di referenze e per lineare.

Una situazione analoga caratterizza il reparto salumi a libero servizio. Su 270 re-ferenze nel negozio svedese, circa 50 sono attribuibili alle famiglie merceologiche che maggiormente vedono la presenza del nostro Paese (crudo, salame e mor-tadella). Nel Regno Unito, su un centinaio di referenze complessive, una quota analoga a quella del punto vendita svedese (circa il 20%) è ascrivibile alle suddet-te categorie merceologiche. Il prezzo medio del prodotto di origine italiana è in genere superiore alle referenze di provenienza diversa, in alcuni casi in misura assolutamente rilevante.

Rispetto al negozio svedese, quello britannico si caratterizza per una quota mag-giore del prodotto italiano; la superiorità del prezzo medio della referenza italia-na comporta una incidenza in termini ponderati sul valore che è ben maggiore dell’incidenza in termini numerici.

Nel reparto vino, l’Italia non tiene il passo della Francia in riferimento agli spazi accordati e ai valori unitari. Nel Regno Unito, le referenze italiane sono 95 su quasi 700 in complesso, con una inferiorità, seppur non particolarmente marcata, rispetto al prezzo unitario dell’intero reparto. La Francia ha una posizione di lea-der di mercato, con un 22% di numerica e un 35% di ponderata sul valore.

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ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

Nell’ambito del Systembolaget svedese, l’Italia ottiene una quota del 13%, che si abbassa all’11,4% se si considerano i valori, in virtù di un prezzo mediamente più basso rispetto alla media del negozio considerato nel suo complesso. I vini france-si, per esempio, nell’ambito del Systembolaget fanno riscontrare un prezzo medio di 29 euro/litro, contro un valore del vino italiano inferiore ai 17 euro. L’incidenza delle referenze italiane sulla gamma complessiva del punto vendita è compressa da una quota inferiore al 9% riscontrata per lo spumante.

8.6. CONTESTO E POTENZIALITÀ DELLE ESPORTAZIONI IN UNGHERIA

Dalla serie di incontri con operatori di diversi settori attivi nell’importazio-ne e nella distribuzione di prodotti agro-alimentari, con società di consulenza all’imprenditoria e rappresentanti di istituzioni, quali l’Agenzia Ice e l’Ambascia-ta d’Italia di Budapest, abbiamo dedotto che i punti di forza del prodotto italiano risiedono:

• nella sua qualità e nella sua immagine di qualità, acquisita soprattutto presso fasce di consumatori evoluti, mentre il consumatore medio è certamente meno sensibile;

• in una certa misura nella ristorazione che, in particolare a Budapest, può contribuire a veicolare ed accreditare le positive valenze delle nostre produzioni e tradizioni culinarie;

• nella logistica, in quanto l’Italia è un paese vicino e i suoi prodotti possono raggiungere comodamente l’Ungheria, almeno in misura maggiore rispetto a quelli dei paesi diretti concorrenti quali Spagna, Paesi Bassi, Grecia.

Mentre i punti di debolezza si ritrovano:

• nel prezzo, particolarmente elevato, a cui viene proposto al consumatore, prezzo che fa sì che il prodotto italiano si indirizzi sostanzialmente a quella fascia medio e medio alta della popolazione con maggiori disponibilità, che già lo conosce in virtù di viaggi nel nostro paese, di passaparola, di informa-zione acquisita attraverso i media. Il prezzo determina altresì il posizionamen-to e, nel contempo, ne è una risultante, quindi un prezzo elevato non sempre deve considerarsi una debolezza;

• nella non sempre convinta e continua azione dell’esportatore che talvolta si colloca in una prospettiva di “cogli l’opportunità al volo”, anziché lavorare in un’ottica di medio lungo periodo, programmando investimenti i cui ritorni non sempre sono in tempi veloci;

• nel non costante rispetto degli standard concordati, in particolare in ortofrutta.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

I requisiti più importanti richiesti dai clienti, in particolare importatori, ungheresi al fornitore italiano (e non solo) si ritrovano sostanzialmente nella:

• serietà a gestire il rapporto;

• volontà di investire con una prospettiva di lungo periodo, coinvolgendo il cliente, il retailer, il consumatore;

• determinazione a lavorare al fine di accreditare, nei limiti del possibile, la mar-ca del produttore;

• disponibilità a sostenere, in partnership con l’importatore, attività sui punti vendita della gdo;

• attenzione, soprattutto nel settore ortofrutta, a corrispondere pienamente agli standard richiesti e a offrire un prodotto ben lavorato e selezionato;

• attenzione ad un equilibrato rapporto qualità prezzo;

• vivacità del portafoglio prodotti e capacità di offrire prodotti nuovi e diversi.

Non pare, invece, avere fondamentale interesse per il cliente che il prodotto provenga o meno da una realtà cooperativa e pure la dimensione del fornitore ha un rilievo non particolarmente significativo, anche se si può presumere che l’operatore di maggiori dimensioni sia in genere meglio strutturato per affrontare i mercati esteri, sotto l’aspetto del servizio, del prodotto e della relazione.

Si può, però, ritenere che se il fornitore cooperativo lavora bene sulla propria identità, facendo apprezzare che cooperativa è sinonimo di:

• territorialità

• origine certa dei prodotti

• volumi di produzione controllabili

• deontologia imprenditoriale

• correttezza relazionale

può rendere il rapporto con i clienti, importatori o grossisti, forse meno con i grandi retailer internazionali che operano nel paese, più fluido e di prospettiva.

Questi si sentiranno infatti maggiormente rassicurati e quindi spinti a lavorare con accentuato interesse per accreditare i prodotti della cooperativa sui loro mer-cati nella convinzione di operare con un partner affidabile, in grado di proporre un’offerta ben controllata, di qualità e effettivamente espressione di territori del made in Italy.

Valori questi che possono poi essere riversati sui consumatori e da questi via via sempre più apprezzati.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

8.7. CONTESTO E POTENZIALITÀ DELLE ESPORTAZIONI IN SVEZIA

Lo svedese è aperto alle novità, ma questo non comporta un’apertura a tutti i prodotti, indistintamente. Per un prodotto nuovo, occorre quindi innanzi tutto analizzare il grado di aderenza al consumatore svedese, alle sue peculiarità, ai suoi gusti.

L’Italia gode di un’ottima immagine relativamente al food, tanto da essere il pa-ese meglio posizionato fra tutti. La cucina italiana non è altezzosa come quella francese, genera l’idea di contesti amichevoli, del calore del piccolo produttore, di piatti relativamente facili da preparare.

Nel contempo però, non avendo forti e radicate tradizioni alimentari, il consu-matore svedese non necessariamente è in grado di capire subito come si utilizza un prodotto, con quali piatti o bevande va accostato, con quali ricette deve essere impiegato. Occorre quindi evitare alcuni classici errori, come quello di dare per scontato aspetti che in Italia sarebbero da ritenere consolidati: si devono invece spiegare in modo semplice le modalità e i momenti di utilizzo.

Si ha l’impressione che il prodotto italiano abbia un sapore migliore se consuma-to in Italia, ma diversi consumatori hanno ammesso che si tratta soprattutto di un fattore emotivo, connesso al contesto. Diventerebbe quindi una variabile impor-tante la ricostruzione di un certo contesto anche per i momenti di consumo e di acquisto in Svezia, per esempio con ambientazioni particolari nel punto vendita.

A proposito della dimensione del produttore, emerge sempre più una prefe-renza, almeno teorica, per la piccola impresa in confronto alla grande azienda. Le multinazionali e i brand internazionali, in modo particolare, non sono per niente amati; si ritiene che buona parte di questi sfruttino la manodopera e adottino in generale comportamenti scarsamente etici. Per l’azienda italiana, sarebbe opportuno diffondere l’idea che anche piccoli gruppi, se bene organiz-zati, sono in grado di esportare; altrimenti, si immagina il comparto food italia-no caratterizzato da piccoli produttori, ma giusto con le eccezioni delle imprese presenti sugli scaffali svedesi.

Oltre che al biologico, in Svezia è crescente l’attenzione al prodotto di prossimità; il trend del consumatore è rivolto all’eco-friendly, almeno come pulsione, ma in loco si producono pochi prodotti alimentari (si pensi per esempio al vino), quin-di gli svedesi sono abituati a referenze provenienti dall’estero. Occorre tuttavia dare una chiara giustificazione collegata all’acquisto di un prodotto che è stato sottoposto a un lungo trasporto: questa giustificazione può consistere nel profilo qualitativo particolarmente interessante, nel sostegno a piccole realtà territoriali, nell’assenza di prodotti analoghi in loco.

In riferimento all’Italian sounding, dai focus group condotti è emersa chiaramen-te la percezione di un richiamo allo stile italiano, ben distinta dalla convinzione di un’origine italiana cera e propria. Per esempio, il mix di quarta gamma non

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

è attribuito all’Italia anche se presenta il termine Italiensk mix. È chiaro che si tenta in qualche modo di richiamare il concetto di italiano, ma è considerata una strategia nell’ambito della legalità. Anche i nomi pizza, bolognese e tanti altri non dicono che il prodotto è italiano, essendo definizioni utilizzate in tutto il mondo: significano ispirazione all’Italia, a una ricetta, a uno stile. Per molti consumatori, pure alcuni simboli, come la bandiera italiana o la sagoma della penisola, si limi-tano a suggerire il collegamento alla cultura italiana.

La distribuzione svedese è in mano a poche insegne. Le cooperative italiane, tran-ne pochissime eccezioni, se vogliono servire la Gdo devono consorziarsi, anche per raggiungere quantità sufficienti di fornitura.

Spesso, gli importatori sono figure fondamentali: intanto, per individuare i profili corretti e le caratteristiche opportune del prodotto; poi, per il fatto che occorre un tramite di relazione e di garanzia, oltre che di groupage (soprattutto se ci si indi-rizza all’Horeca o alle delicatessen).

Alcuni importatori stanno perseguendo una strategia di integrazione verticale a valle, aprendo loro stessi punti vendita al dettaglio; altri hanno creato proprie marche; altri ancora gestiscono non solo il mercato svedese, ma anche quelli nor-vegese e danese.

Gli svedesi sono estremamente corretti dal punto di vista commerciale e preten-dono altrettanta serietà di comportamento e affidabilità (per esempio, in materia logistica). Con i clienti svedesi occorre essere sempre trasparenti e diretti.

A proposito di cooperative, l’associazione che molti consumatori effettuano si riferisce alla Coop Konsum, colosso della distribuzione al dettaglio. A parte questo collegamento, il concetto di cooperativa, in sé e per sé, non è conosciuto e non è rilevante. Sono però rilevanti alcune leve corrispondenti ad aspetti pre-senti alle spalle di una classica cooperativa italiana, che la possono caratterizzare. Per esempio, la particolare cura delle fasi di lavorazione, le componenti etiche, il benessere animale, la sostenibilità ambientale, ecc. Lo svedese può essere sensibile al fatto che con la cooperazione si sostengono gli agricoltori, si oppone resistenza all’economia globale e alla grande industria; è ancora più sensibile al controllo della filiera e alla tracciabilità.

Occorrono quindi strategie di comunicazione che pongano in evidenza questi aspetti; è assolutamente opportuno comunicare l’immagine della cooperativa italiana, facendo capire che si tratta di gruppi di agricoltori legati al settore primario e in grado di controllare tutto l’iter produttivo.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

8.8. CONTESTO E POTENZIALITÀ DELLE ESPORTAZIONI NEL REGNO UNITO

Il mercato del Regno Unito è piuttosto ricettivo verso i prodotti esteri, Londra in modo particolare. Questo vale soprattutto per tutto ciò che in loco non si può pro-durre o non è conveniente produrre. Nel corso degli ultimi anni, infatti, gli inglesi hanno iniziato ad amare i mercatini locali e il concetto di km zero; sempre più spesso, la provenienza locale è posta bene in evidenza. Contemporaneamente, la dimensione del produttore incide sulla scelta, con una preferenza per la piccola azienda, percepita come più attenta alla qualità.

D’altra parte, dal momento che si importa anche da Africa e Sud America, la pro-venienza italiana non è percepita come troppo distante, se un prodotto non è presente in loco o non è disponibile in quantità sufficienti, oppure se è speciale.

La cucina italiana è ben apprezzata, l’atteggiamento del consumatore è indubbia-mente positivo e la reputazione dei prodotti alimentari italiani (seppur ritenuti in tanti casi un po’ costosi) è eccellente: comunicano salute, entusiasmo, cultura, tutti fattori che è opportuno porre in evidenza da parte dei produttori italiani.

L’Italia è positivamente percepita per le tradizioni, ma questo non esclude in-novazioni per esempio in termini di packaging o restyling, magari finalizzate a una migliore conservazione e praticità, o a una maggiore leggerezza (soprat-tutto da quando è in vigore il sistema evidente di segnalazione dei contenuti sulle confezioni).

Secondo diversi operatori interpellati, l’Italia è vista come un paese di alto livello in riferimento al food, ma l’italiano è percepito a volte come poco affidabile, un fornitore approssimativo che non dà sufficienti sicurezze.

Si ha un rilevante spazio potenziale di crescita, ma le imprese italiane si dovreb-bero organizzare in gruppi per affrontare adeguatamente questo mercato: per esempio, consorzi di cooperative. I produttori non devono necessariamente cre-scere, è stato affermato: devono organizzarsi meglio. Anche le istituzioni italiane dovrebbero collaborare, per esempio riducendo il carico di burocrazia: “nei rap-porti con l’Italia tutto è difficile, complicato”.

Con le cooperative, difficoltà di relazione si hanno quando è scarsa o nulla la de-lega a dirigenti: l’iter decisionale tende a prolungarsi nel tempo; si ha una scarsa intraprendenza; diventa più improbabile decidere di investire nell’innovazione.

Nel vissuto del consumatore britannico, il concetto di cooperativa è piuttosto vago e non bene delimitato, in quanto esistono cooperative di tipologia del tutto diversa, come The Cooperative nell’ambito della Gdo, che inevitabilmente evoca una grande dimensione.

Non essendo un concetto familiare, la cooperazione dovrebbe puntare su alcune valenze che la contraddistinguono, come la tracciabilità, il controllo della filiera,

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI

la vicinanza alla produzione agricola, la specificità del territorio; ma anche il pro-prio impegno etico e sociale, ambientale, di sostegno alle piccole comunità locali (pur in modo distinto dal fair trade, che non è coerente con l’Italia, ma è adatto ai paesi in via di sviluppo). Insomma, una maggiore protezione di prodotto e di produttori, che consenta di salire di livello rispetto alle altre aziende e di concre-tizzare una potenzialità di valore.

Per quanto riguarda l’Italian sounding, questi prodotti sottraggono spazio alle produzioni realmente italiane, ma aprono anche la porta ad esse.

Sono senza dubbio da osteggiare i casi in cui la provenienza non è chiara; se questa scarsa chiarezza si ha quando si acquistano determinati prodotti (come la carne e il pesce), si tende a rifiutare l’acquisto. Per esempio, una provenienza dall’UE è troppo generica. Strategie non corrette, scritte piccole o ingannevoli, suggestioni italiane artificiali, sono percepite negativamente.

Se invece è evidente che il prodotto non proviene dall’Italia, ma ci si limita a un collegamento con lo stile italiano, a una ispirazione italiana, il consumatore inglese non è tratto in inganno: è consapevole che si sta semplicemente ricordan-do la cultura e l’ambiente dell’Italia. Può però fare eccezione una fascia tutt’altro che trascurabile di consumatori meno accorti, distratti, affrettati al momento dell’acquisto.

Entra in gioco anche la credibilità del distributore: ci sono insegne più discuti-bili da questo punto di vista, e insegne che, nella percezione del consumatore, non cercherebbero mai di nascondere la reale provenienza mistificandola per un’origine italiana.

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

SCALETTA PER GLI OPERATORI ESTERI

Il profilo

• profilo dell’operatore intervistato

• tipologie di prodotti acquistati, valore degli acquisti

• tipologie di prodotti importati, valore dell’import

• principali paesi dai quali acquista

• tipologia di operatori esteri dai quali importa

Lo scenario

• ruolo e prospettive delle grandi catene nel mercato agroalimentare locale

• ruolo e prospettive della ristorazione, in particolare per il prodotto di impor-tazione

• ruolo e prospettive degli altri operatori intermedi (grossisti e piccolo dettaglio specializzato e non)

I requisiti

• fattori più importanti richiesti ai fornitori e ai relativi prodotti

• importanza di una dimensione grande del fornitore

Il prodotto italiano

• principali prodotti concorrenti dei prodotti italiani

• punti di forza e di debolezza dell’offerta italiana (produzioni e operatori) ri-spetto ai principali paesi competitori: qualità, tracciabilità. varietà, prezzo, se-rietà, logistica, politiche di marca. made in...

• principali differenze tra piccoli e grandi operatori italiani

• principali canali sui quali si indirizza il prodotto italiano (ristorazione, delica-tessen, dettaglio tradizionale, grandi superfici di vendita)

• incremento di valore del prodotto italiano nei vari passaggi, dall’importatore al consumatore

• problemi di imitazione e contraffazione e suggerimenti per contrastarli; capa-cità di creare confusione percettiva nel consumatore estero; tipologia di pro-dotti coinvolti

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI218 9. ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

• ostacoli burocratici, doganali e di dazi all’import e in particolare a quello dall’Italia

• ostacoli normativi all’import e in particolare a quello dall’Italia

• problemi valutari, rivalutazione, svalutazione e difficoltà di programmazione

Le cooperative

• presenza di cooperative fra i fornitori

• principali difficoltà incontrate nel rapporto con le cooperative

• valenze della provenienza da una cooperativa italiana

• fattori di stimolo all’accettazione di prodotti provenienti dalla cooperazione italiana

Previsioni

• previsioni per l’economia locale per i prossimi due o tre anni

• previsioni circa l’apertura all’import, italiano e non, degli operatori locali

• suggerimenti da offrire ai produttori italiani per migliorarsi nel rapporto

• suggerimenti da offrire ad istituti di promozione del prodotto italiano (vedi Ice)

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

SCALETTA PER LE ISTITUZIONI ESTERE

Lo scenario

• situazione dei consumi e trend

• ruolo e prospettive delle grandi catene nel mercato agroalimentare locale

• ruolo e prospettive della ristorazione, in particolare per il prodotto di importazione

• ruolo e prospettive degli altri operatori intermedi (grossisti e piccolo dettaglio specializzato e non)

Il prodotto italiano

• principali prodotti concorrenti dei prodotti italiani

• punti di forza e di debolezza dell’offerta italiana (produzioni e operatori) ri-spetto ai principali paesi competitori: qualità, tracciabilità. varietà, prezzo, se-rietà, logistica, politiche di marca. made in...

• principali canali sui quali si indirizza il prodotto italiano (ristorazione, delica-tessen, dettaglio tradizionale, grandi superfici di vendita)

• incremento di valore del prodotto italiano nei vari passaggi, dall’importatore al consumatore

• problemi di imitazione e contraffazione e suggerimenti per contrastarli; capa-cità di creare confusione percettiva nel consumatore estero; tipologia di pro-dotti coinvolti

• ostacoli burocratici, doganali e di dazi all’import e in particolare a quello dall’Italia

• ostacoli normativi all’import e in particolare a quello dall’Italia

• problemi valutari, rivalutazione, svalutazione e difficoltà di programmazione

Le cooperative

• valenze della provenienza da una cooperativa italiana

• fattori di stimolo all’accettazione di prodotti provenienti dalla cooperazione italiana

Previsioni

• previsioni per l’economia locale per i prossimi due o tre anni

• previsioni circa l’apertura all’import, italiano e non, degli operatori locali

• suggerimenti da offrire ai produttori italiani per migliorarsi nel rapporto

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

SCELTE E POLITICHE COMMERCIALI E DI MARKETING RELATIVE AL MERCATO ESTERO

Questionario per le cooperative

In fase di contatto iniziale, chiedere se l’azienda esporta per almeno un 10% del proprio fatturato (o per almeno 4 milioni di euro) - Per esportazione si intende l’export con fatturazione al cliente estero, non il prodotto fatturato a un cliente italiano, come un esportatore, che poi provvede a esportarlo.

Azienda ............................................................................................................Settore:

1 Lattiero-caseario

2 Ortoflorofrutticolo 3 Vitivinicolo 4 Altro ..........................................................................................................

Regione:

1 Piemonte 2 Valle d’Aosta 3 Liguria 4 Lombardia 5 Veneto 6 Trentino Ato Adige 7 Friuli VG 8 Emilia-Romagna 9 Toscana 10 Marche 11 Umbria 12 Lazio 13 Abruzzo 14 Molise 15 Puglia 16 Basilicata 17 Campania 18 Calabria 19 Sicilia 20 Sardegna

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Analisi delle strategie commerciali e di marketing delle cooperative agro-alimentari: approfondimento sulle problematiche relative all’export e potenzialità di espansione sui mercati esteri

Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

IL QUADRO DELL’EXPORT

1. Quanto ha inciso l’export sul vostro fatturato nel 2012?

.................................................%

2. In quali paesi esportate, principalmente? (indicare i quattro paesi più importan-ti e la relativa percentuale sul totale export dell’azienda, in valore; nell’ultima riga, indicare sinteticamente i restanti paesi o le restanti aree mondiali)

1 .................................................... .........................%

2 .................................................... .........................%

3 .................................................... .........................%

4 .................................................... .........................%

Altri paesi o aree: ........................................................................................................................

........................................................................................................................................................

3. Quali prodotti esportate, principalmente? (indicare i quattro prodotti o categorie di prodotto)

1 .................................................... .........................%

2 .................................................... .........................%

3 .................................................... .........................%

4 .................................................... .........................%

Altri prodotti o categorie: .........................................................................................................

........................................................................................................................................................

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

4. Sempre in riferimento all’export, quali sono i vostri clienti? (sono possibili più risposte; ricordarsi che i clienti sono quelli a cui si fattura)

1 consorzio estero di grado superiore / OP estera a cui il prodotto viene conferito 2 società commerciali partecipate o controllate 3 importatori - commercianti all’ingrosso 4 catene della Gdo ? (sono possibili più risposte) 5 piccoli dettaglianti (tradizionali e specializzati) 6 ristorazione, catering 7 industria 8 altri: .............................................................................................................................. 9 n.r.

5. Al di là del cliente a cui vendete, quali sono i principali canali finali a cui si indirizza il vostro prodotto? (sono possibili più risposte)

1 grandi superfici di vendita 2 dettaglio tradizionale 3 dettagli specializzato (es. delicatessen) 4 ristorazione, catering 5 industria 6 altri: ............................................................................................................................... 7 non so

6. Quali sono i paesi che sono cresciuti maggiormente, negli ultimi due anni,

come vostri clienti? ................................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................

7. Quali sono stati i fattori che vi hanno consentito di incrementare l’export in questi paesi? (eventualmente, indicare l’area o il paese a cui si riferiscono) ................................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

8. Il fatto di essere una cooperativa ha qualche effetto, positivo o negativo, sulla possibilità di conquistare spazi sui mercati esteri? Effetti positivi ..................................................................................................................................................................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................... Effetti negativi .................................................................................................................................................................................................................................................................................................. ................................................................................................................................................................... ................................................................................................................................................................... Altri effetti ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................................... ...................................................................................................................................................................

BARRIERE E DIFFICOLTA’

9. Quali sono state le principali difficoltà che avete incontrato sui mercati esteri nel 2012 e nella prima parte del 2013? (eventualmente, indicare l’area o il paese a cui si riferiscono)

................................................................................................................................................................... ....................................................................................................................................................

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

10. In modo particolare, quali sono le principali difficoltà che si incontrano sui seguenti mercati esteri?

10.1 Cina/Hong Kong ................................................................................................................

........................................................................................................................................................

non esporto in questo paese

10.2 Russia ..................................................................................................................................

........................................................................................................................................................

non esporto in questo paese

10.3 Stati Arabi ..........................................................................................................................

........................................................................................................................................................

non esporto in questo paese

10.4 Brasile .................................................................................................................................

........................................................................................................................................................

non esporto in questo paese

10.5 Stati Uniti ...........................................................................................................................

........................................................................................................................................................

non esporto in questo paese

10.6 Canada ................................................................................................................................

........................................................................................................................................................

non esporto in questo paese

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

11. In genere, quali sono le principali barriere a cui sono sottoposti i prodot-ti alimentari italiani? (sollecitare la risposta prima per le barriere tariffarie, poi per quelle relative ai dazi, per quelle normative, per quelle igienico-sanitarie; infine, chiedere se ci sono altri tipi di barriere; per ogni tipo di barriera, il paese o i paesi maggiormente coinvolti)

Barriere tariffarie (per es. dazi doganali): ..............................................................................

........................................................................................................................................................

Relativi paesi: ..............................................................................................................................

........................................................................................................................................................

Barriere non tariffarie (per es. contingentamenti, tasse aeroportuali, ecc.): ...................

........................................................................................................................................................

Relativi paesi: ..............................................................................................................................

........................................................................................................................................................

Barriere normative: ....................................................................................................................

........................................................................................................................................................

Relativi paesi:...............................................................................................................................

........................................................................................................................................................

Barriere igienico-sanitarie: .......................................................................................................

........................................................................................................................................................

Relativi paesi: ..............................................................................................................................

........................................................................................................................................................

Altre barriere:................................................................................................................................

........................................................................................................................................................

Relativi paesi:...............................................................................................................................

........................................................................................................................................................

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

12. Quali sono i paesi su cui puntate maggiormente, come sviluppo delle vo-stre esportazioni, per i prossimi cinque anni?

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

13. Su cosa si baseranno, soprattutto, le vostre strategie per sviluppare il mer-cato in questi paesi? (eventualmente, indicare l’area o il paese a cui si riferiscono)

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

GLI STRUMENTI ISTITUZIONALI ESISTENTI IN ITALIA

14. Per quanto riguarda gli strumenti istituzionali di supporto finanziario all’internazionalizzazione, la vostra cooperativa si è avvalsa della collabo-razione di qualcuno di questi enti? (leggere i seguenti enti e barrare quelli che ottengono una risposta affermativa; specificare che per la Cassa Depositi e Prestiti si intende un utilizzo diretto, non mediato dagli altri strumenti; successivamente, chiedere se ci sono stati altri enti a cui la cooperativa ha ricorso, e in caso affermativo indicarli nelle righe per le risposte libere)

1 SACE

2 SIMEST

3 Export Banca

4 Cassa Depositi e Prestiti

SE E’ STATA DATA QUALCHE INDICAZIONE, PROSEGUIRE CON LA DOMANDA 15, ALTRIMENTI PASSARE ALLA DOMANDA 17

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

15. Quale tipo di supporto avete ricevuto?

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

16. Hanno risposto alle vostre esigenze? Avete qualche suggerimento o com-mento?

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

17. La vostra cooperativa ha utilizzato strumenti istituzionali per l’assicurazio-ne del rischio su crediti commerciali oppure per il recupero crediti relati-vamente all’attività di esportazione? Se sì, quali ?

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

SE E’ STATA DATA QUALCHE INDICAZIONE, PROSEGUIRE CON LA DOMANDA 18, ALTRIMENTI PASSARE ALLA DOMANDA 20

18. Quale tipo di supporto avete ricevuto?

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

19. Hanno risposto alle vostre esigenze? Avete qualche suggerimento o com-mento?

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

20. Alla vostra cooperativa è capitato di utilizzare strumenti istituzionali per il supporto di mercato o di consulenza commerciale all’internazionalizzazione?

1 sì PASSARE ALLA DOM. 22

2 no PASSARE ALLA DOM. 21

3 non so PASSARE ALLA DOM. 28

21. Per quali motivi non li avete mai utilizzati?

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

PASSARE ALLA DOMANDA 28

22. Quali avete utilizzato?

1 Ice

2 Camere di Commercio

3 Regioni

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

23. E’ stato complesso attingere a queste risorse?

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

24. Quali sono le sue opinioni in riferimento ai criteri di selezione per accede-re ai finanziamenti?

......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

25. Quale tipo di supporto avete ricevuto?

......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

26 Questi strumenti hanno risposto alle vostre esigenze?

1 completamente PASSARE ALLA DOM. 28

2 abbastanza PASSARE ALLA DOM. 28

3 poco PASSARE ALLA DOM. 27

4 per nulla PASSARE ALLA DOM. 27

5 non so PASSARE ALLA DOM. 28

27. Per quali motivi non hanno risposto alle vostre esigenze?

......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

28. In quali modi l’ente pubblico potrebbe sostenere e stimolare l’esporta-zione nel vostro settore? (chiedere, per quanto possibile, una risposta piuttosto dettagliata, senza fermarsi aindicazioni generiche, come “favorire il contatto con i buyer”)

......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

STRATEGIE ATTUATE E PROBLEMATICHE RELATIVE ALLA CONTRAFFAZIONE

29. Nel vostro settore è importante fare innovazione di prodotto per i mercati esteri?

......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

30. Quali sono le vostre strategie di comunicazione rivolte ai mercati esteri?

......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

31. Quale è la sua opinione sull’utilità della partecipazione a fiere, per conqui-stare spazi sui mercati esteri?

......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

32. Nel vostro settore, ci sono problemi di imitazione o di contraffazione dei prodotti italiani all’estero?

1 sì PASSARE ALLA DOM. 33

2 raramente PASSARE ALLA DOM. 33

3 no PASSARE ALLA DOM. 35

4 non so PASSARE ALLA DOM. 35

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ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

33. Di cosa si tratta, di contraffazioni vere e proprie, oppure di strategie per creare Italian sounding?

1 contraffazioni

2 it sounding

3 entrambe

4 altro

5 non so

34. Mi può fare qualche esempio specifico, relativamente a determinati pro-dotti, alle modalità, ai paesi in cui ciò si verifica, alla perseguibilità per legge, alla qualità del prodotto di imitazione, agli effetti sul mercato)?

34.1 Prodotto: ..............................................................................................................................

Modalità: .............................................................................................................................

Principali paesi: ..................................................................................................................

Perseguibilità per legge e motivi: ....................................................................................

Livello di qualità del prodotto di imitazione: ................................................................

Effetti sul mercato: ..............................................................................................................

Note: .....................................................................................................................................

34.2 Prodotto:..............................................................................................................................

Modalità: .............................................................................................................................

Principali paesi: ..................................................................................................................

Perseguibilità per legge e motivi: ....................................................................................

Livello di qualità del prodotto di imitazione: ................................................................

Effetti sul mercato: ..............................................................................................................

Note: .....................................................................................................................................

34.3 Prodotto:..............................................................................................................................

Modalità: .............................................................................................................................

Principali paesi: ..................................................................................................................

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

Perseguibilità per legge e motivi: ....................................................................................

Livello di qualità del prodotto di imitazione: ................................................................

Effetti sul mercato: ..............................................................................................................

Note: .....................................................................................................................................

PREOCCUPAZIONI PER IL FUTURO

35. Quali sono i principali fattori che la preoccupano, relativamente ai rappor-ti con l’estero, per l’immediato futuro? (se la risposta è generica - per esem-pio, il mercato -, chiedere di precisare e di dettagliare)

......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

.......................................................................................................................................................

SEZIONE ANAGRAFICA

36. Mi può dire il fatturato complessivo dell’azienda, nel 2012?............................. €

Concludere spiegando che, se interessa, Ismea invierà una sintesi dei risultati, gratui-tamente, a titolo di ringraziamento per la partecipazione all’indagine, con le modalità preferite (posta o e-mail).

Azienda .......................................................................................................................................................

Via ..................................................................................................................................................................

Località ............................................................... Prov. ............ Tel. ......................................................

Intervistato ............................................................... Ruolo ...................................................................

Indirizzo di posta elettronica ............................................................................................................

Intervistatore.............................................................. Data intervista...............................................

Osservazioni finali .................................................................................................................................

..........................................................................................................................................................................

..........................................................................................................................................................................

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Risultati dello studio svolto nel secondo semestre 2013

ALLEGATI: I QUESTIONARI UTILIZZATI

NOTE PER LA COMPILAZIONE

• Sul questionario, tutti i messaggi per l’intervistatore sono scritti in corsivo

• Le possibili risposte riportate nel questionario in corrispondenza di ogni do-manda non sono da leggere, tranne quando specificato il contrario.

• Alle domande aperte, se la risposta è “non so”, non scrivere nulla

• Prendere nota di tutte le osservazioni dell’intervistato, che potranno risultare molto utili in fase di elaborazione.

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