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IL VASARIANO MENSILE DI STORIE E NOTIZIE ARETINE

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MENSILE DI STORIEE NOTIZIE ARETINE

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PresentazioneAssessore Lucia De Robertis

Editoriale - Pensa Vasarianodi Fabio Massimo Fabrizio

La Mostra - Le collezioni del Louvre a Cortonadi Lilly Magi

Urbanistica - C’era una volta la Pista Ciclabiledi Federico Rupi

Belle Speranze - I giovani e la culturadi Eleonora Manganelli

Scienza - Prerequisiti della ricerca scientifica e tecnologicadi Roberto Vacca

Vintage - Arezzo che non fuPhotostory di Federico Rupi

Opinioni - Un eroe sbagliatodi Fabio Giannini

Città (I) - Il cardo, il decumano e le mura etruschedi Marilli Rupi

Città (II) - Il toponimo “Cremona”di Marco Giustini

Da Bruxelles - PMI e Globalizzazionedi Paolo Bartolozzi

Il Progetto - MusicArezzo 2011dell’Orchestra “Città di Arezzo”

Hobbies - Il Bridge ad Arezzodi Antonio Bedini

Rubriche:Toponomastica - Poesie - Bridge & Burraco

E-Zine mensile di storie e notizie aretineN. 1 - Giugno 2011

IL VASARIANO

Direttore ResponsabileLILLY MAGI

VicedirettoreFABIO MASSIMO FABRIZIO

Hanno collaborato

ROBERTO VACCA

FABIO GIANNINI - FEDERICO RUPI

MARCO GIUSTINI - MAURIZIO LICENZIATI

ANTONIO BEDINI - MATTEO CAMAIANI

ELEONORA MANGANELLI - MARILLI RUPI

PAOLO BARTOLOZZI

IL VASARIANO è edito daAssociazione “Il Vasariano”Via Bottego, 30 - Arezzo

Reg.Trib. n. 4/11 RS

www.ilvasariano.com

Scrivi a: [email protected]

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C’è bisogno d’informazione. E non in senso generico.

Il web ha aperto infine opportunità alla comunicazione e all’informazione.

C’è grande dinamismo nella “rete” e, a mio parere, un grande bisogno diqualità.

“Il Vasariano”, al quale auguro le migliori fortune, penso colga questobisogno.

Mi piace il sottotitolo che è una sorta di “mission” della testata: storie enotizie aretine. E anche gli argomenti che ho avuto il piacere di leggerenel numero zero confermano questo orientamento: fare a meno della“marmellata” informativa e privilegiare la selezione delle notizie e dellestorie.

Quindi approfondimenti sul presente ma anche sul passato della nostracittà.

In questo modo “Il Vasariano” recupera anche una funzione, storica maormai dimenticata, del primo giornalismo e cioè contribuire alla formazionedei lettori.

In questo senso potrà essere un valido strumento di informazione eapprofondimento al quale auguro il successo che merita.

Lucia De RobertisAssessore alle Politiche Sociali e Sanità

Comune di Arezzo

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Pensa vasarianoDi fabio massimo fabrizio

Nelle Conclusioni delle sue Vite,Giorgio Vasari così recitava: “A cagioneche chi vorrà seguitar la istoria, possagiustamente con le onorate fatiche sue, fareapparire men chiare e men belle quelle de'morti.”

Il messaggio è chiaro: quelli che dopo dime continueranno a raccontare le “istorie”dei grandi che verranno, non potrannonon prescindere dalla grandezza dicoloro che li hanno preceduti - e di coloroche li hanno raccontati.

Un modo elegante e garbato per dire:ecco, ho finito, ora tocca a voi.

Ma anche un modo meravigliosamentemoderno di concepire la vita, come eternofluire di grandezze e miserie di cui tuttinoi siamo voraci ma effimeri consumatori.

Questo approccio, a dir poco stravaganteper un uomo ben inserito nei templi dellacultura curtense dell’epoca, ha fattoindispettire - e non poco - molti criticid’arte e letterari, che rimproverano aGiorgio Vasari di aver trascurato troppo

l’analisi delle opere dei grandi artisti dicui scriveva, per perdersi nel racconto divita, degli ambienti, a volte perfino delpettegolezzo.

Insomma, da un grande artista e criticod’arte cinquecentesco, questi accademicisi attendevano l’estasi estetica di fronteall’opera immortale, la perfezione delleforme cantata da uno dei più grandiumanisti di sempre, e non il “vilecompendio” di vite vissute, in cui le operefanno solo da arredo.

Eppure, la grandezza di Vasari è propriolì: in quella curiosità quasi infantile nelricercare le storie più gustose, in quellacapacita di farci immaginare in modovivido e scanzonato qual’era l’ambientein cui i grandi artisti vivevano e sirelazionavano. Perché, per Vasari,l’opera altro non è che il risultatodell’esperienza di vita sublimata ineccellenza artistica.

Anticipando perciò di 500 anni lamoderna critica, Vasari si dimostra il

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Think Glocal. Think Vasarian.

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Think Glocal. Think Vasarian.primo, vero “Giornalista” della storiaartistica italiana.

Per il nostro, non c’è bisogno di raccontarela Vera Croce di Piero della Francesca.Basta descriverne la vita di bottega eriportarne la crescita di uomo che con iltempo, capacità, fortuna e buoneentrature, alla fine si trasforma in artistaeccelso.

Tutto ciò ha un sapore cinematografico: sifotografa il vissuto, e si lascia intenderel’immortale. Sarà poi il lettore a gioiredella scoperta, specie perché potràgoderne senza l’ingombro di chi ha giàdeciso, con il peso della propria cultura,di orientarne - se non addiritturacirconvenirne - l’esito critico.

Tuttavia, ai più è sfuggito un altro enormemerito dell’artista aretino: quello di averportato, attraverso i propri scritti, lanostra città, i nostri usi, i nostri tesori, nellecorti di tutta Europa. E di aver reso laToscana la culla dell’arte del mondo.

Oggi lo chiameremmo “marketingterritoriale”, ovvero la capacità di farconoscere la propria terra, raccontandone- e pubblicizzandone - le eccellenze.

“Think Global, Do Local” direbbe ilsociologo Zygmunt Bauman, inventore delfortunato termine “Glocale”, in cui ciò che

è tradizione e qualità locale altro non èche l’altra faccia della globalizzazioneapplicata al caso concreto e in unmercato aperto a tutti.

A ben vedere, non mi sembra che lalezione Vasariana sia stata ancora bencompresa dai suoi concittadini del futuro.

Troppi treni persi, troppo provincialismonelle strategie, troppo pochi investimentinel far conoscere al mondo i tesori chepossediamo e conserviamo.

Il “globalizzarci”, non significa affattorinunciare a ciò che di meglio abbiamo,ma anzi significa potenziarlo proprioperchè fatto conoscere ed apprezzarea chi ancora non sa trovare Arezzo in unacartina geografica.

Ecco, da questo numero noi vogliamo“glocalizzare” anche la nostra rivista:unire storie dalla spiccata identità locale,al respiro del pensiero di chi sa e vuoleessere cittadino del mondo.

Perciò, il lettore non si spaventi se daquesto numero troverà mescolati articolidi storia e cultura aretina con opinioni piùgenerali - espresse in totale libertà; setroverà, accanto al Bridge e al Burraco,l’intervento di Roberto Vacca, uno dei piùgrandi divulgatori italiani. E’ il nostropiccolo modo di pensare Vasariano.

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Il successo riscosso dalla mostra "Capolavorietruschi dall'Ermitage", tenutasi nella sededel MAEC nel 2008, è stato un incentivo perl'Amministrazione comunale di Cortona, peril Consiglio Direttivo e per l'Assembleadell'Accademia Etrusca ad insistere sullalinea delle aperture e collaborazioniinternazionali.

E così, dopo l'Ermitage è stata la volta de ilLouvre. Questo museo possiede una famosaraccolta di antichità etrusche, provenienti inmassima parte dalla dispersione dellacollezione del marchese Gian PietroCampana negli anni Cinquanta del XIX:raccolta ricca di oggetti e varia per le classimonumentali che vi sono rappresentate, ingrado di lumeggiare diversi aspetti dellaciviltà etrusca.

Pertanto, gli organizzatori della mostra sisono trovati nella fortunata condizione dipoter sciegliere i manufatti da esporreintorno ad un tema specifico, che potesseessere un'acquisizione culturale ed oggettodi discussione.

L'ubicazione di Cortona nella valle delChiana, l'uno il confine orientale dell'Etruria,segnato grosso modo dal corso del Teveree da quelli contigui del Chiana e dell'Arnosuperiore e medio, è stato uno dei criteri cheha guidato nella scelta del tema "Gli Etruschidall'Arno al Tevere", e cioè un tema di

interesse generale che però coinvolgesse lacittà che ospitava l'esposizione.

L'area suddetta è a vocazioneprevalentemente agricola, per cui la mostraed il relativo catalogo potrebbero apriresquarci illuminanti sull'agricoltura dell'Etruria,una delle risorse più importanti in particolaredell'Etruria interna.

L'intento degli organizzatori dellamanifestazione è quello di offrire alvisitatore un quadro di quest'ultima area cheproponga una sorta di "file rouge", a livellodi produzione e cultura, tra la realtàdell'ultimo millenio a.C. e quello dei giorninostri.

La collezione Campana per circostanzecontigenti è andata dispersa in unamolteplicità di sedi, ma i due nuclei piùconsistenti sono finiti all'Ermitage e al Louvre.Perciò, l'attuale rassegna vuole essere unacontinuazione della precedente suicapolavori etruschi dell'Ermitage.

Così la scelta culturale della città di Cortonaè un invito alla cittadinanza, ai visitatori, aglistessi organizzatori a meditare sul passatoper trovarvi motivazioni e stimoli a capire ilruolo dell'uomo nella società degli anni 2000.

La mostra "Le collezioni del Louvre aCortona. Gli Etruschi dall'Arno al Tevere"

Le collezioni del louvrea cortona

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di Lilly Magi

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propone, infatti, una selezione accurata direperti di grande fascino, incluse ancheopere poco note al grande pubblico edesposte per la prima volta in Italia, peroffrire importanti e nuovi elementi diriflessione sulla società etrusca in relazionealle diverse località di quest'area, anchegrazie a studi, indagini e restauri recenti oeffettuati per l'occasione.

Così è per il grande busto in terracotta diArianna risalente al III secolo a.C., frammentodi una statua monumentale appartenenteforse ad un gruppo culturale, che fino ad unadecina di anni fa era conservato, privoancora di identità, nei depositi delDipartimento delle Antichità greche, etruschee romane del grande museo francese.

Sono in mostra a Cortona opere famosecome "La Testa da Fiesole" - un bronzo delIII secolo a.C., acquistato dal Louvre nel1864. E' possibile ammirare pezzi diartigianato artistico, come "La pisside inavorio" proveniente dalla collezioneCastellani - scoperta nella necropoli di FonteRotella presso Chiusi.

Il legame di stima ed amicizia che unisce laFrancia alla città di Cortona ha radici moltoantiche.

Ricordiamo, ad esempio, la storia del Louvrecol progetto architettonico che Colbert chiesea Pietro da Cortona e, più in generale, ilrapporto che nel secolo dei lumi unìMontesquieu a Filippo Venuti, il quale,insieme ai suoi fratelli Marcello e Rodolfino,fu il fondatore dell'Accademia Etrusca edivenne anche abate di Clairac.

In tempi più recenti si ricorderà la figura diGino Severini, il cui cuore era diviso traCortona, dove era nato, e Parigi, la sua cittàdi adozione; il pittore - al quale il Musèe del'Orangerie renderà omaggio quest'anno -fu nella prima metà del Novecento un veroe proprio "trait d'union" tra le avanguardieartistiche francesi e quelle italiane.

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Ariannabusto femminileTerracottah. 61 cmprov. Falerii Novi – III secoloParigi, Musée du Louvre© Musée du Louvre / Christian Larrieu

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Pisside con un cavaliere eanimali reali e fantasticiavorio - h. 8,10 cmEtruria, prov. Fonte Rotella (Chiusi)fine VII inizio VI sec. a. C.Parigi, Musée du Louvre(C) RMN - © Hervé Lewandowski

Frammento di cippo funerariocon scena di prothésis

pietra vulcanica - 39 x 57 cmEtruria, prov. Chiusi – inizio del V secolo

Parigi, Musée du LouvreC) RMN - © Hervé Lewandowski

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Minerva Atena - bronzo - h. 29 cmEtruria, prov. Perugia – secondo quarto del VI secoloParigi, Musée du Louvre - RMN - © Hervé Lewandowski

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Oinochóe a forma di testa di giovane uomoBronzo - h. 30, 2Etruria, prod. Orvieto ?fine del V inizio del IV secoloParigi, Musée du Louvre(C) RMN - © Les frères Chuzeville

Vaso a forma di testa femminile:iscrizione “suthina” sulla fronte

Bronzo - h. 16 cmEtruria, prod. Orvieto ? - III secolo

Parigi, Musée du Louvre(C) RMN - © Hervé Lewandowski

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Kantharos con testa di menadee testa di satiroTerracotta - h. 17 cmEtruria, prod. Chiusiseconda metà del IV secoloParigi, Musée du Louvre(C) RMN - © Hervé Lewandowski

Askòs a forma di anatra:figura di donna alata

terracottah. 11,5 x l. 23 cm

Etruria, Chiusi – 320 av. J.C. ca.Parigi, Musée du Louvre

(C) RMN - © Hervé Lewandowski

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In anni trascorsi, le piste ciclabiliebbero ad Arezzo una cattivaaccoglienza e finirono smontate “a furordi popolo”, forse anche perché non erastata data la dovuta attenzione ad alcuneindicazioni di base.

Poiché queste infrastruttureapparentemente “minori” risultano,tuttavia, avere un loro significativo valorenel sistema dei trasporti urbani e l’usodella bicicletta si va diffondendo in moltecittà anche per spostamenti sistematici dilavoro, può essere oggi il momento diriprenderle in considerazione e puòessere utile riportare alcuni criteriessenziali.

Il Decreto ministeriale 557 del30/11/1999 fissa le linee guida per laprogettazione delle piste ciclabili che si

distinguono nelle seguenti quattrotipologie riportate in ordinedecrescente rispetto alla sicurezza peri ciclisti:

1 - piste ciclabili in sede propria.2 - piste ciclabili su corsia riservata.3 - percorsi promiscui pedonali e

ciclabili.4 - percorsi promiscui ciclabili e

veicolari.

La pista ciclabile in sede propriadeve essere fisicamente separata dallasede destinata ai veicoli e ai pedoniattraverso uno spartitraffico invalicabilecompreso in una fascia di separazione dialmeno 50 cm.

La separazione della pista può esseredi diverso tipo in relazione allecaratteristiche geometriche e funzionalidella strada cui si affianca, anche seandrebbe riferita al contesto urbano incui si inserisce: ad esempio la barriera“new jersey” offre il maggior grado diseparazione, ma in un centro storico èchiaramente assai invasiva; i cordoli aterra assolvono ad una discretaseparazione tra le due correnti di

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traffico, ma possono essere pericolosi inquanto non ben percepibili dai pedoni.

In considerazione della separazionefisica dalle altre componenti di mobilità,la pista ciclabile in sede propria puòessere anche a doppio senso di marcia.

La pista ciclabile su corsia riservatapuò essere ricavata dalla carreggiataveicolare o dal marciapiede pedonale: inentrambi i casi la corsia ciclabile èindividuata da una semplice striscia didelimitazione longitudinale.

La pista ciclabile su corsia riservataricavata dalla carreggiata può esseresolo ad unico senso di marcia, concorde esulla destra della corsia riservata aiveicoli.

Qualora l’intensità del traffico ciclisticone richieda la realizzazione, possono

essere previste piste ciclabili formate dadue corsie riservate purché nello stessosenso di marcia ubicate sempre in destrarispetto alla contigua corsia destinata aiveicoli a motore.

La pista ciclabile su corsia riservataricavata dal marciapiede può essereinvece a unico o a doppio senso di marciaa condizione che sia ubicata sul latoadiacente alla carreggiata stradale.

La larghezza minima della corsiaciclabile deve essere di almeno 1,50 m;tale larghezza può essere ridotta a 1,25m nel caso di due corsie contigue dellostesso od opposto senso di marcia.

Per le piste ciclabili in sede propria eper quelle su corsia riservata per brevitratti dell’itinerario ciclabile la larghezzaminima della corsia può essere in casiparticolari ridotta ad un solo metro.

Non di rado vengonorealizzate corsie ciclabili adoppio senso di marciaricavate dal marcia-piedee caratterizzate da unadiversa pavimentazione: inmolti casi tali soluzioni,prive di requisiti tecniciaccettabili, sono foriere dinumerosi conflitti trapedoni e ciclisti.

Occorre a questoproposito evidenziare che,nonostante la diversa

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gravità dei conflitti tra ciclisti e veicolirispetto ai conflitti tra ciclisti e pedoni, letraiettorie pedonali sono molto menoprevedibili di quelle dei veicoli. Questo,unito alla scarsa disciplina dei pedoni adutilizzare solo la parte di marciapiede adessi riservata, condiziona la percezione disicurezza dei ciclisti che, di conseguenza,sono portati ad utilizzare poco le pisteciclabili promiscue con i pedoni.

I percorsi promiscui pedonali e ciclabilipossono essere realizzati all’interno diparchi o di altre zone a trafficoprevalentemente pedonale. A voltevengono previste bande piuttosto strettedelimitate da strisce orizzontalidiscontinue che dovrebbero costituire peri pedoni elemento di riconoscimento dellospazio dedicato alla circolazione dellebiciclette.

Purtroppo, anche in questo casol’attenzione dei pedoni al passaggio delle

biciclette non faparte della culturadiffusa e nei percorsicomuni per i pedonie per i ciclisti siriscontra una nont r a s c u r a b i l efrequenza diincidentalità a dannodi ambedue isoggetti.

Infine, i trattipromiscui ciclabili e

veicolari sono ammessi solo per darecontinuità alla rete laddove non siapossibile risolvere diversamente ilcollegamento di due segmenti di pisteciclabili in sede propria o su corsiariservata.

Questi tratti promiscui, dove siinterrompe la separazione con le altrecomponenti di mobilità, sono però quellia maggiore rischio di incidente, ancheperché il ciclista, provenendo da percorsiriservati, tende in genere a ridurre il suolivello di attenzione.

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In senso antropologico, la culturaè l’insieme di costumi, usi, regole,credenze, usanze, atteggia-menti,abitudini, valori, ideali afferenti alle piùsvariate popolazioni e società delmondo.

Entrare a stretto contatto con questerealtà differenti dalla nostra è ciò checi apre la mente, è ciò che rende il nostropensiero fluente e dannatamenteelastico, è ciò che c’insegna a rispettaree tollerare l’altro da noi.

La cosa che è d’uopo sottolineare, eche spesso molti dimenticano è che lacultura si apprende e non si eredita pervia biologica, pertanto è un “percorsodi vita” aperto a tutti ma che in specialmodo è da consigliare ai giovani, cioèai futuri uomini della nostra società.

La cultura è un mix di studio (nozioni),di esperienza e di libera interpretazionedella conoscenza. Essa è crescitacontinua, un cercare di colmare la setedi conoscenza ma è anche

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di Eleonora Manganelli

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rielaborazione interiore di ogni cosaimparata.

Bisogna leggere, riflettere, confrontarsima soprattutto mettersi in discussionesperimentando i propri limiti e tentandodi superarli.

Bisogna motivare, dunque, i giovania studiare, a imparare ad essere curiosia coltivare quella sete di sapere chedovrebbe invadere ognuno di noi el’Italia deve impedirgli di fuggire permettere a frutto il background culturaleacquisito.

E’ di questo e di molto altro cheoccorrerebbe parlare anche nelletrasmissioni tv, spesso nutrite d’impro-duttivi reality pronti a succhiarel’attenzione modesta dell’opinionepubblica.

Cos’è che dovrebbe oggi spingereun giovane a seguire un arduo e tortuosopercorso universitario, quando dopo lalaurea e magari un dottorato di ricerca(titolo di alta specializzazione), adattenderlo sono soltanto prospettive diprecariato vitalizio, mentre il suo nomecorre ad infoltire la già nutrita lista deglistagisti seriali?

Ed ecco che arriviamo alla cosiddetta“Fuga dei cervelli”.

Secondo, infatti, una delle tanteindagini di mercato il 73% dei

ricercatori italiani all’estero è felice enon pensa minimamente ad un rientronel Bel Paese.

Questo dato è uno scacco matto perl’Italia che non soltanto registra unacostante perdita di menti eccellenti, mai risultati conseguiti all’estero dai nostristudiosi contribuiscono alla progressionee allo sviluppo dei paesi esteri lasciandol’Italia sempre più indietro trinceratadietro la vecchia guardia, dietro ilnepotismo, dietro un cumulo di maceriee ceneri che di certo non conducono alprogresso.

A testimonianza di ciò, un’economiain stallo ed un paese dove il divario trai ricchi e i nuovi poveri si f via via piùmarcato; un paese spento dove sempremeno fondi sono destinati alla ricerca edove i pochi scienziati che restano

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covano insoddisfazione, e per lastrumentazione inadeguata e per icompensi impropri che sono costretti aricevere.

Si potrebbe citare il libro scrittodalla Cucchiarato a riguardo, unagiovane giornalista espatriata inSpagna.

Il titolo: “Giovani senza radici: gliemigranti italiani di oggi”. LaCucchiarato sostiene, che i giovani infuga dall’Italia non si sentonoesattamente emigranti; sono figli dellaGenerazione Erasmus.

In più il motivo che spinge a partirenon è più lo stesso: cent’anni fa era lafame in senso stretto, fame di lavoro e

di un salario decente, oggi è la fame diesperienze, libertà e di nuovi orizzonti.

Ma i motivi che spingono questi giovaniindottrinati, colti e specializzati alasciare l’Italia riguardano soprattutto ilfatto che chi vive in Italia fa più faticaa veder valorizzato il proprio capitaleumano e le opportunità occupazionalisono più basse; inoltre il nostro sistemawelfare è inadeguato poiché hagradualmente trasformato la flessibilitàin precarietà e costretto i giovani adover dipendere a lungo dalle risorsedella famiglia d’origine.

Bisogna allora correre ai ripari estimolare con nuove prospettive eincentivi allettanti i giovani adintraprendere una fruttuosa carriera

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scolastica mostrandogli una volta pertutte un’Italia diversa, un’Italia chetrasmetta consapevolezza di culturadove non accada che gieffini, tronisti ecalciatori surclassino coloro che nellavita si sono dedicati ad altro meritandoforse di più o almeno quanto loro unavacanza lusso.

Non è etico mettere alla berlinanessuno ma un inno alla cultura che si staperdendo nei meandri di una societàdepressa è d’obbligo per risvegliare lecoscienze da quel torpore latente cherischia di condurre per mano i nostri

giovani a brancolare nell’incertezza diuna vita dai facili arricchimenti.

La conoscenza, la cultura, il saperevanno adeguatamente premiati ancheda un punto di vista economico peroffrire la giusta dimensione ai ragazzispesso persi in sogni di vana gloria.

La domanda è: perché in Inghilterra,in Germania, in America i nostri talentiitaliani sono premiati sia con gli stipendi,che con gli elogi per il proprio operato?

Perché come sostiene Predazzi,prima lo stato e le famiglie investono

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denaro pubblico per la formazione deiragazzi dalla culla all’università e poiquando sono finalmente formati, li siregala ad un altro paese?

Bisogna capire che i giovani sono ilfuturo da coltivare, non una minaccia damettere sotto giogo dove in Italiaabbiamo la classe politica, dirigente,insegnante più anziana del mondo. Nonsi può abbandonare il nostro Paese alproprio destino, perché la politica è incrisi e larga parte della classe dirigenteitaliana è screditata.

Servono energie ed intelligenzepure, non compromesse con il vecchioper costruire le basi di un nuovorinascimento e questo è un contributo chesolo giovani colti possono apportare. Igiovani non possono non possonocrescere nel culto della televisionespicciola e acontenutistica.

Ma il problema non sta nelmodificare gli interessi o nell’incentivareil numero dei libri letti perché la veraquestione è cercare d’infondere dallascuola dell’obbligo in poi nei ragazzi lafiducia nel domani, l’amore per lascoperta, la propensione alla ricerca ealla curiosità di conoscere nuove coseche siano esse filosofiche, letterariescientifiche o anche semplicementeafferenti alle usanze e ai costumi di unluogo. Ricordando una citazione di Pasoliniin proposito: “Per amare la cultura

occorre una forte vitalità”, e chi più deigiovani può possedere tanta forza etanto vigore?

Sicuramente anche le aggregazioniculturali, le associazioni apolitichepossono giocare un ruolo fondante perla crescita proficua dei ragazzi cheriescono a confrontarsi, a scambiarsiidee, a discutere di temi più o menoaudaci perché dovunque c’e scetticismoe negoziazione delle proprie stesse ideepiù valide, c’è sapere.

Concludiamo con una celebre frasedi Frank Herbert: “Esigere il sapereassoluto è qualcosa di mostruoso. Ilsapere è un’avventura senza fine aiconfini dell’incertezza.”

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I progressi scientifici, tecnologici,organizzativi, straordinari negli ultimisecoli, continuano ad accelerare. Peròl’epoca attuale non è un’età della scienza.

Quasi ovunque la maggioranza dellapopolazione ha idee vaghe sugli strumentiteorici e pratici con cui la realtà siinterpreta e si modifica.

Le comunicazioni di massa dannol’illusione di un sapere diffuso, ma, rispettoai picchi di conoscenza della minoranzaavanzata, i più sono nell’ignoranza.

Manca un’opinione pubblica informatache eserciti un controllo sociale dellatecnologia. La paura di rischi immaginarie non di quelli reali, ispira decisionisbagliate.

La situazione culturale di oggi èmigliore che in passato, ma, specie nelnostro paese, potrebbe esserlo molto dipiù. Per innalzarla non ci sono ricettesemplici: la cultura tradizionale vaintegrata con la tecnologia dell’in-formazione e della comunicazione.

La situazione attuale italiana inscienza e tecnologia, a parte notevoli,ma rari picchi di eccellenza, è moltocritica. Gli interventi per mirare erealizzare una ripresa dovrebberoessere al primo posto nei dibattiti suriforme e piani nazionali – ma non lo sono.

La Commissione Europea hapubblicato (Febbraio 2011) la classificadei 27 paesi dell’Unione in base al livellodi innovazione raggiunto. Questo èespresso da un indice (compreso fra 0 e1), che è funzione di 24 indicatori(lauree, ricerca scientifica, investimentipubblici e privati in ricerca e sviluppo,

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brevetti, percentuale di piccole e medieimprese innovative, etc.). La situazione èrappresentata dall’istogramma seguente.In verde: 4 leader (Svezia, Danimarca,Finlandia, Germania) - in celeste,: 10innovatori di seconda classe, in giallo 9innovatori moderati e in arancione; 4innovatori modesti.

La Svezia sta a 0,75. La media dei 27Paesi sta a 0,5. L'Italia sta fra gliinnovatori moderati a 0,42 - il 16° postosu 27 - dopo Portogallo, Estonia,Slovenia, Cipro – tutti sotto la media.

Il quadro sinottico in appendice mostrache in Italia gli investimenti pubblici inricerca e sviluppo sono lo 0,58 % del PIL(0,77 della media europea) e quelliprivati sono lo 0,65 % del PIL (0,52 dellamedia europea). Questo divario dura da

30 anni. Non è solo questione diinvestimenti, ma di cultura media. Lapercentuale della popolazione che hacompletato l’educazione terziaria è inItalia il 19%. La media europea è 32,3%, Francia 43,3 %, Irlanda 49 %. Alivello più basso dell’Italia sono solo 5paesi: Macedonia, Repubblica Ceka,Romania, Slovacchia e Turchia.Il pubblicoitaliano non vede il problema.

Gli italiani in media si interessanomeno agli studi e alle professionitecniche. Nel 2004 il numero degli iscrittiai licei superò quello degli iscritti agliistituti tecnici. Nel 2008 i primi erano il43% e i secondi il 29% dei giovani checontinuavano gli studi [istitutiprofessionali 28%].

Fonte: Innovation Union Scoreboard 2010, www.proinno-europe.eu/metrics

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Già mezzo secolo fa - e anche oggi -non solo manager e funzionari ad altolivello, ma anche il pubblico in generale ei mezzi di comunicazione di massa tendonoa ignorare nozioni, concetti e strumentiscientifici e tecnici.

Si alimentano di una cultura discorsivae danno credito a pensatori modesti. Lacultura era, ed è, spesso identificata conspettacoli più musei. Si ripete che siamoentrati nell’era dell’informazione e si tentadi misurare il successo valutando lapenetrazione nel mercato di computerpersonali, telefoni cellulari e apparecchiper sentire musica registrata e scambiaresms.

Gli intellettuali parlano per sentito diredella conoscenza del mondo fisico e dimatematica. Aumenta il divario fra altatecnologia e cultura media. Si diffondonomacchine di facile uso, che eseguonoprocessi non trasparenti, e isupercomputer si usano per scopi banali.Gli utenti non acquisiscono concetti, nonusano linguaggi avanzati, ma soloimmagini.

Il circolo vizioso dell’ignoranza è piùminaccioso in Italia che altrove. I decisoripubblici e privati male addestrati noninvestono in ricerca e sviluppo, nèsponsorizzano scuole eccellenti.

I contenuti dei mass media, volatili ovuoti, propagandano la tecnologia perscopi insulsi e sostengono che certi illusoriprogressi tecnologici sono soddisfacenti.

Una rimonta culturale, tecnologica edeconomica richiederebbe impegnieccezionali di investimenti, risorse umane,immaginazione e controlli rigorosi dellaqualità e del benchmarking (valutazionedella posizione relativa dell’Italiarispetto agli altri Paesi. Non si vedonosegni di iniziative simili.

È ora che questa esigenza siariconosciuta e si smetta di dibattere suquestioni formali o di interesseparticolaristico.

Il degrado culturale si manifesta intanti modi. Chi ha studiato lo riconoscenel suo settore di competenza. Le areechiave sono ovviamente: scuola, mezzi dicomunicazione dei massa e telematica. Inciascuna dovremmo trovare e redimerestrumenti e concetti efficaci.

Le carenze e i difetti sono cosìconclamati che sentiamo e leggiamocritiche e proposte frequenti, anche sesono troppo spesso timide e settoriali.

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È vitale rimontare posizioni. A questoscopo occorre definire traguardiintermedi:

• definizione di settori, risorse, problemi,strumenti, conoscenze su cui basareimprese innovative

• progetto di aziende virtuali, costituiteda ricercatori, scienziati, industriali

• specifiche di innovazioni o invenzioniconcrete o creazione di settori di attivitàfinora trascurati, ma perseguitivivacemente all’estero

• programmi miranti a reperire risorsefinanziarie e umane

• monitoraggio dell’attività evalutazione impatti conseguenti

• creazione di studi avanzati eformazione avanzata entro le aziende.

Non sono solo economici gli interventiper rinnovare il Paese. L'economia non sirilancia solo lavorando di più. Vanno fattilavori difficili e prodotto più valoreaggiunto.

In Italia c’è una università per ogni600.000 abitanti. Negli Stati Uniti ce n’èuna ogni 100.000 abitanti, in Inghilterraogni 200.000, in Francia ogni 230.000.

Negli USA ci sono oltre 50 università,college e politecnici con capitali superioria un miliardo di dollari. Al primo postoHarvard con 25 miliardi, poi Yale con16, Princeton, Stanford e l’Università delTexas con 12, Michigan, Cornell,Università della California a Los Angelescon 5. In media il capitale per studenteè di circa un milione di dollari e ogniuniversità spende ogni anno il 5% delpatrimonio.

Le industrie italiane dovrebberofinanziare università,scuole superiori e istitutidi ricerca ancheconsorziandosi percreare e finanziarepolitecnici.

P a r a d o s s a l m e n t efinanziano taloraprestigiosi istituti in altriPaesi. Intanto vengonoridotti i finanziamentipubblici a università ericerca.

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In Francia il 2% dei professoriuniversitari sono stranieri, nel Regno Unitoil 10,4 %, in USA il 19%, a Singapore il47% - e, in questi paesi, è alta lapercentuale di università eccellenti.

Le università italiane, invece, non hannoprofessori stranieri: non cercano diingaggiare i migliori ovunque si trovino.Per questo sono state criticateenergicamente, anche se ancora nonpenalizzate, dalla Comunità Europea.

È ben noto che università e ricercatoriitaliani eccellono in alcuni settori di punta.La media generale non raggiunge livellidi eccellenza e si notano aree nettamentearretrate e disattese.

Innalzare la cultura professionale egenerale, creare scuole avanzate,investire in ricerca e sviluppo evita ildeclino, produce resilienza agli eventiavversi.

Però le opinioni, le credenze, leideologie, i memi condivisi dallamaggioranza della popolazione sono dibassa qualità, se il pubblico è facilepreda di ingenui catastrofismi e dellaripetizione di leggende metropolitane.

A lungo termine occorre un'azioneinternazionale congiunta di aziende,soprattutto ad alta tecnologia, mirata ainnalzare la cultura di intere popolazioni.Vanno utilizzati tutti i mezzi dicomunicazione di massa, oltre alle scuole.

Gli obiettivi sono: offrire occasioni diapprendimento, innescare modeedificanti. Bisogna far crescere ladomanda di prodotti e servizi sofisticatiche producano valore aggiunto einnalzino i rendimenti della società.

È vitale che si alleino cultura,accademia, parlamento, industria perinfluire su giornali, radio e televisione efornire al pubblico strumenti diaggiornamento continuo, criteri digiudizio sulle informazioni dilaganti, modidi acquisire l’abilità di esprimersiefficacemente.

Oggi oltre a scienza/tecnologia eumanistica sono vitali: informatica, logica,biochimica, energetica, socio-economia,previsione tecnologica. I numeri crescentidi esperti generano progressi continui.Questi sono disponibili in rete, ma ilpubblico in genere ne è escluso perchègiornali, radio, TV, comunicazioni socialiinterpersonali trattano solo di argomentivolatili. La gente – e i giovani – nonsentono parlare di cose importanti e dianalisi critica dei fatti. Quindi nonvengono motivati a sapere, a capire, apartecipare.

Radio, televisione e giornali sonotroppo usati in Italia per fini politici o perpubblicizzare interessi privati. Moltetestate ed emittenti minimizzano notiziee problemi di cui la proprietà o i gruppidi riferimento non hanno piacere diparlare. Editoriali stampati e in videosono spesso di parte.

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Questa caratteristica negativa non sielimina con le esortazioni: ci vorrebbe unaserie di conversioni a codici di equità,liberalismo, oggettività che per lunghiperiodi della nostra storia sono statidisattesi, ignorati, combattuti. Il nostropaese dovrebbe essere terra di missione,ma anche la “libera America” mandapochi missionari.

Missione impossibile? Lo fa temere loscarso rigore che conduce all’abbandonodella ragione. In conseguenza si parla diesoterismo, astrologia, magia,parapsicologia, miracoli, etc., come sefossero innocenti e spiritosi atteggiamenti

consentiti giocosamente a certiintellettuali – sia di destra, sia di sinistra.

L’effetto sul pubblico ingenuo, invece,è disastroso: la disinformazione acriticaporta alla rovina.

Le notizie vengono date come sefossero descrizioni oggettive di fattiosservati. Invece quando si tratta diprocessi multiformi (naturali, economici,scientifici, tecnologici) è più sensato e utilediscutere i meccanismi che li governanoe discutere su come vadano analizzati,ricostruiti, revisionati.

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Occorre ragionare su come si faccia acapire chi ha ragione nei dibattiti fraesperti (spesso improvvisati).

Il mondo è fatto anche di meccanismidella natura, struttura della materia edegli artifatti umani, processi sociali,politici ed economici.

Questi sono influenzati, gestiti, subìtida milioni di persone in modi razionali,irrazionali, passionali, casuali. Per capirlonon basta più la conoscenza dei caratteriin cui il mondo è scritto: rette, cerchi,parabole (Galileo). Bisognapadroneggiare strumenti moderni e nonguardarci attorno attoniti comepasseggeri su veicoli che marciano a caso.

Imparare a usare questi strumenti èun’attività piacevole e può appassionarepiù dei giochi di carte o dei quiz. Serveanche a capire i problemi, a formarsiopinioni su cose vitali per noi chealtrimenti ci accadono ed evocano nostrereazioni inadeguate come quelle diselvaggi analfabeti

Per ridurre le emissioni prodottedall’uso di combustibili fossili e ladipendenza da fonti energeticheimportate, conviene ricorrere di nuovoall'energia nucleare.

I dibattiti in merito, però, sono pervasida considerazioni passionali e dadisinformazione.

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In Italia le centrali esistenti sono statefermate. Quella di Montalto è stataconvertita in termoelettrica dopo ilreferendum del 1987, i cui quesiti eranoe sono largamente ignorati dall'opinionepubblica, dai media, da pubblicisti esociologi.

Le tecnologie a cui ricorrere per crearedi nuovo una industria e una produzioneelettronucleare in Italia sono note. Leprospettive del nucleare in Italia sonoincerte non per ragioni tecniche, ma permotivi di inadeguatezza culturale.

Per consentire ai decisori pubblici eprivati di formulare piani di svilupporazionali e realistici, occorreintraprendere una vasta operazioneculturale che fornisca informazionecorretta in termini semplici atti araggiungere un pubblico vasto.

Va ricordato che il disastro diChernobyl ha provato chel'addestramento degli operatori è fattorevitale: con leggerezza inaudita (inassenza di esperti nucleari) ingegnerielettrotecnici tolsero le sicurezzedall'impianto e provarono se in caso didistacco dalla rete l'energiaimmagazzinata nei rotori deiturboalternatori fosse adeguata adabbassare le sbarre di carburo di boro.

Non lo era: l'impianto esplose.

La catastrofe sarebbe stata menograve, se il reattore fosse stato contenutoin guscio di acciaio. Gli effetti

dell'incidente alla centrale di Three MileIsland (USA) furono contenuti da unoscudo corazzato e non causarono vittime.

I timori dei rischi dovuti a centralinucleari si discutono riferendosi atecniche di vari decenni or sono. Quellerealizzate in Occidente erano già piùsicure di quelle russe, oggi si mira aprogetti intrinsecamente sicuri in cui gliinterventi di sicurezza non sono prodottida sistemi attivi (sensori e motori elettrici),ma per azione di forze naturali (gravità,dilatazione di elementi in bimetalli).

Le centrali giapponesi di Fukushima,in cui sono avvenuti sinistri in seguito alterremoto del Marzo 2011, non erano a

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sicurezza intrinseca e risalivano a 40 annifa.

Alternativa interessante è quella dipassare a reattori di IV generazione adalta temperatura raffreddati a gas.Questi possono essere più sicuri deireattori raffreddati ad acqua, possonoraggiungere temperature di 1000°C cuiconseguono alti rendimenti termodinamicie possibilità di produrre economicamenteidrogeno per via termochimica.

Ne furono realizzati prototipi in USAe in Germania, ma si affermò lapreferenza per i reattori ad acqua, piùcompatti e adatti a essere installati insottomarini.

La capacità di concatenare fra loroproblemi e soluzioni apparentementedifformi dovrebbe essere acquisita datutti. Ha valore intellettuale e morale, oltreche pragmatico.

La gestione di grandi problemi socialie politici non è una scienza esatta. Si giovaanche di principi semplici che chiunque puòcomprendere e fare propri. Fra questi c’èil principio giapponese del kaizen –tendenza al miglioramento continuo:operare ogni giorno più efficacemente delgiorno prima. Ai lavoratori giapponesi siinsegna a tenere note delle proprieesperienze e a comportarsi come piccoliscienziati.

Spesso l’impegno personale non èsufficiente: lavoratori e operai siorganizzano, allora, in “circoli di qualità”

per discutere i problemi e cercareinsieme soluzioni nuove. Teoria e praticadella gestione totale di qualità devonocontinuare a diffondersi nell’industria, maè bene che pervadano società, scuole,accademia, processi decisionali, massmedia.

Solo i paesi che investonorobustamente in ricerca e sviluppoconseguono incrementi notevoli delprodotto interno lordo o non lo vedonodiminuire in tempo di crisi economica –gli altri no.

[Intervento al convegno della SocietàItaliana per il Progresso delle Scienze(SIPS) “Gli scienziati italiani per l’Unità elo sviluppo dell’Italia” - CNR - Roma - 29Marzo 2011]________________________________

Roberto Vacca,i n g e g n e r e ,ricercatore edapprezzato roman-ziere, è uno deiprincipali divulgatoriscientifici italiani.

I suoi scritti sonopubblicati innumerose riviste, sia

scientifiche che d’opinione, ed èfrequentemente ospitato sulle pagine dimolti quotidiani, dall’Unità al Sole 24Ore.

I suoi libri possono essere acquistatipresso il sito www.printandread.com.

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1. Un’Area Molto Contesa

Quando la ferrovia arriva adArezzo, la città è sbarrata nella direzionedell’attuale via Crispi da una quinta dicase, oltre le quali inizia la campagna,con l’anfiteatro occupato da prostitute.

Demolita questa quinta, inizial-mente l’intero asse est-ovest vienechiamato via Petrarca. Ma quando arrival’ordine dal “Minculpop” (da non credere,ma proprio questo è l’acronimo ufficialedel “Ministero della Cultura Popolare”) dinominare una strada centrale “via Roma”,questo nome tocca solo al tratto della viaPetrarca antistante i Portici, mentre per il

tratto rimanente, ritenuto troppoperiferico e non consono, viene scelto ilnome di via Crispi, perché qui abita unparente dell’ex statista.

Aperta la via Crispi, lungo il latonord di questa strada si configura unaampia area libera, sulla quale sifocalizzeranno le più varie ipotesi diutilizzo.

In quest’area, nel 1914, l’ingegnereTavanti progetta una scuola elementare(figura 1). A quell’epoca è imperativo il

FIG. 1

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rispetto della simmetria, per cui basta progettare metà fabbricato e a questa regolasi conforma il Tavanti.

Nel 1918 si cambia idea e si decide di costruire un orfanotrofio secondo unaltro progetto, sempre dell’ingegnere Tavanti, questa volta in stile neo-rinascimentale.

(figura 2).

Finchè nel 1927, “con generale vantaggio” come recita la cronaca di“Giovinezza” del 9 aprile, mutata la funzione, viene progettato ancora dal Tavantiil nuovo “Palazzo delle Federazioni Fasciste” (figura 3). Lo stile è in parte

FIG. 2

FIG. 3

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neo-rinascimentale e in parte neo-medioevale, con qualche pinnacolo in più, come siconviene alla nuova destinazione.

Il 9 ottobre 1929, la Nazione informa che, invece del “Palazzo delleFederazioni Fasciste”, in quest’area sarà costruita la sede dell’”Opera NazionaleBalilla”, questa volta secondo il progetto di un architetto di livello nazionale, anchese di origini anghiaresi, Annibale Vitellozzi vincitore del relativo concorso.

Alle vecchie regole della simmetria si aggiungono i nuovi principi dell’architettura del regime: la verticalità con le lesene, il “volume maschio”, lamonumentalità con l’abbandono delle decorazioni, dei fronzoli e dei simboli borghesie con l’assunzione degli elementi strutturali della romanità (figura 4).

FIG. 4

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Questa volta il progetto è indubbiamente di buon livello, ma quest’area èdestinata a non avere pace e, quando nel 1930 la costruzione è arrivata già a seimetri fuori terra (figura 5), scappa fuori il nuovo Federale fascista, GianninoRomualdi, che è anche ingegnere, il quale, raccogliendo un po’ qua e un po’là daglistili precedenti, tira fuori il suo progetto per la costruzione adesso di un orfanotrofio.(figura 6).

E, potenza del “conflitto di interessi”, la parte già realizzata della costruzionedel Vitellozzi viene interamente demolita.

FIG. 5

FIG. 6

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Finchè nel 1932 viene finalmente definitivamente avviato dall’Istituto CasePopolari dell’epoca un edificio abitativo dello Stato (figura 7) che verrà ultimato nel1935.

Forse non tutti gli aretini si sono accorti che questo edificio, ribattezzato “ilCasone”, o, alternativamente, “Il Palazzone” insieme con il “Palazzo Albanese”davanti ai Portici, costituiscono due pregevolissimi esempi di alto livello architettonicodello “stile novecento” italiano, che mettono a dura prova tutto quello che lì intornoè stato costruito dopo.

FIG. 7

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2. Una scelta controproducente evitata

Quando Papa Innocenzo III, nel1203, elevò a cattedrale la chiesa diSan Pietro, posta dove adesso è il Duomo,

togliendola ai benedettini che certamentenon furono tanto contenti, si pose ilproblema di dare a questa chiesa un

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aspetto confacente al nuovo ruolo, cosache fu possibile avviare solo nel 1276quando Papa Gregorio X, deceduto nelpalazzo vescovile aretino, lasciò a questoscopo la somma di 30.000 fiorini d’oro.

La costruzione del Duomo iniziòsubito partendo da est e via, viaproseguendo per tappe successive versoovest, ad ogni tappa tamponando con unafacciata posticcia di mattoni la parte giàrealizzata.

Cosicché nel dipinto di Piero dellaFrancesca nel quale l’immagine di Arezzofa la parte di Gerusalemme, compare lafacciata del Duomo di color rosso mattone.

E tanto ci volle per completare ilDuomo, che nel 1896 la facciataprincipale non era ancora ultimata. Delresto, la stessa cosa era accaduta ancheal Duomo di Firenze la cui facciata furealizzata dal 1876 al 1887.

Fu allora bandito un concorso, cuiparteciparono trenta architetti, masiccome la giuria non ritenne di premiarenessuno, la gara fu ripetuta e questaseconda volta i concorrenti furonotrentaquattro.

E, anche a quei tempi, tra concorsi,commissioni, polemiche e burocrazietrascorsero 18 anni e la facciata risultòultimata solo nel 1914.

Vinse il progetto di Dante Vivianiil cui motto era “simplex”.

E l’unico elemento della facciatache contraddice il motto sono gli stemmidelle famiglie che parteciparono allaspesa, ciascuna con mille lirecorrispondente oggi a 5-6 mila euro.

Anche se la semplicità dellafacciata non fu troppo apprezzata,talché il Salmi la considerò “fredda escolastica” e successivamente il Carli ladefinì “professorale”, oggi possiamo solodire che se, invece, avesse vinto ilprogetto in gara qui riportato, essoavrebbe fatto fare alla nostra città unagran brutta figura nei confronti dei turistiappena avveduti che fossero capitati difronte ad essa.

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Vittorio Arrigoni, l’italiano ucciso il15 aprile scorso da un gruppo diestremisti islamici a Gaza era certamenteun uomo coraggioso (perché ci vuolecoraggio a trasferirsi a Gaza di questitempi), aveva degli ideali ed era dispostoa lottare per affermarli; solo per questomerita rispetto.

Forse era anche un eroe - comedicono alcuni – ma un eroe sbagliato, operlomeno era sbagliata la causa per laquale lottava con tanto accanimento.

Vittorio era un pacifista scrivono tutti,ma forse un pacifista a senso unico comece ne sono molti, di quelli che agitano labandiera della pace contro i carri armatiisraeliani ma mai contro i palestinesi chelanciano razzi contro Israele.

Vittorio era impegnato tutti i giornicontro quello che definiva “criminaleassedio israeliano” (di Gaza), citavaNelson Mandela parlando di “razzismo”di Israele ed era arrivato addirittura acriticare l’eroe della sinistra RobertoSaviano per aver appoggiato unamanifestazione pro-Israele; ma a quantomi risulta – e sarei lietissimo di sbagliare

– non aveva mai speso una parola controi rapitori del giovane soldato di levaebreo Gilad Shalit rapito a 19 anniproprio al confine con la striscia di Gazae da oltre 5 anni prigioniero di Hamas.Eppure anche la sua deve essere una vitad’inferno!

Il nostro cooperante non facevapoi troppo mistero di non amare moltogli israeliani tanto è vero che su internetaveva definito poco tempo fa i sionisti(termine con cui in Medio Oriente sidefiniscono spesso tutti gli ebrei) comedei “ratti”.

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Immagine certamente pocoelegante, che richiama tanti altri animalispregevoli con cui i “giudei” sono statispesso identificati nei secoli passati.

Non aveva inoltre avuto problemiad abbracciare pubblicamente il premierdi Hamas (l’organizzazione palestineseche da alcuni anni governa con il pugnodi ferro tutta la striscia) Ismail Haniyeh, lecui mani grondano realmente del sanguedi tanti innocenti uccisi dalla suaorganizzazione.

Anche dopo la tragica morte, non misembra che i toni usati da alcuni familiarisiano stati improntati a sentimenti diriconciliazione; in particolare la Madre ha

insistito (così scrive il Corriere della Seradel 18 aprile), affinché il cadavere delfiglio dovesse tornare in Italia nonpassando per il territorio israeliano maper l’Egitto: “Il mio non vuole essere ungesto politico; semplicemente mio figlioavrebbe voluto così. Gli israeliani nonlo hanno mai avuto in simpatia (sembrache il sentimento sia stato comunquereciproco), lo hanno sempre consideratoun soggetto pericoloso …chi non ha maivoluto mio figlio da vivo, non lì avràneanche da morto”.

Parole forti, parole che hanno colpitoanche lo scrittore israeliano Etgar Keretche ha chiesto alla famiglia di ripensarciper non trasformare il triste viaggio di

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una bara “in un simbolo dell’odio e delrifiuto verso coloro che considerava nemici”.

“La terra di Israele” - Continua loscrittore - “è tanto empia da non poteressere attraversata da un morto? E i suoiabitanti sono forse tanto abbietti che il lorosemplice contatto rischia di profanare quelcorpo?”.

Eppure la famiglia non ha cambiatoidea, quasi che il suo grande dolore sidovesse proiettare non contro i suoi crudeliassassini quanto contro un altro popolo edun altro stato, come se i rancori di una vitadovessero dominare anche lo strazio dellamorte.

Non a caso alcuni ambienti palestinesisi sono dati subito da fare per cercare dinascondere nella tragedia le chiareresponsabilità di alcuni gruppi salafitiultraestremisti per cercare di farintravedere chissà quali complotti e chissàquali responsabilità dell’odiato nemicoisraeliano, pardon sionista: sono cosìapparsi manifesti in cui l’immagine diArrigoni era affiancata a quella di unavolontaria della sua stessa organizzazioneche morì sotto un bulldozer diGerusalemme con sotto la scritta: “lostesso killer”.

Analogamente il portavoce di HamasFawzi Barhoum ha accusato proprioIsraele di essere in qualche modo coinvoltonell’omicidio di Vittorio.

Di fronte a questo lutto, al di là dellaretorica, rimane solamente la preghierae la consapevolezza, come ha scritto ilSottosegretario Carlo Giovanardi, che“Al dolore per la barbara esecuzione delgiovane volontario italiano VittorioArrigoni è doveroso aggiungere unaferma e convinta solidarietà allacomunità ebraica e allo Stato di Israele,che ancora una volta si tenta dicolpevolizzare, minimizzando così leresponsabilità dei fanatici che nevorrebbero l’annientamento”.

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Sulla vetta del colle più alto checoincideva con il centro della Fortezza,fino al 1800 emergeva un’antica chiesacon il nome del santo Patrono di Arezzoassociato ad un toponimo: “San Donato inCremona” [NdR: sul significato deltoponimo, rimandiamo all’ottimo articolo diMarco Giustini, qui a seguire].

Gli Etruschi costruiscono attorno ai duecolli una prima cinta muraria, cheampliano successivamente espandendolaverso sud, fino a via del Ninfeo e versonord, fino a via Tarlati.

Il luogo dove sarà costruita la Fortezza èal centro della città etrusca. Gli antichi tracciatori della cittàstabilirono col rito solare la direzione delcardo e del decumano.

Il cardo si identifica con viaFontanella - via Pellicceria, secondo unallineamento che si ritrova, oltre il Prato,nella via Pietramala. Infatti, prima delriempimento del Prato, l’inizio di viaPellicceria coincide con la sella di crinale;oltre la quale si apre l’altro versante.

Il decumano interseca il cardo più anord dell’inizio di via Pellicceria, inposizione più centrale rispetto allacittadella etrusca, in corrispondenza delPrato. Secondo questa ipotesi, ildecumano, ricalcando un percorso piùantico, congiunge i vertici delle duealture.

Nel medioevo questo percorsoprenderà il nome significativo di “rugamastra”. Ed ancor oggi il tracciato èriconoscibile, corrispondendo all’allinea-

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mento di via Fiorentina - via San Lorentino– piaggia del Murello via Ricasoli –ingresso alla Fortezza.

Oltre la Fortezza, l’allineamento siritrova perfettamente nella via Redi.Secondo un’altra tesi questo allineamentosarà il risultato del successivo interventoromano e della realizzazione del “foro”.

Un gran numero di documentitestimoniano che il recinto sud dellacittadella etrusca corre, arretrato diqualche metro, parallelamente alla via diColcitrone.

In un documento del 1326 si leggeche il muro etrusco, costeggia la via diColcitrone, dietro casa Bettini e davanti acasa Berardi.

In un ordine del Podestà del 1225,sono nominate le vecchie mura della zonaa est di piazza Grande.

Una scrittura più antica, dell’anno1030, prova l’esistenza del muro etruscoai lati del cardo, subito sopra via deiPescioni.

In una cantina di via dei Pescioni,il Gamurrini scopre un pezzo di muragliaa grossi massi sovrapposti, senza calce,restaurato in antico con qualche elementodi colonna di granito.

Grossi blocchi di arenariasquadrati, fuori della loro posa originale,ma sicuramente a questa vicini,compaiono nella chiesa di SanBartolomeo.

L’Aretini aggiunge latestimonianza di importanti ritrovamentiin Borgunto, dove si ritrova, nella partecompresa tra piaggia San Lorenzo epiazza Grande, alla distanza di 10-15metri dalla strada, ai vecchi numeri civici1-5-7-11, la tipica struttura di rocciatagliata con sopra i macigni squadrati.

Questa struttura si allaccia allemura di piaggia San Bartolomeo. Qui lemura si staccano da un piano di impostaassai più basso del piano strada, evoltano ad angolo, suggerendoall’Aretini l’ipotesi di una porta dellacittadella proprio all’inizio di piaggiaSan Bartolomeo.

Dall’esame delle divisioni diproprietà e dalla presenza di grossestrutture, che probabilmente nascondono

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elementi del muro etrusco, l’Aretinipresuppone la ripresa della cinta a tergodel distrutto palazzo del Podestà, tantopiù che verso quel punto converge l’altraserie di reperti, lungo via dei Pescioni.

Nell’orto della Canonica diS.Niccolò, alla distanza di 13 metri dallastrada, ricompare la tipica struttura diroccia tagliata in basso con alcuni macigniin alto.

Le mura ricompaiono all’esternoben visibili, nella piazzetta di SanNiccolò, all’angolo delle scale chescendono in via dei Pescioni, alla distanzadi 13 metri dalla strada.

Nella canonica, sulla linea diquesto reperto, si trova una analogastruttura al di fuori dei fondamenti dellachiesa di San Niccolò e distante 15 metrida via dei Pescioni.

Questa struttura forma un angoloavvicinandosi a via dei Pescioni, di circadue metri per poi riprendere il suoandamento verso est, dove si trova unacisterna scavata nel masso, cheprobabilmente risale ai primiinsediamenti etruschi.

In via dei Pescioni, ai vecchi numeri15 e 19, alla distanza di 13 metri dallastrada, compare ancora roccia tagliatacon sopra i caratteristici macigni.

I bombardamenti della secondaguerra mondiale hanno abbattuto un

tratto delle case di via dei Pescionicontiguo a Piazza Santa Croce, ed èapparso il muro etrusco costruito soprauna base di roccia scolpita, confermandole considerazioni sopra riportate.

In conclusione, quando la cittàetrusca si espanse oltre i propri confini, leprime case sorsero addossate al muroetrusco.

Immaginando di togliere le casedel lato nord di via dei Pescioniricompare la rocca dell’antica cittadellaetrusca. Per cui si può concludere che latrama urbanistica di Colcitrone, da viadei Pescioni verso nord, è di chiaraderivazione della cittadella etrusca.

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Se si vuol riscoprire la storia di unachiesa dimenticata come quella di SanDonato in Cremona, è necessario studiare

attentamente anche i particolari cheall’apparenza possono sembrare piùinsignificanti o superflui, perché spessosono proprio i dettagli più insospettabilia nasconderci le sorprese più clamoroseche poi ribaltano il quadro generale diuna questione.

E’ bastata infatti un’indagine accuratasemplicemente sul significato deltoponimo della chiesa, Cremona, percorreggere gli errori della storiografiacittadina più recente e imbattersi in unascoperta inaspettata.

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Nel secolo scorso gli storici cittadini,compreso il compianto Angelo Tafi, hannosempre fornito come significato palusibiledel toponimo aggettivi quali“sopraelevato” o “rialzato”, in virtù dellaposizione dominante che la chiesaoccupava; più recentemente alcuni hannoaddirittura sostenuto che Cremona fosse ilnome arcaico del colle di San Donato. Maentrambe le ipotesi purtroppo rimangonosenza fondamento storico.

Quale era allora il vero significato deltoponimo? Cerchiamo di scoprirlo.

Cremona è toponimo già attestato iniscrizioni ed autori del periodo classicoromano, esempio è il verso 28 dell’EclogaIX di Virgilio “Mantua vae miserae nimiumvicina Cremonae”, ma la formazione deltermine è di origine molto più antica diquella latina.

Varie ipotesi sono state formulate alriguardo, sebbene gli ultimi studiosi chehanno affrontato il problema propendanoper la derivazione ligure, di matricepreindeuropea, in virtù della presenza deiLiguri nel territorio casentinese almeno finoal II secolo a.C., attestata anche dagliscritti di Polibio.

Per quanto riguarda l’etimologia e ilsignificato, il Vocabolario delle Etimologiedei Capoluoghi Italiani è abbastanzachiaro: indica infatti *carra che significa“sasso”, nella variante *carm- (daconfrontarsi anche con l’albanese karme

“roccia”) in seguito divenuta *cram einfine, per l’alternanza vocalica a / epreindeuropea, *crem con l’aggiunta delsuffisso -ona frequente nei toponimiprelatini, soprattutto etruschi.

“SASSO” è dunque il significato piùattendibile, nulla a che vedere con“sopraelevato”, e se ne intuisce bene ilmotivo: è una chiara allusione allamorfologia antica del colle di SanDonato.

Infatti, a differenza di come oggi ciappare, la collina presentava in epocaremota una sommità brulla, composta dasedimentazioni rocciose che affioravanoin superficie, un ampio zoccolo di pietrache sin dalla preistoria ha messo allaprova le capacità costruttive dell’uomo.

Basti pensare che le fondamentadella Fortezza e molti dei cunicoli che sidiramano alla base della fortificazionesono costruiti direttamente sulla nudapietra del colle, in particolare il corridoioche percorre il perimetro del bastionedella Diacciaia dove addirittura si èscavato per vari metri all’interno dellaroccia, cosa che testimonia come nel XVIsecolo, dopo decine di secoli distratificazioni storiche, la pietra formasseancora gran parte della sommitàdell’altura.

Una prova più recente sono i lavoriche negli anni ’60 dello scorso secolofurono fatti dal Comune di Arezzo nella

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spianata della Fortezza per la costruzionedi una grande cisterna d’acqua: infatti nelcorso degli scavi gli operai dovetteroricorrere alla dinamite per far saltare laroccia che affiorava dal terreno e cheoccupava la zona scelta nel progetto perla collocazione del bacino idrico.

A questo punto è interessanteesaminare un documento tratto dallaraccolta di Ubaldo Pasqui.

Il manoscritto in questione, il più anticoche menziona la chiesa e datato 19febbraio 1098, fu redatto dall’abate delMonastero di Santa Trinita in Alpe econtiene una molteciplità di informazioniutili a ricostruire il passato più remotodella chiesa.

Nel testo si legge la frase seguente:“Costitutione hec facta est in civitatearetina, in advocabulo Grimune, in ecclesiaque est dedicata in honore sancti Donatiepiscopi et martyris” cioè “Quest’ordinamento è stato fatto nella città diArezzo, nel vocabolo di Cremona, nellachiesa che è intitolata a San Donatovescovo e martire”.

Sono due le osservazioni da fare: inprimo luogo il termine Cremona, qui nellaforma più antica Grimune, non è legatoall’intitolazione a S. Donato ma parepiuttosto un’ulteriore specificazione diluogo all’interno della città; in secondoluogo merita una spiegazione il termine

“advocabulo” che non a caso si traducecon “vocabolo”.

Infatti nel medioevo tale termine eraadoperato per indicare contrade,quartieri, o terreni, esempio è lo stessoDante al verso 26 del XIV canto delPurgatorio “Perché nascose questi ilvocabol di quella riviera pur com’om fade l’orribil cose?” oppure lo Statuto delloSpedale di Siena “[…] et sieno scriptetutte le possessioni e tenimenti[…]e livocaboli delle contrade”, dove il termineindica piccole frazioni territoriali.

Quindi possiamo concludere che iltermine Cremona non era affatto l’anticonome del colle, bensì quello di unantichissimo quartiere cittadino, situato inprossimità dell’apice del colle di SanDonato, una zona circoscritta ecaratterizzata dalla conformazionerocciosa, cosa che ne aveva determinatola denominazione.

Su di esso sorse poi la chiesa di SanDonato e dà lì prese il nome e neconservò poi la memoria fossilizzata finoai giorni nostri.

La Cremona è un altro piccolo tassellorecuperato del perduto mosaicodell’Arezzo antica, scomparsabarbaramente sotto la mole dellaFortezza, non perdiamola di nuovo.

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Il settore manifatturiero rappresentauna realtà produttiva importante per ilnostro paese e incide positivamente negliscenari economici europei.

La sua produzione industriale è alquinto posto al mondo dopo Cina, StatiUniti, Giappone e Germania; in terminepro-capite è seconda solo alla Germania.

Nonostante la crisi economica globale,l’export manifatturiero italiano registradati positivi.

Rispetto al passato però la produzioneitaliana, prevalentemente incentrata sui

prodotti di nicchia e composta di tantepiccole e medie imprese, registra segnidi inadeguatezza e di decadimento.

Il settore ha avuto successo per oltreun quarto di secolo per poi imbattersi inun progressivo rallentamento e inun’incapacità di adeguarsi ai mutamentiavvenuti nel contesto economicointernazionale.

Dopo l’entrata in vigore della monetaunica, l’ingresso della Cina nel WTO(Organizzazione Mondiale delCommercio), la definitiva affermazionedelle tecnologie ICT (Tecnologia

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dell’Informazione e della Comunicazione)e il consolidarsi della distribuzioneorganizzata, l’impresa italiana non hasaputo reagire in modo compatto euniforme dinnanzi alle difficoltà dettatedalle nuove congiunture economicheglobali.

Alcune grandi imprese hanno avuto adisposizione le risorse per reagire allacrisi e rinnovarsi. Molte piccole sonoriuscite a progredire diventando medie.

Ma tante piccole aziende, motoredella nostra economia, hanno ridotto lacapacità produttiva e moltissimemicroimprese si sono trovate non più ingrado di produrre.

Le cause del calo produttivo del settoree dell’incapacità di fronteggiare la crisieconomica sono molteplici; a cominciareda un invecchiamento del nostro mododifare industria, correlato a uninvecchiamento generazionale della classeimprenditoriale, fino all’impossibilità dimantenere rapporti con i segmenti dimercato geograficamente e negozial-mente più dinamici.

Vanno poi citate, fra le cause del calo,le problematiche strutturali del nostropaese: i costi diretti e indiretti dello Stato(fisco, inefficienza, burocrazia), la scarsitàdi infrastrutture (trasporti, energia,telecomunicazioni), l’aumentare del debitopubblico, l’ingresso nell’Unione MonetariaEuropea con cambio lira-euro sfavorevole,

passate liberalizzazioni e privatizzazioniprive di coerenza, l’impoverimento deisaperi artigianali e l’abbandono degliistituti preposti alla diffusione delleconoscenze, dei mestieri e delleinnovazioni.

Oggi le nostre piccole e medieimprese hanno ridotto drasticamente lapresenza sui mercati esteri e, al tempostesso, sono le realtà economiche che piùrisentono della concorrenza interna-zionale capeggiata dai paesi emergenti.

Le piccole realtà imprenditoriali, perlo più produttrici di manufatti di nicchia,subiscono la scorretta concorrenza dellegrandi imprese asiatiche, indiane ed esteuropee, che prive di vincoli burocraticie normativi possono produrre beni,spesso contraffacendo i nostri marchi, concosti di produzione bassissimi.

Diversamente le imprese maggiori,che nel nostro paese rappresentanoun’esigua minoranza, sono state in gradodi stilare una serie di rapporti conl’estero evolvendo la propria filiera

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produttiva per renderla capace diinteragire con le nuove dinamichecommerciali mondiali.

Per riportare la produzione italianaad essere competitiva sui nuovi mercatiinternazionali occorre che la piccola emedia impresa italiana intraprenda, e siamessa in condizione di farlo, un processodi crescita.

All’attuarsi di questo processo èsfavorevole la carenza di domanda, cheimpedisce ai singoli imprenditori diintraprendere autonomamente l’innova-zione di ogni campo della vita aziendale.

Oltre alla bassa domanda, limitano iprocessi di crescita e innovazione lamancanza di capitali reperibiliesternamente all’impresa e la complessitàburocratica della pubblica ammini-strazione.

Di fronte alla crisi economica lacrescita dimensionale in termini difatturato, dipendenti e soprattutto sotto ilprofilo culturale, cioè in termini diconoscenza, managerialità e strutturaaziendale, è un passaggio obbligato perrendere la produzione elevata ecompetitiva.

Per agevolare le imprese in questoprocesso di evoluzione occorronotrasformazioni profonde nel nostro paese.

E’ urgente adottare tutte quelle misurenecessarie a sgravare l’imprenditoriadagli eccessivi vincoli fiscali e burocratici,l’ordinamento giuridico e legislativo variformato affinché le leggi sianochiaramente e univocamente interpre-tabili, la giustizia deve assicurare lacertezza del diritto e la celerità dellesentenze.

Dal canto suo l’Unione Europea deveagire responsabilmente, creando lecondizioni affinché l’Italia e tutti gli altriStati Membri possano beneficiare dellerisorse e degli strumenti necessari perpotersi presentare unitariamentecompetitivi nei confronti dei paesiemergenti.

Deputato al Parlamento EuropeoGruppo PPE

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Primi mesi dell’Orchestra “Città diArezzo”: un bilancio sicuramentepositivo.

Con il Concerto del 1 Maggio si èconcluso un intenso ciclo di impegnidell’Orchestra Città di Arezzo.

Il progetto MUSICAREZZO 2011,iniziato il 29 gennaio al Teatro PietroAretino, che ha visto protagonista ilpremio oscar Luis Bacalov, accompagnatodall’orchestra diretta dal MaestroFrancesco Seri, ha avuto un’inaugurazionescoppiettante: un teatro gremito dipubblico, ammaliato dalla musica del

Maestro Bacalov il quale non si èrisparmiato in elogi all’orchestra e allacittà per credere in un’iniziativa cosìimportante culturalmente.

L’Orchestra ha poi proseguito il suocammino nei concerti previsti nei comuniche hanno aderito al progetto, dando lapossibilità a solisti emergenti aretini,come Nicola Barbagli all’oboe, AndreaRum al clarinetto, Stefano Rocchi alfagotto e Filippo Zambelli al corno, dipotersi esibire ad Arezzo e a CastiglionFiorentino, interpretando la SinfoniaConcertante di Wolfgang AmadeusMozart e ottenendo un successo

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strepitoso per la cristallina interpretazione.

Il Teatro dei Ricomposti di Anghiari havisto la compagine aretina dedicare unconcerto a Bruno Mangoni, personaggioimportante per l’imprenditoria dell’AltaValle del Tevere, ma soprattutto grandeappassionato di musica.

Il periodo pasquale è stato pieno dimeraviglia: in primis il riconoscimento daparte del Presidente della Repubblica,Giorgio Napolitano, alla validità delprogetto MusicArezzo2011 con l’asse-gnazione della Medaglia di rappre-sentanza della Presidenza dellaRepubblica Italiana consegnata dalSindaco della Città di Arezzo, GiuseppeFanfani, in occasione del concerto diPasqua, tenutosi il 17 marzo nella Chiesadi S. Maria della Pieve; in secundis laregistrazione di un CD per l’etichettaQuadrivium, grazie anche al contributo

della Fondazione “Guidod’Arezzo”, dovel’Orchestra Città diArezzo, diretta dalMaestro Seri, hainterpretato il Magnificate il Concertino perPianoforte e Orchestradel compositore peruginoCarlo Pedini.

Nell’occasione hannocollaborato con l’Or-chestra le bravissimecoriste del coro Kamenes

In Canto, dirette dall’eccellenteGabriella Rossi e, in qualità di solisti, dueartisti di fama internazionale quali GuidoArbonelli al clarinetto e GiuseppeD’Angelo al pianoforte. Il concerto diPasqua è stato replicato anche nelComune di Sansepolcro, nella splendidacornice dell’Auditorium di Santa Chiara.

A conclusione della produzionepasquale, l’Orchestra Città di Arezzo èstata ospitata dal Sacro Convento diAssisi, nella suggestiva e meravigliosaBasilica Papale Superiore, dove unfoltissimo pubblico ha assistito ad unconcerto pieno di pathos, ascoltando loStabat Mater di Pergolesi, interpretatodal soprano Lucia Raffi Casagrande edal mezzosoprano Francesca Lisetto, laCanzone sopra l’Ave Maria di CarloPedini e, sempre del compositoreperugino, in prima esecuzione assolutaElenadagio.

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Il concerto del 1 maggio è stato quindila degna presentazione alla città, a tuttala città, dell’Orchestra. Il pubblico chegremiva Piazza S. Jacopo ha potutoassistere ad uno spettacolo affascinante,reale, crudo, nel quale, grazie anche allacollaborazione con la Libera Accademiadel Teatro di Arezzo, diretta da AndreaBiagiotti e alla regia di AlessandraBedino, l’Orchestra, diretta dal MaestroFrancesco Seri, in quest’occasionecompositore di alcuni brani, ha fatto dasfondo ad un testo ottimamenteinterpretato da bravi attori.

Il progetto MUSICAREZZO 2011 sirealizza grazie al supporto indispensabiledell’assessore alla Cultura della Provinciadi Arezzo, dottoressa Rita MezzettiPanozzi e dell’assessore alla Cultura delComune di Arezzo, prof. Camillo Brezzi, iquali hanno da subito scommesso in questaneonata orchestra e nel progetto nel suoinsieme.

Un ringraziamento particolare vaanche agli altri Comuni coinvoltie, naturalmente agli sponsor,senza i quali non si sarebbepotuto iniziare questo camminoartistico culturale e quindi graziead Atam, Chimet, PoggioliniPasta Fresca, Busatti, AC Hotels,Fini Progetti, Fattoria diSant’Antimo, Due T Arredi, AVIS,Banca di Anghiari e Stia.

Un plauso pieno di riconoscenza esperanza va al Presidentedell’Orchestra, Maestro Lorenzo Rossi,nonché validissimo primo violino dellastessa, e al Direttore artistico e Direttoremusicale, maestro Francesco Seri, i qualisi sono impegnati, anche oltre le lorospecificità, e continuano ad impegnarsicredendo fortemente nell’intento dicreare la giusta attenzione verso lamusica in una provincia, come quellaaretina, che ha dato i natali a grandiesponenti musicali del passato econtemporanei, ma anche a divenire unvalore per la Provincia stessa sia sottol’aspetto strettamente culturale-musicaleche di promozione del territorio.

L’intento è quello di far sentire allapopolazione, come propria, un’orchestracomposta da musicisti aretini, giàaffermati in ambito nazionale edinternazionale, che si adoperano conpassione ed entusiasmo alla produzionemusicale per la propria terra.

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Maurizio LicenziatiAlla Sedia

Da giovaneti ho quasi ignorato.

Eri una cosa troppo ferma,rigida, un rifugio da fuggire.

Gli anni sono passatie ho cominciato ad apprezzare

ed amare ancora più di tetua madre: la poltrona -o tuo padre: il divano.

Ora, che sono giovanesoltanto “dentro”

amoancora di più

tuo nonno:il letto.

Eleonora Manganelli

Fuoco di Passione

Passione rovente,tu accendi il desiderio dell’ignoto

cullando il corpo in un fluttuante moto.

Rapisci la tranquillità dell’individuoonde regalargli un insolente battito arduo.

Sei sensuale brezza che scuote con fervorecorpo e mente simultaneamente.

Sei morbido impeto di fuoco,cavalcante leggerezza d’illusione,sensazione evanescente di follia.

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IL BRIDGE AD AREZZOUn sport affascinante che adArezzo ha oltre 60 anni di storiadi Antonio Bedini

E’ uno dei più antichi giochi di carte,con oltre cento anni di storia alle spalle,diffuso in tutto il mondo, senza contare lenobili radici: stiamo parlando del bridge,vero e proprio sport conosciuto anche dalCONI.

Se nelle discipline sportive1’allenamento serve per sviluppareparticolari parti del corpo umano, ad

esempio braccia e gambe per essereagili e veloci, come ci dobbiamopreparare per il bridge?

Questo gioco interessasoprattutto il cervello, le qualitàrichieste sono la memoria di ferro,spiccate doti di sintesi e capacita diconcentrazione, di istinto e intuito.Parlando in questi termini sembradifficile pensare alla diffusione diquesto sport, visto che ogni giocatoredovrebbe essere una sorta di Picodella Mirandola, ma non è cosi.

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A dire il vero chiunque può giocare avari livelli: si ritiene che su 100 giocatori1 sia un campione, 9 siano buoni giocatori,20 siano mediocri e 70 giocatori“salottieri”.

E un po’ come nel tennis, con giocatoripiù bravi e altri meno, con la stessadifferenza che corre tre Federer e gliappassionati che impugnano la racchettaper buttar giù un po’ di chili”.

Una cose però è certa: il bridge nonè come il poker, o altri giochi in cui lafortuna ha un ruolo preponderante per lavittoria; in questo gioco il concettofondamentale è proprio ridurre il piùpossibile l’influenze delle “dea bendata”,allenando e sviluppando quelle doti chepermettono la comunicazione tra lecoppie di giocatori.

Alle base del bridge vi sono duefasi fondamentali: la dichiarazione e ilgioco della carta; secondo alcuni il nomedi questo gioco deriva dal fatto che nellafase iniziale é necessario creare una sortadi "ponte comunicativo" con il propriocompagno; per questa ragione si parla dibridge, cioè di ponte.

Dietro a questo gioco c’è unsimbolismo verbale che sta alle base delladichiarazione, attraverso il quale i duecompagni che giocano insieme sitrasmettono informazioni sulle loro carte.

E’ senza dubbio il momento piùdelicato di una partita attraverso il qualesi deve comprendere la forzacomplessiva della coppia.

Il Bridge ad Arezzo può vantareoltre sessant’anni di storia; all’inizio gliappassionati si ritrovavano presso il“Circolo delle Stanze” in piazza SanFrancesco sopra il Caffè dei Costanti,Chiuso questo Circolo, fu l’ “Artistico” adospitare gli amanti del bridge.

Fino a quando l’”Artistico” hanecessitato di interventi di restauro e cosìadesso siamo ospiti dell’Hotel “Minerva”,il quale ha messo a nostra disposizioneuna sala, dove disputiamo gli incontri ilgiovedì e la domenica.

Inoltre organizziamo anche torneiinvitando i club vicini, ad esempio, loscorso dicembre abbiamo organizzato ilTorneo di Natale e a febbraio diquest’anno il Torneo di Carnevale.

Il bridge, come detto inprecedenza, può forse spaventare aprima vista per le qualità richieste algiocatore, per le regole del gioco.

Per questo motivo abbiamo decisodi far conoscere questo sport e adottobre 2011 partirà un corso di baserivolto a giovani e principianti, i qualisotto la guida del maestro federale DinoFalconi, potranno imparare i segreti diquesto gioco.

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IL BRIDGE

Torneo del 16/1/2011 linea Nord-Sud 1° Bresci Maria Teresa – Incardona Luciana 2° Bedini Antonio – Baldelli Augusto 3° Ceccarelli Marisa – Tarquini Elio linea Est-Ovest 1° Lelli Maria Laura – Rupi Pier Lodovico

2° Orzari Fabio – Bresci Piero3° Materazzi Nino – Nardi Dei Anna

Torneo del 21/1/2011linea Nord-Sud

1° Baldini Luciana – Ceccarelli Marisa 2° Falconi Dino – Bedini Antonio 3° Marchelli Lanfranco – Brancati Maria Luisa linea Est-Ovest 1° Stelloni Loretta – Serbali Gabriella

2° Bresci Piero – Giunti Gabriella3° Balzelli Augusto – Casini Anna

Torneo del 27/1/2011linea Nord-Sud

1° Bresci Piero – Orzari Fabio 2° Bedini Antonio – Casini Alda 3° Giunti Gabriella – Sbrighi Fabiano linea Est-Ovest 1° Giunti Mario – Pappini Candida

2° Cardeti Giancarlo – Mastrantonio Maria Angiola3° Camiciottoli Renza – Tubino Carla

Torneo del 30/1/2011linea Nord-Sud

1° Montaini Leila – Bresci Maria Teresa 2° Caprini Giuseppe – Biancini Lucia 3° Ingallinella Angela – La Rocca Brigida

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linea Est-Ovest 1° Fedeli Alvaro – Orzari Fabio

2° Bresci Piero – Stelloni Loretta3° Gironi Laura – Altipiani Delia

Torneo del 6/2/2011linea Nord-Sud

1° Stelloni Loretta – Bresci Maria Teresa 2° Lelli Laura – Rupi Pier Lodovico 3° La Rocca Brigida – Boncompagni Graziella linea Est-Ovest 1° Bedini Antonio – Baldelli Augusto

2° Incardona Luciana – Camiciottoli Renza3° Brancati Maria Luisa – Mastrantonio Maria Angela

Torneo del 17/4/2011 linea Nord-Sud 1° Baldelli Augusto – Bedini Antonio 2° Stelloni Loretta – Serboli Gabriello 3° Chianini Mirta – Montaini Leila linea Est-Ovest 1° Orzari Fabio – Fedeli Alvaro

2° Materazzi Nino – Nardi Dei Anna3° Mura Sergio – Pancani Ugo

Torneo del 25/4/2011linea Nord-Sud

1° Marchelli Lanfranco – Brancati Maria Luisa 2° Bresci Piero – Bresci Maria Teresa 3° Lelli Laura – Rupi Lodovico linea Est-Ovest 1° Baldelli Augusto – Caprini Giuseppe

2° Vezzosi Patrizia – Altipiani Delia3° Boncompagni Gabriella – Marcantonio Angela

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IL BURRACO

Torneo del 13/2/2011 (28 coppie) 1° Rubechini Simonetta – Ghiandai Mauro 2° Marmorini Nello – Dalla Verde Bruno 3° Cinquini Anna Rita – Biagianti Carla

Torneo del 4/3/2011 (22 coppie) 1° Scatragli Laura – Marcucci Alessandra

2° Nocentini Silvia – Martini Ivano3° Ragazzini Gabriella – De Giudici Gabriella

Torneo del 6/3/2011 (22 coppie) 1° Lazzeri Anna Maria – Baldini Grazia

2° Giusti Renata – Giusti Maria Teresa3° Dalla Verde Bruno – Ghiandai Mauro

Torneo del 20/3/2011 (26 coppie) 1°Nocentini Silvia – De Melis Liliana

2° Bettina Diva – Bardi Milena3° Vignali Maria Teresa – Ragazzini Gabriella

Torneo del 25/3/2011 (22 coppie) 1° Minghetti Mirella – Piantini Loredana

2° Gentile Laura – Camiciottoli Renza3° Zenoni Vittoria – Giusti Renata

L’Associazione “Chimera Bridge Arezzo”, presieduta dall’ing. Antonio Bedini,organizza presso l’Hotel Minerva, tutti i pomeriggi del giovedì e della domenica, untorneo di bridge e un torneo di burraco.

Per chi è interessato ad imparare il gioco del bridge, l’Associazione dispone di unistruttore federale, Dino Faltoni, tel. 3687189773 e di una brava giocatrice dispostaa insegnare questo gioco, Gabriella Serboli Pignattelli tel. 34953767.

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di Redazione

Quarata = “quo arater ierit” fin dovearrivava l’aratro.La centuriazione del territorio daassegnare ai centurioni in pensione, siinterrompeva laddove non arrivava piùl’aratro perché il territorio eraimpaludato, quando ancora non eraavvenuto il taglio dell’Incisa e il letto piùelevato dell’Arno determinava un livellodelle acque maggiore dell’attuale

Fonte Veneziana. = Fons Venusiana.Nella curva della strada per gli Orti Redi,dove in tempi recenti c’era ancora unafonte, in epoca romana sorgeva unastatua di Venere.

Anghiari = “An glera” (nella ghiaia, inlingua volgare).Scendendo dalla Libbia (la via Livia)approssimandoci ad Anghiari, sulleincisioni delle sponde della stradaappare un conglomerato di ghiaia. Infattile colline a ridosso di Anghiari sonocostituite da ghiaie (depositi fluviali delbacino del Tevere) cementate tra loro.

Chiaveretto = da “chiave”.I bizantini (che parlavano greco) hanno illoro centro politico a Ravenna e da qui sidiffondono verso la Toscana, senzaarrivare ad Arezzo, ma installandosi finoad Anghiari. (dove il campanile dellachiesa è tondo, come quelli di Ravenna,mentre i campanili toscani sono tuttiquadrati) Da Anghiari non scenderannomai oltre la Libbia come se quaggiù cifosse una “chiave” di chiusura.

Bagnoro = “Balneum Aureum”.Nella piana in dirittura del Cardo (viaFontanella) c’erano le terme. E comeadesso un albergo viene chiamato, adesempio: “Excelsior” o “Imperiale”, così ibagni pubblici romani venivano nominaticon un appellativo enfatico, nel nostrocaso “Bagni d’oro”

Stoppe d’Arca = “stratos pedarcos” (dalgreco: capitano dell’esercito)Fu l’insediamento bizantino nei monti a Estdi Arezzo, più prossimo alla città. Dove siera stabilito un loro capo militare. Ingreco, infatti, “pedarcos” significa capoe “stratos” significa esercito

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Cencelli = “cento celle”Cencelli è un luogo lungo l’Arno, dove ilfiume aveva depositato un’argilla adattaper i vasi corallini. Per questo motivo quisorsero un centinaio di forni (celle) percuocere questi manufatti.

Via Madonna del Prato (nome completo:via “Madonna del Prato della giustizia”).Quando la zona di piazza Risorgimentoera fuori delle mura (coincidenti a sud convia Garibaldi) in questa zona venivanoeseguite le condanne capitali. E aconforto del condannato c’era una statuadella Madonna (adesso nella Chiesa diSan Bernardo) cui il condannato potevarivolgere l’ultimo sguardo. Ampliate lemura fino a comprendere anche questazona, il patibolo fu trasferito in via Mochie il nuovo luogo si chiama tuttora“Crocifisso delle forche”

Agazzi = “Ager Azzi”In tempi feudali, questo era un luogodominato dalla famiglia nobile degli Azzi

La Mossa sulla via Romana. Qui venivadata la “mossa” cioè il “via” per lapartenza dei cavalli senza fantino per latradizionale corsa con traguardo allaPieve. I cavalli erano spronati, oostacolati lungo il percorso dalle varietifoserie legate ai Signori, padroni deicavalli. La corsa fu abolita per interventodel Vescovo perchè si determinavanogravi parapiglia con feriti e anche vittime.

Piazza del Governo (o piazza di Poggiodel Sole).Quando fu realizzata, alla fine degli anni’30, fu chiamata “piazza Corsica”, a farsapere l’intenzione dell’Italia diriprendersi questa isola. Poi le coseandarono diversamente…..

Olmo nome ricorrente presso i centriabitati perché questa pianta venivaassunta anche per la sua ombrosità comepunto di riferimento per l’assemblea deimaggiorenti (normalmente i capo-famiglia). Non a caso i Senesi quandoassediarono Arezzo per prima cosasegarono l’Olmo

Dai toponimi di Bagnaia e di Pescaiolasi rileva che in tempi antichi anche lapiana di Arezzo era abbondantementeimpaludata.

Inutile dare i significati della gran partedei toponimi di campagna: Vignale,Sodaccio, Giuncheto, Oliveto, Carbonaia,Fondaccio, Fonte asciutta, Ragnaia, LePietre, Calcinaia, Freddaia ecc. ecc.

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IL VASARIANOPresentazione

EditorialePensa Vasariano

di Fabio M. Fabrizio

La MostraLe collezioni del louvre

a cortonadi Lilly Magi

UrbanisticaC’era una volta la pista ciclabile

di Federico Rupi

Belle SperanzeI giovani e la cultura

di Eleonora Manganelli

ScienzaPrerequisiti della ricercascientifica e tecnologica

di Roberto Vacca

VintageArezzo che non fu

di Federico Rupi

Opinioniun eroe sbagliato

di Fabio Giannini

Città ( I )Il cardo, il decumano

e le mura etruschedi Marilli Rupi

Città ( II )Il toponimo “cremona”

di Marco Giustini

da BruxellesPmi e globalizzazione

di Paolo Bartolozzi

Il ProgettoMusicarezzo 2011

di Redazione

HobbiesIl bridge ad arezzo

di Antonio Bedini

RubricheToponomastica - Poesie - Bridge & Burraco