Trauma toracico - Doctor33 toracico, con una mortalità del 25% riferita ai soli pazienti con...

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Capitolo | 9 | © 2012 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati. 169 Trauma toracico Chiara Siddi, Gregorio Tugnoli, Concetta Pellegrini, Stefania Cimbanassi, Salomone Di Saverio, Maurizio Morucci, Sergio Nicola Forti Parri, Osvaldo Chiara, Giuseppe Nardi, Gianfranco Sanson INTRODUZIONE Il trauma toracico è, dopo il trauma cranico, la seconda causa più frequente di morte per lesione non intenzio- nale (nel 2004, negli USA ci sono stati 764.000 accessi in ED) e gli incidenti stradali sono la causa più frequente di trauma toracico chiuso. Circa il 33% dei pazienti politraumatizzati riporta un trauma toracico, con una mortalità del 25% riferita ai soli pazienti con accesso ospedaliero ed escludendo le vittime di catastrofi naturali o di guerre [1]. Secondo i dati del RIT del 2005, su 837 pazienti analizzati 393 presentavano un trauma toracico: di questi 171 avevano un punteggio AIS 3, 161 un AIS 4, 58 un AIS 5 e 3 un AIS 6. Le fratture costali multiple associate o meno a pneumo- torace (PNX) sono le lesioni di più comune riscontro nei pazienti vittime di trauma toracico chiuso (Tab. 9.1) [2]. La mortalità e la morbilità del trauma toracico chiuso sono molto elevate e conseguenza non solo delle lesioni primitive, ma anche delle complicanze a esso legate, come per esempio le polmoniti nosocomiali che ricorrono fino al 30% dei casi. Una revisione di casistica clinica ha evi- denziato che la mortalità per trauma toracico ammontava al 6% e che nel 54% dei casi il decesso era attribuibile a complicanze polmonari [3]. DIAGNOSTICA IN URGENZA La diagnostica del trauma toracico è eminentemente radio- logica e si basa sull’utilizzo della radiografia standard del torace, della TC e dell’ecografia. Prevede percorsi differen- ziati in base alla situazione di stabilità respiratoria ed emo- dinamica del paziente. Nel paziente instabile, l’esame clinico assume un ruolo determinante, con lo scopo principale di valutare la bila- teralità della ventilazione e segni di ipovolemia o tam- ponamento cardiaco. L’associazione di ipoventilazione monolaterale iperfonesi plessica, ipotensione, desatura- zione, eventuale enfisema sottocutaneo e deviazione tra- cheale controlaterale deve porre subito il dubbio di un PNX iperteso. Una condizione di shock emorragico asso- ciata a ipoventilazione e ottusità plessica unilaterale deve far sospettare un emotorace massivo, mentre il turgore delle giugulari con ipotensione e ventilazione bilaterale conservata indirizza verso il tamponamento cardiaco. La diagnostica strumentale non deve in tali casi dilazionarne il riconoscimento e il trattamento. La TC è eccessivamente time-consuming e la Rx-torace ha un’elevata incidenza di falsi negativi. Al contrario, l’ecografia toracica nell’ambito di un’exten- ded FAST può essere un completamento dell’esame clinico nel paziente instabile in quanto, in caso di emotorace mas- sivo, PNX iperteso o emopericardio, pone indicazione per l’immediato trattamento salvavita, non solo confermando il sospetto clinico ma anche consentendo di effettuare le pro- cedure in modo guidato e con maggior sicurezza. Rimane comunque imprescindibile il ruolo della clinica, dato che l’ecografia toracica è inattuabile, per esempio, in presenza di enfisema sottocutaneo. Nel paziente stabile l’ecografia del torace svolge un ruolo nel diagnosticare una serie di eventi patologici in modo molto più sensibile della radiologia tradizionale (per esem- pio è in grado di rilevare versamenti pleurici anche di 20 mL laddove un Rx richiede oltre 150 mL nel paziente supino) e più precoce (per esempio, in caso di contusione polmonare

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© 2012 Elsevier Srl. Tutti i diritti riservati.

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Trauma toracico Chiara Siddi , Gregorio Tugnoli , Concetta Pellegrini , Stefania Cimbanassi , Salomone Di Saverio , Maurizio Morucci , Sergio Nicola Forti Parri , Osvaldo Chiara , Giuseppe Nardi , Gianfranco Sanson

INTRODUZIONE

Il trauma toracico è, dopo il trauma cranico, la seconda causa più frequente di morte per lesione non intenzio-nale (nel 2004, negli USA ci sono stati 764.000 accessi in ED) e gli incidenti stradali sono la causa più frequente di trauma toracico chiuso.

Circa il 33% dei pazienti politraumatizzati riporta un trauma toracico, con una mortalità del 25% riferita ai soli pazienti con accesso ospedaliero ed escludendo le vittime di catastrofi naturali o di guerre [1] . Secondo i dati del RIT del 2005, su 837 pazienti analizzati 393 presentavano un trauma toracico: di questi 171 avevano un punteggio AIS 3, 161 un AIS 4, 58 un AIS 5 e 3 un AIS 6.

Le fratture costali multiple associate o meno a pneumo-torace (PNX) sono le lesioni di più comune riscontro nei pazienti vittime di trauma toracico chiuso ( Tab. 9.1 ) [2] .

La mortalità e la morbilità del trauma toracico chiuso sono molto elevate e conseguenza non solo delle lesioni primitive, ma anche delle complicanze a esso legate, come per esempio le polmoniti nosocomiali che ricorrono fi no al 30% dei casi. Una revisione di casistica clinica ha evi-denziato che la mortalità per trauma toracico ammontava al 6% e che nel 54% dei casi il decesso era attribuibile a complicanze polmonari [3] .

DIAGNOSTICA IN URGENZA

La diagnostica del trauma toracico è eminentemente radio-logica e si basa sull’utilizzo della radiografi a standard del torace, della TC e dell’ecografi a. Prevede percorsi differen-

ziati in base alla situazione di stabilità respiratoria ed emo-dinamica del paziente.

Nel paziente instabile , l’esame clinico assume un ruolo determinante, con lo scopo principale di valutare la bila-teralità della ventilazione e segni di ipovolemia o tam-ponamento cardiaco. L’associazione di ipoventilazione monolaterale iperfonesi plessica, ipotensione, desatura-zione, eventuale enfi sema sottocutaneo e deviazione tra-cheale controlaterale deve porre subito il dubbio di un PNX iperteso. Una condizione di shock emorragico asso-ciata a ipoventilazione e ottusità plessica unilaterale deve far sospettare un emotorace massivo, mentre il turgore delle giugulari con ipotensione e ventilazione bilaterale conservata indirizza verso il tamponamento cardiaco. La diagnostica strumentale non deve in tali casi dilazionarne il riconoscimento e il trattamento. La TC è eccessivamente time-consuming e la Rx-torace ha un’elevata incidenza di falsi negativi.

Al contrario, l’ecografi a toracica nell’ambito di un’exten-ded FAST può essere un completamento dell’esame clinico nel paziente instabile in quanto, in caso di emotorace mas-sivo, PNX iperteso o emopericardio, pone indicazione per l’immediato trattamento salvavita, non solo confermando il sospetto clinico ma anche consentendo di effettuare le pro-cedure in modo guidato e con maggior sicurezza. Rimane comunque imprescindibile il ruolo della clinica, dato che l’ecografi a toracica è inattuabile, per esempio, in presenza di enfi sema sottocutaneo.

Nel paziente stabile l’ecografi a del torace svolge un ruolo nel diagnosticare una serie di eventi patologici in modo molto più sensibile della radiologia tradizionale (per esem-pio è in grado di rilevare versamenti pleurici anche di 20 mL laddove un Rx richiede oltre 150 mL nel paziente supino) e più precoce (per esempio, in caso di contusione polmonare

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è in grado di rilevare l’edema interstiziale iniziale del processo ezio-patogenetico), oltre a contribuire nell’individuazione di lesioni costo-sternali. Alcune linee guida considerano l’eco-grafi a una valida alternativa all’esame TC, limitatamente alla sola diagnosi di problematiche pleuropolmonari [4] , qualora le condizioni cliniche del paziente non ne consentano il tra-sporto o se la TC è di diffi cile realizzazione. Il ruolo della radiologia tradizionale nella diagnostica delle lesioni toraci-che ha perso parte della rilevanza che aveva in passato a causa dei limiti di sensibilità della tecnica e ai rischi derivanti dalla mancata diagnosi di lesioni particolarmente critiche (per esempio lesioni aortiche). Nel paziente stabile la Rx torace può essere comunque utile al completamento dell’ iter dia-gnostico e al monitoraggio dell’evoluzione di alcune lesioni e complicanze pleuro-polmonari (per esempio emotorace, contusioni polmonari, focolai di infezione, ARDS). Grazie all’elevatissima accuratezza diagnostica, la disponibilità della TC con mdc condiziona in modo signifi cativo il percorso del paziente con trauma toracico, consentendo una rapida e completa diagnostica quantifi cativa e qualitativa di lesioni ossee e dei tessuti molli, delle pleure e del parenchima pol-monare, di lesioni vascolari e delle vie aeree. Poiché i tempi effettivi necessari all’effettuazione della TC sono spesso incompatibili con le condizioni di instabilità emodinamica di un paziente (vedi Capitolo 3 ), è necessario che le scelte sulle opzioni diagnostiche siano adeguate allo stato clinico.

LESIONI PLEURO-POLMONARI

Pneumotorace Il PNX è defi nito come la presenza di aria in cavo pleurico ed è la conseguenza di una breccia a carico della pleura

viscerale o parietale o di una lesione della via aerea o di un organo cavo mediastinico [5] .

Nelle situazioni in cui si crea un meccanismo a val-vola, la pressione intrapleurica può crescere progressiva-mente fi no a determinare un quadro di PNX ipertensivo (PNX-IT), situazione di rischio per la vita che richiede di essere rapidamente riconosciuta e trattata. In presenza di PNX-IT il polmone è indotto a un progressivo collasso mentre subiscono una contemporanea compressione il polmone controlaterale e il diaframma. L’atelectasia del parenchima polmonare determina collasso alveolare e shunt vascolare, con conseguente ipossiemia. Il PNX-IT determina anche un impatto emodinamico, sebbene con modalità ancora non completamente chiarite. La teoria della riduzione del pre-carico legata allo shift media-stinico, basata su studi oramai datati, è stata messa in discussione da successivi studi sperimentali che hanno evidenziato come la presenza di un PNX-IT non escluda la possibilità di mantenere una pressione intrapleurica negativa controlaterale [6,7] ; questa situazione di com-penso può essere mantenuta anche per livelli estremi di ipertensione pleurica, grazie alla conservazione di una suffi ciente gittata cardiaca (GC), per la progressiva tachi-cardia, l’incompleta trasmissione al mediastino dell’iper-tensione pleurica e il mantenimento del ritorno venoso favorito dall’incremento della pressione negativa intra-toracica controlaterale. Pertanto, durante la fase di com-penso le manifestazioni cliniche del PNX-IT sarebbero primariamente respiratorie; in assenza di trattamento, per la perdita del compenso vi sarebbe il progressivo peggioramento dell’ipossiemia, con conseguente defi cit ventilatorio restrittivo, perdita di effi cienza della musco-latura respiratoria accessoria dal lato dell’emitorace ipe-respanso e ipossia miocardica, che possono evolvere fi no all’arresto di circolo [8,9] .

Profondamente diversa è invece l’evoluzione del PNX-IT nei soggetti sottoposti a ventilazione a pressione positiva, nei quali la progressione del quadro clinico è più rapida e drammatica, oppure quando il PNX è bilaterale. La ridu-zione della GC nel soggetto ventilato è probabilmente da attribuire a una combinazione di fattori, fra i quali l’ipossiemia, la riduzione del fl usso ematico attraverso il polmone collassato, la riduzione del ritorno venoso, la compressione dei grossi vasi e dei ventricoli [10] . In pre-senza di situazioni concomitanti di aggravamento quali ipovolemia, contusioni polmonari o emotorace, i meccani-smi di compenso sono molto più labili anche nel soggetto in respiro spontaneo.

Ai fi ni della determinazione del percorso diagnostico-terapeutico la defi nizione di PNX-IT è tutt’altro che sem-plice. Come sottolineato in precedenza, la sola presenza di aria sotto pressione nello spazio pleurico non identi-fi ca un quadro di PNX-IT. Per questo, in luogo di quella di PNX-IT alcuni Autori hanno proposto la defi nizione di “PNX in espansione” [11] suggerendo che un PNX sia da considerare clinicamente iperteso quando determini segni

Tabella 9.1 Incidenza di singole lesioni in pazienti con trauma toracico chiuso

Tipo di lesione Incidenza %

Fratture costali 67

Contusione polmonare 65

Pneumotorace 30

Emotorace 26

Flail chest 23

Lesione diaframmatica 9

Contusione miocardica 5,7

Dissezione aortica 4,8

Lesione tracheobronchiale 0,8

Lesione laringea 0,3

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di severa compromissione respiratoria e/o emodinamica, reversibili unicamente con manovre di decompressione.

Un PNX che induca ipotensione e/o ipossiemia rap-presenta in ogni caso una situazione di emergenza. Se la decompressione della falda aerea sotto tensione non è suffi cientemente rapida, una volta che lo scompenso cardiocircolatorio si rende clinicamente evidente con un quadro di shock, il paziente va inevitabilmente incontro all’arresto cardiaco in tempi rapidissimi. Si rimanda al Capitolo 3 per la descrizione delle modalità diagnostiche e delle tecniche di decompressione-drenaggio.

Mentre non esistono dubbi sull’assoluta necessità di dre-nare PNX di grandi dimensioni e massivi o ipertesi, negli ultimi anni la gestione di PNX residui o di piccole dimen-sioni è divenuto un problema emergente. Dal 2 al 15% dei pazienti traumatizzati presenta un PNX non visibile all’Rx-torace standard, ma solo alla TC, che viene defi nito pneu-motorace occulto (OPNX). La decisione sull’opportunità di attuare manovre di drenaggio o di adottare una condotta conservativa deve tener conto del fatto che il drenaggio tora-cico è gravato dal 22% di complicazioni iatrogene. La lette-ratura corrente non ha delineato un algoritmo decisionale univoco. Per il trattamento dello OPNX, le linee guida EAST [4] raccomandano di adottare nei pazienti stabili un atteg-giamento di attesa, indipendentemente dall’utilizzo di una ventilazione a pressione positiva. Altri Autori hanno dimo-strato come la progressione dello OPNX oltre i 7 mm (e in specie > 16 mm) di spessore, la necessità di ventilazione meccanica a pressione positiva, la presenza di chiari segni di distress respiratorio e di falde di emotorace siano fattori indi-pendenti associati con il fallimento della condotta attendi-sta e pongano indicazione per il drenaggio toracico. In caso di condotta conservativa è opportuno comunque ripetere frequentemente la diagnostica radiologica per intervenire tempestivamente in caso di progressione.

Emotorace Il termine emotorace post-traumatico indica l’accumulo di sangue nello spazio pleurico in seguito a trauma toracico chiuso o penetrante. La perdita ematica può essere cospi-cua al punto da determinare shock ipovolemico e ridurre la capacità vitale a livelli incompatibili con la sopravvi-venza. Nel 25% dei casi l’emotorace si associa a PNX con-sensuale e nel 73% dei casi a lesioni extratoraciche.

Le lesioni vascolari, prevalentemente dei rami interco-stali lesi da fratture costali e della mammaria interna, sono una causa frequente di emotorace e il sanguinamento tende ad autolimitarsi alla riespansione del polmone dopo adeguato drenaggio, in specie in caso di ventila-zione a pressione positiva. Altre volte queste lesioni pos-sono richiedere studio angiografi co ed embolizzazione in urgenza in quanto, essendo coinvolti vasi arteriosi origi-nati direttamente dall’aorta, le emorragie che ne derivano possono risultare di diffi cile controllo. È rara la necessità di interventi chirurgici per tale indicazione.

Le lesioni del parenchima polmonare sono un’altra causa frequente di emotorace (per lo più associato a PNX) e, a meno che non vi sia una lacerazione estesa, tendono ad autolimitarsi in considerazione della bassa pressione nel circolo polmonare, dopo drenaggio toracostomico e riespansione. L’emotorace da lesione dei grossi vasi del circolo polmonare o del circolo sistemico è una condi-zione associata di solito a instabilità emodinamica grave e può essere corretto solo chirurgicamente.

La TC risulta specifi ca e sensibile nella quantizzazione del versamento e se unita a scansioni contrastografi che, nella valutazione dei grandi vasi e nella documentazione di sanguinamenti attivi ( blushing ).

La Rx torace è decisamente meno sensibile e specifi ca della TC e perfi no notevoli quote di emotorace possono essere misconosciute; la Rx è utile nella valutazione iniziale del paziente instabile o come metodica di follow-up [12] .

L’ecografi a toracica non ha sensibilità e specifi cità superiori alla TC, tuttavia può essere utile nella diagnosi precoce di emotorace anche minimo nei pazienti instabili o di diffi cile trasportabilità. È inoltre una metodica sem-plice, rapida e affi dabile per il posizionamento guidato dei drenaggi pleurici e nella valutazione della evacuazione completa del versamento al letto del paziente.

Per quanto concerne il trattamento, la toracotomia è la procedura di scelta nei pazienti con emotorace massivo e sanguinamento persistente. I criteri tradizionali inclu-dono un sanguinamento superiore o uguale a 1.500 mL evacuati con drenaggio toracostomico, un sanguinamento persistente superiore a 150 mL/ora per 2 o più ore e la necessità costante di trasfusioni per mantenere la stabilità emodinamica. Comunque, in caso di emotorace massivo l’indicazione all’intervento chirurgico dovrebbe essere stabilita sulla base delle condizioni cliniche piuttosto che della quantità assoluta di sangue drenato; tuttavia, una perdita ematica ≥ 1.500 mL in 24 ore, a prescindere dalle ragioni per cui si è instaurata, dovrebbe indirizzare all’esplorazione chirurgica [4,13] .

Al di là delle indicazioni chirurgiche, secondo le linee guida EAST [4] tutti gli emotoraci, indipendentemente dal-l’entità, dovrebbero essere trattati con drenaggio toracico. Il drenaggio iniziale dev’essere eseguito con un tubo di drenaggio toracostomico di dimensioni adeguate posizio-nato in quinto spazio. Nei casi di emotorace persistente o residuo nonostante drenaggio, dovrebbe essere considerata la videotoracoscopia da eseguire tra la terza e la settima giornata per evitare il rischio di infezione, l’evoluzione in fi brotorace e prevenire la necessità di conversione a tora-cotomia. L’utilizzo di farmaci trombolitici intrapleurici è stato dai più abbandonato.

Fratture costali Le fratture costali costituiscono il danno di più frequente riscontro nei pazienti con trauma toracico e sono pre-senti nel 10% dei pazienti traumatizzati [3,14] con una

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mortalità compresa tra il 3 e il 13% e una comorbilità polmonare compresa tra il 16 e il 60%, per lo più conse-guente alle lesioni associate [15] .

La TC ha dimostrato di essere nettamente più sensibile e specifi ca della radiologia tradizionale nel determinare quantitativamente e qualitativamente il numero di coste fratturate e gli eventuali danni associati. Il numero di fratture costali correla con lo sviluppo di complicanze, con la necessità di ventilazione meccanica e con la durata della degenza in TI (Terapia Intensiva) [14] . L’insorgenza di insuffi cienza respiratoria tuttavia sembra essere secon-daria soprattutto alle lesioni associate, prime fra tutte le contusioni polmonari la cui mortalità correlata è pari al 10-20% [16] .

Le fratture costali possono avere un ruolo nel determi-nare l’insuffi cienza respiratoria post-traumatica in fun-zione di alcuni fattori quali l’età del paziente, il numero di coste fratturate e le lesioni associate. Un’età superiore a 65 anni e più di 4 coste fratturate sono predittivi di aumentata mortalità [17] . Il problema è più evidente nelle fasce di età pediatrica e geriatrica. La popolazione pediatrica, grazie all’altissima compliance della gabbia tora-cica, può tollerare notevoli compressioni senza sviluppare fratture, perciò la presenza di fratture costali nei bambini è un marker dell’applicazione di un’elevata energia cine-tica e si associa a un incremento di morbilità e mortalità. A causa della ridotta riserva funzionale e della frequente presenza di comorbilità, i pazienti di età superiore a 65 anni con fratture costali presentano una mortalità dop-pia rispetto alla popolazione di età inferiore; mortalità e polmoniti aumentano per ogni costa fratturata in più [15] .

Il trattamento del dolore è fondamentale nella corretta gestione del paziente con fratture costali, il livello di dolore è massimo nelle prime due settimane, poi tende a diminuire potendo però perdurare fi no a sei settimane. L’analgesia peridurale è utile per ridurre la morbilità con-seguente alle fratture costali e andrebbe impiegata preco-cemente [14] .

Flail chest Una situazione particolare è rappresentata dal fl ail chest (o volet o lembo costale), condizione che consegue a trauma chiuso del torace caratterizzata da fratture bifocali di coste contigue; si genera così un segmento, assimilabile a una sorta di sportello che perde la continuità con la restante parete del torace. Durante gli atti respiratori spontanei il lembo tende a muoversi in modo paradosso, rientrando durante l’inspirio ed estrofl ettendosi in espirio. I tre momenti fi siopatologici del fl ail chest , condizionanti la riduzione degli scambi gassosi, sono l’alterazione della meccanica ventilatoria, la contusione polmonare e l’ate-lectasia.

Alcuni studi sperimentali hanno dimostrato che soli-tamente i pazienti con fl ail chest riescono a mantenere un tidal volume stabile e adeguato con normali valori di

PaCO 2 , grazie all’azione dei muscoli intercostali esterni che,

spingendo la gabbia toracica verso l’alto in inspirazione, antagonizzano il movimento paradosso del lembo. Negli stessi studi si è dimostrato come in assenza di contusione polmonare associata, gli effetti del fl ail chest sugli scambi gassosi siano minimi. Il fenomeno fi siopatologico deno-minato Pendelluft , che ipotizzava che l’insuffi cienza respira-toria nei pazienti con fl ail chest fosse legata al generarsi di una pressione negativa estremamente elevata nell’emitorace controlaterale alla lesione, con conseguente richiamo di aria dall’emitorace con volet , è stato confutato da molti studi suc-cessivi [18] e rappresenta solamente una curiosità storica.

Attualmente si ritiene che l’ipossia conseguente a fl ail chest sia da ascrivere principalmente all’aumentato consumo di ossigeno dovuto all’incremento della forza inspiratoria, al dolore associato alle fratture costali e alla lesione paren-chimale. Infatti, la presenza di parenchima polmonare con-tuso a bassa compliance comporta la necessità di un rilevante aumento del lavoro dei muscoli respiratori per assicurare una ventilazione adeguata: in questa condizione, la pres-sione negativa necessaria a espandere i polmoni può pas-sare dai fi siologici 5 cmH

2 O a capacità funzionale residua, fi no a valori elevatissimi (100 cmH 2 O). Questa condizione comporta un ingente incremento del lavoro respiratorio e del consumo di ossigeno da parte dei muscoli respiratori ai quali può essere destinata fi no al 30% della GC. Special-mente nei pazienti anziani, l’infl uenza sulla meccanica ven-tilatoria del lembo costale e della conseguente ipossiemia possono peggiorare drammaticamente il quadro emodina-mico fi no allo scompenso acuto di circolo. L’atelectasia con-seguente all’ipoventilazione coinvolge in prima istanza, ma non solo, la zona di parenchima contuso favorendo il feno-meno dello shunt e l’instaurarsi di processi pneumonici.

In aggiunta all’alterata meccanica ventilatoria e alla contusione polmonare, il dolore che deriva dal danneggia-mento dei tessuti molli della parete e dalle fratture costali può determinare una risposta antalgica del paziente con ulteriore riduzione del tidal volume .

L’incidenza di fl ail chest varia dal 10 al 20% dei pazienti ospedalizzati per trauma toracico chiuso e la mortalità complessiva ammonta a circa il 35%. Sopra i 55 anni la probabilità di morte in caso di volet aumenta del 132% per ogni decennio di età e del 30% per ogni punto ISS asso-ciato [19,20] .

La diagnosi di fl ail chest è clinica, ma la conferma radio-logica con Rx e in specie con TC, consente un bilancio preciso delle lesioni costali, della contusione polmonare a esse associata e permette di valutare l’eventuale presenza di emotorace o PNX consensuale.

Grazie anche all’incremento delle conoscenze di fi sio-patologia del trauma toracico e a un miglioramento delle tecnologie a disposizione, la gestione del fl ail chest è cambiata drasticamente negli ultimi trent’anni, passando da un trattamento quasi esclusivamente chirurgico di sta-bilizzazione delle fratture costali a un approccio intensivi-stico non operativo. Il controllo del dolore, la ventilazione

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meccanica (non invasiva o invasiva) a pressione positiva e la prevenzione e trattamento delle complicanze legate alle fratture costali (emo-PNX) e alla contusione polmonare sottostante (atelectasia e polmonite), sono i cardini della terapia conservativa [21] . Le tecniche analgesiche saranno trattate nel paragrafo dedicato di questo capitolo.

Non vi sono evidenze della superiorità di una modalità ventilatoria rispetto ad altre nel trattamento del lembo costale. L’applicazione di una pressione positiva inspirato-ria impedisce di per sé che il paziente generi una pressione pleurica negativa e il disincronismo meccanico che ne deriva. L’utilizzo di pressioni positive di fi ne espirazione, tarate caso per caso sulle effettive necessità del paziente e sullo stato emodinamico, antagonizza l’atelectasia mante-nendo “aperte” le aree di parenchima a bassa compliance e a costante di tempo elevata, prime tra tutte le zone di pol-mone contuso sottostanti il lembo costale.

Le indicazioni al trattamento chirurgico del fl ail chest sono controverse in quanto mancano studi di grandi dimensioni che confrontino tecniche operative e non-operative (NOM) [22] . Uno studio randomizzato su 37 pazienti che ha comparato i risultati ottenuti da trat-tamento con placche di Judet e con ventilazione a pres-sione positiva ha dimostrato che la durata della degenza

media in TI, l’incidenza di polmonite e i costi erano signifi cativamente inferiori nel gruppo trattato con NOM, suggerendo di riservare il trattamento chirurgico solo a casi selezionati sulla base dell’estrema gravità del qua-dro clinico polmonare associato a fl ail chest [23] . Altri Autori indicano la stabilizzazione chirurgica in presenza di insuffi cienza respiratoria acuta, malposizionamento progressivo dei monconi ossei delle coste fratturate, dif-fi coltà allo svezzamento dalla ventilazione meccanica e toracotomia effettuata per altre ragioni [24] . Altri ancora considerano indicazioni chirurgiche il dolore severo, il fallimento dello svezzamento dalla ventilazione mecca-nica e il sanguinamento dalla parete [25] .

I primi stabilizzatori costali ( Fig. 9.1 ) introdotti nella pratica clinica erano sistemi di cerchiaggio e sutura, seguiti da montanti metallici lunghi fi no a 40 cm che sospende-vano e separavano i segmenti costali e che venivano rimossi chirurgicamente dopo la guarigione delle ferite. Le placche di Judet permisero per la prima volta il fi ssaggio in piano della singola frattura e furono seguite da una moltitudine di varianti sempre più semplici da conformare al profi lo costale. Recentemente sono state commercializzate placche a profi lo anatomico che riducono la necessità di sagoma-tura e curvatura prima dell’impianto.

Frattura singola “Bridging” di lembi mobili

Paris

Judet

Vecsei

Fissazione intramidollare

Filo di Kirschner

Protesi di Rehbein

Segmentoextramidollare per

fissazione dellasutura

Barra costale

Cer

chia

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oC

erch

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ione

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Protesi a “U”

Protesi costaleanatomica

Sanchez-Lloret

Labitzke

Figura 9.1 Evoluzione degli stabilizzatori costali (a sinistra). Esempi di stabilizzatori intramidollari (a destra). (Modifi cata da: Fitzpatrick DC, Denard PJ, Phelan D. Operative stabilization of fl ail chest injuries: review of literature and fi xation options. Eur J Trauma Emerg Surg 2010;36:427-33)

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Un’ulteriore opzione terapeutica è costituita dal fi ssag-gio intramidollare che, rispetto al fi ssaggio con placche, presenta alcuni vantaggi tra cui la minore invasività chi-rurgica e l’assenza di necessità di rimozione. La letteratura riporta ottimi risultati ottenuti con i fi li di Kirschner negli ultimi cinquant’anni, ma alcuni Autori con questa meto-dica lamentano una certa instabilità rotazionale delle fratture mentre altri rilevano che la migrazione del fi lo può determinare disallineamento della rima fratturativa, dolore e danno dei tessuti circostanti.

Le placche di Rehbein sono a sezione rettangolare con fi ssaggio costale e limitano l’instabilità rotazionale. Il rib splint è un sistema di blocco costale che previene la moti-lità angolare. Analisi biomeccaniche su rib splint rispetto ai fi li di Kirschner dimostrano la superiorità dei primi sia in termini di forza di contenzione che di sicurezza.

Contusione polmonare Le contusioni polmonari sono descritte nel 35-75% dei traumi toracici chiusi e possono essere causate sia da forze compressive che trasversali. Si presentano raramente come singola lesione isolata, mentre in più del 75% dei casi si associano ad altre lesioni toraciche (per esempio fratture costali, volet , emo-PNX) o di altri distretti. Uno studio su 144 traumi toracici chiusi ha rilevato una mortalità del 16% che arriva al 42% se la contusione polmonare è associata a fl ail chest ; lo stesso studio ha evidenziato che se coesistono fl ail chest e con-tusione polmonare, nel 92% dei casi è presente almeno un’altra lesione intratoracica maggiore, mentre la percen-tuale scende al 67% se fl ail chest e contusione non sono associati [26] . Nei pazienti anziani, con gabbia tora-cica “rigida”, la contusione polmonare si associa quasi sempre a fratture costali multiple, mentre nei pazienti giovani o in età pediatrica possono essere presenti vaste aree contusive in assenza di fratture, in quanto l’elasticità della struttura ossea trasmette l’energia cinetica diretta-mente al parenchima sottostante.

Il meccanismo fi siopatologico dell’insuffi cienza respi-ratoria nelle contusioni polmonari è da ricondurre alla distruzione più o meno estesa del parenchima cui segue l’innesco della cascata infi ammatoria, con infi ltrazione neutrofi la della membrana alveolo-capillare, aumento della permeabilità, edema interstiziale e ingombro alveo-lare. La compliance polmonare si riduce e le resistenze vascolari polmonari aumentano: si determina un’altera-zione del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q) con incremento della quota di shunt e peggioramento degli scambi gassosi. Gli effetti del trauma non sono localiz-zati alla sola zona interessata, ma si estendono all’intero sistema respiratorio attraverso un diffuso aumento della produzione di muco, una riduzione della concentrazione di surfactante e un aumento generalizzato della permea-bilità capillare, con collasso alveolare, ulteriore mismatch V/Q e riduzione della compliance polmonare.

La contusione polmonare è una lesione tipicamente evolutiva e spesso sottostimata nel bilancio lesionale iniziale. Gli effetti clinici, in particolare il deterioramento degli scambi gassosi, si manifestano nell’arco di ore dal trauma, raggiungono il picco a circa 72 ore e si risolvono nell’arco di una settimana, anche se complicanze come la polmonite e l’ARDS possono protrarre la durata del-l’insuffi cienza respiratoria [27] . In tal senso è fortemente raccomandato un attento monitoraggio clinico ed emoga-sanalitico dei pazienti. Una diagnosi precoce è di grande importanza, sia perché permette una corretta allocazione del paziente, riducendo il rischio di deterioramenti misconosciuti, sia perché il volume della contusione può essere un fattore predittivo indipendente per il successivo sviluppo di ARDS [28] . La Rx-torace nelle prime fasi può non essere diagnostica e la TC rappresenta il gold standard per un corretto inquadramento; l’utilizzo dell’ecografi a toracica in una fase molto precoce del trattamento ha mostrato risultati promettenti [29,30] .

Il target terapeutico iniziale nei pazienti stabili è la prevenzione dell’atelectasia e del conseguente rischio infettivo. La contusione polmonare severa si associa infatti frequentemente a sanguinamento da grossi rami bronchiali e talvolta dalla trachea; in tali casi la toilette bronchiale invasiva con fi brobroncoscopia (e l’eventuale prelievo di muco per l’esame microbiologico in presenza di sospetta infezione) risultano mandatori per prevenire atelectasie da coagulo. La somministrazione di steroidi è controindicata. L’antibioticoprofi lassi è altamente sconsigliabile in quanto aumenta il rischio di complicanze infettive da germi mul-tiresistenti.

Il trattamento della contusione è dunque basato su quattro cardini fondamentali.

• Analgesia. Il dolore è il primo responsabile della ridu-zione del volume corrente; se non correttamente trat-tato, specialmente nel paziente in respiro spontaneo o assistito, attiva una sequenza di eventi che porta allo sviluppo di atelectasie e ipossiemia e che ha come esito fi nale l’infezione [31] . Le opzioni di trattamento analgesico sono discusse nel relativo paragrafo.

• Fisioterapia polmonare e posturale. L’obiettivo di que-sti interventi è di aiutare il paziente a mobilizzare le secrezioni bronchiali con l’espettorazione, impeden-done il ristagno nelle basse vie aeree e prevenendo il rischio di polmoniti. Qualora l’azione tussiva non sia suffi ciente è ragionevole ricorrere alla toilette bron-chiale mediante fi brobroncoscopia.

• Corretta gestione volemica. Il ripristino dell’euvolemia e della stabilità emodinamica e ventilo-metabolica del paziente sono essenziali. Alcuni Autori riportano peggioramento degli scambi respiratori in pazienti trattati con somministrazione “liberale” di fl uidi rispetto a strategie fl uid-restriction , per un aumento dell’edema specialmente nelle zone contuse (quindi a più alta permeabilità); altri lavori hanno smentito

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questa teoria. Pur in assenza di una differenza di effi cacia dimostrata tra colloidi e cristalloidi, l’orien-tamento attuale è di limitare la somministrazione di colloidi in quanto sembra che le macromolecole in essi contenute, depositandosi negli alveoli, possano indurre la migrazione di elementi polimorfonucleati, aggravando l’infi ammazione locale [32] .

• Ossigenoterapia ed eventuale supporto ventilatorio. Nella maggior parte delle contusioni polmonari di piccola entità l’ossigenoterapia in maschera può essere suffi ciente a prevenire l’ipossiemia. Qualora, al contrario, siano presenti segni e sintomi di fatica respiratoria associati a ipossiemia e/o ipercapnia, la ventilazione meccanica invasiva o non invasiva è la scelta terapeutica più razionale (vedi relativo para-grafo). Alcuni studi hanno dimostrato come l’esten-sione della contusione correli direttamente con la necessità di supporto ventilatorio [31] . Nella contu-sione polmonare la compliance polmonare si riduce e il paziente deve esercitare una maggiore forza inspira-toria (quindi creare pressioni intratoraciche negative maggiori) in caso di ventilazione spontanea; in pre-senza di ventilazione meccanica è spesso necessario adottare pressioni inspiratorie maggiori (maggiore PEEP, maggiore pressione inspiratoria) per prevenire il collasso alveolare nelle zone contuse. Il polmone sano ha una distensibilità maggiore di quello con-tuso, pertanto è verosimile che la pressione positiva che riesce a “distendere” il polmone contuso (a bassa compliance ) determinerà la sovradistensione del polmone sano. Alcuni Autori suggeriscono di con-siderare nei casi più gravi la ventilazione a polmoni separati, che tuttavia è di diffi cile realizzazione e decisamente poco maneggevole [33] , o addirittura la circolazione extracorporea con ossigenatore a mem-brana (ECMO). L’estensione della contusione pol-monare correla con aumentato rischio di sviluppare ARDS. Sebbene nessuna modalità ventilatoria abbia dimostrato chiaramente di prevenire più di altre l’insorgenza di ARDS, appare comunque ragionevole applicare una lung protective ventilation .

Pseudocisti La pseudocisti polmonare (o pneumatocele) post-trau-matica (PPT) è una rara conseguenza del trauma toracico chiuso o penetrante (1-3%) caratterizzata da una lesione cavitaria intraparenchimale priva di epitelio di rive-stimento, contentente fluido o aria ( Fig. 9.2 ) [34] . I bambini e i giovani adulti vittime di incidenti stradali sono i soggetti più interessati da questo tipo di lesione. I meccanismi patogenetici responsabili della formazione della PPT sono:

• forze centrifughe che agiscono sul circostante paren-chima polmonare;

• stress da stiramento causato da bassa compliance all’in-terno della lesione;

• pressione positiva all’interno della cisti.

Mortalità e morbilità sono usualmente basse, ma aumen-tano considerevolmente in caso di emotorace e sovrainfe-zione della cavità [35] .

Le PPT possono insorgere contestualmente al trauma oppure presentarsi fi no a 15 giorni dopo [36] . Possono essere totalmente asintomatiche oppure associate a tosse, dolore toracico, emottisi, dispnea, ipossiemia e, se infette, febbre elevata e shock settico.

La diagnosi è radiologica e la TC è nettamente supe-riore alla Rx standard nella defi nizione della lesione. La diagnosi differenziale si pone con lesioni cavitarie di natura oncologica o cisti suppurative in corso di infe-zione polmonare, rispetto alle quali la PPT ha un tempo di accrescimento molto più rapido, specialmente in corso di ventilazione meccanica.

Le PPT di solito si risolvono spontaneamente. La profi -lassi antibiotica non dev’essere utilizzata routinariamente.

Qualora sia indicata la ventilazione meccanica, va considerato che la pressione positiva aumenta lo stress di parete della cisti, talora determinandone la rottura, con possibile formazione di PNX e/o emotorace ( Fig. 9.3 ). L’estubazione precoce va considerato il goal terapeutico da conseguire.

La broncoscopia operativa è consigliabile qualora si associno sanguinamento endobronchiale, secrezioni bronchiali purulente, enfi sema mediastinico e collasso lobare.

Il trattamento delle PPT infette non si discosta da quello degli ascessi polmonari. In caso di PPT infetta di diametro maggiore di 2 cm o in caso di mancata risolu-zione del quadro settico dopo 72 ore di terapia antibio-tica si dovrebbe ricorrere al drenaggio percutaneo della cisti.

Qualora il quadro clinico sia più complesso (volumi-noso ascesso con perimetro necrotico, vasto sanguina-mento endobronchiale non trattabile con broncoscopia operativa, PPT infette superiori a 6 cm di diametro oppure

Figura 9.2 Piccolo pneumatocele asintomatico (freccia nera).

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non responsive al NOM) la lobectomia precoce può essere un’opzione terapeutica ragionevole.

Altre indicazioni per l’intervento VATS o in chirurgia open includono:

• perdita di aria persistentemente elevata; • emotorace da rottura della cisti; • atelectasia polmonare consensuale non responsiva

alla ventilazione meccanica; • progressivo incremento volumetrico della cisti.

Sono riportati in letteratura casi di lobectomia e cistecto-mia ( capitonage ) 6 mesi dopo il trauma, per infezioni pol-monari ricorrenti o mancato riassorbimento della cisti.

LESIONI TRACHEOBRONCHIALI

Le lesioni tracheobronchiali sono una rara complicanza del trauma toracico chiuso, si associano spesso ad altre lesioni della gabbia toracica e del parenchima polmo-nare e sono gravate da una mortalità preospedaliera fi no all’80%. Nel 59% dei casi sono causate da incidenti stradali, mentre il 27% circa sono attribuibili a lesioni da schiacciamento.

Nel 47% dei casi le lesioni riguardano l’emisistema bronchiale destro; nel 60% dei casi circa la rottura avviene entro 1 cm dalla carena e nel 76% dei casi entro 2 cm.

In letteratura sono riportati tempi medi estremamente lunghi per la diagnosi (9 giorni), molto più lunghi per le lesioni a sinistra rispetto a quelle di destra o tracheali, probabilmente in relazione alla differente anatomia delle sezioni sinistre rispetto alle destre. Infatti l’emisistema sinistro è circondato da strutture vascolari e parenchimali che fanno da sostegno, mentre le sezioni destre, meno protette, sono più esposte a rottura ma sono al contempo anche più facilmente diagnosticabili e dal punto di vista terapeutico decisamente più aggredibili.

La mortalità dei pazienti con lesione sinistra è di circa l’8% mentre arriva al 16% nelle rotture di destra, al 26% nelle rotture di trachea e al 60% in caso di rottura bron-chiale bilaterale associata a lesione della trachea.

Una lesione delle grosse vie aeree può essere ipotizzata in base a sintomi quali dispnea, insuffi cienza respiratoria acuta, disfonia, enfi sema sottocutaneo ingravescente, PNX o emottisi [37-39] .

Le lesioni della via aerea da trauma penetrante riguar-dano nell’80% dei casi la trachea cervicale. In tali situa-zioni la sintomatologia è caratterizzata dalla triade dispnea, disfonia, emottisi con spesso associato enfi sema sottocutaneo: è patognomonica la ferita “soffi ante”, pre-sente nel 60% delle lesioni di questo tipo [40] , con scom-parsa della perdita aerea dopo intubazione a conferma della diagnosi.

Diagnosi La diagnostica di PS è in genere suffi ciente a stabilire un orientamento: Rx di torace e collo permettono di apprez-zare enfi sema cervicale profondo (60% dei casi), pneumo-mediastino (60%) e PNX (70%) [41,42] . La transezione completa di un bronco può manifestarsi con il classico segno dell’ “ilo assente” o con il collasso del polmone lontano dall’ilo verso il diaframma (segno di Kumpe o fallen lung ) [43,44] .

La TC a strato sottile riesce a visualizzare anche lace-razioni dell’albero tracheobronchiale paucisintomatiche e di modesta entità; l’indicazione al suo utilizzo non è ancora completamente codifi cata per le lesioni endoto-raciche [45] anche se con gli apparecchi a multidetettori attuali la risoluzione è tale da identifi care anche disconti-nuazioni bronchiali periferiche.

La fi brotracheobroncoscopia è l’esame dirimente che permette di confermare o di escludere la lesione, defi -nendone eventualmente la corretta sede ed entità. Nel paziente intubato potrebbe essere necessario rimuovere gradualmente il tubo per ispezionare tutta la trachea cervico-toracica [46] . L’attuale tendenza è quella di utiliz-zare la TC come indagine di screening nel caso di sospetto alla valutazione clinica e radiologica tradizionale e impie-gare la fi broscopia per la conferma diagnostica.

Trattamento La priorità di trattamento è, ovviamente, garantire la pervietà della via aerea. Se è necessario provvedere all’intubazione tracheale (IT), la guida broncoscopica riduce il rischio di creazione di false strade in caso di lesione delle vie aeree superiori, incrementando la sicurezza della manovra. L’utilizzo del fi broscopio for-nisce alcuni vantaggi: non è richiesta l’iperestensione del collo, non è necessario l’utilizzo di curari (rischiosi fi no al completo controllo delle vie aeree), permette di direzionare in sicurezza il tubo attraverso i tessuti

Figura 9.3 Pneumatocele (freccia nera) associato a pneumotorace e ampia atelettasia e contusione polmonare.

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danneggiati fi no al di sotto della lacerazione. In mani esperte la fi broscopia permette inoltre di porre subito la corretta indicazione al trattamento defi nitivo, che sia conservativo o chirurgico.

In caso di ferita mediana soffi ante del collo è consiglia-bile prendere in considerazione, in specie in emergenza, l’IT attraverso la ferita stessa per non rischiare di ostruire ulteriormente la via aerea con tentativi di intubazione oro-tracheale. Anche in questo caso l’utilizzo della fi bro-scopia può essere di enorme utilità. Se la trachea distale per sezione completa si ritira nel mediastino è necessario recuperare il moncone con esplorazione digitale [38,47] . Nella gestione di questi pazienti, la cricotiroidotomia e la tracheotomia sono da considerare come ulteriori opzioni per il controllo delle vie aeree nelle lesioni più prossimali.

Per lesioni a livello della trachea distale, della carena o dei bronchi prossimali, nonché in tutti i casi in cui alla lesione si associ sanguinamento endobronchiale massivo, per evitare l’inondamento del polmone sano può essere di aiuto il posizionamento di un tubo endotracheale a doppio lume escludente. Vale la pena ricordare che lo 0,5-1% dei casi di lesioni tracheali iatrogene sono causate da IT con tubo doppio lume; pertanto tale procedura, spe-cialmente in situazioni di emergenza, andrebbe eseguita solo da personale molto esperto. Uno studio ha riportato che in caso di lesione tracheobronchiale alta, fi no al 15% dei decessi erano dovuti a lesioni iatrogene da IT in emer-genza [48] .

Un’alternativa all’utilizzo del tubo doppio lume può essere l’occlusore bronchiale, del quale esistono vari modelli; la loro maneggevolezza e la rapidità di esecuzione della manovra dipendono in gran parte dall’esperienza dell’operatore. L’occlusore di Arndt ( Fig. 9.4 ) prevede la connessione al normale tubo endo-tracheale di un port trilume che consente di introdurre l’occlusore attraverso un primo lume, il fibrobronco-scopio per guidare la procedura e al contempo ventilare il

paziente attraverso il terzo lume [49] . Il sistema Univent ( Fig. 9.5 ) è invece caratterizzato da un tubo endotracheale monolume con un lume esterno attraverso cui scorre l’oc-clusore bronchiale. Il sistema garantisce la possibilità di escludere sia l’emisistema bronchiale sinistro sia il destro ruotando il tubo sul suo asse. Non è necessario il controllo broncoscopico per il direzionamento dell’oc-clusore [50] .

In caso di PNX ( Fig. 9.6 ), pneumomediastino, enfi sema sottocutaneo o fallen lung , dovrà essere posizionato un drenaggio pleurico: se il polmone si riespande è possibile che la lesione delle vie aeree sia limitata per dimensioni o tamponata, mentre se persiste l’atelectasia è necessaria la broncoscopia urgente per valutare l’indicazione chirurgica e la migliore via di accesso alla lacerazione.

Una volta assicurata la via aerea e l’eventuale drenaggio toracico, il trattamento della lesione può prevedere l’op-zione chirurgica o quella conservativa ( Fig. 9.7 ). La mor-talità dei pazienti sottoposti a riparazione chirurgica della lesione è decisamente più bassa se confrontata con quella dei pazienti trattati in NOM [51] .

Qualora sia posta l’indicazione chirurgica, i parame-tri che devono essere considerati per la programmazione dell’intervento sono la localizzazione e l’estensione della lacerazione oltre alle eventuali lesioni associate.

Nel momento in cui è programmata una riparazione o resezione-anastomosi è necessaria completa cooperazione tra chirurgo e anestesista per valutare la modalità di venti-lazione del paziente:

• intubazione dal campo operatorio: la cannula viene inserita nella via aerea distale attraverso la breccia chi-rurgica; è una tecnica comoda nella chirurgia della tra-

Figura 9.4 Occlusore bronchiale tipo Arndt.

Figura 9.5 Sistema Univent.

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chea dove il chirurgo gestisce autonomamente la cuffi a e la posizione del tubo durante l’allestimento dell’ana-stomosi. Una volta terminata la parete posteriore e impostata la parete anteriore, il tubo tracheale viene riposizionato dall’alto attraverso la ricostruzione;

• jet ventilation ad alta frequenza: un piccolo cate-tere porta i gas a bassa pressione lungo la via aerea lasciando molto più spazio, rispetto al tubo tradizio-

nale, al chirurgo; necessita di strumentario dedicato ed esperienza dell’anestesista;

• intubazione a polmoni separati: nella chirurgia dei bronchi permette di ventilare unicamente il polmone con la via aerea integra; è un metodo scomodo nella chirurgia della carena tracheale in quanto a volte lo spazio distale alla lacerazione non permette un cor-retto posizionamento della cuffi a.

Qualora le condizioni del paziente richiedano intuba-zione prolungata e ventilazione meccanica, un tubo oro-tracheale o una cannula tracheostomica di ampio calibro consentono un più sicuro accesso con fi brobroncoscopio e una più agile toilette bronchiale.

La trachea cervicale e mediastinica superiore vengono aggredite effi cacemente attraverso la cervicotomia o la cervicomanubriotomia; in particolare l’apertura/divari-cazione del manubrio sternale consente di dominare anche i vasi epiaortici e il confl uente cavale, oltre che l’esofago prossimale ( Fig. 9.8 ).

La trachea distale con la carena e il bronco principale di destra sono più facilmente aggrediti attraverso una tora-cotomia postero-laterale destra. Con questo approccio si controllano agevolmente anche esofago, atrio destro, vena cava superiore e azygos .

Il bronco principale di sinistra è più agevolmente aggredito per via toracotomica sinistra, ma la presenza dell’arco aortico limita l’esposizione del tratto più pros-simale del bronco e della carena. Con questo approccio si controllano agevolmente anche l’aorta e la succlavia sini-stra prossimale. In caso di lacerazione del bronco prin-cipale sinistro in sede iuxtacarenale si può considerare anche l’approccio toracotomico postero-laterale destro.

Qualora le lesioni associate richiedano un approccio sternotomico, tale via permette un controllo della trachea assai più modesto dell’approccio toracotomico. Si può ipo-tizzare un accesso bitoracotomico in IV spazio intercostale con sternotomia trasversale (Clamshell) che può esporre agevolmente gli organi mediastinici e i cavi pleurici.

Evidenza di criteri clinici ed endoscopiciper trattamento conservativo

Lacerazione parziale,paziente non ventilato

Lacerazione a tutto spessore,paziente non ventilato

Lacerazione parziale,paziente non ventilato

Osservazione, antibioticoterapiaad ampio spettro Mini-tracheotomia

Tubo endotrachealecuffiato/tracheotomia

Figura 9.7 Algoritmo decisionale per il trattamento conservativo delle lesioni tracheo-bronchiali. (Modifi cata da: Carretta A, Melloni G, Bandiera A, et al. Conservative and surgical treatment of acute posttraumatic tracheobronchial injuries. World J Surg 2011;35(11):2568-74)

Figura 9.6 Lacerazione del bronco principale di sinistra misconosciuta in trauma chiuso del torace. Paziente intubato e ventilato con conseguente pneumotorace iperteso. Si osservano inoltre fratture costali multiple e enfi sema sottocutaneo.

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Le lesioni semplici, pulite e vascolarizzate delle vie aeree possono essere suturate direttamente con punti staccati riassorbibili plurifi lamento o monofi lamento. In presenza di tessuti devitalizzati è fondamentale la pulizia dei lembi fi no a recuperare il tessuto vascolarizzato. È quasi sempre preferibile una resezione a manicotto con anastomosi termino-terminale rispetto a una resezione parziale a cuneo della via aerea. Nell’anastomosi termino-terminale si utilizzano sempre fi li di sutura riassorbibili con sutura continua della pars membranacea e a punti stac-cati degli anelli cartilaginei. Questi principi di tecnica si possono applicare a tutto l’albero tracheo-bronchiale, dal collo fi no ai bronchi.

Quando sia necessaria una resezione tracheale o della carena è consigliabile la fl essione del collo a protezione dell’anastomosi: due punti di ancoraggio tesi tra mento e sterno per 7-10 giorni impediranno al paziente di esten-dere il collo permettendo una più agevole guarigione chi-rurgica dell’anastomosi. Da notare come si possa resecare e suturare direttamente la trachea per un’estensione pari a quasi la metà della sua lunghezza. Ugualmente i bronchi principali possono essere completamente resecati senza rischiare di avere suture a rischio tensione. Intraoperato-riamente, per ampie resezioni delle vie aeree si potranno guadagnare 1-2 cm di trachea con il “rilascio laringeo sopraioideo” nel caso di un campo operatorio cervicale oppure analoga misura con il distacco del pericardio dalla porzione inferiore dell’ilo polmonare con sezione dei legamenti. Nella maggior parte dei casi per ottenere una sutura priva di tensione sarà suffi ciente la dissezione per via smussa della parete anteriore, avascolare, della trachea e la fl essione del collo.

Principio fondamentale della chirurgia delle vie aeree è il rispetto della vascolarizzazione: dev’essere dissecato solo lo spazio corrispondente alla parte da resecare per preservare la vascolarizzazione della parete tracheo-bronchiale a livello anastomotico. La precisa disposi-zione dei singoli punti di sutura garantisce la tenuta

aerea, il riallineamento dei monconi a calibro diverso e la minimizzazione del rischio di granulazioni tardive a livello della sutura.

È sempre consigliabile la copertura della sutura con tra-sposizione di tessuti autologhi ben vascolarizzati quali grasso pericardico, pleura, pericardio o muscoli (interco-stali, pre-tiroidei); tale precauzione diventa obbligatoria nel caso di un trattamento simultaneo di lesione esofagea associata per prevenire successive fi stole.

In fase postoperatoria, è fondamentale mantenere pulite le vie aeree con broncoscopie ripetute in quanto questi pazienti potrebbero non essere in grado di ottenere spontaneamente la necessaria toilette bronchiale (questo problema è accentuato nei casi di paralisi ricorrenziale associata). Inoltre, la ventilazione meccanica dev’essere sospesa il prima possibile e rimosso il tubo tracheale in quanto la sua presenza è associata con un maggior numero di deiscenze.

In casi selezionati è possibile il NOM ( Fig. 9.9 ). Tale approccio è suggerito nelle lesioni delle vie aeree pre-valentemente mucose che non sono associate a perdite aeree signifi cative né a pericolo ostruttivo. In genere hanno diametro inferiore a un terzo della circonferenza del lume e non sono associate a ischemia o devitaliz-zazione. In questi casi un NOM può essere la scelta più razionale. Va valutata caso per caso la necessità di con-trolli fi broscopici e/o TC a distanza per il rischio di ste-nosi tardive.

Vale la pena di ricordare che la mediastinite infettiva (causata dalla contaminazione di batteri fuoriusciti nel mediastino dall’interno del lume tracheale attraverso la breccia) è gravata da mortalità altissima; è pertanto consi-gliabile attuare antibioticoterapia profi lattica in tutti i casi di lacerazioni delle vie aeree, in specie se la lesione inte-ressa la porzione mediastinica.

Figura 9.8 Approccio cervicomanubriotomico per resezione anastomosi tracheale. Repertati i vasi epiaortici.

Figura 9.9 Pneumomediastino, pneumotorace ed enfi sema sottocutaneo in trauma chiuso del torace con piccola lacerazione tracheale non chirurgica.

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LESIONI DELL’ESOFAGO

Le lesioni traumatiche dell’esofago sono complessiva-mente rare interessando circa l’1% dei pazienti trauma-tizzati [52] . Oltre l’80% delle lesioni è dovuta a traumi penetranti [53] anche se è associata a lesione esofagea solo una percentuale tra l’1 e il 7% delle lesioni pene-tranti del collo [52] e una percentuale ancor più bassa di lesioni penetranti del torace [54] . Per quello che riguarda il meccanismo del trauma (MOI), le ferite da arma da fuoco (FAF) sono più gravate da lesioni esofagee rispetto a quelle da arma bianca (FAB) [55] . I traumi chiusi causano perforazione esofagea, per lo più conseguente a meccani-smo di iperestensione del collo, con una percentuale infe-riore allo 0,1% [55] . Perforazioni dell’esofago si possono avere, inoltre, per lesioni da scoppio o per compressione gastrica acuta, meccanismi che provocano ampie lacera-zioni del III inferiore dell’esofago toracico dovute all’im-provviso aumento di pressione [52] . Altre cause di lesioni esofagee sono i traumi iatrogeni, che in alcune casistiche rappresentano oltre il 50% delle lesioni, i traumi da inge-stione di corpi estranei e le lesioni da caustici.

Sintomatologia e diagnosi Per la diagnosi di lesione esofagea è indispensabile un alto indice di sospetto in base al MOI poiché segni e sintomi possono essere sfumati e diversi in relazione alla sede della lesione e il quadro clinico può essere confuso dall’alta fre-quenza di lesioni associate [52] . Nelle lesioni penetranti del tratto cervicale un’elevata percentuale di casi presenta segni e sintomi riferibili a perforazioni esofagee [53] . Le perfora-zioni dell’esofago cervicale possono presentarsi con segni precoci (raucedine, sputo ematico, enfi sema sottocutaneo, deviazione della trachea) o tardivi (febbre, distress respirato-rio, formazione di ascessi che si diffondono lungo la loggia viscerale del collo fi no a interessare il mediastino).

Le perforazioni del tratto cervicale, grazie alla conten-zione offerta dal piano fasciale, provocano una risposta infi ammatoria sistemica meno intensa rispetto a quelle del tratto toracico o addominale. I pazienti con lesione pene-trante nella zona II associata alla perforazione del platisma, devono essere considerati ad alto rischio per lesioni eso-fagee sino a dimostrazione contraria. La Rx del collo o la TC con mdc per os (Gastrografi n ® ) possono rappresentare le indagini preliminari, ma la conferma diagnostica può richiedere l’esecuzione di un’endoscopia o l’esplorazione chirurgica. La valutazione chirurgica (integrata eventual-mente con endoscopia perioperatoria) è necessaria in caso di interventi d’urgenza per lesioni associate vascolari o della via aerea [53] . L’impiego di un endoscopio fl essibile può risultare in una minore sensibilità nel rilevare la presenza delle lesioni più prossimali in quanto inserito alla cieca, mentre l’uso di quello rigido richiede anestesia e può essere limitato dalla necessità di fl ettere il collo del paziente.

Le lesioni intra-toraciche possono essere all’inizio cli-nicamente silenti; in caso di mediastinite e shock settico la loro presenza va sempre comunque sospettata [56] . Le lesioni dell’esofago sottodiaframmatico si possono pre-sentare con dolore riferito all’apice della spalla, tensione addominale e, in oltre il 50% dei casi, peritonite [55] . Poi-ché i segni possono essere aspecifi ci, è di notevole impor-tanza un’accurata diagnostica di imaging; in assenza di un singolo esame sicuramente diagnostico, per ottenere una diagnosi corretta è spesso necessario combinare più indagini. La Rx-torace standard è in grado di dimostrare la presenza di pneumo o emotorace, pneumo o emome-diastino, aria libera in addome.

Lo studio del tubo digerente con mdc dovrebbe preve-dere l’impiego di Gastrografi n ® per evitare le contamina-zioni da bario, sebbene tale prodotto, che se inalato può essere più tossico del bario, possa non evidenziare fi no al 15% delle perforazioni o dare al contrario falsi positivi. Lo studio con mdc, quando signifi cativo, permette di dimostrare con certezza la zona dell’esofago interessata ed eventualmente, diagnosticare altre patologie esofagee che siano rilevanti ai fi ni del trattamento.

L’impiego della TC con mdc per os (Gastrografi n diluito 1:10) permette di diagnosticare con maggior sensibilità la presenza di aria o mdc nel mediastino o versamento pleurico contrastato da mdc, anche se può tendere sia a sovra che a sottostimare la lesione. Nei pazienti emodinamicamente stabili e con ferita trapassante il mediastino, la TC rimane comunque la metodica di scelta per un completo bilancio delle lesioni [57] . L’endoscopia può non evidenziare fi no al 40% delle lesioni, ma quando viene associata agli studi di imaging con mdc la sensibilità si avvicina al 100%.

L’esofagoscopia e gli esami con mdc sono spesso non attuabili preoperatoriamente nel paziente instabile per cui si può solo procedere all’EGDS intraoperatoria dopo le manovre di stabilizzazione.

Trattamento I principi fondamentali del trattamento delle lesioni esofagee comprendono il controllo della perforazione, il debridement dei tessuti necrotici, il drenaggio delle suppu-razioni, un apporto nutrizionale adeguato per via enterale (gastro o digiunostomia) e l’impiego precoce di antibio-tici a largo spettro. La maggior parte delle lesioni richiede un trattamento chirurgico che deve avere principalmente lo scopo di procedere a una riparazione primaria [56] . Tuttavia, la presenza di un esteso quadro infi ammatorio locale per riconoscimento tardivo, di ampia distruzione tissutale, di stato di shock o di riscontro di altre patologie possono rendere indispensabili altri trattamenti.

Il tratto cervicale viene esplorato con una incisione laterocervicale eventualmente estesa “a collare” che risulta particolarmente utile se sono presenti lesioni bilaterali. L’approccio all’esofago toracico avviene attraverso una toracotomia posterolaterale nel 4° spazio intercostale

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destro per l’esofago superiore e nel 5° o 6° spazio sinistro per il tratto inferiore. In caso di dubbio sull’esatta loca-lizzazione della lesione è preferibile intervenire dal lato in cui si apprezza lo spandimento anche se un approccio bilaterale può essere necessario in caso di un trattamento ritardato e in presenza di empiema bilaterale.

La maggior parte delle lesioni può essere trattata con riparazione primaria, con eventuale protezione della sutura con patch impiegando nella zona cervicale lo sternoclei-domastoideo o altri muscoli che possono essere mobiliz-zati. Nel tratto toracico può essere impiegato un muscolo intercostale. L’impiego dei muscoli latissimo del dorso o romboide è stato descritto per coprire lunghe e complesse lacerazioni [56] . Nel tratto addominale può essere util-mente utilizzato l’omento o il fondo gastrico (tipo fumdo-plicatio ) per il rinforzo delle sutura. La riparazione primaria con patch dovrebbe essere considerata anche quando la diagnosi sia stata ritardata oltre le 24 ore [58] , se lo stato dei tessuti e la stabilità del paziente lo consentono.

Le lesioni del tratto cervicale e toracico possono essere così ampie che, a volte, la riparazione primaria può esi-tare in un signifi cativo restringimento; in questi casi è preferibile procedere a una resezione circonferenziale con anastomosi termino-terminale. In condizioni critiche, con estesa contaminazione, può essere eseguita un’esclusione bipolare con un’esofagostomia cervicale e una separa-zione dell’esofago distale al cardias con drenaggio del moncone esofageo distale portato in parete e digiunosto-mia. Nelle lesioni più estese e gravi può essere considerata l’esofagectomia con esofagostomia cervicale e digiuno-stomia nutrizionale. La riparazione differita, solitamente con esofago-gastroplastica verrà programmata quando il paziente sarà uscito dalla fase critica. Tali procedure hanno tuttora indicazioni controverse: è stata proposta la riparazione in due tempi nei casi di sepsi mediastinica severa [59] analogamente a quanto indicato per le lesioni da caustici.

Nelle lesioni diagnosticate tardivamente l’utilizzo di un tubo a “T” posizionato nella lesione e almeno due drenaggi posizionati in prossimità è stato quasi ovunque abbandonato per lo scarso controllo della contamina-zione e per l’esito in fi stole di diffi cile trattamento.

Decorso Le lesioni traumatiche dell’esofago presentano una mor-talità di circa il 19%: le FAF, che provocano una maggior distruzione tissutale, sono gravate da una mortalità mag-giore rispetto alle FAB. Diversi studi indicano che il tempo intercorso dal trauma alla riparazione ha un impatto signifi cativo sulla mortalità: un tempo inferiore alle 24 ore è associato a una signifi cativa riduzione in termini di morbilità e mortalità [60] . In altre serie è risultato più critico lo stato clinico generale del paziente [61] .

Le complicanze del trattamento comprendono dei-scenze, fi stole e stenosi. La percentuale di complicanze

varia tra il 20% per le lesioni trattate entro 12 ore e quasi il 100% per le lesioni trattate tardivamente. Il trattamento delle complicanze dipende da sede, entità della fi stola, stato dei tessuti circostanti e condizioni del paziente. Le piccole fi stole cervicali possono essere semplicemente drenate, mentre quelle toraciche di piccole dimensioni senza empiema possono essere trattate con un drenaggio posizionato per via TC guidata. Le fi stole del tratto medio possono essere gestite con il posizionamento di uno stent che poi viene rimosso in un tempo che va da una a tre settimane, con una percentuale di successo di oltre il 70% [62] . In tutti i casi l’atteggiamento deve diventare più aggressivo con il peggiorare del quadro settico; nei casi più severi può essere necessaria l’esofagectomia con diversione che risulta di solito preferibile ad altre tecniche complesse di esclusione esofagea [63] .

Lesioni da caustici Le modalità più frequenti di ingestione di caustici sono quella accidentale nei bambini al di sotto dei 5 anni e quella a scopo suicida nell’adulto. L’estensione e la gravità delle lesioni dipendono dalla sostanza ingerita [64] .

I segni e sintomi più comuni sono intenso dolore nel cavo orale e nella regione del collo associato a disfagia ingravescente e distress respiratorio che può richiedere un controllo immediato delle vie aeree. Si associano frequentemente intenso dolore retrosternale e segni tora-cici o peritoneali legati alla perforazione di esofago e/o stomaco. In una percentuale superiore al 20% i pazienti si possono presentare del tutto asintomatici, tuttavia, almeno la metà di questi svilupperà complicanze che richiederanno un trattamento [65] .

In assenza totale di sintomatologia e di segni laboratori-stici (specie nel paziente pediatrico) è normalmente suffi -ciente un periodo di osservazione di 24 ore per essere sicuri che l’assunzione di liquidi sia tollerata. Il paziente verrà dimesso con terapia a base di inibitori della secrezione gastrica, una rialimentazione progressiva e la necessità di controllo ambulatoriale.

In caso di sintomatologia dolorosa, segni laboratori-stici, o lesioni del cavo orale è necessario verifi care la pre-senza o meno di perforazione ed eseguire l’EGDS entro 24 ore per stadiare le lesioni. Gli accertamenti standard (Rx torace, Rx addome) o la TC con mdc idrosolubile pos-sono evidenziare enfi sema sottocutaneo e/o mediastinico, aria libera addominale, perforazione esofagea o gastrica. L’evidenza di perforazione è un’indicazione all’intervento chirurgico.

In assenza di evidenti segni di perforazione il tratta-mento è guidato dal tipo e dall’estensione delle lesioni riscontrate all’esame endoscopico. Le lesioni di I grado (edema, arrossamento della mucosa) e di II grado (necrosi superfi ciale, erosioni) vengono sempre trattate conserva-tivamente (antisecretivi, antibiotici, digiuno) con ricon-trollo endoscopico dopo 48-72 ore e rialimentazione

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progressiva in assenza di evoluzione. Le lesioni di III grado (ulcere confl uenti, stripping della mucosa, emorragia) vengono gestite chirurgicamente solo in caso di sintomi di impegno sistemico ingravescente (acidosi, leucocitosi, coagulopatia, difesa addominale, sindrome mediastinica), mentre negli altri casi ci si comporta come nei gradi I e II. In pazienti con lesioni di IV grado (necrosi a tutto spes-sore, emorragia grave e continua) è necessaria la chirugia demolitiva.

Le lesioni da alcali sono di solito più gravi in quanto provocano necrosi coagulativa a tutto spessore e sono spesso associate a importante distruzione tissutale di sto-maco, pancreas, tenue [65] . Le ingestioni di caustici acidi possono invece essere limitate allo stomaco a causa della protezione offerta al duodeno e al piccolo intestino dallo spasmo del piloro.

In caso di necessità di intervento chirurgico per per-forazione, lesioni di III grado con impegno sistemico o lesioni di IV grado, viene rimosso il tratto interessato (esofago-stomaco, solo esofago, solo stomaco) come indicato dall’endoscopia (in caso di perforazione l’EGDS viene eseguita preferibilmente intraoperatoriamente). L’esofagectomia in emergenza dovrebbe essere affrontata per via trans-iatale con esofagostomia cervicale e drenag-gio mediastinico sia dal collo che dall’addome; è sempre indispensabile eseguire una digiunostomia a scopo ali-mentare.

La ricostruzione andrà eseguita a distanza di mesi uti-lizzando, in funzione delle procedure fatte in urgenza, tecniche di esofago-gastroplastica, esofago-colonplastica, esofago-digiunostomia.

In oltre l’80% dei pazienti con lesioni esofagee di grado I-III trattati con NOM vi è il rischio di sviluppo di stenosi, che iniziano a manifestarsi circa dopo un mese dall’evento. L’impiego di corticosteroidi per ridurre la formazione di stenosi dovrebbe essere del tutto abbando-nato in quanto ineffi cace [66,67] . L’evoluzione può essere seguita con studi radiologici per dimostrare la necessità di dilatazioni endoscopiche che, in questi casi, possono essere prolungate nel tempo [66] . In alternativa le stenosi possono essere trattate con stenting mediante endoprotesi e, in caso di fallimento, con interventi chirurgici.

Infi ne, i pazienti che non sono stati sottoposti a rico-struzione sostitutiva devono essere monitorati nel tempo per il pericolo di sviluppare carcinoma esofageo.

LESIONI DEL DIAFRAMMA

Il diaframma è un muscolo fondamentale che sopporta più del 70% del lavoro muscolare nella respirazione. In inspirazione crea una pressione negativa con aumento del volume e diminuzione della pressione intra-toracica: in espirazione avviene il fenomeno inverso che, peraltro, favorisce il ritorno venoso al cuore. Lesioni traumatiche del diaframma possono portare ad alterazione di que-

sti meccanismi con riduzione anche critica del ritorno venoso, specie quando associata a compressione della IVC allo iato da erniazione di visceri. Inoltre, il trasferi-mento di energia che provoca una lesione diaframmatica, sia nel trauma chiuso sia in quello penetrante, può pro-vocare lesioni viscerali in cavità addominale e toracica, aumentando il danno respiratorio con il rischio di conta-minazione della cavità toracica da rottura di viscere cavo.

La lacerazione traumatica del diaframma nel trauma chiuso è espressione di una notevole energia cinetica da decelerazione o contusione ed è associata a una morta-lità superiore a quella riscontrata in analoghe lesioni da trauma penetrante [68] .

I termini “lesione del diaframma” e “ernia diaframma-tica” non sono sinonimi: l’erniazione dei visceri addomi-nali avviene solo nel 50% circa delle lesioni del diaframma [69] .

Epidemiologia Anche se è diffi cile conoscerla con esattezza a causa del-l’alto numero di lesioni misconosciute o tardive o dei decessi sulla scena, l’incidenza stimata di lesioni trauma-tiche del diaframma è dello 0,4-0,6% di tutti i pazienti traumatizzati, mentre per i soli traumi toraco-addominali, del 2,1% nei traumi chiusi e del 3,4% di quelli pene-tranti [68,70] . Le lesioni da trauma penetrante sono più frequenti, spesso presentano dimensioni molto minori rispetto a quelle derivanti da trauma chiuso e permettono più raramente l’erniazione di visceri in torace; pertanto, più frequentemente possono essere misconosciute in urgenza e diagnosticate anche a distanza di anni dal trauma [71] .

Le lesioni del diaframma sono più frequenti a sini-stra per la protezione offerta, a destra, dal fegato. Studi su cadavere hanno dimostrato che la forza necessaria per la lacerazione dell’emidiaframma destro è conside-revolmente maggiore di quella necessaria a sinistra [72] ; lesioni dell’emidiaframma destro si associano quindi a lesioni viscerali più frequenti e più severe contribuendo a maggiore mortalità preospedaliera [68] . Le lesioni bila-terali sono rare ma molto più gravi (100% di mortalità se non immediatamente trattate) [73] .

La mortalità relativa alle lesioni del diaframma è in relazione soprattutto alle altre lesioni associate.

Pregresse riparazioni del diaframma o di ernie conge-nite espongono più facilmente a ulteriori lacerazioni.

Diagnosi Una percentuale rilevante (12-66%) [74] di lesioni del diaframma può essere facilmente misconosciuta nella valutazione iniziale del paziente traumatizzato, quando l’attenzione viene richiamata da altre condizioni più gravi ( Fig. 9.10 ). In ogni caso, alcuni lavori recenti sug-geriscono che una riparazione “tardiva” è priva di effetti negativi [75] .

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La diagnosi di rottura non complicata del diaframma è resa diffi cile dall’assenza di una metodica radiologica sicuramente affi dabile e i segni patognomonici rimangono controversi [76] . La Rx torace in AP (antero-posteriore) ha una accuratezza del 30-62% e raggiunge il massimo per le lesioni di sinistra dove dimostra una sensibilità tre volte superiore rispetto a destra. In caso di presenza di erniazione di visceri l’accuratezza della Rx AP del torace supera il 94% [77,78] ( Fig. 9.11 ). Segni caratteristici sono la sopraeleva-zione o l’assenza di un emidiaframma, la presenza di livelli idro-aerei in torace e la risalita in torace di un sondino naso-gastrico. Le Rx standard del torace rimangono quindi un rapido mezzo diagnostico con un discreto grado di accu-ratezza, soprattutto quando vengono visionate da radiologi esperti [69] , ma sono tuttavia insuffi cienti per escludere con certezza una lesione del diaframma.

In presenza di un paziente emodinamicamente stabile la metodica di scelta rimane la TC ( Fig. 9.12 ) che con le macchine multistrato ha portato la sensibilità dal 17 a circa l’80% con una specifi cità del 100% [79] . L’impiego della ricostruzione coronale aumenta la sensibilità della metodica verso difetti di piccole dimensioni ( < 8 cm) [80] .

Il sospetto di lesione traumatica del diaframma può essere posto anche in presenza di ampio pneumoperito-neo ( Fig. 9.13 ) associato a PNX [81] .

La RM fornisce immagini precise dei tessuti molli attorno alla iato e ha una buona sensibilità nel diagno-sticare lesioni traumatiche del diaframma. Tuttavia, non trova impiego in situazioni di emergenza, nel paziente instabile o intubato e il suo ruolo rimane limitato alla diagnostica di difetti cronici [82] .

Figura 9.10 La scansione TC assiale mostra un’ernia diaframmatica con risalita dello stomaco e del colon nell’emitorace sinistro; riscontro dopo circa 4 anni dal trauma.

Figura 9.11 Radiografi a standard del torace con evidenza di visceri in torace; in particolare si riconosce la bolla gastrica (freccia bianca).

Figura 9.12 La scansione TC assiale mostra la risalita dei visceri addominali in cavità toracica.

Figura 9.13 Ricostruzione TC sagittale, pneumoperitoneo massivo associato a PNX, suggestivo per lesione del diaframma.

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Clinica Le manifestazioni cliniche di una rottura di dia-framma sono estremamente variabili; la maggior parte dei pazienti presenta uno o più segni clinici che pos-sono variare tra quelli di entità minore (per esempio modesta dispnea) fino allo stato di shock. Anche la presenza di un’erniazione di visceri può presentare un ampio range di manifestazioni cliniche che vanno dalla comparsa di addominalgia crampiforme fino a quelli dovuti a ostruzione o ischemia di un viscere incarcerato [83] . Una sintesi delle manifestazioni cliniche è descritta nella Tabella 9.2 secondo le clas-siche fasi descritte da Bowditch e modificate da Bernaz [84,85] .

Trattamento Le lesioni traumatiche del diaframma possono, nel paziente emodinamicamente stabile e in assenza di trauma cranico, essere trattate sia per via laparotomica sia mini-invasiva (laparo o toracoscopia). In assenza di evidenze sulla superiorità di esporre torace o addome, la scelta della cavità su cui intervenire è legata e infl uenzata dall’esperienza del chirurgo e dalle lesioni associate che richiedono un trattamento operatorio [86] . L’accurata esplorazione degli emidiaframmi dev’essere considerata un tempo fondamentale di ogni laparotomia per trauma ( Fig. 9.14 ).

L’approccio laparoscopico è da riservare a chirur-ghi esperti, esclusivamente per pazienti emodinami-camente stabili e in assenza di trauma cranico. Può essere utilizzato anche come mezzo diagnostico dimo-strando una specificità del 100% e una sensibilità > 87% [87] . In particolare, nel trauma penetrante per-

mette di identificare una percentuale di difetti misco-nosciuti tra il 20 e il 35% delle lesioni penetranti del torace, due terzi dei quali negativi alla Rx torace [88,89] .

La tecnica chirurgica consiste nella sutura a punti staccati o in continuo del difetto sia con fi li non rias-sorbibili sia riassorbibili a lunga scadenza anche se questi, pur con poche evidenze di follow-up, sembrano portare a una maggiore incidenza di recidive [69] . Le ampie lacerazioni di diaframma possono essere trattate o rinforzate con mesh sintetiche [90,91] che possono essere ancorate alle coste in caso di estese perdite di sostanza.

Figura 9.14 Riscontro intraoperatorio di lesione dell’emidiaframma destro.

Tabella 9.2 Manifestazioni cliniche delle rotture diaframmatiche

I fase: dal momento del trauma alla stabilizzazione

II fase: legata al passaggio di visceri in torace: può manifestarsi fi no a settimane dall’evento

III fase: legata a ostruzione o ischemia dei visceri erniari: può manifestarsi dopo mesi o anni dal trauma

• Dolore addominale• Instabilità o tendenza alla

• Disturbi del tratto gastro-intestinale superiore

• Nausea/Vomito• Sintomi legati all’ostruzione o

instabilità emodinamica da ipovolemia

• Dispnea/Cianosi • Tachicardia

all’ischemia• Diffi coltà respiratorie croniche

• Compromissione emodinamica da presenza di massa tamponante in torace

• Dolore retro-sternale o riferito all’apice della spalla

• Agitazione.

secondarie ad atelettasia e conseguenti polmoniti

• Sintomatologia da lesione di altri distretti.

• Dispnea esacerbata dalla posizione supina.

• Distress repiratorio.

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ROTTURA TRAUMATICA DELL’AORTA

Epidemiologia La rottura traumatica dell’aortica toracica (RTA), even-tualmente estesa a coinvolgere i vasi epiaortici, avviene nello 0,3-0,5% di tutti i pazienti traumatici che afferi-scono ai DEA [92] . La RTA costituisce il 94% di tutte le lesioni aortiche post-traumatiche e rappresenta la seconda causa di morte sulla scena per trauma chiuso (incidenza 25-30% dei decessi). Si ha una netta predo-minanza del sesso maschile (70-80%) e nell’età com-presa fra 20 e 40 anni. Le principali cause sono i traumi stradali da decelerazione e la precipitazione da grandi altezze, situazioni cioè associate a repentina variazione di velocità; l’incidenza è alta anche per i pedoni inve-stiti (12,5%) [93,94] . Cuore, aorta ascendente e arco aortico sono relativamente mobili nel torace, mentre il tratto discendente è fortemente adeso alla parete toracica posteriore e alla colonna vertebrale. Quando un soggetto in movimento subisce una brusca decelera-zione con conseguente trauma toracico, il cuore e l’arco aortico si muovono in avanti e lateralmente allonta-nandosi dall’aorta discendente creando un meccanismo di tensione e lacerazione a carico della parete distale dell’arco, nella zona di giunzione tra porzioni libera e fi ssa [95] . Altri meccanismi proposti sono la rottura da compressione e la lesione diretta da frammenti ossei fratturati.

Anatomia delle lesioni La lesione traumatica dell’aorta si può estendere dall’in-tima fi no all’avventizia, interessando il vaso con varia estensione (da piccole lacerazioni circoscritte a lesioni circonferenziali). Se la lesione interessa il vaso a tutto spessore e non è confi nata, la morte è spesso istantanea (fi no al 90% dei casi). Nel restante 10% dei casi l’avven-tizia e le strutture mediastiniche contengono la rottura e danno luogo alla formazione di uno pseudoaneurisma, il cui rischio di rottura è basso (4-5%) se è mantenuto un adeguato trattamento ipotensivo e di riduzione dello stretching nella fase post-acuta. Altre volte si creano lesioni minori dell’intima, con o senza dissecazione. La frattura delle prime due coste, le fratture costali bilaterali, della scapola, della clavicola, della colonna toracica, le lesioni del bacino o degli arti inferiori, sono indicatori di meccanismi ad alta energia che indirizzano alla ricerca della RTA [96] .

Le lesioni dei vasi epiaortici, isolate o associate a lesioni aortiche, sono molto meno frequenti: si tratta generalmente di dissecazioni, più raramente avulsioni o rotture parziali, talora su alterazioni arteriosclerotiche preesistenti. L’arteria interessata con maggior frequenza è

la carotide interna, più spesso la sinistra, ma può essere interessata anche la carotide comune. Il MOI nei traumi di carotide e arterie vertebrali è di solito la decelerazione su un vettore verticale o un brusco movimento di iperte-stensione del collo.

La distribuzione anatomica classica delle sedi di RTA corrisponde ai punti di sostegno e di collegamento del-l’aorta (e indirettamente anche del cuore) al resto del corpo [97,98] : inserzione succlavia sinistra ( Fig. 9.15 ), istmo (ligamento aorto-polmonare, Fig. 9.16 ) o tratto discendente (51-89%) ( Fig. 9.17 ), arco o tratto ascendente (11-31%). Nell’8-18% dei casi si assiste a lesioni multiple di più segmenti: frequente l’associazione di aorta ascen-dente e arco con problematiche chirurgiche di non facile soluzione [94,99] . Rara e per lo più immediatamente fatale è la rottura in sede iuxta-valvolare aortica (morte immediata per tamponamento cardiaco). Non sono state rilevate correlazioni fra gravità, sede della lesione aortica e MOI.

Clinica e diagnosi La grande maggioranza (90%) dei pazienti con RTA muore sulla scena o durante il trasporto; qualora arri-vino vivi in ospedale e non presentino gravi lesioni associate, all’inizio sono spesso emodinamicamente stabili e ciò può essere causa di grave sottovalutazione, soprattutto in ambienti ospedalieri con minor espe-rienza traumatologica [100] . Quando la causa della morte è la RTA, la distribuzione temporale dei decessi segue un andamento bimodale: la maggior parte delle vittime muore entro pochi minuti dal trauma mentre l’8-13% decede nelle prime ore dopo l’arrivo in ospe-dale; il meccanismo è quello della rottura dell’ematoma inizialmente confi nato al mediastino (pseudoaneuri-sma) con immediato shock ipovolemico. Sono possi-bili, ma molto rare, morti tardive (dopo mesi o anni), dovute a pseudoaneurismi misconosciuti. Nel paziente politraumatizzato la RTA è frequentemente associata a lesioni di altri distretti corporei (per esempio emo-PNX, emorragie addomino-pelviche o delle estremità) [101] ; dato che emorragia, instabilità e rischi di morte sono più spesso conseguenza di queste lesioni rispetto all’RTA, il loro trattamento è in genere prioritario rispetto a quello delle lesioni aortiche [102] . Infatti, se il paziente è sopravvissuto alla RTA sino all’arrivo in ospedale signifi ca per lo più che la lesione vascolare si è spontaneamente stabilizzata e consente un certo tempo per la riparazione.

Una diagnosi precoce di RTA (che sveli la sede e l’estensione della lesione) è comunque cruciale ed è ottenibile con certezza solamente mediante studio TC con mdc [103] , meglio se effettuato da un’équipe esperta dedicata all’urgenza. L’arteriografi a viene riser-vata solo a casi dubbi mentre la TEE ( Transesophageal

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Echocardiogram ) può essere impiegata intraoperatoria-mente nei pazienti sottoposti a interventi di emergenza per lesioni associate e come metodica di follow-up .

Trattamento Le lesioni di minima dell’intima possono essere trattate conservativamente. Il paziente viene mantenuto in ipoten-

sione controllata con nitroprussiato (sistolica inferiore a 90 mmHg) e in trattamento con � -bloccanti. La riparazione spontanea avviene nella maggioranza dei casi e il follow-up può essere eseguito con eco-color-Doppler trans-esofageo (ECD-TEE) al letto del paziente. Il trattamento medico è utile anche nei casi in cui si decide una riparazione diffe-rita dell’aorta (per esempio per gravi lesioni associate che richiedono una stabilizzazione d’urgenza).

a b

c d

Figura 9.15 Lesione traumatica dell’arco aortico, a livello dell’inserzione succlavia. (a) Ripresa angiografi ca in corso di TEVAR, per verifi ca della sede di rilascio dell’ endograft , con evidenza dello stravaso contrastografi co e quindi della sede di lesione aortica a livello dell’inserzione succlavia (freccia bianca); da notare l’utilizzazione del catetere di servizio trans-ascellare sinistro (freccia nera). (b) Verifi ca angiografi ca immediata post-impianto, con corretto posizionamento dell’ endograft aortico ed esclusione della lesione. (c, d) Controllo angio-TC a 1 mese dal trattamento endovascolare; corretta aderenza dell’endoprotesi alle pareti aortiche, con corretta e completa correzione della lesione parietale aortica e completo riassorbimento dell’ematoma mediastinico periaortico; da notare come la copertura dell’ostio succlavio sinistro permetta comunque la pervietà della stessa succlavia (freccia bianca) (d).

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a b

c d

e f

Figura 9.16 Rottura traumatica dell’aorta toracica all’istmo. (a, b) Angio-TC toracica, con evidenza dell’ampia lesione e della sua sede istmica. (c) Arteriografi a dell’arco aortico in proiezione obliqua, effettuata con catetere centimetrato per una esatta determinazione dei diametri aortici iuxta lesionali e l’esatta determinazione dell’estensione dell’endoprotesi da posizionare; evidenza dello pseudoaneurisma istmico. (d) Verifi ca angiografi ca immediatamente pre-impianto della sede di rilascio dell’endoprotesi aortica; importante coprire la parete aortica a monte e a valle della lesione per un tratto adeguatamente lungo, per ottenere l’esclusione completa dell’emorragia. (e) Verifi ca angiografi ca immediata post-impianto: corretto il posizionamento dell’endoprotesi, con completa esclusione della lesione. (f) Controllo angio-TC torace a circa 1 mese: verifi ca della corretta posizione dell’ endograft , con scomparsa di ogni stravaso emorragico e riassorbimento dell’ematoma mediastinico.

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Trattamento sistematico delle lesioniParte | 2 |

Per la riparazione dell’RTA, sino a pochi anni fa l’unica scelta terapeutica era la chirurgia open in toracotomia, con circolazione extra-corporea (CEC) o in arresto di circolo, spesso con drenaggio spinale. Questa procedura, che frequentemente comportava ulteriore morbilità soprat-tutto associata all’anticoagulazione necessaria per la CEC

[104,105] , è stata quasi totalmente sostituita, tranne par-ticolari casi, dal trattamento di riparazione endovascolare (TEVAR) con una drastica riduzione dei decessi (6,5-8% contro 25-27% della chirurgia classica) e di complicanze. Numerosi Autori hanno riportato ottimi risultati precoci con un rischio di paraplegia intorno al 2,4% e di mortalità

a b

c d e

Figura 9.17 Rottura traumatica dell’aorta toracica discendente. (a) RX torace: alterazione della linea mediastinica posteriore di sinistra, compatibile per ematoma in tale sede. (b) Angio-TC torace, con grossolana evidenza di pseudoaneurisma para-aortico in sede toracica discendente bassa. (c) Aortografi ca toracica, con catetere centimetrato, con conferma della lesione aortica, in sede toracica discendente. (d) Aortografi a durante procedura di TEVAR, immediatamente prima del rilascio della endoprotesi, per verifi ca dell’esatto posizionamento della stessa. Opportuna una adeguata copertura aortica a monte e a valle della lesione. (e) Controllo aortografi co immediatamente post-trattamento, con assenza di stravaso contrastografi co e quindi completa correzione della lesione aortica.

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Capitolo Trauma toracico | 9 |

peri-procedurale intorno al 7%; altre severe complicanze immediate possono essere l’ ictus , la rottura aortica e l’in-suffi cienza renale. Anche nelle lesioni dei vasi epiaortici il TEVAR può essere rapidamente risolutivo, seppure possa presentarsi tecnicamente molto complesso e richiedere grande esperienza e perizia [106,107] .

Il trattamento, sia esso chirurgico o endovascolare, può essere eseguito immediatamente o a distanza di tempo secondo le condizioni cliniche del paziente e in base alla necessità di correzione in urgenza di altre lesioni. Esistono alcune situazioni in cui non può essere differito [108] :

• presenza di emotorace e/o segni di lesione dell’avven-tizia all’imaging ( blushing alla TC): presuppone una rottura aortica completa che necessita di riparazione immediata;

• sindrome da pseudocoartazione (differenza della pressione tra braccia e gambe > 40 mmHg) o segni di ischemia al distretto inferiore.

Oltre alle indicazioni diagnostiche, la TC con mdc con-sente una precisa determinazione della o delle sedi di lesione aortica per operare le opportune valutazioni e misurazioni necessarie alla scelta dell’intervento (general-mente endovascolare), alla sua pianifi cazione (scelta del/degli accessi percutanei) nonché per determinare diame-tro, lunghezza ed eventualmente modello dell’endopro-tesi ( Fig. 9.18 ) [109] . Infatti, il presupposto fondamentale all’utilizzo con successo delle protesi endovascolari è uno studio morfologico approfondito della lesione nonché dei vasi all’interno dei quali la protesi dovrà “viaggiare” e su cui dovrà “atterrare” (per esempio calibro, tortuosità, eventuale presenza di stenosi e di calcifi cazioni, in parti-colare se di tipo anulare, dei vasi iliaco-femorali).

La diffusione sempre maggiore di équipe ben adde-strate con copertura di 24 ore su 24, la pronta disponi-bilità delle endoprotesi nelle varie misure e tipologie e soprattutto gli ottimi (e talora eclatanti) risultati terapeu-tici ottenuti hanno portato a ritenere il TEVAR di prima scelta in questi pazienti in quanto:

• l’accesso mini-invasivo, spesso solo femorale, rende possibile il trattamento della lesione con scarsa inva-

sività e minimo “costo biologico” in pazienti già gra-vemente compromessi [105] ;

• la possibilità di non eparinizzare il paziente (come invece necessario nella chirurgia open ) consente il trat-tamento delle lesioni da RTA contestualmente o addirit-tura prima del trattamento di altre lesioni emorragiche;

• l’assenza di clampaggio aortico prolungato elimina i rischi e le complicanze dovuti a ipoperfusione peri-ferica (per esempio paraplegia, insuffi cienza renale) e a ipertensione a livello del distretto encefalico [105,110] ;

• la frequente necessità di coprire l’ostio dell’arteria succlavia sinistra ha dimostrato di non costituire un reale problema: qualora necessario (per esempio ischemia d’arto) sarà sempre possibile effettuare suc-cessivamente un trattamento di rivascolarizzazione (per esempio by-pass, reinserzione, ponte carotido-succlavio) [108] .

Sono stati stilati vari protocolli e linee guida dettagliate riguardo metodologia, tempistica e requisiti tecnici, tec-nologici e organizzativi necessari a conseguire il risultato tecnico e clinico ottimale [111] . Fra le indicazioni più importanti si possono ricordare:

• la procedura va effettuata preferibilmente in sala operatoria o sala endovascolare dedicata (ottimale la sala ibrida), con attrezzatura radiologica di elevate prestazioni o comunque congrua per risoluzione spa-ziale, dettaglio anatomico, limitare l’irradiazione del paziente e degli operatori, adeguata capacità termica del tubo radiogeno. É altresì necessario un tavolo operatorio mobile con caratteristiche radiologiche;

• il paziente dev’essere intubato o in sedazione cosciente profonda, in decubito dorsale;

• l’accesso preferito è quello chirurgico femorale, stante gli importanti diametri delle endoprotesi toraciche ma, qualora necessario, si deve salire senza esitazione a livello delle iliache esterne o comuni onde evitare complicanze vascolari femorali;

• eseguire sempre (o almeno predisporre) l’accesso di servizio ascellare/brachiale sinistro per verifi ca certa

a b c

Figura 9.18 Alcuni modelli di endoprotesi rette, dedicate all’aorta toracica.

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della posizione dell’ostio succlavio sinistro e comun-que per avere una via di accesso alternativa da cui som-ministrare mdc o effettuare manovre di cateterismo;

• effettuare il cateterismo aortico con i tradizionali mate-riali angiografi ci utilizzando sempre, ove possibile, guide di massima rigidità (idrofi lica per la diagnostica; superstiff per l’impianto) e cateteteri centimetrati (per verifi ca certa dei diametri e delle distanze);

• le caratteristiche morfologiche e dei diametri dell’aorta toracica e dell’origine dei vasi epiaortici vanno verifi cate angiografi camente in modo esaustivo e completo, utiliz-zando sempre anche le proiezioni oblique più idonee;

• il calibro dell’endoprotesi va determinato sulla base del più accurato studio TC a livello dell’aorta nativa perilesionale con un incremento ( oversizing ) fra il 15 e il 20% (a seconda delle endoprotesi scelta);

• il rilascio dell’endoprotesi deve avvenire sempre sotto controllo radioscopico diretto e continuativo, solo dopo aver adeguatamente ridotto farmacologicamente la pressione sistemica (farmaci vasodilatatori a breve azione). Non è più ritenuto necessario o opportuno l’arresto cardiaco transitorio che veniva classicamente indotto con adenosina a dosaggio elevato;

• è assolutamente necessario l’immediato controllo angiografi co post-impianto per la verifi ca del corretto rilascio dell’endoprotesi, della sua adeguata aderenza alla parete aortica e dell’eliminazione dell’emorragia in sede di lesione (valutare l’indicazione a pallona-tura dell’endoprotesi). In questa fase, data la limitata sensibilità dell’angiografi a a rilevare i bassi fl ussi, può essere altamente raccomandata la verifi ca intrao-peratoria dei parametri sopramenzionati tramite ECD-TEE, con particolare riguardo all’eliminazione dell’emorragia in sede di lesione o, in alternativa, con ecografi a eco-color intravasale (IVUS) che richiede però apparecchiatura e materiali dedicati, grande peri-zia ed esperienza specifi ca;

• non è ritenuta necessaria la decompressione toracica, almeno sino a quando non si sia assolutamente certi della completa chiusura della RTA;

• dopo la dimissione dev’essere effettuato un follow-up stringente, tramite studi angio-TC o angio-RM a 3, 6 e 12 mesi, e quindi semestrali o annuali.

Fino a poco tempo vi era grande ritrosia a trattare con metodica endovascolare pazienti giovani o giovani adulti: lo scarso follow-up poneva infatti problemi etici sulla reale effi cacia a lungo termine del trattamento. Gli ottimi risul-tati ottenuti in questi anni dal TEVAR, unitamente alla sua affi dabilità e alla sua bassa invasività, hanno portato a estendere l’indicazione di questo trattamento anche ai giovani-adulti, i cui follow-up di medio-lungo termine sembrano particolarmente incoraggianti [112,113] .

Per quanto attiene alla scelta del modello di endopro-tesi specifi co, non esistono studi attendibili e condivisi che attestino la superiorità certa di un modello rispetto a

un altro. Gli studi sinora effettuati rilevano solamente un miglior outcome in termini di complicanze postoperatorie e di sopravvivenza a 5 anni delle protesi di ultima genera-zione rispetto alle precedenti.

I risultati riportati in letteratura della TEVAR nelle RTA presentano ampia variabilità. Sono studi monocentrici che perlopiù uniscono i risultati dei trattamenti delle RTA, delle dissezioni e degli aneurismi dell’aorta tora-cica (r-TAA) [114,115] . Anche analizzando le sole RTA si presenta un case-mix estremamente variabile nel quale è diffi cile quantifi care l’impatto delle lesioni associate, del tempo trascorso dopo il trauma o della metodologia di trattamento (priorità alle lesioni associate o alla RTA). Di sicuro impatto sugli esiti sono la composizione delle équipe, la tecnologia a disposizione e l’esperienza speci-fi ca maturata (diversa fase nella curva di apprendimento). Il successo tecnico, inteso come capacità di rilasciare l’en-doprotesi a livello del segmento prescelto, rasenta quasi sempre il 100%.

I dati sugli esiti sono scarsi, disomogenei e mal con-frontabili e, per quanto attiene al medio-lungo termine, si riferiscono inevitabilmente alla prima generazione di endoprotesi.

Un’ampia metanalisi [117] sul confronto fra TEVAR e chirurgia open nelle RTA discendente (22 studi; open : 358 pazienti; TEVAR: 143) ha evidenziato mortalità peri-operatoria e ischemia midollare marcatamente più basse con la metodica endovascolare, con analoga incidenza di ictus .

Altrettanto rilevante è il follow-up strumentale per il TEVAR che, a fronte di una minore invasività, ha necessità di verifi care nel tempo la stabilità di una riparazione in qualche modo più precaria e meno stabile di quella open ; in particolare, occorre escludere eventuali migrazioni, pre-senza di fratture dello scheletro metallico o discontinuità nel tessuto dell’ endograf , pervietà dell’endoprotesi o pre-senza di stenosi o collassi protesici, eventuali endoleaks , variazioni del diametro dell’aorta ed eventuale estensione prossimale o distale delle alterazioni del vaso, sviluppo di segni di infezione protesica o di fi stole (per esempio aorto-bronchiale, aorto-esofagea).

Il follow-up va effettuato principalmente con la TC, che dovrebbe prevedere oltre alle immagini assiali, ricostru-zioni multiplanari (MPR) di massima intensità (MIP) e tridimensionali (3D) a 1, 6 e 12 mesi, quindi annualmente [114,117] .

Alternativa alla TC è la RM con metodica angio (MRA) con mdc (gadolinio) [112,118] ; purtroppo con gli attuali protocolli non è possibile studiare i pazienti portatori di endoprotesi ferromagnetiche che producono notevoli artefatti. Notevole importanza riveste la semplice Rx torace (a patto che sia sempre effettuata con metodo-logia standardizzata, ripetibile e quindi confrontabile nel tempo) che può fornire informazioni semplici ma essenziali su integrità e posizione della struttura metal-lica dell’endoprotesi.

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TRAUMA CARDIACO CHIUSO

Epidemiologia Si parla di trauma cardiaco chiuso ( Blunt Cardiac Trauma ; BCT) ogni qualvolta il cuore sia esposto a un trauma non penetrante ad alta energia a cui possono conseguire lesioni strutturali di gravità variabile, a partire da arit-mie non pericolose fi no allo shock cardiogeno in caso di lesioni strutturali maggiori. Il danno si può realizzare per trasferimento diretto di energia al cuore, per schiac-ciamento del cuore tra sterno e rachide o per brusca decelerazione con stretching delle strutture miocardiche e vascolari. Gli incidenti stradali e alcune pratiche sportive sono le cause più frequenti di BCT. Sul piano anatomo-patologico vi è un amplissimo spettro di lesioni riscon-trabili in corso di BCT:

• emorragia miocardica; • rottura di setto; • danni valvolari; • dissezione coronarica acuta e ischemia miocardica; • stretching miocardico con aritmie maggiori; • rottura di cuore.

Mentre i danni strutturali sono più frequenti nelle sezioni destre per lo scarso spessore delle pareti, i danni valvolari sono più caratteristici dell’emisistema sini-stro in quanto il maggiore spessore parietale determina uno spostamento dell’energia cinetica dal miocardio al piano valvolare. La valvola mitrale è la struttura valvolare maggiormente colpita in corso di BCT; le sue lesioni iso-late sono rare mentre spesso si associano ad altri danni miocardici correlati al trauma. La lesione consegue a incidente automobilistico (51% dei casi), motocicli-stico (13%), caduta da grandi altezze (15%) e, meno frequentemente, a trauma sportivo o a calci sferrati da animali. Il MOI è spesso un incremento improvviso della pressione intracavitaria durante la contrazione isovolu-metrica. Studi sperimentali hanno dimostrato come un incremento fi no a 320 mmHg della pressione intracavi-taria può determinare una rottura di qualunque parete cardiaca e un trauma diretto della valvola mitrale. La lesione valvolare mitralica più frequente è quella diretta ai muscoli papillari e può essere contusiva, necrotica, lacerativa, da stiramento o rottura, oppure conseguire alla necrosi dei papillari secondaria a ischemia miocar-dica causata da rottura o dissecazione traumatica delle coronarie. Può essere completa o parziale coinvolgendo uno o più capi muscolari. La presentazione clinica della lesione mitralica è assai variabile. Il rigurgito mitralico massivo può causare la morte del paziente prima del-l’arrivo in ospedale o subito dopo. Segni e sintomi più frequenti sono l’instabilità emodinamica, l’edema pol-monare e lo scompenso cardiaco acuto. Alcuni pazienti sviluppano edema polmonare 1-2 settimane dopo l’in-

gresso in ospedale, fenomeno che va ascritto alla proba-bile rottura su base ischemica del muscolo papillare o delle corde tendinee.

La dissecazione traumatica delle arterie coronarie è evento raro e spesso infausto, sia per la gravità estrema della presentazione clinica (infarto miocardico acuto) sia per la sua rarità intrinseca che determina di solito un ritardo nella diagnosi. La più colpita è l’arteria interven-tricolare anteriore (76% dei casi) seguita dalla coronaria destra (12%) e dalla circonfl essa (6%). Rarissima la disse-zione traumatica della coronaria sinistra.

Va infi ne menzionato il tamponamento cardiaco traumatico da rottura di vasi del pericardio o di camere cardiache (per lo più gli atri in quanto la rottura dei ventricoli di solito porta a morte sulla scena). La dia-gnosi è generalmente presuntiva (toni cardiaci poco udibili, distensione delle vene del collo, tachicardia, ipotensione estrema). La diagnosi differenziale è con il PNX ipertensivo mono o bilaterale, che nei traumi chiusi è di assai più frequente riscontro rispetto al tam-ponamento.

Un caso molto particolare è rappresentato dal verifi -carsi di arresto cardiaco in conseguenza di un trauma toracico a bassa energia ( commotio cordis o concussione cardiaca) [19]. Non ne è nota la reale incidenza, ma secondo il Commotio Cordis Registry statunitense si tratta della più frequente causa di morte improvvisa tra i giovani atleti (coinvolge soprattutto pazienti maschi con età media di 13 anni) dopo cardiomiopatia ipertro-fi ca e anomalie congenite. La mortalità è estremamente elevata (tasso di sopravvivenza del 10%, con restituito ad integrum inferiore al 3%). Il MOI è correlato a trauma precordiale, per lo più in corso di eventi sportivi; in più del 60% dei casi si tratta di impatti con palle da baseball o softball o con dischi da hockey, mentre in percentuale minore il MOI è correlato a traumi da pal-loni da calcio, palle da cricket, pugni, spallate e calci, colpi inferti con la mazza da hockey. Il soggetto colpito subisce l’arresto cardiaco immediatamente dopo l’urto o nei minuti immediatamente successivi. La mancanza di riscontro autoptico di lesioni traumatiche (nessuna lesione a carico di cuore, sterno e coste, reperto occasio-nale di contusione dei tessuti molli precordiali) diffe-renzia la commotio cordis dal BCT. La genesi dell’evento è legata per lo più all’insorgenza di una grave aritmia ipercinetica, correlata direttamente e con rapporto di causa/effetto al trauma precordiale. In particolare, l’innesco dell’aritmia maligna sarebbe determinato da una sfortunata concomitanza di fattori, fra i quali le caratteristiche fi siche del corpo contundente, la limitata superfi cie di contatto, la velocità dell’impatto e la con-comitanza fra l’impatto e la fase vulnerabile del ciclo cardiaco; è stata infatti evidenziata sperimentalmente una correlazione signifi cativa fra il momento dell’urto e la fase del ciclo di depolarizzazione cardiaca per quanto concerne la capacità di indurre ACR: l’urto durante la

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fase di vulnerabilità elettrica dell’eccitabilità ventrico-lare (onda T) provocherebbe FV, mentre se il trauma concomita con la depolarizzazione ventricolare (com-plesso QRS) si determinanerebbero alterazioni elet-triche diverse, come blocchi atrio-ventricolari di grado avanzato, fi no all’ACR per asistolia o attività elettrica senza polso (PEA).

Diagnosi La diagnosi di BCT è complessa e spesso ritardata in quanto i segni iniziali possono essere aspecifi ci.

Nella contusione una variazione dell’ECG (variazioni ST-T, blocchi di branca, fi brillazione atriale di nuova insor-genza) in un paziente con trauma toracico chiuso, deve indurre a ulteriori indagini (dosaggio enzimi cardiaci, ecocardiografi a). Il valore predittivo negativo (VPN) di un ECG normale raggiunge il 95% a distanza dall’evento traumatico: i pazienti affetti da trauma toracico chiuso con ECG negativo dopo almeno 8 ore dal trauma hanno una bassa probabilità di presentare complicanze cardiache gravi [119] . L’ecografi a transtoracica (TTE) è gravata da un certo numero di falsi negativi e risente troppo spesso di interferenze anatomiche (per esempio presenza di medicazioni, pneumotorace/enfi sema, ventilazione mec-canica). L’ecografi a transesofagea (TEE), pur essendo più accurata nella diagnostica della contusione, non è facil-mente ottenibile in tutti i presidi ospedalieri, richiede abilità specifi ca da parte dell’operatore e andrebbe perciò riservata ai casi in cui vi sia forte sospetto di BCT [120] . Il dosaggio della troponina (cTn) può essere un valido ausilio nella diagnosi di contusione miocardica. Il VPN della cTn è molto elevato (con cTn negativa è diffi cile che un paziente abbia un danno miocardico grave) ma è basso il VPP (valore predittivo positivo) (la cTn aumenta anche per altre cause come l’ipoperfusione miocardica). È stato proposto per l’elevato VPN di utilizzare ECG e cTn come screening per BCT, sottolineando che la mas-sima predittività si ha alla ottava ora dall’evento trauma-tico e che i valori misurati subito dopo il trauma hanno invece un valore predittivo molto limitato; quando sono contemporaneamente alterati sia ECG sia cTn, il 62% dei pazienti ha una disfunzione miocardica post-traumatica [120] . In caso di positività di ECG e cTn si utilizza la TEE per la conferma diagnostica.

Va ricordato che in presenza di grave contusione pol-monare si può avere una depressione sistolica cardiaca anche senza trauma miocardico diretto, fenomeno che potrebbe essere ascritto all’increzione e dismissione nel circolo locale e polmonare di fattori bioumorali miocar-diodepressori (per esempio interleuchina 8, TNF, ossido nitrico). Da un punto di vista terapeutico, l’ipotensione che ne deriva va trattata come nel caso di trauma cardiaco diretto (monitoraggio stretto della GC, inotropi qualora indicato) [121] . Inoltre, si può assistere a uno stunning miocardico post-traumatico, in assenza di lesione car-

diaca diretta, in corso di utilizzo di amine vasocostrit-trici (adrenalina, noradrenalina, dopamina); è stato ipotizzato che le amine esercitino un effetto barrage aumentando le resistenze periferiche e determinando un signifi cativo aumento del lavoro cardiaco con con-seguente scompenso acuto [122] .

Nelle lesioni valvolari, sospettate sulla base del qua-dro clinico, la diagnosi di certezza viene fatta con la TEE [123] , utile anche per sospettare la presenza di lesioni coronariche in quanto evidenzia le discinesie o acinesie dei ventricoli e la loro distribuzione topografi ca. In tali casi una TC cardiaca o addirittura una coronarografi a possono essere dirimenti. La TEE rappresenta anche la tecnica più accurata di diagnosi di tamponamento e viene di solito eseguita a seguito del sospetto clinico suf-fragato da E-FAST positiva.

Trattamento La contusione miocardica è la lesione più caratteristica in corso di BCT e ha una incidenza compresa tra il 5 e il 50% dei traumi toracici chiusi. L’età media dei pazienti affetti da BCT è 32 anni con rapporto uomo/donna 8:2. Le aritmie o i blocchi di branca sono la manifestazione clinica più comune [124] . La somministrazione di far-maci antiaritmici in acuto, una volta elucidata la diagnosi, va riservata solo ai casi in cui l’alterazione ECG si associa a impatto sull’emodinamica.

Lo shock cardiogenico è raro, ma nei casi in cui si manifesta, il trattamento con inotropi (per esempio dobutamina) e il monitoraggio della GC e dell’assetto metabolico (lattacidemia, SvO 2 , saturazione venosa mista, BE, HCO 3 a-v) sono fondamentali per la sopravvivenza del paziente [125] . In caso di ipotensione/shock cardio-geno qualunque intervento chirurgico non essenziale va dilazionato. Se lo shock è refrattario vanno considerate metodiche meccaniche di supporto al circolo (dalla con-tropulsazione all’ECMO).

Le rotture complete ed emodinamicamente signifi cative dei muscoli papillari anteriori o posteriori della mitrale richiedono frequentemente sostituzione valvolare mitralica in emergenza o urgenza. Talora, per rotture parziali, si pre-ferisce risparmiare la valvola con il solo intervento di ripa-razione. Le lesioni delle corde tendinee che si manifestano isolatamente o in associazione a lesione dei lembi mitralici o dei muscoli papillari vengono riparate in un range di settimane o mesi. Le lesioni dei lembi (isolate) sono assai poco comuni e il trattamento chirurgico è parimenti distri-buito tra riparazioni valvolari conservative e sostituzioni.

Nelle dissecazioni coronariche il trattamento prevede lo stenting (con però la necessità di successiva doppia anti-aggregazione con grave rischio emorragico in presenza di lesioni associate) oppure il by pass chirurgico (preferibil-mente utilizzando le arterie mammarie se disponibili) con tecnica open ( Coronary Artery By-pass Grafting ; CABG) meglio se a cuore battente ( off-pump CABG). In tutti i casi dove sus-

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Capitolo Trauma toracico | 9 |

sista stabilità emodinamica e ventilo-metabolica può essere considerata la sola terapia anticoagulante, assolutamente controindicata nei pazienti con trauma cranico acuto e/o a elevato rischio emorragico [126,127] . Le rotture di cuore devono essere riparate con sutura diretta della lesione parie-tale: le tecniche sono riportate nel paragrafo successivo.

FERITE PENETRANTI DEL CUORE

Epidemiologia Le ferite penetranti del cuore rappresentano il 20-30% dei traumi toracici maggiori [128] e lo 0,1% degli accessi in SR ( Shock Room ) per trauma. Sono gravate da una morta-lità sulla scena pari all’80-90%, dove la maggior parte dei decessi è dovuta a shock emorragico più che a tampona-mento cardiaco [129] . Del 10-20% dei pazienti che giun-gono in ospedale con segni vitali, il 70% sopravvive [130] . La mortalità aumenta al 94% se i segni vitali presenti sulla scena sono assenti all’ingresso in PS [131] . Le FAF sono responsabili di una maggior percentuale di decessi rispetto alle FAB. In ordine di frequenza le ferite penetranti cardia-che interessano il ventricolo destro (43%), il ventricolo sinistro (34%), l’atrio destro (18%), l’atrio sinistro (5%). Il coinvolgimento contemporaneo di più camere cardiache si verifi ca in circa il 18% dei casi, mentre le coronarie sono interessate nel 5% dei casi [132] .

La classifi cazione AAST-OIS ( American Association os Surgery for Trauma-Organ Injury Scale ) per le ferite cardiaca è riportata nella Tabella 9.3 [133] .

Diagnosi Nonostante qualsiasi trauma penetrante toracico possa coinvolgere il cuore, particolarmente a rischio sono le ferite che interessano il cosiddetto cardiac box , defi nito come la zona delimitata superiormente dalle clavicole, inferiormente dal margine costale e lateralmente dalle linee medio-clavicolari ( Fig. 9.19 ). All’ingresso in ospe-dale le condizioni del ferito possono variare dalla completa stabilità emodinamica all’arresto cardiaco in funzione del-l’anatomia di lesione (per esempio tamponamento cardiaco con vari gradi di compenso, emorragia non contenuta con versamento pleurico massivo). È importante rammentare che la presenza di versamento pericardico non coincide con la condizione di tamponamento cardiaco, che viene identifi -cata dall’associazione dell’emopericardio con deterioramento emodinamico. In ogni paziente con ferita sospetta per lesione del cuore dev’essere valutata l’obiettività cardiaca, auscul-tando i toni su tutti i focolai. In presenza di versamento pericardico generalmente i toni cardiaci sono parafonici, ma in rari casi è possibile identifi care un murmure, defi nito bruit de mulin , consistente in un soffi o precordiale ad alta tonalità prodotto dalla turbolenza di aria e sangue nel pericardio. La concomitanza di toni cardiaci parafonici, distensione delle vene giugulari e ipotensione defi nisce la “triade di Beck”,

Tabella 9.3 Classifi cazione OIS delle lesioni del cuore

Grado Descrizione della lesione

I Trauma chiuso, anomalie elettrocardiografi che minori (alterazioni aspecifi che dell’onda T, battiti atriali o ventricolari prematuri, tachicardia sinusale persistente) Trauma chiuso o penetrante senza lesione miocardica, tamponamento o erniazione

II Trauma chiuso con blocco di branca o alterazioni ischemiche (ST sottoslivellato o inversione onda T) senza insuffi cienza miocardica Trauma penetrante con ferita tangenziale dell’endocardio, senza tamponamento

III Trauma chiuso con battiti ectopici ventricolari sostenuti ( > 5/min) o multifocali, trauma chiuso o penetrante con lesione del setto, insuffi cienza valvolare, disfunzione papillare, occlusione coronarica distale senza insuffi cienza miocardia. Trauma chiuso con lacerazione del pericardio ed ernia cardiaca. Trauma chiuso con insuffi cienza cardiaca, trauma penetrante con ferita tangenziale dell’endocardio, non trapassante, con tamponamento

IV Trauma chiuso o penetrante con rottura del setto, insuffi cienza valvolare polmonare o tricuspidale, disfunzione papillare, occlusione coronarica distale con insuffi cienza miocardia. Trauma chiuso o penetrante con insuffi cienza valvolare aortica o mitralica. Trauma chiuso o penetrante con insuffi cienza ventricolare/atriale destra o atriale sinistra

V Trauma chiuso o penetrante con occlusione coronarica prossimale. Trauma chiuso o penetrante con lacerazione ventricolare sinistra. Ferita stellata del ventricolo destro/atrio destro/atrio sinistro con perdita di sostanza < 50%

VI Trauma chiuso con avulsione cardiaca. Ferita penetrante con perdita di sostanza > 50%

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patognomonica di tamponamento cardiaco. Nel paziente ipovolemico, tuttavia, il turgore giugulare è poco frequente. In generale, il paziente con tamponamento cardiaco pre-senta i classici segni di shock; può inoltre presentare il caratteristico polso paradosso, defi nito come un’esagerata variazione della pressione arteriosa con riduzione dell’am-piezza del polso durante l’inspirazione.

Come di consueto, la diagnostica strumentale dipende dalle condizioni emodinamiche del ferito. La Rx-torace standard in posizione supina può mostrare alterazioni aspecifi che del profi lo cardiaco, presenza di corpi estra-nei, versamento pleurico se il sanguinamento avviene attraverso la lacerazione cardiaca direttamente nel cavo o se concomita lesione del parenchima polmonare.

Nel paziente con grave instabilità emodinamica lo studio ecografi co rappresenta il gold standard per l’identifi cazione di versamento pericardico; l’elevata accuratezza e la rapidità di esecuzione (con la sola E-FAST i tempi di accesso alla sala operatoria, possono essere contenuti entro i 15 minuti dal-l’ingresso in PS) fanno considerare l’E-FAST l’unica meto-dica strumentale da applicare nei pazienti instabili.

In pazienti emodinamicamente stabili, la TC con mdc può essere impiegata nei casi dubbi di lesione cardiaca per defi nire la presenza e la profondità della ferita. La

dimostrazione di un sanguinamento attivo dal cuore o da un vaso pericardico sono indicazioni all’intervento.

Nonostante la puntura pericardica sia di facile esecuzione, possiede un’elevata percentuale di falsi negativi e falsi posi-tivi [134] che ne sconsigliano l’impiego come test diagno-stico; rimane l’indicazione a un suo utilizzo come opzione bridge in assenza di disponibilità immediata di chirurgia per permettere la detensione del tamponamento durante le fasi di trasporto del paziente alla sede di cura defi nitiva.

Qualora l’ecografi a non sia disponibile o dia esito equi-voco, nel paziente con emodinamica stabile è invece possibile effettuare una fi nestra pericardica, atto chirurgico da eseguirsi in anestesia generale in SO. Si esegue un’incisione mediana in corrispondenza dello xifoide che viene rimosso. Identifi cato il diaframma, per via smussa attraverso di esso si raggiunge il pericardio e si pratica un’incisione verticale: la presenza di sangue o coaguli consente la diagnosi di lesione cardiaca. In tal caso si deve procedere alla riparazione della ferita.

Trattamento In Figura 9.20 è indicato l’algoritmo diagnostico-terapeu-tico per il trattamento delle ferite penetranti di cuore.

In caso di emodinamica stabile, la dimostrazione eco-grafi ca o TC di emopericardio signifi cativo è un’indicazione all’intervento. La visualizzazione di emopericardio minimo con paziente stabile e in assenza di sanguinamenti attivi visibili consente di osservare il paziente con monitoraggio emodinamico ed ecografi e seriate, nell’ipotesi di un sangui-namento intrapericardico di un vaso di parete o epicardico che si sia arrestato da solo. Se resta il dubbio di ferita del cuore (per esempio emopericardio che aumenta al con-trollo ecografi co), persistendo la stabilità emodinamica si può procedere all’esecuzione della fi nestra pericardica in anestesia generale, proseguendo, in caso di evidenza di sanguinamento attivo, con l’intervento riparativo.

Nel paziente emodinamicamente instabile, l’ecografi a positiva per emopericardio è indicazione suffi ciente a un intervento di emergenza.

L’accesso al mediastino e al cuore interessato dalla ferita penetrante può avvenire attraverso due diverse inci-sioni chirurgiche.

• Sternotomia. È l’incisione di scelta nel paziente con emodinamica stabile quando gli accertamenti (eco, finestra pericardica) danno esito positivo; offre un’esposizione ottimale del mediastino e consente un’ampia apertura del pericardio.

• Toracotomia anterolaterale in V spazio intercostale. È l’incisione praticata nel paziente con emodinamica instabile. Si esegue con il paziente in decubito supino, con entrambi gli arti superiori abdotti a croce, posizio-nando eventualmente al di sotto dell’emitorace sinistro un piccolo supporto per sollevare di circa 20° il dorso, in modo da ottenere una migliore estensione dell’ascella ipsilaterale. L’incisione può essere prolungata nell’emi-

Figura 9.19 Ferita penetrante del torace coinvolgente il cardiac box .

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torace controlaterale dividendo lo sterno e realizzando un’apertura a clamshell . Una volta eseguita la toracoto-mia il pericardio dev’essere aperto al davanti del nervo frenico per accedere al cuore.

Indipendentemente dall’approccio chirurgico utilizzato, una volta aperto il pericardio ed evacuato il versamento ematico dev’essere effettuato un controllo temporaneo dell’emorragia con una delle possibili metodiche.

• La digitopressione è il metodo più semplice ed effi -cace. Talvolta non si ottiene il completo controllo del sanguinamento, tuttavia mentre l’assistente protegge il tramite della ferita con il dito, il chirurgo ha il tempo di applicare i punti di sutura.

• L’utilizzo di un catetere vescicale Foley 14 Ch è una manovra rapida e di facile esecuzione. Il catetere viene introdotto nella ferita di cuore e quindi fatto avanzare per circa 3 cm, il palloncino gonfi ato con acqua e l’estremità distale chiusa con un clamp per impedire la fuoriuscita di sangue, esercitando una lieve trazione. Lo svantaggio di tale metodica è dato dal rischio che il dispositivo trazionato allarghi ulteriormente il tramite della ferita peggiorando il danno. In caso di ipotensione o comparsa di aritmia conseguenti all’introduzione del catetere, questo dev’essere sgonfi ato parzialmente e retratto in quanto probabilmente posizionato in pros-simità della valvola polmonare o aortica o nelle rispet-tive arterie.

• L’utilizzo di una suturatrice meccanica per applicare punti metallici ( skin stapler ) e ottenere l’emostasi

temporanea è una manovra rapida che tuttavia può favorire l’ulteriore lacerazione del muscolo cardiaco o determinare sanguinamento dai tramiti dei punti.

Le ferite atriali sono più facili da riparare rispetto a quelle ventricolari (gli atri sono camere a bassa pressione). Dopo l’iniziale applicazione di un clamp di Allis o Satinsky le lacerazioni atriali devono essere suturate a punti staccati a materassaio o in continua utilizzando fi li in materiale non riassorbibile.

Le lesioni ventricolari possono essere riparate con punti staccati a materassaio rinforzati con pledgets . In caso di tramite in prossimità dei vasi coronarici, particolare atten-zione dev’essere posta a non intrappolare nella sutura il vaso stesso, curando che il punto sia più profondo rispetto alla coronaria.

Misure aggiuntive per facilitare la riparazione delle ferite cardiache sono rappresentate da:

• occlusione temporanea dell’affl usso di sangue mediante compressione delle vene cave, utile in specie in caso di ferite della parete posteriore la cui riparazione richiede il sollevamento del muscolo cardiaco. Tale manovra è gravata da elevato rischio di arresto cardiaco irreversi-bile nel paziente ipoteso e acidotico [135] ;

• infusione di adenosina che, causando un’asistolia temporanea, facilita la riparazione delle ferite che richiedono l’applicazione di punti di precisione, come per esempio in prossimità delle coronarie [136] ;

• bypass cardiopolmonare, utilizzabile come metodica di supporto emodinamico al termine di una cardiorrafi a

Toracotomia Ricerca altre cause di shock

Sternotomia Osservazione

Positivo Negativo

TC con mdc

Positivo

Sospetto clinico di FPC

Stabile

Rx/E-FAST

Dubbio Positivo

Instabile

E-FAST

Negativo

Figura 9.20 Algoritmo decisionale in caso di ferita penetrante cardiaca.

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[137] o in caso di necessità di riparazione di un vaso coronarico nel suo tratto prossimale [138] .

Al termine della cardiorrafi a il pericardio va richiuso parzialmente, lasciando un occhiello di dimensioni suffi -cienti a non far erniare il muscolo cardiaco e a consentire il drenaggio di eventuale sangue residuo per evitare un nuovo tamponamento.

Talvolta, intraoperatoriamente possono essere sospettate lesioni del setto interventricolare, fi stole aorto-polmonari o lesioni valvolari. In caso di ipotensione persistente, l’effet-tuazione di un TEE intraoperatorio consente di effettuare la diagnosi. La riparazione può avvenire immediatamente, previa applicazione della CEC, oppure essere posticipata in funzione delle condizioni generali del paziente.

Complicanze Complicanze conseguenti a ferite penetranti del cuore possono essere rappresentate da ischemia dovuta a chiu-sura di rami coronarici al momento della cardiorrafi a difetti valvolari, difetti settali con creazione di shunt sini-stro-destro, emboli o ritenzione di corpi estranei (pro-iettili). Tardivamente possono comparire falsi aneurismi ventricolari, fi stole tra coronarie e camere cardiache e complicanze settiche (pericarditi, endocarditi).

L’ANALGESIA NEL TRAUMA TORACICO

Il controllo del dolore è uno dei cardini fondamentali della gestione del paziente affetto da trauma toracico complesso e riveste un ruolo centrale, contribuendo atti-vamente a prevenire le complicanze legate all’evoluzione delle lesioni e a ridurre morbilità, durata della degenza e mortalità. La terapia antalgica ha come obiettivi un buon controllo del dolore a riposo, la possibilità di mobiliz-zare il paziente in assenza di controindicazioni, favorire una tosse effi cace e l’inspirazione profonda. Le tecniche a disposizione vanno dall’utilizzo di FANS, paracetamolo o oppiodi per via orale o endovenosa, alla sommini-strazione in infusione continua per via peridurale di una miscela di anestetico locale e oppioide, al blocco inter-costale (se il numero di coste fratturate è limitato, ma richiede la somministrazione ogni 4-6 ore), al blocco con-tinuo paravertebrale toracico (che garantisce il blocco da un solo lato per l’estensione di un dermatomero); infi ne può essere considerata la Patient Controlled Analgesia (PCA) endovenosa o peridurale. La scelta della tecnica più idonea deve tenere presente sede, estensione e gravità delle lesioni, entità del dolore, presenza di comorbilità ed esperienza del medico, attraverso un approccio fortemente individua-lizzato e associato a regolari misurazioni di performance respiratoria con scale analogiche del dolore (se possibile),

test di funzione respiratoria, emogasanalisi seriate. La scelta tra analgesia endovenosa mista oppioide/FANS e analgesia epidurale toracica si basa su criteri eminente-mente clinici. L’utilizzo dell’analgesia epidurale toracica riduce mortalità e incidenza di complicanze infettive nei traumi toracici severi [139] .

Le linee guida EAST [140] considerano l’analgesia epidurale (AE) il gold standard per la gestione del dolore nel paziente con trauma toracico chiuso severo; queste le principali raccomandazioni:

• la peridurale continua è la modalità di prima scelta dopo aver escluso lesioni vertebrali, alterazioni dello stato mentale che impediscano una valutazione del dolore, fratture pelviche instabili, lesioni cutanee al sito di accesso che precludano la possibilità di effet-tuare la AE, coagulopatia o instabilità emodinamica;

• l’AE rispetto agli oppiodi per via endovenosa migliora la percezione soggettiva del dolore e i test di funzionalità polmonare, si associa a minor rischio di depressione respiratoria, di sonnolenza, di sintomi gastrointestinali e presenta complicanze estremamente rare;

• i pazienti anziani con comorbilità (diabete, cardiopa-tia) hanno un aumentato rischio di mortalità conse-guente al determinarsi di complicanze respiratorie;

• gli oppiodi per via endovenosa possono essere utiliz-zati come prima opzione nei pazienti a basso rischio, con performance respiratoria adeguata e stabile, assi-curando che siano raggiunti i target terapeutici;

• l’AE è indicata in pazienti anziani ( > 65 anni) con 4 o più fratture costali in assenza di controindicazioni, ma andrebbe comunque considerata anche in pazienti giovani con 4 o più coste fratturate o in pazienti con età > 65 anni e con minore numero di fratture costali;

• nei pazienti ad alto rischio per i quali è controindi-cata l’AE è possibile considerare l’analgesia paraverte-brale extrapleurica;

• non esistono raccomandazioni per l’analgesia intra-pleurica e intercostale sulla base delle evidenze dispo-nibili anche se sembrano effi caci e sicure.

Una recente metanalisi ha messo parzialmente in discus-sione tali raccomandazioni evidenziando che, rispetto alla somministrazione tradizionale di oppioidi endove-nosi, l’AE non produrrebbe benefi ci sulla mortalità, sulla durata della degenza in ICU e ospedaliera, confermando tuttavia una differenza signifi cativa nella riduzione del dolore derivante dall’inspirazione profonda e dai colpi di tosse, nonché dei giorni di ventilazione meccanica e del-l’incidenza di polmoniti nosocomiali a favore del gruppo trattato con AE.

Non vi sono dati suffi cienti per stabilire quale sia la migliore tecnica di AE da adottare come standard di cura né per raccomandare la tecnica di somministrazione epi-durale continua rispetto alla tecnica a boli intermittenti. Nella Tabella 9.4 sono riportati i dosaggi suggeriti per l’AE [141] . La combinazione di oppioide e anestetico locale

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determina il miglior profi lo analgesico per via epidurale, minimizzando gli effetti collaterali legati all’uso singolo di ciascuna sostanza [140] .

Per i pazienti sottoposti ad AE, l’assistenza infermieri-stica dovrebbe prevedere un attento monitoraggio, diver-sifi cato in base alla situazione clinica ma avente come standard minimo il controllo dei parametri vitali emo-

dinamici e ventilatori oltre che della funzione urinaria, della forza muscolare, del livello di sedazione, della tem-peratura corporea e della possibile insorgenza di segni di infezione o sepsi correlata (per esempio rigor , febbre, leucocitosi marcata); in tali casi il catetere va rimosso e la punta sottoposta a esame colturale.

Il blocco toracico paravertebrale ipsilaterale è una tecnica efficace nella gestione del dolore conseguente alle fratture costali. Tecnicamente meno complesso del-l’AE, può essere eseguito anche durante trattamento con eparine a basso peso molecolare. La tecnica è associata a basso rischio di instabilità emodinamica, pertanto ipovolemia e ipotensione non sono controindicazioni assolute. Un bolo effettuato su catetere paravertebrale dovrebbe coprire circa 5-6 dermatomeri e può, come l’AE, essere effettuato a qualunque livello della colonna. Può risultare utile nella gestione analgesica dei pazienti con concomitante trauma cranico e spinale [2,142-145] .

La letteratura non è dunque univoca nel suggerire una metodica rispetto a un’altra; nella Tabella 9.5 si riporta un quadro sinottico delle opzioni analgesiche nel traumatiz-zato toracico [31] . Appare tuttavia indiscutibile l’effi cacia analgesica della AE e la sua azione adiuvante nel recu-pero della normale autonomia respiratoria, nelle fasi di weaning e nella fi sioterapia respiratoria.

Tabella 9.4 Dosaggi suggeriti per analgesia epidurale

Bupivacaina 1mg/mL + morfi na 0,005 mg/mL

Età del paziente

Dose carico morfi na mg

Dose carico bupivacaina (0,25-0,5%) mL

Velocità infusione (mL/ora)

15-44 4 5….8 6

45-65 3 4….6 5

66-75 2 4….5 3

76 1 3….4 2

Tabella 9.5 Quadro sinottico delle opzioni analgesiche nel traumatizzato toracico

Tecnica Vantaggi Svantaggi Controindicazioni

Analgesia oppioide sistemica

Semplice Depressione del SNC, nausea, riduzione della tosse

Depressione del SNC, ipotensione

Analgesia epidurale con solo AL

Livello analgesico elevato, nessuna depressione del SNC, analgesia bilaterale, risparmio di oppioidi, alto tasso di riuscita

Ipotensione rischio di puntura durale, blocco motorio, ritenzione urinaria, occultamento di segni di sofferenza addominale

Stenosi aortica o mitralica, elevata ICP, precedente chirurgia della colonna, ipovolemia, disordini coagulativi ereditari o iatrogeni

Analgesia epidurale oppioide

Effi cace con dosaggi molto bassi, analgesia bilaterale, stabilità emodinamica, nessun blocco motorio, sensibilità conservata

Prurito, ritenzione urinaria, nausea, rischio di depressione respiratoria ritardata, dolore acuto riesacerbato (breakthrough pain)

Elevata ICP, precedente chirurgia della colonna, disordini coagulativi ereditari o iatrogeni

Analgesia epidurale combinata

Aumento dell’azione analgesica con minori effetti collaterali, analgesia bilaterale

Come per l’analgesia con soli AL e con soli oppioidi

Come per l’analgesia con soli AL e con soli oppioidi

Blocco toracico paravertebrale

Tecnicamente semplice, più sicuro rispetto all’analgesia epidurale continua, nessuna depressione del SNC, mantenimento della stabilità emodinamica, preserva la funzione vescicale e nessun blocco motorio. Nessun aumento del nursing se solo one shot

Rischio di PNX, i dermatomeri coperti dall’analgesia non sono prevedibili come nella analgesia epidurale, elevati livelli ematici di anestetico locale potenzialmente tossici

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SUPPORTO RESPIRATORIO

L’insuffi cienza respiratoria nel trauma è un’importante causa di morbilità e mortalità e riconosce spesso un’ezio-logia multifattoriale. Le stime riportano una percentuale di IT per i traumi toracici variabile tra il 23 e il 75% a seconda della gravità della condizione clinica globale, delle lesioni associate e del livello di monitoraggio a cui sono sottoposti i pazienti [146] .

Il pronto riconoscimento della patologia sottesa e la scelta del trattamento più appropriato possono contribuire a migliorare l’ outcome in questa categoria di pazienti. La scelta della modalità di ventilazione gioca un ruolo deter-minante sulla prognosi. Sebbene esistano alcune segnala-zioni in merito allo sviluppo di complicanze anche gravi associate alla ventilazione a pressione positiva (invasiva o non invasiva), poiché la priorità è garantire un’adeguata ossigenazione il rischio dello sviluppo di complicanze non dovrebbe mai essere un deterrente al suo utilizzo [147] .

Ventilazione non invasiva Nei pazienti svegli e collaboranti con insuffi cienza respira-toria ipossiemica post-traumatica è ragionevole pensare a un trial di ventilazione non invasiva (NIMV), metodica che contribuisce in modo più effi cace della sola ossigenotera-pia in maschera, a ridurre il numero di pazienti da sotto-porre a ventilazione invasiva [148] e le complicanze legate all’IT, prima tra tutte la polmonite nosocomiale [149] .

Tuttavia, il paziente con politrauma può avere nume-rose condizioni che ne controindicano l’uso, quali:

• evidenza di ostruzione o impossibilità a proteggere le vie aeree;

• lesioni complesse del massiccio facciale; • fratture dei seni con emoseno; • frattura della base cranica con pneumoencefalo; • trauma cranico grave (GCS ≤ 8); • trauma del rachide cervicale; • sanguinamento attivo o recente chirurgia del tratto

digestivo superiore; • agitazione e mancanza di collaborazione; • instabilità emodinamica o elettrica; • grave ipossia o marcata acidosi respiratoria.

Gli obiettivi del supporto con pressione positiva sono il reclutamento di alveoli non areati, la mobilizzazione di secrezioni, la prevenzione di atelectasie, la riduzione del lavoro respiratorio. Per quanto attiene le tecniche di ventilazione non vi sono in letteratura dati suffi cienti a consigliare una modalità rispetto a un’altra; la scelta di utilizzare la CPAP o la BiPAP, tecniche attualmente di maggiore uso, è legata all’esperienza del singolo opera-tore, al contesto e ai presidi a disposizione. Ugualmente non esistono in letteratura indicazioni specifi che sulla durata del trial, sul tipo di interfaccia da utilizzare o sulle

impostazioni del ventilatore, ma sembra ragionevole sug-gerire che [140] :

• va sempre posizionato un sondino naso-gastrico; • il paziente va mantenuto a 45°; • dev’essere assicurato il monitoraggio continuo dei

parametri vitali per identifi care precocemente la necessità di supporti più invasivi;

• nella BiPAP la pressione di supporto dev’essere incre-mentata lentamente per ridurre le perdite e favorire il comfort del paziente, fi no a ottenere un volume tidal di circa 8 mL/kg, una FR < 25 atti/min e la scomparsa dell’attività dei muscoli respiratori accessori;

• l’EPAP (o PEEP) dev’essere incrementata gradualmente fi no a ottenere una SpO 2 > 92% con la più bassa FiO 2 possibile;

• le disconnessioni dalla NIMV vanno minimizzate durante le prime 24 ore di trattamento, permettendo comunque delle interruzioni per migliorare la tolle-ranza del paziente, consentire la tosse ed effettuare le pratiche assistenziali;

• dopo le prime 24 ore è possibile effettuare trial gior-nalieri di respiro spontaneo per valutare la necessità di proseguire il trattamento; il trial si considera fallito se il paziente non riesce a mantenere una SpO

2 > 92% con FiO 2 < 0,5 o una FR < 30 atti/min;

• è possibile sospendere la NIMV quando, senza sup-porto artifi ciale, il paziente mantiene un P/F > 200 e una FR < 30 atti/min;

• la presenza di una delle seguenti condizioni va con-siderata criterio di fallimento della NIMV: persistenza di ipossia, acidosi respiratoria, fatica respiratoria (FR costantemente > 35atti/min, impossibilità a raggiun-gere una SpO

2 > 90% con elevate FiO 2 , intolleranza a maschera o casco, incremento della PaCO 2 > 10 mmHg rispetto ai valori basali o persistenza di acidosi respi-ratoria con pH < 7,25), persistenza di agitazione o deterioramento dello stato di coscienza, comparsa di instabilità emodinamica o elettrica;

• in presenza di criteri indicativi di fallimento della NIMV, il passaggio a metodiche invasive di ventila-zione non dev’essere ritardato.

Il successo della NIMV è correlato all’instaurazione di un’effi cace analgesia e di una fi sioterapia aggressiva. La terapia antalgica ha come obiettivi un buon controllo del dolore a riposo, la possibilità di mobilizzare il paziente in assenza di controindicazioni, favorire una tosse effi cace e l’effettuazione di inspirazioni profonde; si rimanda per un approfondimento al relativo paragrafo. La fi sioterapia aggressiva si attua garantendo al paziente l’umidifi cazione dei gas inspirati per fl uidifi care le secrezioni, un decubito a 45° associato a frequenti cambiamenti posturali e l’effettuazione di manovre che agevolino l’inspirazione profonda e una tosse effi cace. Laddove indicato è inoltre necessario assicurare la pulizia bronchiale con aspirazioni naso-tracheali o con ausilio della fi broscopia [33,150] .

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Ventilazione invasiva La gestione della ventilazione invasiva basata sulla cono-scenza dei meccanismi fi siopatologici del trauma toracico chiuso gioca un ruolo importante nel trattamento del paziente con trauma complesso [151] . Benché la ventila-zione meccanica sia indispensabile per la sopravvivenza di questi pazienti, essa può peggiorare il danno polmo-nare attraverso vari meccanismi che possono essere rias-sunti in barotrauma (eccessiva pressione nelle vie aeree), volutrauma (eccessivo volume tidalico), ma anche atelec-trauma (apertura e chiusura ciclica degli alveoli) e bio-trauma (attivazione della risposta infi ammatoria cellulare) [152] . Per tale motivo è utile applicare una strategia ven-tilatoria “protettiva” basata sul controllo delle pressioni inspiratorie ( < 30 cmH 2 O), recupero delle aree contuse o atelectasiche con manovre di reclutamento alveolare e scelta di un adeguato valore di PEEP atto a evitare il feno-meno di reclutamento-dereclutamento.

Infi ne, un importante aspetto da considerare è l’evi-denza che in corso di ventilazione meccanica si realizzano

modifi che della struttura del diaframma con marcata atrofi a delle fi bre muscolari; l’entità di tali alterazioni, già presenti dopo 18-96 ore, è proporzionale alla durata della ventilazione meccanica e può avere un effetto sfavorevole nella fase successiva dello svezzamento dal ventilatore automatico [153, 154] .

Seppur raramente, in pazienti con grave trauma mono-polmonare ( compliance molto ridotta) la ventilazione artifi ciale può comportare l’eccessiva distensione del pol-mone sano ( compliance normale) e tradursi, soprattutto in caso di ipovolemia, in un ostacolo al ritorno venoso di entità tale da causare ipotensione. In casi estremi solo la ventilazione a polmoni separati può portare a una rapida risoluzione del problema.

In pazienti selezionati, con grave contusione polmo-nare, insuffi cienza respiratoria grave, barotrauma da ventilazione meccanica con impossibilità a ulteriori incrementi della pressione di ventilazione, assenza di altri traumatismi con diatesi emorragica è stata appli-cata con successo la ECMO; si tratta comunque di report isolati.

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