Verona In 15/2007

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N° 15 - GIUGNO 2007 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S. P. A.- SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB VERONA i n VERONA

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N° 15 - GIUGNO 2007 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% - DCB VERONA

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PARTITE IVA E FISCO

Gli studi di settore sono lo stru-mento che lo Stato utilizza per farpagare le tasse agli imprenditori.L’Agenzia delle Entrate, utilizzan-do dei parametri che sono specificiper ogni tipo di realtà produttiva,determina quale dovrà essere ilreddito minimo di quell’azienda,stabilendo così a priori anche leimposte minime che il titolare dipartita iva dovrà pagare.Non so come si sia potuto intro-durre un criterio simile di valuta-zione del reddito, quando secondoil Codice Civile l’impresa è un’atti-vità per sua natura a rischio. Riten-go che la lotta all’evasione si do-vrebbe fare chiedendo a certi im-prenditori come fanno a permet-tersi beni di lusso mentre dichiara-no poche migliaia di euro: barche,ville, auto non si possono nascon-dere e anche i conti in banca an-drebbero resi trasparenti.Per aumentare il gettito fiscale so-no stati inaspriti gli indicatori dinormalità economica che operanoall’interno degli studi di settore,colpendo la fascia più debole deilavoratori autonomi, suscitandoproteste a non finire, tanto che ilviceministro dell’Economia Vin-cenzo Visco è stato costretto a undoveroso passo indietro. Per cono-scere gli effetti di questo modo diprocedere basta chiedere ai com-mercialisti di elencare i casi di queiclienti le cui difficoltà quest’annosono aumentate.Maria, 73 anni, da una vita vendelatte in un paesino della montagnaveronese. Percepisce una pensionedi 600 euro al mese e l’attività lerende 10 mila euro l’anno. Pochiper il fisco, che a priori ha calcolatoper i lattai cifre più alte. Maria, cheintegra la misera pensione renden-dosi autosufficiente, chiuderà lasua piccola bottega e lo Stato dovràpensare a mantenerla. Uno splen-dido esempio di come sia contem-poraneamente possibile sprecare lerisorse e umiliare le persone.

Primo piano

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In copertina: atlete di pattinaggioartistico della Polisportiva Buon Pastore di Borgo Romadurante una performance

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o IL CROLLO DI RIFONDAZIONE

Tra le novità delle recenti elezionia Verona c’è anche il crollo di Ri-fondazione Comunista. Alcunimilitanti si chiedono come mai al-la Festa in Rosso ci sia il tutto esau-rito e poi, nella cabina elettorale,in troppi scordino birre e salamel-le gustate d’estate sulle fresche rivedell’Adige.Avevo uno zio falegname che cre-deva al paradiso sovietico quandoda quelle parti i dissidenti finivanonei gulag. Ma lo scusavamo, per-ché era buono come il pane e so-prattutto era onesto e ci credeva. Ilcomunismo ha avuto i suoi pro e isuoi contro e anche un papa comeGiovanni Paolo II ci teneva a nonfar confusione tra l’ideologia mar-xista e la sua storicizzazione, di-mostrando una grande onestà in-tellettuale di cui oggi si sente mol-to il bisogno.Il partito della sinistra radicale,movimentista e pacifista, potreb-be raccogliere molto più consen-so se solo si liberasse di alcunipregiudizi.Dagli anni Novanta si assiste aduna crescita vertiginosa delle par-tite IVA. Uno dei motivi, ma il da-to è rilevante, è che molte di questeattività imprenditoriali sono nateper far fronte ad un licenziamentoo alla difficoltà a trovare un lavoro.Oggi il 95% delle aziende italiane ècostituito dal solo titolare e moltesono in crisi. I dati evidenzianoche ci troviamo in presenza di unacategoria da tutelare, ma il mes-saggio che arriva da una certa sini-stra radicale è sempre contro i pa-droni, a favore degli operai e pocoimporta se qualcuno, per non ri-manere inoperoso, ha rinunciatoall’assegno di disoccupazione ten-tando l’avventura dell’attività inproprio.Il rinnovamento per Rifondazione(e non solo per Rifondazione) do-vrebbe passare da una riletturadella realtà per andare a verificarequali sono i nuovi settori dell’e-

Tra le novità delle recenti elezioni a Verona c’è anche il crollo di RifondazioneComunista. Alcunimilitanti si chiedonocome mai alla Festa in Rosso ci sia il tuttoesaurito e poi nellacabina elettorale introppi scordino birre e salamelle gustated’estate sulle fresche rivedell’Adige

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marginazione e del disagio, nonpiù identificabili in un preciso ce-to sociale. Non si chiede di mutareun patrimonio di valori che si èconsolidato nella lotta allo sfrutta-mento delle classi meno abbienti,ma di utilizzare tali valori per darerisposte a chi le cerca e non a chiormai da tempo ha girato le spallee vota Lega o Forza Italia.

IL CAMPO NOMADI

Il campo nomadi di Boscomanti-co nasce grazie a una delibera del-l’Amministrazione Zanotto che,dopo aver offerto ai Rom un luogodove risiedere, ha affidato all’Ope-ra Don Calabria il compito di se-guire le problematiche connesse,in particolare l’integrazione deibambini, anche attraverso la loroscolarizzazione.Il sindaco Tosi, come aveva pro-messo in campagna elettorale, fa-rà chiudere il campo di Bosco-mantico e i Rom, che dipendonodal Comune per luce, acqua, gas,operatori ecc., dovranno andarse-ne, anche perché non esiste uncontratto di affitto che li tuteli.Chi non si adegua alle regole, adesempio commettendo reati, è be-ne che sia allontanato, perché vie-ne meno il patto di fiducia che staalla base del progetto e ne com-promette l’esito. Ma non è giustoche a pagare le conseguenze deglierrori di alcuni siano anche coloroche tengono un comportamentocorretto: colpire tutti indiscrimi-natamente assomiglia troppo a unatto di intolleranza e razzismo.Da quanto ci risulta alcuni Romgià lavorano, altri sono alla ricercadi un’occupazione. E soprattuttoci sono 42 bambini che frequenta-no la scuola in modo più o menoassiduo.In conclusione ci pare di poter direche la chiusura incondizionata delcampo, senza la tutela e l’incenti-vazione dei risultati raggiunti, sa-rebbe una sciocchezza politica,perché il rischio è quello di trovar-

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si punto e a capo: tolto il contestodi una situazione legalizzata e con-trollata è facile prevedere che ci ri-troveremo con i bambini ai sema-fori e il ricorso ad atti delinquen-ziali per sbarcare il lunario.

CAMBIA IL VESCOVO

Ogni volta che a Verona cambia ilvescovo si dice che ad attenderloc’è un compito non facile per ilfatto che il clero di questa diocesiè diviso, poco incline alla collabo-razione, litigioso. Sono convintoche S.E. mons. Flavio RobertoCarraro, da mite francescano, ab-bia particolarmente sofferto que-sta situazione, a tal punto da ester-nare più volte un palese disagio.Durante questi anni di intenso la-voro pastorale, che la gente ha ri-cambiato con affetto, gli appelliall’unità e alla collaborazione ri-volti al clero non sono certo man-cati, ma sono sempre caduti nelvuoto. In questi casi bisognerebbesostituire le persone poco inclinial gioco di squadra con altre piùadatte, perché il vescovo deve po-ter governare la sua diocesi e lopuò fare solo ricorrendo a colla-boratori capaci con cui stringereun profondo e sincero rapporto difiducia. Questo per presentareuna Chiesa unita, ma anche percostruire un rapporto stabile conenti ed istituzioni, che pure è im-portante nell’ambito di una mis-sione evangelizzatrice e per lastessa tradizione culturale di unacittà come Verona.Infine c’è da dire che chi governaha bisogno di consiglieri fidati,ma non sempre sono quelli chegià si trovano disponibili al mo-mento del nuovo insediamento. Avolte bisogna avere il coraggio divoltare pagina, di cercare nelle pe-riferie o dietro l’angolo dove nonmancano preti onesti e intelligentiche da anni svolgono con impe-gno e competenza il loro servizioalla Chiesa e alla comunità.

g.m.

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Chi vive nel camponomadi di

Boscomantico sitrova inserito in un

contesto legalizzato econtrollato, con 42

bambini chefrequentano la scuola

nell’ambito di unvalido processo di

integrazione.Chiudere la struttura

potrebbe avere dueconseguenze: rivedere

gli stessi bambini aisemafori e il ricorso

ad atti delinquenzialiper sbarcare il lunario

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di Elisabetta Zampini e Irene Lucchese

La Resistenza italiana nasce dal-l’impegno comune di individui,partiti e movimenti che, dopo l’ar-mistizio dell’8 settembre 1943 e laconseguente invasione dell’Italiada parte della Germania nazista, sioppongono agli occupanti e allaRepubblica di Salò fondata da Be-nito Mussolini.Tali motivi rendono questo movi-mento uno tra i fondamentalistrumenti che hanno accompa-gnato il Paese nel passaggio dal re-gime fascista alla Repubblica. Èsulla base di questa importanzache, nel 1949, Ferruccio Parri fon-da a Milano l’Istituto Nazionaleper la Storia del Movimento di Li-berazione in Italia, di cui oggi si

contano quasi 70 sezioni locali dif-fuse in tutta la penisola.Dal 1987 Verona è sede dell’Istitu-to veronese per la Storia della Resi-stenza e dell’età contemporanea,fondato dall’attuale direttoreMaurizio Zangarini, docente distoria contemporanea all’ateneoscaligero.L’Istituto nasce con lo scopo diraccogliere, conservare e mettere adisposizione del pubblico il patri-monio documentario inerente lastoria dell’Italia postunitaria, conparticolare attenzione al periodofascista e alla Resistenza. Natural-mente è stretto il legame con larealtà locale e, quindi, Verona è alcentro dei documenti conservatiin sede.Come la stessa denominazionesuggerisce, l’Istituto non vuole li-mitare il proprio campo di indagi-

ne unicamente al periodo dellaResistenza: il fine è quello di avereuno sguardo generale sulla storiaitaliana e fungere da luogo di rac-colta per tutti quei documenti checreano tutt’ora tale storia: «Inda-gare solo sui 18 mesi effettivi dellaResistenza non avrebbe alcun sen-so storiografico», commenta Zan-garini, «Ogni evento storico hadelle premesse in ciò che è avvenu-to prima e delle conseguenze, per-ciò i campi temporali di indaginesi dilatano».Dallo scorso dicembre la nuovasede di via Cantarane n° 26, condi-visa con Anpi (Associazione na-zionale partigiani d’Italia) e Anp-pia (Associazione nazionale perse-guitati politici italiani antifascisti),ospita l’intero archivio dell’Istitu-to, ancora in fase di catalogazione.A gestire il tutto sono dei volonta-

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La Resistenza a VeronaDal 1987 la città ospita l’Istituto veronese per la Storia della Resistenza e dell’etàcontemporanea, fondato dall’attuale direttore Maurizio Zangarini

L’Istituto veronese perla Storia della

Resistenza e dell’etàcontemporanea ha loscopo di fare ricerca e

di produrre operestoriografiche che

riguardano la realtàlocale, dando voce a una molteplicità

di fonti

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pio, tende a sottolineare l’adesionedi tutto il popolo alle proprie idee.Quando si legge ciò è un campa-nello d’allarme di una falsificazio-ne. È palese che nessuna parte incausa potesse avere l’assoluto ap-poggio di tutto le persone. È chia-ramente strumento di propagan-da». A ciò si aggiunge il problemadella memoria personale: «L’Isti-tuto, raccoglie numerose testimo-nianze di ex partigiani o altri testi-moni del periodo, tutti documentidi grandissima importanza, ma avolte viziati dal punto di vista per-sonale, dal coinvolgimento emoti-vo che porta a rendere assoluta lapropria esperienza». Si tende cioèa generalizzare un fatto personale:«Oppure si dimentica o ci si rendeprotagonisti di vicende di cui si èstati solo spettatori. La memoria èun campo interessante ma diffi-coltoso».Eppure la memoria, nella suaumana contraddizione, rendespesso giustizia a una storia cheprocede troppo spesso per stereo-tipi. Mario Rigoni Stern ha scrittouno dei libri più significativi deldopoguerra: Il sergente nella neve.Ricordi della ritirata di Russia dovememoria e storia si saldano diven-tando un tutt’uno. Stile d’animo edi scrittura che arriva fino all’ulti-mo meraviglioso libro Stagioni:uomo, memoria e andare del tem-po si saldano e si mescolano di-ventando davvero testimonianza esapienza di una vita.Rigoni Stern ha donato all’Istitutodi Verona la relazione della Com-missione di minoranza sul casoLeopoli. Si tratta di un fatto cheebbe una grande eco in Italia allafine degli anni Ottanta e che si aprìin seguito a dichiarazioni delle au-

torità sovietiche che annunciava-no di avere scoperto a Leopoli, oraUcraina occidentale ma un tempoPolonia, alcune fosse comuni incui sarebbero stati ritrovati i restidi duemila militari italiani (com-presi generali, colonnelli e ufficialiinferiori) trucidati nel ‘43. «Venneistituita una apposita Commissio-ne», racconta Zangarini, «con ilcompito di verificare di chi fosse laresponsabilità di quei morti, se itedeschi o i russi e anche RigoniStern venne chiamato a farne par-te, in quanto superstite e testimo-ne della campagna di Russia». Poiil caso si chiuse scagionando i te-deschi. Ma la stessa commissionesi spaccò in due; una, era appuntodi minoranza, nutriva ancoradubbi su una definitiva soluzionedella faccenda.L’archivio dell’Istituto è davverouna galleria di sorprese, almenoper chi non si dedica al lavoro sto-rico come prassi quotidiana. Ver-bali, comunicazioni, relazioni chenella nostra quotidianità appaio-no dettagli di un apparato formalee burocratizzato, diventano fontidi recupero di un periodo, di unappassionante dibattito politico osociale, di scorci di vita quotidia-na. Ci sono le relazioni delle Briga-te Partigiane che hanno operatonel veronese, con mappe e descri-zioni di ciò che avveniva di giornoin giorno. Interessanti poi i Matti-nali, resoconti giornalieri che ve-nivano compilati e inviati ognimattina dal Questore per tenereinformate le dirigenze fasciste del-la situazione della città, il transitodei treni e l’arrivo di civili o milita-ri in primis, data l’importanza, al-lora come oggi dello snodo ferro-viario di Verona. Poi l’ordine pub-

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ri, soprattutto insegnanti che, do-veri accademici permettendo, siimpegnano a garantire, nel perio-do scolastico, l’apertura al pubbli-co una mattina e tre pomeriggi lasettimana.La dotazione libraria dell’Istitutoammonta a quasi 3500 volumi, il90% dei quali rappresenta una bi-blioteca unica nel territorio vero-nese. L’acquisizione di tutto il ma-teriale avviene tramite prestiti odonazioni da parte sia di enti pub-blici che di cittadini privati: «Pernoi è importante – prosegue Zan-garini – raccogliere il maggior nu-mero di documenti. Non cerchia-mo necessariamente un originale.Ci basta la copia del documento.Un nostro desiderio sarebbe am-pliare il repertorio di immagini, difoto. Purtroppo non ne abbiamomolte. Perciò invitiamo chiunqueavesse materiale a mettersi in con-tatto con noi».Nell’incontro con l’età contempo-ranea emerge chiara la difficoltà dianalisi e lettura delle fonti: «Il pri-mo problema che si affronta»,spiega il presidente, « è quello dellacritica: quanto c’è di vero e quantoè frutto del momento, di chi scri-ve, quale la valenza dei terminiusati, quale la generale interpreta-zione delle fonti. Questa difficoltàpuò essere aggirata attraverso l’in-crocio delle fonti, verificando cioèse più documenti descrivono inmaniera simile un determinatofatto, garantendo così una certa at-tendibilità. Ogni parte, ad esem-

La dotazione librariadell’Istituto ammontaa quasi 3500 volumi,

il 90% dei qualirappresenta una

biblioteca unica nelterritorio veronese.

L’acquisizione di tuttoil materiale avviene

tramite prestiti odonazioni da parte siadi enti pubblici che di

cittadini privati

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blico, l’andamento economico, ladisponibilità dei beni di prima ne-cessità, con un’attenzione al prez-zo dei prodotti venduti al mercatodi Piazza Isolo: nel settembre del’44 il prezzo di un uovo aveva rag-giunto 10,50 lire. Per finire con ilresoconto degli spettacoli della se-ra prima. E c’erano cinema che, al-lora, si chiamavano «Dux» o «Vit-toria» e che ora hanno cambiatonome o hanno chiuso. Davveroogni sfumatura diventa invito allacuriosità o alla ricerca per ritrova-re ciò che si è dimenticato. E la cit-tà acquista una nuova fisionomia,più ramificata, con radici profon-de. «L’impegno che stiamo por-tando avanti in questo momento»,prosegue Zangarini, «è la sistema-zione e la catalogazione degli ar-chivi dei partiti. Abbiamo già rice-vuto quelli del Pci e del Pds, siamoin attesa di acquisire quello delPartito Repubblicano ma, pianopiano, vogliamo raccogliere gli ar-chivi di tutti i gruppi politici chehanno operato a Verona. Poi spe-riamo negli archivi dei sindacati.Ma che contributo storico posso-no dare questo tipo di documenti?«Ci sono i verbali delle sedute edelle discussioni che sono avvenu-te nelle riunioni nel corso deglianni. Fanno emergere, ad esem-pio, questioni sociali importanti edibattute come tutte le azioni disciopero nella zona della Bassa ve-ronese. In generale contribuisconoa ricostruire, dai diversi punti divista, l’evolversi delle dinamiche diuna società locale».Non mancano poi gli scritti dipersonaggi certamente di spicco: IQuaderni di Berardo Taddei,abruzzese di nascita, barbiere e au-todidatta. Ha lasciato testimo-

nianza degli interventi del Soc-corso Rosso, organizzazione in-ternazionale legata all’Internazio-nale Comunista fondata nel 1922con il compito di fornire suppor-to ai prigionieri comunisti e alleloro famiglie. Oppure il diario diGiovanni Domaschi, anarchicoveronese, che fu condannato a 17anni di prigione e confino. Perio-do certo irrequieto dato che la suaopera si intitola significativamen-te: Le mie prigioni e le mie evasio-ni, memorie di un anarchico vero-nese dal carcere e dal confino fasci-sta. Venne infine arrestato dai te-

deschi e deportato nel campo diconcentramento di Dachau dovemorì.L’Istituto veronese per la Storiadella Resistenza e dell’età con-temporanea ha dunque lo scopodi fare ricerca e di produrre operestoriografiche che riguardano larealtà locale, dando voce a unamolteplicità di fonti, nella con-vinzione che l’esperienza di unacomunità, di un contesto socialecircoscritto, dia un contributofondamentale alla scrittura diuna Storia quanto più completa esignificativa per il presente.

«L’impegno chestiamo portandoavanti in questo

momento è lasistemazione e la

catalogazione degliarchivi dei partiti.

Abbiamo già ricevutoquelli del Pci e del Pds

e siamo in attesa diacquisire quello

del PartitoRepubblicano.

Poi speriamo negliarchivi dei sindacati»

Maurizio Zangarini ha fondato l’Istituto veronese per la Storia della Resistenza

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febbraio 1927 la popolarissima«Domenica del Corriere» pubbli-cava la foto di uno sconosciuto, ri-tratto di profilo con questa de-scrizione: «Nulla egli è in condi-zione di dire sul proprio nome,sul paese d’origine, sulla profes-sione. Parla correntemente l’ita-liano. Si rileva persona colta e di-stinta dell’età apparente di anni45». Qualche giorno dopo, il 13febbraio, un’altra fotografia dellosconosciuto era apparsa sull’ «Illu-strazione del Popolo» con la solascritta «Un ignoto». Tra le moltelettere inviate al direttore del ma-nicomio una si era rivelata decisi-va. Un certo Renzo Cannella, diVerona, aveva creduto di ricono-scere nello smemorato il fratelloGiulio, professore emerito di Fi-losofia, molto conosciuto negliambienti cattolici, basti pensareche insieme ad Agostino Gemelliaveva fondato, nel 1909, la «Rivi-sta di Filosofia Neoscolastica».Il «prof.» Giulio era scomparso

Misteri

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1926-1931

L’uomo venuto dal nullaera Cannella o Bruneri?

Il caso dello smemorato di Collegno appassionò l’Italia degli anni Venti.La burrascosa vicenda del misterioso individuo che perse la memoria

nel corso della Grande Guerradurante un combattimento inMacedonia, nel novembre del1916. In seguito al commoventericonoscimento della moglieGiulia, il professore fu affidato al-la famiglia. Lo sconosciuto diventacosì un «resuscitato» di guerra. Lasua figura, oltre ad apparire con-solante e lenitiva di un dolore cheaveva colpito le migliaia di fami-glie dei morti e dei dispersi inbattaglia, rientrava perfettamenteanche in quel mito della GrandeGuerra che il fascismo aveva con-tribuito a costruire facendoneuno dei pilastri del suo «universosimbolico».La sera del 2 marzo, il colpo discena. Arrivarono due lettereanonime, la prima alla Questuradi Torino e la seconda alla Que-stura di Verona. Il testo delle mis-sive era il seguente: «State attenti:la persona che si fa passare per ilprof. Cannella potrebbe essere ilpregiudicato Mario Bruneri». Tregiorni dopo, una lettera analogagiunse anche al vicario generaledi Verona, monsignor Manzini,un tempo amico di Cannella.Le autorità giudiziarie disposerosubito le indagini per individuarechi potesse essere l’autore dellelettere e quale fosse il suo scopo.Anche la famiglia Bruneri, il fra-tello Felice, la sorella Maria, il fi-glio Giuseppe, la moglie Rosa Ne-gro e persino l’amante CamillaGhidini, riconobbero nello sme-morato il proprio congiunto: il ti-

Domenica del corriere, febbraio 1927

Il legame stabilitositra Giulia Cannella

e lo sconosciuto,la nascita di tre figlidalla loro relazionementre la causa per

l’identificazione era ancora in corso,

oltre a nutrirel’interesse morboso

dell’opinionepubblica, provocarono

una violentacampagna condotta in

nome della moralità

Da sinistra a destra, Francesco Cannella, Giulia Cannella, Rita e GiuseppeCannella, lo sconosciuto

di Cinzia Inguanta

La vicenda dello «smemorato diCollegno» divise per alcuni annil’opinione pubblica italiana. Tut-to ebbe inizio il 26 marzo 1926,quando a Torino fu arrestato unuomo che tentava di rubare unvaso nel cimitero israelitico. Por-tato in questura non aveva saputodare le proprie generalità. Nonsolo, salendo le scale aveva sbat-tuto più volte la testa contro ilmuro, tentando il suicidio, comeavrebbe detto in seguito. Sottopo-sto a una sommaria perizia medi-ca, fu inviato al manicomio diCollegno. Dopo circa un anno, ilricoverato aveva riacquistato lasalute fisica e mostrava un’indoletranquilla, ma continuava a nonricordare nulla di sé e del suo pas-sato, perciò il direttore dell’istitu-to decise di far divulgare una suafoto dalla stampa. Fu così che il 6

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la nascita di tre figli dalla loro re-lazione mentre la causa per l’i-dentificazione era ancora in cor-so, oltre a nutrire l’interesse mor-boso dell’opinione pubblica, pro-vocarono una violenta campagnacondotta in nome della moralitàda alcuni quotidiani cattolici.Sembra però che dietro ciò si na-scondessero forti interessi econo-mici. Nella relazione fiduciariadell’informatore di polizia «35»,datata 24 gennaio 1928, si riferiva«che a favore del prof. Cannellasarebbe esistito un grosso lascitodi cui egli avrebbe dovuto entrarein possesso tornando dalla guer-ra. In caso di morte sul campo, illascito sarebbe passato alla Chie-sa. Per questo la compagnia diGesù alimenterebbe ora la cam-pagna dei Bruneriani e ciò spie-gherebbe l’atteggiamento contra-rio alla famiglia Cannella dell’Os-servatore Romano e la presa di po-sizione per la famiglia Bruneri delMomento di Torino e di altri gior-nali cattolici».Scontato il suo debito con la giu-stizia, lo sconosciuto torna a Vero-na da Giulia che gli è sempre re-stata vicina. La famiglia Cannellavisse una vita difficile, povera emolto ritirata. La realtà della mi-seria aveva allontanato moltagente. Restarono solo i più fedeliamici, quelli che non avevano maidubitato. Giulia e lo smemoratodecisero di trasferirsi in Brasile ecosì il 19 ottobre 1933 s’imbarca-no sul piroscafo Conte Biancama-no. Arriveranno a Rio de Janeiroil 30 ottobre. Lo smemorato an-che se in Brasile non rinunciòmai alla sua battaglia, continuò achiedere di essere pubblicamentericonosciuto per poter esistere.Il 12 dicembre 1941, a 55 annimuore a Petropolis l’uomo rico-nosciuto dalla giustizia italianacome Mario Bruneri.

La sua battaglia però non era fini-ta, perché altri dopo di lui conti-nuarono a lottare per la sua cau-sa. Nel 1964 Beppino Cannella, fi-glio di Giulio, sostenne pubblica-mente in una conferenza stampache lo smemorato di Collegnoidentificato per Mario Bruneri,era in realtà Giulio, suo padre.Nel 1970 per la serie «Processi aporte aperte», furono mandate inonda due trasmissioni che i figlidi Felice Bruneri, fratello di Ma-rio, cercarono invano di bloccarecome lesive della sua memoria. Incontemporanea arrivò alla Rai laprotesta firmata da trecento vero-nesi capeggiati da don GermanoAlberti. Il 10 luglio di quell’annoil cardinale Segretario di Stato,Giovanni Benelli, in una letteraufficiale, precisò che la Chiesa ri-

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Confronto tra lo sconosciuto e la figlia del professor Giulio Cannella

pografo torinese Mario Bruneri,un uomo dalla vita alquanto dis-ordinata con una fedina penalenon proprio immacolata e conqualche conto ancora in sospesocon la giustizia.Si aprì un caso giudiziario lungoe complesso che malgrado cin-que processi (5 anni d’indagini,142 deposizioni, 14 perizie) la-scia ancor oggi molti interrogati-vi irrisolti. Non serve sostenereche ai nostri giorni un simileequivoco sarebbe impossibile,perché anche allora la scienza erain grado di accertare l’identità fi-sica di una persona, ma questonon fu sufficiente.Per capire quanto furono soffertele sentenze, si pensi che in Cassa-zione, il 24 dicembre 1931, laCorte, che giudicava a sezioniunite (15 giudici) si spaccò indue: sette giudici individuaronolo sconosciuto in Mario Bruneri,altri sette lo identificarono comeGiulio Cannella. Il presidenteD’Amelio si trovò con il compitodi sciogliere il nodo. E lo fece do-po aver chiesto all’allora ministrodella Giustizia, Alfredo Rocco (il

padre del Codice Penale), ancoratre giorni «per rivedere le carte».«Non le concedo nemmeno un’o-ra», gli avrebbe gridato al telefo-no il Guardasigilli. «Chiudiamosubito questa buffonata». D’A-melio allora entrò in Sala di Con-siglio e disse «Bruneri». Così lagiustizia identificò «la persona ci-vica già ricoverata al manicomiodi Collegno con il numero 44170» in Mario Bruneri.Lo smemorato, dopo il riconosci-mento in manicomio della signo-ra Cannella, sostenne sempre fer-mamente di essere il prof. GiulioCannella. Il legame stabilitosi traGiulia Cannella e lo sconosciuto,

La casa della famiglia Cannella angolo di Via Caprera

Il secolo illustrato del maggio 1931

conosceva nello sconosciuto diCollegno, non Bruneri, bensìGiulio Cannella e che pertanto ifigli nati dalla coppia erano daconsiderarsi legittimi.Questa storia fu subito definita«pirandelliana», con essa infatti,l’identità «unica» della personasi era rivelata improvvisamenteillusoria, l’«io» risultava sdop-piato nel divario tra il desiderioe il possibile, tra ciò che si vor-rebbe essere e come gli altri civedono. L’enigma di chi fosseveramente lo smemorato, nonha mai potuto essere sciolto senon, forse, da una battuta dellostesso Pirandello: «Io sono coluiche mi si crede».

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di Massimo Rimpici

L’economista bengalese Muham-mad Yunus ha ricevuto il Nobelper la pace nel 2006 per aver inven-tato nel 1974 il microcredito, con-cedendo piccoli prestiti ai poveriper finanziare piccoli progetti im-prenditoriali o di rilancio econo-mico individuale. Ma queste formedi sostegno economico per debo-lissime realtà produttive non ri-guardano solo soggetti i residentiin taluni villaggi bagnati dal Brah-maputra o dal Gange, ma interes-sano molto da vicino anche noi. Sì,noi italiani, anzi veronesi.Con un gioco di parole si può so-stenere che le prime esperienze na-zionali di mini aperture di creditohanno visto la luce all’ombra del-l’Arena. Il progetto pilota – che sichiama Ec.Co.Mi, Economia diCondivisione e Microcredito – ènato a Verona alla fine del 2005 periniziativa della Mag, società di mu-tuo soccorso. «Per la verità», spiegaLoredana Aldegheri, per diciassetteanni presidente ed ora consiglieradi Mag Mutua, «eravamo partiteanche prima sia a Verona sia a Ve-nezia (a cura della Mag di Venezia,ndr), quando la Comunità Euro-pea ha approvato questo progettoche aveva fra i punti programmati-ci anche quello di sperimentareforme di microcredito che potesse-ro diventare non occasionali».Mentre nel Sud del mondo le diffi-coltà economiche lasciano spazioalle relazioni, al mutuo aiuto, inoccidente la povertà diventa mise-ria, annichilisce gli individui chespesso sprofondano in una vera e

nazione sociale.«Il progetto Ec.co.mi», si legge nel-la prefazione al documento di pre-sentazione, «nasce dalla consape-volezza che oggi nell’area del NordEst esiste una situazione difficileche mostra, accanto ad aree di be-nessere e ricchezza, la presenza disacche di nuove povertà», proprionel cuore di una zona tradizional-mente ricca e produttiva.I protagonisti di questa realtà sonoi soggetti monoreddito, gli anziani,gli espulsi dalla produzione qual-

che anno prima della pensione, igiovani che non riescono ad usciredal precariato, gli immigrati.«Nel nostro contesto», prosegue laAldegheri, «vanno emergendo si-tuazioni inedite rispetto al passato:ora vengono a bussare alla nostraporta famiglie “normali” in fortis-sima difficoltà. Persone, ad esem-pio, intorno alla cinquantina chehanno perso il lavoro in due in fa-miglia: da una situazione di agio siritrovavano immersi improvvisa-mente in una realtà di estrema in-certezza», ma soprattutto privi diuna cultura e di mezzi adeguati percercare di uscire in qualche mododa gravissime situazioni. Nel no-stro quotidiano l’assenza di denaroha completamente spiazzato gli in-dividui in difficoltà, incapaci ditrovare qualsiasi altra forma di sus-sistenza. Per questo il microcreditoè basato su un binomio fonda-mentale: fare in modo che le per-sone escluse dal sistema creditiziotradizionale, perché in situazionedi criticità, riescano – oltre che adottenere un piccolo prestito – a ri-allacciare e a ritrovare delle relazio-ni di aiuto, di mutuo soccorso, diaccompagnamento. «Spesso losquilibrio economico va di paripasso ad una crisi esistenziale»,spiega Alessio Scolfaro, operatoredi microcredito, «e quindi il lavoroche è fatto dalla Mag, l’istruttoriaper favorire l’accesso al microcre-dito, si fonde all’altra matrice:quella di provare a riallacciare i le-gami spezzati dalla congiunturanegativa, coinvolgendo le associa-zioni del territorio e alcune strut-ture del Comune di Verona».

Economia

inVERONA 11

«E noi li finanziamo»Il progetto Ec.Co.Mi è attento alle nuove

povertà del nostro territorio. L’aiutoattraverso lo strumento del microcredito

È uno strumento che cerca di mettere in comu-nicazione gli individui esclusi dal mondo delcredito con i protagonisti del sistema finanzia-rio. Generalmente si rivolge alle persone troppo“ricche” per i servizi sociali (con un lavoro edun reddito), ma troppo povere per le banche: ilsoggetto spesso presenta una situazione econo-mica poco appetibile per gli istituti di credito.In questo periodo sono quarantaquattro i pro-getti condotti con la mediazione di Mag Vero-na. Gli importi variano da un minimo di sei-cento euro ad un massimo di ventimila euro(ma si tratta di un finanziamento ad una pic-cola impresa). Di questi solo una decina versa-no in difficoltà con restituzioni “a singhiozzo” edue sono molto critiche.La Mag accompagna, media, fa da filtro fra lapersona che ha bisogno e la banca che concedeil finanziamento, ma non avalla. Il cinquanta

per cento del prestito generalmente è garantitodalle persone che gravitano intorno al singoloche presenta la richiesta: un familiare, un ami-co, il datore di lavoro, un sacerdote. Le rate del-la restituzione sono concordate con l’interessa-to, ma poi è la banca, in questo caso la Popolaredi Verona o la Banca di Credito Cooperativodella Valpolicella (che fanno parte della rete direlazioni del progetto Ec.co.mi. insieme alleAcli, l’Arci, la Ronda della Carità e il Comunedi Verona), che eroga il prestito con tanto ditasso d’interesse e un preciso piano di rientro.Le richieste possono riguardare l’acquisto diuna vettura usata per ottenere il lavoro, oppurela caparra per entrare in una casa in affitto, lasomma necessaria per pagare gli arretrati del-

l’Agsm, piuttosto che i soldi del biglietto aereoper il ritorno in patria.Può ricorrere al microcredito l’immigrato chedesidera ristrutturare la casa nel suo Paese oanche per mettere insieme il denaro per pagaregli affitti arretrati accumulatisi per un lungoperiodo di non lavoro, che finalmente però è ri-cominciato.L’altra esperienza veneta, quella supportata daMag Venezia, presenta delle caratteristichemolto diverse. Il numero degli interventi è si-mile a quello veronese, ma l’ente erogatore èBanca Etica, la quale però finanzia solo sogget-ti che obbligatoriamente passano dai servizisociali del Comune. L’Istituto non rischia quasinulla: le operazioni di microcredito sono infattigarantite da un fondo di garanzia di centocin-quantamila euro istituito dai Servizi sociali delComune di Venezia. (M.R.)

Cos’è il microcredito

propria crisi esistenziale. Aver so-stituito ogni relazione di scambiocon il denaro, considerato media-tore unico e universale, ha impove-rito le relazioni e l’assenza di dena-ro è diventata sinonimo di emargi-

Alessio Scolfaro e Loredana Aldegheri

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di Giorgia Cozzolino

Il mondo orientale gode di uncerto fascino in Occidente dovutoin gran parte ai molti misteri chepopolano la sua cultura. Cina eGiappone sono infatti ricchi distoria e tradizioni, gelosamenteconservate anche attraverso lascrittura. Gli ideogrammi, quellefigure che a molti di noi appaionocome scarabocchi incomprensibi-li, sono la base della scrittura cine-se e, più generale, dell’Asia. Anchein Corea e Giappone, infatti, que-sti caratteri, detti Hanzi, sono statiadottati ed integrati nelle linguenative e sono diventati rispettiva-mente Hanja e Kanji. Nella societànipponica si usano ancora il Kanjicome parte integrante del propriosistema di scrittura, invece in Co-rea l’utilizzo degli Hanja è dimi-nuito fino alla totale scomparsanella Corea del Nord.La scrittura cinese è molto com-plessa perché si basa su logogram-mi, dove ogni simbolo rappresen-ta un morfema.Inizialmente i caratteri erano im-magini dei loro significati, ma coltempo furono stilizzati e misuresempre più complicate furonoadottate per esprimere i concettipiù astratti. Oggi, la maggior par-te dei caratteri contiene un ele-mento (il fonetico) che dà, o davauna volta, una indicazione dellapronuncia, e un altro componen-te (il radicale) che fornisce un’in-dicazione del significato. Ma la so-

miglianza pittorica con gli oggettiè stata persa con la stilizzazione.Oggi ci sono due modelli di scrit-tura, uno tradizionale, usato aTaiwan, e uno semplificato che èadottato in Cina continentale e aSingapore e che è stato sviluppatodal governo della Repubblica po-polare cinese negli anni Cinquan-ta, che usa forme semplificate permolti dei caratteri più complicati.Se ciò non bastasse a rendere lelingue orientali inavvicinabili aglistranieri, è importante notare cheil dizionario Zhongua Zihai elen-ca 85.568 caratteri, ma, nonostan-te l’enorme mole, ne ignora 1.500.Tuttavia quelli utilizzati di fattosono molti di meno: per leggereun quotidiano ne bastano 3mila,mentre le persone con una buonacultura ne usano circa 5mila. È fa-cile quindi comprendere comemai queste culture sono rimasteper secoli oscure al mondo occi-dentale, che pure aveva intessutocon l’Oriente importanti rapportidi scambio commerciale.Ma se per un europeo, abituato adun alfabeto di 21 lettere, è difficile

avvicinarsi alla scrittura e alla let-tura di un testo fatto di migliaia diideogrammi, non è così scontatonemmeno per gli orientali. «An-che i bambini cinesi incontranodifficoltà nell’imparare a scriveree a leggere», spiega Paolo Padoan,veronese, studioso di sinologiache da anni vive in Germania,«anche per loro non è facile ricor-dare tutti questi ideogrammi». Ecosì, un po’ per scherzo e un po’per passione, Padoan ha inventatoun sistema per memorizzare inmodo divertente e veloce gli hanzipiù comuni del linguaggio quoti-diano.Amante della Cina, dove è statodiverse volte, questo steward dellaLufthansa con la passione per lasinologia, ha deciso di realizzaredei particolari sudoku, dove al po-sto dei numeri dall’1 al 9, vannoinseriti dei simboli cinesi ciascu-no dei quali con un preciso signi-ficato che, se letti nell’ordine esat-to, danno vita a una frase di sensocompiuto. Un sistema che le stessescuole cinesi stanno sperimentan-do viste le necessità di accelerare i

Attualità

Giugno 200712

ORIENTE

Un facile «sudoku»per imparare il cinese

Il veronese Paolo Padoan ha inventato un modo semplice e divertente perapprendere il cinese. Il suo libro pubblicato in mezza Europa. Quando in Italia?

Paolo Padoan veronese, studiosodi sinologia, che da anni vive inGermania.

Amante della Cina, dove è stato diverse volte,questo steward della Lufthansa con la passione perla sinologia, ha deciso di realizzare dei particolarisudoku dove al posto dei numeri dall’1 al 9, vannoinseriti dei simboli cinesi ciascuno dei quali con un

preciso significato che, se letti nell’ordine esatto,danno vita a una frase di senso compiuto

Page 13: Verona In 15/2007

processi di apprendimento scola-stico. Padoan ha così, con l’aiutodi una docente di sinologia del-l’Università di Berlino, DorotheeDauber, realizzato il primo libroin tedesco composto da 72 sudo-ku, quattro di diversa difficoltàper ciascuna frase.«Mi sono accorto», spiega Pa-doan, «che dopo un po’ di tempoche non praticavo il cinese, riusci-vo a leggere gli ideogrammi manon ricordavo più come scriverli.Così ho pensato a questo sistemache si rifà alla didattica psicologicaper ricordare i simboli senza per-dere troppo tempo». In questomodo si impara giocando oppuresi mantiene vivo il ricordo delleproprie nozioni semplicemente fa-cendo un sudoku di tanto in tanto,un po’ come si fanno i cruciverbaper tenere allenata la mente.Il libro, scritto in tedesco, sta peressere tradotto in inglese e in spa-gnolo e probabilmente presto ve-drà anche l’interesse delle case edi-trici italiane. L’obiettivo, spiega Pa-doan, è che il libro semplifichi lavita delle persone che per lavoro oper turismo vogliono recarsi in Ci-na con un minimo di conoscenza.Le olimpiadi di Pechino sarannosicuramente un traino in tal sensoe il volume rischia quindi di diven-tare un oggetto obbligatorio da te-nere in valigia in vista del 2008.Il gioco, per chi si è già cimentatocon un sudoku, è semplice: in unapagina viene spiegata la sequenzacon cui vanno tracciati i segni di

ogni singolo ideogramma, alcunipossono avere anche fino a 12tratti ciascuno. L’ordine con cuiogni singolo tratto dell’henzi vie-ne disegnato va infatti rispettato.Ogni ideogramma, o parte di es-so, ha un significato: tutte le frasidel gioco sono quindi composteda 9 caratteri. Una volta che il vo-stro occhio si è abituato a distin-guere uno dall’altro, non dovretefare altro che vedere qual è quellomancante per ciascuna riga o co-lonna del diagramma e tracciarlonel modo corretto. La difficoltà dimettere il carattere giusto nel po-sto esatto, in modo da completarecorrettamente la griglia del sudo-ku sposterà la vostra attenzionedalla noia di apprendere meccani-camente un carattere, alla sfidacon voi stessi per completare ilquadro. Divertendovi quindi ri-peterete più volte lo stesso ideo-

gramma imparandolo quasi senzaaccorgevene.«Grazie alla combinazione di unadidattica visuale e cognitiva e ungioco di concentrazione e strate-gia, si facilita e si accelera il proces-so di apprendimento, fissando cosìnella memoria caratteri e frasiscritti varie volte», spiega Padoan.Ma non è tutto perché l’autore havoluto anche sottotitolare la frasecon la corretta pronuncia cinese eha scelto pensieri che possono ser-vire a chiunque come «Quanto co-sta questo?», oppure «Per favore,mi porti all’hotel».E chiarisce: «Questo primo volu-me non è stato ideato solo per lostudente di cinese, ma dato il gran-de interesse che sta destando in Ci-na, anche per il turista e per coloroche viaggiano spesso in questopaese per lavoro, dando così la pos-sibilità di riconoscere i caratterifondamentali e più frequenti».Paolo Padoan ha 42 anni è sposatocon una ragazza tedesca, ma havissuto in giro per il mondo permolti anni. Subito dopo il diplomain corrispondente in lingue estere eperito aziendale, conseguito all’i-stituto Einaudi di Verona, ha co-minciato a viaggiare tenendo sem-pre viva la passione per la Cina chegenitori e nonni gli avevano tra-smesso. Una volta arrivato a Berli-no, in un periodo in cui lavoravaprevalentemente la sera, ha trovatoil tempo per dedicarsi a quella cheera la sua passione: lo studio dellalingua e della cultura cinese.

Attualità

inVERONA 13

«Grazie allacombinazione di una

didattica visuale ecognitiva e un gioco di concentrazione

e strategia, si facilita e si accelera il processo

di apprendimento,fissando così nellamemoria caratteri

e frasi scritti varie volte»

«Questo primovolume non è statoideato solo per lo

studente di cinese, maanche per il turista e

per coloro cheviaggiano spesso in

questo Paese perlavoro»

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Sport

Giugno 200714

ROLLERBLADE

Martedì da leonisui pattini a rotelle

Anche il sindaco Tosi ha provato l’ebrezza di un equilibrio precario e promette:«Ascolterò il popolo dei pattinatori per venire incontro alle loro esigenze»

Il codice della stradavieta l’utilizzo

di pattini sia sullestrade che sui

marciapiedi e liconfina nelle apposite

piste. Ma questo rendeancora più

trasgressivi, e quindipiacevoli, i raduni del

martedì sera

di Giorgia Cozzolino

Qualcuno lo ha ribattezzato un«martedì da leoni», citando un ce-lebre film. Per qualcun altro è unappuntamento da non perdere,indipendentemente dalle partitedi calcio che si trasmettono in tv;non c’è caldo o freddo che tenga,solo la pioggia li ferma e... a voltenemmeno quella. Sono i pattina-tori del martedì sera, una iniziati-va spontanea nata oltre dieci annifa da un gruppo di sparuti temera-ri appassionati di rollerblade. Nelgiro di poco tempo il passaparolali ha trasformati in un piccoloesercito che, nelle sere d’estate,

uscirono indenni dall’esperienza,seppur riuscendo ad andare asbattere contro ogni muro e can-cellata che si presentasse loro da-vanti. «Mi ero divertito parec-chio», confessa il sindaco, «è statoun audace esperimento. Io poi giàsono spericolato di mio, ma con ledovute protezioni è stato un girosicuro e divertente». E tradisce lavolontà di sostenere una iniziativapopolare tra i giovani e anche imeno giovani affermando: «Iocredo che se una rappresentanzadegli interessati chiedesse appun-tamento con me e con l’assessoreallo sport, Sboarina, ascolteremo

le loro proposte ed esigenze», spie-ga, «non ricordo che creasse parti-colare fastidio o problemi alla cit-tadinanza anche perché l’ora eratarda e non si rischiava di intral-ciare troppo il traffico, semmai bi-sognerà trovare un percorso assi-curativo per istituzionalizzare l’i-niziativa. In fin dei conti pensopossa anche essere un punto di at-trazione turistica», conclude.A Parigi, una cosa simile avviene ilvenerdì sera. A migliaia si ritrova-no sugli Camps Elisee per un girosui pattini e anche in Francia l’ini-ziativa era nata da un pugno di ap-passionati.

raggiunge numeri davvero consi-derevoli. Qualche anno fa ci fu unvero e proprio boom di pattinato-ri, tanto che si era reso necessarioun team di sicurezza che, congiubbetti catarifrangenti si ferma-va agli incroci per far passare i piùlenti e, a volte, fermare le auto. Iltutto nell’assoluta illegalità. Infat-ti, il codice della strada vieta l’uti-lizzo di pattini sia sulle strade chesui marciapiedi e li confina nelleapposite piste.All’epoca fu interpellato anche ilsindaco Michela Sironi, che perqualche estate fornì una scortamotorizzata di vigili urbani peraprire e chiudere il corteo. L’inizia-tiva er un momento di incontro edi attrazione della città per i vero-nesi e per i turisti. Aziende produt-trici di pattini e accessori facevanoa gara per accaparrarsi un postoper la propria bancarella all’Arse-nale, dove far provare a noleggio imodelli di punta. Poi, come tuttele mode del momento, la passioneper i pattini calò rimanendo peròancora un nutrito punto di ritrovoper molti.Anche l’attuale sindaco, Flavio To-si, che all’epoca era un consiglierecomunale, incuriosito dall’atten-zione che gravitava attorno allaparticolare serata, si fece convince-re dall’allora consigliere circoscri-zionale, Luca Coletto, (oggi asses-sore all’Ambiente della Provincia,ndr) a provare l’ebbrezza delle ro-telle. Mai indossati i pattini primadi allora, i due leghisti temerari,

Page 15: Verona In 15/2007

di Silvia Andreetto

A Verona il martedì sera per gliappassionati di Rollerblade è ungiorno importante. C’è una sim-patica iniziativa che va avanti or-mai da anni, “Il giro del martedì”,che interessa punte di 300 patti-natori.Tutto l’anno un gruppo di entu-siasti si presenta al bar dell’Arse-nale alle 21 con i pattini ai piedi equesta volta ci siamo anche noi diVerona in. Ci sono già i primi pat-tinatori che si scaldano. Mano amano che passano i minuti au-mentano le persone sulle ruote.Esperti, maestri di pattinaggio, cheper scaldarsi fanno esibizionimozzafiato, ma anche gente co-mune, ragazzi che hanno impara-to sbucciandosi le ginocchia, genteche si informa sul tipo di frenatada utilizzare in caso di pericolo,sulla lunghezza del tragitto dacompiere, sui punti critici. Moltisono qui per la prima volta e si do-mandano come funziona il tutto.Scopriamo, tra le altre cose, che ilgiro è lungo 18 chilometri. Cer-chiamo di farci un po’ coraggio,ma l’idea delle tre discese, un «po-chino» difficili di cui si vociferaqualche preoccupazione la desta.Alle 21.30 in punto siamo circa uncentinaio, iper attrezzati, con gi-nocchiere, parapolsi, gomitiere,lucette lampeggianti; alcuni, piùprudenti (ma anche forse più spe-ricolati), con il casco.Uno degli animatori, un po’ biz-

zarro, con dei pattini multicolor,dà il via. Il popolo dei pattinatorisi sposta verso il lungadige, dire-zione Borgo Trento, i più temerarisorpassano talmente veloci cheneppure ce ne accorgiamo. Fin daiprimi slanci ci sentiamo al sicuro:siamo circondati da gente, ma nontemiamo scontri.Dopo circa 300 metri abbiamo giàparlato con una decina di scono-sciuti. Età media trent’anni, ma cisono quindicenni e sessantenni.Senti la forza del gruppo fin da su-bito, c’è sempre qualcuno che siferma ad aspettare nei punti criti-ci: incroci, semafori, discese. A cir-ca metà di Lungadige Attiragliouna nuova fermata. Avevamo lasensazione di essere gli ultimi dellafila, ma una volta fermi scopriamoche ci sono ancora molte personeche arrancano nelle retrovie.Ripartiamo insieme e ancora i piùveloci scompaiono in avanti. Per-corriamo via Santini e poi via Ma-meli. Una lieve agitazione si fa sen-tire quando ci avvertono di unabrutta discesa nel tratto di stradache collega via Santini a via Ma-meli. Un ragazzo ci tranquillizza,dice di lasciarci andare, di rilassar-ci. Rallentiamo con la tipica frena-ta a «T» e ci rendiamo conto che ilproblema è facilmente gestibile.C’è un piccolo gruppo che vieneda Mantova per la prima volta, so-no tutti allegri e spensierati. Ci ri-

troviamo al semaforo di Via Ma-meli, all’altezza della pizzeria CàTrentina e ci dirigiamo verso SanGiorgio. Una breve salita e via sulPonte Pietra. Un ragazzo ci spiegache questo è il punto più critico,perché passata la prima metà delponte c’è una discesa e bisognastar attenti a curvare subito dopo,altrimenti si rischia di finire con-tro le auto parcheggiate di fronte.Ci vede titubanti e si offre di aiu-tarci a scendere. Ci aggrappiamo eriusciamo a passare anche questoostacolo. Ormai ci sentiamopronti ad affrontare qualsiasi dif-ficoltà. Proseguendo in via San-t’Anastasia ci si sente allegri espensierati, come una classe in gi-ta scolastica. La gente si ferma cu-riosa a guardare, le auto rallenta-no, a volte chi è al volante si mo-stra infastidito. Eccoci in PiazzaErbe dove c’è una breve sosta. Ciraccontano che spesso in quelpunto alcuni animatori fannouno spettacolo improvvisato.Cinque, dieci minuti di sosta e ri-partiamo. Ponte navi, direzionePorta Vescovo. In via XX settem-bre l’asfalto è liscio e c’è pochissi-mo traffico, alcuni pattinatori neapprofittano per sciogliersi, anda-re un po’ all’indietro, fare qualchepiccola acrobazia. Si torna verso ilcentro. Un ragazzo sui trentacin-que racconta agli amici: «Una vol-ta stavo con un tipa che odiava

pattinare. A un certo punto mi hadetto “scegli, o me o i pattini” e hocapito che non c’era futuro». Ci ri-diamo sopra e capiamo che non èsolo uno sport per chi lo pratica,ma qualcosa di più. Un altro ci di-ce di essere tornato dalle ferie pro-prio il martedì per non perdersi ilgiro con i pattini e che ripartirà ilgiorno dopo. Arrivati in via Maz-zini, quasi in fondo al gruppo, per-si in mezzo ai vari racconti, ecco“il trenino”. In quel punto infatti,fino a piazza Bra, generalmente ipattinatori si uniscono e formanoun serpentello, cercando di schi-vare le secchiate di acqua che avolte arrivano da parte di qualchecittadino che non apprezza l’ini-ziativa. Si sente il rumore dei pat-tini che sul liston di Piazza Bra se-mi vuoto, crea una particolaresuggestione. Passato l’orologiodella Bra, andiamo in Corso PortaNuova verso il quartiere Valverdee da li torniamo verso San Zenofacendo un tratto di Corso PortaPalio. Il percorso è quasi giunto altermine, i chilometri comincianoa farsi sentire. Arriviamo all’Arse-nale alle 23.25, stanchi da nonsentire più le gambe, ma felici. Chisi cambia, chi indossa le scarpe, equalcuno beve una bibita per pre-miarsi della fatica. Per due ore ci sisente parte di un gruppo, indiffe-rentemente dall’età, dalle idee,lontani dai problemi e dai pensie-ri di tutti i giorni. Ci si aiuta, ci sisostiene e si prosegue fino allameta finale.

Sport

15Il popolo dei pattinatori si riposa in Piazza Erbe

Verona In è sceso in pista

Page 16: Verona In 15/2007

Il pattinaggio non è solo rollerblade.Vi è un ramo di questo sport assolu-tamente ignorato dai più. Si tratta del pattinaggio artistico a rotelle.Vero-na è stata la patria di tante campionesse a livello nazionale e internazio-nale. Uno sport duro e difficile, fatto di quotidiani allenamenti e tanti sa-crifici, ma non essendo classificato tra gli sport olimpici, come il «fratellomaggiore» su ghiaccio, non è nemmeno più classificabile tra le disciplineminori ed è praticamente un’attività in via d’estinzione, nonostante lasua bellezza e le sue difficoltà.La mancanza di palestre adeguate ha fatto chiudere diverse società scali-gere, altre si sono fuse per far fronte alle difficoltà e quelle che rimangonosono in una lotta perenne per accaparrarsi le poche strutture rimaste incittà e in provincia, in orari spesso assurdi e a costi proibitivi.La vecchia «buca» di via Galliano, una storica piscina adattata decine dianni fa con dei corrimano alle pareti, era la valvola di sfogo per gli allena-menti in assenza di pioggia. Oggi, la mancanza cronica di manutenzione,ha trasformato quella pista in un cumulo di sassolini, buche e muschioche, di fatto, ne impediscono l’utilizzo. Solo recentemente la struttura divia Santini è stata coperta e dà un po’ di respiro ad alcune società. Altre siallenano da sempre nelle palestre ricavate sotto le tribune dello stadioBentegodi, stanze lunghe e strette intervallate da pilastri di cemento, cheservono per l’allenamento invernale, quando proprio all’aperto non sipuò andare. Anche il palazzetto dello sport è stato concesso a una società,ma con il contagocce e con tante polemiche sull’ipotetico logorio del par-quet a causa delle ruote. Non rimane che migrare fuori città, alle tenso-strutture di Vigasio e Castel d’Azzano.Anche qui in orari che poco si con-ciliano con l’attività giovanile e a costi esorbitanti.«Faccio pattinaggio artistico a rotelle da 15 anni», racconta Serena Mazzodi vent’anni, «e questo sport si è molto modificato ultimamente. Pur-troppo molte società hanno dovuto chiudere per mancanza non solo diatleti, ma anche e soprattutto di strutture, sia coperte che non, adeguatee di sovvenzioni da parte del comune o di enti. È uno sport che non«porta denaro», per cui a nessuno interessa pubblicizzarlo. Le pochepalestre che ci sono, inoltre, hanno un costo spropositato per ragazzeche spesso pagano tutto autonomamente. È comunque un peccato per-ché è un’attività molto armoniosa e adatta fin dalla tenera età». Dellostesso parere è anche Giorgia Cavalleri, 19 anni, che spiega: «Pattino dadiversi anni e mi accorgo che questo sport è sempre meno considerato.Le strutture sono inesistenti, di tanto in tanto qualcuno propone la co-struzione di una pista regolamentare al coperto, ovviamente mai co-struita. A Verona, ma anche a livello nazionale, il pattinaggio artistico èuno sport secondario, non se ne sente mai parlare, non si vedono maigare, manifestazioni, spettacoli alla televisione. Molti bambini e ragazziiniziano questo sport ma, anche a causa della scarsa organizzazione so-no costretti ad abbandonarlo». Aggiunge infatti: «A causa delle sedilontane, i genitori devono, oltre che accompagnare i propri figli, ancheaspettare la fine dell’intero allenamento perché un ritorno a casa sareb-be sconveniente».

Sport

Giugno 200716

Non solo rollerblade...Pattinaggio artistico a rotelle: uno sport di gioie e sacrifici

A Verona, ma anche a livello nazionale,il pattinaggio artistico è uno sport secondario,non se ne sente maiparlare, non si vedonomai gare,manifestazioni,spettacoli allatelevisione

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di Oreste Mario dall’Argine

Walter Chiari fu uno dei primi at-tori italiani a partecipare al famo-so Carosello; un po’ per soldi, maanche perché questo piccolo tea-trino faceva parte della professio-ne. Fino ad alcuni anni fa, graziead alcuni suoi amici di Verona,città dove era nato nel 1924, nel-l’anniversario della morte (avve-nuta il 20 dicembre del 1991 aMilano), veniva celebrata unamessa nella Chiesa di S. Zenetto:eravamo in pochi, ci contavamosulle dita di una mano, a ricorda-re quell’eterno ragazzo dagli oc-chi scuri e profondi.A Walter la vita andava stretta.Come stretto per lui era il palco-scenico, un set cinematografico,

lo spazio di uno show di un va-rietà televisivo.È improprio definirlo “comico”,perché come diceva lo stravagan-te giornalista, ma profondo co-noscitore di uomini, GiancarloFusco, Walter aveva commessoun solo peccato, quello di recita-re in Italia: in Francia sarebbestato alla pari di un mito comeMaurice Chevalier.Walter Annichiarico, in arteChiari era soprattutto un attore.Catalogato fra i comici, perché inItalia esiste un’incerta satirascritta, ma ahimè, la satira tea-trale è una somma di volgarità einsipienza. Definire Walter comeil Flaiano del Teatro Italiano nonè certamente un’eresia, anche secerti pseudo critici e certi pseudo

intrattenitori possono gridareallo scandalo.Era un attore che scherzava conla sacralità del Teatro. Indispetti-va gli autori che gli stavano ac-canto e che si sforzavano di rin-correre le sue improvvise ispira-zioni che alcuni definirono “cati-linarie” teatrali.Era un uomo, un personaggioparticolare, perché avrebbe volu-to che la vita non avesse spazitemporali, che i palcoscenici fos-sero piazze, il cinema e la televi-sione immensi schermi per en-trare nella vita della gente. Nonsopportava i copioni già confe-zionati; non riusciva, specie nelcinema, a sopportare le gerarchietradizionali di registi, attori eproduttori; rispettava però lepersone con un senso di umanitàraro nell’ambiente nel quale vi-veva.Quando con Visconti fece il suofilm più importante «Bellissi-ma», con quella donna e attricestraordinaria che fu Anna Ma-gnani, raccontava che quandoentrava sul set si sentiva come unragazzo al suo primo giorno discuola.Visconti creò un Chiari non solodiverso, lontano dagli schemiconsueti del palcoscenico, ma nefece la fotografia perfetta di unafigura tipica delle troupe cine-matografiche italiane: il furba-stro che spacciandosi per amicodel regista o del produttore inse-gue fini maldestri e anche inqua-

Cultura

Giugno 200718

IL PERSONAGGIO

Walter, il filosofodella comicità

Nato a Verona nel 1921, Walter Chiari era un attore che scherzava con la sacralitàdel Teatro. In televisione, da solo, inquadrato in primo piano «forava» lo schermo

e arrivava agli spettatori con una comunicabilità insuperabile

Fu uno dei primiattori italiani

a partecipare alfamoso Carosello.

Fino ad alcuni annifa, grazie ad alcuni

suoi amici di Verona,nell’anniversario della

morte, venivacelebrata una messa

nella Chiesa di S. Zenetto

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lificabili; l’amorale italiano tipi-co di un mondo dove c’è spazioper la mediocrità e l’ingannevolefurbizia.Le altre sue apparizioni cinema-tografiche ridussero la sua figuraad un manichino costretto inuna comicità tradizionale e sen-za creatività. Anche la sua fisici-tà, che faceva parte determinantedella sua presenza, era costrettada schemi vecchi e senza signifi-cato. In televisione, da solo, in-quadrato in primo piano, «fora-va» lo schermo e arrivava aglispettatori con una comunicabili-tà insuperabile. Chi ricorda ilsuo monologo del sommergibili-sta, non può non riconoscere lesue doti di grande attore. La suaintelligenza non lo portava maifuori misura, non gli consentivadi ricorrere agli stupidi doppisensi ma soprattutto gli impedi-va la volgarità.Attorno al suo personaggio sipotrebbe costruire una sociolo-gia del “riso”, tanto la sua figura èstata emblematica di una strate-gia del comico quanto enciclope-dica del ridere o del far ridere.«Fra costanti e variabili», scriveluigi Malerba, «è difficile stabili-re una morfologia del riso. Ep-pure anche il ridere ha le sue fra-si, i suoi r itmi, forse una suagrammatica e una sua sintassi».Mago insuperabile della passe-rella, intratteneva gli spettatoricome il primo della classe. Avevaquesto aspetto di buon ragazzodi famiglia al quale anche le piùseveri madri avrebbero dato insposa le loro figlie.Lavorò quasi sempre con una“spalla”, Carlo Campanini, chegli fu sempre amico, anche inmomenti difficili fino ad esserglifratello nel sopportare astuzie e

fragilità umane e teatrali.La loro imitazione dei fratelli DeRege resta un esempio di grandeteatro legato ai cannovacci dellaCommedia dell’arte, intelligen-temente adattati per nuovi tempie un nuovo pubblico.Pubblico che lui amava e rispet-tava; aveva il fiuto della plateache lo seguiva, per cui le sue bat-tute non erano mai scontate,uscivano dalla sua incredibile ca-pacità inventiva, senza spocchiae senza la forzata ricerca dell’ap-plauso.Chiamato a presentare divi delpiccolo schermo o a sostenerli inapparizioni difficili, sapeva tra-scinarli nella sua satira e nellasua irridente umanità. Solo conMina mostrò sempre un tenero eaffettuoso rispetto, perché perlui era la più grande cantante delmondo, ma soprattutto, comeera solito dire «una vera donna».Il suo rapporto con le donne èstato spesso motivo di favola e diinvenzioni giornalistiche; inrealtà egli conquistò donnegrandi e famosissime con il ri-spetto della loro femminilità. Lasua avventura più grande, se cosìsi può chiamare, la visse con AvaGardner, che a tutti sembrava ir-raggiungibile.Per essa Walter gioì e soffrì al di

là di ogni misura; soffrì per nonpoter far capire a questa donnabellissima quanto l’amore sia piùgrande della vita stessa. Con AvaGardner si telefonavano da ogniparte del mondo, occupandol’apparecchio per ore per le qualiil suo impresario, Elio Giganteimpazziva per pagarne i conti.Fra i tanti pregi, esemplari la sualealtà e la sua fedeltà alle amici-zie, e i molti difetti, uno su tuttiprevaleva: l’abitudine costante alritardo negli appuntamenti. Perlui l’orologio, il giorno e la nottenon esistevano e quindi gli ap-puntamenti erano pure formali-tà, invenzioni dei suoi impresari.Ecco perché a Walter, il tempo, lospazio stavano stretti ; i l suomondo, la sua vita non potevanosopportare confini o schemi pre-fabbricati. Correva sempre, lavo-rava scatenato, girando film, re-citando in teatro, raggiungendola sua donna di turno tutto inuna giornata. La sua vita era ed èstata una giostra continua, senzaposa e senza respiro.Il suo amico Campanini diceva:«Walter non dorme mai se nonquando non pensa». Pensava lavita, il teatro, l’amore, la gioia, lasofferenza e anche la cattiveriaumana quando questa lo colpìduramente.

Cultura

inVERONA

Visconti creò unChiari non solo

diverso, lontano daglischemi consueti delpalcoscenico, ma ne

fece la fotografiaperfetta di una figura

tipica delle troupecinematografiche

italiane: il furbastroche spacciandosi per

amico del regista o delproduttore insegue fini

maldestri e ancheinqualificabili;

l’amorale italianotipico di un mondo

dove c’è spazio per lamediocrità

e l’ingannevolefurbizia

Aveva il fiuto dellaplatea che lo seguiva,per cui le sue battute

non erano mai scontate,uscivano dalla suaincredibile capacità

inventiva, senzaspocchia e senza la forzata ricerca

dell’applauso

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Nelle foto a lato: Walter Chiari con Franca Valeriin Luv di Murray Schisgal.Con Lucia Bosè nel 1954, sul setdel film Vacanze d'amore.Con Ava Gardner, suo grandeamore, nel 1956.Con Ugo Tognazzi nel filmFemmine di lusso del 1960.Chiari con il pechinese di Un mandarino per Teo.Walter e Rascel in La stranacoppia. Con Delia Scala inBuonanotte Bettina.Il cast di Un mandarino per Teo,da sinistra: Alberto Bonucci,Sandra Mondaini, Walter Chiari,Ave Ninchi, Riccardo Billi

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Sono tre gli anniversari della liri-ca che toccano da vicino Verona.Si tratta dei 50 anni dalla mortedi Beniamino Gigli, i 60 anni daldebutto della «divina» MariaCallas, e i trent’anni di attività diLeo Nucci.Tre personaggi tanto diversiquanto originali e inimitabili chehanno segnato con vigore la sto-ria della lirica.Bocche cucite però in Fondazio-ne Arena sulle attività in pro-gramma per ricordare questi treanniversari. Di certo, visto cheLeo Nucci è impegnato in questastagione areniana sia nel Nabuc-co che nel Trovatore, sarà omag-giato di un premio alla carriera oqualcosa di simile, ma dalla diri-genza dell’ente non trapela nulladi ufficiale. Per quanto riguardala Callas, il suo debutto in Arenadel 2 agosto 1947 con la Giocon-da segnò l’inizio della sua travol-gente carriera, nonché del suotravagliato matrimonio con l’im-prenditore veronese GiovanniBattista Meneghini, certo nonpasserà sotto silenzio. I veronesinon possono infatti dimenticaregli anni in cui la «divina» calcavale scene areniane: memorabile fula sua Turandot del 1948, e poi ilsuo maggiore trionfo internazio-nale con la Traviata nel ’52, conAida e Trovatore nel 1953. Quellache secondo molti è stata la piùgrande cantante lirica del Nove-cento, non solo ha trovato a Ve-rona il suo primo importantepalcoscenico, ma nella città diGiulietta trovò anche il suo pri-mo grande amore. L’aveva volutain città l’allora direttore artisticodell’arena, Giovanni Zenatello,che incantato dalla sua voce leaveva offerto il ruolo principenell’opera di Amilcare Ponchielli,diretta da Tullio Serafin con la re-gia di Augusto Cardi, ruolo che laCallas tornò a recitare, sempre inarena, nel 1952, questa volta di-retta da Antonio Votto, per la re-gia di Riccardo Moresco. L’ultimavolta che la «divina» cantò nelmaggiore anfiteatro veronese funel 1954: interpretava Margheri-ta in Mefistofele, ancora direttada Votto per la regia di HerbertGraf.Bisogna andare più indietro negliarchivi areniani per trovare letracce del tenore di Recanati Be-

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Spettacoli

TRE ANNIVERSARI

Maria Callas,Beniamino Gigli

e Leo Nucci

niamino Gigli. Anche lui debuttònella Gioconda di Ponchielli. Ilsuo ruolo era quello di Enzo e lorecitò per la prima volta al teatrosociale di Rovigo nel 1914. MaVerona dovette attendere il 12agosto del 1929 per vederlo nelruolo di Lionello in Marta diFriedrich con Flotow. Furono so-lo due le date dell’opera in cartel-lone quell’estate, ma le cronachericordano che furono serate di

beneficenza per la «Colonia Rag-gio di Sole» e che furono segnateda una straordinaria affluenza dipubblico che «invade il palcosce-nico, sulle gradinate, oltre i limitidi sicurezza». Negli anni succes-sivi, Gigli è ancora protagonistadella scena areniana con L’Africa-na di Meyerbeer dove interpretaVasco de Gama (1932), nella Gio-conda e in Andrea Chénier nel1934. L’ultima sua eccezionalerappresentazione scaligera, a solisette anni dalla morte, è registra-ta nel 1950, quando interpretaDon Alvaro ne La forza del desti-no, diretto da Oliviero De Fabri-tiis, per la regia di Carlo Piccina-to. Nel 1990 però, Verona per ri-cordarlo gli dedica un concertodi tenori. Il direttore Anton Gua-dagno dirige cantanti del calibrodi Pietro Ballo, Carlo Bergonzi,Franco Bonisolli, Alberto Cupi-do, Peter Dvorsky, Salvatore Fisi-chella, Emil Ivanov, Mario Mala-gnini, Gianfranco Pastine, Vin-cenzo Scuderi, José Sempere,Anatoly Solovianenko, GiorgioTieppo e Nunzio Todisco.Pochi sanno che Leo Nucci, oggiconsiderato il maggior baritonoin carriera, prima del debutto in-ternazionale, nel 1978, alla RoyalOpera House Covent Garden diLondra, interpretò Mercuzio inRomeo e Giulietta di CharlesGounod, diretta da Michel Plas-son e con la regia di Gianfrancode Bosio, all’arena di Verona nel1977. L’anno seguente fu Sharlessin Madama Butterfly e solo diecianni dopo tornò in arena per fe-steggiare i 75 ani di vita musicaledell’arena insieme a Josè Carre-ras. Ma è con il 69° festival are-niano, nel 1991, che il rapportocon il teatro veronese diventa sta-bile per Leo Nucci. Da allora, conuna superba interpretazione diRigoletto, il baritono Bolognese,calca le scene dell’anfiteatro sca-ligero tutti gli anni interpretandole più belle opere e i ruoli piùprestigiosi, da I Pagliacci al Na-bucco, dal Barbiere di Siviglia al-l’Aida, dalla Traviata a Macbeth.Nel 1994 duetta con Placido Do-mingo in una serata in onore delgrande tenore, dove si esibisce inJago del primo atto di Otello, inMarcello nel terzo atto della Bo-hème e in Amonasro nel terzo at-to di Aida.

Leo Nucci all’Arena in “Pagliacci”. Sotto: Maria Callas in “Gioconda”

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di Nicola Guerini

«Arturo Toscanini, uno degli im-mortali della nostra epoca, non èpiù». È questa la notizia che la mat-tina del 16 gennaio 1957 svegliauna New York fredda e nevosa.Il maestro si era spento nella suacasa di Riverdale all’età di quasinovant’anni. La sua lunga vita hainizio a Parma, il 25 marzo 1867. Ilpadre sarto, la madre cucitrice, Ar-turo cresce tra cupi silenzi e accesilitigi. Il padre, infatti, è un ex gari-baldino, che preferisce intrattener-si con gli amici davanti a un bic-chiere di buon vino, piuttosto checonfezionare abiti o aiutare la mo-glie Paola. Se i coniugi Toscanininon sembrano accorgersi dell’in-teresse che il figlio nutre per lamusica, non tarda a notarlo lamaestra Vernoni, che si offre perdare lezioni gratuite di solfeggio epianoforte al bambino. A nove an-ni Arturo Toscanini è ammesso alconservatorio di Parma. Lo stru-mento assegnato al giovane talen-to è il violoncello e Arturo comin-cia a farsi notare, non solo dagliinsegnanti, ma anche dai compa-gni che gli affibbiano il sopranno-me di «genio» e «forbicione», peril suo senso critico.Il 21 luglio 1885 Arturo si diplomain violoncello e pianoforte con ilmassimo dei voti. Ha le idee chiaree preferisce eseguire la musicapiuttosto che comporla; studiarla,capirla, farla propria, per poi tra-

smetterla al pubblico. Fresco diconservatorio, firma un contrattocome violoncellista per una stagio-ne d’opera italiana in Brasile. Ilgiovanotto che sbarca a San Paolodimostra più dei suoi diciotto an-ni. Lo sguardo serio, a tratti acci-gliato, non lascia trasparire nessu-na emozione.Dimessosi il direttore d’orchestra,perché accolto freddamente dallacritica, a sostituirlo è chiamato lui,Arturo Toscanini, che dopo la reci-ta di Aida viene acclamato da unpubblico scrosciante di applausi erichieste di bis.Gli onori e la gloria, però, li lasciaoltreoceano, perché, al suo rientroin Italia, lo aspettano i teatri diprovincia e la vita da girovago.Vivea Milano in una piccola casa al nu-mero 16 di via San Vito che divide-rà con i genitori e le due sorelle. Ilpadre trova lavoro come tagliatoreai grandi magazzini Fratelli Bocco-ni (ribattezzati Rinascente dopol’incendio che li distrugge), ma aprovvedere alla famiglia, non sen-za sacrifici, è Arturo. Nel frattem-po Giuseppe Verdi è intento neipreparativi del suo Otello, che an-drà in scena alla Scala. Il giovanot-to di Parma non si fa certo sfuggi-re l’occasione di suonare per ilMaestro, così non esita a farsiscritturare come secondo violon-cello.Se Verdi mostra subito un occhiodi riguardo per quel ragazzo dall’a-ria rigida e severa, il direttore d’or-

chestra lo multa spesso per la scar-sa considerazione che mostra neisuoi confronti e verso il sopranoche impersona Desdemona.I soldi scarseggiano e, nella nuovasistemazione di via Torino, la fami-glia Toscanini si offre di prenderegente in pensione, a condizioneche gli ospiti amino la musica. Ar-turo dirige una stagione d’opera alDal Verme e poi al teatro Carcano,suscitando le prime polemiche trai palchettisti, a cui chiede di rispet-tare l’orario d’inizio dello spetta-colo, abituati come sono ad entrarein sala quando preferiscono. Du-rante la sua attività al Teatro Regiodi Torino aveva avuto occasione didirigere alcune “prime” di portatastorica: la “prima assoluta” dellaBohéme di Giacomo Puccini(1896) e, nello stesso anno, la “pri-ma italiana” del Crepuscolo degliDei di Richard Wagner. Intanto laScala attraversava un periodo dicrisi: la stagione 1897-1898 fu can-cellata per motivi economici e sul-l’ingresso principale del celebreteatro venne affisso un cartello conscritto «Chiuso per la morte delsentimento artistico, del buon sen-so, del decoro cittadino».A risollevare le sorti di uno deisimboli di Milano ci pensò il tren-tunenne Arturo Toscanini, affian-cato da un docile quanto astuto in-gegnere di Ferrara, Giulio Gatti-Casazza, a cui è affidata la parteamministrativa. I due vanno moltod’accordo, anche perché il Maestro

si riserva l’ultima parola sulla scel-ta di cantanti e orchestrali, sul nu-mero di prove che devono prece-dere uno spettacolo e sulla datadella prima. Quella che Toscaninimette in atto alla Scala è una vera epropria rivoluzione dei costumi:luci spente in sala, sipario che sichiude al centro al posto di quellocalato dall’alto, ingresso vietato airitardatari, niente bis e niente cap-pelli per le signore in platea. Arrivapersino a negare al duca UbertoVisconti di Modrone, uno deimaggiori finanziatori del teatro, lapossibilità di salire sul palcosceni-co. Più che un direttore, insomma,un dittatore, che non esita a dichia-rare guerra alla Milano bene. Mol-ta stampa lo critica, dedicandogliarticoli come «Le prodezze di Bar-bableu», in cui si scrive «Toscanini,il fortunato campagnolo portatodal cieco caso all’onore del trionfo,è l’assoluta rovina finanziaria edartistica della Scala».Nel 1901 muore Giuseppe Verdi eil 27 febbraio Toscanini dirige il Va’pensiero sulla scalinata del Cimite-ro Monumentale, mentre la salmaveniva portata alla Casa di Riposodei musicisti.Quel suo primo periodo alla Scala,durato dal 1889 al 1903 e ripresopoi dal 1906 al 1908, fu segnato damemorabili rappresentazioni diopere di Verdi e di Wagner, ma an-che della “prima per l’Italia” delPellèas et Mèlisande di Debussy(1908). Alcuni screzi, però, di na-

Musica

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Toscanini,grande genio della musica

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TEATRO STABILE DEL VENETO “CARLO GOLDONI”

COMUNE DI VICENZA

6 0° CICLO SPETTACOLI CLASSICI 2007TEATRO OLIMPICO

direzione artistica Luca De Fusco

FILOTTETEdi Sofocle, traduzione Angelo Tonellicon Pino Micolregia Giuseppe Mariniproduzione Società per Attoridal 27 al 30 settembre 2007

ONE MAN"Tell-Tale Heart" di Edgar Allan Poee "Actor" di Steven Berkoffrecital di Stefan Berkoff (in lingua inglese)5 e 6 ottobre 2007

ELETTRAdi Sofocle, traduzione Caterina Baronecon Lina Sastriregia Luca De Fuscocoproduzione Teatro Stabile del VenetoTeatro Stabile di Cataniail 16,17,19,20 e 21 ottobre 2007

PREMIO ETI – GLI OLIMPICI DEL TEATROCerimonia di consegna della Vª edizioneVenerdì 14 settembre 2007

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Musica

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tura economica con Uberto Vi-sconti di Modrone, insieme all’in-sofferenza per i bis, spinsero ilMaestro ad allontanarsi dalla sce-na, durante la rappresentazione del“Ballo in maschera”, dichiarandodi essere stato colpito da un’emor-ragia. Nel 1908, il segretario delMetropolitan di New York è a Mi-lano per la firma dei contratti diToscanini e Gatti-Casazza: OttoKahn, presidente del più impor-tante teatro d’opera americano,vuole l’ingegnere come direttoreper la stagione successiva; questiaccetta ponendo come unica con-dizione l’avere con sé il maestro.Al termine della guerra (1918) To-scanini volle procurare al Teatroalla Scala, insieme ad altri illumi-nati milanesi, nuova autonomia esplendore artistico.Il periodo durò dal 1921 al 1929 esegnò l’apogeo del gran teatro mi-lanese, oltre, forse, che il culminedella carriera toscaniniana. La Sca-la irraggiò sul mondo artistico, co-me un faro, la luce del melodram-ma. Numerose ed importanti “pri-me assolute” furono dirette dalMaestro, fra cui Debora e Jaele diPizzetti (1924), il postumo Neronedi Boito (1924) e la postuma Tu-randot di Puccini (1926); il reper-torio dominò con interpretazionidi grande qualità e possiamo direche da quel momento la Scala di-venne un “teatro a repertorio”. Ol-tre alla vasta programmazione sin-fonica Toscanini accostò, come ar-tisti d’eguale grandezza, Verdi conWagner, in un periodo in cui a chigridava “Wagner, non Verdi” c’erachi rispondeva “Verdi, non Wa-gner”. Toscanini propose, ed impo-se la formula “Verdi e Wagner” di-mostrando, con letture memorabi-li, la fondatezza della qualità deidue compositori.Venne il momento, però, in cui eglilasciò la Scala; vennero gli anni incui si astenne dal dirigere in Italia,per ragioni di stampo politico. ANew York gli avrebbero costituitoun’orchestra apposta, tutta sua; poiegli dirigeva in Europa, a Bayreuth(unico direttore non tedesco, invi-tato fino ad allora nel tempio wa-gneriano), quindi a Salisburgo e aLucerna.Se durante la grande guerra Tosca-nini fu impegnato all’Arena di Mi-lano, così come al fronte, in una se-rie di concerti a favore dei soldati,

piuttosto che dei profughi, nel 1931venne coinvolto in uno spiacevoleincidente che lo costringe all’esilio:il rifiuto di eseguire la Marcia Realee “Giovinezza!”al Comunale di Bo-logna davanti ai gerarchi fascisti.Nel secondo dopoguerra è una Mi-lano sventrata e piegata quella incui torna l’ormai anziano Toscani-ni. La sua casa in via Durini vennemessa a disposizione dei bisognosi,mentre lui trascorreva, nella villa diRipalta Guerina, i giorni che anco-ra lo separavano dall’atteso ritornoalla Scala. L’11 maggio 1946, la bac-chetta del Maestro volteggia nell’a-ria riempiendo il teatro con le com-

moventi note del Nabucco. I mila-nesi, che non trovarono posto insala, invasero la piazza e le stradevicine, ascoltando la musica attra-verso gli altoparlanti.Il taciturno e caratteriale maestro,dopo aver dedicato la vita a sentirela musica, si rifugiò a New York, tral’affetto dei suoi figli e il 4 aprile del1954, alla Carnegie Hall di NewYork, Toscanini diresse il suo ulti-mo concerto. Nessuno fra i presen-ti sapeva della decisione irrevoca-bilmente presa per evitarne l’emo-zione. Quando il Maestro invece siabbandonò al gesto, fissato dallafotografia, tutti pensarono ad

un’improvvisa amnesia. Scese dalpodio e gli sfuggì la bacchetta dimano. Un professore dell’orche-stra la raccolse, gliela porse. Tosca-nini si avviò all’uscita, come se nonavesse visto. Durante il Capodan-no del 1957 ebbe un cedimentoimprovviso e solo dopo nove crisid’emorragia celebrale la sua formi-dabile fibra cedette. Di lì a due me-si avrebbe compiuto novant’anni.La salma fu portata in aereo in Ita-lia e il 18 febbraio fu traslata al Ci-mitero Monumentale di Milano. Ilcarro con il feretro fu fatto sostaresotto il portico della Scala; la piazzaera colma di gente e così la Galleriae le vie adiacenti. Il portone delteatro era spalancato. Erano le un-dici del mattino. L’orchestra eradisposta sul palcoscenico e VictorDe Sabata, che dal 1953 non diri-geva più, salì sul podio per intona-re la “Marcia funebre” dell’Eroicadi Beethoven. La musica si diffusenella piazza attraverso gli altopar-lanti mentre tutta la Milano che loaveva amato ascoltava commossain silenzioso raccoglimento.

di Nicola Guerini

«Se quando dirigo c’è qualcosache non va’, è perché io non hocapito bene l’autore. Tutta colpamia! Chi pensa che Mozart, Bee-thoven, Wagner, Verdi abbianosbagliato e siano da correggere, èun imbecille. Bisogna studiare,

capire meglio. I grandi non hanno scritto la musicaper far fare bella figura a me. Sono io che devo farfare loro bella figura, rivelandoli come sono, avvici-nando più che posso me e l’orchestra ad essi, dimodo che non passi neppure un filo d’aria. Il diret-tore non deve creare, deve eseguire, Umiltà, fedeltàchiarezza... umiltà. Ecco le sue doti!... è tanto sem-plice eseguire la musica com’è scritta!». Tutte le leg-gende sul cattivo carattere di Toscanini nascono dalsuo comportamento durante la concertazione e so-no fiorite su realtà ben precise.Per esempio il Maestro provava più volte i passaggi«pericolosi» per l’orchestra, controllando l’equili-brio delle diverse sonorità e le rilevanze ritmiche.La sua caparbia fedeltà alla musica, come una cosasacra a cui dedicare la vita, il suo orecchio sensibi-lissimo, l’incredibile capacità mnemonica e la co-stante ricerca del «bel suono» hanno fatto di lui un

interprete pignolo ed esigentissimo: «Noi siamodemocratici», disse una volta ai suoi orchestrali,«ma in arte siamo aristocratici».Durante una storica prova del Don Giovanni diStrauss con l’orchestra della Scala (3 settembre1949) i ripetuti tentativi di correzione portaronoToscanini ad un’irruente esplosione: «Ma questanon è l’orchestra della Scala! Sembra una di quellevecchie orchestre in cui la metà dormono e la metàleggono il giornale!». Poi, dopo qualche ripetizione,venne l’approvazione: «Ecco adesso abbiam fattobene!» spiegando: «Signori, io voglio tutto da voi,così come io do tutto!».Ad un tratto però grida indignato e l’accento par-migiano si fa sentire: «Ma ve’! C’è della gente quiche mi ruba le note! Non sono ancora sordo sape-te!». Spezza e getta via la bacchetta e smette di diri-gere. È inferocito. Poi si calma, e fa ripetere il puntoincriminato, due, quattro, dieci volte fino ad esseresoddisfatto.«Ma lei Maestro, si rende conto di essere il direttorepiù grande del mondo?», qualcuno una volta glichiese e lui, dopo un breve silenzio, rispose: «Iogrande? Ma che cosa è grande? Io non faccio altroche eseguire. Grandi sono Beethoven, Wagner, Ver-di e gli altri. Io.. non sono che un umile loro inter-prete».

Il carattere Toscanini

MUSICALMENTE

4 aprile1954, l’ultima direzione di Toscanini alla Carnegie Hall di New York

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MOSTRE IN CITTÀ

Estate tempo non solo di spetta-coli ma anche di mostre nella cit-tà scaligera.È ormai al termine (29 luglio) Ilsettimo Splendore. La modernitàdella malinconia che dal 25 mar-zo ha visto a Palazzo della Ragio-ne duecento capolavori di Botti-celli, Giorgione, Rosso Fiorenti-no e ancora El Greco, Tintoretto,Caravaggio fino a Michelangelo.Ingresso gratuito per la mostraitinerante, fino ad ottobre, chel’Associazione Rivela ha organiz-zato per la Provincia di Veronacon Cézanne. L’espressione di quelche esiste è un compito infinito,dove emerge tutto il realismodell’artista francese e la sua bio-grafia.Fino a settembre al Museo ScaviScaligeri, tutti i giorni sarà possi-bile ammirare l’archivio delloStudio Tommasoli in Oltre l’Ar-gento dove si trova la storia, l’ar-chitettura, gli eventi e la gente diVerona attraverso un secolo discatti fotografici.Per g li amanti della storia inesposizione al Teatro Romano,fino ad ottobre, Antichi Vasi diBronzo dal V al I Sec. A.C.Chi vuole godere di una passeg-giata esclusiva può gustarsi sullemura di Castelvecchio le installa-zioni artistiche di Herbert Ha-mak: 18 lastre lunghe 4 metri po-ste a cavallo delle merlature erealizzate in resina e pigmentoblu. Termina il 30 ottobre.La scarpetta di Venere, in via S.Fermo 4, accoglie la personale diAlice Castellani Immaginario ur-bano, città tra sogno e realtà finoal 31 luglio. La mostra, ad ingres-so libero, è la riflessione perso-nale dell’artista sulla città creatagrazie alla pittura e a nuovi espe-rimenti.Saranno numerose le installazio-ni che prenderanno vita nellacornice dell ’Ex-arsenale au-stroungarico dal 7 al 15 luglio,per l’occasione trasformata inArTsenale. Esporranno le loroopere Gennaro Mungivera, LucaBronzato, Marco Crivelli, Fran-cesca Amato Arragon, Creative-souls, Andrea Dorigatti, SergioDavarda e Nicola Degianpietro.L’entrata a offerta libera, sarà de-voluta ad Amici di Pio Onlus per

il finanziamento di un CentroInfantile nelle Ande Ecuadore-gne. Occasione speciale ancheper gli artisti emergenti che po-tranno portare all’ArTsenale ilproprio book (amicidiopio.org).

MOSTRE FUORI CITTÀa cura di M. Grazia Tornisiello

Fulvio Pendini I volti di Padova (Pd)Fino al 4 novembre il Comune diPadova celebra Il centenarioDella nascita di Fulvio Pendinicon una personale, allestita neiMusei Civici agli Eremitani.Un’occasione, sia per ricordare,

approfondire e riscoprire un ar-tista che per mezzo secolo è statoprotagonista della scena cultura-le cittadina e nazionale, sia perripercorrere gli anni crucialicompresi tra le mostre sindacalidegli anni Trenta e lo scoppiodelle neo-avanguardie degli annisessanta.

Clinio Giorgio BiavatiAltis, il mito impuro (Bs) Da non perdere la mostra di Bia-viati che indaga sul “feminino”,sulla sensibilità sottintesa, sullabellezza. Nelle sue immagini lafigura della donna è centrale etutto ruota intorno a questa pre-senza. È un mondo immaginato,

vagheggiato, in parte ricordato.Ma non per questo meno attua-le. Aperta fino al 9 settembre nelMuseo Ken Damy.

Gea CasolaroPermanente Presenza (Rovereto)Il Comando Regionale Trentino-Alto Adige Della Guardia di Fi-nanza celebra il 233° anno dallasua fondazione, con un’esposi-zione che vuole valorizzare l’im-pegno del Corpo nella vita civileitaliana. All’artista romana GeaCasolaro, è stato affidato il com-pito di documentare, con il suoattento “occhio fotografico” e lasua indubbia vocazione alla let-tura dei fenomeni più interes-santi della vita sociale, il lavoroquotidianamente svolto dallaGuardia di Finanza. Al Mart, fi-no al 23 settembre.

52a Esposizione Internazionaled’Arte – Pensa con I sensi – Senticon la mente. L’arte al presente(Ve)Si è aperta il 10 giugno e si con-cluderà il 21 novembre, la 52°Esposizione Internazionaled’Arte curata da Robert Storr. Lamostra centrale (alle Corderie eparte delle Artiglierie dell’Arse-nale e nel Padiglione Italia aiGiardini) presenta un centinaiodi artisti provenienti da tutto ilmondo con opere, anche site spe-cific, e nuove produzioni. Com-pletano l’esposizione le 76 parte-cipazioni nazionali e i 34 eventicollaterali che allestiscono pro-prie creazioni anche nel centrostorico cittadino.

Il tempo nelle Icone Russe (Vi)Chiuderà I battenti il 19 agosto,nelle Gallerie di Palazzo LeoniMontanari, la minimostra “Raf-figurare Il Tempo. Le icone deimesi nella tradizione russa”,quarto appuntamento della ras-segna denominata “Oriente Oc-cidente”, la serie di piccole espo-sizioni proposte gratuitamente eallestite con cadenza periodica alpiano terreno delle Gallerie. No-ve icone russe cosiddette meno-logiche che potrebbero essereconsiderate icone-calendario, inquanto ciascuna raffigura i santie le feste liturgiche celebrate al-l’interno di uno o più mesi del-l’anno.

Mostre

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di Alessandro Norsa

L’ultima volta che ho sentito dire da qual-cuno: «Lei è un maleducato» era il 1976. Apronunciare la frase fu una signora anzia-na che aveva visto sottrarsi la possibilitàdi sedersi da un uomo di media età in unautobus affollato. Ricordo che al tempoquesto tipo di situazione era un fatto ab-bastanza eclatante, che normalmente pro-vocava il dissenso generale e molto spessol’imbarazzo dell’interessato.Gli episodi di inciviltà e sopruso si sononel frattempo via via moltiplicati.Mosso da questo argomento ripenso alleparole «estinte», che avevano un senso re-golatore di un vivere civile e riguardoso:signorilità, pudore, cortesia, rispetto; laperdita dell’uso delle parole significa chesi è perduto anche il comportamento col-legato. Mentre un tempo ci si potevaaspettare un comportamento più o menoeducato da alcune persone rispetto ad al-tre, attualmente la maleducazione sembradilagare ed essere un comportamento co-mune a tutte le età e a tutti i livelli sociali:uomini, donne, bambini, operai e diri-genti.Non c’è neppure un luogo rappresentati-vo di questo mal costume: può essere allafermata del bus o nella sala d’aspetto deldottore, ma anche alla posta o al super-mercato, ma il luogo principe in assolutodella maleducazione è la strada.Esempio dell’altro giorno che mi ha la-sciato un certo senso di stupore, ma allostesso tempo di r if lessione e forse dipreoccupazione: una signora che ha ta-gliato la strada ad un altro automobilista,il quale vistosi a mal partito ha frenatobruscamente il mezzo e, forse per lo spa-vento, ha suonato il clacson; dall’altraparte la signora accelerando ha iniziato asuonare all’impazzata facendo dei gestacciben poco signorili.Credo che questo tipo di atteggiamentosia così diffuso e notorio che i limiti della maleducazione si siano spostati oltre il

concetto stesso, fondendosi con i segnalida una parte della delinquenza, dall’altradelle difficoltà psicologiche. Infatti, par-lando proprio della situazione di prima,un amico mi ha citato a suo dire un altroesempio di maleducazione che riguardavaun passante che stava per essere investitosul marciapiedi che stava attraversando.In questo caso, a mio avviso, non ci tro-viamo di fronte ad un esempio di man-canza di educazione ma di una azione de-linquenziale o para delinquenziale.Se siete stupiti delle mie parole, potetepensare che in una situazione solo un po’più marcata di questa, è rimasta vittimauna ragazza uccisa nella metropolitanadalla punta di un ombrello.Il non pensare alle conseguenze delle pro-prie azioni porta poi a dire, come poi è av-venuto nella situazione appena descritta,«mi dispiace, non volevo... ». L’educazio-ne e l’attenzione al prossimo, allora, nonsolo hanno un senso normativo e sono unsegno di civiltà, ma cautelano e garanti-scono a volte anche la salute o la salvezzadelle persone.Se cediamo il posto in autobus ad un an-ziano forse evitiamo che si rompa un fe-

more cadendo, se spegniamo il cellularein un Ospedale evitiamo che si possa adesempio compromettere il buon funzio-namento delle apparecchiature elettrome-dicali. Il problema di fondo è che il con-cetto di maleducazione è strettamente le-gato al suo opposto: l’educazione; ma semancano dei buoni agenti educativi man-ca di riflesso anche il suo prodotto.Credo che molte responsabilità siano daimputare al nuovo modello di famiglia.Dai dati che posso ricavare anche dal miolavoro proprio con questa utenza, il nu-mero di persone che dedicano, per motividi lavoro o personali, parecchio tempofuori dalle mura domestiche lascianomaggiormente soli i figli, o nel miglioredei casi con i nonni. Se non c’è nessunoche si prende cura dei figli non c’è possi-bilità di trasmettere regole ed il senso deilimiti tra il comportamento accettabile equello non opportuno.Se manca qualcuno che determini che unatteggiamento è non rispettoso o superfi-ciale o addirittura dannoso, se manca l’i-dea dell’imbarazzo di fronte alle propriescorrettezze, vuol dire che manca il sensodel limite e questo è fatto grave perchépredispone sia al comportamento incivileche a quello delinquenziale e a quello pa-tologico.La scuola non può sostituire la famiglia inquesto compito, e i nonni per diversi mo-tivi non possono prendere il posto dei ge-nitori. Il problema si aggrava col passaredelle generazioni, poiché se un comporta-mento non viene appreso non può esseretrasmesso; per cui se viene saltata l’educa-zione di una generazione, quella successi-va si trova senza un bagaglio culturale enormativo da trasmettere.La maleducazione significa perdita di va-lori portanti, e questo è un conto che lanuova società fondata sul denaro sta pa-gando. La maleducazione è la frontieradella nuova inciviltà.

IMPARARE A VIVERE MEGLIO

A volte la maleducazione è l’anticamera della delinquenza

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L’educazione e l’attenzione al prossimo non solo hanno

un senso normativo e sono un segno di civiltà,

ma cautelano e garantiscono a volte anche la salute

o la salvezza delle persone.Il problema di fondo è che

il concetto di maleducazione è strettamente legato al suoopposto: l’educazione; ma semancano dei buoni agentieducativi manca di riflesso

anche il suo prodotto

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di Giuseppe Brugnoli

Era un uomo di poche parole, Mario Pigoz-zi, schivo e riservato, e parlare di lui, a tre an-ni dalla sua improvvisa scomparsa, probabil-mente non gli fa nessun piacere. Ma la sua fi-gura merita di essere ricordata come un’ico-na di quel mondo ormai quasi definitiva-mente scomparso che gli fu sommamentecaro, e in cui nacque e visse in una solitudineche pareva austera, con il suo carattere rudee talvolta scontroso, ma che invece era ralle-grata, oltre che dalla presenza di una moglietenera ed affettuosa, da una vasta cerchia diamicizie di gente quasi tutta come lui, concui condivideva soprattutto il suo grandeamore per la montagna. Non la montagnadelle alte cime e delle imponenti spedizioniper scalare le vette famose, ma una monta-gna semplice e accessibile, domestica e quasicasalinga, qual è la Lessinia: in fondo, è rima-sta la montagna vera, non oppressa e deva-stata da un turismo massiccio e invadente,come le vallate pettinate e cartolinesche chepaiono allineate su un bancone di supermar-ket, ma meta di escursioni un po’ selvatichedi corto raggio e di soggiorni riposanti, incui il contatto con la natura agreste e i suoiscarsi abitatori non è un modo di dire obso-leto, ma una onesta ancorché modesta espe-rienza quotidiana.Dal suo mutismo difficilmente perforabile,da cui usciva con antichi motti proverbiali eficcanti e ironiche notazioni di costume, Pi-gozzi si era liberato negli ultimi tempi dellasua vita, che non fu lunga ma sempre labo-riosa, avendo scritto, con il consueto pudoree l’ormai costituzionale asciuttezza, un pic-colo libro, pubblicato a sue spese, “Liberi!”,che raccontava le vicende della sua primagiovinezza, quando, alpino della Julia, resi-stette nella caserma di Bolzano agli attacchidei tedeschi subito dopo l’8 settembre 1943.Fu ferito, fatto prigioniero, portato a Mau-thausen, quindi in altri campi di interna-mento e, dopo il 25 aprile 1945, trasferito daun ospedale militare all’altro e sottoposto aduna serie di difficili interventi chirurgici. Po-tè tornare a casa solo dopo sette anni dallaLiberazione, nel 1952, dichiarato grande in-valido di guerra.

Quel libro ha pagine bellissime, di intensa econtenuta commozione, soprattutto nel ri-cordo degli amici e dei commilitoni caduti omorti di stenti durante la lunga prigionia.Mai una parola di condanna, in una prosadisadorna, senza alcun orpello stilistico, eper questo tanto più efficace, con passagginarrativi di rara sobrietà, che richiamano al-la mente esempi più illustri di scrittori cheproprio da similari vicende di quel periododifficile e arduo trassero motivo per libri digrande successo. Se è vero che «Se questo èun uomo» di Primo Levi riassume in manie-ra esemplare le sofferenze degli ebrei rin-chiusi nei campi di eliminazione, e se «Il ser-gente nella neve» di Mario Rigoni Stern e«Centomila gavette di ghiaccio» di GiulioBedeschi costituiscono il racconto esemplaredella tragica ritirata di Russia, si può affer-mare che questa testimonianza di prima ma-no portata in un libro di scarsissima diffu-sione, perché affidato da Pigozzi ad una ri-stretta cerchia di amici, è un documentounico per la memoria di una tragica epopeaancora quasi sconosciuta, come quella dellecentinaia di migliaia di militari italiani inter-nati dalla Germania dopo l’8 settembre, iquali non avevano neppure lo status giuridi-co riconosciuto ai prigionieri di guerra dalleconvezioni internazionali, e non ebbero nes-sun riconoscimento dopo la Liberazione.Anche solo con il titolo che egli volle dargli,“Liberi!” è un inno alla libertà, non soltantoquella che egli amava nei liberi spazi dellasua montagna, ma anche e soprattuttoquella libertà morale, fatta di profondi con-vincimenti nei principi fondanti della so-cietà civile, che egli professava. “Liberi!”Mario Pigozzi lo portava e lo illustrava nellescuole della vallata dell’Alpone e in altre zo-ne, dovunque lo richiedessero, ed era moltosoddisfatto di questo ultimo impegno dellasua vita, come diceva e come poi fu. Ritene-va importante richiamare la coscienza civilenei ragazzi di oggi, che negli effimeri mi-raggi del consumismo stanno perdendo gliantichi valori sui quali si è stabilita per se-coli, nella sobrietà, nella schiettezza, nell’a-more per le cose vere, l’antica civiltà dellenostre terre.La sua vita fu piena di interessi culturali.

Amico e sodale dello scultore Mario Salaz-zari, fu partecipe attivo di una cerchia di ar-tisti che intorno a lui si era quasi natural-mente formata, e fu collaboratore di Bertinda Cogolo nell’ispirare e seguire molte dellesue collaborazioni, così che gli venne spon-taneo provarsi anche nella scultura; cosìrealizzò incidendole pazientemente in legnidiversi un’ampia serie di riproduzioni dellefamose “colonnette” che un tempo segnava-no i crocicchi dei sentieri sull’Alta Lessinia,e molte delle quali poi sparirono sottrattedall’incuria e dalla disattenzione.Oggi, il nipote Guido, anch’egli artista e pit-tore, autore tra l’altro di splendidi paesaggitra il sogno e la realtà delle alte terre lessini-che, ne ha fatto una completa catalogazio-ne, che ha interessato anche ricerche uni-versitarie. Ma di lui rimane anche una seriepreziosa di documentari, che con grande ri-gore tecnico e animati da una sottile poesiaraccontano la «Flora alpina della Lessinia»,il «Museo dei fossili di Bolca», «La carbo-naia», da lui ricostruita secondo le antichetecniche per poterne ritrarre il ritmo dellalavorazione, «Il maglio» che riproduce inmovimento l’ultima pressa idraulica ancorain attività nell’alta val di Ronchi, e decine dialtri film sempre dedicati alle sue monta-gne, oltre ad una serie su «La storia di Vero-na» con immagini inedite commentate dainsigni studiosi e cattedratici, che la suamorte ha lasciato interrotta all’ultimo film.Fu anche, oltre che regista e coscienziosomontaggista della prima televisione vero-nese, Televerona, alla quale dedicò la suaopera fino al suo assorbimento in Rete 4,fondatore e direttore per un decennio delFilmfestival della Lessinia, ora ospitato aCerro, al quale volle dare fin dalla primaedizione un’impronta nettamente scientifi-ca, lontana dalle facili riprese di feste devo-zionali paesane, e che proprio per questoassunse validità e fama a livello internazio-nale, richiamando opere in concorso dal-l’intera Europa. Fu insomma, nonostante leprofonde ferite di cui portava l’indelebilesegno, e che mai egli rammentò, un uomovivo e attivo, di cui è grato ricordare l’operae conservare la memoria, perché la sua ami-cizia era schietta e serena.

I RICORDI DI UN GIOVANE CRONISTA

Mario Pigozzi, dalla prigionia all’arte

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di Michele Domaschio

Cosa c’entra il Perù con tangento-poli? La risposta a un quesito tantoassurdo la si può trovare, anzi vede-re, nel bel mezzo della popolosa ca-pitale del paese sudamericano, Li-ma. Basta alzare lo sguardo, e ci sitrova di fronte a una chilometricametropolitana di superficie, soste-nuta da piloni di cemento che lamantengono sospesa a una trenti-na di metri dal suolo. Peccato chel’opera non sia mai stata terminatae così, di punto in bianco, il serpen-tone di cemento finisce nel nulla:«Questo è un bel regalo dell’Italia,di Bettino Craxi», mi spiega l’ami-co che mi accompagna nelle mieperegrinazioni transoceaniche.«Craxi era amico di Alan Garcia, ilnostro primo ministro all’iniziodegli anni Novanta. Ora Alan Gar-cia è stato rieletto, mentre a Craxinon è andata altrettanto bene, ab-biamo saputo... comunque, unagrande impresa italiana aveva ini-ziato a costruire questo treno, poiperò c’è stato un casino, lì da voi, eCraxi non l’abbiamo più visto el’impresa pure. E noi stiamo ancoraaspettando...».Aspettare, da queste parti del mon-do, è più un’arte che una virtù.Specialmente all’aeroporto di Li-ma, dove arrivano e partono tutti ivoli che collegano le varie città delpaese: segno tangibile della volontàdi garantire anche in questo modoil controllo capillare sul territorio,perché chiunque sia in grado d’im-

possessarsi della capitale sarà poi,immediatamente, il caudillo del-l’intera nazione.Ma il Perù conosciuto e amato damilioni di turisti non è certo quellodel traffico caotico e convulso diLima: il vero polo d’attrazione ècostituito dalle vestigia della civiltàInca, e in particolare dalle affasci-nanti rovine della città di MachuPicchu.Questo insediamento, scopertoquasi per caso nel 1911 da ungruppo di archeologi (in realtà allaricerca di Vilcabamba, l’ultimaroccaforte Inca), si trova a circa2.600 metri di quota. Il percorsoper arrivare alla “montagna vec-chia” (questo il significato del ter-mine “machu picchu” nell’idiomaquechua) è di per sé affascinante: iviaggiatori più coraggiosi affronta-no le fatiche dell’Inca trail (sette

giorni di trekking nella foresta,esposti alle intemperie e al rischiodi venire assaliti e depredati dascaltri malviventi, desiderosi dicollaudare le ultime novità hightech, gentilmente portate sin lì daignari gringos scarpinatori), maper i più compassati c’è comunquedi che divertirsi. Il campo base perl’escursione è, infatti, l’antica capi-tale del regno Inca, ovvero Cuzco:questa città, ancor oggi fiorente, sitrova a 3.300 metri sul livello delmare, ed è bene cercare di acclima-tarsi, riposando per qualche ora,prima d’intraprendere qualsiasisforzo. Per accelerare questo pro-cesso è bene uniformarsi agli usi ecostumi locali, quindi sorseggiarediverse tazze di mate de coca, l’in-fuso preparato con le foglie dellanota pianticella.Una volta sconfitto il soroche (co-

me si chiama da queste parti il mald’altura) si può prendere il treninoche lascia Cuzco alle prime lucidell’alba e si dirige verso il paesinodi Aguas Calientes: nei primi chilo-metri del percorso, il convoglio de-ve affrontare un’erta molto ripida,quindi – con grande stupore equalche timore per i passeggeri –un po’ avanza, un po’ retrocede, alfine di prendere la rincorsa ed ave-re lo slancio necessario per inerpi-carsi. Se questo spavento non è ba-stato, da Aguas Calientes ci si deveimbarcare su autobus navetta chefanno la spola con il punto d’in-gresso dell’area di Machu Picchu: iguidatori di questi mezzi sfreccia-no per una strada tortuosa, pocopiù larga di un sentiero nel belmezzo della vegetazione, e pare chegodano come pazzi a sfiorarsiquando s’incrociano – general-

Viaggiare

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PERÙ

A Machu Picchu il mitosi fonde con la storia

Se la zona di Cuzco conserva i più affascinanti resti della civiltà Inca, la partenord del Paese sta promuovendo il recupero delle vestigia di popolazioni che si

erano insediate ancor prima in questa regione

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mente a ridosso di qualche tornan-te, o a pochi centimetri dal cigliodella strada che li separa da unostrapiombo di circa un centinaiodi metri.Vale la pena affrontare tutte questeperipezie? Quando si sbuca dallavegetazione e ci si trova davanti al-lo spettacolo della città incaica,tutte le fatiche e le paure svanisco-no d’incanto. D’improvviso, ci sisente parte della storia e della mi-tologia, che in questi luoghi si fon-dono senza soluzione di continui-tà. Come è stato possibile costruirequesti templi, questi rudimentalima precisissimi osservatori astro-nomici – viene da chiedersi inevi-tabilmente di fronte a tale meravi-glia – se non con l’aiuto di qualchedivinità? Qui, dove i sacerdoti usa-vano l’intihuatana, il «palo che cat-tura il sole», ovvero il cilindro dipietra posizionato perfettamenteper poter prevedere l’arrivo deisolstizi, è presumibile che la popo-lazione vivesse un reale connubiotra l’umano e il divino, tra le forzedella terra, quelle del cielo e quelledel sottosuolo (secondo la triparti-zione della cosmogonia incaica).Eppure, proprio nel momento delmassimo splendore del regno Inca,arrivato a dominare tutta la parteoccidentale del continente suda-mericano alla fine del XV secolo,l’avvento brutale dei conquistado-res pose fine a una delle civiltà piùraffinate comparse sulla terra: maanche questo avvenimento, secon-do la ricostruzione dei frammentirinvenuti in alcuni monumenti fu-nerari Inca, era stato previsto daisaggi, come l’arrivo di un nuovo,eclatante solstizio.Ai moderni visitatori resta la possi-

bilità di apprezzare, almeno in par-te, il ricordo degli insediamentiumani succedutisi in questi luoghi:se la zona di Cuzco, infatti, conser-va i più affascinanti resti della civil-tà Inca, la parte nord del Paese stapromuovendo il recupero delle ve-stigia di popolazioni che si eranoinsediate ancor prima in questa re-gione. È il caso, ad esempio, delleTombe Reali di Sipàn, risalenti alterzo secolo dopo Cristo, oggi visi-bili nel modernissimo museo diLambayeque (nei dintorni di Chi-clayo, 600 chilometri a nord dellacapitale): l’edificio ove è espostoquesto preziosissimo manufatto èstato inaugurato nel 2002, sotto lapresidenza del chino, ovvero deldiscusso primo ministro Fujimori(attualmente rifugiato in Cile, poi-ché processato e condannato inpatria) e riprende le forme dell’an-tico monumento funerario, con lastruttura a piramide che emergesolo parzialmente fuori terra.Per ritemprarsi da tutte queste visi-te culturali, niente di meglio cheuna bella scorpacciata di frutta tro-picale: lucuma, zapote, chirimoya,granadilla, maracuya, e chi più meha più ne metta, sono una vera fe-sta di sapori – e vitamine – tutte adisposizione per pochi soles (lamoneta locale, che vale circa unquarto di euro). Per chi ha l’appeti-to un po’ più robusto, la cucina lo-cale propone il ceviche ovvero pe-sce marinato nel limone e servitocon profluvi di aglio, cipolla e pe-peroncino; sempre che non si pre-ferisca la carne di un saporitissimocuy (ahimè, sì, il nostro tenerissi-mo – in tutti i sensi – porcellinod’India).Resta giusto il tempo di sorseggiare

un delizioso pisco sour (il cocktailnazionale a base di acquavite distil-lata in loco, con l’aggiunta di succodi limone, ghiaccio, bianco d’uovo,sciroppo di liquirizia e una spruz-zatina di cannella) ed è già tempodi rimettersi in viaggio per ammi-rare un po’ di folklore locale: unapelea de gallos, ad esempio, ovvero icruenti combattimenti dove i pen-nuti si sfidano al centro di arene al-lestite nei circoli, nei bar o nelle ca-se private dei quartieri più malfa-mati. Lo spettacolo, emozionantequanto brutale, romantico quantodesolante, è spesso costituito piùdalle urla degli scommettitori chedalle evoluzioni dei galli: qui si tro-va gente disposta a giocarsi in unaserata lo stipendio di un mese, eanche di più. Tanto, domani si co-mincerà nuovamente ad aspettare,che arrivi un nuovo lavoro o qual-che altro conquistador, pronto acomprarsi a poco prezzo le bellezzedi un paese così affascinante.

LA COMBI ASESINALa prima volta che sono salito suuna “combi asesina” ho notato so-lamente l’affollamento di gente, laquantità di pacchi e borse dellaspesa che quasi nascondevano allavista due anziane signore, il rumo-re assordante del motore e la rapi-dità del ragazzo che ritirava l’oboloper la corsa. La “combi” è in effettiil mezzo di trasporto forse più eco-nomico per muoversi a Lima: sitratta di furgoncini da 15, 20 postial massimo che percorrono un tra-gitto prefissato, scritto sulle fianca-te arrugginite di mezzi che hannoaffrontato migliaia di chilometri inmezzo al traffico pazzesco di unacittà che conta ben otto milioni diabitanti.Di particolare, tuttavia, vi è il fattoche l’autista può deviare parzial-mente, a richiesta, dal percorsoprestabilito: le due poverette di cuidicevo poc’anzi, subissate di mer-ce riuscirono, ad esempio, a farsilasciare a pochi passi da casa ver-sando un extra per il disturbo (ilresto della comitiva non pensònemmeno lontanamente di prote-stare per l’accaduto, un po’ perché«oggi a te, domani a me», un po’per gli sguardi minacciosi del con-ducente).L’altro aspetto surreale dell’affron-tare un viaggio su questi trabiccolil’ho capito solo dopo alcuni chilo-

metri di strada. Quasi ad ogni fer-mata, infatti, si vede stazionare unomino munito di tabella e matita,che si avvicina con fare concitatoall’autista del pulmino: questi, co-me colto da un raptus, a malapenaconsente a chi deve scendere di far-lo, quindi impreca qualche maledi-zione e pigia il piede sull’accelera-tore, ripartendo come un pazzo.Quello a cui ho assistito, e di cuisono stato ignaro protagonista, al-tro non è che un esempio di dere-gulation del trasporto pubblico ur-bano: detto in parole più semplici,le “combi” sono autoveicoli di pro-prietà dei singoli autisti, che cerca-no di accaparrarsi i clienti gareg-giando come emuli di Schumacherper le strade della capitale (alle fer-mate – come ai box della Formula1 – gli addetti comunicano il ritar-do sul concorrente che precede,per cui si cerca di colmare il distac-co e superarlo prima di giungerealla sosta successiva, zigzagando fe-rocemente e compiendo manovreal confine tra la violazione del co-dice stradale e quello penale). Datol’alto numero di incidenti mortalicausati, gli abitanti di Lima hannoaffettuosamente ribattezzato que-sti mezzi di trasporto “combi asesi-na”...

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N° 15/giugno 2007

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