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Periodico a distribuzione interna realizzato dagli Studenti Luiss e finanziato dalla Luiss Guido Carli. Il giornale con l’Università intorno Dicembre Social network & Crowdsourcing Intrappolati nella rete

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360° dicembre 2010

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Periodico a distribuzione internarealizzato dagli Studenti Luisse finanziato dalla Luiss Guido Carli.

Il giornale con l’Università intorno Dicembre 2010

Social network &CrowdsourcingIntrappolati nella rete

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Fondato nel 2002

Fondatori: Fabrizio Sammarco, Luigi Mazza, Leo Cisotta

Direttore:Alex Giordano

Responsabile Organizzativo:Federico Ronca

Cosmoluiss SP: Zaira Luisi

Cosmoluiss EC:Elena PonsFrancesco Sbocchi

Cosmoluiss GP:Gabriele Maria SpagnoliGuendalina Anzolin

Speaker’s corner:Giuseppe Carteny Alessandro Tutino

International: Alessandra Micelli

Fuori dal mondo:Nicola Del MedicoFabiana Nacci

L’Eretico:Edoardo Romagnoli

Artificio:Mariafrancesca TarantinoTiziana Ventrella

Ottava nota:Andrea Buccoliero

Cogitanda:Agnese CurtiElisabetta Rapisarda

Cinema & Teatro:Giulia Montuoro

Lifestyle:Martina Monaldi

Calcio d’angolo:Matteo Oppizzi

Delegato fondi:Mariastella Ruvolo

Stampato su carta riciclata da:Rubbettino Industrie Grafiche ed Editoriali

Progettazione grafica:Diego Lavecchia

Copertina:Diego Lavecchia

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Dicembre 2010

Sommario

Editoriale• Facebook ergo sum . . . . . . . . . . . . . . . .pag. 3

CosmoLuiss• Dal mondo del lavoro alla politica . . . . . .“ 4• La bussola dello studente . . . . . . . . . . . . . .“ 5• Le nostre facce su internet . . . . . . . . . . . . .“ 5• Social network: Pro and Cons! . . . . . . . .“ 6• Realtà o finzione? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 7• “Social network” degli studenti

di Scienze Politiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 7• Voci dal mondo

• Oslo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 8• Vancouver . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 8• e social network: should we

“like” it? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 8• Progetto “Italia150giovani” . . . . . . . . . . . .“ 9

Speaker’s Corner• Intervista all’avvocato Ezio Gabrielli . . . .“ 10• Versi avversi per Bondi e Tremonti . . . . .“ 10• Il nuovo che avanza. Forse. . . . . . . . . . . . .“ 11• Perchè la sinistra non è solo PD . . . . . . . .“ 11• Non fiori, ma opere di bene . . . . . . . . . . . .“ 12• L’italia è un circo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 12

International• Intervista col reporter . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 13• Midterm Usa: i risultati, le aspettative

disattese e la vittoria delle lobbies . . . . . .“ 14• Haiti al tempo del colera . . . . . . . . . . . . . .“ 15• Living Darfur . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 15

fuori dal mondo• Everybody goes to Bollywood!

• Il mio viaggio in India . . . . . . . . . . .“ 16• How much...Bollywood? . . . . . . . .“ 16• Outisder o Major? . . . . . . . . . . . . . .“ 16• Sari e BlackBerry: storia di

una nuova middle class . . . . . . . . . .“ 17• Speciale MediterraneaMente . . . . . . . . . .“ 17

L’Eretico• S.o.s. Working class hero . . . . . . . . . . . . . .“ 18

Cogitanda• Non-luogo

• Editoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 19• Il signore del non-luogo . . . . . . . . . .“ 20• Café et le néant . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 20• Progetto non luogo . . . . . . . . . . . . . .“ 20• L’amore ai tempi del non-luogo . . .“ 21• La solitudine “di massa” . . . . . . . . . .“ 21• La scoperta del non-luogo . . . . . . . .“ 21

Ottava nota

• OPD: officially pronouced dead . . . . . . .“ 22

• Avevo fame, i Kings of Leon hanno provveduto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 23

• Welcome to (fabulous) Las Vegas . . . . . .“ 23

Artificio• Gocce d’arte: le Stagioni . . . . . . . . . . . . . .“ 24• Autumn is a second spring when

every leaf is a flower . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 24• Magritte: “La bella stagione”,

l’inversione di un mito . . . . . . . . . . . . . . . .“ 25

Cinema & Teatro• La cultura non è un optional, perché

senza cultura non c'è popolo . . . . . . . . . . .“ 26• e social network . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 26• La dolce vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 27• Inception . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 27

Lifestyle• Fashion delirium . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 28• Tricot, I love you! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 29• Dove vai, se una treccia non ce l’hai? . . . .“ 29• Quando l'Haute Couture incontra

il Low Cost . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 29

Calcio d’Angolo• Alonso: profondo rosso. . . . . . . . . . . . . . . .“ 30• Black Vale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 30• Intermezzo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 31• Voce al romanista. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .“ 31

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Facebook ergo sum“Come? Non hai Facebook?!”

Correva l’anno 2004 quando, all’interno dellaHarvard University, un rampante giovanotto dibelle speranze, tale Mark Zuckerberg, inventavaun social network destinato a cambiare la vitasua e quella dei 500 milioni di utenti che hannoregistrato almeno un profilo sul dominio face-book.com, il secondo al mondo per numero divisite annuali. La neonata rete sociale incontròpresto uno straordinario successo, permettendoal suo fondatore di diventare, nel giro di qualcheanno, il più giovane miliardario del mondo, conun patrimonio netto di 6,9 miliardi di dollari.Sicuramente l’impatto avuto dal social networkè andato ampiamente oltre le aspettative deisuoi fondatori (ah già, erano più di uno. Maquesta è un’altra storia..) riuscendo a creare unaragnatela di contatti in grado di collegare mezzomiliardo di persone sparse in tutto il mondo. Grazie a quest’invenzione, nata probabilmentedurante una pausa studio senza troppe pretese,è diventato possibile non solo chattare con ipropri amici, ma anche condividere eventi, in-staurare nuovi rapporti e rimanere costante-mente aggiornati sulle ultime novità riguardantitutto ciò che più “ci piace”.E’ ormai impossibile negare che parole cometag, wall e inbox, un tempo pronunciate fre-quentemente soltanto dai mitologici turbonerd,sono diventate di uso più che comune, al puntoche non conoscerne il significato equivale adun completo isolamento sociale, paragonabilesolo ad una vita trascorsa in una cavernanell’Himalaya cercando di battere il tempo re-cord di risoluzione del cubo di Rubik. Ironie aparte, molti psicologi hanno concentrato i pro-pri studi sulla dipendenza, vera o presunta, chel’invenzione di Zuckerberg può creare nei pro-pri utenti. In Italia, per esempio, rimangonodavvero in pochi gli anticonformisti della co-municazione che, nel tentativo di distinguersi odi evitare la completa assuefazione, hanno de-ciso di non iscriversi al sito, con i vantaggi e so-prattutto gli svantaggi che questa scelta com-porta. I social network (includendo quindiTwitter, Badoo e compagnia bella), infatti, co-stituiscono, ad oggi, il miglior modo per creareuna rete di contatti che, utilizzati nella manieracorretta, possono rivelarsi una risorsa fonda-mentale, sia all’interno del mondo universitarioche in quello del lavoro. All’interno dell’Uni-versità, ad esempio, questo strumento può di-ventare essenziale per favorire l’associazionismo,coinvolgere gli studenti nell’organizzazione dieventi e per comunicare notizie più o meno im-portanti, che possono spaziare dalla condivi-sione di appunti ai commenti sulle scarpe or-rende della più figa del corso. Per quantoriguarda, invece, il mondo del lavoro la nuovafrontiera è quella di affidarsi al web per la sele-zione dei nuovi assunti. Sono pochissime in Eu-

ropa (ahimè sono ancora molte in Italia) leaziende che vanno a caccia di nuove risorseumane basandosi sulla vecchia routine del CVcartaceo e del colloquio col candidato: le ul-time novità ci parlano di “Video Curricula” e diricerca, da parte delle imprese, su piattaformeonline che raccolgono i profili di migliaia digiovani neolaureati i quali, cazzuti e più o menosicuri di sè, elencano i loro titoli di studio e leloro competenze. E’ la controprova, qualora cene fosse ancora bisogno, che il web è diventatouna risorsa di inestimabile valore anche sottoquesto punto di vista. Viviamo in un mondoipermoderno, sebbene lo stato della Salerno -Reggio Calabria sembri suggerirci tutto il con-trario. Rischiamo di perdere l’ineguagliabile uni-cità dei rapporti face to face, forse rischiamo didiventare degli animali da pc, delle amebe dascrivania (potrei anche portare delle testimo-nianze umane a favore di questa tesi), ma nonpossiamo correre il rischio di rimanere indietrocoi tempi. Facebook nasconde in sè le potenzia-lità di un’invenzione rivoluzionaria, al pari deltelefono senza fili e della carta igienica alla ca-momilla che dura più del doppio. Saperle ma-neggiare con consapevolezza può garantirci,quindi, l’inserimento in quella famosa “rete dicontatti globali” capace di favorire la condivi-sione di profili di competenza, sicuramente inversione semplificata, ma non per questo menoutile sia per chi cerca un lavoro che per chi lo of-

fre. Qualche esempio? Il social network italianoLink2me.it rende possibile lo scambio, oltre chedi amicizie, anche di collaborazioni professio-nali. Così come LinkedIn, sul quale è possibilerichiedere referenze e renderle pubbliche, oltrea scrivere un curriculum da pubblicare sulla rete.E, se vogliamo discostarci dall’ambito lavora-tivo, possiamo parlare anche dell’utilità di un al-tro fenomeno del web, Foursquare.com, grazie alquale è possibile creare una cyber map delle pro-prie frequentazioni, condividendo così gusti eopinioni su bar, pub, biblioteche, musei e chi piùne ha più ne metta.Insomma, si potrebbe continuare per altri treeditoriali, ma il succo della questione è riassu-mibile in poche righe. Quella che un tempo erasemplicemente socializzazione online è entratain strettissima correlazione con la quotidianità,al punto che le due dimensioni, virtuale e con-creta, delle nostre vite di noi si avvicinano sem-pre più alla definitiva ricomposizione. La moraledella favola, se proprio vogliamo trovarne una,è che dobbiamo smetterla di usare facebook sol-tanto per piantare carote nel nostro simpaticoorticello di Farmville. Imparare a sfruttare le in-novazioni delle community network può esserela “missione” che ognuno di noi deve sforzarsi diportare a termine.

“Come, scusa?! Non hai Facebook!?”

Alex Giordano

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Dal mondo del lavoro alla politicaistruzioni per un uso intelligente dei social network

Per avere un’opinione critica e professionale sunuovi utilizzi dei social network, ci siamo rivoltial dott. Alessandro Prunesti, consulente in SocialMedia Marketing & Enterprise 2.0, ad oggi autoredi 4 pubblicazioni e docente alla Buisness SchoolSole 24Ore e Responsabile Centro Dipartimen-tale Attività informatiche presso l’Università Eu-ropea di Roma.

1- Dott. Prunesti, nel suo nuovo libro Enter-prise 2.0 illustra tecniche e processi organizzativiper migliorare la comunicazione interna alle im-prese. Pensa che si possa anche sfruttare la piattaformadei social network per collegare il mondo del-l’istruzione, nel nostro caso universitaria, conquello del lavoro?

Ritengo che questo sia senz’altro possibile. I socialnetwork oggi costituiscono lo spazio privilegiatoper la circolazione e la condivisione della cono-scenza. Per quanto riguarda le aziende, ad esempio, anchein Italia inizia ad essere sempre più utilizzato il ri-corso alle piattaforme web 2.0 per sviluppare at-tività di social CRM (costumer relationship me-nagement ndr) e di crowdosourcing, checonsentono di sviluppare e/o migliorare i pro-dotti e i servizi offerti con la partecipazione direttadelle persone che compongono i mercati di rife-rimento. Dall’altro lato, in particolare, sul versante dellepersone, oltre all’onnipresente Facebook esistonosocial network professionali come Viadeo, Lin-kedin o Xing al cui interno interagiscono attiva-mente professionisti di rilievo sui campi più di-sparati, non solo legati all’informatica o almarketing.Anche il mondo dell’Università può trarre grandivantaggi dall’utilizzo dei social network, favo-rendo attraverso l’uso di questi strumenti la cir-colazione delle idee e l’unione tra il mondo azien-dale, quello della formazione universitaria e quellodella ricerca.La creazione di un social network accademicopuò, ad esempio, favorire lo sviluppo di un am-biente online dove docenti e studenti possano ap-profondire gli argomenti oggetto del loro studioentrando in relazione con esperti provenienti daaltri ambiti, ovviamente anche internazionali. Al suo interno possono essere sviluppati e gestitiprogetti di cooperazione e incubatori di businesscapaci di destare l’interesse delle aziende, chia-mate anch’esse a collaborare a questi progetti conun approccio orizzontale e meritocratico. Le aziende stesse, inoltre, possono stipulare ac-cordi con il mondo dell’Università per creare spin-off o nuovi progetti di business sviluppati incrowdsourcing, attraverso, cioè, la partecipazione

attiva e organizzata degli studenti. Per fare questoè ovviamente necessario predisporre fin dall’iniziopolicy chiare, un approccio organizzativo basatosul merito e sulla collaborazione, che favoriscanoflussi di comunicazione reticolari anziché gerar-chici nella costruzione e nella condivisione dellaconoscenza.

2- In una società in cui la distinzione tra pub-blico e privato si fa sempre più sottile, pubbli-cizzare la propria condotta di vita sui social net-work, in particolare Facebook, può influenzarela selezione nel mondo del lavoro?

Assolutamente si. Oggi tuttavia si corre il rischiodi demonizzare i social network, messi al centrodel mirino per i problemi relativi alla privacy e imille pericoli che ciascuno di noi può correre con-dividendo in Rete con altre persone, più o menoconosciute, le proprie informazioni.Occorre ricordare che i social network, tra i qualiovviamente Facebook, sono e restano degli “stru-menti” di comunicazione: essi sono una infra-struttura tecnologica che consente la condivisionein tempo reale delle informazioni più disparate…ma sono e restano comunque una infrastruttura.Il grande valore dei social network è dato dai con-tenuti che ciascun utente decide di inserire e dicondividere con i suoi contatti, e dai livelli di pri-vacy che ciascun utente DEVE attribuire a ciascuncontenuto.La vera differenza non la fa l’infrastruttura, ma lapersona. Molte persone gestiscono un profilo pro-fessionale su LinkedIn, e contemporaneamentegestiscono anche un profilo su Facebook e magariuno su MySpace. E’ necessario mantenere una certa coerenza traquesti profili: quella che, nel gergo della comuni-cazione, si chiama “immagine coordinata”: Adesempio, un impeccabile profilo professionale contanto di foto in giacca e cravatta su LinkedIn nonpuò scontrarsi con la bacheca personale di Face-book ricca di foto con l’ultima sbronza presa congli amici in giro per locali.Sempre più responsabili del personale di aziende,ma anche head hunter, utilizzano i social network- e i gruppi che si formano al loro interno – percercare persone valide e brillanti, che magari con-dividono idee innovative e progetti di businessinteressanti.

3- Negli ultimi due anni abbiamo avuto esem-pio di come la libera iniziativa dei cittadini, inparticolare giovani, abbia sfruttato i social net-work e le community per organizzarsi in grandimovimenti di protesta politica. Portando il fenomeno alle estreme conse-guenze, alcuni studiosi propongono la demo-

crazia diretta delibe-rativa, una forma diesercizio della sovra-nità popolare che fa-rebbe uso del webper aumentare il po-tere decisionale deicittadini. Un click, un voto suun emendamento.Pensa possa essererealizzabile un’esperienza simile?

E’ una ipotesi senz’altro affascinante, ma sonopiuttosto scettico sulle reali possibilità applica-tive della democrazia diretta deliberativa. E’ senz’altro vero che i social media, già da ora,svolgono un ruolo chiave nella libertà di circola-zione delle idee, in particolar modo nei Paesi go-vernati da regimi che limitano l’esercizio delle li-bertà fondamentali. Questo avviene perché Internet è, per definizione,il territorio dei pari. Sulla Rete ciascuno di noi puòdisporre liberamente degli stessi strumenti di co-municazione – e di replica – dei quali disponechiunque altro; è chiaro che nei media main-stream questo non è possibile. Internet è il luogodella comunicazione che parte dal basso; la TV se-gue invece il tradizionale flusso top-down, anchese negli ultimi anni iniziano a sussistere forme dicooperazione e di integrazione dei contenuti tramedia tradizionali e nuovi media digitali.Secondo la mia opinione esistono diversi ostacolialla possibilità che la sovranità popolare possaesercitarsi con un semplice click. Questi ostacolisono legati principalmente a quelli che, proprio in“Enterprise 2.0”, definisco come “i 3 divide”:Un divide digitale, relativo alla limitatezza delle ri-sorse tecnologiche e infrastrutturali nelle reti di te-lecomunicazione che, ancora oggi, taglia fuoridall’accesso alla Rete moltissime persone;Un knowledge divide, che si riferisce alla scarsaconsapevolezza delle vere potenzialità dei socialnetwork in termini di business e di crescita per-sonale, anche tra le persone che li usano abitual-mente; E un social divide, nel quale le persone do-tate di banda larga non sono in grado di utilizzarei social media perché appartengono a fasce so-cioeconomiche tradizionalmente poco legate al-l’uso del PC (ad esempio, anziani e casalinghe).Ritengo che, oltre alla necessità di risolvere il pro-blema dei 3 divide, un ruolo chiave debba esseresvolto dalle agenzie tradizionalmente preposte al-l’erogazione dell’istruzione, per favorire lo svi-luppo della cultura digitale: da questo punto di vi-sta le istituzioni scolastiche, prima ancora delleuniversità, esercitano un ruolo fondamentale, maspesso trascurato.

zaira luisi

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La bussola dello studente

“Potevano mandarla su Facebook, la mail. L’avreb-bero letta tutti.” Questo il primo commento del-l’esiguo gruppo di studenti di spagnolo giunti aviale Pola, nel rendersi conto che ben pochi deiloro compagni li avrebbero raggiunti. La notiziadel trasferimento di alcuni dei corsi da viale Ro-mania alla sede storica dell’ università era giuntainaspettata e con il minimo anticipo. Le mail in-formative erano state inviate sulla web mail Luissed il fatto che ben pochi ne avessero avuto notiziaera la chiara dimostrazione che luiss.it non è poicosì popolare. Certo non è facile competere conFacebook (un esempio a caso). Secondo Te-chCrunch, blog statunitense che si occupa di tec-nologia e informatica, circa l’85% degli studentidei college ha un profilo su FB e di questi circa il60 vi accede quotidianamente. E’ molto probabilequindi che l’intuizione fosse più che fondata: se

l’avviso di trasferimento fosse stato inviato su Fa-cebook sicuramente ci sarebbero state aule piùpiene e professori più soddisfatti. Il dibattito suisocial network e sulle loro utilitàe conseguenze è aperto ormai daanni, ma non si può certo negareche essi siano tra i più grandimezzi di comunicazione dimassa attualmente esistenti. Allabase del loro successo vi sonosemplicità di utilizzo e capacitàdi creare aggregazione e coesionesociale tramite reti – organizzateper città,posto di lavoro,univer-sità- all’interno delle quali è pos-sibile essere sempre aggiornati sulle ultime novitàinerenti all’ambito di ciascun gruppo. La nostrauniversità, da sempre pioniera nel campo della

tecnologia, non si è lasciata sfuggire l’occasione dipoter “testare” le potenzialità dei social networksui suoi studenti, le cui funzionalità restano tut-

tavia sfruttate in forma minima.Un universo in costante cambia-mento come la Luiss ha necessa-riamente bisogno di uno stru-mento di informazionealtrettanto veloce e dinamico,motivo per cui potrebbe trovarenel social network un grande al-leato, così come gli studenti po-trebbero trovarvi la loro “bus-sola” per non perdersi nellasconfinata giungla di innova-

zioni, possibilità e cambiamenti che costituisconoil mondo universitario. Su FB infatti le associa-zioni studentesche si fanno propaganda e reclu-tano nuovi “adepti”, pubblicizzano eventi che al-trimenti rimarrebbero sconosciuti ai più, lematricole spaesate si aggregano nei vari gruppiintrecciando i primi fili della complicata rete so-ciale in un mondo ancora sconosciuto, i capire-dattori richiamano all’ordine del giorno i lorogiornalisti sparpagliati per le varie sedi… A questopunto sorge spontanea una domanda: se Face-book è così indispensabile e ormai parte inte-grante del nostro modo di comunicare, perchénon poterne usufruire anche all’università? Forseper la paura dei perdigiorno pronti a intasare leaule informatiche? O per la paura che possa cau-sare eccessiva distrazione tra gli studenti? Pur-troppo FB ha un fascino irresistibile: chiunque en-tri in Internet non può fare a meno di sostarvi,anche solo per qualche istante, giusto il tempo divedere chi è on-line, dare una sbirciatina alla vitaprivata di questo o quest’altro… Sicuramente ilpericolo c’è e non è l’unico. Un uso smodato deisocial network rischia di far perdere il contattocon la realtà terrena, di farci naufragare in una re-altà telematica che può inibire le nostre capacitàrelazionali, arrivando talvolta perfino a distorcereil concetto stesso di amicizia e, quel che è peggio,inconsciamente ci conduce all’omologazione ealla perdita della nostra individualità in un “mer-cato delle coscienze” dove tutti pensano tutto enessuno niente, dove un’ emozione non è più ,come cantava Battisti, “qualcosa che è dentro me, ma nella mente tua non c’è” ma diventa di do-minio pubblico. Certo però si suppone che glistudenti universitari siano ormai abbastanza ma-turi per servirsi di questo “giocattolo”, delicato epericoloso, con le dovute precauzioni e con unacerta responsabilità. In fin dei conti FB non ècerto l’unico modo per stare a “cazzeggio” ( pas-sateci il termine!) : in fondo , si sa, di armi di di-strazione di massa ne è pieno il Web, e spesso benpeggiori del sito di Mark Zuckerberg.

Vittoria MorettiLudovica Fabbri

Le nostre facce su internetQuando la selezione avviene sul web

Venerdì 12 novembre è uscito in Italia il nuovo at-tesissimo film di David Fincher, “e social net-work”,incentrato sulla vita dei fondatori di Face-book e sul fenomeno popolare che ha creato. Ilfilm,già campione di incassi negli USA, ha ri-scosso molto successo al botteghino tanto da es-sersi subito guadagnato un primo posto nei filmpiù visti della settimana. Gli italiani sono il po-polo che passa più tempo su Facebook al mondo.Con sei ore e 27 minuti al mesebattiamo di una buona mezz’orai nostri amici d’olteroceano sta-tunitensi. Cinguettiamo su Twit-ter, carichiamo foto su Badoo,curiosiamo sulla pagina del piùfigo del corso e ci vantiamo diavere come “amico” il presidentedel consiglio in carne ed ossa(beh, non proprio)! Per rico-struire la vita di tramite le infor-mazioni sul web non è necessariochiamare il miglior analista. Nonlo è dal momento che la community ci accompa-gna quando ci innamoriamo, sul lavoro, è accantoa noi per condividere le gioie di nascite, i lutti, ma-trimoni e divorzi. Magari non a torto. Magari è ciòche vogliamo. Ma di sicuro non è solo questo. In-ternet è anche uno dei mezzi più utilizzati per ri-solvere problemi, cercare informazioni. Il feno-meno del social network è in crescita costante enegli ultimi tempi, l’utilizzo di essi per qualcosache va all’ aldilà di rimanere in contatto con gliamici, condividere pensieri e confrontarsi con lepersone, è aumentato a dismisura. Sono sempre di

più, ad esempio, i neo-laureati che cercano un im-piego, mandano curricula e trovano contatti at-traverso la rete dei social network. Molte aziendesono alla ricerca di nuovo personale su Internet esono sempre di più i candidati che presentano vi-deo-curriculum o che sostengono video-colloqui.Molte delle aziende, inoltre, preferiscono i ragazziche si fanno riconoscere per l’utilizzo di questinuovi media per trovare lavoro a quelli che in-

vece si affidano ai metodi tradi-zionali, come mandare il propriocurriculum per posta ordinaria opresentarsi direttamente in sedecon la speranza di trovare un’oc-cupazione. Proprio in questa di-rezione,si stanno aprendo nuovisocial network finalizzati alla ri-cerca di un impiego e all’offertadi posti di lavoro. Uno di questiè “Social Aigers”, sistema pro-mosso dall’Associazione Inge-gneria Gestionale dell’università

Sapienza di Roma, che ha lo scopo di creare unarete di giovani laureati e professionisti grazie alquale gli utenti possono condividere esperienze eampliare rapporti personali e professionali attra-verso la community. Insomma, non è un caso cheimprese, scuole e istituzioni abbiano la propriapagina Facebook. Sta a noi “diventare fan” di certerealtà e correre appresso alle informazioni cheviaggiano sul web per non lasciarcele sfuggire.Nessuno dice sia facile, ma gli strumenti per farloci sono.

Ambra Borriello

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Social Network: Pro and Cons!

Per la stesura di questo articolo il mio collegaed io siamo la coppia perfetta:  infatti lui è unodei  milioni di utenti che frequentano i socialnetwork mentre io sono troppo diffidente,riservata e scettica  per iscrivermi. Per comodità, nel nostro articolo, prenderemoin considerazione il più famoso ed endemica-mente stratificato social network su tutto ilpianeta: Facebook! La prima volta che ne abbiamo sentito parlarein ambito universitario è stato quando allaprima lezione di introduzione  alla geometriaanalitica, il Prof. Scarsini, ci disse che tutti noi,ogni giorno, avevamo a che fare con le matrici,come quando per esempio utilizzavamo Face-book. L’idea originaria di questo sistema di ricerca èproprio questa, poter ritrovare amici che sierano persi di vista. Oggi FB è sicuramente la matrice più grandeal mondo ed uno dei prodotti meglio riuscitidel web. Ma dato che tutti sappiamo di cosastiamo parlando, al punto che l’università hadovuto bloccarne l’accesso ai computer delleaule informatiche che erano regolarmenteintasate dai “facebook’s users” (vergognia-moci! n.d.rs.), proviamo a tirare un po’ lesomme di questi fantomatici social networks,iniziando con ciò che c’è di inquietante intutto questo.  Partiamo col criticare Facebook dalla suastessa definizione: se si sono persi i contatticon una persona, non ci sarà un motivo? L’amicizia è un sentimento difficilissimo dacoltivare, ci vuole impegno e dedizione per cuiè umanamente impossibile portare avanti tuttii rapporti umani che si sono instaurati dalleelementari ad oggi! Su quella piattaforma si ha quella illusione, edè una illusione emotivamente fortissima per-ché è come se avessimo una pagina web cheriassume i nostri affetti. Ne consegue una devozione maniacale nellacura della pagina stessa, che viene abbellitadalle nostre foto più divertenti, in cui siamoritratti meglio, o magari, quella foto, è statascattata apposta come foto-profilo. La cattiva notizia è che questo “profilo” è falso,tu non sei sempre così ben vestito, non ti sbel-lichi dalle risate tutte le volte che esci. Quindi anche questa è un’illusione, o meglio,non sempre il nostro profilo ci assomigliatanto, tu e lui siete simili giusto quando seiallegro e frizzante. È come se Facebook rappresentasse la provadella dicotomia tra ciò che siamo e ciò che vor-remmo essere. Questo trasforma il social network in qualcosadi più simile alla nostra pagina pubblicitariache però contiene anche informazioni stretta-

mente personali: c’è unbisogno nelle persone difarsi conoscere e di con-dividere quasi tuttoquello che si fa affinchéla propria cerchia diamici possa approvare ocriticare il loro operato. Per poi non parlare diquelle 100 richieste diamicizia accettate “per-ché sennò sembra brutto”che però visitano ilvostro profilo per farsideliberatamente i “fatti”vostri. Mi sembra quindi chequesto mezzo attenti allanostra tranquillità e riservatezza e, a secondadel grado di influenzabilità della persona,possa arrivare ad essere anche una fonte distress, per essere all’altezza del proprio profilo. La cerchia di amici diventa un gruppo di opi-nionisti occasionali che lascia un commentosulla tua bacheca quando si è connessi, se si hatempo. C’è una evidente banalizzazione del concettodi amicizia dietro a un simile disinteressa-mento. Dopo questa analisi, Facebook sembrerebbesolo   una goffa ed imprecisa schedatura diognuno di noi, incancellabile dal web, al qualecediamo tutti i diritti sulle nostre foto almomento dell’iscrizione. Il fatto che questo social network possa con-tare così tanti milioni di iscritti può peròsignificare due cose: o che siamo tutti para-noici impiccioni, oppure che c’è   anche unbuon uso che se ne può fare. Tutti i social network, facebook incluso, per-mettono di accorciare le distanze tra lepersone,dando la possibilità di usufruire dimessaggi istantanei tramite cui rimanere incontatto con amici geograficamente lontani.Inoltre le critiche che sono state qui sopra sol-levate riguardo la violazione dell’intimità dellapropria persona sono, ad avviso di chi scrive,del tutto inappropriate e fuori luogo ,dalmomento che ogni utente ha la possibilità dipubblicare e scrivere solo ciò che crede oppor-tuno riguardo la propria vita privata. Senza contare che spesso i social networksrisultano essere occasione di confronto e cre-scita. Pensiamo ancora una volta a facebook: ogniutente ha la possibilità di pubblicare delle notepersonali in cui esprimere il proprio parere suqualsiasi argomento, dando spesso vita ad undibattito al riguardo, spesso costruttivo; ci siconfronta, si prende coscienza delle idee delle

altre persone. Così il social network diventa una sorta di“agorà virtuale” accessibile a tutti da qualun-que posto. Ci sono poi altri social network che possiamodefinire settoriali: ci si incontra sul web percondividere con i propri amici virtuali i risul-tati del proprio lavoro. Gli appassionati di grafica e design,ad esem-pio, possono mostrare a tutti le propriecreazione, accogliere critiche e complimenti,provare a migliorarsi e, perché no, impararedai migliori. Si può, inoltre, parlare anche degli utilizzisocialmente utili dei social network: tanto percitarne uno si può raccontare la storia direspiro internazionale, dell’ultima campagnapubblicitaria della Cgil, condotta dal nuovoprimo segretario donna, Susanna Camusso,per denunciare il disagio dei trentenni alleprese con offerte e condizioni di lavoro allimite della decenza, con finti stage e occupa-zioni sottopagate e precarie ma soprattutto ladisoccupazione giovanile che a settembre 2010ha raggiunto quota 26,4% e tra il 2008 e il2009 si sono persi oltre 300 mila posti dilavoro nella fascia d’età under 30. E come noncitare il movimento del Popolo Viola, natoproprio sul network, studiato dai sociologi ditutta Europa. Facebook può anche essere quindi una sorta dinuova agorà, ma ben più democratica, unapiazza dove tutti posso incontrarsi e scon-trarsi. L’importante è non abusarne,e formarsi ilsenso critico necessario per capire che la realtànon è dentro lo schermo, bensì ci è sedutadavanti!

Elena PonsFrancesco Sbocchi

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Realtà o finzione?

Profili, pagine, status, bacheche, chat, posta,gruppi, inviti, compleanni. Tutto questo e’ ciò chefa parte, almeno per qualche istante al giorno,della vita di cinquecento milioni di persone. Que-sto e’ il nuovo modus vivendi della nostra genera-zione, ma non solo, il fenomeno “facebook” è di-lagante anche in mezzo a chi i vent’anni li hapassati da un po’. Facebook toglie spazio ai senti-menti reali e semplici come la penna che scorre suun foglio di carta, o come quell’imbarazzo nel-l’approcciare un ragazzo che ormai non sappiamopiù che forma abbia. Si sono spesi fiumi di paroleper criticarlo, per denunciare come invada quellaprivacy per cui si e’ combattuto tanto, ma alla finenessuno o quasi, oggi riesce a farne a meno. Perchèquesto strumento magico, riprendendo le paroledel prof Martone durante la presentazione delfilm “e social network”, ha avuto una forza de-vastante si spiega nel fatto che è partito da un ra-gazzo che ha saputo oltre che sfruttare un genio in-tellettivo notevole, capire ciò che la suagenerazione voleva. Una generazione timida, im-pacciata, che desiderava essere in connessione conil mondo dal proprio pc, ma non un mondo qua-lunque, il proprio mondo, fatto dei propri amici

quale delle due forme prevalga, reale o virtuale, mabasta staccarsi un momento, tornare alla parte divita costituita da famiglia, amici, passeggiate, cenein compagnia per riavere un quadro più chiaro diciò che davvero conta. Un’ultima riflessione datadal film sopra citato e quindi dalla vita dell’in-

ventore di facebook è quella ditentare. Zuchenberg è riuscitosicuramente per una grande ge-nialità ma soprattutto perchèha tentato, provato, senza pauradi sbagliare. Ce la fa uno su unmiliardo forse anche meno, al-trimenti oggi non sarebbe il piùgiovane miliardario del mondo,ma perchè non tentare?Questo social network ha tra-

volto più generazioni nel giro di qualche anno, ciha fornito un mezzo di comunicazione eccezio-nale, gratis, rapido, ma allo stesso tempo è un ele-mento fuorviante per la vita vera. Come tutte legrandi invenzioni deve essere usato in manieraequilibrata. Senza mai dimenticare che e’ vita vir-tuale, quella vera è al di fuori dello schermo.

Guendalina Anzolin 

delle proprie feste, di ciò in mezzo a cui si vive ognigiorno. Mark Zuchenberg mentre creava il “mo-stro” facebook, aveva intuito che non bastava unblog aggiornato personalmente, ma si necessitavadi una connessione totale e spietata che riflettevain un certo senso la globalizzazione sempre più in-calzante. Niente più barriere nelmondo e né in rete. Saperequante più cose con il minorsforzo possibile era l’obiettivo.Ecco quindi comparire lo statussentimentale, gli album di foto, icommenti sulle bacheche equante più cose per “farsi cono-scere”. Anzi, più che farsi cono-scere dovremmo dire far cono-scere quello che si vuole far saperedi sé. Ecco sotto che forma si presenta il latooscuro di facebook, che come tutte le grandi armiè a doppio taglio. Il lato oscuro e’ quello dell’in-certezza, della non trasparenza, delle anime vir-tuali che si sostituiscono a quelle reali. Su face-book ognuno di noi appare quello che vorrebbeessere, ma non quello che e’ realmente. Oggi, af-fascinati da questa “realtà”, spesso non capiamo

“Social network” degli studenti di Scienze Politiche

Con l’espressione “social network” tutti ormaitendiamo ad identificare le piattaforme digitalicome Facebook e Twitter che rappresentano algiorno d’oggi le più grandi reti sociali online delmondo. Ma “social network”, innanzitutto signi-fica rete sociale, appunto. Un’università, con lasua complessa rete di progetti ed iniziative nonpuò che risultare, quindi,un’interessante esempio di so-cial network. A questo propo-sito, ora che ci penso, tuttiquelli che ho sentito parlaredelle più importanti caratteri-stiche della LUISS e delle op-portunità che essa ci offre,hanno sempre fatto riferi-mento alle innumerevoli attività extradidatticheche aiutano a vivere a pieno la vita universitaria,ma che soprattutto contribuiscono a migliorarel’aspetto relazionale, organizzativo, nonché pro-fessionale . La LUISS dunque, con le sue confe-renze, seminari, incontri e attività studentesche,rappresenta di per sé un’importante social net-work che ci mette quotidianamente in mano lapossibilità di arricchire il nostro bagaglio culturalee curriculare. Il gioco si fa bello però, quando que-ste iniziative ed esperienze, provengono diretta-mente dalle idee degli studenti, quando cioè noi

stessi abbiamo la possibilità di realizzare i nostripiù ambiziosi progetti. Una per tutte? ASP, l’As-sociazione Studenti Scienze Politiche, un piccolosocial network del mondo LUISS, nasce e si svi-luppa attorno a questo tema: le nostre idee. Con-frontarle, arricchirle, svilupparle. Attraverso unaserie di progetti, completamente realizzati dagli

studenti per gli studenti, ASPcerca ogni anno di dare spazioalle più svariate proposte degliaspiranti scienziati politici,dalle matricole ai laureandimagistrali. In particolare, oltreall’ormai consolidato “PolitikAgorà”, un incontro-dibattitoche si sviluppa attorno ad uno

o più temi di attualità attraverso alcuni studentinelle vesti di relatori (schierati a favore o control’argomento) ed uno studente-moderatore, que-st’anno è in programma la realizzazione di unTG, grazie al supporto della WebTV Luiss, chetratti in modo singolare ed originale le più rile-vanti notizie del momento. Inoltre, dopo il suc-cesso riscontrato l’anno scorso dal progetto “Suipassi della Legalità” strutturato in due conferenzea cui hanno preso parte, tra gli altri, Lirio Ab-bate, Don Luigi Merola e Nando Dalla Chiesa,ASP sta lavorando per realizzare un nuovo in-

contro-evento, nel prossimo semestre, come oc-casione di analisi e dibattito sull’importante esempre attuale tema della legalità. ASP è ancheuna delle associazioni che ha contribuito a darvita all’International Association of PoliticalScience Students (IAPPS) con sede a Lubjana,che può essere considerata una micro organizza-zione non governativa e che annualmente orga-nizza incontri ed eventi per tutti gli studenti discienze politiche del mondo. Pensate di organiz-zare un evento simile su scala mondiale senza unsistema di comunicazione universalmente validoe condiviso da (azzarderei) tutti, come facebook.È come se un social network telematico, fatto dibyte , contribuisse a costruire una rete sociale vera,in carne ed ossa. Alla faccia di tutti gli scettici chetemono per le relazioni umane! Quest’anno sonopreviste un’ Annual Conference ed una GeneralAssembly presso Lisbona tra Aprile e Maggio;una delegazione di ASP sarà ovviamente presenteper continuare a portare avanti il progetto inter-nazionale. Ma allora sfruttiamo gli strumenti cheabbiamo, prendiamo in mano le reti di ASP e nonperdiamo un’occasione così interessante per met-tere a frutto le nostre idee, nel mondo.(A proposito di social network: cerca Asp Roma Luiss suFacebook o scrivi a [email protected]!)

Federico Ronca

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8 CoSmoluiSS

Voci dal mondo- Oslo- VancouverSono arrivata ad Oslo l’11 Agosto. Scrivo oggi, esat-tamente dopo 3 mesi. Soltanto una volta ho vera-mente desiderato tornare a casa. Era una freddissimasera d’ottobre (scriverei “d’autunno”, ma questo per meè inverno inoltrato), sotto le coperte tenevo vivi imiei contatti con l’Italia, attraverso Facebook, ovvia-mente. “Guardali, vanno ancora in giro in T-shirt…”.Pensavo che sarebbe stata davvero dura affrontarel’inverno norvegese, per me. All’improvviso il miocomputer decretò che la Norvegia era davvero unpaese troppo freddo anche per lui, e di colpo si spense.Nero. Morto. Cercai di mantenere la calma. I duegiorni seguenti rientrano a pieno titolo tra i peggioridel mio Erasmus: non solo non potevo chiamarel’Italia, né sapere cosa stesse accadendo laggiù, maero completamente esclusa da tutto quello cui potevopartecipare qui, a Oslo. L’università, l’associazioneErasmus, le feste, gli amici, le nuove conoscenze. Nonsei su FB, sei fuori. “Do you have Facebook?” è ilprimo test da superare se si vive all’estero. “Yes, I have it!” test superato, PASS. - “No, I’msorry…but this is my email address!” test non superato,

FAIL. In qualche caso, però, Facebook, può davverocreare complicazioni. Distraendoci dallo studio? Sì,anche, ma non è questo il problema. Sapete, l’Erasmussignifica anche nuovi amici, nuove conoscenze,nuovi…come dire…“incontri”? Bene, se l’incontro inquestione ha qualcuno a casa disposto ad uccidertiperché tu sei qui e lui/lei è laggiù, impotente…i socialnetwork saranno il tuo incubo peggiore. “Non avraimica pubblicato quella foto in cui sembra, in cui sievince, in cui potrebbero pensare, in cui si coglie chec’è qualcosa tra noi?” “Oh sì, credo di averla pubbli-cata!” E allora scattano le corse al computer più vi-cino: “Mettila privata!” - “Rendi privato tutto l’al-bum!” - “Ma no, cancellala proprio!” - “Spiegamiqual è la necessità di pubblicare tutte le foto che fai!”.Mia nonna dice sempre che chi si fa gli affari suoi, vive100 anni. Lei non ha Facebook, né è stata mai in Era-smus, e si avvicina a festeggiare il suo secolo di vita. Ioho FB, sono in Erasmus, e mi faccio gli affari di tutti(so che non sono l’unica, non negatelo!)…forse è ilcaso di modificare il detto.

chiara bellani

Vancouver, bar, cappuccino. Ok, in Canada se haidel tempo libero non scegli le gioie del buon caffè,anzi, in genere vai a fare yoga, oppure raduni ungruppo di amici per una birra dopo la lezione. Ep-pure, qui c’è una grande tradizione: quella di se-dersi a un tavolino, bere un soy-caramel-eggnog-mocha-something e restare ore e ore con il portatilea studiare, a chattare o a fare ricerche più o meno fi-nalizzate al paper da consegnare dopodomani inclasse. Ecco, il più delle volte il paper passa in se-condo piano, e finisco per controllare gli uploadpiù recenti, oppure per chiamare su skype qualcunocon cui parlare italiano, o semplicemente qualcunoda guardare – virtualmente - negli occhi dopo unagiornata di canadian super sporty poshy healthyway of living. Si dice che la maggior parte dei com-menti e delle attività su Facebook riguardi quella ri-stretta cerchia di persone che abitualmente si fre-quentano ed escono insieme, e che tra le centinaia diamicizie virtuali siamo capaci di mantenere rap-porti reali solo con poche decine. Tutti gli altri sonoun capriccio. Quanti amici hai su fb? una specie dicarica dei 101, ne collezioni sempre di più, ma nonè che t’importi proprio di tutti. Vuoi solo una bellapelliccia da condividere. Questo è assolutamentevero quando gli amici di cui commenti le foto o glistatus vivono nella tua stessa città, o perlomeno neltuo stesso continente. È un po’ meno vero quandoti allontani da loro per un’esperienza di Erasmus,scambio, stage. In quel momento devi fare unascelta: facebook, twitter, skype, myspace, tuenti &co. hanno un ruolo davvero decisivo. Se vi sembra dinon potervi allontanare dal vostro profilo per mezzagiornata – si sa, le notizie migliori vengono sempreda fb! – sarà ancora più importante non perderlomai di vista in Erasmus. Potresti essere invitato a un

evento o scoprire che quel gran figo di australianoparteciperà al barbecue! Il modo più rapido di strin-gere amicizie in Erasmus è aggiungersi su fb. Non èun approccio così intimo come scambiarsi il nu-mero di telefono – che tra l’altro molti erasmus nonhanno, o nel mio caso, non lo ricordano – ed èmolto più facile scoprire se stai per perdere il tuo pre-zioso tempo da erasmus con uno il cui artista prefe-rito è Justin Bieber. Insomma, i siti di condivisionesono indispensabili, per conoscere rapidamentequante più persone possibili.  Potresti capitare sulprofilo di qualcuno e scoprire che andrà a un con-certo fantastico e, con la nonchalance che solo un“like” su fb può avere, ottenere un invito e, perchéno, una serata speciale. La domanda è una sola: pos-sono le amicizie virtuali condurre a relazioni vere?I facebook-scettici sono sempre meno, specialmentein Erasmus, soprattutto fuori dall’Italia. Uno deimiei professori, ovviamente canadese, di solito co-munica con noi studenti tramite blog e tweets. E poi,tornare a casa con un bel bottino di fb friends aiutaa mantenere contatti alle volte più veri di quelli chepotrebbe offrire un rapporto epistolare – di email,s’intende. Le lettere e le cartoline lasciamole allenonne come la mia, che le richiede esplicitamente.Tra parentesi, questa stessa nonna, alla meravigliosaetà di 85 anni, ha chiesto e ottenuto una connessioneinternet in casa per poter comunicare con me viaskype dall’altra parte del mondo, e questo mi fa sor-ridere sempre. Ah, la barista ha appena messo un pezzo dei Sigur rosche amo, forse potrei pubblicarlo sul mio profilo. Oforse potrei andare a casa a scrivere il mio paper, laschiuma del cappuccino è diventata fredda. Sì, lo so,in Canada il cappuccino non lo sanno fare.

francesca di nuzzo

the Social Network:

should we ‘like’ it?

Getting off Facebook long enough to writethis review was no easy task. is is a testa-ment to how far the website has pervaded ourexistence; every aspects of our lives is docu-mented, commented, judged on Facebook.is film will no doubt be very popular solelydue to its subject matter, but e Social Net-work(directed by David Fincher)offers morethan just its association with Facebook. esocial network is told in flashbacks, framedaround the two litigations that Zuckerberg,one of the founders of Facebook, faces. eframework of the film colours our percep-tion of the events. e effect of this is to al-ter our viewpoint on Facebook’s emergenceand growing popularity, so that the audiencedoes not greet it with positivity and opti-mism, but rather a sense of foreboding atwhat success will bring. While the film is sur-prisingly silent on the moral and emotionaleffect of Facebook on its users, the film evo-kes these issues by characterizing Zuckerbergas a metaphor for its effects on the society itmonopolizes. Zuckerberg, from its creation,is the first Facebook addict. Here a questionarises: are we addicted to Facebook? Face-book has become an indispensable way tofind old friends, schedule events, play gamesand even send virtual gis. But if you're doingmore living online than off, it might be timeto reassess. Many students are now seeing Fa-cebook more as an addiction than a networ-king tool, and psychologists are starting toagree. Are personal relationships taking abackseat to Facebook? Do you think aboutFacebook even when you're offline? Do youuse Facebook to escape problems or home-work? Do you stay on Facebook longer thanintended? Have you ever concealed Face-book use? If you answered yes to any, youmight be a borderline addict - no joke. InBritain Internet addictions are common onuniversity campuses, oen helped by free In-ternet access, web-based assignments and un-structured blocks of time. But there’s a diffe-rence between procrastination and addiction.If you're losing assignment time to Facebook,though, that's a problem. e key may be assimple as diagnosing your triggers and chan-ging your habits. Find out what's missingfrom your life,whether it's having too muchfree time, not knowing anyone or just esca-ping, think about what made you resort to[Facebook], and what you could be doinginstead. To answer the opening question:“should we like Social Network?”. Yes, if onlythe line between fiction and reality is alwaysmade clear!

Niki Slater

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Progetto “Italia150giovani”

Il 17 Marzo 1861 dopo numerose battaglie con-tro gli Austriaci e la celeberrima spedizione dei1000 di Garibaldi, a Torino viene proclamatal’unità d’Italia. 17/03/1861 – 17/03/2011: l’Ita-lia unita compie il suo 150° compleanno. AMarzo 2011 saranno numerose le iniziative cheverranno proposte in tutta Italia dalla Repub-blica italiana per festeggiare questo lieto evento.Quanti di noi, però, arriveranno a questa datapreparati e consapevoli di ciò che realmente si-gnifica questa ricorrenza sia volgendo lo sguardoal passato, riferendomi alle matrici storico cul-turali che hanno portato all’unità d’Italia, sia dalpunto di vista contemporaneo, capendo real-mente la complessiva situazione istituzionale ita-liana?Proprio partendo da questo interrogativo le as-sociazioni UNI LUISS e Giovani per ROMAhanno ideato il progetto “Italia150giovani” conl’obiettivo di coinvolgere le nuove generazioni inun percorso che le motivi a conoscere la storia delnostro paese e al fine di ridurre il gap presente tragiovani, territorio ed istituzioni. Tale iniziativa intende sviluppare una coscienzacivica attraverso il confronto tra i vari livelli dellasocietà. Un “iter” attraverso il quale conoscere esoprattutto comprendere le radici culturali dellaRepubblica italiana.Il progetto consta di tre pilastri: “workshop”, vi-site culturali e cortometraggio.Il primo pilastro si concretizza in una serie di in-contri con relatori di primissimo piano che conla loro esperienza forniranno a tutti i parteci-panti seri momenti di riflessione e confronto. I “workshop” si terranno nelle università chehanno aderito al progetto ovverosia presso laLuiss Guido Carli, la Link Campus University eRoma Tre. Il filo conduttore delle conferenzesarà il tema del ruolo centrale che hanno avuto igiovani nella costituzione dell’unità d’Italia, ten-tando di sottolineare lo spirito con il qualehanno difeso i propri ideali e la propria terra chegrazie alle loro gesta, alla loro volontà e al lorosangue diventerà l’Italia unita, la terra di tuttinoi. I “workshop” hanno avuto inizio ad Ottobre2010 e si concluderanno a Marzo 2011. L’incontro che ha aperto questo ciclo di confe-renze è stato già tenuto presso l’aula Nocco dellasede della facoltà di Giurisprudenza della Luiss

“1861 i pittori del risorgimento” presso le Scu-derie del Quirinale il giorno Lunedì 15 Novem-bre.Il terzo pilasto ha ad oggetto il concorso/corto-metraggio.Il cortometraggio o corto è un mini film che hauna durata massima di 30 minuti e che deve ri-percorrere i punti salienti di un determinatoevento e trasferire allo spettatore il messaggioche contiene in modo chiaro ed esaustivo.Si intende promuovere un concorso aperto aigiovani di tutta Italia che intendono presentareun loro prodotto cinematografico che tratti di unargomento connesso all’unità d’Italia e che possacontribuire a diffondere il sentimento di unionetra tutti gli italiani.L’idea del corto ben si inserisce come parte inte-grante del progetto dando la possibilità ai gio-vani che intenderanno partecipare di mettersiin gioco e di comunicare con i loro coetanei enon tramite un messaggio video.Il concorso inizierà nel mese di Ottobre 2010 esi concluderà nel mese di Febbraio 2011. Successivamente si procederà con la proiezioni evalutazioni da parte della Commissione compo-sta da registi, attori ed esponenti del settore perindividuare i migliori corti che saranno proiettatie premiati in occasione dell’inizio della celebra-zione dei 150 di unità d’Italia il prossimo 17marzo 2011.E’ in programmazione, poi, a Marzo 2011 l’or-ganizzazione di un grande evento in occasionedella chiusura del progetto formativo e per fe-steggiare il 150° compleanno dell’unità d’Italia.

Gabriele Maria Spagnoli

Guido Carli il giorno 25 Ottobre 2010. Alla pre-senza di un numeroso pubblico si è affrontato iltema del debito pubblico e dell’unità d’Italia.Relatore della giornata è stato l’ On.le GiuseppeVegas, vice ministro dell’Economia e delle Fi-nanze.A conclusione di ogni incontro sarà realizzato un“instant book” che riporterà una sintesi diquanto è stato detto in sede di workshop e leconsiderazioni che ne sono scaturite. Il secondo pilastro concerne le visite culturalipresso i palazzi che storicamente hanno avuto unruolo importante nella storia dell’Unità d’Ita-lia. L’idea è nata dopo aver ricevuto “feedback”positivi dai giovani intervenuti nel mese di luglio2010 alle visite alla Camera dei Deputati e al Se-nato della Repubblica all’interno dell’iniziativadenominata “Conosciamo le Istituzioni”.La prima visita si è tenuta lo scorso 27 settembrepresso la sede del Ministero del Tesoro in viaXX Settembre. La seconda presso la Corte deiConti il 3 novembre 2010.La terza si terrà presso il Ministero degli AffariEsteri nel mese di Gennaio e successivamentepresso l’Archivio Centrale dello Stato, Corte diCassazione. Sono state, inoltre, attivate le pro-cedure di richiesta per visitare il Quirinale (sededella Presidenza della Repubblica, luogo più rap-presentativo dell’unità d’Italia) e presso la CorteCostituzionale.Vedere da vicino come sono fatte le nostre isti-tuzione e come si svolge il loro operato oltre cheessere un’occasione più unica che rara è anche ilmodo per comprendere concretamente ciò chestudiamo ogni giorno sui libri universitari.E’ stata poi organizzata la visita della mostra

Con il patrocinio di:

Comunedi�Roma

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Intervista all’avvocato Ezio Gabrielliintervista esclusiva all’ex-assessore, sospeso dal Pd perchè massone

Per aver dichiarato nell'ottobre 2009, durante il fu-nerale di un parente, la propria appartenenza allaloggia "Guido Monina", facente parte dell'Istitu-zione massonica del Grande Oriente d'Italia, l'av-vocato e assessore al comune di Ancona Ezio Ga-brielli, fu costretto alle dimissioni ed estromessotemporaneamente dal Partito Democratico.Nell'ottobre 2010, a un anno dall'outing, la com-missione provinciale di garanzia del PD ha revo-cato la sospensione. Il caso era stato vagliato dallacommissione nazionale di garanzia, presieduta daLuigi Berlinguer, che si era pronunciata a favoredella riammissione qualora Gabrielli avesse di-mostrato che la sua loggia non era segreta e nonaveva fini contrari al codice etico e allo statuto delPD, rinviando la decisione ai garanti territoriali.I garanti territoriali hanno così deciso a maggio-ranza per la revoca della sospensione, in quanto lostatuto della loggia "Monina" non è in contrastocon lo statuto del PD ma, anzi, contiene molti ri-ferimenti alla Costituzione.L'Avv. Ezio Gabrielli ha gentilmente concessoun'intervista esclusiva per 360°

Partendo dalla fine, può dirsi pienamente sod-disfatto di come sono andate le cose?

Direi francamente di no. Ci sono voluti dodicimesi per ottenere un pronunciamento scontato ri-spetto alla storia del PD e dell'Istituzione masso-nica. Certo alla fine ci siamo arrivati, ma quantafatica.

Parlando e scrivendo della Sua vicenda si è spessogiunti al confronto tra la Massoneria regolareed altre organizzazioni, tra le quali l'Opus Deidella Senatrice Paola Binetti (ex-PD, oggi UdC).

Pensa che in Italia si usino davvero "due pesi edue misure"?

Il problema c'è ed è evidentissimo. C'è una que-stione serissima di questo paese che risiede nellaprofonda fragilità culturale della nostra classe di-rigente. Fino a quando il mondo era diviso inblocchi contrapposti le classi dirigenti trovavanopropria legittimazione nell'adesione all'uno piut-tosto che all'altro blocco. Venuto meno questomodello i nostri leader hanno dimostrato tutta laloro pochezza culturale cercando legittimazionenell'ultima agenzia culturale accettata nel nostropaese che ha offerto volentieri il servizio; ma que-ste prestazioni si pagano in termini di libertà euguaglianza. Io vedo un problema serissimo ri-spetto alla laicità delle istituzioni, che porta con sédietro problemi di efficienza, di competitività e,più complessivamente, di sviluppo del Paese.

Il codice etico del PD, nel suo art. 3 (punto c)non stabilisce esplicitamente un'incompatibi-lità tra partito e Massoneria regolare, ma altripartiti lo fanno (e tra questi c'è la Lega Nord), se-condo Lei perchè?

La Lega fa bene ad inserire questa incompatibilità;è una questione di coerenza politica. La Lega nonpuò accettare tra le proprie fila rappresentanti diun'agenzia culturale come la Massoneria che si ri-chiama a valori altissimi come quelli dell'unitànazionale e della solidarietà internazionale; tro-verei una contraddizione inaccettabile che lo sta-tuto della Lega non imponga tale incompatibilità.

Come si sono comportanti con Lei i Suoi "com-pagni" e i Suoi "fratelli", prima e dopo la revocadella sospensione dal PD?

Poche sorprese tra i compagni, molte conferme,tentativi di isolamento e marginalizzazioni, masedici anni di battaglie politiche da figlio di libe-rali e repubblicani nel partito erede del PCI mihanno fatto sviluppare un corposo apparato di-fensivo e sapevo che sarebbe stato solo questionedi tenacia e l'avrei spuntata io.La dirigenza nazio-nale ha dimostrato ancora una volta il cinismo ti-pico delle strutture curiali e sotto tale profilo sonomolto preoccupato per il futuro della sinistra nelnostro paese. Non vedo nel PD una classe diri-gente pronta ad assumersi un incarico di governo.I fratelli sono stati molto uniti nell'affiancarminei momenti emotivamente più difficili; la granmaestranza è stata presente (Gran Maestro a capodel Grande Oriente d'Italia è l'Avv. Gustavo Raffi,ndr) e la linea di condotta defilata tenuta dagli or-ganismi dell'Istituzione è stata apprezzata e con-divisa.

Paolo Bianchi

Fortunato chi abita nel bel paese,terra secolare di poeti e d’artisti,perché può sentire a più ripresele ciarle di politici qualunquisti.

Esprimendoci senza troppe preteseVorremmo rimare con voci tesesu chi taglia i fondi d’arte e le spesee non si cura dei crolli a più riprese.

Sono due ministri, uomini di governoquelli su cui la critica vuol fare perno:L’uno è il superior Giulio Tremontiche tutto farebbe, per tagliare i conti.L’altro è “gran” poeta, Sandro Bondi,che senza proteste accetta i pochi fondi.

Una strana coppia, quella in esameche ci vuole far patire culturale fame.Intendiamoci: saranno in buona fedema dei loro tagli ci sentiamo prede.Il primo controlla i conteggi dello stivale,e i numeri gli fan sembrar la cultura banalecosì che, interrogato sui tagli all’università,ha proposto di mangiar panini con Dante a sa-zietà.

“La cultura? E’ un inutile spreco di risorse!Perché non attingere a opere precorse?”Perché è investendo in arte e istruzioneche possiamo garantire un futuro alla nazione!

Non vi spaventino solo i venerdì neriPreoccupatevi della crisi dei saperi.Ed ecco il dubbio: non vi farà pauraun popolo saggio e informato a misura?

Sul secondo attore ce ne sono da dire:dalle poesie su vanity fair potremmo partire.Ma noi, scribacchini da due lire,saremmo i primi su cui ridire.

Non è possibile però taceresu disgrazie generali e vere. Sulla gestione della casa dei gladiatoriSaranno pur stati commessi degli errori!

E se Tremonti continua e tagliaIl ministro Bondi rimanendo immobile sbaglia:Potrebbe levar le tende vedendo leseLe meraviglie tutte del suo paese.

Ma forse troppo credito abbiamo datoa chi nomina l’ex amministratore delegato- di Mc Donald-, direttore valorizzazionedi un patrimonio culturale senza paragone.

Alessandro Tutino

Versi avversi perBondi e tremonti

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Il nuovo che avanza. Forse.

Matteo Renzi e Filippo “Pippo” Civati: sono lorola voce e la faccia dei rottamatori. Non sono i leader dell’associazione di categoriadei carrozzieri ma due esponenti del PD chehanno evidenziato la necessità di svecchiamentoanagrafico e programmatico della classe politicadel centro-sinistra. Renzi è sindaco di Firenze e secondo D’Alemaavrebbe il vezzo di lanciare idee nel tempo libero.Civati, consigliere regionale in Lombardia, èmeno conosciuto ma altrettanto motivato e crea-tivo. La parola rottamare, pronunciata da Renzi,

ha creato scalpore, ha indignato i tifosi del motto“i panni sporchi si lavano in casa” e ha provocato

le reazioni di chi ritiene che la carta d’identitàpossa non misurare l’età delle idee. E da quel momento tutti hanno pensato all’av-vento del solito Tafazzi del centro-sinistra, quelloche con fare masochista erode i consensi delsegretario, si mette in mostra e magari si candidaper le primarie. La rottamazione però non puòche essere la fase iniziale se davvero l’obiettivo ècreare una cultura politica nuova, dimostrare chenon per forza ci si debba sporcare le mani, far tor-nare nelle persone il piacere di occuparsi dellacosa pubblica. Stando alle dichiarazioni è piuttosto questo ilcompito di un movimento che non vuole esserel’ennesima corrente interna. Civati ha sostenuto la necessità di una campagnaculturale e politica, di una iniziativa seria cheporti al centro alcune tematiche non più proro-gabili. I temi quindi: ambiente ed edilizia menoimpattante, riforma della politica con riduzionedei parlamentari, lavoro e attenzione ad una gene-razione che rischia di non avere una pensione,cura dei beni culturali e infrastrutture, merito-crazia nel mondo della scuola e delle università. Nulla di nuovo, se non fosse, per dirla con leparole di Civati “che di questi temi ne parlanotutti da molto ma nessuno ha mai fatto niente”. In effetti non è che si possa dargli torto. Ad esem-pio nella legge di stabilità del 2011 scomparirà ilcredito d’imposta del 55 % per gli interventi dimiglioramento energetico delle abitazioni. Tirar fuori dagli scatoloni progetti e idee rimastia far polvere nella soffitta del PD non è certol’idea del secolo vista la crisi d’identità evidente diquello che, all’atto di nascita avrebbe dovutoessere il partito riformista italiano capace diandare oltre capziose divisioni (il partito del “maanche” per intenderci). In ogni caso, pur se vediamo tutti le difficoltà delpartito di Bersani, l’iniziativa di Civati e Renziprova l’esistenza di una classe politica che non siarrende a parlare delle vicende personali del pre-mier. Il confronto democratico all’interno di un partitoè certamente una risorsa, ed è la chiave per riu-scire a scordarci di destra e sinistra e allontanaretendenze populiste. Il problema è che gli elettori di centro-sinistra giàconfusi e disamorati, possono interpretare questaennesima invenzione politica come una man-canza di progetti più che come una risorsa. L’idea di riunirsi e parlare di problemi, di sdoga-nare in pubblico le pecche del proprio team, èancora qualcosa di troppo lontano dalla conce-zione diffusa del leader che guida il popolo.Dall’altra parte funziona ancora così. Ma che colpa ne hanno i rottamatori se gli italianisono ancora affezionati alla loro vecchia auto!

Francesco Angelone

Perchè la sinistra non è solo PD

Fare un ritratto di questo leader politico è un'im-presa abbastanza ardua: in lui confluiscono di-versi aspetti generalmente considerati opposti. Sidefinisce cattolico, ma orgogliosamente dichiarala sua omosessualità e la difende con i pugni strettidi fronte alle insinuazioni lanciate dai suoi oppo-sitori politici dichiarando che, fra belle donne egay, "la cosa migliore è essere felici". Nasce comepolitico all'interno del PCI, partito dal quale si di-staccherà creando il Movimento per la Rifonda-zione Comunista, poi PRC, di cui farà parte finoalla creazione del partito "Sinistra e libertà". Alsuo secondo mandato come governatore della Pu-glia, Nichi Vendola è sempre più presente sullascena politica italiana e dà per certa la sua candi-datura alle primarie del 2013. Del resto, si tratta diun leader carismatico, in grado di trascinare lefolle e accattivarsi le simpatie dei giovani, mo-strandosi prima di tutto come uomo, poi comepolitico. Non lesina la sua presenza neanche nellepiccole città, partecipa a eventi culturali, è inprima fila nelle manifestazioni, tutte azioni chefanno di lui una presenza tangibile e non l'enne-sima entità astratta, fin troppo presente sui gior-nali e tv, ma materialmente intoccabile. Sulla carta,sembra a tutti gli effetti una risposta convincenteal berlusconismo. Eppure la sua candidatura nonsarà di certo esente da compromessi, primo fratutti quello con il PD. Il maggior partito dell'op-posizione, infatti, mal vede la sua presenza eguarda con sufficienza il suo operato. Anche se loscontro diretto con il PD, dato dalle primarie inPuglia che vedevano opposti il leader di SEL eFrancesco Boccia, fedelissimo di D'Alema, ha stu-pito non tanto per la vittoria finale, bensì per lapercentuale schiacciante con cui Vendola si è im-posto, il 73 %. Ciò non fa che sottolineare il biso-gno di cambiamento della sinistra, in modo tale daoffrire una valida alternativa di governo in un'Ita-lia sempre più in bilico. Perché se Berlusconi, Finie Bossi faticano a trovare un accordo, Bersani pro-

pone "Un esecutivo con chi ci sta", Vendola un'ideachiara sembra averla: un'Italia fondata sul lavoro,come da qualche parte è stato scritto. Lotta allaprecarietà, lotta ai tagli, nuove opportunità, unprogramma che prevede un accordo con i sinda-cati, definiti "un architrave della vita democra-tica", fra cui la Cgil. Così come Di Pietro, ancheVendola è presente durante le manifestazioni deisindacati, in particolare è accanto anche alla Fiom,il settore metalmeccanico; buoni sono i rapporticon Susanna Camusso, prima donna eletta segre-tario generale della Cgil, la quale l'ha definito unodegli amministratori del Sud che rappresenti "lafaccia di un Mezzogiorno che non si piange ad-dosso". Vendola, infatti, è riuscito a rivalorizzare lasua terra sia incentivando la creazione di un'indu-stria cinematografica e musicale, che a sua volta hafatto aumentare il turismo, sia con la creazione dicentrali eoliche che hanno portato la Puglia a es-sere la prima regione produttrice di energia pulita;inoltre è in cantiere la creazione di una linea fer-roviaria veloce che colleghi Bari e Napoli. I datisembrano esserci. Le belle parole, perché la poli-tica si fa soprattuto con le belle parole, anche. Iprogetti sembrano avviati. Ha davvero Vendola inumeri per concorrere alla carica di presidentedel consiglio? La parola al (se non prima) 2013...

fabiana bisceglia

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12 SPeaker’S CorNer

Non fiori, ma opere di bene

E’ sempre interessante ed entusiasmante venire aconoscenza di idee nuove e discuterne: il pro-blema è che sono di Mariastella. Benvenuti nell’era delle geniali trovate anti-cul-tura. L’ultima? I tagli alle borse di studio. Per chi non ha mai avuto modo di informarsi, laregione che ci riguarda più da vicino, il Lazio,pubblica ogni anno, nel mese di agosto, il bandodi concorso per l’assegnazione dei contributimonetari; si tiene conto di requisiti economici edi merito, congiuntamente, ai fini dell’assegna-zione, e gli importi delle suddette agevolazionivariano sulla base della distanza residenza-domi-cilio dello studente che compila la richiesta. Tra ottobre e novembre, poi, le graduatorie divi-dono gli studenti in esclusi, idonei (che per gliiscritti Luiss significa non dover pagare le tasseuniversitarie) e vincitori (i quali, oltre ad essereesonerati dal pagamento della retta, ricevono deicontributi aggiuntivi). Prima che loschi individui decidessero che la poli-tica sarebbe stata il loro lavoro, l’importostanziato ammontava a 246 milioni di euro, alivello statale; oggi, grazie a coleichetuttopuò, ilnumero a tre cifre è diventato 25,7. Magia? No, basta togliere l’89,55%, e, sempre perincantesimo, 25,7 diventeranno 13 nel 2012. Tra-duzione di tutto questo: statisticamenteparlando, su dieci studenti “borsisti” che stannoleggendo quest’articolo, otto diventeranno “sbor-sisti”, inclusa molto probabilmente la sottoscritta. Non si ha la certezza assoluta di come questi taglisiano effettuati nella pratica; la tesi principale èche si tratti di un troncamento orizzontale: ognistudente sarà assegnatario dello stesso importodegli anni precedenti, ma i beneficiari diminui-ranno dell’80%. Questo implica tante spiacevoli conseguenze,come ad esempio l’impossibilità di usufruire delletessere Atac ridotte per studenti, dei contributimonetari per gli alloggi, probabilmente si paghe-ranno pasti mensa a prezzi maggiori; deicontributi per esperienze all’estero non ne par-liamo. Ma le disgrazie non vengono mai sole, c’è un’altranovità. L’hanno deciso dopo il calar del sole, pernon dormirci devono aver pensato tanto. Ecco a voi l’eccezione che conferma la regola de“la notte porta consiglio”: il governo ripristina ifondi per le scuole paritarie; è riuscito a racimo-lare (come e da dove?) 245 milioni di euro per lescuole private riconosciute dallo Stato, in largaparte istituti cattolici. Numerose le proteste, come si può facilmenteimmaginare, dell’Idv e della Cgil scuola, mentresul fronte Pd tutto (o quasi) tace. Intanto è entrato in pieno vigore il “codice disci-plinare per i dirigenti scolastici”, i quali possonorischiare la sospensione dal servizio e dallo sti-pendio, fino a tre mesi, qualora rilascino

dichiarazioni “lesive dell’immagine dell’ammini-strazione”, ammesso e non concesso che ci siaqualcosa di più lesivo dell’autolesionismo dellapubblica amministrazione stessa. Riflettendoci, dal cervello gelminescamenteeccelso, un’idea buona era stata prodotta: il pro-getto dell’insegnamento della Costituzione nellescuole. No, è saltato. In quanto “non è una disciplinaautonoma”. E come dargli torto? La carta costitu-zionale oggi è la legge più dipendente, vincolata esubordinata che esista in Italia.

Letizia Di Berardino

L’Italia è un circo

Dalla crisi finanziaria è partito un effetto dominoclamoroso che colpisce cultura e società, ed evi-denzia la ridicolaggine della casta. L’Italia è la na-zione più corrotta d’Europa, persino più corrottadel Ruanda. Ma poco importa, poiché l’Italia nonè proprio una Nazione. Come si fa ad avere unaNazione quando c’è chi si diverte continuamentead abbozzare un revisionismo storico-linguisticopietoso? Miloud ha una sensibilità sociale che i po-litici italiani non raggiungerebbero mai. Siamouno Stato, non una Nazione. Uno Stato che lastampa estera ridicolizza, soprattutto per quelbuffone del Presidente del Consiglio (dargli delbuffone è “legittima critica politica”). Di più ridi-colo, c’è solo la sua opposizione. Ma quando ab-biamo imboccato la strada del degrado defini-tivo? Questo momento non va cercato nell’elogiodella Bulgaria o della Libia, nelle figuracce inter-nazionali o nelle aule dei tribunali. A svegliarci èstato il fenomeno Grillo, l’avanguardista odiatodagli amanti dello Status-Quo, della tranquillità,della pax sociale e della pagnotta. Beppe Grillo ri-voluzionario? Al contrario. La sua fama è cre-sciuta perché il politico italiano, non sazio delsuo essere ridicolo, ha voluto giocare la carta dellasimpatia, della battuta sempre pronta, del “ghe

pensi mi”. E s’è ritrovato in un campo dove ci sonopersone molto più preparate di lui: i comici. Se lasatira odierna è in grado di distruggere la politica,è solo colpa della politica. E questa colpa è così evi-dente che il concetto stesso di politica si trasferi-sce dalle istituzioni alle persone che vogliono farciridere. Non è un caso, infatti, se il PD ha respintola candidatura dello stesso Grillo: il potere hapaura della verità, una verità che il comico riescea trasmettere molto chiaramente al cittadino. Ioarriverei a dire che verità e potere stanno, anzi, agliantipodi. Ma non serve che lo affermi certo io, dalmomento che ci sono secoli di storia a darmi man-forte. Era inevitabile che si arrivasse alla genera-lizzazione della pagliacciata. La crisi di coscienzee il vuoto di valori ritrovano un senso di ricono-scenza nella risata di chi, il comico, lo fa per dav-vero. Per dirla à la Joyce, ogni spettacolo è un’epi-fania. Lo aveva capito Fini, che fu il primo adavvisare la casta sul pericolo che arrivava da Grillo.Ma tutto ciò che ci accompagna da mesi al TG1 (oTG5, o TG4, è lo stesso) è stato fin troppo comicoper non poter arrivare a questo punto, tra attacchimafiosi/mignottosi e nascondigli nel cespuglio,tra i clientelismi e leggi come “pacchetti” delMcDonald’s (smarrimento lessicale), tra Butti-glione che paragona l’essere gay al non pagare letasse e Cota che regge il posacenere al senatur, inuna foto famosa solo sulla rete. La tv di regime hatenuto il popolo in condizione di assuefazione, inbambola; finché anche Benigni, mente brillante,non è sceso in campo, a dire con il tono giusto lestesse cose dette dai politici. E ora che ci rendiamoconto di avere un pagliaccio per Primo Ministro,troviamo la politica nei comici, mentre noi siamoun po’ come i giornalisti della stampa estera, stra-nieri nella nostra Nazione. Nazione? Un circo,altroché.

Marco Zuccaro

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Intervista col reporter

Intervista al reporter internazionale EmilioErnesto Manfredi – nato a Sesto S. Giovanni(MI) il 14/06/1976, laureato in storia contem-poranea a Milano. Da giornalista ha lavorato e collaborato connumerosi organi d’informazione fra i quali “IlManifesto”, “L’Espresso”, “Vanity Fair”, RAI,Radio Rai,“Sole 24 Ore”, “D-Repubblica”, “LeMonde Magazine” – sulla situazione in Etiopiaa 5 anni dalle contestate elezioni.

S: Manfredi, una breve panoramica sullasituazione 5 anni fa ed oggi.

M: In Etiopia 5 anni fa si svolsero le prime ele-zioni democratiche dopo la caduta del regimesocialista del Derg (“comitato” dall’antica lin-gua Ge’ez, n.d.r.), il governo accettò di portareavanti una campagna elettorale aperta ancheall’opposizione, convinti che avrebbero vintocomunque senza problemi. Dopo una giornata elettorale senza problemi almomento dello spoglio si resero conto che leelezioni stavano premiando in maniera clamo-rosa il partito d’opposizione e decisero diritardare la dichiarazione del risultato creandosdegno a livello internazionale e tra gli opposi-tori. Questo portò a mesi di protesta civile conscontri in piazza dove i manifestanti chiede-vano il riconteggio delle schede oppure diriandare alle urne, mentre loro erano armati dinulla se non della voce il governo decise dimandare l’esercito causando molti morti, solonel primo fine settimana di novembre (quandosi raggiunse il culmine delle proteste) furonoarrestate 30mila persone solo nella capitaleAddis Abeba (per capirci come se fossero arre-stati quasi tutti gli abitanti di Riccione). Furono arrestati tutti i rappresentanti dell’op-posizione (40 persone) che vennero condannatiall’ergastolo dopo un processo farsa, ergastolodal quale si “salvarono” con la grazia concessadal Primo Ministro, il messaggio però erachiaro. In Etiopia oggi non esiste una demo-crazia, ciò si è rialesato con le recenti elezionidove il governo ha vinto con il 99,6% dei con-sensi.

S: Quali furono le reazioni a livello interna-zionale?

M: La missione di controllo elettorale della UEdichiarò ombre sulla condotta delle elezioni eciò portò ad una sorta di infervorata protestadei paesi donatori occidentali contestando losvolgimento dell’iter elettorale. Ritirarono i contributi diretti al budget del

governo per aiutiumanitari, ridistri-buendoli con altricanali ai governiregionali che peròerano in mano allastessa maggioranzadel governo centrale. Alle regionali del2008 si è riaffermatala maggioranza delpartito di governonelle regionali con circa il 99,8% dei voti etutto si è diluito con un compiacente silenzioripetutosi alle politiche di quest’anno confer-mando le dichiarazioni di enti d’osservazionesulla non sussistenza di un sufficiente livellodemocratico nel paese e a mia opinione vigeormai un sistema monopartitico in mano alEPRDF (The  Ethiopian People's Revolutio-nary Democratic Front) che soffoca glioppositori.

S: Venendo a fatti più recenti riconducibilialle elezioni di 5 anni fa, l’attuale conflittoportato avanti dalle truppe etiopi in Somalia ècollegabile?

M: L’Etiopia e più in generale i paesi del cornod’Africa sono importanti a livello geostrategicoper i paesi occidentali vista la crescente ansiaverso i radicali islamici presenti nel territorioche sta prendendo forza in Etiopia e al feno-meno della pirateria somala. Si è visto in Uganda con gli attentati a Kampalal’11 luglio 2010 in concomitanza con la finaledei mondiali di calcio in Sudafica. Nel bienni 2005-2006 subito dopo le elezioniin Somalia un movimento islamico aveva presoil controllo del paese dopo oltre 15 anni eapplicando anche la legge della Shari’a (leggesacra islamica, n.d.r.) si stava creando una certastabilità nel paese. L’Etiopia è intervenuta facendo il lavoro sporcoe silenzioso gestendo una situazione di fortedisagio provato dagli Stati Uniti gettando laSomalia in un nuovo stato di guerriglia. Ciò ha comportato per mesi camioncini pienifino all’orlo di soldati etiopi morti che torna-vano in patria dal confine di nord-est con laSomalia.

S: Adesso in Etiopia c’è qualche speranza amedio-breve termine?

M: Attualmente non c’è un ricambio di classedirigente come invece il governo vorrebbe farcredere che ci sia, i giovani si trovano impossi-

bilitati a studiare e fuggono dal paese prefe-rendo lavori difficili e più umili fuori piuttostoche rimanere in patria. Ormai per trovare un lavoro bisogna essere alli-neati con le politiche governative, anzi ormainon basta più, serve addirittura avere la tesserad’adesione al partito di maggioranza, l’EPRDF,questo si applica a professori, funzionari pub-blici, studenti e quasi tutte le classi dilavoratori. Il governo racconta ai suoi donatori che il paeseè in crescita economica a doppia cifra da oltreun decennio felicitandoli, ma nei fatti non sivede niente di ciò, si vede solo una crescita deiprezzi con i salari che invece rimangono immu-tati. La classe media oramai non esiste quasi più, oracome ora interessa più la stabilità politicainterna che lo stato di benessere dei cittadini.

S: Per chiudere apriamo una pericolosa fine-stra sul futuro, che posizione hanno gliOromo? Si rischia un nuovo caso Ruanda?

M: Per ora no. Anche se gli Oromo rappresen-tano il 32% della popolazione (24 milioni circadi persone), hanno scarsa, quasi inesistenterappresentanza politica. Questo è dovuto forse alla loro storia di conta-dini e allevatori di bestiame, fin dai tempidell’Imperatore venivano derisi e offesi, forseproprio però per la loro natura rurale per oragli interessa poter avere il loro terreno, il lorotukul (abitazioni tradizionali etiopi simili aitrulli pugliesi, n.d.r.) e il loro bestiame. Inoltre grazie al allargamento delle clientele daparte del governo si è scongiurato qualsiasi pos-sibile proteste creando un sistema di controllodelle mondo mediatico, chiudendo giornali enon consentendo dibattiti pubblici sulla que-stione. Il pericolo si crea a lungo termine poiché allar-gando le clientele e le basi del partito (lepersone aderiscono anche senza accettare leidee rivoluzionarie che portarono a sovvertireil sistema del Derg, concetto base del EPRDF)al quale si aderisce solo per conservare il postodi lavoro o poter concorrere da privati ci si tro-verà in una situazione nella quale verrà chiestoqualcosa indietro al governo nell’ottica dibenessere di vita e aspettative personali, peròvista l’attuale non crescita del paese ed inesi-stenza di un programma la gente si ritroveràsenza niente per aver creduto in un governo chenon può fare nulla. Speriamo di non dover arrivare a quel punto.

Andrea Saggiadi

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Midterm Usa: i risultati, le aspettative disattese

e la vittoria delle lobbies.

Lo scorso 2 Novembre c’è la stata negli StatiUniti una delle più importanti tornate eletto-rali al mondo: le elezioni di midterm, cheprincipalmente rimpastano il parlamento ame-ricano (465 seggi alla Camera e tra i 30 e i 40seggi su 100 al Senato) e eleggono 36 governa-tori, 34 su base quadriennale e 2 su base bien-nale, Vermont e Stato di New York. Quest’anno al midterm si sono aggiunti circa160 ballots (referendum su tantissimi temiquali, per esempio, limiti ai gas serra, tassa suiricchi, riduzione dell’imposta sui consumi, eli-minazione dell’obbligo di assicurazione me-dica) tra cui spicca la Proposition 19, referen-dum sulla legalizzazione della coltivazione dimarijuana in California, dove il consumo dellacannabis è già previsto a scopo terapeutico, enegli stati dell’Arizona, Oregon e Dakota peruso terapeutico: i sì, nonostante il milione didollari donato da George Soros per la legaliz-zazione, sono stati battuti, talvolta di un soffiocome in Arizona (49,75% contro il 50,25%), ein media i no sono stati il 54% dei voti. Dal 1862 si contano 37 elezioni di midterm dicui 34 hanno segnato la vincita del partito diopposizione; alla Camera solo due volte nellastoria il partito di governo ha tenuto la mag-gioranza: 1998 con Clinton e 2002 conG.W.Bush, che paradossalmente è stato l’uniconella storia degli Stati Uniti a conservare lamaggioranza sia alla Camera che al Senato;dunque potremmo dire che è stato un risul-tato scontato quello del midterm 2010, soste-nuto dai sondaggi pre-elezioni che hanno sem-pre dato in leggero vantaggio il partitoRepubblicano (il Grand Old Party, Gop), no-nostante le lobbies economiche si siano schie-rate solamente (e apertamente) verso la fine diSettembre. Vediamo i risultati complessivi nonostanteogni singolo Stato meriterebbe un articolo adhoc per la varietà dei personaggi che si sonoscontrati e per l’intensità dello scontro poli-tico: l’elefantino (repubblicani) sospinto dal

Tea Party (corrente repubblicana più “estrema”composta da liberali, conservatori, evangelistie populisti) si afferma soprattutto nel MidWest e nei maggiori stati industriali, dove icolletti blu che hanno votato repubblicanosono il 19% in più rispetto il 2008, riprenden-dosi 24 distretti su 20 espugnati dall’asinello(democratici) nelle precedenti due elezioni econquistando 66 seggi (la maggiore conquistaelettorale dal 1938) alla Camera, passando cosìa 240 seggi (per ottenere la maggioranza ce nevogliono 218) contro 189. Al Senato i democratici riescono a tenere lamaggioranza con 53 senatori contro 47 repub-blicani che guadagnano 7 seggi rispetto lescorse elezioni tra cui quello in Illinois che fudi Obama. Il Presidente ha immediatamente riconosciutola batosta, trovando la colpa nella situazioneeconomica del Paese che stenta a riprendersi, esi è subito detto pronto a collaborare con lanuova Camera per rivedere l’agenda di governoe migliorarla per il bene del Paese; secondo unsondaggio della American Enterprise Institutesolo il 14% degli elettori dice che la propria si-tuazione economica sia migliorata rispetto il2008 e secondo delle ricerche dello stesso isti-tuto gli stati che consumano più tasse, e quindiquegli stati che sono i maggiori beneficiari deitrasferimenti federali e dei piani di stimolodell’economia, come New York, California e Il-linois, governati dai democratici da un decen-nio, presentano dei gravi problemi finanziari,infrastrutturali e previdenziali che non la-sciano ben sperare per un miglioramento neiprossimi due anni.Oltre le parole di Obama sarebbero da analiz-zare due aspetti importanti di queste elezioniai fini di comprenderne meglio il cambiamentodi rotta: i finanziamenti stanziati dalle lobbiesai partiti e l’aspetto dell’elettorato vittima dellecosiddette aspettative disattese.Partiamo dal primo aspetto: queste elezionisono state le più ricche di sovvenzioni ai partitinella storia degli Stati Uniti con 5,1 miliardi didollari (secondo quanto riportato dal “guardian”http://www.guardian.co.uk/world/2010/oct/04/us-midterms-most-expensive-elections cuifonte è una ricerca del Center for ResponsivePolitics). IL Gop ha raccolto più aiuti economici ditutti: il 52% delle risorse delle lobbies finan-ziarie, ora contro la riforma finanziaria diObama ma che nel 2008 avevano devoluto il58% delle sovvenzioni all’asinello. Secondoun’analisi dell’ISPI (Istituto per gli Studi diPolitica Internazionale) il Pac (Political Ac-tion Commitee) della General Motors ha elar-gito 86mila dollari in queste percentuali: 52%ai democratici, contro il 47% dei repubblicani.

La Chrysler, anche essa salvata dal governoObama come la GM e oggi a partecipazionestatale, ha scelto di dare maggior sostegno aidemocratici (67%) rispetto ai repubblicani(33%) beneficiari, nel complesso, di 179miladollari. Significativo il caso dell'American Internatio-nal Group (Aig), che ha optato per i democra-tici destinando loro il 100% delle risorse per ilcandidato al Senato, Mark Udall, e alla Ca-mera, Paul Kanjorski. Invece dalla Morgan Stanley (Ms), che è tra leprime cinque aziende finanziarie statunitensi,i repubblicani stanno ricevendo il 55% dei fi-nanziamenti contro il 43% dei democratici. Evidentemente la politica finanziaria di Obamanon è piaciuta a molti e come aveva detto primadelle elezioni il settimanale “The Economist”:“La politica negli Stati Uniti è contaminatadal denaro in molti modi. Ma se i Democratici non riusciranno a spun-tarla nel mese di novembre, non sarà a causadell'attivismo giudiziario di una Corte Su-prema conservatrice. Sarà perché hanno fatto poche cose graditeagli elettori, e molte altre sgradite.”(http://www.economist.com/node/17201957?story_id=17201957). L’altro lato dell’analisi, quello delle aspettativedisattese, si muove al livello dell’elettorato enon al livello dei partiti: l’elettorato del 2008,reduce di una pesantissima crisi finanziariascoppiata in America nell’Agosto 2007, chia-mava a gran voce non solo il cambiamento maanche la veloce ripresa economica del Paesecon la creazione di nuovi posti di lavoro e ha ri-posto in Obama tutte queste speranze, rite-nendolo l’uomo del cambiamento, l’uomo dellaripresa veloce, l’uomo contro le logiche lobbi-stiche, l’uomo appunto del “Yes we can!”. Ma purtroppo Obama (non per colpa sua maper colpa di tutto il sistema politico-econo-mico americano) ha dovuto fare i conti con igruppi di pressione che lo avevano fatto eleg-gere e che pretendevano la tutela dei loro inte-ressi, tale tutela è stata in gran parte ottenutama ha rallentato di molto l’agenda del Presi-dente che ha dissilluso le aspettative degli elet-tori. In sostanza, Obama da queste elezioni ne escepiegato ma non spezzato, i repubblicani sonovincitori a metà poiché la scossa promessa daSarah Palin (leader del Tea Party) non c’è stataal senato, e, come sempre in America, i verivincitori di queste elezioni sono le lobbies cheper convesso rendono il popolo un eterno per-dente.

Marcello Ciola

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Haiti al tempo del colerail contagio non si ferma

Il terremoto di Haiti continua a mietere vittime.Insieme alla mal gestione degli aiuti, della sanità,del governo centrale. Insieme alla poco decorosasottostima di decessi che le fonti informative con-tinuano a divulgare.

L’epidemia di colera ha iniziato a diffondersi ad ot-tobre – fatta eccezione di qualche focolaio im-mediatamente successivo al terremoto - , e tut-t’oggi continua ad espandersi in manieraesponenziale. 15.000 casi e 917 decessi. Queste le ultime stime ufficiali della mano del co-lera, che ha ormai raggiunto anche la capitale

Port-au-Prince, rischiando così ti provocare unavera e propria ecatombe. Principali fonti di con-tagio non solo l’assenza di acqua potabile che diffi-cilmente giunge nelle zone rurali di Haiti, non

solo lo stretto contatto fra le persone che, in unacittà con alta densità di popolazione, diventa ine-vitabile, ma soprattutto le condizioni igienichein cui versa la maggior parte della popolazione: unmilione e mezzo di sfollati per il terremoto delgennaio scorso vive in precarie condizioni tra i cu-muli di immondizia, feci e macerie.

Negli ultimi giorni si sono inoltre fatti sentire i de-vastanti effetti dell'uragano Tomas, che hanno ag-gravato la situazione. "Le inondazioni hanno au-mentato i rischi di contagio“ ha affermato qualchegiorno fa Jon Andrus, direttore dell'Organizza-zione panamericana della sanità, prevedendo ilpoi verificatosi aumento imponente dei casi. Le autorità hanno già scoraggiato movimenti in-terni per evitare un’ulteriore diffusione di conta-gio e si iniziano a disporre dei cordoni sanitari perevitare la fuoriuscita dell’epidemia in ulteriori ter-ritori.

Circa, invece, gli aiuti promessi, pochi sono giuntia destinazione. Una delle cause è la mancanza diknow-how istituzionale da parte delle autoritàhaitiane – spiega un volontario di Terres des hom-mes - i fondi dei governi esteri sono bloccati per-ché il governo di Haiti non ha ancora fornito glistandard con cui bisogna realizzare i progetti. Setali risorse non saranno allocate entro il 31 di-cembre, termine dell’anno amministrativo, i go-verni le ritireranno. Ad aggravare ulteriormente lagià dilaniata situazione, si sono aggiunti gli scon-tri fra Haitiani e Caschi blu: gli abitanti dellazona ritengono infatti che a portare la malattiasiano stati proprio i loro soccorsi. La situazione,dunque, sta letteralmente degenerando.

Il focolaio non si ferma, la gente non sa come cu-rarsi e pur sapendolo, non tutti avrebbero accessoalle cure necessarie. Paesi e città sono distrutte, gliabitanti stessi sono distrutti, attaccati senza sostada circa un anno da disgrazie che sembrano nonavere fine.

Ad oggi le equipe di MSF hanno trattato più di6.400 pazienti, fra loro molti presentavano gravedisidratazione, sintomo tipico del colera. MSFsupporta due ospedali del Ministero della Salutenella regione di Artibonite, la zona da cui ha co-minciato a diffondersi il colera. Le equipe medi-che lavorano nei principali ospedali di St.Marc edi Petite Riviere, supportandoli con forniture me-diche, come soluzioni intravenose, cateteri, solu-zione reidratanti per via orale, cloro per la disin-fezione. Ma questo tipo di assistenza è necessariasopratutto fuori dalle zone più popolate.

Alessandra Micelli([email protected])

Living Darfur

See the nation through the people’s eyes..così di-ceva una canzone di qualche tempo fa, denun-ciando una delle più grandi tragedie degli ultimitempi, il conflitto in Darfur; pochi ne parlano, edai nostri giornali e telegiornali riusciamo a saperequasi niente. Quello che vi propongo quindi, è diaprire una porta su quella terra che ci appare cosìlontana e fuori dal mondo. Quello che oggi ormaiviene definito genocidio, ovvero un “atto com-messo con l’intenzione di distruggere, in tutto o inparte, un gruppo nazionale, etnico, religioso orazziale”, è cominciato nel 2003 con lo scontrotra i Janjaweed, miliziani reclutati tra le popola-zioni nomadi, e le popolazioni locali a seguito ditensioni tra forze armate sudanesi e Fronte di Li-berazione del Darfur, conflitto che i vertici delloStato hanno saputo risolvere solo con l’interventodei miliziani sopra citati a cui hanno dato, quindi,il “via libera”. I contrasti, nonostante si sia cercatodi trovare anche tramite l’intervento di altri Paesiun accordo di pace, non sembrano volgere al ter-mine. Detta fuori dai denti, queste “informazionida manuale” interessano ben poco, quello che c’èdavvero da sapere è che interi villaggi vengonodistrutti, uomini uccisi, donne stuprate, bambinirimasti orfani, migliaia di vite private del lorosenso, e tutto questo per cosa? La risposta è tantosemplice quanto brutale: pulizia etnica. Il governosudanese, per altro, non ammette ancora il suosupporto tramite fornitura d’ armi ai miliziani. Mai fatti parlano da soli: attacchi incrociati vengonosubiti da gruppi etnici Fur, Zaghawa e Masalit,tribù dedite all’agricoltura, che si ritrovano im-potenti davanti ad aggressioni completamente in-giustificate, dato che neanche la rivendicazionedel credo religioso sembra possibile, essendo in-fatti l’unica caratteristica che dovrebbe accomu-nare i due “fronti”, entrambi musulmani. Non èrassicurante, inoltre, sapere che in questo tragico

frangente, il Sudan cerca di tenere fuori dai propriterritori le forze di pace dell’ONU, affiancatesiagli uomini dell’Unione Africana, e le varie ONG,scacciando con prepotenza tutti coloro che cer-cano di prestare il loro aiuto. Vi sembra dunque possibile che in un’era come lanostra, nella quale i diritti umani vengono consi-derati come prioritari, si prospettino ancora sce-nari del genere, contro cui, neanche coloro chehanno il potere riescono a fare qualcosa? Non ri-spondiate con muta rassegnazione, perché cia-scuno di noi, prendendo consapevolezza di questarealtà, può fare qualcosa. Moltissime associazionisi sono mobilitate e altrettanti progetti sono staticreati per permettere a tutti, anche nel loro pic-colo, di sostenere persone che hanno davvero bi-sogno del nostro aiuto. Le immagini che ci giun-gono dai media sono la cruda testimonianza di ciòche sono costretti a subire: quelle facce, quegliocchi profondi che silenziosi riescono a trasmet-tere il dolore e l’angoscia frustrante che vivonoogni giorno e che, nonostante tutto, affrontanocon forza, quella stessa forza che avremmo noi sedovessimo proteggere ciò che ci è più caro... “Youshall rise….and look toward the skies”.

Sophia ricci

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16 Fuori dal moNdo

Everybody goes to Bollywood!Il mio viaggio in India

Comincia tutto all’aeroporto di Zurigo. Il volo di-retto Zurigo-New Delhi aveva una durata di ottoore. Ciò a cui pensavo in quei momenti era che,dopo poche ore, avrei visto un mondo completa-mente nuovo. L’impazienza di venire a contattocon una realtà che non conoscevo mi rendeva im-paziente e non mi faceva sentire il peso dell’attesa.Da quanto tempo aspettavo questo momento!L’accoglienza all’aeroporto di New Delhi ha fin dasubito mostrato come il modo di relazionarsi de-gli indiani si collochi su un altro piano rispetto alnostro. È stato lo smarrimento del mio bagaglio adarmi la misura di quanto qui affermo: il modo incui le hostess mi hanno aiutato, il fatto che faces-sero di tutto pur di permettermi di ritrovare la miavaligia mostra che il loro approccio verso lo stra-niero non è influenzato da pregiudizi basati sulladifferenza culturale. Il periodo in cui sono partita per visitare questoPaese era quello dei monsoni. A causa della piog-gia, l’aria era estremamente umida, ciò che causavauna percezione del calore superiore rispetto alnormale. New Delhi è una città in cui vecchio enuovo, ricco e povero si trovano l’uno accanto al-l’altro in modo tale da non creare un tutto unico,una continuità. È difficoltoso forse per noi, abi-tuati a vivere in una delle più grandi città delmondo occidentale, capire questa realtà. NewDelhi mostra, in piccolo, ciò che tutta l’India stavivendo: un processo di industrializzazione acce-lerato, il quale però non è riuscito a coinvolgeretutti gli strati della popolazione, ciò che ha quindiprovocato una contemporanea presenza di fascesociali medie e di altre in condizione di estremapovertà. Ciò che a noi può sembrare strano, forse non lo è(più) tanto per la popolazione indigena, che datempo ha cercato di accettare una tale situazione.Una delle esperienze più belle è stata la visita al TajMahal, una delle meraviglie del mondo, che sitrova nella città di Agra. Ciò che mi ha colpito dipiù non è stato solo il Taj Mahal in sé e per sé, maanche l’intero tragitto (fatto in taxi) per raggiun-gerlo. Impossibile dimenticare il suono continuodei clacson, le mucche che camminavano fra leauto, il traffico intenso. Un aspetto sicuramenteindimenticabile sono i colori dei saree, i vestiti ti-pici femminili. Nessuna immagine è più evocativadell' India di quella di una donna in saree, che èsenza dubbio l'abito tradizionale più antico, drap-peggiato di volta in volta in modo diverso a se-conda della regione. Sicuramente l’India è unPaese molto caratteristico, le persone hanno un ca-rattere estroverso e molto ospitale, sono personepacifiche che, coerentemente con la loro tradi-zione, hanno uno spirito non violento. Ogni qualvolta conoscevo una persona nuova, nessuno sem-brava avere riserve nei miei confronti: mi acco-glievano come avrebbero fatto con qualunque al-tra persona. Il viaggio in India è servito anche a

farmi vedere da vicino una realtà che fino ad oraavevo visto soltanto alla televisione, e cioè il fattoche molta gente sia costretta a vivere in condi-zioni di estrema povertà. È comunque difficilepoter descrivere in poche righe quanto ho vissutoin quei giorni. Suggerisco a tutti voi di considerarel’India come una meta da visitare, per poter co-noscere quella dimensione spirituale così diversadalla nostra, quell’equilibrio fra corpo e mente dicui tanto sentiamo parlare ma che pochi nelmondo occidentale hanno saputo utilizzare.

chiara lo faro

Con un giro di affari di circa 2.3 miliardi di dol-lari all’anno, Bollywood (alias il mondo cinema-tografico indiano) costituisce una delle risorse piùredditizie dell’India. La storia del cinema indianoha origini che si perdono agli inizi del ‘900,quando Save Dada, per 21 ghinee, importò unacine-camera da Londra e girò il primo documen-tario indiano: un incontro di lotta libera agli Han-ging Gardens di Bombay. Negli anni ’20 e ’30 il ci-nema indiano sfornava numerosissime pellicolebasate su racconti mitologici dalle trame semplici;successivamente negli anni ’40, anche a causa delleinfluenze artistiche europee, tra cui il neoreali-smo italiano, nasce il “cinema d’arte” o “NewWave”, finanziato dal governo fino agli anni ‘80.Oggi, purtroppo, come del resto in altre parti delmondo, il cinema d’arte rappresenta un cinema dinicchia, riservato a pochi e prodotto da pochi.Dagli anni ’90 le grandi produzioni si concen-trano su storie borghesi, probabilmente a seguitodella progressiva ondata di crescita economica eculturale che ha costretto l’India al confronto conla società occidentale perciò trame, ambientazionie personaggi di sapore squisitamente esotico siintrecciano con quelli occidentali. Del resto lostesso pubblico occidentale sembra interessarsi,negli ultimi tempi, al cinema indiano per meritodi registi che da un po’ optano per una fusionepaesaggistica e culturale delle due diverse tradi-zioni (ricorderete probabilmente “Matrimoni e

pregiudizi”, commedia anglo-indiana, che unisceemblematicamente le due culture attraverso la me-tafora matrimoniale). L’attuale produzione cinematografica è notevole,superiore di circa il doppio rispetto alle grandiproduzioni Hollywoodiane. Di queste solo il 21%proviene da Bollywood, mentre il restante 80%proviene da Tollywood o Kellywood, ovvero pro-duzioni regionali in lingue diverse dall’hindi. Il ci-nema indiano costituisce una immensa risorsa peril Paese: solo negli ultimi anni ha rappresentatol’attività produttiva con il maggior tasso di crescita(17%) con un incremento delle esportazioni del60%. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio.L’azienda cinematografica indiana produce mi-gliaia di pellicole ogni anno, ciò significa che laproduzione è pressoché incontrollabile. Il governoindiano si trova a dover fronteggiare tipiche que-stioni legate al fenomeno industriale: il mercatonero, il riciclaggio di denaro sporco, la pirateria edaltri problemi, arginati, per il momento, attra-verso l’introduzione di numerose regole e restri-zioni. La crescita economica dell’India, alla qualepartecipa anche l’industria cinematografica, do-vrebbe rappresentare uno stimolo per le produ-zioni di tutto il mondo, compresa l’Italia. Difen-dere e diffondere la storia del nostro cinema edell’arte non può fare che bene al Paese; l’arte ècibo per l’anima e sostegno per l’economia.

Mariarosaria Ligurgo

How much...Bollywood?

Nella Formula 1, come in altri sport, si parla di out-sider quando una scuderia, svantaggiata rispettoalle più quotate major, riesce comunque a ottenerebuoni risultati, sottraendo “pole position” e podipersino ai team più blasonati. L’outsider del Cam-pionato mondiale 2010 è stata una squadra che ga-reggia in F1 solo dal 2008, la Force India. L’av-ventura automobilistica del team del magnateindiano Vijay Mallya è emblematica del sempremaggiore interesse suscitato da quel Paese-conti-nente che è l’India, gigante demografico, cinema-tografico, culturale, economico. Proprio il calde-rone indiano ha forgiato alcune delle personalitàpiù significative del secolo passato e di quello at-tuale, da Mohandas Gandhi ad Amartya Sen e ainuovi talenti della letteratura contemporanea,come Siddarth Sanghvi - una specie di Carrie Brad-show indiano e maschio, ma altrettanto “stylish”ed elegante. Per questo numero, “Fuori dalMondo” ha intenzione di offrire un piccolo scor-cio culturale e sociale di questa affascinante partedel globo, ormai sempre meno outsider.

nicola del medico

outsider o major?

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Sari e BlackBerry: storia di una nuova middle class

Il 20% della popolazione indiana appartiene allacosiddetta classe media, fonte di ricchezza per ilpresente e carburante per il futuro.Apprendere che un Paese, prima definito del TerzoMondo, oggi ha un’economia che dovrebbe cre-scere nel 2010 fino a un +8,5%, è qualcosa di ine-dito.

L’India è proprio questo Paese.

Certo, non ha ancora raggiunto i livelli della Cina,ma l’uccello d’oro (antica denominazione dell’In-dia) sta per sorpassare il dragone. Il Paese dei sari,oggi si è trasformato molto: il presente é caratte-rizzato più da jeans e Blackberry! E questo, che èindubbiamente frutto della globalizzazione, è in-dice comunque di una crescita sorprendente perl’India, che ha un’economia pari a un quarto diquella cinese, ma che conta, nei prossimi ven-t’anni, di marciare davanti a tutti i grandi delmondo. Ed è il moltiplicarsi delle classi medie e deiloro consumi che hanno fatto sì che si raggiun-gessero risultati del genere. Per classi medie si in-tendono quelle classi che hanno una vita confor-tevole: casa, lavoro stabile, cure mediche, scuola,università, pensione. Oggi, in India, il 20% dellapopolazione può definirsi appartenente alla mid-dle class: questo è tutto merito del boom! Si pensi che dal 2006 il numero delle carte di cre-dito in circolazione è triplicato, le automobili ven-dute sono aumentate del 30%, e si è fortificata ed

è cresciuta un nuovo tipo di industria, quella ma-nifatturiera indiana, che è sbarcata anche all’estero,dando, così, un buon aiuto al bilancio statale, chepurtroppo (al contrario del caso cinese) non èmolto forte sulle esportazione (infatti l’economiaindiana dipende solo per il 20% dall’export). La caratteristica (molto probabilmente vincente)dell’uccello d’oro è quella, dunque, di essere basatosui consumi interni, che non sono soggetti agli altie bassi delle economie mondiali. Ed è proprio quiche si inseriscono le classi medie, che assicurano,anche se solo per un periodo di tempo limitato, ilsegno positivo all’eco-nomia indiana. Infatti,c’è la paura che, dopoaver raggiunto il mas-simo risultato attra-verso le middle class, ilmercato interno possafrenare la sua crescita:in particolare c’è il ti-more che non si riescaa farlo espandere e a ri-durre quella fetta dipopolazione (ben il50%) colpita dalla po-vertà. Ed è a questopunto che l’arretra-tezza del Paese e alcuniretaggi del passato po-trebbero costituire un

Speciale mediterraneamente:

Fuori dal mondo al medFilm Festival 2010 - festival italiano specializzatonella diffusione del cinema italiano ed europeo

Yusuf è un bambino di sei anni che ha appenainiziato la scuola. E' introverso, non legge, enon beve mai il bicchiere di latte che la madrepuntualmente gli prepara, aspetta che il padrelo beva per lui. Il padre è l'unica persona a cuiriesce a raccontare,"sussurrare" i sogni che fa. Loguarda produrre il miele sugli altissimi e peri-colosi alberi dell'Anatolia, regione turca dallanatura immensa e sconfinata, in cui l'uomo siperde senza far più ritorno. "Bal", in arabo, si-gnifica "miele".Rachid, Nasser e Imène, sono tre ragazzi alge-rini che partono dal porto di Mostanagem perattraversare il Mediterraneo e arrivare in Spa-gna. Rachid porta il suo vestito migliore, che in-dosserà appena varcata la soglia di quel sognatoconfine dove "anche il sole profuma di paella".Nasser porta Imène, donna coraggiosa checome tutti vuole tagliare e "bruciare" ogni le-

game con la prigione che è per lei l'Algeria. "Har-raga" in Arabo significa "colui che brucia", "Har-ragas", sono i "bruciatori". Cosa hanno in comuneNasser, Imène e Yusuf ? Sono solo alcuni dei protagonisti del "MedFil-mFestival", che dal 13 al 21 novembre, nella Casadel Cinema di Roma, ha cercato di "unire" e rac-contare tutte le "diversità" provenienti da ogniparte del mar Mediterraneo, dalla sponda norddella Spagna a quella sud del Libano, Paesi ospitid'onore quest anno. Le storie raccontate sono storie di censura, comequella della poetessa iraniana di "My Teheran forsale"; di tortura, come quella dei gitani di "Kor-koro", uccisi durante la seconda guerra mondiale,sono storie di un Mare che divide e che unisce, dioblio e di ricordo. Se gli "Harragas" vogliono scordare la miseria delpassato, Yusuf, alter ego del regista Semih Kapa-

noglou, con "Bal", vuole ritrovarlo: il film è l'ul-timo di una trilogia che, passando per i festivaldi Cannes e Venezia (prima di aggiudicarsil'Orso d'Oro alla Berlinale) racconta la storia diYusuf partendo dall'età adulta per arrivare al-l'infanzia. "Solo attraverso questa ho potuto capire quelloche sono adesso", ci spiega sul palco inauguraledel Festival lo stesso autore.Il cinema si fa così preziosa occasione di con-fronto e dialogo, strumento non ufficiale mapacifico ed efficace per unire il marasma di cul-ture che dalla fine dell'Impero Romano si sonomoltiplicate e diversificate in queste terre lon-tane, divise, ma anticamente (e indissolubil-mente) legate da un unico Mare, da un'"infan-zia" tutta da (ri)scoprire.

Marta Vigneri

problema. La “rivoluzione borghese”, quindi, nonbasta per far crescere l’economia indiana, per por-tarla a livelli di leadership mondiale. Incentivare le esportazioni e sostenere adeguata-mente le classi più povere della società dovrebberoessere i due obiettivi principali per il futuro del-l’India.Riuscirà, dunque, l’uccello d’oro a volare più inalto di tutti i grandi d’Occidente e a vincere ildragone?

Fabiana Nacci

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“ E’ cosa risaputa che nel Gran Mondo ci si fannomondi piccoli”

Wolfgang Goethe, Faust , I, “Mefistofele”

Abitiamo nel MIGLIORE dei mondi possibili.Abitiamo nel peggiore dei mondi possibili.

C’è un uomo che passeggia, si ferma, scarta qual-cosa, fa qualche passo, e poi ricomincia acamminare, nel mentre ha fatto cadere l’involu-cro nel quale era raggomitolato il suochewingum. Si scansa, di fretta passa un ragazzo con la siga-retta in bocca, che sta correndo per prenderel’autobus, riesce a salire, proprio all’ultimo, senzasigaretta né biglietto. Sull’autobus c’è un signore con una valigetta inmano, sta andando nel garage di uno “spallone”che ha pagato profumatamente per fargli por-tare gli ultimi proventi della ditta in Svizzera. Fermi al semaforo una Mercedes coi vetri oscu-rati, affianca l’autobus, sulla corsia preferenziale,sirena spiegata, dentro un deputato dellaCamera ha appena finito di parlare al telefono esta incitando l’autista a bucare il rosso perché ladiretta sta per cominciare. Scatta il verde, partono sia l’autobus che la mac-china a fianco. Intanto davanti ad un portone c’èuna Jeep, escono due ragazze vestite di rosso e unuomo tutto vestito di bianco al cellulare.Fuori un sole stupendo, un viale ombreggiatodai tigli e una dolcissima brezza che porta unintenso odore di fiori, il riverbero del cielo sullastrada colora d’azzurro le case e per un attimo ilgrigio dello smog sembra scomparire.

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S.o.s. Working class hero

l’eretiCo

Tutto da la sensazione d’eterno.

Abitiamo nel PEGGIORE dei mondi possibili.Abitiamo nel migliore dei mondi possibili.

Oggi piove, c’è un terribile odore di fogna per lestrade, una ragazza URLA, in piedi su un palodella luce, additando i passanti: “Non so se que-sto è il peggiore dei mondi o il migliore, unacosa è certa, che abitiamo in un mondo, unosolo e lo trattiamo come se così non fosse. La sensazione è che tutto continuerà così, fino aquando la spazzatura, che, per tutta la tua vitahai pensato avesse come confine ultimo, quelcassonetto davanti casa, torna sul tuo pianerot-tolo, su quello del tuo vicino e su quello del tuocapo, perchè in quel cassonetto non ci sta più. Eallora lì qualcosa si muoverà, ma sarà troppotardi.Perché qualcuno ha già scambiato il nostrofuturo, per qualche centinaia di milioni di euro.Ci sarà qualcuno che uscirà per strada e comin-cerà a fare domande, e allora chi sa, i nonascoltati, gli ammutoliti cominceranno a rispon-dere, altri troveranno risposte per conto loro, maanche quel momento di verità non servirà aniente perché tardivo. E allora prima del tra-collo: attacchiamo qualche cartellone, facciamoqualche annuncio in radio, in televisione, rac-contiamo ai giovani che nessuno pagherà lenostre pensioni, diciamogli che i concorsi per iquali si stanno preparando hanno già i loro vin-citori a priori, diciamogli che quel pezzo di cartaper cui sudano in un sistema come questo nonvale niente.Raccontiamo a quella ragazza che vediamo lamattina in biblioteca e la sera fra i tavoli in pizze-ria con gli “ordini” in mano, che non fra i tavoli,ma fra le lenzuola si deve costruire il suo futuro.

Dobbiamo risvegliare le coscienze.Cerchiamo di capire non dove stiamo andando,ma dove ci stanno portando --> In che direzionepensano il nostro futuro --> Che ci raccontinoloro la verità. Che ci dicano tutto.”

E’ L’UNICO MONDO POSSIBILE

Ormai la notte ha lasciato il posto all’aurea delmattino. Stiamo litigando da ore se questo governo diputtanieri e ladri deve continuare a sopravviveresotto il polmone d’acciaio dei clientelismioppure soccombere sotto macerie e acquazzoni. La foga è quella di cinque ventenni ormai stan-chi, la foga è di quelle che domani mattina so giàche non ci parleremo con serenità.Andre fa due passi, ci grida che va a pisciare dal-l’altra parte della strada, la discussione è troppoaccesa per interrompersi, tanto Andre torna qua,poi.

Sento inchiodare, mi giro, lo vedo volare, Andre vola.

Vola alto, troppo in alto per sperare in unatterraggio morbido.

PUM!, andre cade, il tonfo è greve.

Andre non torna, Andre non torna più.Corro, gli corro incontro.

Non ha più i calzini.

Non è la faccia insanguinata, non sono i jeansstrappati, quello che mi fa pensare che Andrenon ce la farà è la mancanza dei calzini.Come ha fatto a perdere i calzini?Scende di macchina un uomo, ha una pistola, èun Metronotte, una guardia notturna che tornastanca dal lavoro. Non lo guardo nemmeno in viso, guardo la mac-china, guardo il parabrezza incrinato e ilparafanghi distrutto. Andre sei una roccia, Andre eri una roccia.Andre non avevi neanche bevuto,Andre perché non potevi pisciare lìdove eravamo tutti, Andre manon ce lo potevi dire, te, dismetterla di parlare diquelle scemenze?

andre: mentre parlavamo del

nulla, stavamo perdendo tutto.

EDOARDO ROMAGNOLI

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19CogitaNda

Tlön, Uqbar e Orbis Tertius sono tre luoghiinesistenti, esistenti soltanto nell’omonimoracconto di Borges; tre non luoghi virtual-mente animati dal progetto di scrittori,studiosi, strateghi. Aereo, sala d’attesa, ipermercato: tre non luo-ghi ritagliati dagli architetti della società.

Un parallelismo che non spaventa, perché lavita quotidiana l’abbiamo incontrata, dop-pione, nei libri consumati e sfogliati, suglischermi. Però sorge un dubbio tra le corse negli autobuse le passeggiate del sabato pomeriggio al cen-tro commerciale: in quale luogo ci si rifugiaper sfuggire alla nullità del luogo stesso? Supporre l’esistenza di un secondo non luogonon è così blasfema, e quel rifugio anti ato-mico è la nostra mente, cosciente o meno delriparo istantaneo, quasi immolato sul vassoiodi plastica rosso da fast food di ogni giorno. I pensieri da non luogo prendono vita in enci-clopedie mentali e creano a loro volta nonluoghi, concatenati- se avete visto Inception diNolan avrete un fotogramma ancora più nitidodella paranoia da tram. Sono questi cosmi i non luoghi che preferisco,assecondati dalla razionalità ma onnipresenti. Per i cultori della science fiction (in gergo sci-fi) non sarà difficile comprendere la possibilitàdi navigare da un non luogo all’altro, senzarendere conto dei nostri movimenti e trasla-zioni a chi ci siede di fianco. Nolan con la sua pellicola ha associato l’idea disogno e mente con quella di realtà architetto-nica, svelando inversamente quello che inmaniera azzardata definirei il meccanismo diun non luogo: un contenitore tangibile pervite e pensieri estemporanei, della durata mas-sima di una percorrenza da un capolineaall’altro. La sci-fi ha il grande merito di addomesticarel’uomo timoroso, rendendo i non luoghi uncontorno dei pop corn.

Nolan non ha fatto altro che diffondere leparole e i labirinti mentali concentrici, infinitie periodici di Borges, assicurandoci che il nonluogo più esteso è dentro di noi, basta guar-darsi allo specchio…“…che fedelmente duplica le apparenze. Gliuomini sogliono inferire da questo specchio chela Biblioteca non è infinita…io preferiscosognare che queste superfici argentate figurino epromettano l'infinito.”

J.L.Borges

Nell’esperienza contemporanea i luoghi e inon luoghi “si incastrano, si compenetranoreciprocamente, la possibilità del non – luogo

non è mai assente da un qualsiasi luogo”.Queste sono le parole di Marc Augè, etnologoe antropologo francese, fautore della teoria deinon luoghi. Oggi viviamo nell’epoca della surmodenità,parola usata dall’autore per indicare la societàcomplessa come risulta dal superamento delpostmodernismo e della fase postindustriale,immersa nella globalizzazione.Ed ecco che in questo nuovo contesto, in cui imezzi di comunicazione dovrebbero renderepiù facili le relazioni con gli altri, gli uomininon si sono mai sentiti così soli.Così nasce il non luogo, che al contrario delluogo non ha nulla di identitario né di storico.Infatti mentre ogni luogo (casa, ufficio, chiesa,museo..) è pensato per sviluppare delle rela-zioni interpersonali e chi lo frequentaabitualmente se ne sente parte, il non luogo ècreato prescindendo da tutto ciò, svincolan-dosi totalmente dal concetto di spazio qualepunto di confronto e condivisione, assurgendoa mera via di transito senza alcuna velleità diappartenere a chi vi trascorre il suo tempo. Nel non luogo, dunque, non si sosta ma sipassa di fretta, come negli aeroporti o nellestazioni. Potremmo dire che così il luogo vienedegradato a “posto”. Tutto questo perché? Perché la nuova conce-zione di spazio risponde meglio alle nuoveesigenze della società in bilico tra nuovi tra-guardi e antichi sensi di colpa? Direi di no se il risultato è far sentire l’uomosempre più solo.Prendiamo un grande magazzino per esempio:luci abbaglianti e fredde quasi da mal di testae da dover tenere gli occhiali da sole, vetrine

minimal per usare un eufemismo e tanto tantocaos. Gente ovunque che parla, urla, ti passa avantiper accaparrarsi le offerte….in una parola tiannulla. Per non parlare delle tanto amatemultisala, amate da chi ancora non lo abbiamocapito dato che, a parte poltrone più comodee la mancanza di quel fastidioso intervallo,sembra davvero di trovarsi in mezzo ad una“americanata” a ritmo dei tacos che il tuovicino sgranocchia dall’inizio del film!E’ davvero questo ciò di cui abbiamo bisogno?O forse sarebbe il caso di rimpiangere il nego-zietto dietro l’angolo dove la commessa ticonosce da una vita e il vecchio cinemino chehanno distrutto per costruirci…….un kebab?“La vacuità del luogo è negli occhi di chiguarda o nella gambe o nelle ruote di chi pro-cede”(Bauman). Ma per fortuna ci sono dei luoghi, quelli veri,che sono e resteranno sempre intangibili per-ché parte della nostra anima. I luoghi dell’infanzia, la scuola e perfino l’auladell’ università, la casa nostra e quelle doveabbiamo passato il nostro tempo, i luoghimeravigliosi che abbiamo visitato e ci hannotoccato nel profondo; tutti quelli la cui imma-gine è sempre nitida nella mente e dei qualisiamo ancora in grado di percepirne gli odori. Non basterà una gru per demolire i ricordi equesti spazi saranno sempre pieni perché colnostro ricordo saremo in grado di colmare ilposto lasciato vuoto.

Agnese CurtiElisabetta Rapisarda

“Al principio si credette che Tlön fosse un puro caos, una irresponsabile li-

cenza dell'immaginazione; si sa ora che è un cosmo, e le intime leggi che

lo reggono sono state formulate, anche se in modo provvisorio.”

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Il signore del non-luogo

CogitaNda

Ore 23.30. Ultima corsa. Non ci sono cose chevorrei ricordare di questa giornata. Non le per-sone. Non i discorsi. Non i colori. Non ci sono ne-anche cose che mi attendo dopo che sarò arrivatoallo stop, tutto quello che rimane sono tre soggettiseduti sul mio stesso autobus. Vorrei soffermarmia capire chi siano e sarebbe interessante studiare laloro vita. Forse qualche dinamica interna al lorotrascorrere quotidiano non troppo lineare, nontroppo pulita, smuoverebbe questa mia apatia. Eil semaforo è già rosso, fermo! .. lo sono di nuovo.La signora seduta vicino al finestrino si tocca i ca-pelli. Probabilmente i dispiaceri le hanno dise-gnato i solchi che porta ai lati degli occhi mentrecontempla un libro che ha sulle ginocchia. Cosapensa o cosa vorrebbe dire, in quale lato delmondo si trova o in quale vorrebbe essere, cosaspera e di cosa vive sono domande le cui non ri-sposte fuggono alla fermata di viale Ionio. Portaaperta. Porta chiusa. I due ragazzi che siedono infondo all’autobus ridono e urlano e non vedocome esserne sdegnato: questo è il loro regno, peradesso. Sono stranieri ed è evidente: il colore, leparole e gli accenti non mentono. Forse le maniche si muovono hanno toccato terre che io non ve-

drò mai e forse iloro piedi hannopercorso strade chedifficilmente sonoriconducibili allefermate del 38. Edecco che già pre-

mono il bottone rosso, la prossima volta che que-sto pullman arresterà il motore, anche la loro vitasarà un ricordo del domani in questo taccuinomentale. Porta aperta. Porta chiusa. E proseguo ilviaggio solo come solo l’ho iniziato. Sono signorein un non luogo e corro per non strade tra nonpersone che non mi guardano mai e mi salutanoraramente. Fermo il mezzo. Estraggo le chiavi.Esco e timbro il mio cartellino. Semplice, comesemplice è essere al timone della storia di coloroche salgono sul 38. Io li accompagno. Io li scorto.E dove sono, dove non vanno, sul 38 tornano e daesso partono. Come se dovessero arrivare a qual-che meta importante o come se già fossero lì.. maalla fine mi lasciano fino a domani, fino alla pros-sima corsa. Sono signore di un non luogo. Portaaperta. Porta chiusa.

Mariateresa Zechini

Café et le néantFenomenologia del non–luogo

“Entri nel bar e sei preoccupato: 15 minuti di ri-tardo! E Lui/Lei è sempre così puntuale…Cominci faticosamente a cercare, guardi il ban-cone, la sala, i clienti, ma senza successo, è inutilenon è qui”. Una situazione abbastanza normale,che molti avranno vissuto, ma che,secondo Sartre, costituisce un ot-timo esempio di come, ontologi-camente, il nulla abbia un ruolofondamentale nella relazione dellacoscienza con l’ente. Consideriamoper esempio il luogo del bar: inquesto caso l’unica vera afferma-zione che possiamo fare su di esso,è che non ci importa niente del bar.Pensiamoci, la nostra attenzione ètotalmente focalizzata su chistiamo cercando, la nostra perce-zione lo è, tutto il resto si ritira, siappiattisce per permetterci di percepire l’altro, ecosì succede che l’odore di dolce si mischia con ilrumore delle tazzine e il colore dei capelli di quellaragazza laggiù, creando una totalità fenomenica esensoriale. In una parola, tutte queste cose si nul-lificano, diventano altro – da – sè, diventanosfondo per la figura che stiamo cercando e il bar di-venta il non – luogo per eccellenza. Basta pensare

alle facce che scorriamo per identificare quellache cerchiamo: una volta scartate, ricadono nelnulla dello sfondo e non esistono più in quantopersone, ma in quanto contesto della nostra ri-cerca. Questo non – luogo così creatosi attende

pazientemente di esistere e di or-ganizzarsi attorno a quella figurache tanto stavamo cercando, maquando non la troviamo il “nulla disfondo” si trova ad essere “sfondodi nulla”, manca una figura fonda-mentale che dovrebbe distaccarsidallo sfondo e riempire la nostraaspettativa, e il non – luogo non faaltro che mettere in primo piano erimandarci a quella figura, ma l’al-tro non c’è. L’intuizione che noiabbiamo dell’altro, stavolta, è in-tuizione di nulla, e arriviamo a con-

tatto diretto con questo nulla, proprio perché ab-biamo nullificato il bar per trovarlo, ma abbiamotrovato nulla. Quindi, in un’analisi fenomenolo-gica come quella che fa Sartre, tutti i luoghi sononon – luoghi, che esistano o meno dipende solo danoi, dalla nostra coscienza e dalla nostra libertà,che li farà esistere in rapporto ai suoi progetti.

Marco Morucci

Progetto non luogo

Non si può parlare di non luogo senza de-finire prima il concetto di luogo. Un luogorappresenta la parte di uno spazio ideal-mente o materialmente determinata cheun corpo può occupare. Quindi non solo iluoghi fisici rientrano nella suddetta cate-goria, ma anche quelli ideali. Quindi, pen-sati o sognati, abitati o soltanto transitati,questi possono entrarvi a pieno titolo inquanto rifugio dell’immaginazione. Nel-l’era telematica anche ambienti sociali di-gitali quali i social network possono essereivi compresi. Fu l’antropologo franceseMarc Augè, a fornire la più autorevole de-finizione di “non luogo”, inteso come “spa-zio che ha la prerogativa di non essere iden-titario, relazionale, storico”. Egli identificò,quindi, come rappresentazione dei nonluoghi proprio quelle strutture che oggisono al centro del “pellegrinaggio”dell’homo consumens: i centri commer-ciali. L’individuo è assorbito dal non luogo,vi transita ma non vi abita, né si identificacon esso. Anche l’architetto norvegeseShultz riprendendo l’accezione latina delGenius Loci, evidenzia il ruolo che svolgel’architettura nella creazione, senza impattinaturali, di un luogo, su un determinatoterritorio. Fu proprio Shultz a definirel’alienazione prodotta dal transito freneticoed effimero dell’individuo nel non luogo ea condannare gran parte dell’architetturacontemporanea. Queste letture, distinta-mente sotto il profilo antropologico ed ar-chitettonico, dall’univoca critica, vannorilette dal punto di vista pratico: anchequesti famigerati non luoghi possono rap-presentare veri e propri ambienti di socia-lizzazione, rispettando i parametri delladefinizione di Augè e vedendosi semprepiù attribuire quel Genius Loci di cui ne-cessitano. D’altronde è lo stesso Augè adammettere che “i giovani che si incontranoregolarmente in un ipermercato possonofare di esso un punto di incontro e inven-tarsi così un luogo”. In un centro Ikea, adesempio, gli ambienti domestici ricreati inesposizione rappresentano dei proto-luo-ghi che stimolano la creazione di un am-biente “identitario, relazionale e storico”. Inon luoghi, in realtà, non esistono e il solopensiero basta per produrre un luogo, diqualsiasi tipologia.

Claudio Landi

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L’amore ai tempi del non-luogo

Guardo il tuo riflessosul finestrino. Sembrimalinconica. Il filo del-l’ipod si intreccia aituoi capelli, e mentre ilbus corre sulle stradebagnate di Roma immagino come dev’essere avertiaddormentata sulla mia spalla. Prendo questa lineatutti i giorni, ho persino un posto a sedere prefe-rito. È per questo che ti ho notata, stamattina. Tisei seduta proprio là. T’ho vista e ho capito che eritu. Ho sempre pensato che il bus fosse il luogomeno indicato per fare incontri. I mezzi di tra-sporto sono i non luoghi per eccellenza, simbolodella società supermoderna che non lascia spazioai tempi dilatati e surreali del prendersi del tempoper conoscere qualcuno. Corri o vieni inghiot-tito, pensaci bene prima di fermarti a pensare.Spazi senza identità e senz’anima, chi potrebbesentire come “proprio” un vagone della metro?Centinaia di persone che si incontrano, si vedonosenza mai realmente guardarsi, perché a nessuno

interessa come mai quel ragazzo infondo al tramsembra così triste, a nessuno cambia niente sequella coppia laggiù si ama veramente oppure no.È quasi sconvolgente la banalità con cui si sale suun bus, la studiata noncuranza con cui ignoriamoil fatto che potremmo anche non essere in un nonluogo, se solo volessimo, abitarlo e non soltanto at-traversarlo di sfuggita. Ti guardo e ti dico tutto ilmio cuore, ti sputo in faccia la frustrazione cheprovo al pensiero di non poterti rivolgere la parola,perché chi attacca bottone nei mezzi pubblici è fa-stidioso e pure un po’ sfigato. Se mi guardassiforse troverei il coraggio, ma sei immersa in un al-tro posto, in un altro mondo, e io sono solo un abi-tante di un posto che non esiste. Io esisto, vorreiurlarti, ma dalla mia bocca non esce suono. Seiperfetta, ma il non luogo esiste solo qui adesso nelpresente, una volta che saremo scesi sarà tutto fi-nito. Vorrei continuare a guardarti mentre fingo dileggere il giornale, ma il bus ha accostato e questaè la mia fermata.

Linda Patumi

La solitudine “di massa”luoghi fittizi e proiezioni della mente.

Stazione Termini.8 del mattino. Una folla spro-positata di persone di ogni tipo: bambini,avvo-cati,donne in carriera,semplici viaggiatori,stra-nieri. Qualcuno urla,qualcuno corre,qualcunolegge il giornale,altri fanno colazione. Ognunocon la propria storia,ognuno con i propri pen-sieri,ciascuno che rappresenta un unicum a sé,matutti riuniti in uno stesso spazio,in un luogo ditransito,di passaggio,tutti ammassati in un nonluogo. Il non luogo,secondo il famoso antropo-logo Augè è uno spazio non identitario,non rela-zionario né storico. Persone ogni giorno diffe-renti affollano questi contesti,in cui vi si recanocon intenti ulteriori,con progetti ambiziosi,condesideri da realizzare.Il non luogo potrebbe tro-varsi ovunque in quanto slegato dal genius loci delterritorio che lo circoscrive,in un luogo in cui l’in-dividuo svanisce,diluendosi nella massa,nella folla

di persone volta al soddisfacimento di diverse esi-genze.Tutti gli uomini presenti non vivono quelluogo ma sono vissuti da esso.E’ lo spazio a dettarele regole: orari di partenze,di arrivi,insegne lumi-nose,voci registrate che impongono il rispetto ditempi,di oneri,di determinati comportamenti.Nella società moderna abbiamo di continuoun’apparenza di collettività,di gruppo,che in realtànon è altro che una somma di singoli,di personeben individualizzate che non scambiano nulla leune con le altre. Un altro esempio lampante sonoi social network che permettono una connessioneglobale con il resto del mondo,ma in realtà nonfanno altro che rafforzare la solitudine di cia-scuno,rinchiuso nelle proprie mura di casa,rac-chiuso nella propria soggettività. Il vero non luogonon è altro che la nostra mente:uno spazio fuoridal tempo,intangibile,dove noi possiamo creareconcetti,storie,relazioni,sentimenti,che pian pianofiniranno per sgretolarsi sotto le sferzate della verarealtà che ci circonda. Qui noi creiamo il nostromondo e nello stesso tempo da esso siamo gui-dati,respinti,soggiogati. Ma di esso non né pos-siamo fare a meno. La nostra indole vi tende in-consapevolmente,e il nostro sguardo vi ricerca isignificati più intrinseci,come il più famoso deiviandanti di Friedrich ci dimostra,sul ciglio diuna rupe con davanti a sé un mare di nebbia.

Fiorenza Marin

la scoperta del non-

luogo

Marc Augé scrisse che il paradosso del nonluogo è che possa fungere da ritrovo per-fetto per l’uomo che vaga in terre straniere,dal momento che l’anonimato delle auto-strade, degli alberghi, delle stazioni di ser-vizio, non si presta, ma interpreterebbe unlato dell’essere umano. Personalmente ri-tengo che la scoperta del non luogo siastato un atto di onestà che l’uomo mo-derno ha fatto nei confronti di se stesso,alla continua ricerca del senso della vita.Ognuno vive il non luogo a modo suo, dalmomento che in esso cammina anzi ognicosa verso il proprio io, piuttosto che versoil mondo, realtà parallela che viaggia aduna velocità inferiore, superiore, o co-munque diversa. Una via che la società miha costretto ad intraprendere per assapo-rare il gusto dell’uomo solo che guarda lapietra, per poter anche soltanto immagi-nare come sia stata possibile la scoperta delfuoco, della ruota, della coscienza. Una viache non esiste più nel mondo reale, quelmondo alternativo che ha fatto della sua ar-tificiosità una preghiera di disperazionedell’individuo, e un costume dei popolicontemporanei. Riflettendo, nel non luogosi riflette il pianeta, e non s’incontra. Ildettaglio assume la forza di una tragedia,l’odore assicura la permanenza di una sta-bilità mentale perennemente a rischio, e ilcellulare è ciò con cui si ritorna al giorno,la mia finestra personale per ciò ch’è di-stante e che non voglio conoscere. Se sonocon me stesso, ho l’avventura qui con me,e mi consola il fatto di non essere nessuno,e di poter essere chiunque io voglia. Il far-dello della classificazione sociale scompare,sono nudo di fronte a me stesso, e la miavita è per un attimo sincera, ma senza fiato.Ho lasciato il respiro per lo smog dellagiungla grigia, ho donato un polmone al-l’immigrato che ho al mio fianco, che fumae puzza, che mi somiglia da lontano. Em’avvedo del fatto che la giustizia sociale èqui, nell’autobus di una città che fa implo-dere gli interessi dei singoli nei buchi neridi una micro galassia Atac. E non potendocondividere il pensiero con gli altri, sonoineludibilmente in bilico, in questo spec-chio che mi mostra la verità su ciò che c’è,ma non mi dona la felicità.

marco zuccaro

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OPD: officially pronouced dead

ottaVa Nota

"Le voci sulla mia morte sono oltremodo esagerate.Comunque, se fossi morto, sarei stato sicuramentel’ultimo a saperlo".

Paul McCartney, da un’intervista a "Life", 1969  

Tra le tante cose affascinanti della musica, la pre-sunta morta del vero Paul McCartney è una dellapiù stravaganti e avvincenti. Era il 12 Ottobre1969, Russell Gibb, disk jockey di una radio diDetroit annunciò di avere le certezza che PaulMcCartney fosse morto nel 1966. I fatti si sareb-bero svolti in questo modo: un mercoledì mattinaalle cinque Paul McCartney a bordo della suaAston Martin rossa incontrò un’autostoppista dinome Rita. Accompagnatala a casa, mentre impe-gnava un incrocio cieco, non si accorse che il se-maforo era diventato rosso. Un camion soprag-giunse, Paul frenò, ma l’asfalto viscido non glipermise di fermarsi in tempo, l'urto fu tremendo,ed il cantante sfondò con la testa il parabrezza ri-manendo decapitato. L'impresario dei Beatles, al-cuni dirigenti della casa discografica, ed i restantitre Beatles decisero di tenere nascosta la notizia edi seppellire Paul in un luogo segreto. Un sosia loavrebbe sostituito: William Campbell, un ex poli-ziotto. Grazie alla sua somiglianza con il bassista edalla plastica facciale, in breve tempo Campbell sisostituì a McCartney. 

Lo stesso Paul non ha mai smentito queste voci ali-mentando così una vera mania da parte dei fans edei giornalisti alla costante ricerca di messaggi na-scosti nelle opere del gruppo. Dopo tanti anni cisono persone convinte che Paul sia realmentemorto... dando origine al "fenomeno P.I.D. "Paul IsDead". Come sostenere questa folle teoria? Qualifatti possono dare credito ad una storia che non hanulla di credibile? Le speculazioni sono molte, mauna cosa è certa i Beatles stessi hanno inserito neiloro testi delle piccole tracce di quanto fosse acca-duto, una sorta di follia, di burla o qualcosa di di-verso?

Del resto possiamo dare il significato che vogliamoalle parole... eppure il giallo s'infittisce quando esa-miniamo alcuni elementi:

- Nella foto che ritrae il gruppo, all'interno della co-pertina di Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band,Paul indossa uno stemma con le lettere OPD chesignificherebbero Officially Pronounced Dead.

- Sul retro della copertina Paul è l'unico Beatle avoltare le spalle.

- A Day in the Life, contiene i versi "si fece saltareil cervello in una macchina", un riferimento abba-stanza esplicito al fatale incidente di Paul.

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la rubrica consiglia:

- 09.12.10TARM + THE WARLOCKS

al circolo degli artisti una serata fanta-stica in cui si esibiranno alle 21 gli italia-nissimi TRE ALLEGRI RAGAZZIMORTI cui subentreranno alle 23 i theWARLOCKS,una delle più incensateacid rock band statunitensi, lisergici e po-tenti come dei Grateful Dead alle presecon delle cover dei Black Sabbath.

- 18.12.10gli Amor Fou presentano il loro ultimo cd"i moralisti" al circolo degli artisti. E’ unconcept album sulla morale italiana dioggi raccontata attraverso 10 personaggireali, con l'approccio del cinema d'in-chiesta. Molto interessante.

11.12.10 Marta Sui Tubi. L'Angelo Mai, locale romano sul VialeTerme di Caracalla, ospita il trio sicilianonato a Marsala nel 2002 e che, dopo ilfulminante successo dell'album "Sushi &Coca", è ora riconosciuto come una dellelive band migliori e più seguite in Italia.Le loro note punk folk e l'ironia senza fil-tri che sprigionano durante i loro con-certi promettono una serata da non per-dere e da raccomandare ad amici econoscenti. Noi lo stiamo già facendo,non perdete tempo!

- Sia sulla copertina diSgt. Pepper's sia in Yel-low Submarine, appa-iono delle mani dipintesopra la testa di Paul. Un  simbolo orientaledi benedizione divinadestinata a qualcunoche sta per ricevere unasepoltura.

- La coda di Strawberry Fields Forever contiene lavoce di Lennon che sussurra "Ho sepolto Paul". Ineffetti Lennon ammise di aver detto "salsa di mir-tilli"

- Durante l'esecuzione di Your Mother ShouldKnow" John, George e Ringo portano all'occhielloun garofano rosso, mentre Paul uno nero.

- La canzone I Am the Walrus termina con un pas-saggio tratto  della tragedia di Shakespeare ReLear, dove appaiono i versi "Oh, morte inoppor-tuna" e "Cosa, egli è morto?"

- In "Eleanor Rigby" si parla di Padre McKenzie,che prepara il sermone per una cerimonia cui nes-suno assisterà. Dicono che McCartney sia statosepolto in tutta fretta, di nascosto ed alla presenzadi un certo Padre McKenzie. 

- In Don't Pass Me By Ringo Starr canta: "Eri in unincidente di macchina e hai perso i tuoi capelli..."- Nella celebre "All you need is love", al terminedella canzone, si sente: "Yeah, he's dead, we lovedyou yeah, yeah, yeah". Altri, addirittura, sosten-gono di udire: "Paul is dead, we loved you...". Nelbrano che dà il titolo all'LP, invece, si parla di unsottomarino (la bara) sotto il cielo (blu) ed il mare(verde, cioè la terra in cui Paul è sepolto). 

- E ancora in Revolution; Il brano inizia con unavoce che scandisce tre volte: "Number Nine".Ascoltandolo al contrario, però, si ricava l'ag-ghiacciante frase: "Turn me on, dead man".

- Sulla copertina di Abbey Road Paul indossa an-cora un vestito scuro, senza scarpe. Inoltre non è alpasso con gli altri Beatles e tiene una sigaretta conla mano destra (Paul è mancino)

- La Volkswagen che compare sulla copertina diAbbey Road è targata "LMW 28 IF". La cifra e lelettere significano: Linda McCartney Widowed(Linda McCartney è diventata vedova) e che Paulavrebbe 28 anni se fosse stato ancora vivo.- In Magical Mystery Tour, Paul è seduto alla scri-vania davanti alla scritta "I Was - Io ero"  e due ban-diere piegate a lutto dietro la testa.

- Nella copertina di Let It Be, solo Paul è ripresodietro uno sfondo rosso, gli altri tre invece susfondo chiaro.

Follia collettiva? Immenso scherzo goliardico? Mi-tomania? Paul Is Dead rimane comunque un epi-sodio curioso e discretamente importante nellastoria dei Beatles. Contiene in sè tutti i germi di unvastissimo gioco, di un enorme affare economicoe di un fatto sociale che ha intrigato diverse gene-razioni. Perfino McCartney giocò su questa incre-dibile vicenda pubblicando il  disco Paul Is Live,con la medesima inquadratura di Abbey Road, e lamitica Volkswagen targata per questa occasione"58 Is" cioè "Ho 58 anni e sono vivo e vegeto!". Suuna sola cosa non c’è dubbio: i Beatles erano, sonoe saranno per sempre il gruppo migliore di tutti itempi.

Andrea Buccoliero

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Avevo fame, i Kings of Leon hanno provveduto

Sette anni dopo. Tanto è passato dall’estate del2003, quando quattro ragazzi poco più che ven-tenni del Tennessee iniziarono a nutrirci con delsano rock statunitense, sicuramente il miglioredella loro generazione grazie, condito di southernrock, blues e voglia di sperimentare garage rock.La band formata da tre fratelli (Anthony, Ivan, Mi-chael) e un cugino (Cameron), sono diventatidelle vere e proprie superstar della scena rock sta-tunitense, Una crescita costante (con tanto di quattroGrammy Awards portati a casa), che, disco dopodisco oltre ai favori della critica ha avuto una con-sacrazione da parte del pubblico specialmente perquanto riguarda i live dove i King Of Leon sonocapaci di esprimere al meglio le loro qualità. ConCome Around Sundown (in uscita il 19 ottobre),prodotto dal fidato Jacquire King (che ha lavoratoa Aha Shake Heartbreaker e Only By e Night), laband si prefigge di continuare la propria crescitaartistica e arrivare a occupare la posizione numero1 della chart americana (hanno raggiunto la quartaposizione con Only By e Night mentre in In-ghilterra sono arrivati al top). Radioactive, la canzone che ha anticipato l’uscitadell’album, piace subito e con i successivi ascoltil’opinione positiva viene confermata. Senti laprima chitarra e lo stomaco e sobbalza, subentra la

seconda, compare anche il cervello e sei cosciente,in attesa, e aspetti. Il fegato è lì, pronto, ed è ilbasso che inizia a schizzare la bile nel corpo perimbastire il pasto. Le gambe hanno i pistoni esono batteria quando inizia a pestare il terreno, equando hai già capito che i cori ti avvolgeranno,hai già anche realizzato che i kings of leon hannofatto un singolo di qualità, di quel rock che nonpuò che convincerti dalle viscere da cui lo senti, eil cibo ti riempie e non straborda, e alla fine ti la-

scia la solita sana voglia di averne ancora e an-cora, e mentre i muscoli pulsano ancora pieni,alla fine, ripensi a quando Springsteen voleva solosentire un po' di ritmo e delle chitarre che suo-nassero per radio. Lui accontentato, io sazio.

P.S.: Per vederli dal vivo in Italia, bisognerà aspet-tare il 3 dicembre quando suoneranno al Futur-show Station di Bologna.

Andrea Buccoliero

Welcome to (fabulous) Las VegasBrandon Flowers, cantante dei the killers, presenta il nuovo album “Flamingo”

Chi non ha mai sognato almeno una volta nellavita di fare un viaggio nella luccicante Las Vegas?Immaginate di recarvicisi accompagnati da qual-cuno che il posto lo conosce benissimo, che magarici è pure nato e cresciuto. In questo caso stiamo parlando del frontman deie Killers, Brandon Flowers, il quale per la primavolta decide di svelarci, a dispetto della sua animamusicale decisamente britannica, le sue originistatunitensi, attraverso un viaggio musicale nellafavolosa Las Vegas.Uscito il 3 settembre scorso, ma preceduto dal sin-golo “Crossfire”, “Flamingo” è il primo album dasolista di Flowers, che si lancia in una avventuraprofondamente intimistica e a tratti decadente.Sicuramente decadente è il brano che apre la rac-colta (“Welcome to fabulous Las Vegas”, appunto). Se immaginavate la vostra entrata a Las Vegastrionfalmente addobbata da tante luci al neon,alla “Viva Las Vegas” di Elvis per intenderci, Flo-wers vi proietta in un mondo completamente di-verso, sordido e familiare allo stesso tempo.“Sunset and neon lights, cocaine and lady luck”:

tramonto e luci al neon, cocaina e dea bendata.14 tracce ben amalgamate, che seguono un certofilo logico, e che raccontano suggestivamente lastoria di un ragazzo nato, cresciuto ed innamora-tosi nella città del vizio, e che si improvvisa cice-rone per l’ascoltatore.Sembra quasi di trovarcisi dentro a Las Vegas, disentirne gli odori, di rimanere accecati dalle lu-cette kitsch che addobbano le cappelle dove qual-che avventurosa coppia tenta il grande passo, come

nella traccia “Was it something I said?”, ove pe-raltro la voce del cantante raggiunge altezze im-probabili (ma col computer tutto è possibile, no?).Niente paura, i e Killers non si sono sciolti, citiene a sottolinearlo il giovane cantante: “Fla-mingo” è solo una breve parentesi che ha per-messo a Flowers di dare sfogo ad una sua vena piùlaconicamente nostalgica. Facendolo ha speri-mentato sonorità meno electro/ rock, con menochitarre, ma più percussioni ed un uso abnorme disintetizzatori.Quando si parla di Las Vegas naturalmente nonpossono mancare canzoni in puro stile anni ’80,con tanto di duetto nella traccia “Hard Enough”con la cantante Jenny Lewis ,voce piacevole ma de-cisamente banale. Nel complesso un buon album, e, a detta dei po-chi eletti che sono riusciti a prenotare i biglietti peril concerto tenutosi lo scorso ottobre al “Circolodegli artisti” di Roma, un Brandon Flowers posi-tivamente carico e a suo agio anche nella insolitaveste di solista.

Vanessa Sebastianutti

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Gocce d’Arte: le Stagioni

artiFiCio

E’ curioso quanto sia cambiato nel mio immagi-nario il modo di percepire e attendere ilfenomeno dell’alternarsi delle stagioni.Sempre inesorabile, sempre affascinante esublime nelle dinamiche e nei trapassi, questociclo di colori, sapori e profumi si insinua tra lefibre di un’umanità ipertesa, concitata e fretto-losa..Per quanto, ciascuno a modo proprio, siamo tuttisballottati tra una distrazione e l’altra, tra un’in-cudine e un martello perenni, sempre stiracchiatie spalmati fino all’inverosimile, resta comunqueimpossibile non lasciar modificare le nostre gior-nate, quel nostro personale avvicendamento didissapori ed euforie, quei nostri ritmi infinita-mente altalenanti dalle piccole dinamicheintrinsecamente connesse ai cicli stagionali.I caldi vapori di un tè alla vaniglia che salgono asfumare il contorno di una scrivania madida dicarte: risposta consolante al folle bisogno diinfrangere la routine con una netta parentesi digustoso egoismo!Il piacere dei filati corposi, avvolgente per lemembra e placebo per la mente.. con quelletrame generose che vestono la quotidianità ditoni ambrati, di cioccolato intenso e legno odo-roso..L’ infantile, irrinunciabile urgenza di far crepitarele foglie secche sul freddo selciato, appiattendolecome enormi e rumorosi coriandoli contro lasuola impietosa di calzature impermeabili aifreddi autunnali..Ma non è certo il solo autunno a caricare diminuscoli riti il lento fluire di giornate semprepiù avare di sole. Ogni stagione porta con sé un bagaglio di sensa-zioni che puntualmente ci sconvolgono con lafrizzante percezione della novità, della rigenera-zione.. Per quanto ogni anno si ripetano conmetodica e fedele puntualità.Tuttavia ciò che, per quanto mi riguarda, è deci-samente cambiato nel mio modo di respirare, digodere della bellezza sublime del cambiamento èla difficoltà, sempre più evidente anno dopoanno, di captare nettamente l’arrivo di ogninuovo autunno ramato, di ogni nuova serica pri-mavera e allo stesso tempo di disporrefestosamente il mio animo alla loro attesa, prontaa catturare l’attimo impercettibile del loro ultimoavvicendarsi. E ritengo tale difficoltà dovuta nontanto alle bizzarrie imprevedibili di climi dalleoscillazioni ogni giorno più inopinate, quantoalla velocità, febbrile e ostinata con la quale cisiamo assuefatti a vivere la nostra quotidianità..una quotidianità nella quale non c’è più spazioper l’Arte in quanto piacere di un’estetica disin-teressata e gratuita, e in cui il Tempo è divenutonemico ostinato e caparbio, da sconfiggere construmenti astrusi che possano alterare quantomeno la nostra percezione del suo naturale fluire.

Il paradosso sta nel fatto che il Tempo oggi ci èdi ostacolo nelle sue due accezioni più estreme,ovvero l’”interminabile”, come insostenibile stil-licidio di secondi, minuti e ore cui non riusciamoad assegnare un significato concreto e imme-diato, e il “caduco”, come raro e fuggevoleapporto di un piacere troppo intenso da meta-bolizzare e troppo breve per soddisfarcipienamente.Nel primo aspetto il tempo è divenuto un validoalleato delle irriducibili armate dell’edonismofestaiolo, i cui soldati hanno fatto della spensie-ratezza una religione e dello svago unaprofessione in ossequio della quale, se hai “tempoda perdere”, espressione di per sé indicativa diintrinseca svalutazione, la cosa migliore che puoifare è imbottigliarti in folle umane sature didecibel e alcool fino a dimenticare del tutto leproprie generalità.Per comprendere il secondo aspetto invece dob-biamo richiamare alla mente quella sensazioneamara e annichilente che strangola la bocca dellostomaco dinnanzi alla FINE di qualcosa.. Qual-cosa che si è atteso, cui ci si è preparati per

settimane, per pregustare il quale si è fattoappello a tutte le proprie capacità recettive e sen-soriali, tentando di amplificarlo e di spalmare sulmaggior numero possibile di minuti il piaceretanto agognato.Ma, nonostante tutto, gli sforzi, le elucubrazionie le strategie mirate a cristallizzare quei meravi-gliosi secondi si riveleranno vane e irrisorie separagonate al risultato ottenuto: spesso l’unicoeffetto che ne traiamo è infatti caricare la mentedi una tensione tale da innervosirci per il restodella giornata, finché non subentra l’inevitabile,ma solo parzialmente lenitiva, sensazione di ras-segnazione.Una sensazione quanto meno avvilente, che nonc’è modo di combattere… Se non recuperandogradualmente quella disponibilità d’animo e dimente a godere dei quella forma d’Arte ineffabileche è il mondo attorno a noi.Una disponibilità che, per quanto facciamo faticaa ricordarlo, è strettamente legata alla nostrastessa condizione di umanità.

Tiziana Ventrella

Autumn is a second spring when

every leaf is a flower

E’ pomeriggio. Il cielo, limpido, si va scurendo. C’è solo qualche piccola nuvola all’orizzonte. Gli alberi, dagli alti tronchi, hanno le foglie dimille colori diversi, alcune ancora verdi, altregialle, molte già rosse. Qualche ramo è mosso da una lieve brezza. Tutt’intorno si estende il sottobosco, selvaggio erigoglioso, dei piccoli arbusti, delle rocce, in lon-tananza si scorge qualche dolce collina. In mezzo agli alberi, seminascosto dalla vegeta-zione, sul viottolo coperto di foglie passa un pretedi campagna sul suo cavallo. E’ tempo di rientrare a casa, il giorno sta finendoe sta per calare la notte. Forse Theodore Rousseau dipingendo “Sotto lebetulle” aveva in mente “one of those perfectEnglish (bè, direi più francesi visto dove è statorealizzato il quadro) autumnal days which occurmore frequently in memory than in life" o forseno e si è semplicemente limitato ad osservarecon fedeltà la natura, dal momento che è statouno dei primi pittori a scegliere di lavorare enplein air.

Ma con le sue pennellate a grumi e l’uso alter-nato di colori freddi e di rosso bruni ha dato vita,

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almeno per quanto mi riguarda, alla rappresenta-zione ideale del paesaggio autunnale. Quelle folte chiome rossastre delle betulle sono ilsimbolo perfetto della stagione considerata la piùcupa ma dal punto di vista paesaggistico la piùcolorata.Ma la stagione in cui interi boschi cambianocolore e le strade di riempiono di manti di foglieè anche ritenuta la più adatta alla riflessione, ameditare. E come non pensare, allora, a quel genio diCaspar David Friedrich che più di ogni altro èriuscito a trasporre in immagini l’ineliminabile,insopprimibile tensione dell’uomo verso l’infi-nito, la ricerca del divino nella natura, l’unico cheè riuscito a rappresentare gli: “interminati spazi dilà da quella, e sovrumani silenzi, e profondissimaquïete” di cui parlava Leopardi.Perfette immagini autunnali sono “Un uomo euna donna davanti alla luna” con le due figurepensierose accanto a un imponente albero curvo

ormai spoglio, l’“Abbazia nel querceto” con ungruppo di querce secche e nude che circondanoun’abbazia diroccata e cadente e un denso mantodi nebbia che ricopre ogni cosa di un velo dimalinconia ma soprattutto “Il viandante sul maredi nebbia”. Dall’alto di una roccia un uomo solo osserva unpaesaggio selvaggio e ostile. La fitta nebbia ricopre ogni cosa e solo in fondosi scorgono, lontane e nascoste, forse irraggiungi-bili, delle montagne. Ma chi altri non è quell’uomo se non una proie-

Magritte: “La bella stagione”, l’inversione

di un mito

Nel trovarsi di fronteun’opera di Renè Ma-gritte ci possono acca-dere più cose. Capita di provare unalieve angoscia, in pit-ture la cui distorsionedel reale o la negazionedi piccoli elementidello stesso genera lostraniamento dellospettatore. Capita di sorridere, affascinati dall’ir-riverente e magistrale inversione di termini, che fadi Magritte un pittore dispettoso come un bim-betto che mette a soqquadro la sua cameretta, or-goglioso dello sconcerto che accompagna il caosda lui sagomato. Possiamo anche restare attoniti, esterrefatti, so-praffatti da un volgarissimo punto di domanda:non capiamo. E questo è quello che mi succedenell’approccio a “La Bella Stagione”. Ora, la pri-mavera, che presumo essere, più per convenzionesociale, che per giudizio personale, la Bella Sta-gione per antonomasia, è fonte di elucubrazioni

più o meno suggestive in ciascuno di noi, ma sfidochiunque, salvo un asmatico terrorizzato dalla mi-naccia dei pollini maggiolini, a viverne l’arrivocon un’angoscia tale da immaginare grandi foglieminacciosamente incombenti su una piatta e afonarealtà. Un prato. Tre verdi foglie impettite. Tante fo-glioline sullo sfondo. Quasi puerile, forse spensierato, semplicementeuna pittura sintetica ed efficace, si potrebbe obiet-tare. O forse una perentoria affermazione dell’ar-rivo di qualcosa. Qualcosa che sì, magari è anchegradevole e da tempo oggetto di brama, ma è an-che lì, beffardo, che si fa gioco proprio delle tuesmanie d’aria aperta e così, con arroganza, tiguarda irrisoriamente. Sembrerebbe che Magritteveda la primavera come un imminente pericolo,un’ineluttabile verità, che per quanto possa por-tare con sé piacevoli momenti di spensieratezza,disturba proprio nel suo essere inevitabile, nelnon poterne sfuggire. Nella storia dell’arte la pri-mavera è sempre stata oggetto del culto di molte-plici artisti, che ne hanno vista la potenzialitàespressiva, tradizionalmente, in prati fioriti, fan-

ciulle più o meno discinte pascolanti nel verde,sfondi floreali, colori pastello, forme leggere, de-siderio d’irriflessione (si pensi banalmente alla“Primavera” di Botticelli, al “Primo Giorno di Pri-mavera” di Monet e ad altre sue opere, o a quelledi Renoir…). Magritte è un innovatore, si fa beffedel mito della bella stagione, e dipinge una disil-lusione, più o meno provocatoriamente. Magritte è un surrealista, in particolare un sur-realista che accantona l’indagine sui misteri dellapsiche, al contrario di tanti altri, in favore di quellidelle cose, della terra, dell’universo. Ma nel fare ciònon si limita a traslare un dato, a riprodurlo, ma loindaga, lo droga di un significato ai più enigma-tico, fino a renderlo fastidioso, perché lontano, di-verso. E così tre misere foglioline da poco gem-mate, per chiunque simbolo di tenerezza, per ilgenio beffardo Magritte si fanno forme rigide mi-litarmente disposte. Un’inversione di tendenza,un nuovo ordine che poco ci dice del suo senso in-trinseco, ma molto ci dice sulle molteplice poten-zialità ermeneutiche della più sciocca e quotidianadelle realtà.

Teresa Mattioli

zione di chi osserva, dello spettatore, chi altri nonè se non noi, soli con i nostri dubbi e le nostre cer-tezze, di fronte ai quesiti insolubili che la vita cipone? E quella nebbia, cos’è se non le nostre difficoltà, inostri dubbi, tutte le nostre incertezze che a voltenon abbiamo il coraggio di affrontare? Forse quelle montagne non potremo raggiun-gerle,forse sono davvero irraggiungibili, maquanto meno vale la pena di cercarle.

Valeria Bianconi

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26 CiNema e teatro

La cultura non è un optional, perchésenza cultura non c'è popolo

"La cultura non è un optional, perché senza culturanon c'è popolo"

No, non bastava uccidere i sogni ed il futuro di mi-gliaia di giovani con i drastici tagli alle scuole edalle università pubbliche; e così non bastava averviolato il diritto allo studio di ragazzi “capaci e me-ritevoli” che vedevano in borse di studio ed asse-gni alle famiglie,l'unico modo per “raggiungere igradi più alti degli studi” ; allo stesso modo, ai no-stri cari politici, non dev'essere sembrato tantoassurdo un taglio di 550 milioni al fondo sanita-rio nazionale,e quello ipotizzato agli enti localicon la soppressione di province e comuni.Beh se credete che la nauseante politica di questitempi abbia toccato il fondo considerando sol-tanto questi primi provvedimenti , vi sbagliate digrosso; già, perché tutto questo non era sufficientea restituire all'estero l'immagine di un'Italia che, adispetto della sua grandiosa tradizione e del suomaestoso passato, ora è pronta a schiaffeggiare ilpatrimonio storico-artistico più imponente delmondo e così a girare definitivamente le spallealla cultura.Difatti l'enorme nuvola nera dei tagli, dopo essersiabbattuta sull' Istituto Nazionale di Astrofisica e

sulla Dante Alighieri,società fondata da Car-ducci ben 131 annifa,quest'ultima peral-tro fiore all'occhielloper l'Italia e promo-trice della nostra cul-tura nel mondo,faràsentire i suoi catastro-

fici effetti anche su cinema e teatro. Infatti con ilD.L n°78/2010, si è decisa l'abolizione dell 'ETI(Ente Teatrale Italiano), in quanto “la dismissionedi teatri dimostra che si tratta di un ente falli-mentare“,e di altri 232 enti culturali minori, buonaparte dei quali riusciva a sopravvivere unicamentegrazie agli stanziamenti statali ; tagli che avrannonotevoli e negative ripercussioni innanzituttosotto il punto di vista occupazionale: infatti ai di-pendenti è stato assicurato comunque un postonella pubblica amministrazione,una sorta di amaraconsolazione potremmo ben definirla, ma senzatener presente che l'assunzione degli stessi in altriruoli potrebbe essere molto meno produttiva.Ma i danni sono ben più gravi : a farne le spesesono principalmente i giovani talenti che hannoconsacrato la propria vita al teatro,impegnandosiaffinché il messaggio culturale italiano fosse gra-dito anche all'estero e perché si continuasse adapprezzare ed esaltare il bel paese per la sua arte,enon solo per quella storica.E' notizia recente quella secondo cui anche i pro-tagonisti del cinema made in Italy abbiano intra-preso uno forte protesta contro i tagli al FUS,

fondi unici per lo spettacolo; e infatti registi,attorie quanti altri lavorano nel settore cinematograficohanno deciso di insediare il red carpet proprio il28 ottobre,giorno d'inaugurazione del Festival diRoma. I tagli di questa finanziaria 2010 non hanno ri-sparmiato neanche musei, biblioteche e siti ar-cheologici. Ma tra la folta schiera dei nostri rappresentanti inParlamento, qualcuno non deve aver recepito che,perché un Paese possa esser definito civile, validoe preparato, bisogna che se ne valorizzino tradi-zioni folkloristiche e peculiarità artistiche,lette-rarie o cinematografiche.<< Troppi tagli, così la cultura muore >> ha poiritrattato bonariamente il ministro dei beni cul-turali Bondi. Sul serio? Considerazione alquanto strana dato il

fatto che pare sia stato lo stesso Bondi ad averpartecipato,discusso e appoggiato la manovra ela conseguente spietata politica dei tagli.<< Condivido l'esigenza di una manovra che im-ponga sacrifici a tutti ma non sono d'accordo coni tagli indiscriminati alla cultura,specie se la listadegli istituti tagliati dal finanziamento pubblicocontiene eccellenze italiane riconosciute nelmondo >> ha detto il ministro.Insomma,cari colleghi, prepariamoci al peggio

del peggio che avevamo già affrontato. Perché po-trà anche interessare a pochi che il teatro o il ci-nema entrino in uno stato di crisi profonda,manon può non interessarci il nostro futuro. Noi nesiamo gli artefici e chi non c'entra non deve averela possibilità di sceglierlo e gestirlo al nostro posto.

eleonora la rocca

The social networkFacebook, la rivoluzione che ha cambiato la retee il mondo diventa un film

La storia di Marck Zuckerberg, inventore del piùformidabile strumento per amicizie e sesso usatonel pianeta, approda finalmente sul grandeschermo.

Non tanto liberamente ispirato al libro di BenMezrich Miliardari per caso - L'invenzione di Fa-cebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradi-mento, è stato presentato al festival del cinema diRoma 2010 il film e Social Network di DavidFincher che vede nelle vesti del protagonista ilgiovane attore americano Jesse Eisenberg nelleparte di Marck Zuckerberg. Il film è stato accoltopositivamente sia dalla critica che dal pubblico enon dobbiamo sorprenderci che sia già diventatoun fenomeno d'incassi in America e in mezzomondo, un culto per i ventenni di ogni latitudinee il «film dell'anno» per la rivista Rolling Stones.La trama del film ripercorre le tappe fondamentaliche hanno portato alla creazione di face book apartire dall'idea di lanciare sulla rete una specie diconcorso per eleggere la ragazza più carina di Har-ward. In poche ore l'adesione è tale da mandare intilt la rete universitaria. La trovata si diffonde inbreve in tutte le università del mondo, fino a con-tare oggi mezzo miliardo di iscritti. Il punto cen-trale del film non è tanto nelle cause legali tra i variprotagonisti della storia, quanto l’incontro traZuckerberg e Sean Parker, un altro protagonistadell’ultimo decennio, inventore di Napster, il sitodi musica gratuita che ha messo in ginocchio le piùgrandi case discografiche di tutto il mondo. e

social network è un film attualissimo anche se haun sapore antico, molto diverso dai film americanicontemporanei, tutti effetti speciali ed alte tec-nologie, molto più vicino ad un documentarioche non ai soliti colossal di Hollywood di cui peròha conseguito gli incassi eccezionali. Sullo sfondosi muove un’America piuttosto stereotipata, doveil classico sogno americano si realizza trionfal-mente con la creazione di facebook. In realtà ilfilm non si concentra solo sulla creazione del so-cial network ma è una storia sulla vita reale, sui so-gni, paure e tradimenti di adolescenti qualsiasiche però raggiungeranno l’apice del successo.

Jessica Di Paolo

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5 febbraio 1960: nelle sale italiane esce unnuovo film di Federico Fellini, “la dolce vita”ed è subito polemica, è subito successo. Un trionfo che portò il film ad ottenere laPalma d’ora al 13° Festival di Cannes e quattrocandidature all’Oscar nel 1962 (ottenendol’oscar per i costumi). Fu così che “la dolce vita”entrò a vele spiegate nella storia del cinema ditutti i tempi. Cinquanta anni dopo il film che è diventatosimbolo di un’epoca e di uno stile di vita ritornaall’attualità grazie a Martin Scorzese, che pro-pone una versione completamente restauratadalla Cineteca di Bologna  presso il  laborato-rio L'Immagine Ritrovata del capolavoro felli-niano; ed è proprio a Roma, nella terza gior-nata del Festival del Cinema, che ne è stata

presentata l’anteprima mondiale.La critica, nel corso degli anni, ha descritto ilfilm di Fellini come una rappresentazione dellaRoma degli anni ‘60, raccontata come una "Ba-bilonia precristiana" ed "una materia da gior-nale in rotocalco trasfigurata in epica".Federico Fellini raccontava per la prima voltanel 1960 a degli italiani increduli il lato oscuro,ma sempre affascinante, del boom economico.L'Italia era allora un paese uscito da poco dallemacerie della guerra e che per la prima volta sitrovava di fronte ad un benessere diffuso. Ma allo stesso tempo scopriva che all'innalza-mento sociale si accompagnavano nuovi rischidi ambiguità morale ed etica. Abbandonate le preoccupazioni della vita mi-sera, gli italiani si trovavano a confrontarsi per

la prima volta con i piaceri, ed i rischi, del-l'edonismo.Oggi, dunque, quasi ad onorare il 50° anniver-sario di uno dei capolavori del cinema italiano,entra nelle sale la versione restaurata dellaDolce Vita: capolavoro che, rivisto ai nostrigiorni, non ha perso nulla del suo fascino con-turbante. Martin Scorsese nel presentare il ca-polavoro felliniano, ha scritto: - "Vedere questofilm per la prima volta fu sorprendente sottomolti punti di vista. Le immagini  così vivide,scandite dal vagabondare di un jet set insidiatodai  fotografi (il termine 'paparazzi' nasce conquesto  film) a cui fa da  perfetto contrappuntola colonna sonora di Nino Rota"-E ancora, pro-segue Scorsese "la raffinata disinvoltura delprotagonista interpretato da Marcello Mastro-ianni e dai  suoi amici  che si muovono all'in-terno di un vuoto luccicante; la presenzastrana  e inquietante del vecchio mondo che in-combe come un fantasma sulla  modernità; e lacontinua altalena degli umori, dall'allegria allapreoccupazione, all'euforia, alla noia, alla di-sperazione, al terrore  fino alla  rassegnazionee ritorno; la dimensione epica, che rischiava diesplodere nel tentativo di contenere tantaparte di questo nuovo mondo senz'anima:tutto questo ci scosse, spingendoci a guardareal mondo con altri occhi, una volta usciti dallasala. E' forse -  conclude - l'elemento più insolito del-l'innovativo film di Fellini consiste nell'essereriuscito a rendere così invitante il richiamodell'apocalisse".

Giulia [email protected]

Inception

La dolce vita

“Qual è il parassita più resistente? Un’idea”.Un’idea ha il potere di introdursi nella mente enon uscirne più. E’ da questo presupposto che Nolan da vita aun mondo in cui degli estrattori di idee rie-scono, mediante sogni condivisi, adimpossessarsi delle informazioni celate nelsubconscio di un’ignara vittima. Il migliore tra tutti gli estrattori è Don Cobb(Leonardo Di Caprio) ed è proprio a lui cheviene affidata la missione più difficile: l’inne-sto di un’idea nella mente di un individuo.Un’operazione complicata, al limite del possi-bile e mai tentata da nessun altro estrattore (oforse no?).Inception è un film cerebrale, complesso.Nolan riesce a gestire questo mondo oniricocon sicurezza e maestria, riesce a saltare da unsogno ad un altro con assoluta coerenza, riescea rendere razionale l’irrazionale. Ma soprat-tutto riesce a tenerti incollato alla poltronanelle sue due ore e mezza di puro spettacolo. Spettacolo reso tale dall’ottima colonna sonorae dal grande cast scelto dal regista: da Leo-

nardo Di Caprio che, dopo Shutter Island, ciregala un’altra sublime interpretazione, aJoseph Gordon Lewitt e Ellen Page (celebreper il film rivelazione Juno). Ciò che rendeunico il film sono, inoltre, la maestosità delmondo onirico creato da Nolan, costellato dipalazzi che si sgretolano e città che si pieganosu loro stesse, e l’intensità dell’azione poiché,specie inizialmente, non si è mai certi di cosasia reale o di cosa sia un sogno e di chi stiasognando.Ma Inception non è solo un film d’azione. E’anche una storia di redenzione. Quella del protagonista che si sente colpevoledella morte della moglie tanto da dover espiareil proprio peccato, tema caro al cinema nola-niano.Non è semplice seguire la struttura narrativadel film poiché con Inception non si chiede alpubblico di credere ciecamente a ciò che vienerappresentato su schermo, bensì di riflettere,di concentrarsi per tutta la sua durata. Ed anche quando il rompicapo sembra risol-versi, Nolan ci lascia andare con un finaleaperto. Ci costringe a rivedere le nostre ipotesi e achiederci se forse tutto il film non sia ambien-tato nel subconscio di Cobb e che tutti icomprimari fossero solo delle proiezioni delprotagonista, mentre noi lo seguivamo nel suofolle viaggio. Perché, d’altronde, è proprio ciò che voleva.

daniele barbiero

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28 liFeStyle

Fashion delirium

Dicembre, l’inverno ci tiene saldamente in ostag-gio dentro enormi piumini e maglioni informi, male grandi marche ci fanno già respirare aria di pri-mavera. Sbirciando le ultime novità dalle passe-relle e sbavando sulle vetrine scintillanti, sono co-stretta alla fine ad accontentarmi della lettura deisoliti articoli di moda, che decantano meravigliedella sartoria a cui non potrò mai aspirare. In que-sto mondo, almeno. Peccato che in un mondodifferente anche la moda sarebbe diversa. Già,come sarebbe? Ebbene, ci siamo concessi un belvolo pindarico (leggi pippe mentali all’ennesimapotenza), e questo ne è il risultato affascinante(per uno psichiatra).

Waterworld. È proprio il caso di dirlo, amiche! Neè passata di acqua sotto i ponti da quel lontano2030. I ghiacciai e le foche sono un bel ricordo,così come quelle orribili pellicce bianche di orsopolare che negli ultimi anni ’20 cercavano di pro-pinarci a prezzi esorbitanti. E quelle scomodescarpe da terra che continuavano a vendere anchenegli anni ’30? STOP! Finito, tutto passato. Ilfuturo è uno e si chiama pinna col tacco. Sietestufe di dover sempre abbandonare la vostrachiatta, nuotare e arrivare al molo ristorante senzaun’adeguata pinna da sera? La pinna col tacco è lavostra soluzione. Basta brutte figure, basta pauradi non essere adeguate. Unite la praticità dellapinna con l’eleganza del tacco (che fa molto revi-val pre-scioglimento dei ghiacciai) per una seracon le amiche lontano dai vostri squamosi uo-mini, o per un tete a tete che il vostro branchiosolui ricorderà per molto tempo.

Zombieland – non moda per non morti. Chi di-ceva che il jeans strappato e la camminata arran-cante sarebbero passati di moda è stato smentitoanche questa volta. Le collezioni primavera/estateappena presentate sulle migliori DeadWalk hannoinfatti confermato che la tendenza è semprequella: i must-have rimangono carne putrida esangue rappreso, che i più audaci possono impre-ziosire con lo sfoggio di ferite da arma da fuoco eteste penzolanti, esibiti con trasandata eleganzasopra gli ormai abusati abiti pre-epidemia. Certo,i vestiti sono sempre più laceri, i capelli sempre piùsporchi e le poche scarpe ancora su piazza ripor-tano evidenti i segni di morsi famelici – d’altrondela carne scarseggia, ma non per questo ci faremoconvincere ad acquistare una camicia di flanellanuova. Novità invece sul fronte underground dellelinee per non infettati: top lanciafiamme, innestidi mitra nelle gambe e l’originale sospensorio 44magnum à la Sex Machine.

Niente mele per Eva. EDEN – non si smentiscemai l’eclettico J.A.Hweh, che ha presentato oggi lasua nuova collezione. Le signore più alla moda po-tranno dire addio alle ormai demodé foglie di fico

e ostentare ricercate creazioni di avocado e pescoda sostenere con elaborati fili di vite. Lo stilista ri-solve inoltre l’annoso problema del “lato B”: datempo infatti le non più giovani lamentano lamancanza di adeguate coperture posteriori. Arrivafinalmente in loro soccorso la rivoluzionaria fogliada derrière! La novità nel campo delle pettina-ture è costituita dalle trecce; non più chiomefluenti sciolte sul petto, ora saranno queste sofi-sticate acconciature a coprire i vostri seni.J.A.Hweh non trascura i nostri Lui: la sua rispo-sta alla nascita dello sport e all’emergente figuradell’Atletico Adamo è la pratica e confortevoleFoglia Sportiva, anatomica e realizzata intera-mente in cellulosa. Disponibile in diverse tonalità,dal verde pisello al verde bottiglia. (Dalla nostracorrispondente dall’Albero della Conoscenza Eva)

E se avessero vinto i nazisti? Per il centesimo an-niversario del terzo Reich gli stilisti di regimehanno fatto le cose in grande. Il prossimo invernouniformi da kapò faranno capolino da tutte le ve-trine, così come stivali, borse e cinture, tutte ri-gorosamente in pelle, tutte rigorosamente nere,tutte rigorosamente lucide. Il look per lei? Più omeno lo stesso, con tacchi a spillo e qualche bor-chia qua e là. I più ferventi ammiratori del nazi-mood, per non essere colti impreparati davantiall’ anniversario più atteso degli ultimi 300 anni,potranno agghindarsi con aquile imperiali e sva-stiche in oro massiccio, disponibili a cifre non dicerto modiche, in tutti i negozi dell’ impero. Unavviso importante arriva dal ministero della moda:

non fatevi cogliere in giro con lunghi cappottonigrigi o, peggio ancora, con una kippah in testa, lapena è la reclusione in campi di rehabilitation vonstil. Tornano in pochi, vi conviene vestirvi stile“notte dei lunghi coltelli”.

Lady GaGa, signora e padrona della Terra. IlLittle Monsters Fashion Bullettin di quest’annoparla chiaro: la pelle è definitivamente out, è lacarne a fare la sua trionfale ricomparsa tra i tessutidella stagione! Buttate gli stivali da adescatrice efiondatevi in macelleria, potrete scegliere fra su-percasual gilet d’ossobuco, eleganti tubini di filettoo, per le più spudorate, irresistibili minigonne diporchetta. Accessorio da non perdere: la pochettedi castrato e diamanti, già un must nelle CaseReali e tra le macellaie più in vista. Siete vegeta-riane? Il sangue che sgocciola dai vestiti vi im-pressiona? Niente paura, la nostra premurosa Im-peratrice ha pensato anche a voi. Avete duecheappissime opzioni: l’abito Fantasia di Bolle diSapone, che le amanti del self-made troveranno fa-cile da realizzare (ma state alla larga dagli oggettiappuntiti), e l’intramontabile Nastro DoNot-Cross, da drappeggiare a piacimento ma sempre la-sciando uscire qualcosa qua e là. Attenzione: gliocchiali-sigaretta fanno male alla salute. L’alter-nativa è il rivoluzionario modello con cerotti allanicotina. Sì, vi rende praticamente cieche, ma i vo-stri polmoni vi ringrazieranno.

Martina MonaldiGian Mario Bachetti

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Tricot, I love you!il knitwear, una moda che ritorna

Vi ricordate quando da bambine le nostre mammeci legavano bene i capelli così saremmo state pulitee ordinate tutto il giorno (anche se puntualmentetornavamo a casa talmentespettinate che sembravaavessimo partecipato ad unaqualche battaglia..)? Bhè,solitamente una delle ac-conciature predilette era latreccia. Forse per questoogni volta che ne vediamouna ci tornano in mentequei dolci ricordi infantili eci sembrerebbe strano in-dossarle ora che siamoadulte e vaccinate. E inveceno. Saremo anche grandima la bambina che è in noiè sempre lì, ed ogni tantosarà pure giusto farle fare ungiro. Gli stilisti lo sannobene, e sono stati chiari : daquest'inverno trecce per tutti. Lo abbiamo capitodalle sfilate recentemente concluse: la treccia èstata la protagonista di ogni acconciatura, da

quella morbida e romantica, proposta da VeraWang e Vivienne Westwood a quella grintosa eelaborata di Alexander McQueen. Abbiamo visto

trecce create da code lateralimolto alte sulla nuca e addi-rittura "trecce intrecciate",ossia l' acconciatura classicapercorsa da un nastro a spi-rale che la legava ulterior-mente. Ma la proposta che ciè piaciuta di più è stataquella delle trecce sculturache fanno sembrare le no-stre testoline dei dolci capi-telli corinzi: facile da realiz-zare ma così d'effetto chenon potrete certo passareinosservate. Praticamente sidividono i capelli in tantepiccole ciocche e conognuna di queste si fa unatreccina; una volta legata o si

attorciglia su se stessa o si fissa sulla nuca cre-ando disegni asimmetrici, aiutandosi ovviamentecon mollettine e lacca. Non importa se qualche

Dove vai, se una treccia non ce

l’hai?

La tradizionale maglia di lana ha monopolizzatoin pompa magna tutti i guardaroba. Non solocaldi e morbidi maglioni, ma anche cappotti, sti-vali ed ovviamente borse. Tutti gli stilisti più INdel momento hanno realizzatotantissimi capi in questa tradi-zionale lavorazione, resta solo dadecidere il proprio favorito, e poiil gioco è fatto. Sia che siano capidella più costosa boutique, siache sia opera delle vostre stessemani, l'inverno si preannunciaall'insegna della tricot-mania.Siete pronti per farvi con-tagiare? Marrone, grigio, se-nape,cachi, carta da zuccherosono i colori che riscalderanno l'inverno ormai alle porte. Uni-cità è la parola caratterizzantequesto culto d' altri tempi, in-fatti, proprio grazie alla facilitàdella realizzazione, ognuno può fare del propriolook un' opera d' arte. Ovviamente oltre a cardi-gan, jumper, pull over e abitini non dobbiamotrascurare gli accessori, anch' essi rigorosamente in

knitwear style, come le nuovissime borse di Dolcee Gabbana o le chilometriche e caldissime sciarpereperibili anche da Zara. Chi ha detto che la ma-glia è roba da vecchi? Se i bombatissimi maglioni

oversize sferruzzati dalla nonnanon fanno per voi non disperate:bastano un paio di ferri più pic-cini e una lavorazione più strettaper trasformare un polveroso go-mitolo in un sexy vestitino, ma-gari da sfoggiare assieme a quellebellissime Parigine in cotone conlo stivale scamosciato, altra ten-denza nel leather usage. Guanti,cappellini, persino cappotti:questo materiale un po’ retrò,morbido e piacevole al tatto, re-gala anche alla vista avvolgenti ecoccolose sensazioni di calore eprotezione. Pelle e lana sono ilbinomio MUST della stagione,

semplicità e calore per una combinazione esclu-siva; e voi, cosa aspettate? Essere fashion non è maistato così basic!

Andrea Giovannini

Chi ha detto che moda vuol dire abiti checostano miliardi, irraggiungibili, che pos-sono essere solo guardati sui giornali o con-templati a bocca aperta davanti le vetrine?La moda, al contrario, ha a che fare con laquotidianità, con le nostre idee e tuttoquello che abbracciano. E non dimenti-chiamo che siamo noi, con la nostra perso-nalità, a dare quel tocco in più all'abito chepotrà assumere mille, nuove, diverse sfac-cettature. Non lasciamoci dettare lo stiledai meno addetti! Se rimaniamo incantatedai capi che sfilano sulle passerelle, o magariindossati dai personaggi del jet set, perchénon osare? Perché non concederci il piaceredi indossare ciò che desideriamo? Illumi-narsi di luce propria: ecco l'accordo che haportato Alber Elbaz ed H&M ad una stre-pitosa collaborazione firmata Lanvin. Dal23 novembre ricercati capi e accessori Lan-vin saranno disponibili nei flagship dellacatena low cost. Un'importante collabora-zione per il marchio che da diversi anni hascelto di far vivere nell'armadio di tutte uncapo che poche potrebbero permettersi aprezzo pieno. Un sogno, si! Per le comunimortali che non spenderebbero mai 3000 €ad un abito, o pur volendo, non potreb-bero! Ci saranno code chilometriche, le fa-shioniste più sfegatate rinunceranno per-sino ad una buona colazione per mettersi infila già al sorgere del sole, ma alla fine è di-vertente anche questo, fa parte del gioco,del resto, è la vita stessa una sfida da cogliereogni attimo! Quindi carte di credito inmano e...Carpe diem!

Carmen Pugliese

Quando l'Haute

Couture incontra il

low Cost

capello vi sfugge, questo look nasce per essere sba-razzino e divertente, quindi tanto meglio! Ve-drete, vi sentirete fresche, comode e particolari.. Eallora, mi raccomando: armatevi di forcine, ela-stici, gel fissante e tanta fantasia; l'inverno per lenostre chiome sarà all'insegna della creatività elo stile! Non avete ancora cominciato? Che stateaspettando..! D'altronde la parola d'ordine già laconoscete...

alisia sansoni

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30 CalCio d’aNgolo

Alonso: Profondo Rosso.

Ad Abu Dhabi, nell'ultimo Gran Premio dellastagione, Sebastian Vettel taglia il traguardo perprimo e conquista, a soli 23 anni e 4 mesi, il titoloiridato, diventando così il più giovane Campionedel Mondo nella storia della Formula Uno. «In-credibile, sono campione del mondo». Queste leprime parole, via radio, del tedesco al suo boxdopo essere giunto all'arrivo. Nel parco chiuso ac-carezza e ringrazia la sua monoposto, la Red BullRacing, che lo ha portato in trionfo e poi sul po-dio al momento della premiazione, incredulo,piange di gioia. Per Vettel è stata una gara semplicemente per-fetta: il ritmo imposto dal nuovo Campione delMondo è stato, sin dai primi giri, troppo elevatoper i suoi avversari, che ben presto si sono resiconto della sua superiorità. La Red Bull si è con-fermata, ancora una volta, una vettura molto affi-

dabile e ben bilanciata, veloce sul rettilineo e agilenei tratti più guidati del tracciato. La scuderia au-striaca conquista così meritatamente sia il titolopiloti, che quello costruttori.Vettel in questa stagione davvero emozionante hacollezionato 10 Pole Position, è salito 10 volte sulpodio, vincendo la gara in 5 occasioni (in Malesia,nel Gran Premio d'Europa, in Giappone, in Bra-sile e come detto ad Abu Dhabi), per un totale di256 punti in classifica. Il ferrarista Alonso si piazzainvece secondo con 252 punti e dunque per soli 4punti, deve rinunciare al sogno iridato; lo spa-gnolo, terzo sullo schieramento di partenza, sem-brava favorito alla vigilia del Gran Premio degliEmirati Arabi e invece a fine gara è solo settimo.Segue una strategia troppo cauta e attendista, con-sapevole che il quarto posto gli avrebbe permessocomunque di vincere il titolo. In partenza Alonso non è reattivo e Button, par-tito quarto, lo scavalca e alla prima curva gli è da-vanti. Lo spagnolo come sempre è tenace e com-battivo e anche se in quarta posizione, non mollae tenta in tutti i modi di rimanere vicino ai primi.Vettel però ha un passo di gara nettamente supe-riore e inseguito da Hamilton scappa via, accu-mulando giro dopo giro secondi preziosi. Al 16°giro la svolta della gara e del Mondiale: Alonso,per marcare da vicino Mark Webber, decide di

rientrare ai box per il cambio gomme, in anticiporispetto agli avversari; i calcoli degli ingegneridella Ferrari però non sono esatti e il ferrarista siritrova “nel traffico” in 11a posizione. Lo spa-gnolo prova a risalire la classifica, ma la trappoladella Red Bull ha successo: Alonso, come detto,giunge solo settimo al traguardo e Vettel può cosìfesteggiare la conquista del titolo. Nelle parole di Stefano Domenicali, il team prin-cipal della Scuderia di Maranello, c'è grande ama-rezza e delusione «E' difficile, quando si perde fasempre male, ma in questi momenti si deve averela classe di riconoscere i meriti al vincitore». Alonso invece commenta così la fine del Mon-diale: «Non abbiamo perso il mondiale qui, ilcampionato è lungo, ha diciannove gare. Quandomi sono accorto di aver perso il titolo? L'ho capitoall'ultimo giro quando sullo schermo gigante hovisto Vettel che tagliava il traguardo. Pensavo finoall'ultimo che potesse succedere qualche cosa». Complimenti dunque alla Red Bull, che ha di-mostrato di saper affrontare le difficoltà congrande saggezza e professionalità; è un team gio-vane, ma ha saputo gestire al meglio le potenzia-lità della sua autovettura e il talento del suo gio-vane pilota.

Matteo De Vita

Black Vale

Il bilancio dell'esperienza di Valentino Rossi conla Yamaha è impressionante: 117 gare disputate,84 podi, 46 vittorie e ben 4 titoli mondiali. Nel-l'ultimo Gran Premio a Valencia, il nove volteCampione del Mondo, partito quarto, ha chiusola sua avventura con la casa giapponese salendo sulterzo gradino del podio, assieme a Stoner, giuntosecondo e al formidabile Lorenzo, che ha con-quistato la sua nona vittoria stagionale. Valentinonell'ultima gara ha replicato il bacio alla sua moto,come fece nel 2004 a Welkom (Sud Africa), nelsuo primo Gran Premio con la Yamaha. Questavolta però è un bacio d'addio, come testimonia la

maglietta commemorativa indossata dal pesaresesul podio: «Bye Bye Baby». Rossi commenta cosìla fine di questa avventura: «È stata una bellaesperienza con la Yamaha ci siamo divertiti tantoe abbiamo vinto tante gare, manterrò dei bei ri-cordi». Non è stata certamente una decisionesemplice per Valentino, che lascia nelle mani diLorenzo una moto veloce e vincente.Inizia così per “Il Dottore” un nuovo capitolo,tutto rosso e tutto italiano; come noto da tempoinfatti Rossi, l'anno prossimo, sarà in sella allaDucati e avrà come compagno di squadra NickyHayden. La Yamaha, forse inaspettatamente, hapermesso a Valentino di provare la sua nuova motonei due giorni di test successivi all'ultimo GranPremio di Valencia, anche essendo ancora sottocontratto con la casa giapponese fino a fine anno,seppur senza alcun logo pubblicitario.Il pesarese, con addosso la sua felpa nera e giallacon la scritta VR46, è entrato nel box Ducati alle10.52, sorseggiando un caffè. La sua nuova“fiamma” tutta nera è stata scoperta alle 11.42:Valentino ha studiato insieme ai tecnici i primi

dettagli della Ducati desmosedici e alle 12.20 è sa-lito in sella. Le condizioni meteorologiche nonerano certo delle migliori, perché la pioggia e ilvento dei giorni precedenti al test avevano ba-gnato e sporcato la pista. Valentino è riuscito co-munque a prendere confidenza con la sua nuovomoto, ottenendo anche dei discreti tempi sul giro.Ecco le sue prime impressioni al rientro ai box:«La moto è buona, il motore è molto potente edha una buona erogazione. C'è qualche problema digestione a centro curva, perché il comportamentodella moto è molto diverso rispetto alla Yamaha,ma ci si potrà lavorare». Le prime valutazioni sembrano essere positive e in-coraggianti, anche se servirà un lavoro tecnico emolto dettagliato. Valentino ha lanciato dunque lasua sfida al nuovo Campione del Mondo JorgeLorenzo. A noi non resta che fare ad entrambi unin bocca al lupo e come insegna Guido Meda:«Al prossimo semaforo verde scatenate l'in-ferno».

Matteo De Vita

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Intermezzo

rimettere in ordine la classifica ponendosi in testae vincendo il derby con innaturale facilità: vedremose riuscirà a tirare il gruppo. E i cugini? A pezzi,senza identità né anima - modello Space Jam per gliamici che ricordano il mitico film Looney Tunescon Michael Jordan- : Maicon e Milito spesso in-fortunati e mai decisivi, Snejder che sviene all'in-tervallo e dice di avere l'anemia, Samuel che salutala stagione con un ginocchio a pezzi (tanti auguri alui e a SuperPippo, esempio di professionalità e dicarattere impareggiabile). Meno male che Eto'o ci ri-corda che pure nella nebbia fitta si può essere grandicampioni, meno male soprattutto che c'è ancora (erinnovategli il contratto, abbiate pietà di noi!) un fe-nomenAle Del Piero che non salta una partita (deve aver studiato assieme a Javier Zanetti), c'è Tottiche si avvicina a Roberto Baggio e può diventare ilquinto miglior marcatore di sempre in Italia...perlerare insomma che il tempo tenta invano di scalfire.Il problema è che la scuola italiana non ne indicaeredi, sarà che preferiamo pescare ragazzini al-l'estero che costano meno e rendono tanto, però fa-temi dire che senza il made in Italy non si andrà lon-tano. In questo scenario particolarmente criticodovremmo avere almeno nel calcio ( ma poi nonforse anche in politica?) un “governo di unità na-zionale”e invece – laddove a scioperare dovrebberoessere i tifosi che invece riempiono gli stadi,sempreche il Casms li lasci entrare...-troviamo la grottescagoliardata dello sciopero dei calciatori, con tanto dinuovo sindacato scissionista ( l'Anc, alternativo all'Aic, ndr). A proposito: se pensate anche voi che ilcentro di analisi sicurezza manifestazioni sportivesia un strumento adatto solo ad uno Stato autori-tario, tendente all'indiscriminata e ingiustificata le-sione della libertà degli individui, allora siamo indue! Permettetemi di di chiudere con una (dolo-rosa) parentesi, caso Cassano. Per un tifoso blucer-chiato il fulmine a ciel sereno, come se tuo fratelloinsultasse papà e questo decidesse di sbatterlo fuori.Nella Bibbia il ragazzo indisciplinato che prende sene va, soffre, e ritorna infine pentito è festeggiato dalpadre e chiamato “figliol prodigo”...di fronte alla le-sione dell'onore del dott. Garrone invece nessunascusa sembra accettabile e Antonio è prima esclusopoi rinnegato con metodi di eliminazione del pas-sato che definirei orwelliani. Non è questo lo stiledell'Unione calcio sampdoria.

Matteo Oppizzi

C'era una volta l'Inter che vince lo scudetto deglionesti e da lì in avanti non sbaglia un campionatoin Italia finendo col conquistare lo scettro dellaChampion's diventando regina d'Europa. Il regnonerazzurro ha retto per quattro anni: una squadraimbattibile in casa, sempre corsara in trasferta. 97(!) i punti ottenuti nel 2006-2007 frutto di trentavittorie e solo una sconfitta; poi 85, 84, fino agli 82della passata stagione. Dall'elegante Mancini al-l'ammanettato Mourinho, diversi nello stile, vin-centi nella sostanza, la SerieA ha sempre avuto unpadrone. Viviamo ora un'età di transizione (postspecial-one, post mondiale, di cambio generazio-

nale, ognuno è libero di scegliere la propria gerar-chia di concause) che potrebbe riservare nuovi sce-nari, ma che nel frattempo ci riserva un complessivolivellamento al basso dell'ex campionato più bellodel mondo. E dico “ex” a ragion veduta, quanto-meno in termini di spettacolarità: come media gola partita,ad esempio, diveniamo fanalino di codaeuropeo con 2,20 reti a gara (l'anno passato erano2,61!) e la giornata11 ci ha regalato solo due mar-cature nei primi tempi: mai successo da quando siassegnano 3 punti a vittoria. La sorpresa più grandeè (o è stata?) sicuramente la Lazio, capolista solita-ria dalla sesta alla decima, poi il Milan ha deciso di

Voce al romanistaintervista a michele musci, giallorosso a Bruxelles.

1) Cosa si prova nel seguire la propria squadra al-l'estero?La prima cosa che ho fatto una volta arrivato aBruxelles (ancor prima di cercare casa) è stato cer-care un posto dove poter vedere le partite dellaRoma. La fortuna mi ha arriso ed ho trovato laCurva Club Bruxelles, gruppo di romani e roma-nisti residenti a Bruxelles che ad ogni partita dellamagica monopolizzano una saletta in un pub ir-landese non distante da dove abito. E tra un clas-sico “li mortacci tua” e un “devi anna' in galera”non rimpiangi le partite viste con gli amici.2) Floccari sbaglia il rigore quando la Roma èprima, Borriello e Vucinic no quando la Lazio èin testa: è la prova provata della superiorità dellalupa sulla povera Olimpia?Al di là del fatto che il primo gol su rigore è statoabbastanza fortunoso (Muslera ci ha messo delsuo), credo che non sia un rigore sbagliato (seppurin un derby) a fronte di due insaccati a determi-nare la superiorità storica della Roma sulla Lazio,quanto più che altro le statistiche: 61 derby aigiallorossi contro i 45 dei biancocelesti.D'altra parte, è ormai assodato che le sparate deigiocatori biancocelesti nei giorni che precedono ilderby non portino bene. Ricordo l'anno scorso,Floccari lanciarsi in una spavalda previsione - “AllaRoma ci penso io”- prima del derby che lo videprotagonista in negativo. E risalendo ancora primanel tempo, il Mancio che, nel novembre 2003,prima di una terribile doppia prova che attendevala Lazio, dichiarò: “Battiamo Chelsea e Roma”.Salvo poi perderle entrambe: sonoro 4 a 0 conl'inglese, 2 a 0 con i cugini con un tacco di dio an-cora vivo nella memoria dei romanisti. Per finire,l'ultimo derby e il neoarrivato Hernanes che si la-scia scappare qualche giorno prima della stracit-tadina: “Al derby segno io!”. Insomma, un rigoresi può sbagliare, ma occhio alle previsioni fallite

che rendono una già cocente sconfitta un doppiomotivo di goduria.3) Onesto: spiegaci perchè non c'era alcun rigoreper la Lazio.Un rigore per la Lazio c'era. Di certo non il primoepisodio, con l'abbraccio Riise-Mauri, in quantoviziato da un fuorigioco di Dias non segnalatodall'assistente. L'arbitro avrebbe potuto assegnarerigore sul' episodio, a fine partita, che vede il pal-lone sbattere sulla coscia di Simplicio per poi rim-balzare sul braccio del romanista.4) Il tuo pensiero dominante nella settimanapost derby è: a) Godo godo godo! ; b) Non hoParolo.  (ndr: Autore del gol che ha sancito lasconfitta della Lazio nella partita contro il Ce-sena)Senza dubbio godo godo godo, unito però al pen-siero che c'è ancora strada da fare per relegare laLazio nel posto in classifica che merita: sotto laRoma.5) In un precedente articolo scrissi di Adriano"imperatore dal piede e dal palato raffinatissimo".Sarà che ora ha anche il piede ciccione, ma è luila vera nota negativa di questa Roma o intravedimargini di recupero?Adriano è stata la mossa meno azzeccata dellaRoma degli ultimi 10 anni. Finora in campo perdue spezzoni di gara, l'ex imperatore ha dimo-strato che tra il campionato brasiliano e quello ita-liano c'è una distanza siderale. Lento, sempre in ri-tardo, l'ombra del campione che era. Credo chenon abbia speranza di tornare a essere l'Adrianoche conoscevamo; la Roma avrà comunque pocoda piangersi addosso con un Borriello goleador eun Menez finalmente decisivo.6) Pronostico Scudetto? Io dico Sampdoria.Pronostico scudetto? Lazio con gol decisivo diFloccari all'ultima giornata..

Matteo Oppizzi

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