Unindustria Reggio - Mauro Severi: "8 punti per costruire l'area Mediopadana"

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UNINDUSTRIA REGGIO EMILIA COSTRUIRE L’AREA MEDIOPADANA relazione del Presidente Mauro Severi

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UNINDUSTRIA REGGIO EMILIA

COSTRUIRE L’AREA MEDIOPADANArelazione del Presidente Mauro Severi

Reggio Emilia, 19 Giugno 2015

Autorità, Relatori, Signore e Signori, Colleghe e Colleghi,

l’Assemblea degli industriali reggiani è da tempo uno dei momenti nei quali la nostra comunità s’incontra per confrontarsi sul presente e, soprattutto, sul futuro.

Riferendomi proprio alla dimensione del presente, voglio ricordare che, nel corso delle ultime settimane, si sono susseguiti appuntamenti di grande rilievo dedicati all’economia nazionale, regionale e locale.

Dall’Assemblea di Confindustria alla Relazione del Governatore della Banca d’Italia; dall’analisi sulla economia regionale, presentata a Reggio Emilia dalla Banca d’Italia, al Rapporto sull’economia reggiana, illustrato in occasione della Giornata dell’economia.

Analisi che hanno descritto con precisione la realtà economica all’interno della quale viviamo e operiamo.

Nella consapevolezza di ciò, mi limiterò a richiamare sinteticamente la situazione del Paese e dell’industria reggiana, per dedicarmi poi al sistema locale di cui oggi ci occupiamo.

La prima valutazione è riconducibile a quanto emerso nei quattro Incontri di Zona, che nelle scorse settimane mi hanno permesso di ascoltare molti imprenditori.

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Appuntamenti che hanno confermato i dati delle nostre note congiunturali: ci sono segnali di ripresa, seppur non ancora forti, e dunque tutti da consolidare.

UNA RIPRESA A METÀ DEL GUADO

Allo stesso tempo, destano apprensioni le diverse crisi riguardanti alcune aree strategiche del mondo, alle quali s’aggiunge l’incognita della situazione greca, che pesa come un macigno sul futuro dell’eurozona.

Quanto al quadro politico è certamente segnato dalla crisi dei partiti, dal consenso accordato a movimenti massimalisti e, non certo da ultimo, dal distacco dei cittadini dalla politica e dunque dal voto.

Una situazione problematica, che le attuali difficoltà del Governo aggravano, facendo temere per le riforme già in programma o in fase d’attuazione.

Anche a Reggio Emilia i segni di ripresa s’intrecciano con situazioni che rimangono difficili: in particolare, cresce la forbice tra gli operatori attivi nel mercato interno e quelli orientati all’export.

DUE REALTÀ

I primi non riescono ancora a vedere la luce in fondo al tunnel; i secondi, non solo hanno recuperato i volumi pre-crisi, ma sono tornati a espandersi, come

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ben testimonia la crescita superiore a quattro punti registrata dalle esportazioni reggiane nel 2014.

Un risultato positivo, che tuttavia da solo non è riuscito a fermare il trend negativo dell’occupazione; nell’anno trascorso, infatti, abbiamo superato la soglia del 6% di persone senza lavoro.

Un dato, preoccupante per il sistema locale, che deve essere confrontato con la media regionale pari a 8,7 %, e con quella nazionale che si avvicina ormai al 13%.

Possiamo così affermare che, nonostante l’andamento negativo del commercio, la durissima crisi del settore edile e le gravi difficoltà della cooperazione, il sistema reggiano ha confermato, grazie alla manifattura, una elevata capacità di tenuta.

Un risultato del quale dobbiamo essere orgogliosi, seppur nella consapevolezza, che in sette anni la produzione nazionale ha subito un crollo del 30%, la capacità produttiva si è ridotta di un quarto e centinaia di migliaia di posti di lavoro sono andati perduti.

Molti analisti descrivono l’Italia di oggi come un Paese uscito da una guerra e credo non sbaglino.

LA PROIEZIONE AL FUTURO

Nei giorni scorsi, lavorando ai contenuti di questo incontro, mi sono tornate alla mente le parole

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pronunciate da Bob Kennedy nel marzo del ‘68, pochi mesi prima d’essere assassinato.

Il candidato alla presidenza degli Stati Uniti metteva in guardia i suoi concittadini ricordando che “il Prodotto Interno Lordo non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio; né la nostra saggezza né la nostra conoscenza; né la nostra compassione né la devozione al nostro Paese”.

“Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”.

Intendo partire proprio da queste considerazioni non per disconoscere il valore e l’importanza dei dati macroeconomici né, tantomeno, per associare la mia piccola figura a una delle più belle icone del ‘900.

Inizio dall’affermazione di Bob Kennedy perché sono convinto che l’incontro con una comunità – come quello al quale oggi partecipiamo – impone di dedicare la massima attenzione alla dimensione più importante per ciascuno di noi: il futuro.

In altri termini, ciò che oggi proporremo rappresenta il contributo che gli industriali reggiani intendono dare al loro territorio, per far si che “la vita di tutti possa essere un’esperienza degna di essere vissuta”.

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Non si tratta di un obiettivo velleitario, ma della logica conseguenza del ruolo sociale esercitato dalle imprese in una delle aree più industrializzate d’Europa.

I problemi non mancano e la sfida è dunque grande: dalla crescita della povertà al peso del carico fiscale; dalla sicurezza alla necessità di rinnovare un Paese restio al cambiamento; dall’incapacità di riformare lo Stato e la sua burocrazia all’anoressia del progetto Europeo; dalla solitudine miserevole di troppi anziani alla disoccupazione dei giovani; dall’immigrazione al collasso della Grecia.

Nel considerare tutti questi elementi di criticità è indispensabile comprendere che la nostra crisi ha origine, prima di tutto, nell’incapacità della società italiana a misurarsi con il nuovo paradigma dello sviluppo che, da tempo, ha iniziato a delinearsi.

UN NUOVO PARADIGMA, UNA NUOVA ERA

La comprensione di questo dato di fatto è la premessa indispensabile per sviluppare soluzioni coerenti con uno scenario caratterizzato da ineludibili novità.

La prima è la globalizzazione, che enfatizza, tanto in positivo, quanto in negativo, le differenze di costo, di capacità e di cultura tra i diversi paesi.

La seconda è la facilità di connessione, che collega in rete persone, imprese, istituzioni, macchine e territori.

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La terza è la tecnologia, che consente inedite soluzioni di processo, di prodotto e di servizio.

La quarta è l’intelligenza delle persone, che attraverso l’innovazione permette di aumentare la complessità in ogni ambito delle attività e della vita delle persone.

Non solo le imprese, ma anche le nazioni, i sistemi locali, le Istituzioni, le associazioni e le persone sono investiti da questa evoluzione che sta già cambiando il modo di pensare, di vivere e di lavorare. Il cammino che come imprese e come comunità abbiamo davanti è lungo, insicuro e impegnativo.

Un anno fa, quando sono stato chiamato alla guida di Unindustria Reggio Emilia, rivolgendomi a questa stessa sala, avevo ricordato che “il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.

GUARDARE AL MONDO CON NUOVI OCCHI

Un esercizio indispensabile perché la crisi attuale va pensata e vissuta come una transizione: un passaggio che ci porterà da un paradigma all’altro.

L’umanità vive una trasformazione come quella che si determinò con l’introduzione della macchina a vapore senza la quale non esisterebbe l’industria.

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Oggi, come allora, nulla sarà più come prima.

Il compito che ci tocca, dunque, non è rimediare a qualche inconveniente, ma quello di ricostruire l’intero sistema secondo un disegno e regole diversi.

Per fare questo è indispensabile predisporre un modello di futuro che sia non solo possibile, ma anche desiderabile e, dunque, condiviso.

Ne abbiamo bisogno perché l’assenza di riferimenti sul futuro possibile, indebolisce i legami sociali e la tenacia nel perseguire gli obiettivi, facendo prevalere logiche individuali attente solo al presente.

In tale prospettiva gli attori sociali devono guardarsi dall’inconscia e illusoria tentazione di usare vecchie soluzioni per risolvere nuovi problemi.

Un pensiero che rivolgo, in particolare, non solo ai miei Colleghi, ma anche ai Segretari e ai Quadri sindacali della nostre provincia.

TRA PASSATO E FUTURO

Se continuiamo a parlare solo di crisi, trascurando il nuovo paradigma e le forze che lo stanno definendo, tutti i nostri discorsi – da quello sulla sostenibilità a quello sulla disuguaglianza – diventano giochi a

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somma zero, nei quali, se un attore sociale vince, l’altro è condannato a perdere.

Al contrario, se guardiamo al futuro dal punto di vista della transizione, i giochi possono essere a somma positiva perché si può, e si deve, scegliere di perseguire la creazione condivisa di valore.

Persone, lavoratori, Sindacati, amministratori locali e sistemi territoriali devono apprendere ad agire come un imprenditore collettivo capace di produrre valore insieme alle imprese.

Per affrontare il futuro serve sempre di più quella attitudine imprenditoriale che una volta era limitata alle imprese e che ora va estesa all’intera società.

Mi riferisco a una nuova dimensione – fondata sulla collaborazione tra competenze complementari presenti nei territori e nelle aziende – indispensabile per gestire la complessità della società, della tecnologia, dei mercati, delle filiere e delle stesse realtà aziendali.

Ciò significa sperimentare nuove soluzioni che, tra le altre cose, presuppongono la condivisione dei rischi.

In un mondo instabile e incerto, persino la relazione tra capitale e lavoro non può più essere centrata solo sulla distribuzione del reddito generato dall’azienda.

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Oggi, le imprese e il lavoro devono, prima di tutto, trovare l’accordo su come contribuire e partecipare alla produzione di quel reddito.

In tale prospettiva la reazione non può essere quella di resistere a oltranza a ogni cambiamento.

La lotta senza se e senza ma per la conservazione di tutto; la difesa del conosciuto; lo scandalo per quelli che Alessandro Baricco ha definito “i nuovi barbari”, sono reazioni comprensibili, ma ininfluenti.

IL NUOVO PARADIGMA AL LAVORO

La verità brutale con la quale dobbiamo fare i conti – per limitarci solo a qualche esempio – è che oggi un adolescente ha in tasca uno smartphone, potente come un supercomputer degli anni ’90, che gli permette di accedere a venti milioni di canzoni al costo di un 45 giri degli anni Sessanta.

La cronaca ci informa che da alcune settimane un autocarro Mercedes viaggia – privo di autista – sulle autostrade della California o, ancora, apprendiamo che l’interfaccia vocale si avvia a essere una caratteristica incorporata in ogni oggetto d’uso quotidiano destinato, a sua volta, a connettersi alla rete.

La disponibilità di enormi capacità di calcolo e di elaborazione dei dati rende possibile servizi impensabili solo cinque anni fa.

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L’idea di un’economia e di una società basate sulla condivisione dei beni e dei servizi non è futurologia né una questione legata solo alle biciclette e alle auto elettriche da utilizzare in città.

Il combinato dato dalle grandi possibilità di calcolo e dalla sempre maggiore flessibilità delle macchine utensili e dei centri di lavoro, configura già un futuro, non lontano, nel quale aziende diverse potranno condividere macchinari utilizzabili 24 ore al giorno e capaci di garantire prestazioni just in time.

La fabbrica che conosciamo potrebbe destrutturarsi per dar vita a una rete di centri di competenza e di produzione condivisi e capaci di garantire produttività senza precedenti.

In tale prospettiva, la naturale organizzazione a rete dei nostri distretti e delle nostre filiere rappresenta un vantaggio che dobbiamo imparare a valorizzare.

Un’originalità completata dalla qualità delle nostre risorse umane che sono destinate ad assumere un ruolo centrale all’interno delle fabbriche che stiamo via via trasformando.

Se qualcuno pensa che si tratti di fantasie commette lo stesso errore di coloro che due secoli fa ritenevano che una macchina a vapore si sarebbe limitata a sostituire un mulino ad acqua.

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In pochi decenni, invece, i treni e le navi alimentati dal vapore avevano letteralmente cambiato il mondo.

Ho fatto ricorso a questi esempi per evidenziare quanto siano reali: la presenza di un nuovo paradigma, la conseguente transizione verso un nuovo mondo e, dunque, la necessità di trovare soluzioni per gestire problemi che non hanno precedenti.

Singolarmente ciascun attore sociale – compresi gli imprenditori – può ben poco di fronte a ciò che ho descritto.

Oggi, infatti, la produzione di valore dipende sempre di più dallo sviluppo di innovazioni di sistema.

Soluzioni capaci di favorire la diffusione delle idee, la trasmissione delle conoscenze, la trasformazione dei modelli di business e della cultura aziendale, in coerenza con la transizione in corso.

LE INNOVAZIONI DI SISTEMA

Penso a iniziative che coinvolgono non solo le aziende, ma anche la Pubblica Amministrazione, i servizi, le scuole, le università, le banche, i lavoratori, le professioni e i cittadini presenti nel territorio.

La nostra società, che nel passato ha dimostrato di sapersi “mettere al lavoro” spontaneamente, deve

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oggi rimettersi al lavoro, condividendo obiettivi, investimenti e rischi.

Un buon esempio in tal senso è costituito dal progetto di Reggio Emilia Innovazione.

REGGIO EMILIA INNOVAZIONE

Ciò che lo rende originale è la visione che lo ispira: creare un soggetto territoriale dedicato al trasferimento delle conoscenze a vantaggio del sistema produttivo.

Reggio Emilia Innovazione costituisce un banco di prova dal quale potrebbe svilupparsi un innovativo modello di governance.

Si configura, infatti, come il nodo d’una rete, costituita dall’insieme dagli attori locali, il cui fine è lo sviluppo di progetti condivisi e i cui costi e investimenti vanno ripartiti tra partner che assumono così rischi comuni.

Il prossimo rinnovo della Presidenza di Reggio Emilia Innovazione interroga tutti gli attori locali sul loro impegno in questo progetto che rappresenta la più avanzata iniziativa reggiana.

Possiamo affermare che la governance delle iniziative territoriali è ormai una tema vitale per la nostra comunità.

IL TECNOPOLO REGGIANO

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Un dato che trova conferma nel progetto del Parco dell'innovazione di Reggio Emilia e, in particolare, del suo cuore: il Tecnopolo.

Nel futuro, il sistema mediopadano non competerà solo con nuove fabbriche, ma sviluppando l’intelligenza che è dentro e intorno alle sue fabbriche.

Un’intelligenza diffusa che si trova nell’Università, nei centri di ricerca, nelle professioni, nelle banche, nei servizi innovativi e nelle istituzioni dell’area vasta.

La cornice definita dalla Regione per l’innovazione e la ricerca rappresenta il punto di partenza che ora deve essere declinato e sviluppato nel Tecnopolo.

Per realizzarlo sono indispensabili tanto le risorse pubbliche, quanto l’intervento dei privati, non solo per la realizzazione del secondo stralcio ma anche per la definizione degli assetti proprietari e del progetto complessivo dell’intera area delle ex Reggiane.

COSTRUIRE L’AREA MEDIOPADANA

Anche la questione della “soggettività mediopadana”, vale a dire la scoperta del grande sistema economico-sociale collocato tra le aree metropolitane di Milano e Bologna, rappresenta un’innovazione di sistema.

In tale prospettiva “Costruire l’area Mediopadana” – il tema di quest’Assemblea – rappresenta non solo una

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visione, ma un possibile banco di prova attraverso cui imparare a risolvere nuovi problemi con nuove soluzioni.

I sistemi locali di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova e Cremona, devono apprendere a connettersi per definire in maniera condivisa gli obiettivi d’area vasta, gli strumenti per raggiungerli e le conseguenti azioni di lobbying.

Tutto ciò mantenendo integre la proprie identità e le rispettive autonomie.

Una vera e propria rivoluzione culturale soprattutto se consideriamo il lascito di una storia secolare e il totale e reciproco disinteresse praticato per decenni.

È finita l’epoca nella quale chi produceva pensava solo a produrre e chi amministrava pensava solo ad amministrare, determinando, in tal modo, logiche parallele condannate a non incontrarsi mai. Guardare con nuovi occhi la soggettività mediopadana significa far si che ciascun attore, amministrativo, economico e sociale, inizi a considerare i propri vicini non come competitori, ma come parte di sé, del proprio futuro e del proprio destino.

La logistica di Piacenza è un valore d’area vasta; la Stazione Mediopadana e l’aeroporto di Parma sono

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infrastrutture condivise; i poli universitari e quelli della ricerca devono diventare i nodi di una rete di competenze mediopadane; l’Alta Velocità e la futura connessione con il Brennero sono un’occasione per tutti e tutti devono impegnarsi per far sì che si realizzi in coerenza con le esigenze mediopadane.

Mi auguro che il futuro assetto amministrativo dell’Emilia tenga conto di queste considerazioni.

IL RINNOVAMENTO DEL SISTEMA ASSOCIATIVO

Lo scorso anno abbiamo ricevuto dalle associazioni confindustriali di Bologna, Modena e Ferrara la proposta di partecipare a un progetto di fusione da realizzarsi entro il 2016.

Nel settembre scorso la Giunta Esecutiva di Unindustria Reggio Emilia ha deciso di declinare questo invito.

La fusione con altre associazioni dunque non è per noi una questione all’ordine del giorno.

Siamo convinti, infatti, che sia preliminarmente indispensabile valorizzare l’autonomia e la soggettività delle diverse Associazioni emiliane impegnandoci per far sì che inizino a operare come una vera e propria rete.

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Un network capace di favorire la specializzazione dei diversi “nodi” per sviluppare servizi di nuova generazione in grado di apportare concreto valore alle imprese.

Oggi, la sfida non è diventare più grandi, ma apprendere a essere più intelligenti, più rapidi, più connessi e dunque più efficaci e innovativi a vantaggio delle imprese e dei territori.

Tutto ciò all’interno della dimensione mediopadana che mi auguro venga assunta – consapevolmente e da tutte le associazioni – come un grande progetto territoriale d’interesse generale.

Autorità, Signore e Signori,

nell’estate del 2000, in concomitanza con un anno dal grande valore simbolico, gli industriali formulavano a questa comunità una proposta di grande forza politica e morale sintetizzata nello slogan: “Imprese & territorio alleati per competere”.

Da allora, la ricerca di una progettazione territoriale condivisa è stata una costante dell’azione associativa.

Dai contributi per l’apertura della sede universitaria al sostegno per la costruzione della stazione dell’Alta Velocità; da “Reggio Regia” ai primi studi sugli effetti dell’Alta Velocità sul sistema locale; dall’impegno per gli Stati Generali all’analisi sulle infrastrutture locali e

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d’area vasta, fino alla scoperta della soggettività mediopadana di cui oggi ci occupiamo.

Negli stessi anni gli Enti locali reggiani si sono impegnati in un profondo processo di rinnovamento amministrativo, urbano e territoriale.

Penso, solo per citare le realizzazioni più significative, alla Stazione Mediopadana; alla riqualificazione del Centro storico; al Tecnopolo; al consolidamento del polo universitario e alla visione per l’Area Nord.

La riclassificazione di tutto ciò all’interno di un rinnovato “disegno” richiede ora un duplice sforzo.

Da una parte, occorre l’affinamento delle logiche e delle soluzioni di governance indispensabili per mettere a sistema tutto ciò che potrebbe contribuire alla realizzazione dei molti cantieri in corso o in programma.

Dall’altra, la necessità di aggiornare le visioni e il portafoglio dei progetti considerando gli effetti di quanto già realizzato: basti pensare, in proposito, al successo e all’ulteriore impatto potenziale della Stazione Mediopadana o alla scoperta della dimensione mediopadana.

OTTO AZIONI PER REGGIO EMILIA

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La consapevolezza di tutto ciò, del nostro ruolo e della nostra volontà di collaborazione, ci ha spinto alla predisposizione del progetto denominato Otto Azioni per Reggio Emilia che presenteremo nei prossimi giorni.

Otto iniziative, pluriennali e complementari, attraverso le quali l’Associazione intende contribuire attivamente al rinnovamento del sistema locale.

Il valore di queste Azioni non sta solo nella coerenza e nella loro durata nel tempo, ma anche nell’obiettivo di connettere altri attori locali per ricercare soluzioni coerenti con le trasformazioni in atto.

Ci guida il convincimento che in un territorio più efficiente e attraente sia più facile fare impresa.

Allo stesso tempo, pensiamo che imprese ancora più competitive possano continuare ad apportare, al sistema locale, quell’intraprendenza orientata alla manifattura avanzata che deve rimanere la cifra distintiva della nostra terra.

Care Colleghe e cari Colleghi,

noi ci sentiamo pronti per contribuire a un progetto di rinnovamento fondato sulla consapevolezza di una nuova era, sulla centralità del capitale umano e delle imprese e sulla scala mediopadana.

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Uniamo le forze, le idee, le capacità di questa terra non per aspettare il momento migliore, ma per crearlo. Subito.

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