Vasariano n. 0

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IL VASARIANO MENSILE DI STORIE E NOTIZIE ARETINE

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MENSILE DI STORIEE NOTIZIE ARETINE

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E-Zine mensile di storie e notizie aretineN. 0 - Aprile 2011

IL VASARIANO

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Direttore ResponsabileLILLY MAGI

VicedirettoreFABIO MASSIMO FABRIZIO

Hanno collaborato

FEDERICO RUPI

MARCO GIUSTINI

MAURIZIO LICENZIATI

MARILLI RUPI

ELISA PERRIELLO

RICCARDO LELLI

MATTEO CAMAIANI VERDELLI

IL VASARIANO è edito daAssociazione “Il Vasariano”Via Bottego, 30 - Arezzo

www.ilvasariano.comReg.Trib. n. 4/11 RS

Editoriale - di Lilly Magi

Memento - Perché il Numero Zerodi Fabio Massimo Fabrizio

Entreé - Giorgio dei Vasaidi Marilli Rupi

Cover Story - Il nome segreto di Arezzodi Fabio Massimo Fabrizio

Urbanistica - Per la salvaguardia dell’area diun possibile aeroportodi Federico Rupi

Vintage - Arezzo bombardata, Arezzo rinnegataPhotostory di Federico Rupi

Città - La Resurrezione della Chiesadi San Donato in Cremonadi Marco Giustini

Provincia - Foiano della Chianae il suo stemma nella storia

di Elisa Perriello

Società - La firma elettronicadi Marilli Rupi

Rubriche:Diritto & Rovescio - Avv. Riccardo LelliPoesie - di Maurizio LicenziatiBridge & Burraco

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Quando nasce un nuovo giornale, e questo che vi stiamo presentando lo sarà a tutti gli effetti anchese con cadenza mensile, è una grande emozione. Per fare un paragone, è come quando giungealla luce una nuova creatura, e con essa si aprono nuovi orizzonti e prospettive. In linea con ciò esenza presunzione, il progetto di questa neonata edizione, on line, è proprio quello di offrire, omeglio, dare voce a quanti fino ad oggi non l'hanno avuta: quindi, diciamo, uno spazio privilegiatoper tutti quei cittadini che hanno dei pareri e delle opinioni da dire con il fine principale di contribuiread una crescita culturale e sociale importante.

Sì, perché, sostanzialmente, lo sforzo dell'editore e di quanti hanno voluto questa nuova testata èvolto a rafforzare nei cuori degli aretini l'amore verso la loro città ed il senso di appartenenza:due componenti indispensabili per reimpossessarsi del meglio che la città può offrire e che, allostesso tempo, costituiscono  un baluardo sicuro per azzerare i pericoli messi in campo dallaglobalizzazione .

Tutto ciò è racchiuso anche nel nome: "Il Vasariano", perché è questo il titolo del mensile, ispirato,appunto, dal Vasari che in Arezzo trovò i suoi natali e per la quale si prodigò in cultura, in scibile,in arte, tanto da essere passato alla storia anche come un importante mecenate.

Quindi, come il grande artista tenteremo di ridare luce alla cultura, alla tradizione e a tutto ciò cheha composto la nostra città attraverso i secoli e, al tempo stesso, di informare su tutto quello che dinuovo viene proposto dai locali contemporanei.

Al nostro fianco avremo specialisti di ogni settore che produrranno degli approfondimenti sullematerie di loro competenza, e poi naturalmente racconteremo la vita , l'attualità, il presente degliaretini condito anche dagli interventi che i nostri lettori ci vorranno proporre.

Convinti, come non mai, che la storia è fatta da tutti gli uomini, seguiremo questa falsa riga nelcomporre le pagine del nostro giornale perché ne venga fuori una sorta, in senso lato ed eticamentepiù valido, di "Grande fratello", ovvero un occhio attento e vigile che sappia cogliere tutti i passiche sono la somma del cammino degli aretini e, perché no, anche di tutti coloro che vivono nellaprovincia.

Con l'aiuto di quanti vorranno seguirci cercheremo di dare nuova linfa , o energia, per usare untermine più moderno, per riportare gli abitanti di questa grande città a guardare tutto quello cheli circonda con più attenzione, e ad amare questa comunità: un po', appunto, come fece, esicuramente meglio di noi, il Vasari, che, al contrario di molti illuminati del suo tempo, scese anchein piazza per ascoltare ed essere ascoltato dai suoi concittadini per far sì che tutti potesserocontribuire alla crescita culturale e sociale di quegli anni .

Quindi, cocluderei augurando ai miei collaboratori e a tutti voi un buon lavoro, in quanto da oggila nostra redazione sarà anche la vostra, pronta a vagliare e a valutare ogni vostra opinione, ideao suggerimento .

IL DIRETTORELilly Magi 2

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Perché il Numero zeroDi fabio massimo fabrizio

Zero come il numero di lettori da cui partiamo.

Zero come il vuoto pneumatico delle nostre tasche,cui si contrappone un’infinita voglia di fare, diesserci, di raccontare.

Zero come spazio puro ed incontaminato, ovechiunque possa dare libero sfogo al racconto, alpensiero, allo studio, alla creatività, senza temereil pregiudizio altrui.

Zero come provvisorietà e nuovo inizio, oveconfluisce il vecchio per ritrasformarsi in nuovo.

Zero come la consapevolezza del tempo sprecato, delle promesse infrante, della violenzasubita da una terra ed una città che meriterebbero solo amore ed impegno disinteressato.

Zero come risultato algebrico dell’Arezzo odierna, bella, bellissima da far commuovere,eppure brutta, provinciale ed indifferente da farci vergognare.

Zero come l’umiltà di chi sa che si fa sempre in tempo a ricominciare da capo.

Zero come il numero pilota di ogni rivista chesi rispetti, creta da modellare ad opera dilettori selezionati, che ne analizzanocontenuti, linguaggi, veste grafica edimpaginazione.

Zero, infine, come pagina vuota destinataalla vostra penna, alla vostra sensibilitàcreativa, alla vostra capacità di stupirvi estupire in una realtà oramai avvezza a tutto.

Come ci insegna l’arte, anche dalle cose piùpiccole e apparentemente banali, possononascere grandi pensieri. Pensieri che ilVasariano ha l’ambizione di diffonderesenza complessi, né censure.

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Cinquecento anni fa, il 30 luglio 1511, nascead Arezzo Giorgio Vasari.

Il cognome gli deriva dal mestiere di vasaio,esercitato per molte generazioni, dai membridella sua famiglia.

Ma Giorgio si distinguerà in ben altri campi.Dimostrando uno spessore culturale ingrande anticipo sui tempi, redige il primo,fondamentale documento di storia e dicritica dell’arte con “Le vite de’più eccellentipittori, scultori et architettori”.

Raffinato protagonista del “manierismo”, lascia ad Arezzo, a Firenze, a Roma, a Venezia, a Napoli, operefondamentali di questa corrente pittorica intellettualistica, solo in tempi recenti giustamente rivalutata.Architetto rigoroso ed elegante le sue realizzazioni rappresentano eventi eccezionali nelle città in cuisorgono, gli Uffizi a Firenze, il Palazzo dei Cavalieri a Pisa, le Logge ad Arezzo.

Giorgio e’ apprezzato e richiesto nelle corti e dai Papi, per Cosimo de’ Medici affresca, tra l’altro, il “salonedei cinquecento” e il famoso “studiolo”. Ma, diversamente da altri grandi personaggi che ebbero i natalinella nostra città, resta legato ad Arezzo. Lo dimostra la sua casa in via XX settembre, di gran lunga piùimportante e più ragguardevole della sua abitazione fiorentina di via Santa Croce, donatagli da Cosimo..Lo dimostra anche la scelta aretina della sposa, Nicolosa de’ Bacci, discendente di quel Bacci che avevacommissionato a Piero la “Storia della vera Croce”; e ascendente della signora Elena Nicolosa de’ Bacci,oggi residente in una bella villa sopra la chiesa di Santa Maria delle Grazie.

Secondo quanto è fondatamente ritenuto, in coerenza con questo attaccamento alla città, Giorgio èsepolto sotto la pavimentazione della Pieve.

A Giorgio Vasari Arezzo ha dedicato una piazza, la piazza più bella della città, ma la dedicazione ha avutoscarso successo perché gli aretini hanno preferito l’antico appellativo di “piazza Grande”. Cosicché questogrande aretino che ha dimostrato profondo attaccamento alla sua città, non ha un luogo che lo ricordiunivocamente.

Allora, la dedicazione di questo mensile “on line” vuol essere, oltre alla sottolineatura delcinquecentenario della nascita di Giorgio Vasari, anche una piccola, modesta riparazione a questo tortoche gli è stato fatto.

Giorgio dei vasaidi Marilli Rupi

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ArItIM!

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Come Roma, Arezzo conserva tra le sue mura storiemillenarie di genti e culture diverse, pure lontane,che si incontrano e si sovrappongono fino a formarequello straordinario miscuglio che è l’ethnos italiano.

Come Roma, Arezzo si fregia dei natali dipersonaggi immortali.

Come Roma, Arezzo ha un nome corto, di pochelettere, misterioso e perduto nella notte dei tempi.

Questa è la storia del suo nome segreto.

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Ventisette secoli fa

Ventisette secoli fa in oriente visseroil grande Re Assiro Assurbanipal e ilFaraone Psammetico di Sais. Roma

era stata appena fondata, era retta dai Ree governava su un territorio di pochichilometri quadrati.

Qui, nella piana che si allarga allaconfluenza di tre valli, arroccato su uncucuzzolo dai pendii dolci da una parte edaspri dall’altra, si ergeva un nucleo diedifici in pietra, costruiti da un popolo checondivideva la stessa lingua: l’etrusco.

Non sappiamo se tale nucleo avesse giàmura di difesa, ma gli abitanti si sarebberooffesi a morte a sentirlo chiamare semplicevillaggio. Per loro, era la città ideale, contanto di rito di fondazione durante il qualeun netsvis, sacerdote dal buffo copricapo,aveva congiunto cielo e terra, magia ebuonsenso, tracciando col vomere le lineedi confine da consacrare al nume tutelaredella città. Una città che greci e romaniavrebbero chiamato Arrétion e Arretiume che sarebbe diventata potente e temutalucumonia del centro Italia.

Il problema è che né i greci, né i romaniavevano la più pallida idea di doveprovenisse il nome di Arezzo. A ciò siaggiunge che le stesse origini del popoloetrusco sono state per secoli avvolte nelmistero, così come la loro lingua è statatradotta solo in epoca moderna, e conenormi difficoltà.

Nella soluzione del rompicapo, si ècimentato il fior fiore degli storici e degliappassionati, producendo una pletora diteorie e soluzioni, alcune affascinanti maprive della pur minima affidabilitàscientifica, altre a dir poco stravaganti, senon paradossali.

Tormenti della mente

Ancora oggi capita di sentire alcuniaretini seriamente convinti che ilnome di Arezzo derivi dal gergale

“arizzare”, ovvero “ritirare su”, qualememoria cittadina del terremoto del 5febbraio 1796 – quello della Madonna delConforto, per intenderci. Peccato che taleterremoto, di 5.1 gradi richter conepicentro a Montagiovi, in quanto molto

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superficiale si abbatté con violenza suSubbiano, la Chiassa e Borgo a Giovi, maad Arezzo arrivò con minore intensità (VImercalli), producendo circoscritti crolli enessuna vittima (dati congiunti INGV e CFTI4MED). Se è esistito qualcosa nella nostrastoria che si è avvicinato a radere al suolola città, è stato il duro periodo dibombardamenti durante l’ultima guerra, ogli scempi urbanistici compiuti da Cosimode’ Medici. Ma in entrambi i casi, la naturanon c’entra nulla.

Ancora oggi, l’assai consultato sito internetwww.comuni-italiani.it fa derivare il nomedi Arezzo “forse da una base pre-etrusca(arra) che è collegata al nome etruscoArnth, diventato in latino Arruns (nome dipersona), Arrenius (nome di famiglia) oArrone (nome di fiume).” Grazioso, matotalmente sbagliato.

Anche la stessa “enciclopedia universale”che prende il nome di “Wikipedia”, purrinunciando a fornire spiegazioni sul nome,si esalta: “Si sa che la Arezzo etrusca, conun nome quasi identico all'attuale,Arretium, esisteva già nel IX secolo a.C”.

Già, si sa.

O forse lo si azzarda a casaccio, poiché nelIX secolo a.C. siamo ancora in piena epocavillanoviana, e i resti di tale cultura nelnostro territorio sono davvero modesti.

E’ vero, il nostro territorio fu abitato findall’epoca preistorica; è vero, è venuta amancare una seria indagine archeologicasull’età del ferro; tuttavia, non risulta danessuna parte che i villanoviani fondasserocittà con tanto di rito aruspicino, che è diprovenienza greco-orientale.

Al massimo, durante l’epoca villanoviana –ma ancora non vi sono evidenzearcheologiche – possono essersi lentamentee inesorabilmente formati alcuni nucleiproto-urbani come normale evoluzione diuna cultura in incremento demografico, mada qui a parlare di città così come laintendevano gli antichi, ovvero di nucleo

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urbano fondato, difeso e socialmenteomogeneo e strutturato, ce ne corre.

Curiosa anche la teoria della “famigliaBonfante” – etruscologo il padre,etruscologa la figlia – sposata anche dalPallottino, secondo cui dal latino Arretiumderiverebbe il tedesco “Erz” attraverso unaserie mirabolante di rimbalzi linguistici(Arretium > Arretji > Arritji > Arrizzi >Arizi > Erz) per il semplice fatto che“Arezzo era famosa per il bronzo”. Ora,non siamo dei professori universitari diglottologia, ma qualche sassolino dallescarpe, all’insegna del buon senso, ce lovogliamo togliere.

Innanzitutto, nelle iscrizioni etrusche in cuicompaiono nomi riferibili ad Arezzo, laparola etrusca, indipendentemente dalcaso in cui è declinata e il modo in cui ètradotta, contiene sempre una sola “r”. Ei raddoppiamenti delle consonanti sonodocumentati in abbondanza – comeprobabile conseguenza della pronuncia –nel passaggio dall’etrusco al latino; diconverso, la germanizzazione di terminilatini è stato fenomeno assai tardo, e pergiunta limitato a parole o frasi che siriferivano a cose o concetti che i germanicinon conoscevano. Invece il metallo dellespade lo conoscevano benissimo.

Secondo: Erz non vuol dire né bronzo, néferro, ma solo genericamente “minerale,metallo”.

Terzo, la parola Erz è stata attribuita allaradice proto-germanica *arutaz; la secondavocale “u” è incongrua rispetto ad ogni tipodi trasformazione linguistica siadall’etrusco che dal latino.

Quarto: Arezzo era famosa per il bronzo –ed anche per il ferro. Vero, ma solo inepoca romana medio-repubblicana, e comeesportatrice di prodotto finito, non dimateria prima. E non potrebbe esserealtrimenti: a parte una minuscola cava diferro in località Molino – tra l’altro tarda,del III secolo ed esaurita subito – tutta lapiana aretina non ha mai ospitato alcunaminiera. Gli abitanti avrebbero dovuti fareintere giornate tra le montagne perraggiungere con i propri carri i lontaniMonti Rognosi, e lì estrarre solo il vecchiorame, in epoca in cui armi ed utensili eranoin ferro, e per giunta in condizioni ditrasporto disastroso, vista la cattivaaccessibilità delle cave.

E d’altronde, l’IMSS fiorentino, che sioccupa da sempre di paleometallurgiatoscana, cita solo di striscio “qualche

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giacimento cuprifero nell’aretino”, nonassociandolo ad alcuna fase storica, econcentrandosi invece sulle grandi minieredell’Isola d’Elba, delle Colline Metalliferee dei Monti della Tolfa, con Populoniacapitale e motore della potenza siderurgicaetrusca.

Se poi ci spostiamo a nord, proprio nelcuore germanico ove la parola Erz è nata,allora non c’è storia: lì i giacimenti mineralierano giganteschi, affioranti e facilmenteraggiungibili, e pure di purezza e qualitàincontrastata – si pensi al Norico. Ci sembraallora assai improbabile che i germanicitraessero il nome della loro materia piùnobile, di cui erano signori da sempre(estraevano fin dai tempi della Cultura diHallstatt), dal nome di una città lontana eper giunta scarsa in metallurgia.

Anche in loco non ci siamo fatti mancarenulla: tutti i grandi storici aretini delpassato sono scivolati sulla buccia dibanana delle origini del nome di Arezzo.Umbro, ligure, greco, gallo, piceno, il nomedella nostra città è stato strattonato dainostri studiosi con ipotesi troppe povere dicontenuti e troppo entusiasticamente

protese nell’opera di mitizzazione diArezzo.

Etruscologia e Genius Loci

Nonostante tutto, il quadro stacambiando rapidamente. Le grandisintesi etruscologiche compiute negli

ultimi anni da Pallottino, De Palma,Devoto, Lopez Pegna, Rix, Torelli, hannointanto fatto luce sul problema dellaprovenienza del popolo etrusco, e della sualingua, giungendo finalmente ad un piùcredibile compromesso tra chi voleva gliEtruschi come popolo esclusivamenteproveniente dal mare, e chi li voleva comepopolo di formazione esclusivamenteautoctona.

La soluzione è che le tesi sono entrambivere se la formazione di un popolo non lasi intende più come fenomeno ex abruptus(emigrazione, colonizzazione, urbaniz-zazione interna per motivi economici,culturali o di difesa, ecc.) ma come lungoprocesso aperto alle influenze esterne.

L’ethnos etrusco diventa così il risultato diuna lenta evoluzione che ha visto lacombinazione di elementi autoctoni diderivazione villanoviana con elementitirrenici (liguro-sardi) ed orientali (greco-anatolici) di importazione. Solo in questomodo sono spiegabili anche alcune singolaricontaminazioni e sovrapposizioni lingui-stiche tra una base glottologica di chiaraprovenienza greco-anatolica e termini ditradizione italica o tirrenica. Il tutto per lafelicità degli studiosi, ora costretti arincorrere l’origine della lingua etruscavocabolo per vocabolo.

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La seconda novità è che è cresciuta adArezzo una generazione di studiosi aretinifinalmente critica nei confronti di un certomanierismo auto celebrativo, e piùfinalizzata a studiare i fenomeni con ilrigore scientifico che meritano.

In particolare, ricordiamo Cherici,Fatucchi e Paturzo come i nostriconcittadini che negli ultimi tempi hannodedicato più tempo, sforzi e risorse a

studiare il problema delle origini etruschedella città.

Tra loro, forse Franco Paturzo è lo studiosoche ultimamente ha prodotto i miglioricontributi, frutto anche di un particolareapproccio interdisciplinare al problemaetrusco che lo studioso ha elevato a metodoscientifico.

Lo storico si è chiesto in origine comepotessero convivere nello stesso luogo untoponimo di chiara ed antica origine ligure(il colle di San Donato in “Cremona”) e laparola Arretium le cui radici glottologichericorrono contemporaneamente sia in areatirrenica (Liguria e Sardegna) sia in areagreco-anatolica. La sua ultima opera(Etruschi – L’Enigma delle Origini), cercadi rispondere al problema ripercorrendocon acume tutta la storia europea e medio-orientale dal calcolitico all’era storica, efissando punti fermi sulle migrazioni deipopoli e sullo sviluppo dei relativi linguaggi.In particolare, Paturzo individua duedifferenti migrazioni che avrebberoinvestito le coste toscane.

La prima, più antica (XII sec a.C.), ècompiuta dai c.d. “Popoli del Mare”,ovvero i “Tursha”, chiamati anche Tirrenio Pelasgi, di origine caucasica, stabilitisiin liguria e nel nord delle coste toscane esarde. Tale migrazione sarebberesponsabile dell’introduzione del metododi incinerazione ad urne biconiche poisviluppato dal villanoviano. A livellolinguistico, questo gruppo di origineindeuropeo non avrebbe portato grandicambiamenti rispetto al substratocontinentale esistente, di tipo umbro. Le

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radici del toponimo “Cremona”risalirebbero a questa fase.

La seconda, avvenuta nel X secolo a.C.,sarebbe opera dei Rasenna (o Rasna),popolazione non indoeuropea ma di origineluvio-ittita, originariamente abitante laregione anatolica costiera di Arzawa, che– guarda caso – in seguito sarebbe stataproprio la Lidia di cui parlava Erodoto. Adessa, attestatasi nelle coste toscanemeridionali, si dovrebbe l’importazionedell’inumazione, di sistemi sociali più solidi(nascita dell’aristocrazia) e soprattutto diun sistema codificato di lingua scritta, nonindoeuropea. Le radici del toponimo“Arezzo” risalirebbero a questa tradizione.In luvio-ittita la radice significherebbe“terra”, “rifugio”, laddove l’idronimo“Arno” – ed Arne è l’antico nome del fiume

Xanthos in Arzawa – significa “acqua”,sorgente.

Il significato antichissimo del termine“Arezzo”, pertanto, è non indoeuropeo, eindicherebbe semplicemente “terra vicinoall’acqua”: la migliore fotografiadell’Arezzo di quei tempi, con buona pacedi tutti noi.

Tuttavia, anche se ne ha individuato ilsignificato, neanche Paturzo è riuscito adidentificare il nome etrusco di Arezzo.

Ma a questo ci hanno pensato altri studiosi,complice una principessa etrusca aretinamorta ad 83 anni, un fraintendimento divocabolo durato oltre 50 anni, ed undocumento recuperato in vaticano.

Larzia Cilnia, Diana e il nomesegreto di Arezzo

Esistono due iscrizioni etrusche chepresentano entrambi il termineAritimi.

La prima, chiamata TLE 45, proviene daltempo di Veio-Portonaccio. In essa, iltermine Aritimi è posto accanto a quello diTuran. Essendo la natura votivadell’iscrizione incontestabile, ed essendoTuran il nome etrusco della dea grecaAfrodite (la Venere romana), non si ètrovato meglio da fare che tradurre Aritimicome nome etrusco della dea Artemide (laDiana romana) alternativo a quelloufficiale, che è Artumes. Quindi, anche senon si assomigliano per niente, gli studiosi(in particolare Bonfante e Pallottino)dicono che Aritimi e Artumes sono la stessacosa, ed hanno tradotto l’iscrizione con

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“Artemide e Apollo”, anche se manca ilsuffisso –c alla fine della parola Turan asignificare la nostra congiunzione “e”, eanche se la prima parola è declinata allocativo, cosa assai insolita per unaiscrizione votiva.

La seconda, chiamata TLE 737, si trovaincisa sulla gamba sinistra di una statuettadel IV sec. a.C. del dio Aplu (l’Apolloromano), e recita “Aritimi-pi Turan-pi”.Anche qui è stato tradotto con “adArtemide e ad Apollo”, anche qui manca ilsuffisso –c della congiunzione da aggiungereall’ultima parola, anche qui la prima parolaè al locativo, a cui si aggiunge la difficoltàdi traduzione del suffisso –pi, qui tradottoal dativo ma in altre iscrizioni tradotto con“in” (TLE 12 e TLE 13)

L’insieme di tutte queste anomalie, unitoal fatto che gli etruschi non erano usiconfondere i nomi dei loro dei, già nel 1987allarmarono lo studioso AlessandroMorandi che così avvertiva: “Così come noncredo che aritimi nell'iscrizione veienteTLE 45 corrisponda con assoluta certezzaal nome della dea greca Αρτεμις, chedovrebbe essere in caso obliquo — non resodalla terminazione in i —, come è nellanorma delle dediche votive etrusche, inuna lingua cioè che ha una vera e propriaflessione dei casi; allo stesso modo inturan-pi non è certissimo che sia dariconoscere il nome di Turan. Il segnacasodella dedica manca nell'altra attestazionedi aritimi in TLE 737.” (Revue belge dephilologie et d'histoire. Tome 65 fasc. 1,1987. Antiquité - Oudheid. pp. 87-96)

Solo due anni dopo, nel 1989, AugustoCampana e Adriano Maggiani hanno

pubblicato l'apografo cinquecentesco diun'interessante epigrafe del IV sec. a.C.oggi perduta: l'epitaffio di Larthi Cilnei,copiato nel ‘500 da una tomba a Tarquinia(probabilmente una delle tre Tombedell’Orco), e rinvenuto nel ManoscrittoVaticano Latino 6040.L’iscrizione recita così:

Larthi Cilnei *LuvchumesCilnies sech *an *Aritinialmeani arsince *clthlu-m lupu Felznealc nachumse puia a[m]ce *Ar(n)thal *Spu-rinas cver puthsce uthuu[z]r einch s[a]l luice phul-ui-[…]-ce […]*-es puia amce a-[vi]l XIIII *lupum *avils [L]XXXIII119

Questa la traduzione:

Larthi Cilnei di LuvchumeCilnie figlia che da Arezzo… se ne andò …morì e di Felznei …… fu moglie di Arnth Spu-rinas (e) un dono ha fatto (?) ……… fu moglie per an-ni 14, morta ad anni 83

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Quindi, Larthi Cilnei, aretina, figlia degliaretini Luvchumes Cilnie e di Felznei, emoglie del tarquiniate Arnth Spurinna per14 anni, morì all'età di 83 anni.

Questa iscrizione, per la prima voltapresenta il termine aritinial espressamenteriferito ad Arezzo e, dedotta la flessionedel moto da luogo, la radice risulta deltutto compatibile con l’aritimi delle dueprecedenti iscrizioni così frettolosamenteequivocate in dee, ma in realtà nome dicittà al caso locativo.

Da tutto questo, lo studioso DieterSteinbauer ha messo insieme nel ’98 unlungo ed articolatissimo studio (ZurGrabinschrift der Larthi Cilnei aus Aritmi/ Arretium / Arezzo) in cui finalmente sidimostra che Aritimi e Aritinial non possonoche riferirsi ad Arezzo, e che il nomeetrusco originale della città debba essereAritim. Una soluzione da quel momento inpoi sempre più accreditata presso glietruscologi, specie quelli che studiano irapporti tra Tarquinia ed Arezzo nel IVsecolo.

A tal proposito, infatti, si inserisce, comeemerge dalla lettura dei celebri ElogiaTarquiniensis, la vicenda di Aulo Spurinna:giovane zilath della più potente famigliatarquiniate, viene inviato a capo di unaspedizione confederata etrusca a darmanforte agli aristocratici Cilnii aretini indifficoltà per una rivolta della plebe. Unaspedizione per ripristinare l’ordinecostituito che, con ogni probabilità –terminò anche con patti di reciprocafedeltà, normalmente suggellati con

matrimoni incrociati tra le famiglie piùillustri.

Non è difficile credere che il matrimoniotra Arnth Spurinna, parente delcomandante, e la nostra Larthi Cilnei, siafrutto di tali accordi. Agostiniani eGiannecchini (2002) avvertono che solocosì è infatti spiegabile la magniloquenzacon cui nell’epigrafe si citano entrambi igenitori aretini della sposa, particolareassente nel resto di tutte le altre iscrizionidelle ricchissime Tombe dell’Orco.

Ed è davvero suggestivo pensare che è statauna nostra antica principessa della famigliaCilnia a condurci sulla strada del nomeetrusco di Arezzo: una lontana ava diMecenate che ci ha permesso di scoprireun nome per anni confuso – bellissimacoincidenza - con quello della dea dellacaccia Diana, signora di quelle selve e diquelle acque rese immortali dal significatoantichissimo delle parole Arezzo ed Arno.

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DESTINATA

ALLA PUBBLICITA’

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Giugno 2010

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di Federico Rupi

Nel nostro tempo, ampliandosi l’ambitodegli spostamenti, scade la funzionedell’automobile, mente ferrovia eaeroplano sembrano assumere sempremaggiore importanza.

Per parlare della ferrovia, si può solorilevare l’occasione persa alla fine deglianni ’60, quando si sarebbe potutochiedere e agevolmente ottenere, acompensazione della perdita di trafficoferroviario, una stazione sulla lineadirettissima.

Per la linea direttissima, oggi passanogiornalmente circa 100 treni con unamedia di 360 passeggeri e quindicomplessiva-mente oltre 12 milioni dipasseggeri all’anno sfrecciano oltre ilcolle di Agazzi, senza percepire lapresenza di Arezzo.

Ed è inevitabile che, con il progrediredelle tecniche ferroviarie, i treni veloci chepasseranno per la stazione di Arezzosaranno ancora meno, fino a restare soloi treni merci e i treni locali.

Una seconda stazione nella direttissima,“Arezzo-sud”, dotata di un adeguatoparcheggio e di servizi di collegamentocorrelati agli orari dei treni, avrebbegrande importanza per Arezzo, città oggiinesistente per quei milioni di viaggiatori.

Una seconda stazione sulla trattadirettissima, riducendo drasticamente ilmaggior tempo, oggi determinatosoprattutto dalla deviazione per l’ansa;renderebbe realistica la possibilità difruire di alcuni treni veloci.

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Ma soprattutto, una stazione sulladirettissima farebbe tornare Arezzo adesistere potenzialmente tra Firenze e Romaper quei milioni di viaggiatori ancorché sutreni che non fermassero alla secondastazione di Arezzo.

Oggi, la seconda stazione sarebberealisticamente proponibile, solo secollegata ad una importante ipotesiinfrastrutturale, ad esempio ad un nuovoaeroporto.

Ma questa considerazione apre un altrocapitolo.

Quando fu posta nel Piano Strutturale lasalvaguardia di una vasta area della Valdi Chiana, fu fatta un’operazioneimportante.

L’aeroplano tende a divenire il mezzoprincipale di trasporto. Il “trend” di crescitaannuale del numero di passeggeri inaeroplano, che negli anni dal 2000 al2007 è stato dell’ordine del 10%, dopo lacrisi, nel 2010 ha già ripreso un trendpositivo del 7%.

Le società low-cost, che sono proprio quelleche utilizzano gli aeroporti marginali, nelperiodo dal 2004 al 2006 passarono da1,3 milioni di passeggeri a 7 milioni dipasseggeri; e se anch’esse sentirono gli annidi crisi, già nel 2009 hanno ripreso con untrend di crescita annuale del 9%.

Ovvio dire che un aeroporto è un grandestrumento di sviluppo sociale, civile edeconomico. Questo lo hanno capito i giovaniche sono grandi clienti del “last time”. E,dall’altra parte, lo hanno capito, dopoFirenze e Pisa, anche Grosseto, Siena ePerugia che, zitti zitti, hanno già voli di lineaeuropei della Ryanair e della Meridiana.

A questo punto, pur rispettando le decisionidella nuova amministrazione, il vincolo giàapposto dalla precedente amministrazionea questa area strategica della Val diChiana, per adesso assolutamente liberada costruzioni, dovrebbe essere tras-formato in “vincolo agricolo am-bientale”,in modo che quest’area continui comunquead essere preservata per possibili futuriutilizzi, escludendo che altri interessipossano vanificare questa prospettiva.

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AREZZO BOMBARDATA

Dopo la guerra, Arezzo apparecompletamente disastrata.

Ruderi degli edifici bombardati sonosparsi dappertutto e pochissime sonole costruzioni rimaste indenni.

Perfino il cimitero è stato devastatodalle bombe.

Miracolosamente i gioielli della città,il Duomo, la Pieve, le chiese di SanFrancesco e San Domenico con leloro opere d’arte, sono salve.

Nelle immagini riportate uomini edonne si aggirano smarriti tra lerovine di una città apparentementemorta.

Ma in pochissimo tempo gli aretinisapranno ridare vita ad Arezzo.

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Foto 1 – La scuola di Piazza della Badia, vistada via Isidoro del Lungo.

Stranamente è rimasta integra solo lafacciata verso piazza del Popolo.

Anche questo edificio, come la gran partedegli edifici bombardati della città alta, saràintelligentemente ricostruito con i caratteriarchitettonici originari.

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Foto 2

La Banca Popolare di Arezzocolpita da una bomba.

Foto 3La via Romana vista da chi arriva adArezzo. A sinistra un automezzosfasciato.

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Foto 4

Il fotografo si trova incorrispondenza dell’attuale viaVerdi e vede davanti a sé lefacciate del Corso, perché lecase interposte sono stateridotte ad un cumulo di macerie.

Sulla sinistra si scorge la Chiesatrecentesca di San Jacopo, chesorgeva dove, fino a pocotempo fa, c’era UPIM.

Due ragazzini si divertono apasseggiare sulle macerie.In quel periodo un ammasso dimacerie come questo venivaconsiderato di nessun valore e vifu chi, non vedendo possibilità diricostruire alcunché, cedette perpoche lire aree centrali.

La guerra fu anche un momentodi ribaltamento generale dellavecchia stratificazione sociale.

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Foto 5

Il fotografo si trova in Corso Italia,davanti al negozio ex “Montaini” edex “Renato”.

La macchina è puntata verso est.

Poiché le case sono state distrutte ele macerie sono state portate via, daquesta posizione si vede la viaMargaritone, dove questa si imboccasu via Crispi e nel varco compare il“Palazzone” di via Crispi, anch’essocolpito da una bomba proprionell’angolo.

Il Palazzone, che nasce come“casa popolare”, sarà ricostruitonella parte diruta ripristinandoaccurata-mente i caratteriarchitettonici preesistenti.

Lo spiazzo antistante, tra il Corsoe via Margaritone, sistemato allameglio con il cemento, saràutilizzato per un certo periodocome “dancing” sul quale aretinie aretine recupereranno quattroanni di divieto, ballando, insiemea soldati di tutto il mondo, con le,per allora, mitiche musicheamericane.

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Foto 6

L’incrocio tra il Corso e via Crispi –via Roma.

Sulla destra, la colonna dei Portici,davanti il Corso con l’angolo doveper molti anni sarà ubicato ilnegozio di ottica “Andreoni”.

Tra tutte queste foto compaionosolo due automezzi militari enessuna automobile civile.

In questa foto compare unabicicletta.

Tutti gli uomini hanno ilcappello, che in quel periodosembra essere una compo-nente indispensabile dell’abbigliamento .

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AREZZO RINNEGATA(ovvero, la fontana di piazza San Jacoposcomparsa nel dopoguerra)

In passato, nella Piazza San Jacopo, nellato sud dove adesso sorge il “PalazzoTurchini”, c’era una fontana.

La fontana trae origine dalla presenzain quel punto dell’antica deviazione del

Castro che alimentava i vasconi di argilladei fabbricanti di vasi, anticamenteinsediati numerosi nella zona.

La deviazione del Castro, bencanalizzata, venne alla luce con gli scavidelle fondazioni dell’edificio del Montedei Paschi.

Foto 1

Arezzo è in festa, nello striscione si legge“HUMANITAS CHARITAS”.Il fotografo si trova in piazza San Jacopoe punta la macchina

lungo il Corso verso la ferrovia.

Sullo spigolo di destra della piazzacompare la fontana, anch’essadecorata con fronde e bandiere.

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Foto 2

Davanti alla fontana c’è un lago d’acqua, quindi la fontana èfunzionante.

Sopra, adesso è stata posta una tavola pubblicitaria.

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Foto 3

La strada della foto corrispondeall’odierna via Verdi.

I fabbricati nel fondo e sulla destrasaranno distrutti dalla guerra e alloro posto sarà inventata la piazzaRisorgimento.

Sulla fontana, due manifestipubblicitari, il primo proponel’”Acarina per rogna, eczemi,erpeti”, l’altro “vino padronaledella trattoria Biondi Paolo”.

Con la ricostruzione spariràogni traccia dell’anticafontana.

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IAC Akira Hanzo: “Fluid Inspiration” - 3ds Max 5 - Settembre 2004

PAGINA

DESTINATA

ALLA PUBBLICITA’

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"Arezzo, 16 Gennaio 1801.

Era una notte limpida e gelida.

L’ingegner Jacopo Gugliantini se ne stavachiuso nel suo studio, chino sulla scrivania,intento a terminare la relazione che il VicarioRegio di Arezzo gli aveva commissionatoqualche mese prima.

Urgeva infatti un resoconto dettagliato sullecondizioni della Fortezza di Arezzo che sulfinire di ottobre era stata gravementedanneggiata dai francesi, bramosi divendicarsi degli aretini che nel maggio del1799 avevano osato cacciare dalla cittàl'esercito rivoluzionario al grido di "VivaMaria".

Ma benché avesse già ultimato la stesuradell'elenco dei lavori da compiersi per ripararee poi riarmare la Fortezza, temeva in cuor suoche quella relazione sarebbe rimasta chiusanegli archivi del Granducato, dato che ifrancesi parevano del tutto contrari a farpresto rientro in patria, ed anzi molti aretinisospettavano che stessero mettendo le radicinella terra dei loro antenati; sinceramenteaveva dubbi anche sulle intenzioni delGranduca che certamente non aveva alcuninteresse a spender un'ingente somma di denaroper un  baluardo disarmato ormai da quasivent'anni, né tantomeno avrebbe rischiato discatenare una controversia con i francesi cheper ovvi motivi si sarebbero opposti alprogetto di ricostruzione.Mosso dunque da tali ragionamenti,l'ingegnere aveva passato l'ultimo mese aprender misure e a fare schizzi di quelle che,almeno a parer suo, erano le strutture piùnotabili all'interno della Fortezza; sapeva bene

infatti quanta importanza avrebbe avutoper i posteri la memoria di tali costruzioniqualora se ne fosse decretato l'abbandonoe la conseguente demolizione.

Aveva pensato in particolare alla chiesinadi S. Donato, che per secoli aveva accoltole anime dei soldati della Fortezza, e chetanta storia aveva da raccontare, bastipensare che Don Francesco, l'ultimoparroco, non si stancava mai di ricordarequanto quell'edificio fosse vetusto, loriteneva addirittura più antico di tutte lechiese della città e del contado.

Immerso tra questi ed altri pensieri Jacopopose la sua firma nel lavoro ormai ultimatoe, dopo una veloce revisione, andò acoricarsi."

Oggi, a distanza di due secoli, larelazione dell’Ingegner Gugliantini èstata riscoperta e rappresenta per noi undocumento di inestimabile importanza.

Infatti, grazie alla lungimiranza diquest’uomo, è attualmente possibilericostruire la scomparsa chiesa di SanDonato in Cremona, con dovizia diparticolari strutturali e storici.

Certo, i timori dell’ingegnere si rivelaronoben fondati, infatti la sua relazione nonvide mai la realizzazione progettuale,ma ha fornito a noi posteri gli strumentiper poter rivivere e apprezzare unedificio sacro che si riteneva perduto persempre.

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La chiesa era all’incirca 15 metri di lunghezzaper 8 di larghezza, se si esclude l’absidepoligonale, dimensioni abbastanza ristretteche giustificherebbero  l’ipotesi di unafondazione molto remota.

Inoltre è interessante notare l’alzato dellastruttura, suddiviso in due parti: nella parteinferiore la chiesa, che raggiungeva l’altezzadi soli 5 metri, e nella parte superiore unmagazzino che i documenti ci descrivono esserchiamato “la vecchia armeria”.

Da notare inoltre la singolare foggia dellesei colonne che sorreggevano la struttura:sono chiaramente di ordine “ionico”, con icapitelli a spirali simmetriche, e ciò farebbepensare ad un riuso di elementi architettoniciprovenienti dall’antico Capitolium e a questopunto si potrebbe parlare di fondazionepaleocristiana o tardoantica.

Grazie alla documentazione rinvenutasappiamo anche che l’abside poligonaledisegnato nella carta era stato edificato solonel 1707, su commissione del GranducaCosimo III dei Medici, e rappresentava l’unicoesempio in città di opera di committenzaregia, un vero privilegio.

I nove cerchi che si rilevano nel pavimentodella chiesa erano delle “buche da grano”,che ovviamente dovevano essere impiegatein caso di assedio alla Fortezza, e sono staterecentemente rinvenute anche durante gliscavi archeologici in occasione dei lavori direstauro della Fortezza.

Moltissimi particolari si sono aggiunti allaricerca grazie ad una grande matricedocumentaria del tutto inedita ed

importantissima emersa parallela-mentealla scoperta della relazione diGugliantini.

Si è riusciti addirittura a recuperare lamemoria delle lapidi mortuarie e leiscrizioni che popolavano le navate dellachiesa, gli oggetti sacri e le opere che sicelavano al suo interno, un patrimoniodavvero eccezionale che ha completatoil quadro storico dell'edificio e cheprossimamente sarà reso fruibilefinalmente a tutti i cittadini.

Dispiace solo che questo patrimonio siaemerso solamente ora; per anni storici escrittori si sono limitati a spendere le solitequattro parole su questa chiesa, senzaapprofondirne lo studio, e bollandolavelocemente come “antichissima” e“importantissima” per la storia dellanostra città.

Ma dopotutto si sa, gli aretini hanno ilvizio di tessere facilmente le lodi dellapropria storia cittadina, fiumi d’inchiostroe parole altisonanti per rivendicare unpassato glorioso, una tradizioneineguagliabile, pronti a strillareall’unisono se si sposta anche solo unapietra.

Quando però si dissolvono le doratefoschie degli elogi, quasi sempre vi siscoprono dietro ignoranza dilagante,negligenza e ben poco di ricerca storica.

E’ bene ricordare agli aretini che di storianon si parla a lodi, ma a fatti.

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Uno stemma o sigillo di una città opaese, racchiude in se storia,tradizioni, cultura di un popolo.

In questo caso lo stendardo uffiale cherappresenta il comune di Foiano dellaChiana gli è stato attribuito nel 1995 conDecreto dell’Ufficio Onorificenze eAraldica presso la Presidenza delConsiglio dei Ministri, e il segno distintivodel Comune è quello storicamenteutilizzato del “giglio fiorentino” d'oro incampo rosso.

C'è da sottilineare però, che prima diarrivare a tale stemma nella storia ci sono

stati molti cambiamenti, anche a causa deivari periodi storici.

La più antica attestazione dello stemmaaraldico del Comune di Foiano "il gigliofiorentino senza fronde" risale al XVsecolo (costituita dal bel sigillo di bronzoconservato al Museo statale di Artemedievale e moderna di Arezzo).

Nel 1453, infatti, la Repubblica di Firenzeconcedette alla terra di Foiano di poterusufruire del medesimo stemma di Firenzee del titolo di "nobiles viri", grazie allaresistenza dimostrata dai Foianesi nelcorso del lungo assedio da parte delle

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DI ELISA PERRIELLO

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truppe napoletane l’anno precedente.Anche all'epoca nella maggior parte deidocumenti rappresentavano il giglio d'oroe lo sfondo rosso.

Nella metà del Cinquecento Foiano subìgravi danni e perdite umane a causadella guerra Siena-Firenze che segnò dali a poco la sottomissione di Siena aldominio Fiorentino, però durante l'assaltovenne perduto il gonfalone quindi nellaseduta del Consiglio di Foiano del 12Maggio del 1555 vide la necessità didoverlo rifare, decidendo di modificarlo,facendone richiesta alla Signoriafiorentina. Il 15 luglio del 1555 si resenota la lettera del 27 maggio degli ottoguardia balia di Firenze di cambiare ilsigillo "la solita arma del giglio giallosenza fronde in un San Martino a cavalloche divide con la spada un manto rosso".Tale stemma venne fatto dipingere da

Giovanni Maria all'interno del palazzocomunale.

Da questo momento in poi si susseguì unaserie di modifiche al sigillo del comune:

– insegna del castello un bue doratogiacente sopra una campagna inmezzo a due cipressi e una luna d'argentonella parte superiore dello scudo che è dicolore azzurro.

– nel 1630 una lepre adagiata su uncampo verde sotto il cielo azzurro tra duecoltelli.

– Nel 1693 lo stemma era un bue rivoltocon la testa verso destra in un campoverde con il cielo azzurro.

Questi susseguirsi di stemmi sfilavano sulgonfalone alla vigilia di S. Giovanni aFirenze, una cerimonia che si ripeteva ognianno in cui i partecipavano tutte le terreche appartenevano al Dominio fiorentino,le quali avevano l'obbligo di donareun'offerta.

Invece per quanto riguardava le insegneciviche di solito realizzate in pietra e/omurate nelle porte di accesso al paese,

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sull'ex convento di S. Domenico e sullaCollegiata di San Martino raffiguravanoil classico Giglio senza fronde.

Nel 1799 la Toscana venne invasa dallaFrancia dove si insediarono stabilmentenel 1801 con la nascita del Regnod'Etruria. Con il trattato di Fòntaineblau(23 ottobre 1807) la Toscana è annessaall'impero francese fino al 15 settembre1814. Durante tale periodo Napoleone Iaveva ripudiato lo stemma per sostituirlocon l'arma imperiale dell'aquilaafferrante il fulmine ("aquila di Giove")coronata.

Con la caduta dell'Impero francese ilcomune di Foiano riacquista il diritto diusare il giglio fiorentino che continuò adusare anche con l'unione della Toscana alRegno d'Italia. Infatti le lettere sonsigillate con un timbro a forma ovale dovein alto c'è l'iscrizione "COMUNITA' DIFOIANO" mentre la parte bassa èoccupata da un elemento decorativofloreale.

Nel 1860, Bettino Ricasoli incarical'araldista Luigi Passerini di realizzare unaraccolta degli stemmi toscani da regalareal re Vittorio Emanuele II. Il 26 febbraioil Passerini invia una lettera a tutti i comuniindicando di inviargli l'incisione dellostemma con la descrizione e il significatodegli elementi.Nella risposta del 31 marzo 1860, ilgonfaloniere di Foiano Angelo Seriacopispiega che sullo stemma comunale non

fosse stato in grado di acquisire nessunainformazione tranne il ritrovamento di unlacero gonfalone che rappresentava ungiglio d'oro in un campo rosso oltreall'effige di san Martino a cavallo, ma lapresenza del Santo viene spiegata inquanto San Martino fosse protettore delpaese.

In allegato alla lettera venne inviatoun'impronta in ceralacca e un disegno amatita dello stemma il cui giglio eraaperto bottonato con la descrizione"giglio d'oro in un campo rosso". A fine

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1860 l'opera degli stemmi civici venneconsegnata a Emanuele II e quattro annidopo venne pubblicata a Firenze.

A cavallo della fine del XIX secolo Foianoabbandona la forma semplice del giglioe aggiunge le infiorescenze.Nel 1926 esattamente il 18 marzo ilConsiglio comunale in seduta pubblicadelibera di offrire a Benito Mussolini unamedaglia d'oro (realizzata dal prof.Artidoro dell'Agnello) con lo stemma diFoiano inserito in una mandorla circondatada motivi vegetali sul retro, e la scritta "ILPOPOLO DI FOIANO AL DUCE CMXXVI"nella parte frontale, come riconoscimentodel popolo foianese per la sua opera dielevare la grandezza dell'Italia. Lamedaglia insieme ad un diploma vieneconsegnata al Duce il 27 marzo.

Il periodo fascista portò notevolicambiamenti nell'araldica pubblica. Lanorma del 1928 prevede che i comuniutilizzino il proprio stemma affiancato asinistra del Fascio Littorio (il Littorio nel1926 fu riconosciuto come emblema distato). Nel 1933 il Fascio Littorio vennecambiato come "capo littorio" edintrodotto all'interno dello stemma stesso.

Nel 1944 con la caduta del fascismo siritorna alla forma più semplificata delgiglio. Per ottenere la necessariaautorizzazione il Comune di Foiano nel1962 avvia le pratiche per ilriconoscimento dello stemma e delgonfalone ed incarica l'Istituto AraldicoCoccia di Firenze per provvedere allaricerca storica e alla preparazione delbozzetto dello stemma comunale. Nelbozzetto del Coccia il giglio è inseritoall'interno di uno scudo e sulla partesuperiore è collocata una corona.

Nel 1964 senza attendere ilriconoscimento dello stemma vienerealizzato il gonfalone che ovviamente sidiversifica dal bozzetto in quantoraffigura un giglio d'oro in una campiturauniforme rosso porpora.

Nel 1991 quindi si richiede di nuovo ilriconoscimento per i nuovi bozzettirealizzati dallo studio Araldico diGenova, e nel 1995 ottiene così il decretoper il riconoscimento dello stemma e delsuo gonfalone.

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di Marilli Rupi

La normativa sulle firme elettronichetrova le sue radici in Italia fino dal 1997,con la legge 15/3/1997 n. 59 che,all’articolo 15, introduce e disciplinaquesto nuova modalità di sottoscrizione diun qualsiasi atto.

Questa legge è stato il primotassello di un nuovo apparato normativoconseguente alla introduzione della firmaelettronica.

Molto più interessati alledefinizioni giuridiche della formascritta - rispetto alla cultura anglo-sassone - e rivolti invece soprattuttoagli aspetti sperimentali del nuovostrumento, l’Italia è stata all’avanguardia nel mondo nell’inserire lenuove tecnologie informatichenell’ordinamento legislativo. Solo dueanni dopo la Comunità Europea ha

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emanato una direttiva, la 1999/93, perla firma elettronica.

Semplificando i concetti, esistonodue tipi di firme elettroniche, una firmacosiddetta “debole”, quella di una comunelettera elettronica (e-mail), della qualenon si può garantire la veridicità delsottoscrittore, e la firma digitale “forte”.

Quest’ultima è una firma“certificata”, essendo passata attraversoun processo che ne garantisce l’autenticità.Presiedono a questo processo alcuni EntiCertificatori, appositamente autorizzati,che, previa identificazione preventivadell’identità della persona e la consegnadi una “smart card” (una tesseracodificata simile ad una carta bancomat),garantiscono l’autenticità della firma.

Con la pubblicazione del nuovoCodice dell’Amministrazione Digitale -CAD (D.Lgs. N. 82/2005), del 10 gennaio2011, sono state introdotte alcunemodifiche, come ad esempio la definizionedi un’ulteriore firma elettronica avanzata,in conformità a quanto previsto nellacitata Direttiva Europea, il cui ambito diutilizzo ed applicabilità verranno meglioindividuati in un secondo momento.

Inutile elencare quali vantaggicomporta in una società avanzata lapossibilità di apporre con sicurezza lapropria firma a distanza, in atti notarili,operazioni finanziarie, documenti pubblicieccetera.

Un altro essenziale strumentoinformatico per la de-materializzazionedei processi è costituito dalla Posta

Elettronica Certificata, comunementedetta PEC.

Con essa si certifica la data el’ora dell’ invio e l’ avvenuta ricezionedi un messaggio insieme al suocontenuto, ma non si garantiscel’identità del mittente. Mentre solo conla Firma digitale si certifica l’identitàdel sottoscrittore. Oggi però qualunque cittadinoitaliano si può avvalere del servizioofferto gratuitamente dal Ministeroper la Pubblica Amministrazione el’Innovazione che fornisce una PECspeciale comprendente anche ilvantaggio di garantire l’identità delmittente.

Il nuovo CAD ha introdotto suquesto tema significative modifichetese ad una semplificazione eriduzione della necessità di alcunistrumenti.

La PEC, se rilasciata secondo certeregole, può essere anche utilizzata perinoltrare istanze alla PubblicaAmministrazione con validità legale.

Vedremo con il tempo se le novitàinserite avranno contribuito alladiffusione dell’uso degli strumentiinformatici, al fine di portareulteriormente avanti il processo dide-materializzazione della comunitànazionale intera, coinvolgendo semprepiù nel nuovo sistema anche le imprese,i professionisti e i comuni cittadini.

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DESTINATA

ALLA PUBBLICITA’

Amauri Ploteixa“Bjork 3D Portrait”

Maya, Photoshop, Zbrush - Aprile 2006

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Rubrica a cura di Riccardo Lelli

Scrive il lettore:“Nel febbraio del 2006 ho fattoristrutturare un appartamento. Da qualchemese sono comparse delle vistose crepe sulpavimento di ceramica in cucina, in salottoe in una camera da letto. Anche se sonopassati più di quattro anni, per questi dannimi posso rivalere sull’appaltatore che haeseguito i lavori di ristrutturazione?”

Risponde l’avv. Riccardo Lelli:

Nell'ordinamento italiano, gliarticoli 1667 e 1668 del Codice Civileprevedono una garanzia biennale acarico dell’appaltatore nel caso in cui

l’opera realizzata non corrispondaalle caratteristiche del progetto e delcontratto di appalto, o sia stataeseguita senza osservare le regoledella tecnica, presentando i cosiddetti“vizi redibitori”, che rendono l'operainadatta, totalmente o parzialmente,all'uso cui è destinata.

L’azione contro l’appaltatore siprescrive in due anni dal giorno dellaconsegna dell’opera e il committentedeve, a pena di decadenza,denunciare all’ appaltatore ledifformità, o i vizi entro sessanta giornidalla scoperta. 38

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A queste norme si aggiungel'articolo 1669, secondo il quale, se, entroi dieci anni dal compimento, l'opera rovinatotalmente o parzialmente, oppurepresenta pericoli di rovina, o gravi difetti,l’appaltatore è responsabile verso ilcommittente e i suoi aventi causa.

Negli ultimi anni si è affermata unainterpretazione dell’articolo 1669 checonsidera grave difetto, non soltanto i viziincidenti sulle strutture e sulla stabilitàdegli edifici, ma anche qualsiasialterazione che determini, o possadeterminare uno stato di apprezzabilemenomazione, economica, o di godimentodell’immobile.

Detto articolo 1669 prevede, oltreal termine decennale dal compimentodell'opera, due ulteriori termini, uno, didecadenza, pari ad un anno dallascoperta, per la denuncia del pericolo dirovina o di gravi difetti, e l'altro, diprescrizione, pari ad un anno dalladenuncia, per l'esercizio dellaconseguente azione di responsabilità.

Ciò premesso, nella vicendaesposta dal lettore occorre capire,innanzitutto, se i vizi riscontrati rientrinonella fattispecie dell’articolo 1667,oppure in quella dell’articolo 1669.

Nel primo caso, l’azione diresponsabilità nei confronti dell’appaltatore è ormai prescritta, essendotrascorsi più di due anni dalla consegnadell’opera. Il lettore, pertanto, non

avrebbe più alcun diritto da far valerenei confronti dell’appaltatore che haeseguito i lavori di ristrutturazione.

Se, invece, nel pavimento inparola risultasse una presenzacapillare, continuata e diffusa dilesioni (come sembrerebbe che sia,secondo la descrizione fatta dallettore), tali difetti potrebberorientrare nella disciplina dellaresponsabilità decennale previstaall’articolo 1669, soprattutto se, in unaprospettiva futura, si accentuasseroulteriormente e portassero alloscollamento delle mattonelle.

In quest’ultimo caso, il lettorepotrebbe far valere i propri diritti neiconfronti dell’appaltatore, dalmomento che i termini dellaprescrizione e della decadenza, sopramenzionati, non sono ad oggi trascorsi.

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di Maurizio Licenziati

GirasoliFiori di luce.

Elegantiimportanti

affascinanti.Belli soprattutto

quando sono tantiche, per intere vallate,si sporgono ad ondate.

Vi prego: restate.Emozionanti

come fuochi squillantinelle notti stellate:siate come le fate

che addolciscono il cuore!Lasciateci l’Amore

“giallamente” feliceche, per sempre, ci dicequel che vogliamo udire.

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BRIDGE

Per iniziativa dell’”ASSOCIAZIONECHIMERA BRIDGE”, questo gioco,riconosciuto dal CONI, ha avutorecentemente un impulso nella nostra città.Presidente e animatore dell’Associazioneè l’ingegnere Antonio Bedini (Tel.0575.300700)

In Toscana sono diffusi i giochi delle carte,quali briscola o scopone, la cui conoscenzae apprezzamento è premessa utile perdiventare giocatori di bridge.

L’Associazione organizza pressol’Hotel Minerva, tutti i pomeriggi delgiovedì e della domenica, un torneodi bridge.

Per chi è interessato ad imparare ilgioco del bridge, l’Associazionedispone di un istruttore federale (DinoFaltoni, tel. 368.7189773) e di unabrava giocatrice disposta a insegnarequesto gioco (Gabriella SerboliPignattelli tel. 349.53767).

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Riportiamo i risultati degli ultimi tornei di BRIDGE tenuti dall’Associazione ChimeraBridge:

Torneo del 28/11/2010 linea Nord-Sud 1° Bresci Maria Teresa e Stelloni Loretta 2° Lelli Laura e Rupi Pier Lodovico

linea est-ovest 1° Mastrantonio Angela e Cardeti Giancarlo 2° Galletti Luciano e Bresci Piero

Torneo del 2/12/2010linea Nord-Sud 1° Bresci Piero e Orzari Fabio 2° Baldelli Bombelli Augusto e Bedini Antonio

linea est-ovest 1° Marchetti Lanfranco e Brancati Maria Luisa 2° Cardeti Giancarlo e Casini Alda

Torneo del 5/12/2010linea Nord-Sud 1° Serboli Gabriella – Bresci Maria Teresa 2° Baldelli Bombelli Augusto e Bedini Antonio

linea est-ovest 1° Falconi Dino – Bresci Piero 2° Materazzi Dino – Nardi Dei Anna

Torneo del 6/1/2011linea Nord-Sud 1° Biancini Lucia – Caprini Giuseppe 2° Lelli Laura – Rupi Pier Lodovico

linea est-ovest 1° Incardona Luciana – Camiciottoli Renza 2° Tarquini Elio - Ceccarelli Marisa

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BURRACO

L’Associazione Chimera Bridge organizza presso l’Hotel Minerva, i pomeriggi delgiovedì e della domenica, anche un torneo di burraco.

Responsabile di questi tornei è Alvaro Fedeli (Tel. 0575.27369)

Riportiamo i Risultati degli ultimi tornei di BURRACO

Torneo del 28/10/2010 1° Fedeli Alvaro e Romani Mario 2° Raffaelli Lidia e Pierattini Marcella 3° Dalla Verde Bruno e Bonciani Giuliano

Torneo del 7/11/2010 1° Gironi Laura e Agnelli Bruna 2° Minghetti Mirella e Piantini Loredana 3° Ghiandai Mauro e Rubechini Simonetta

Torneo del 6/12/2010 1° Rossi Carlo e Ghezzi Maria Gabriella 2° Fedeli Alvaro e Romani Mario 3° Fiorentino Olimpia e Rubino Rosanna

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ANNI ‘70 - RESTYLING INDUSTRIALE

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Editoriale di LILLY MAGI

MementoPerché il Numero Zero

EntreéGIORGIO DEI VASAI

Cover StoryIl nome segreto di Arezzo

UrbanisticaPer la salvaguardia dell’area di un possibile aeroporto

VintageArezzo bombardata, Arezzo rinnegata

Cittàla resurrezione della chiesa di san donato in cremona

ProvinciaFoiano della chiana e il suo stemma nella storia

Societàla firma elettronica

RubricheDiritto & Rovescio - Poesie - Bridge & Burraco

IL VASARIANO