Limax Dicembre 2010

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Limax Dicembre 2010

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E sì, caro limax, sei tornato ed è grande festaVisto che avete dedicato la coper-tina al mio disegno, aggiungerò due righe. Rappresenta la piccola fiammiferaia, la protagonista della fiaba di Andersen.Dopo che Mariano l’ha commen-tata, si sono riaperti dei buchi neri della mia infanzia e adolescenza che ancora mi creano molti disagi. Feci quel quadro a tredici anni e poi lo re-galai alla Signora Anna, che io consi-dero una mia seconda mamma ed è la mamma di una carissima amica e coetanea.Molti anni della mia vita, dell’infanzia e dell’ado-lescenza sono trascorsi al freddo, un “freddo vita” che ancora mi porto dentro. Qualche strumento per vivere la mia povera mamma me lo aveva fornito, ma, come accade alla piccola fiammiferaia durante il tragitto, per esigenze altrui me lo hanno ru-bato e mi sono trovata spesso a piedi nudi per la strada. In molte situazioni non sono riuscita ad uscire di casa perché avevo paura. Io, avevo sì tanti fiammi-feri ma nessuno poteva acco-gliermeli perché ognuno era oc-cupato a fare la propria festa. Non mancò ne-anche il giudizio dei miei genitori che mi dissero

che non avevo concluso niente nel-la mia vita, anzi, avevo sempre sba-gliato. Ci sono state due persone che in quegli anni mi hanno “visto”: mia nonna e la signora Anna. Mia nonna Debora era una donna molto ener-gica, viveva con noi dalla nascita di mio fratello Roberto (il più grande di noi quattro figli) e aiutò mia madre - lei diceva di avere gli esaurimenti nervosi - a crescerci. Quando mia nonna morì, avevo allora 26 anni, fu il mio primo grande dolore. Fui io ad accompagnare mio padre al suo

capezzale. La signora Anna è una mamma-mam-ma molto comprensiva, accogliente e determinata; ora ha 85 anni. Ricordo che dall’età di tredici anni di fiammiferi ne ho accesi parecchi e per fortuna queste due importanti donne sono state una pre-senza positiva. Mia nonna negli anni della fanciul-

lezza, la signora Anna negli anni dell’adolescenza e anche dopo, anche oggi. è stata quest’ul-tima che mi ha accolto nella sua casa quando ne ho avuto biso-gno, senza mai chiedermi nien-te. Proprio a lei avevo regalato, prima di spo-sarmi, il quadro. Ora, ancora una volta, sono tor-nata da lei con le lacrime agli occhi a ripren-dere un’altra mia parte.

Mi sono sempre sentita

una piccola fiammiferaia

Lucia Marinelli

copertina

II

Lucia Marinelli, 1973

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Rivista online dell’Associazione alla salute Marche, onlus

DIRETTORE EDITORIALEMariano Loiacono

(Direttore Centro Medicina Sociale - FoggiaCondirettore Lam Studium)

REDAZIONEBenedetta Palmieri [email protected] Marcobelli [email protected]

Lucia Marinelli [email protected] Pieroni [email protected]

Maurizio Toccaceli [email protected]

[email protected]

COPERTINALucia Marinelli

PROGETTO GRAFICOMaurizio Toccaceli

Dicembre 2010 - Anno 1 (+ XV)

RedazioneVicolo San Floriano, 9 60035 Jesi (An)

0731212931

È autorizzata la riproduzione e l’utilizzo del materiale pubblicato

citando cortesemente la fonte e gli autori

Sommario

EditorialeLimax: la prova vincente di una mia scommessa (Mariano Loiacono) .................................... leggi

Via SalviSono il marito confuso di una coppia confusa (Luca Pieroni) ............................................ leggiUn nuovo viaggio pieno di stimoli (Daniela Marcobelli) .................................................... leggiNoi stiamo osando !! (Benedetta Palmieri) ..................................................................... leggiCaro limax, caro Mariano (Lucia Marinelli) .................................................................... leggiCari compagni di viaggio (Maurizio Toccaceli) ............................................................... leggi

Fondo comuneIl Natale di chi parla il linguaggio antico (Eliseo Citton) .......................................................... leggi

Fenomeno vivoTi auguro un Natale in cui sia tu a nascere (Mariano Loiacono) ............................................. leggi

LettereLimax è aprire una pagina a caso e perdersi o ritrovarsi in essa (Serena Fulgenzi) .............. leggiMi sentivo un bambino e per certi versi ancora lo sono (Raffaele Cimetti) ............................. leggi

SolitudiniSolitudine (Carlo Palmieri) ...................................................................................................... leggi

ViaggiVigilia di Natale 1944 (Giorgio Marinelli) ................................................................................. leggi

Ultima22 ottobre 2010 (la Redazione) ............................................................................................... leggi

qASSOCIAZIONE ALLA SALUTE MARChE Via S.Marco n. 48 - 61030 Lucrezia di Cartoceto (PU)0721-897153 [email protected]: Sandra RECChIA

qASSOCIAZIONE ALLA SALUTE FOggIA Viale Candelaro n. 98/A - 71100 [email protected]: Serena FULgENZI

qASSOCIAZIONE ALLA SALUTE [email protected]: Marialetizia FANESI

qASSOCIAZIONE ALLA SALUTE ROMAgNA Sala riunioni di Assiprov in Piazza del Volontariato, Via Serraglio - Cesena (FC)329-3411548 [email protected]: Mariagrazia ZAMAgNI

qASSOCIAZIONE ALLA SALUTE VENETO Via Don Bortoli, 31 - Romano D’Ezzelino (VI)[email protected]: Isaia CITTON

qASSOCIAZIONE ALLA SALUTE BASILICATA C.da Piazzolla, 34 - Paterno (PZ)[email protected]: giusy MASTRANgELO

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Come e quando è nato Limax e cosa ha significato per te, per la tua ri-cerca personale e per lo sviluppo del metodo?

La rivista Limax è nata nel 1994 come esigenza di far conoscere il “metodo alla salute” attraverso gli scritti delle persone in trattamento e le varie iniziative messe in campo. Inizialmente è stato un periodico di poche pagine che, per risparmiare, ho videocomposto con il mio Page-maker e ho stampato a spese mie di-stribuendolo gratis.Nel 1999, grazie a Bettina, un’assistente sociale molto attiva e volontaria al Centro, Limax si è tra-sformata nell’attuale rivista con abbonamenti, ap-prontata dall’amico grafico prof. Sandro Apollo.Successivamente, si è ampliata nell’attuale trime-strale, fino ad arrivare a 180 pagine, con la collabo-razione prima della grafica Daniela Pascarelli e poi del-la grafica Marisa gitto.Dal 1999 e per tutta la du-rata di Limax fino a dicem-bre 2009, in tutte le fasi necessarie per approntare e stampare Limax, mi è stata insostituibile collaboratri-ce mia figlia Barbara.Per me Limax ha significa-to la prova vincente di una mia scommessa: cioè, che tutte le persone sono in grado di esprimere il pro-prio “sapere emotivo”, il sapere che proviene da ciò che si è in profondità e da ciò che si è attraversato; ciò è ancora più vero per chi ha attraversato il proprio di-sagio-allontanamento dal-

la vita. ho dimostrato che comuni-cano tanto anche scritti di persone semplici e poche erudite, al di là dei limiti ortografici e lessicali, perché la vita è quel “fondo comune” in cui tutti ci ritroviamo e che ci fa risuo-nare le corde profonde della vera co-municazione. Per me sentire la voce scritta anche di una persona che sente le voci e ascoltare il suo sapere emotivo è stata una grande lezione di vita e una grande conferma che gli schemi ristretti dominanti sulla comunicazione scritta sono invali-dabili e contraddicibili.

Molte persone sono state soprattutto coinvolte e convinte dalle storie di Limax e si sono affacciate al “metodo alla salute” più pronte a fare l’esperien-za, sentendosi accompagnate da quei nomi senza volto di “giornalisti non professionisti”, in grado di produrre nel proprio testo anche titolo dell’articolo,

sottotitoli, slogan efficaci, disegni, emozioni pene-tranti come pagine di un vangelo. Limax, per me, è stato coma la buona no-vella annunciata dalla vita disagiata e da protagoni-sti sofferenti dell’attuale “mutamento antropolo-gico” che ha coinvolto e sta coinvolgendo tutti in varie forme e modalità di disagio-allontanamento dalla vita.La “maggese” che Limax ha fatto nel 2010, dopo 15 anni di pubblicazione cartacea, mi ha intristi-to perché non sentivo di avere più tempo da dedi-care alla sua redazione né c’erano già persone dispo-

Limax:la prova vincente

di una mia scommessa

Mariano Loiacono

editoriale in forma di intervista

editoriale

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ste a prendere il testimone di questo mio importan-te compagno di viaggio che, come un cantastorie, ha portato in giro per anni gli eventi e le riflessioni dell’avanguardia della vita che vuole cambiare, fa-cendo soffrire tutto ciò che resiste in vecchi schemi e soluzioni.Un grazie particolare a Benedetta che ha sentito per prima questa mia sofferenza e si è prodigata a pren-dere questa scintilla sottocenere e ad attivare un gruppo redazionale “Jesino” per approntare un “Li-max on line”. Ringrazio teneramente Maurizio, Lu-cia, Daniela e Luca per questo coraggioso impegno che, sono sicuro, attiverà antichi saperi e sapori e permetterà a chi vuole di poter nuovamente ripren-dersi a raccontare e a mettere a disposizione anche le teorie di ciò che riesce a “vedere, osservare, con-

templare” mentre la vita lo sta trattenendo nell’an-gustus e lo sta portando lontano da sé per sentire e individuare nuovi orizzonti e nuove ricerche.Auguro alla nuova redazione un cammino fertile in continuità con la storia di Limax, dichiarandomi vicino alle varie necessità-esigenze che potranno emergere in questo cammino che auguro lungo e profondo.

12 novembre 2010, Jesi, Via Salvi... la neonata redazione di Limax con Mariano e Silvio.

editoriale

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...una cartellina rossa con sopra scritto “limax” Ciao a tutti mi chiamo Luca Pieroni, ho 35 anni e vivo a Jesi. Sono uno dei cinque personaggi di questa ne-onata neoredazione di Limax. Benedetta, mia moglie, mi aveva ac-cennato che avrebbe voluto trovare le persone adatte per ricominciare con la pubblicazione di Limax; ne avevamo anche parlato con Mariano quando era venuto da noi. La verità è che poi ho completamente dimen-ticato la cosa, non sapevo se quella “testadura” sarebbe andata a fondo nel suo inten-to…ma poi…Qualche tempo fa tornando a casa sopra il tavolo in cucina ho trovato una cartellina rossa con sopra scritto “limax”, era di Benedetta; l’ho aperto e den-tro c’ho trovato un foglio scritto e firmato, con l’im-pegno di Benedetta, Lucia, Maurizio, Daniela e …Luca a far rinascere questa rivista.Io??? Mah…non ne sapevo niente!!! Cosi sono an-dato a dormire con questo pensiero in testa e men-tre mi rigiravo nel letto si sono delineate le motiva-zioni che mi fanno stare qui ora a scrivere. Sono il marito confuso di una coppia confusa; mia moglie, Benedetta mi ha voluto fare un regalo inse-rendomi all’interno del gruppo e sa che non mi tiro indietro davanti alle situazione che la vita mi mette davanti e sono in grado di trovare le motivazioni per fare ogni cosa.Per me, anzi per la nostra coppia, sarà la possibilità di avere uno scambio su un terreno comune poiché, come spesso accade, non ne abbiamo molti al di fuo-ri di quelli che riguardano il “tira-tira” quotidiano.

Sento che sarà come mettere al mondo un altro figlio, una creaturaCredo che l’analogia con la nascita di un vita nuova sia proprio azzeccata per una rivista come Limax che ha necessità di respirare aria propria, ha necessità di vivere una vita propria, fatta di “fenomeno vivo”, di

ciò che chi invia materiale rappresen-ta: vita. Coloro che saranno i genitori di questa nuova creatura dovranno occuparsi del sostentamento fisico, di non farle prendere freddo, di vestirla in modo adeguato e di darle un tetto, ma dovranno avere la consapevolezza di non potere dare il proprio modo di pensare, di non potere avere nessun tipo di proprietà su di essa. In parti-colare mi riferisco alla frase di gibran che Luca ed Elisabetta hanno regala-to per il battesimo del loro Matteo e penso a quanto bello sia concepire che

un’altra vita sta crescendo vicino a te, che non è parte di te, anche se da te proviene. Il nostro compito, come redazione sarà quindi reperire il sostentamento fisico di Limax, cioè il materiale che voi lettori ci invierete; ripararlo dal freddo ossia vestirlo, dargli una veste una impaginazione adeguata e dargliela in modo continua-tivo ed infine dovremo dargli un tetto e siccome a Bet-lemme non c’era posto abbiamo pensato di prendere una stanzetta in subaffitto sul sito internet del meto-do alla salute, poi si vedrà… La redazione di Limax è come dice gibran:” l’arco da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti….” L’arciere, secondo me è la vita e fa affidamento sul fatto che l’arco sia un buon arco e faccia bene la sua funzione, nulla più.Questo è quello che più mi affascina dell’idea di prendere parte a questa iniziativa.Il mio ruolo, almeno inizialmente, sarà prevalente-mente tecnico: mi occuperò di correggere ed aiutare nell’impaginazione degli articoli…sono un pignolo e credo di riuscire a farlo abbastanza bene. L’impegno sulla carta è abbastanza grande ma sono fiducioso, sia per me che per gli altri della redazione a cui faccio un grande in bocca al lupo.Nella squadra ora siamo in cinque e dobbiamo fare squadra ma sarà fondamentale anche il vostro aiuto per cui chiedo a tutti i lettori di sentirsi parte viva della redazione del nuovo Limax che sta nascen-do…e che cazzo vogliamo farlo morire di fame!!!!!!Buon lavoro a tutti.

Sono il marito confuso

di una coppia confusa

Luca Pieroni

via salvi

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Un immenso valore per la mia vita e per il mondo in cui stiamo “vivendo”È da un po’ di tempo che frequen-to il CMS di Foggia, che mi ha dato modo di entrare in modalità nuova a leggere il senso del “disagio” e a dargli voce.Quando ho visto la possibilità di cogliere un po’ più intimamente il significato e la portata del progetto che c’è dietro il lavoro del dott. Ma-riano Loiacono, ho compreso che ha un immenso valore oltre che per la mia vita, anche per il mondo in cui stiamo “viven-do”.L’invito ad impegnarmi in un viaggio nuovo mi dà stimoli e anche qualche timore. Devo dire che, ri-guardo al passato, mi tiro meno indietro, ho più de-siderio di sperimentare e sperimentarmi.Quindi, anche la proposta di partecipare alla reda-zione del new Limax, ho potuto accoglierla positi-vamente.Ci sono diversi ingredienti, il gruppo di redazione è già un po’ gruppo di altri scam-bi: facciamo tutti parte dell’As-sociazione alla Salute Marche, frequentiamo i “gruppi alla Salute”, abbiamo sempre più spesso momenti di incontro anche al di fuori del Metodo alla Salute. Tutto questo ci ha più uniti.Limax di tutti questi anni tra-scorsi è stata molto volontà e frutto del grande impegno di Mariano, ma anche aperta a chiunque si era messo in viag-gio, mosso dal proprio disagio, da quello di un familiare o dal disagio delle istituzioni di cui faceva parte, in cui si poteva entrare con la possibilità di

scambiare su tanto materiale, do-nando parti di sé e delle proprie esperienze.

Mariano è riuscito a stupirci con la semplicità Il 12 novembre scorso ci siamo in-contrati con Mariano a Jesi, a casa di Lucia e Maurizio, insieme a Be-nedetta e Luca e altre componenti dell’Associazione alla Salute Marche tra cui la presidente Sandra Recchia e il vicepresidente Silvio Boldrini.Come è suo solito, Mariano è riusci-

to a stupirci con la semplicità con cui ha fatto passa-re tanti messaggi sul nuovo avvio di Limax.La sua grande capacità di accompagnarci in questo nuovo esperimento, ci fa sentire liberi protagonisti delle nostre scelte, facendoci vedere quello che può emergere dalle nostre qualità.Vorrei dire che mi fa piacere che sia stata una gio-vane donna come Benedetta ad accendere il desi-derio di riaprire una nuova edizione di Limax, per-ché con lei ho un legame che è cresciuto e potrà

continuare a crescere… c’è un bel legame anche con Lucia e Maurizio, con Luca si potrà costruire strada facendo… mi sento un po’ una single tra due coppie, ma anche su questo si potrà lavorare.Sicuramente sarà un bell’im-pegno, ma in questo ci aspet-tiamo tanto anche da tutti voi che avete a cuore la vostra vita e che state viaggiando verso una rigenerazione e siamo cer-ti che non mancheranno tanti contributi del vostro sapere emotivo !Buon Limax a tutti e a presto con le vostre storie ... un abbraccio a tutti.

Un nuovo viaggio pieno

di stimoli

Daniela Marcobelli

Sara Manenti

via salvi

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Un sogno che viene dall’infanziaPer me questa introduzione ha un suo grande valore… ed è forse per questo che ho trovato molta difficol-tà a prendere la tastiera e scrivere…Eppure, adoro scrivere; porto anco-ra dentro di me i ricordi dell’infanzia dove, quando ancora non sapevo né leggere e né scrivere, riempivo fogli e fogli di carta con i miei scarabocchi immaginando di essere una giorna-lista che raccontava la sua verità.Oggi, sento che quello spirito di al-lora mi sta spingendo a venir fuori …ho conosciuto Limax poco più di un anno fa, una mia cara amica mi presentò questo librone un po’ per presentarmi e farmi capire in quale percorso si era messa; praticamente è stato il me-me che mi ha aperto la porta al metodo alla salute.Non nascondo che questo strano modo di esprimere le emozioni, la vita degli altri, attraverso questa rivista mi ha incuriosita subito e ricordo ancora che già dalla mia prima settimana intensiva non persi occasione per fare il mio primo abbonamento.

Limax è di tutti, questa è una frase che mi rimase impressa…Purtroppo non ebbi il tempo necessario per po-ter scrivere e aggiungere anche qualcosa di mio tra quelle pagine perché come tutti sapete qual-che mese dopo Mariano

Loiacono fu costretto ad interrom-pere la pubblicazione.Da quel momento cominciò a ronza-re dentro di me che bisognava fare qualcosa perché i quindici anni di lavoro di Mariano non andassero persi, ma allora ero ancora troppo dentro i miei vortici e molto poco fiduciosa di me e delle mie capaci-tà. Un anno è passato… dicembre dell’anno scorso Limax si prendeva una pausa; oggi sono felicissima che si possa riprendere la possibilità di ripartire e che anche io sia tra quelle

persone che ci vogliono credere.

Questo numero esce in un periodo storico importanteSono anche contenta che questo primo numero esce

proprio in periodo stori-co importante per il Me-todo, cioè con la nascita della Fondazione Nuova Specie.Credo che per me questo 2010 sia stato pieno di speranza e di nuove na-scite, credo che conclu-dere questo anno con la prima pubblicazione di Limax come componen-te della nuova redazione sia come ricevere una forte benedizione dalla Vita.Questo è: la mia vita an-cora prima di conoscere questo viaggio infini-to l’avevo smarrita, ero vuota senza una proget-tualità, in balia di qual-cosa che mi travolgeva a cui non sapevo dare for-

Noi stiamo osando!!

Benedetta Palmieri

Ludovico

via salvi

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ma. Sento che posso crescere, che posso cominciare a credere di più in me, nelle cose che faccio e sento che Limax sarà un ottimo accompagnatore, che mi aiuterà a tirare fuori quelle parti di me che ancora non riesco ad illuminare.Sono anche molto orgogliosa che questo nuovo gruppo di lavoro nasca proprio qui nelle Marche e che le persone che collaboreranno con me sono tra quelle che ho sentito di più in questo anno.

Ringrazio Luca perché, nonostante le mie difficoltà e i miei limiti, ha voluto credere in me e, grazie alla sua pazienza e alla sua testardaggine, mi ha stimo-lato a mettermi in discussione.

Ringrazio Daniela per il suo essere un po’ mamma, ma non troppo, per i suoi silenzi veri e profondi che hanno sussurrato l’ammirazione e la stima che lei ha per me.

Ringrazio Maurizio per la sua infinita pazienza, per la sua grande disponibilità e per la dedizione con cui sento vuole esserci.

Ringrazio Lucia perché in questo anno insieme mi ha regalato calore e ascolto, perché anche lei, come tutti noi, sente che siamo in un progetto che ci può arricchire, intrecciare, sciogliere, vivere e crescere…

Ringrazio Mariano, dal quale mi sono sentita molto rispettata, che mi ha saputo tenere per mano anche a distanza e che oggi mi sta offrendo la possibilità di trovare una strada più vicina alle mie profondità.

Un applauso di incoraggiamento non guasta grazie a tutti voi perché senza il vostro sostegno io oggi non avrei potuto dare inizio al mio sogno.Un applauso di incoraggiamento non guasta; noi stiamo osando!!Mi auguro che ogni lettore possa aiutarci a realiz-zare e a rendere sempre più vivo questo mediatore metastorico come solo Limax sa essere.

SPLENDE IL SOLE

le onde del mare sono molto alte

il vento è una nuvola profonda

che porta tanti regali ai bimbi

i raggi del sole scintillano come

liberi marabù

le macchine corrono in pista

dove laggiù nel prato le farfalle

parlano d’amore

Luigi Compagnone

Nuvole

Sara Manenti

via salvi

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Caro Limax, caro Mariano,

mi ha molto affascinato questo pro-getto di nuova specie in cui ho in-travisto una possibilità concreta di crescita, una spinta fiduciosa verso la vita anche sbagliando e riprovan-do. ho capito che forse posso osare un po’ di più grazie anche allo sti-molo di Benedetta e tutto lo staff.. Sento che ognuno di noi può essere un viandan-te che accetta ogni giorno nuove sfide. Limax la riten-go una importante memoria storica delle nostre vite che cambiano in continuazione quindi, lo considero come i nostri “viaggi di vita”,una risorsa molto generosa e preziosa da parte di tutti noi.

Un’occasione per sperimentarci, capire, camminare...Mi auguro che anche questa pubblicazione sia una oc-casione per sperimentarci, capire, camminare, gioire, camminare nel viaggio sto-ria-metastoria. Tvb

Caro Limax,caro Mariano

Lucia Marinelli

via salvi

Diego

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Cosa ci faccio io qui? Provo una stra-na sensazione, un vago straniamen-to frammisto ad euforia e lucidità.Non certo per i compagni di viag-gio con i quali mi trovo a vivere questa esperienza, ai quali, anzi, va un affettuoso ringraziamento per il modo in cui mi hanno accolto in questo percorso e per il prezioso contributo di idee che mi stimola e mi arricchisce. Lo straniamento na-sce dalla mia storia, dal mio modo di essere e, diciamolo pure, dal rap-porto che, ormai da quasi due anni, ho con il metodo alla salute e con il suo variegato e ribollente mondo. A questa galassia mi sono avvici-nato con interesse e diffidenza, convinto come sem-pre che la curiosità sia il motore dell’intelligenza, ma altrettanto fermo nel mio illuminismo critico e nel rifiuto dei dogmi e delle cose preconfezionate. Che io sia ancora qui, a distan-za di due anni, dovrà pur signi-ficare qualcosa. Probabilmen-te ho trovato, nel “villaggio” del metodo, qualche attrezzo in più per affrontare il mon-do “grande e terribile” che sta fuori. Un mondo che attrae, ri-succhia e fagocita in un gigan-tesco vortice del quale non ve-diamo i confini e l’esito ultimo. Del metodo apprezzo lo spirito dell’avventura intellettuale con il quale Mariano porta avan-ti con caparbietà e passione la sua ricerca. Di Mariano mi hanno colpito, fin dal primo momento, la sua dimensione solitaria e la sua felice eresia che lo pongono in una sorta di limbo protetto nell’ambito delle discipline che, a vario ti-tolo, si occupano oggi del di-

sagio nelle molteplici forme in cui si manifesta. gli eretici, si sa, sono stati sempre portatori di grandi fer-menti culturali e, nello stesso tem-po, di profondi turbamenti sociali e anche questo è per me fonte di ela-borazione e di interesse. È questo, fondamentalmente, lo spirito con cui partecipo alla ripresa della atti-vità editoraie di Limax, di sicuro una voce originale, autonoma e autoge-stita nel panorama delle pubblica-zioni periodiche. E, con i tempi che corrono, non è poco. A Limax posso

portare il mio fardello professionale, ma anche, e forse di più, l’esperienza di vita di chi ha vissuto in maniera intensa gli ultimi decenni del mondo glo-balizzante e globalizzato. I miei sputnik (compagni di viaggio, passatemi il termine, vista anche l’imma-gine che compare in questa pagina) hanno voluto

che pubblicassi la foto del mio diciottesimo compleanno - al-lora a questa età non si era an-cora maggiorenni. Prendetela come la testimonianza di un viaggio nello spazio, nel tem-po e in me stesso. Un viaggio che non finisce mai e che sento divenire sempre più comples-so e tortuoso perché faccio fatica - e non credo si tratti di un fatto anagrafico - a capire quel che mi succede intorno. A Limax porto un contributo, anche critico, dubbioso, razio-nale, ma con la consapevolez-za che “da” Limax potrò avere qualcosa in più per la mia ri-cerca. “Bisogna ritornare sui passi già dati per ripeterli e per tracciarvi a fianco nuovi cammini”. C’è sempre un’altra vita che val la pena di vivere.

Cari compagni

di viaggio...

Maurizio Toccaceli

via salvi

Mosca, febbraio 1972

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Shafinna Etiopia

Nella missione di Shafinna sono tornato come un bambino che balbetta le sue prime parole Quest’anno sto vivendo l’Avvento come il “tempo” dell’infanzia, della “non parola” … nella missione di Sha-finna, tra i Sidama, infatti non so e non posso parlare (non so la lingua) … sono come un bambino che bal-betta le sue prime parole. Forse è anche per questo che sento il Natale come la festa che rende giustizia alla “debolezza”: all’infante, che anche se non usa il “linguaggio verbale complesso”, parla e comunica egregiamente! L’infante che per molti è ancora “co-lui che non parla”, per noi che siamo stati “desgrafo-iati” (sminuzzati) dalla potente mano di Jahwè Dio della Vita, l’infante è “colui che parla perfettamente il linguaggio antico”: il primo linguaggio! Il linguag-gio “memico” (da me.me. - mediatore metastorico -). E lo parla così bene che ci incanta. L’infante stes-so è “me.me.” originario, perché in lui mistero e re-altà visibile si integrano e compenetrano … si ri-chiamano ed intrecciano spettacolarmente.

Ogni adulto ha bisogno di restare collegato con l’infanzia e con il suolinguaggio “primo”La tradizione cristiana del Natale, non solo quella uf-ficiale che ha preso corpo soprattutto nei vangeli di Matteo e Luca, ma anche

quella cosiddetta apocrifa hanno ef-ficacemente tenuto sveglio nel corso dei secoli il bisogno fondamentale per ogni adulto di restare collegato con l’infanzia e con il suo linguag-gio “primo”. Questo collegamento è fondamentale per ogni adulto che vuole essere “nel suo tempo stori-co” aperto alla metastoria, abitante consapevole e attivo del “Regno di Dio”, “operaio metastorico” devoto, semplice e affidabile. Una “vera” ce-

lebrazione del Natale è un naturale e potente colle-gamento reale con l’infanzia. Quando in una per-sona o in una istituzione viene a mancare questo collegamento con l’infanzia reale anche la dimen-sione adulta rischia di venire vissuta in maniera innaturale: quando dovresti essere padre devi (o vuoi) fare il figlio, quando hai l’età che dovresti fare il nonno ti trovi (o vuoi) a fare il padre … o quando hai tutte le risorse per guidare e insegnare, ti trovi (o vuoi) a farti prendere per mano e fare il bambino che deve imparare. Non potrebbe essere che la ten-

denza “quasi geriatrica” di trasmettere l’autorità all’interno di istituzio-ni gerarchiche rigide sia un modo inconscio per svuotare serbatoi di rab-bia non smaltita rispetto all’infanzia? Per attenua-re la tensione di rabbia accumulata a causa di un collegamento troppo vir-tuale con l’infanzia, dun-que da uno scollegamen-to radicale da essa? Esiste un filone di spiritualità molto diffuso che mi la-scia tuttora perplesso, una spiritualità convinta di poter/dover licenziare il passato (l’infanzia in

Il Natale di chi parla

il linguaggio antico

Gurraccha Eliseo Citton

fondo comune

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particolare). Questa spiritualità, che esorcizza il passato cacciandolo dalla porta senza rendersi con-to che esso rientra dalla finestra … è una spiritualità delle “scorciatoie che allungano”. Apparentemente accorciano e semplificano il cammino della “salute/salvezza” ma in realtà rinchiudono in circuiti vitali poveri e ossessivi. E un individuo (o istituzione) che non ha integrato l’infanzia (l’origine) sarà sempre un “individuo” anemico e debole di salute cagione-vole, che si ammala facilmente. Perché l’infanzia è una testata d’angolo della Vita!

Il Natale è una festa imbarazzanteL’Avvento/Natale è un tempo, una festa da sempre “imbarazzante”. Un avvenimento che mette in im-barazzo tutti i tempi, tutte le culture, le epoche e tutte le epistemologie. E in modo particolare imba-razza questo tempo che ha trovato strade inedite per “inebriarsi” e separarsi/allontanarsi agevolmen-te dalla realtà creando tante realtà di “mondi-spazi” virtuali. Anche la nostra epoca ha raccolto il testi-mone antico della “virtualità”. Che l’anima umana sia ghiotta di sostanze inebrianti (genesi 9: 20) lo dimostrano le scelte dell’uomo/a contemporaneo che si inebria di poteri mediatici, di forze artificiali come la potenza militare, il prestigio, la tecnologia, la forza economica. Il Natale è e sarà sempre una festa imbarazzan-te che ci collega alla nostra nudità originaria e al potenziale creativo e di trasformazione-cambiamento di cui quella nudità è custode. gli adulti in ogni tempo esiliando que-sto avvenimento vitale nella sfera economica e consumistica oppure trasformandolo in una devozione religiosa puerile e irrilevante han-no trovato strade e modi diversi per immunizzarsi dagli effetti di cambiamento che il Natale rega-

la a tutti quelli che lo vivono! Adorare il “bambino che per noi è nato” significa dare “corpo e carne” alla speranza che anche la nascita di un adulto non solo è possibile ma necessaria (giovanni 3: 3). Infanzia di un popolo, di una idea, di un rapporto … di una economia, di una filosofia, di una società Veramente il Natale è una festa per “arditi” … ci vuole fegato per ritornare a fare i conti con l’infan-zia abusata, rifiutata, abbandonata e dimenticata (Matteo 1:19 2:6). E qui non parlo soltanto della infanzia individuale ma mi riferisco anche all’infan-zia di un popolo, di una idea, di un rapporto, di una relazione familiare, di una amicizia o anche di una inimicizia. Penso all’infanzia di una economia, di una filosofia, di una società, di una organizzazione civile o religiosa, all’infanzia di una chiesa … di uno stato. Penso all’infanzia di ogni epistemologia. Da sempre, e quindi anche in questo tempo, l’uomo/a risponde alle esplosioni di “violenza paradossale”

con “appelli” “minacce” “proclami” “moralismi” … con “stracciarsi le vesti”. I miei 50 anni mi insegna-no che non ci si può liberare dalla violenza (personale o istituziona-le che sia) senza visitare l’origine, l’infanzia, “l’infra” … il Natale ap-punto! Per quietare la violenza ir-razionale dilagante occorre ricon-ciliarsi con il Natale, con le origini … occorre lavorare per il riscatto-integrazione dell’infanzia.

L’infanzia non è solo un fatto storico biologico ma una “dimensione vitale”Sono sempre di più persuaso che quanto più un adulto è “negativo”, “apocalittico”, prepotente, aggres-sivo, violento, irrispettoso, inca-pace di ascolto, geloso, possessivo, insinuatore, maniaco, distruttivo

Per te Mamma

Mamma prezioso scrigno! Dolce

sentinella del focolare domestico;

Porta miracolosa che s’apre

generosa alla vita;Favo stillante

che nutre e rasserena;Mani sicure che guidano e sostengono quando irta

è la salita;Sguardo sempre vigile

ma discreto, che sa incitare e incoraggiare

per scalare la vetta più alta.Mamma dono grandioso!

Presenza tangibile dell’Amore di Dio.

Elena Pontrandolfo

Nuvole

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… tanto più ha debiti profondi aperti e irrisolti con l’infanzia in generale, e con la sua infanzia in parti-colare!!! L’infanzia non è solo un fatto storico biolo-gico ma una “dimensione vitale” originale (Matteo 18: 4). La violenza è una conseguenza della paura di morire. La violenza genera paura di morire perché essa stessa è stata generata dalla paura della morte, della fine. E la paura della morte (della fine) scaturi-sce dal mancato incontro con gli inizi, con la nasci-ta, col Natale.Il Figlio dell’Uomo, con la scelta del Natale, del suo Natale, ha voluto esprimere le profonde riserve dell’ontologico, di Jahwè Dio dei Vivi, nei confronti delle attraenti soluzioni “perfette” e “potenti” che tutti noi “adulti” sia a livello personale che istituzio-nale continuiamo a cercare e amiamo attuare nella vita, impauriti come siamo di fronte alla potenza della sua rigenerante caducità. I “colpi di spugna”, le facili assoluzioni, gli indulti, i condoni edilizi ecc. sono la più radicata e antica specializzazione. Piace a tutti (non solo alla Chiesa) … un bel colpo di spugna su fragilità da dimenticare, su pezzi di storia indivi-duale o collettiva di fronte ai quali la nostra immagine ufficiale si vergogna … ci sentiamo compromessi … un bel colpo di spugna ed ecco che ci pare (ci sembra) di poter ripartire come se niente fosse. Ma non è così: avvenimenti inspiegabili … irrazionali (laceranti e di-struttivi) hanno nascoste le radici della loro natura-lissima spiegazione pro-prio in questi “colpi di spu-gna”. La nascita del “Figlio dell’Uomo” è una luce vera sugli “inizi”, una luce che ci salva dalla più distruttiva delle tentazioni: la tenta-

zione del “colpo di spugna sulle origini” (Esodo 23: 9; Deuteronomio 6: 12; Luca 22: 19; 1Corinti 11: 25). Ci riscatta dal giuramento tacito e segreto di “dimenticare”, ci libera dal bisogno della rimozione-oblio delle parti tenere e fragili della nostra umani-tà originale; ci salva da quel colpo di spugna che è il disprezzo/uccisione delle nostre parti vulnerabili/bambine (Matteo 2:13 2:16) … dalla paura-vergo-gna della fragilità … della calma! Chi si fa ammaestrare (Matteo 18: 3) dall’infanzia scopre che non è del peccato che abbiamo paura (e infatti continuiamo a farlo) ma della tenerezza (e infatti continuiamo a rifiutarla vergognandocene). Paradossalmente non è il peccato che ci fa male, ma il rifiuto della tenerezza, la mancanza di delicatez-za. Perché la vera sfida, il vero problema non è es-sere cattivi (Matteo 7: 11) ma lasciarci plasmare e guidare dalla forza della mitezza (Matteo 6: 20-26)! Non è vero che temiamo il male, abbiamo paura del bene! Questa consapevolezza è forse il dono più

grande che mi ha regala-to la intensa esperienza di Soddu Abala e l’anno passato in Italia accanto a mio padre di 87 anni. Ciò che realmente rifiutiamo è la bontà, la leggerez-za, il perdono profondo, l’ascolto, l’abbandono alla Vita … gli abbracci, l’esse-re “toccati”, coccolati … la misericordia, la semplici-tà, la fiducia … l’infante (Luca 2:7)!

Un avvenimento metastorico per sgamare antiche convinzioni storiche sull’infanzia Se le parole che la Chiesa Cattolica durante l’Av-vento-Natale attraverso

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i Profeti e i tanti nostri santi e sante Antenati ci mette nella bocca per darci il senso di tale tempo sono vere, ne deriva che il Natale non può essere la festa dell’Amore se non diventa un grande atto di giustizia. Un atto di restituzione del potere che abbiamo sottratto al bambino (giovanni 1: 11), e a ogni bambino/a e che per giustizia gli dobbiamo ridare. E il primo bambina/o a cui dobbiamo resti-tuirlo, il primo che ci è difficile accogliere è il nostro (noi stessi). Il Natale è veramente festa dell’Amore quando è festa del ripristino della giustizia sull’in-fanzia. Il Natale è il primo grido di un bambino che rivela il sopruso di ogni tipo di negazione dell’infanzia, è il primo tenero vagito di un infante che sgama la far-sa della riduzione dell’infanzia a un tempo di grado “minore”, a un “tempo debole”. Il Natale di gesù Cristo, “sole che sorge dall’alto”, contesta la convin-zione antica dell’infanzia come il tempo della sotto-missione passiva. Nell’Avvento/Natale, si ascolta la umile-potente “parola” dell’infante. Altro che “colui che non parla”! All’infante per generazioni conside-rato “tabula rasa”, è riconosciuta una signoria rega-le: “un bambino per noi è nato, un figlio ci è stato donato, sulle sue spalle ora vi è il segno della sovra-nità” (Isaia 9: 5-6). La vera “sovranità” è del nato “bambino” e celebrare il Natale significa rimettere nelle mani del “bambino” il comando.

L’infanzia è la vera soglia sulla vita adulta Perché così lavora l’Ontologico, perché ogni bambino/a è un sacramento di Vita, ogni “picco-lo” è essenza dell’attesa e della speranza! «L’attesa, l’attendere è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coin-volgono totalmente e nel profondo […] Si potrebbe dire che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza» (Benedetto XVI Angelus Novembre 2010). Si, perché la speranza è bambina, ha il colore degli occhi dei bambini. Essa non è una

merce né ha a che fare col consumo di merci ma con la “relazione” (attesa di qualcuno). La speranza è essenza, peso e misura della relazione. Il bambino nella sua essenza è relazione, ogni sua cellula pal-pita calore tenerezza relazione. Proprio chi dice di credere che Dio si è veramente fatto “bambino”, che la speranza si è fatta carne e storia a Betlemme do-vrebbe pensarci due volte prima di trascurare l’in-fanzia. L’infanzia è la vera soglia sulla vita adulta è la dimensione vitale da “cercare e adorare” (Matteo 2: 1-2) se vogliamo veramente trovare, incontrare, onorare e accogliere l’adulto (Marco 9: 36-37).

La carezza di un “re magio” alla “neonata” Fondazione:un laboratorio di vitaCon queste pagine partecipo volentieri alla rinascita di Limax e in particolare a questo numero che vede la luce insieme alla nascita della “Fondazione Nuo-va Specie”. Auguro a Mariano e a quanti siamo par-te dell’infanzia di questa fondazione, che ognuno possa metterci del suo per far sì che essa possa ve-ramente essere un laboratorio di Vita originale e fe-condo capace di produrre frutti nutrienti adatti alla crescita dell’uomo/a di questo tempo. Attraverso le mani di ognuno dei redattori vorrei far arrivare, come un “Re Magio” il dono di una mia carezza alla “neonata” fondazione: la carezza dell’Amore e della ricerca della Verità che mi ha sedotto fin dall’infan-zia. Le nuove idee e istituzioni che vengono alla luce oggi, le fondazioni, gruppi, persone adulte … che nascono in questo tempo … possano far tesoro del-la forza della Vita con maggiore rispetto e ascolto di quanto hanno potuto/saputo/voluto fare i nostri antenati fino ad oggi. I bambini e le bambine che nascono oggi in Euro-pa, in Africa, in America, in Asia, in Australia, nelle periferie e nelle città parlano ancora tutti la stessa lingua … e in quella lingua sacra stanno gridando ai quattro venti che quando non vince la Vita non vince nessuno! Perché solo quando vince la Vita, l’infanzia, vinco-no tutti: buon Natale!

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Carissimo,come sai il notaio ha fatto saltare la nascita della Fondazione Nuova Specie per il 24 dicembre, e questo mi ha addolorato non poco perché quest’anno avrei voluto festeggiare il Natale al di là dei soliti stereotipi legati a una nascita importante di troppi secoli fa.Ancora di più non mi piace questa ripetitiva millenaria ricorrenza per-ché di legato alla nascita oggi c’è ben poco e tutto di esaurisce nei soliti auguri, doni e pranzi particolari. Tutte cose buone ma col Natale che c’entrano? Anche perché sono cose che facciamo abbondantemente tutti i giorni e non basta certo una festa in più per disintossicarci dall’adattamento al solito menù di relazioni.Quest’anno avrei voluto festeggiare con la Fonda-zione una vera nascita per me e per tanti altri, ve-nuta dopo una lunga gravidanza di 44 anni. Nella tregiorni di Pescara sicuramente festeggeremo la nascita di parti nostre che da tempo erano sotter-rate e non si facevano più vedere: il bambinello è ognuno di noi, anche chi come me tra qualche mese compie 63 anni. Per quest’anno ti invito a fare la prova di sentirti tu il bambinello che deve nascere e trovare una par-te di te che vuole uscire fuori e farsi partorire da te. Se proprio non c’è o non la senti ancora, prova a sentirti povero, a sentirti tu infreddolito in una mangiatoia per non aver trovato il giusto alloggio e prova a desiderare di nascere appena possibile, ma-gari a primavera insieme agli alberi e ai prati.Una cosa ti chiederei di fare quest’anno, comunque vada la tua nascita: comincia a rinunciare ai soliti auguri, doni e pranzi particolari, accontentati di scambi vivi ordinari che già sei in grado di dare e ricevere. Comunque, la nascita della Fondazione Nuova Spe-cie è solamente rimandata a data che tra giorni ti comunicheremo. Personalmente, in questo Natale, ho deciso di ri-

sparmiare sul solito menù natalizio e sostenere la Fondazione con una ulteriore donazione per far nascere il “villaggio quadrimensionale” sul terreno che il Consiglio Comunale, nella seduta dello scorso martedì 14 dicembre, ci ha dati in comodato gratuito per 50 anni.Ti lascio un pensiero globale che spero entri nel tuo immaginario e ti faccia sognare, insieme a tanti di noi, “Un tempo globale”.

Un tempo globale

È tempo, il nostro, assai particolare per la storia di noi uomini, forse un tempo senza precedenti. È un tempo, questo, in cui le coscienze si manifestano evanescenti, disagiate, vicine alla frammentazione di vita e prossime all’annullamento esistenziale.È tempo di cominciare a pensare che stiamo diventando una delle tante specie che si sono alternate alla guida del viaggio della vita… sta per finire la nostra frazione e ci tocca consegnare il testimone al prossimo concor-rente per la prossima frazione.È tempo di considerare le diversità etniche, culturali, religiose, economiche, generazionali preziose risorse superando i pregiudizi, steccati e incomprensioni stori-che.È tempo di scoprire che ognuna di queste diversità è ugualmente contenuta nell’intero della vita, in quelle cose comuni a tutti che dinamizzano e articolano ogni specificità e ricchezza.È tempo che quelle diversità, pur distinte, producano un laboratorio di convivialità e si intreccino strettamente in un armonioso intero di simboli cosmici, culturali e religiosi.È tempo di ritornare a illuminare nuovamente la terra, a distinguere la luce dalle tenebre, a guardare di nuovo i luminari del firmamento e fissare nuovi segni per sta-

Ti auguro un Natale

in cui sia tu a nascere

Mariano Loiacono

fenomeno vivo

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gioni, giorni ed anni.È tempo di un nuovo essere che possa essere dinami-camente uno, nessuno, centomila… che possa visitare gli abissi e le viscere della terra; un essere che sviluppi livelli energetici nuovi in sintonia con l’entropia che ci circonda; un essere che abbia in dotazione nuovi recet-tori, nuovi modi di elaborare, nuovi modi di dar rispo-sta, più veloci della luce e globali come fu l’inizio; un essere che possa sentire gli elettroni e le altre particelle, mettere casa nell’universo, toccare le galassie, giocare coi buchi neri, esprimere nel presente tutto il passato e tutto il futuro.

Sul prossimo Limax pubblicheremo materiali, contributi

e approfondimenti dal corso di formazione sui mediatori

metastorici (me.me.) e utero psiché tenuto nel mese di novembre 2010

ad Ancona dal dr. Mariano Loiacono

fenomeno vivo

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Bella bionda Benedetta,mi hai chiesto di scrivere del ritorno di Limax, nel farlo mi viene sponta-neo rivolgermi a te.Quando mi hai comunicato la tua determinazione a creare un gruppo di lavoro che ridesse voce alla nostra rivista dopo un anno di silenzio, ti ho subito detto che stavi facendo un grande regalo a te stessa e a tutti noi.Sono convinta che il ruolo di capore-dattore (veste che senti stretta alme-no nel nome, ma che ti calza a pen-nello) ti permetterà di sperimentarti e crescere, in tutti gli angoli del tuo quadrangolare (a partire dall’angolo dell’identità e normatività) e in tutti i piani della tua piramide del Sarvas, dal rapporto con te stessa in su.Ma ognuno che avrà modo di incrociare Limax po-trà arricchirsi attraverso i suoi contenuti!

Per me è come se un affetto importante rientrasse da un lungo viaggio che l’ha portato distanteSe un giorno al finire del 2003 ho scritto a Maria-no Loiacono esprimendo il desiderio di conoscere lui e la sua attività, è stato proprio per un suo articolo pubblicato in Limax.Un’immagine che ricorre quando penso a Limax è quella di Marilisa con una copia in mano a decla-marne la preziosità, raccontando l’importanza che ha avuto per la sua vita il primo articolo che lei stes-sa scrisse sulla propria storia; mi viene in mente quanto fosse sottile il numero in cui quelle pagi-ne vennero pubblicate e di cui un giorno ha volu-to omaggiarmi, di fronte alle centoottanta pagine circa degli ultimi tempi. Limax era davvero piccolo quand’è nato, nel 1995; per quindici anni Barbara e Mariano si sono presi cura di lui, e con lui di tutta la memoria storica e la teoria che lo costituiscono.

Cura amorevole e gravosa, perché si-nora nessuno ha saputo affiancarli e sostituirli con continuità incarnan-do una vera discendenza.

Limax è carne, dolore, gioia, è sapere emotivo di inestimabile valore, ma oltre ed essere espressione di vita è anche teoria come contemplazione della vita stessa: è teoria-prassi rac-contata e condivisa. È anche la pos-sibilità di voltarsi indietro e rivede-re il cammino fatto, seguendo il filo della memoria attraverso i propri articoli, disegni, poesie, pubblicati negli anni, come ci insegna il dono che Mariano fece a Silvio in occasio-ne della sua laurea in sociologia.Limax è aprire una pagina a caso e

perdersi o ritrovarsi in essa.Quindici anni senza censura, senza finanziamenti tramite pubblicità, passando da poche pagine a una pubblicazione trimestrale di grandissima qualità per contenuti, grafica, impaginazione, ricca di sto-rie di vita, approfondimenti, disegni, copertine ar-tistiche; totalmente autofinanziata, si è mantenuta in vita negli ultimi tempi - addirittura crescendo a vista d’occhio - grazie alle svariate attività di raccol-ta fondi con cui “le pie donne” hanno voluto ren-derle omaggio e onore, sopperendo (grazie alle loro capacità culinarie e artigianali) al numero di abbo-namenti sempre troppo esiguo rispetto alle tante volte in cui si è sentito affermare: “Non avevo mai scritto per una rivista… veramente erano anni che non scrivevo niente!” o anche: “Sono qui perché mi è stato regalato un numero di Limax.”

Torna la nostra lumachina, sonoin attesa della versione moderna di Limax onlineCerto, per me che sono, sin dalla tenera età, amante dello scrivere e leggere su carta, è strano pensare

Limax è aprire

una pagina a caso

e perdersi o ritrovarsi

in essa

Serena Fulgenzi

lettere

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a una versione moderna di Limax online; sono in attesa, col desiderio di scoprire quale nuove sensa-zioni e abitudini mi susciterà. Torna, la nostra lumachina, proprio in un momento in cui anch’io spero di tornare a una più profonda e piena espressione di me attraverso la parola scritta; prendo quindi il suo arrivo come segno di buon au-spicio e le auguro di affacciarsi con curiosità a que-sto mondo senza confini che il web rappresenta,

ricca della specificità della vostra redazione.

grazie a Mariano e Barbara per ieri, oggi e domani; grazie a Benedetta, Luca, Lucia, Maurizio, Daniela perché non hanno timore di prendere in mano un filo rimasto sospeso e far ripartire la tessitura spe-rimentando nuove trame.

Buon viaggio, Limax, festina lente!

Serena Fulgenzi “La prima alba”

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Cara Sandra,in questi giorni mi è capitato di ripensare a molte cose del nostro rapporto. È come se avessi fatto un po’un excursus dalla nostra cono-scenza fino ad oggi. Sarebbe bello poter ripercorrere alcune tappe e cercare di capire da dove siamo partiti e dove stiamo in questo momento. Come ogni relazione ci sono pezzi che perdi e cose che guadagni. È difficile fare un bi-lancio dettagliato e mi limiterò a tracciare alcune riflessioni che non sempre riesco a rendere parola o scrittura. Quando ci siamo cono-sciuti penso che non ero in grado di accoglierti per quella che era la tua profondità. Avevo molte paure. Anche in riferimento a quello che è emerso durante il corso sui “me.me. e utero psichè” forse non ero in gra-do e forse non lo sono ancora di affidarmi completamente. Oggi, quello che provavo per te mi sembra così “sovrasttruttura-to” eppure sono stato così inna-morato di te, della tua bellezza, del tuo fascino. Io ero molto insi-curo. Non mi sono mai sentito un bel ragazzo, non mi sono sentito mai un gran corpo e tu in un cer-to senso mi hai visto e questo mi rendeva più sicuro. Io pensavo di non essere in grado di farmi una famiglia. ho talmente combattuto mio padre che forse il mio femmi-nile camuffava tanta rabbia anche nei confronti del femminile stes-so e non solo del maschile. Tu mi hai fatto credere che era possibile. Mi sono subito innamorato della tua bellezza, della tua dolcezza, del tuo fascino. ho anche soffer-

to molto per questo. Non sentirsi adeguati, non avere un angolo alfa della propria esistenza ti fa esse-re completamente altalenante. È come se mi avessi innaffiato le parti più tagliate della mia vita. Anche se i nodi non sono riuscito subito a scioglierli anzi, la coppia è come se alcuni li avesse ampli-ficati. Quando devi transitare da una situazione ad un’altra ti ren-di conto delle difficoltà che puoi incontrare e delle cose reali che ti mancano. Io mi sentivo un bambi-no e per certi versi ancora lo sono. Non avevo proprio idea di cosa

fosse una famiglia e di cosa significasse apparte-nere ad una nuova famiglia. Nella tua famiglia ho visto tante cose che mi mancavano ma avevo anche

paura di avvicinarmi ad esse. Sia-mo partiti senza un angolo alfa. In tante cose siamo diversi ma in tante cose forse ci siamo incastra-ti perché eravamo simili. Io non avevo un angolo alfa territoriale ma forse neanche tu. Ci ha fat-to soffrire molto vivere qui nelle Marche, così come ci avrebbe fat-to soffrire un qualsiasi posto a noi familiare (o il Belgio o la Basilica-ta). La verità è che forse da questo punto di vista siamo “scoperti” o eravamo scoperti entrambi. Forse eravamo due spermatozoi senza una casa. Dei nomadi senza nem-meno l’identità del nomadismo. Ci siamo accompagnati in tanti mo-menti, ci siamo rispettati, ci sia-mo fatti da specchio nelle nostre diversità ma forse ci siamo fatti da specchio anche nelle nostre povertà. Io mi sentivo Remì e tu una principessa senza un palazzo.

Mi sentivo un bambino e per certi

versi ancora lo sono

Raffaele Cimetti

SPERANZA

Lo sguardo degli uominiè molto profondo

come le beate farfalleche volano libere nel

cielo;le profumate loro

manisono paesaggi vasti di malinconia;le onde portano dolcemente verso

l’orizzontela sabbia si memorizza tra le vaste

pianure padane.Tutto assomiglia a un vano ricordo

che duramente nell’alba colpiscetutto il suo amore

L’occhio va verso un’alta mareail vento conforta come una carezza

di pietà, dolce con tutto il suo saporedi nostalgico amore.

Luigi Compagnone

Nuvole

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Avrei voluto darti di più, avrei voluto darti un poz-zo con più acqua per dissetarti ma non ci riuscivo. ho sofferto di gelosia, ho sofferto di inferiorità fisi-ca, ho sofferto per molto tempo con la paura che un giorno mi potessi lasciare. Ci siamo incontrati nelle nostre paure. Ti ho riconosciuta nelle paure del tuo abbandono da gabriel e delle parti tue deluse del-la tua famiglia ma non sono stato in grado di farti transitare nella relazione a due. Ci siamo subito ap-pesantiti. Dopo il matrimonio ho sentito che venivo risucchiati da nodi antichi. Quando siamo scesi giù a Foggia nel 2005 eravamo molto pesanti. La cosa che più ci aggrediva era questo senso di pesantezza. Io mi sentivo vecchio. Ero già vecchio di mio, delle mie paure e dei miei sensi di morte. È come se ad un certo punto ci siamo fusi nella pesantezza.

Chiudevo gli occhi e mi facevo attrarre dal vento dei treni che sfrecciavano nella stazione La verità è che non mi ero mai ascoltato nella mia morte, nella mia rabbia, nei miei abbandoni, nella mia razionalità, nella mia vita convinta di essere vita buona. Io non mi potevo fermare, ero come un malato terminale attaccato ad un respiratore artifi-ciale che se si spegne finisce tutto. Eppure la morte l’ho desiderata tante volte. Quando andavo su a Parma per la SISS, ammiravo il treno con una grande tentazione. Chiudevo gli occhi e mi facevo attrarre dal vento dei treni che sfrecciavano nella stazione. Il treno può essere più forte della vita ed è come un gioco, un gioco di destino. Durante la settimana sui “me.me e utero psichè” ho sentito forte la sensazione del tuo abbandono. La prima sera del lunedì a casa di Silvio e Michela ho sentito forte la tua mancanza e la paura di perder-ti. Così come sento spesso il tuo

dolore. A volte ti sento così vermicino e indifesa. Ti devo anche ammettere Sandra che per il passa-to tante volte ho provato anche moltra rabbia nei tuoi confronti. In tante occasioni ci siamo puniti attraverso l’intimità. Specialmente quando cercava-mo affannosamente un figlio. Più stavamo male è più sprofondavamo nell’affanno, nei sensi di colpa reciproci, nelle nostre depressioni, nello scaricarci reciprocamente tanta e tanta merda. Ci sono cose che ancora non riesco ad accogliere pienamente ma ci sono stati momenti di grande sofferenza nella nostra storia. La seconda settimana intensiva di luglio 2005, ho sentito il tuo corpo vibrare con tutta la sofferenza e il pianto profondo nel mio corpo. Dopo il rito di Eliseo, dopo che avevamo pianto tanto ho sentito la vibrazione del tuo dolore attraversare la mia carne. È come se ti avessi riconosciuta per la prima volta distinta da me ma così vicina nel dolore, nella con-solazione e nella speranza che qualcosa riviveva….Raffaele

Lucrezia, 28 novembre 2010

VENTO

Canto una canzoneè molto bella

ogni giorno dalla finestra

vedo volare una farfalla

io nei miei riguardi mi sento liberoho cercato molto spesso

la distinzione tra essere concretocioè i vincoli sono ciechi

Luigi Compagnone

Nuvole

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Solitudine

Da tempo autoesproriatomi dell’azione, non posso che oziare e oziando… “sento”.

“Ipersensibile?” No, non attaccatemi etichette.Ma non è, o non è più, il mio, un sentire egoistico. Non sento solo il mio dolore, credetemi,sento il dolore di tutti, il dolore di chi amo,il dolore di chi vorrei o dovrei…amare,il dolore di chi vorrei mi amasse, il dolore di chi amo, ma non dovrei…

E mentre “sento”, oziando,gli uomini fanno, agiscono, lavorano, parlano, si in-contrano, si scontrano, corrono, si rincorrono, si perdono, si ritrovano, nascono, crescono, si ammalano, guariscono, muoiono.Questo è: Vivere.

E inorgogliti dal fare e dal vivere, disprezzano il mio oziare.E’ inutile dir loro che “sento”, e che vorrei oziassero un poco con me.Disprezzano non solo il mio oziare, ma il mio stes-so “sentire”E dicono: basta!E mi lasciano li, ad oziare e sentire da solo.

Solitudine.E’ già tanto che sopportino che io esista, perché questo no, questo non è vivere.E’ il solo sopravvivere sonnacchioso di un cane ran-dagio,il vegetare inerme di una pianta avvizzita.Ma credete che non sentono i cani, le piante?Eccome se sentono.Sentono, in solitudine.

Solitudine.Sapete perché amo la notte? E perché veglio la not-te?Perché so che loro, coloro che fanno, dormendo, non possono che oziare,in solitudine, come me.E sotto le loro finestre chiuse, furtivamente rubo la loro compagnia.

Solitudine.Sfoglio i libri nel silenzio della mia casa.Narratori, poeti, filosofi, ed a mia volta, scrivo po-esie. Poesie…bé si, sulla mia solitudine.Vado su e giù, fumando una sigaretta. La vedo con-sumare la sua solitudine, come io, in solitudine, consumo la mia vita.Però mi sento attivo nella notte. E loro gli oziosi.

Solitudine.D’estate esco nella città deserta e passeggio lenta-mente nelle strade solitarie,sempre nella sola confortevole compagnia di quella mia sigaretta.La sigaretta? Macché vizio, macché dipendenza. È solo…una compagnia.

E se dietro una finestra, vedo una luce accesa,indovinando là dietro un’altra solitudine,quella finestra è ancor più una compagnia.Non rubata, questa, ma condivisa.

Solitudine.Quando all’alba cedo al sonno, sopraggiunge l’oniri-ca compagnia dei miei sogni,popolata di figure amiche, che non disprezzano la mia solitudine e il mio sentire,perché sono e sono solamente, il mio sognante e solitario sentire.

Fino al risveglio.Mi strofino gli occhi con il pugno delle mani, ne sprizzano poche lacrime anch’esse solitarie.

solitudini

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Piangole prossime interminabili, ore di solitudine.

Solitudine.È un altro mondo, credetemi.È il mondo inetto dell’ozio e del solo sentire.Mettete, vi prego, una tuta d’astronauta,e venite a trovarmi per un’ora nella remota galassia della mia solitudine.Ma non crediate che io reclami solo amicizia e com-pagnia.Sono cose che alleviano, d’accordo,ma per guarirmi…

Dico a te, si, a te che sola mi ascolti:la mia solitudine ti chiede di più,ti chiede, ti chiede ancora,ti chiederà sempre…amore!

Carlo Palmieri

Sto vivendo una allucinazione!!!

No, ripensandoci è solamente due persone (“COPPIA”) che hanno

sempre rimandato ciò che si do-veva affrontare…, con un dialo-

go, a viso aperto, senza lasciare niente dentro: tanto tempo fa.Per quello che mi riguarda il mio ruolo di mari-to è terminato ma, non posso dire altrettanto di quello di padre che comunque mi appaga, mi riempie un vuoto. Provo un’emozione grandissi-ma quando mi calo con i miei ragazzini a giocare; si, perché in quei momenti mi spoglio da tutti i miei ruoli, torno indietro nel tempo e divento un bimbo, come loro, e cosi riprovo e emozio-ni di quando avevo la loro età dimenticandomi (anche se solo per poco) di averla superata da un pezzo e di essere passato …dall’altra parte!!E il tempo scorre…scorre…scorre fino al punto dell’affanno e …in quel momento ritorno padre, padre dei miei figli soddisfatti di avere trascor-so un po’ di tempo con il loro genitore che trop-po spesso, preso dai ritmi frenetici del mondo di oggi tralascia, rimanda quel momento così importante per una comunicazione al pari del-la loro portata, anche giocando. Anzi, proprio giocando, alleggerendoci di tutti i nostri pesi riusciamo ad essere noi stessi o quantomeno…ci proviamo.Comunque questo è quello che mi sento: voglio ridere, voglio ascoltare, voglio provarci; so anche che i doveri che abbiamo sono tanti e vorremmo avere un tanto più tempo da dedicare a noi ma …il “tanto” è anche una forma di egoismo,…….il necessario si, ha senso.

Mauro

Nuvole

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- “Ciao Ettore”!“In bocca al lupo giorgio!”Aprii la porta della baracca dove dor-mivamo e misi fuori la bici cletta pre-parata e caricata con cura il giorno prima.Il cielo era di velluto nero, sereno e “1e stelle stavano a guardare”.Era l’antivigilia di Natale del 1944 ed erano le sei.Mi, venne da sorridere pensando che un anno esatto prima alla stessa ora, assieme ad Ettore, lasciavo casa mia per entrare in ciò che in quel mo-mento lasciavo, ma con altro spirito: difficile da definire ma certamente più smarrito e pervaso di un’angoscia sotti le.L’8 settembre era appena dietro le spalle con tutto il suo carico dubbi e di drammi.Sapevo oramai di attendere l’ultimo crollo di un’impal-catura un giorno luccicante - per me ragazzo - e vuota: che avvenisse pure e facesse presto.Eravamo baraccati a Nova Milanese da un paio di mesi dopo il bom bardamento dell’aeroporto di Bresso ed ogni giorno un aviere se ne andava a casa, in genere non lontana.Ne parlammo con il capita-no; non volevamo rimanere separati dal la famiglia da un fronte che stava avanzando velocemente da sud di Bolo-gna.“Andate pure, ma io non posso darvi che una licenza fino al Po: per oltre dovete arrangiarvi”.Cosi ci scrivemmo una licen-

za in tedesco - i padroni - che quel mattino mi infilai in una scarpa. E per dare meno nell’occhio decidem-mo di filare uno alla volta.Inforcai la bici e via, verso Bologna, verso casa.Svoltai all’angolo e infilai la Valassi-na che dritta porta a Milano. In quei due ultimi mesi trascorsi a Nova l’avevo fatta tante volte in su e giù in bicicletta nella zona vicina e cosi, anche al buio, mi trovavo ancora nell’ovile.

Pedalando e pensandoIntanto, pedalando e pensando,

c’era già luce e stavo giungendo a Milano. La città cominciava a vivere la sua giornata attiva anche se i tempi avevano smorzato in gran parte la sua tipica

vitalità.Una città che non conoscevo, che non avrei mai conosciu-to; una città di dimensioni superiori alla mia persona, che mi incuteva un grande senso di considerazione e vagamente di soggezione perché, nell’alone della sua meritata fama, mi faceva sentire che solo chi vale non si affoga. Ma non mi piace-va, come certe persone che sem brano non avere altro che la loro bravura.Non l’attraversai, ma la co-steggiai lungo strade che ora non ri corda. Mi trovai così a Porta Bologna e mi la-sciai Milano alle spal le.La strada diventava sempre più di periferia e man mano ricomin ciavo a vedere e sen-tire la campagna. Il fondo

Vigilia di Natale

1944

Giorgio Marinelli

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Giorgio Marinelli, inizio anni Quaranta

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stradale era buono nonostante i tempi, fortunata-mente c’era un bel sole e così, col lubrificante “84 stagioni” pedalavo scioltamente lungo quei bei filari di alberi che bordavano la strada per lunghi tratti.La campagna era vivida nel sole di dicembre e dava ancora un sen so di verde. E quel cielo di Lombardia “che è cosi bello quando è bello”,Nell’attraversare paesini e contrade, dove c’era an-cora movimento e vita, andavo quasi dimentican-domi della situazione in cui si vi veva: non tanto mia, ma della Nazione tutta.Troppo forte era stata il colpo a quella costruzione etica che mi era formata, durante i brevi ma lunghi anni dell’adolescenza. Splendida quanto illusoria nel suo fondo, forse perché poggiante su un tessuto umano che tutto aveva fuorché il senso della gran-dezza della Nazione.Ed oggi dico: logicamente, tenuta presente la storia da cui venivo. Troppo forte per non portare dentro, nonostante l’interesse quotidia no e spicciolo del contingente, una specie di sottile veleno.Ormai ero a Lodi. Non ho ricordi particolari, ma su-bito dopo mi trovai ad affiancarmi ad un uomo an-ziano, alto e asciutto, con i ca pelli e barba bianchi, vestito di nero.Si cominciò a parlare: il traffico di allora permetteva ampia mente di stare appaiati pedalando lungo una statale.Mi ricordo che mi disse, con voce triste, che aveva due figli, maschio e femmina; che la ragazza gli era tanto cara ma non poteva dire la stessa casa del fi-glio, che lo deludeva ed amareggiava sempre più. E ne afferrai l’amarezza.Il Po non era ormai lontana e ci arrivammo. gli ar-gini, alti, tagliavano il cielo senza forze e lo scena-rio, ampio e non squallido solo per la gran luce del sole, bianca e senza calore, si spalancò d’improvviso salendo sull’argine. Cortine di grigi si rincorrevano e si intersecavano lungo le rive, sequenze di chiaz-ze color fango che, più vicine, diventavano alberi di fiume; e l’acqua, liscia e fredda come creta, ben di-versa da quella amica e splendente di una piscina.L’uomo dai capelli bianchi vestito di nero era ormai

arrivato: mi salutò e mi augurò buon viaggio. Forse pensai che ne avevo bisogno. Il ponte, ovviamente, era inagibile e quindi una barchetta faceva la spola tra una riva e l’altra per qualche soldo.Saltammo dentro in cinque o sei, tutti in piedi e l’acqua arrivava a meno di un palmo dal bordo. In cielo, alto, un ‘Pippo” faceva ampi cerchi su di noi ed ebbi istintiva fiducia nella mancanza di sadismo imbecille di quel pilota: tutto infatti filò liscio e ci trovammo sull’altra riva.Ero ormai in Emilia, cosi sfilai dalla scarpa la licenza tedesca e infilai quella italiana.

Mi colpì l’atmosfera di vuoto e desolazioneI traghettati si sparsero di qua e di là, mentre io prendevo la via Emilia, la mia strada consolare. Ri-cordo particolarmente la grande cementeria sulla riva del fiume con le sue alte ciminiere che, tutte le volte in cui le avrei riviste nel corso della vita, mi avrebbero riportato a quel momento. Ma la cosa che più mi colpi, per l’imme diatezza dell’impressio-ne che provai in tutta la sua immanenza quasi con-creta, fu l’atmosfera di vuoto e di desolazione che mi avvolse ap pena varcato il Po, soprattutto appena lasciata Piacenza.Come un grande silenzio incombente, un vuoto di tutto. Un vuoto di persone, un vuoto che ti entrava subito nell’animo. Uno spazio pieno di una paura indefinita e indefinibile che forse si chiamava guer-ra e ancor di più Disfatta: o forse soltanto Morte.Lungo la strada non c’era nessuno, non un uomo, non un veicolo, niente. Il salto con la Lombardia era enorme. Ogni casa colonica che si affacciava alla strada aveva qualcosa di sfondato, la maggior par te il tetto.Sentii, dentro, il peso di quei chilometri che da Pia-cenza mi porta vano a Parma.Fu un tratto lungo, fu un macinar chilometri sem-pre solo, comin ciando ad aver in mente la meta da raggiungere.Non avevo mai intrapreso un giro di tal lunghezza, e per me rappresentava anche una prova da supe-

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rare e che mi avrebbe dato più certez za di me, delle mie possibilità non solo fisiche.Continuai così il mio andare con la mia bella bici-cletta e pensavo alle acrobazie corse per procurar-cele.I telai ce li fece uno specialista di Arcore e il resto lo facemmo montare da un meccanico del luogo pa-gandolo con dei tubi, adatti per far bici, rubati ai tedeschi che li stavano “prelevando” dai capannoni della Breda a fianco del nostro aeroporto.Una notte, mentre ero di sentinella, attesi che la loro passasse nel suo giro: mi infilai nel capannone, il cuore mi batteva, mi impo si una certa calma, scel-si i tubi adatti e li misi in un angolo.La notte dopo, sempre allo stesso modo, me li cari-cai sulle spalle e, sudando forse più per l’emozione che per lo sforzo, li portai in un punto del campo volo, facilmente individuabile ma non visibile.Ancora il giorno dopo, con Ettore, sull’imbrunire un colpo di mano e li portammo velocemente a de-stinazione.

“Avanti Giorgio !”E sulla scia di quei pensieri arrivai a Fiorenzuola d’Arda, uno dei tanti paesi a cavaliere della via Emi-lia tutta squinternata e come sempre poca gente che mi guardava come fossi un fantasma. E avan-ti. giunsi a Fidenza e qui lo spettacolo aumentò di misura: la distruzione di quel le povere case era tale che, nonostante il senso di orientamento che non mi manca, arrivai, nell’attraversarla, a perdere la traccia della via Emilia che ne era l’asse. Mi trovai tutto fuori strada e dovetti ripercorrere il bandolo del labirinto tra muri mezzo crollati e mezzo in pie-di. Il colmo della giornata era ormai passato da tem-po e cominciavo a chiedermi dove avrei pernottato; ma capivo che dovevo dirmi soprattut to “Avanti giorgio”.Ormai ero al Taro, il fiume dal grande greto. Il bel ponte in matto ni a tante arcate era in gran parte crollato e si passava nel soliti modi, sopra e sotto di esso. In un punto si doveva salire e aggirare un pilone tutto sbrecciato che dava punti d’appoggio

a mani e piedi: sembrava semplice, ma io avevo la bicicletta e con un carico lieve ma un po’ ingom-brante. Mi trovai così in un punto critico a quattro e passa metri sopra blocchi di pietra e cemento. “Se cado sono finito”.Se avessi lasciato andare la bicicletta l’avrei persa e questo mi amareggiava; e poi come avrei prose-guito? Cosa avrei fatto in quella specie di deserto? Cercai di stare calmo, appiattito contro quella pila con la mano sinistra attaccato a un mattone spor-gente e la destra che teneva la bicicletta. Indietro era difficile tornare, per me non alpi nista. Vidi che un po’ più in alto c’era un altro appiglio e che, affer-rato quello, sarei potuto salire in cima alla pila e poi proseguire.E se non fossi riuscito ad afferrarlo? Cercai con tut-te le mie for ze psichiche, che in quel momento era-no grandi e piccole, di non pensar ci e via! Riuscii a prenderlo saldamente e mi parve, in quel momento, che il mondo fosse mio ed amico.Fui sul ponte, in quel tratto ancora percorribile, e tra una passerella e l’altra arrivai di nuovo sulla via Emilia che da duemila anni mi attendeva.Un panino ripieno e ancora chilometri.

La solitudine dell’andareLa solitudine dell’andare mi portava a pensare a quell’anno trascor so, al diverso modo di vivere, alle cose accadute: alle quattrocento ore di sentinella, così pesanti per me, quando nel precedente inver-no, nei giorni di turno, ci alzavamo dal tavolaccio del corpo di guardia all’una di notte per andare ad attendere le tre, sognando un lettuccio tie pido, in un punto dell’aeroporto nella nebbia gelida che al mattino pennellava di un sottile strato di ghiaccio gli spigoli delle cose.E che era di fronte a chi stava in Russia? Una cicca.Ripensavo a quando i tedeschi, chissà per quale motivo, all’improv viso accerchiarono l’aeroporto impadronendosene. Ettore ed io rima nemmo come isolati e ignorati nel campo, in una specie di perso-nale rifugio che ci eravamo arrangiati tra le macerie di un piccolo edificio.

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Cosi il giorno dopo decidemmo di fuggire.Era ormai notte, c’era la luna tra le nuvole. Uscim-mo in silenzio e vedemmo che la sentinella tedesca con mitra era là, dove sapevamo, una cinquantina di metri.Approfittammo dell’andar delle nubi e dei momen-ti di ombra per stri sciare nell’erba e tra gli arbusti, quasi senza respirare, verso un buco nella rete che noi conoscevamo bene.E via! Per una fuga funambolica che ci portò, pas-sando per Bologna, di nuovo al campo, ormai senza tedeschi. Ma soprattutto mi veniva di pensare alla grande fortuna di essere stato assieme ad Ettore in quella parentesi di vita che trasformò la nostra amicizia, già salda, in una fratellanza d’elezione che sarebbe rimasta intatta nel tempo.Ma finalmente Parma mi accolse.C’era un po’ di animazione, in senso molto relativo, naturalmente. Trovai un meccanico ed unsi la ca-tena. Attraversai la città rapidamente senza notare grandi segni di rovina, fortunatamente.Ormai la grande luce chiara del bel giorno invernale se ne era andata ed era proprio dicembre e non pa-reva certo, perché nessuno la sentiva, l’anti vigilia di Natale con quel senso di festa raccolta e intensa che ci attor niava e imbeveva da ragazzi.Altra età, ma soprattutto altro tempo.Era ora di pensare al pernottamento anche perché vigeva il coprifuoco e camminare di sera tarda era “verboten”!guardai la cartina: “Arrivo a S. Ilario”.Il pedalare mi pareva più agevole; vidi un paio di cartelli a lato del la strada:Attenzione - partigiani “Achtung - banditi”,Pensai che mi stavo decisamente avvicinando al cal-do e proseguii provando un leggero senso di avven-tura.A S. Ilario d’Enza arrivai proprio in tempo per il co-prifuoco.Trovai subito una trattoria dove il cibo, nonostante tutto, era saporito e lì mi indicarono una casa dove avrei potuto dormire.C’era la tipica massaia che, per pochi soldi, mi diede

una camera. Ricordo ancora quella stanza: grande, triste, una lampada fioca. Il letto era a sinistra ed anche la finestra. Dormii profondamente e ininter-rottamente fino al mattino presto e mai riposo fu cosi dolce e totale.Era ancora buio quando mi rimisi in cammino. Dopo un po’ vidi delle ombre stagliarsi sfumate nel-la nebbia.-“Chi va là”! -“Sono un aviere’’. Mi videro in divisa e mi dissero di proseguire: erano brigatisti neri. Pensai quando sarebbe terminata per loro e che fine avrebbero fatto. E pensai anche a quanta dose di ottimismo occorreva e a qualcos’altro che io ormai non sentivo più.Dopo poco cominciò ad albeggiare e notai con sod-disfazione che non mi pesavano i chilometri del giorno prima.

“E poi Bologna”Mi giunse Reggio quasi d’improvviso che superai puntando verso Modena. Qui arrivai che era già giorno fatto e mi fermai sulla circonvallazio ne a mangiare qualcosa in un caffè. Ne uscii e sostai un momento sotto un platano guardando avanti verso il centro della città.“E poi Bologna” pensai.Quante volte, dieci anni dopo, in sette anni trascor-si in quella città per lavoro, già con moglie e figli, trovandomi in quel luogo pensai a quando giunsi quella mattina!Cosa significa una città, anche se non grande!Pur avvicinandomi ad una zona abitata dove il fronte era sempre meno distante, il movimento era maggiore. Forse perché era la vigilia di Natale? Ma non era cosi. È la città che come tale è più difficile imbrigliare e bloccare nelle sue necessità e natura.E ancora avanti, verso casa, ricominciando con gli snervanti rettifili che stancano anche solo per i fatto di dare di per sè l’impressione dell’interminabilità.Dopo un po’ mi trovai in quella grande ansa - la va-riazione più grande della via Emilia, chissà per qua-li ancestralità catastali - che si incon tra quando la strada si avvicina al Secchia e lo attraversa.

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Mi ricordavo bene che più oltre, il manto stradale, che in complesso avevo trovato ancora in buone condizioni lungo tutto il tragitto, non era un gran-ché anche prima della guerra.E infatti me lo trovai davanti e sotto per vari chi-lometri completamente sfasciato e, beccheggiando in tutte quelle buche, sentii improvvisa mente una bella dose di stanchezza.Era la rottura di un equilibrio armonico.Ma anche questa se ne andò quando arrivai a Ca-stelfranco, semideserta, che mi lasciai alle spalle senza storia.Ma dopo un po’ di chilometri, prima ed ultima vol-ta, mi imbattei in un soldato tedesco di guardia che naturalmente mi fermò.Era giovane e neanche a farlo apposta era un aviere come me, ma egli era biondo, io bruno.

“Gute Weihnachten”“Kamarade - dissi col tono più cordiale e naturale possibile - ich gehe fur einigen Tagen zu meinen Eltern, nach Bologna. Das ist mein Urlaub”. gli mo-strai la licenza in tedesco, la bevve e con grandi sor-risi e un reciproco “gute Weihnachten” ci salutam-mo.Dopo tanti chilometri era stato l’unico controllo, se cosi si può chia mare, ed era stata l’unica persona che avevo visto su tutta la via Emilia- eccettuato i centri abitati - a partire dal Po.Una sola persona ed un solo veicolo, una camio-netta tedesca che andava in senso inverso a me.Mi pareva ormai di essere

a casa e i chilometri davanti, che sapevo essere gli ultimi, mi parevano sempre più lunghi ma più leg-geri.E quando, finalmente, senza pensare di esserci già, si cominciò a sta gliare nella foschia laggiú di fronte me, sulla destra, e di attimo in attimo sempre più, la famigliare sagoma quadrata della Ducati, mi sentii invadere da una leggera ma penetrante emozione: sono arrivato, sono ormai a casa!Ormai pedalavo nel burro, se pur un po’ denso.E poi il Ponte Lungo e più in là l’angolo della mia strada.girai, trecento metri e, dopo la leggera svolta, la mia casetta, sempre così piccola, sempre così “grande”.Fuori non vidi nessuno: suonai e nessuno mi aprì.Il giardino aveva un aspetto abbandonato più di quanto la stagione facesse essere.Nella casa dietro vidi una ragazza amica che mi dis-se che i miei erano in Manifattura. Parlammo un

poco e poi ancora sulla via Emilia ormai cittadina: porta Sane Felice, l’Abba-dia cancelli della vecchia fabbrica.Salutai, mi riconobbero e chiamarono i Miei. Ar-rivò mio Padrino, gli oc-chi chiari gli brillavano, e quando giunse di corsa mia Madre, le die dero subito una sedia su cui si lasciò andare guardando-mi trasognata, incredula, quasi smarrita e senza la forza di dire una parola. Il mio giretto di 240 chilo-metri era finito.Rivivendolo col pensiero provo un senso di insicu-rezza interna che allo ra non ebbi neanche per un momento.giovinezza!

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Giorgio Marinelli nel 2001

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