The World of il Consulente n. 12 del 2011

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THE WORLD OF NUMERO 12 30 SETTEMBRE 2011 IL CONSULENTE IL CONSULENTE NUMERO 12 30 SETTEMBRE 2011 ADALBERTO BERTUCCI Lotta all'abusivismo:la vera riforma GIUSEPPE SIGILLO' MASSARA Sciopero e lavoro sportivo FIORIMANTI E MARCONI Novità in materia di contenzioso tributario ANTONIO CARLO SCACCO Tirocini:opportunità o pasticcio? ANDREA TOMMASINI Roma e le città della cultura Pubblicazione Quindicinale Ufficiale del Consiglio provinciale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma THE WORLD OF Foto di cliff1066 by Flickr Periodico telematico in attesa di registrazione al Tribunale civile di Roma

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House Organ del Consiglio provinciale dei Consulenti del lavoro di Roma

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NUMERO 12 30 SETTEMBRE 2011

IL CONSULENTE

IL CONSULENTE

NUMERO 12 30 SETTEMBRE 2011 ADALBERTO

BERTUCCI Lotta all'abusivismo:la vera riforma GIUSEPPE SIGILLO'

MASSARA Sciopero e lavoro sportivo FIORIMANTI E MARCONI Novità

in materia di contenzioso tributario ANTONIO CARLO SCACCO

Tirocini:opportunità o pasticcio? ANDREA TOMMASINI Roma e le città della

cultura Pubblicazione Quindicinale Ufficiale del Consiglio provinciale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma

T H E W O R L D O F

Foto di cliff1066 by Flickr

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IL CONSULENTET H E W O R L D O F

NUMERO 12 30 SETTEMBRE 2011

Pubblicazione Ufficiale del Consiglio provinciale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma

I N D I C E

I n F o c u s

R u b r i c h e

Luigi PellicciaQuando l'azienda è contro il mobber

Lotta all'abusivismo: la vera riforma

Sciopero e lavoro sportivo4

8

In copertina: High october fragrance, foto di

greenhem by Flickr

Giuseppe Sigillò Massara

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Tirocini formativi e di orientamento: opportunità o pasticcio ?12

28I misteri di Roma

Baci nell'ultima fila nel pidocchietto di Andrea Tommasini

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Novità in materia di contenzioso tributario

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Giulio Renato Fiorimanti e Giorgetto Marconi

Adalberto Bertucci

30Vita nell'Ordine ... Ordine nella vita

Antonio Carlo Scacco

22Riccardo TraversProve di esproprio

Light da naysheℓℓ64

22Andrea TommasiniRoma e le città della Cultura

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IL CONSULENTE

E ED D

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un fantasma si aggira per l’Ita-lia: oltre ai venti della pa-

ventata liberalizzazione delle pro-fessioni che soffiano sempre più impetuosi, accuratamente celati sotto le insegne altisonanti di ma-novre per la “crescita” e lo “svi-luppo”, un pericolo assai più sottile, e infinitamente più subdo-lo, sembra insidiare il mondo pro-fessionale in generale, quello dei consulenti del lavoro in particola-re.

Il riferimento, scontato, è al feno-meno dell’abusivismo, cioè a quell’insieme di persone, o orga-nizzazioni, che offrono sul mercato servizi e consulenza pro-fessionale senza avere, del profes-sionista, i requisiti di competenza e garanzia della pubblica fede.

Non si pensi che l’abusivo sia, oggi, il dopolavorista che, termi-nato il lavoro all’Inps, fa le pa-ghette del calzolaio o del salumiere sotto casa.

L’abusivo dei giorni nostri, no-vello Dafne, si è trasformato in un grande e nodoso albero i cui ra-mi, come tentacoli dalle mille ventose, insidiano il lavoro quoti-diano dei Colleghi. Esempi ? le grandi società del payroll (il termi-ne è di moda), le “associazioni di categoria” , le grandi case software che, nel vendere il pro-

gramma al consulente a prezzi stratosferici, non mancano quasi mai di strutturare il loro “Ced” di servizi.

Costoro non devono pagarsi una formazione obbligatoria; non hanno tariffe minime ( alzi la ma-no chi non ha ricevuto almeno una volta una offerta di cedolini ad 1 euro!); non versano il contri-buto alla previdenza; non devo-no rispettare una deontologia; fanno pubblicità a tutto spiano senza limiti di sorta ; non sono soggetti alla vigilanza di un mini-stero.

Ebbene, signori dell’Antitrust, chi è che viola le regole della concorrenza e della pubblica fe-de? chi le rispetta ogni giorno con fatica, con lo studio, con l’applicazione e chi le prende pubblicamente a calci ?

Non chiediamo privilegi o favori ma soltanto che gli altri rispetti-no le stesse regole che le leggi ci impongono.

Nonostante tutto restiamo ferma-mente convinti che liberalizzare non significa semplicisticamente eliminare le regole.

O peggio ancora calpestarle.

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LOTTA ALL'ABUSIVISMO:LA VERA RIFORMA

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IL CONSULENTE

Direttore responsabile

Comitato scientifico

Gabriella Di Michele - Aldo Forte - Giuseppe Sigillò

Massara - Pierluigi Matera - Antonio Napolitano - Mauro

Parisi - Vincenzo Scotti - Virginia Zambrano

Antonio Carlo Scacco

Progetto grafico e digitalizzazione

Antonio Carlo Scacco

Editore

NUMERO 12 30 SETTEMBRE 2011

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T H E W O R L D O F

Periodico telematico in attesa di registrazione al Tribu-nale civile di Roma. House Organ del Consiglio pro-vinciale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro di Roma Pubblicazione quindicinale

Redazione

Eleonora Marzani

Massimiliano Pastore

Daniele Donati

Giuseppe Marini

Andrea Tommasini

Aldo Persi

Ordine dei Consulenti del Lavoro - Consiglio Provinciale di Roma

00145 Roma - via Cristoforo Colombo, 456Tel. 06/89670177 r.a. - Fax 06/86763924 -

Segreteria: [email protected] di Diritto Pubblico - Legge 11-1-

1979 N.12

Per contributi e suggerimenti

Questo numero è stato chiuso in redazione il 29 settembre 2011

[email protected]

Care amiche, cari amici

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Il rapporto di lavoro intercorrente tra sportivi profes-sionisti e società o associazioni sportive, è oggetto di specifica re-golamentazione legislativa – legge n. 91 del 23 marzo 1981 – che, in particolare, attribuisce all’iniziativa sindacale la funzio-ne di disciplina sostanziale del rapporto di lavoro sportivo, es-sendo infatti previsto all’art. 4, comma 1, che i contratti indivi-duali debbano risultare coerenti con i “contratti tipo” che, a loro volta, si conformano agli accordi collettivi stipulati triennalmente

tra le Federazioni Sportive Nazio-nali e i rappresentanti delle cate-gorie interessate.In verità, il tema oggetto di anali-si sconta le criticità connesse al complesso rapporto tra l'ordina-mento giuridico generale e l'ordi-namento giuridico sportivo, atteso che l’applicazione dei principi propri del primo ordina-mento non può che scontare le specialità proprie del secondo, connesse alla sussistenza di rego-le e principi ispiratori ad hoc. .Come noto, in virtù del signifi-cato attribuito dalla giurispru-denza allo sciopero, può ricavarsi che l'esercizio del di-ritto di cui all'art. 40 Cost., legitti-mi qualsiasi forma dì astensione collettiva indipendentemente dal danno subito dall'imprenditore; un limite all'esercizio del diritto di sciopero consiste nella illegitti-mità di quegli scioperi che leda-no altri diritti garantiti dalla Costituzione (diritto alla vita, di-

ritto alla incolumità personale, ecc.) o che ledano gli impianti produttivi dell'imprenditore.Orbene, parte della dottrina ha ipotizzato l’illegittimità di scio-peri “a sorpresa” con riferi-mento ad eventi sportivi in cui proprio l’assenza di preavviso possa determinare criticità sotto il profilo dell’ordine e della sicu-rezza pubblica.In ogni caso, con riferimento a tali fattispecie è veramente arduo ipotizzare una forma di precettazione, atteso che, sicura-mente le fattispecie in esame non integrano forme di servizio pubblico, né tanto meno di servi-zio pubblico essenziale. Tutta-via, la Corte Costituzionale (sentenza n. 4, 12 gennaio 1977), chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità dell'istituto della precettazione (ex art. 20 e 55 t.u. della legge comunale e provinciale del 1934) con l'art. 40 Cost., ha rilevato che « la tu-

Giuseppe Sigillò Massara (*)

4

SCIOPERO E LAVORO

SPORTIVOLa legge attribuisce all’iniziativa sinda-cale la funzione di disciplina sostanzia-le del rapporto di la-voro sportivo

(*) Professore Aggregato Università di Roma Tor Vergata

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Air Trafic Control Foto di Pensiero by Flick

tela della salute e della incolumi-tà della persona non può non li-mitare il concreto esercizio del diritto di sciopero » in quanto « interessi siffatti sono tra quelli che devono considerarsi assoluta-mente preminenti rispetto agli altri collegati alla autotutela de-gli interessi di categoria ». L’intervento prefettizio di pre-cettazione, quindi, pare ammissi-bile quale ultima ratio quando vi sia certezza (pressoché assoluta) che dal comportamento dei lavo-ratori sportivi possa essere peri-colosamente turbato l'ordine pubblico con la conseguente ri-schiosità per l'incolumità delle persone.In ogni caso si ricorda che l'ordi-namento sportivo punisce disci-plinarmente lo sciopero degli atleti professionisti, tanto con sanzioni addebitabili alle socie-tà, ma anche con sanzioni sporti-ve nei confronti degli scioperanti.È proprio in tale ambito che emergono in tutta evidenza le problematicità connesse alla ge-nerale compatibilità delle regole sportive con diritti che sono ga-rantiti dalla Costituzione.Si ritiene infatti che, in ragione della soggezione dell’ordina-mento sportivo a quello statuale, soprattutto per quanto concerne i principi su cui si fonda il no-stro ordinamento giuridico e per quanto concerne i diritti che so-no garantiti dalla Costituzione, le Federazioni Sportive Naziona-li non possano legittimamente “punire”, in quanto tale, l’adesio-ne ad uno sciopero da parte de-gli sportivi dalla stessa impiegati, poiché questi, con il lo-ro comportamento esercitano un diritto che è stato riconosciuto e garantito, ex art. 40 Cost.

Ammissibile pare invece la sanzione da parte delle Federazio-ni Sportive qualora la forma di protesta, per le modalità di rea-lizzazione, sia esclusivamente indirizzata ad alterare l'ugua-glianza competitiva della gara. Ed infatti, gli statuti federali inte-riorizzano, con diversa espressio-ne, un principio fondamentale dell'ordinamento sportivo, tanto nazionale quanto internazionale, e cioè quello della lealtà e della correttezza. Di talchè, a titolo esemplificativo, ove gli atleti per protesta non rispettassero le regole del gioco e della gara, o non si adoperassero con la loro usuale capacità e destrezza, sa-rebbero esposti alle eventuali, le-gittime, sanzioni irrogate dagli organismi di giustizia sportiva, che inciderebbero su forme di au-totutela collettiva, quali «la non collaborazione» o «lo sciopero del rendimento» violative di quei principi di lealtà e di correttezza sportiva.Quanto ai profili sanzionatori, occorre sottolineare che le norme dell'ordinamento sportivo non prendono in considerazione le fattispecie di sciopero, mentre gli statuti federali degli sport di squadra prevedono, in generale, delle penalizzazioni per le socie-tà i cui atleti non sì presentino o si presentino in ritardo per la disputa della gara.Proprio con riferimento ai profi-li in questione, la dottrina lavori-stica (Sandulli) tende a distinguere «l'ipotesi di sciopero limitato a singole squadre » e « l'ipotesi di sciopero di portata ge-nerale ».Nell’operare tale distinzione si ri-leva che nel caso di sciopero pro-clamato dai lavoratori sportivi di una singola società (sciopero

aziendale), non sussisterebbero particolari criticità sotto il profi-lo del regime di disciplina, in quanto le norme federali degli sport di squadra prevedono che le società siano oggettivamente responsabili dell'operato dei pro-pri tesserati e prevedono che nel caso la società non disputi una gara ufficiale subirà la sconfitta della partita e la penalizzazione dì un punto in classifica.Con riferimento all’ipotesi in cui sciopero interessasse invece l'intera categoria, si identifica-no, invece, due possibili soluzio-ni. Per un verso, potrebbe essere disposta la ripetizione delle gare per evitare che venga alterato il regolare svolgimento dei campionati. Per altro verso, po-trebbe prospettarsi uno svolgi-mento delle gare senza che le stesse siano ripetute, con un evi-dente vantaggio per le per le so-cietà favorite da una scarsa adesione dei relativi sportivi allo sciopero o che riescano ad attingere ad eventuali formazio-ni “giovanili” di livello.È stato rilevato (Chianchi) che “i pro ed i contro di queste due soluzioni si bilanciano perfetta-mente”, atteso che, per un verso, la ripetizione degli incontri potrebbe inficiare l'azio-ne di protesta sindacale che in tal modo dovrebbe essere ripetu-ta in occasione di ogni rinvio delle gare fintanto non siano accolte le rivendicazioni, senza però un’effettiva incidenza sull’esito finale delle competi-zioni sportive; la seconda solu-zione invece non inciderebbe sull’azione sindacale, ma il ri-sultato delle competizioni sporti-ve sarebbe sicuramente falsato.In ogni caso si ritiene, come già in precedenza anticipato, che

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qualsiasi sanzione che l'ordina-mento sportivo applichi agli sportivi allo scopo di punire lo sciopero o le altre forme di prote-sta collettive legittime, risulte-rebbero in contrasto con le garanzie alla libertà sindacale oggetto dello Statuito dei Lavo-ratori, che trovano de plano appli-cazione anche con riferimento alle fattispecie in esame.Non si ritiene, infatti che le sanzioni che l'ordinamento sporti-vo applica alle società o associa-zioni sportive a seguito del mancato o del ritardato inizio delle competizioni programmate possano costituire motivo di ri-valsa sui lavoratori anche se di-pendesse da costoro la mancata o ritardata partecipazione della società ai prima citati eventi. Ovviamente, in tali ipotesi, la so-cietà sportiva sarà legittimata a trattenere i compensi spettanti ai lavoratori scioperanti per non aver prestato la loro attività. Con specifico riferimento alle conse-guenze economiche, sempre Sandulli rileva che «non v'è dubbio che la prestazione sporti-va, qualunque sia, risulta dalla composita combinazione di una sequenza differenziata di attività di diverso valore e contenuto sportivo ed economico nel cui ambito oltretutto assume, e non casualmente, uno specifico valo-re anche il tempo del non lavo-ro». Ne deriva che la “reazione” allo sciopero consistente nella trattenuta retributiva proporziona-le alla durata dello stesso non pos-sa trovare applicazione de plano nelle fattispecie in esame in ragio-ne dell’evidente differenziazio-ne, in termini di rilevanza economica, tra giorni in cui la prestazione dello sportivo sia li-

mitata all’allenamento ed alla pre-parazione e giornate in cui sono invece collocate le competizioni sportive. In merito, potrebbero ri-levare in termini analogici le pre-visioni federali che disciplinano i limiti massimo di trattenibilità dei compensi annui spettanti al la-voratore sportivo nel caso di squalifica e per tutta la durata della stessa, che, in alcuni ordina-menti sportivi, prevedono la de-traibilità dell’intero compenso settimanale in ipotesi di squalifi-ca relativa all’evento sportivo collocato entro tale ambito tempo-rale.Nel trarre alcune considerazioni di sintesi, non può infine non rile-varsi l’opportunità di un intervento legislativo che, inci-dendo sulla legge n. 91/1981, de-finisca forme di autoregolamentazione relativa alle modalità di esercizio del di-ritto di scioperoEd infatti come rilevato da attenta dottrina, «a differenza di quanto accade nel comune lavo-ro subordinato, qui sussistono tutte le condizioni per concorda-re forme dì autoregolamentazio-ne aventi efficacia generalizzata » (Bianchi D'Urso-Vidirì), giacché il meccanismo contrattua-le stabilito dal legislatore al comma 1 dell'art. 4 della legge n. 91/1981, stabilisce che la disci-plina individuale del rapporto di impiego sportivo debba essere conforme agli accordi collettivi-contratti tipo stipulati dalle contrapposte organizzazioni sindacali, potendo trovare piena espressione, in tale ambito, gli effetti dell’art. 2077 c.c..Ne deriva quindi che, su impulso legislativo, le disposizio-ni contrattual-collettive di setto-

re potrebbero, del tutto legittimamente, delineare un’au-toregolamentazione del diritto di sciopero dotata di efficacia di-retta sui singoli rapporti di impiego, legittimando, di converso, l’applicazione di sanzioni disciplinari in ipotesi di mancato rispetto delle regole fis-sate in sede negoziale.

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L’esame delle novità introdotte negli ultimi tempi in materia di contenzioso tributario deve prendere le mosse dall'esame degli effetti che potrà produrre, anche in questo giudizio, l’introduzione di un contributo unificato, graduato in ragione del valore della controversia.Si renderà necessaria una

maggiore attenzione da parte dei professionisti al rispetto di alcune nuove formalità che vanno dall’indicazione del valore della pratica, il cui mancato inserimento non produce la nullità dell’atto ma l’applicazione del contributo nella misura massima di €. 1.500, dal materiale versamento dello stesso contributo, l'allegazione della quietanza la redazione della nota di deposito contenente l'indicazione dell'indirizzo di posta certificata del professionista. Si può affermare che tutto ciò avrà

un indubbio riflesso sulle spese che il contribuente dovrà sostenere per poter accedere al giudice tributario.Proseguendo, in modo sommario e senza il necessario approfondimento, nell'elencazione delle novità si deve riconoscere che un particolare rilievo assume il

Si renderà necessaria una maggiore attenzione da parte dei professionisti al rispetto di alcune nuove formalità

Giulio Renato Fiorimanti (*)

NOVITA' IN MATERIA

DI CONTENZIOSO TRIBUTARIO

Giorgetto Marconi (**)(*) Dottore Commercialista(**) Giudice tributario

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Foto di Franco Tours by Flick

condono delle liti fiscali pendenti in essere presso le Commissioni Tributarie di valore inferiore a 20.000 euro di sole imposte, escluse cioè le sanzioni e gli interessi. Il valore si riferisce alle sanzioni solo quando queste rappresentano la materia del contendere. In effetti, analizzando la sua genesi, non dovrebbe presentare soverchi caratteri di novità e difficoltà di applicazione, poiché si tratta della riproduzione della stessa fattispecie statuita nell'art.16 della legge 289/2002, ma,

purtroppo, non é così.Nessun rilievo è stato dato, al momento della stesura delle nuove norme, che dalla precedente versione erano trascorsi ben nove anni, un tempo enorme se solo si considera la proliferazione delle norme che attengono la materia tributaria. Tra le innovazione, la più rilevante riguarda senza dubbio la costituzione di Equitalia Gerit spa, che ha sostituito il Monte dei Paschi di Siena nella funzione di

concessionario per la riscossione. Inoltre, nel 2002 non era stato ancora regolamentato le attività del concessionario in merito ai fermi amministrativi.Fatta questa premessa, si rende necessario esaminare se il condono ora istituito sia possibile, come cita la legge, nei soli giudizi instaurati nei confronti dell'Agenzia delle Entrate oppure lo stesso possa essere validamente proposto anche nei confronti dei giudizi promossi nei confronti degli atti emessi da Equitalia Gerit spa.Si ritiene di poter sostenere la tesi di coloro che, nell'ipotesi di ricorso promosso nei confronti di un atto emesso dal concessionario, con il quale il contribuente viene a conoscenza, per la prima volta, di un credito vantato nei suoi confronti dall'Agenzia delle Entrate, riconoscono allo steso ricorrente la possibilità di contestare in quella sede oltre ai vizi propri dell'atto notificato anche il rapporto sottostante che aveva dato luogo all'iscrizione a ruolo. In tal modo si potrebbe supplire alle carenza del legislatore e dare una soluzione logica al problema relativo alla validità del condono proposto nei giudizi in cui non è parte l'Agenzia delle Entrate.Ben altro problema, invece, si presenta, sempre a causa della frettolosa riproposizione delle

norme del 2002, se devono essere esaminati gli effetti del condono sugli atti di esecuzione posti in essere dalla stessa Equitalia Gerit spa, quali fermi amministrativi ed iscrizioni ipotecarie.La norma prevede che tutti i giudizi in corso, che possono essere chiusi con l'adesione al condono, vengono sospesi fino al 30/09/2011, senza indicare alcuna sospensione per gli atti esecutivi, relativi alle stesse istanze condonabili, poste in essere da Equitalia Gerit spa.E' appena il caso di esaminare quanto potrebbe avvenire nel caso di ricorso tempestivamente proposto alla Commissione Tributaria contro un avviso di accertamento che non sia stato tempestivamente deciso e quindi abbia dato luogo ad una iscrizione provvisoria.Il ricorrente vede il proprio giudizio sospeso fino al 30 settembre 2011, quindi prima di tale data non potrà vedere sancita, nel caso di condono, la cessazione della materia del contendere, rimanendo nel frattempo sottoposto ed indifeso all'azione esecutiva che il Concessionario può intraprendere nei suoi confronti in forza dell'iscrizione parziale posta in essere.Appare evidente che il tema risulta meritevole di un maggior approfondimento per evitare che si possano creare

Il ricorrente vede il proprio giudizio sospeso fino al 30 settembre 2011

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Burgos - pellegrino stanco sul Cammino di Santiago Foto di lancierebianco by Flick

per il ricorrente situazioni di indubbia difficoltà, in quanto nella fattispecie non può soccorrere , per la sua scarsa efficacia neanche l'istanza di sospensiva inoltrata alla stessa Commissione Tributaria.Quelle elencate, però, non sono le sole novità che sono state apportate al contenzioso tributario, poiché è noto a tutti che dal prossimo primo ottobre prenderanno corpo i cosiddetti “accertamenti esecutivi”, mentre dal 1 aprile 2012 troveranno applicazione gli istituti del reclamo e della mediazione.

Per le sole controversie relative ad imposte di importo non superiore ad €.20.000,00, senza tenere conto degli interessi e delle sanzioni, dal 1 aprile 2012 il contribuente, che vuole opporsi ad un atto dell’Agenzia delle Entrate, deve presentare il reclamo alla Direzione Provinciale o alla Direzione Regionale che ha emanato l’atto. A prima vista si potrebbe vedere una analogia con quanto previsto a suo tempo per i ricorsi contro gli atti dei Centri di Servizio

per i quali, prima di attivare il vero e proprio contenzioso, era previsto un riesame da parte dell’Ufficio.Anche nella nuova fattispecie il reclamo rappresenta il primo atto del ricorso ed in quanto tale deve contenere tutte le eccezioni rilievi chi si intendono sottoporre all’esame dei giudici, poiché in tale ultima sede sarebbero improponibili argomenti non eccepiti nel reclamo.Una caratteristica della nuova procedura risulta essere la facoltà di inserire nel reclamo stesso una proposta di mediazione. L’Ufficio di contro può, in caso di rigetto del reclamo e della proposta di mediazione formulata dal contribuente, formulare una propria proposta di mediazione sulla base di un esame preventivo della sostenibilità delle proprie pretese in sede contenziosa.A completamento di questa sommaria elencazione delle novità che riguardano il contenzioso tributario rimane da rilevare che il silenzio dell’Ufficio protrattosi per novanta giorni il reclamo produce gli effetti del ricorso attuale e pertanto il contribuente deve dare corso al contenzioso ed alla sua costituzione in giudizio. Da ultimo viene statuito un incremento delle spese di giudizio nei confronti della parte soccombente.Da rilevare, anche se la norma

nulla dice in merito, anche il reclamo dovrà essere presentato da un professionista abilitato a sostenere il contenzioso di fonte ai giudici tributari.

L’Ufficio può, in caso di rigetto del reclamo e della proposta di mediazione del contribuente, formulare una propria proposta di mediazione

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L’articolo 11 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 converti-to con modificazioni in Legge 14 settembre 2011, n. 148 reca nel titolo “Livelli di tutela es-senziali per l’attivazione dei tiro-cini”. In sintesi i punti qualificanti della norma sono i se-guenti:a) I tirocini contemplati dalla norma sono i “tirocini formativi e di orientamento”b) tali tirocini possono “essere promossi unicamente da soggetti in possesso degli specifici requisi-ti preventivamente determi-nati dalle normative regionali in funzione di idonee garanzie

all'espletamento delle iniziative medesime”.c) tali tirocini non possono ave-re una durata superiore a sei me-si, proroghe comprese,a. da tale regola sono esclusi:i. I tirocini formativi e di orienta-mento per i disabili, gli invalidi fi-sici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti e i condannati ammes-si a misure alternative di detenzio-neii. I tirocini “curriculari”

d) I tirocini possono essere pro-mossi unicamente a favore di neo-diplomati o neo-laureatie) entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento del relativo ti-tolo di studio.

Il comma 2 dell’articolo 11 aggiunge, inoltre, che, in as-senza di specifiche regolamenta-zioni regionali trovano applicazione, per quanto compatibili con le disposizioni di cui al comma che precede, l'articolo 18 della legge 24 giu-gno 1997 n. 196 e il relativo re-golamento di attuazione.La norma trae origine dall'accordo per il rilancio del contratto di apprendistato siglato il 27 ottobre 2010 tra Governo, Regioni e parti sociali. In quella sede le parti “hanno convenuto in merito alla necessità di perve-nire a un quadro più razionale ed efficiente di utilizzo dei tirocini formativi e di orientamento al fi-ne di valorizzarne le potenzialità in termini di occupabilità dei gio-vani e prevenire gli abusi e un lo-

TIROCINI FORMATIVI E DI

ORIENTAMENTO: OPPORTUNITA' O

PASTICCIO?L'articolo 11 della "Manovra" disciplina i livelli essenziali di tutela per i tirocini di formazione e orientamento

Antonio Carlo Scacco

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ro utilizzo distorto.”. [1] Tutto ciò ha trovato ulteriore conferma nel più recente accordo tra Go-verno e parti sociali dell'11 lu-glio 2011.Più in particolare la norma si pro-pone di definire “livelli essenzia-li di tutela” e, quindi, ricondurre l’utilizzo dei tirocini alla loro “ca-ratteristica principale, quale pre-ziosa occasione di formazione e orientamento dei giovani a stretto contatto con il mondo del lavoro, fornendo altresì ai servi-zi ispettivi una strumentazione omogenea sull’intero territorio na-zionale per contrastarne l’uti-lizzo abusivo e fraudolento.”[2]

La competenza esclusiva delle Regioni

La disposizione di cui all’artico-lo 11 del DL 138 parla, come pre-messo, esclusivamente di tirocini “formativi e di orienta-mento”. Anche l’articolo 18 della legge 196/1997 parla di “ti-rocini pratici e stages” attivabili al fine “di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e di agevolare le scelte professiona-li mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro”: il tiroci-nio o stage, pertanto, non è fina-lizzato al “reinserimento” o all’ “inserimento” del tirocinante nel mondo del lavoro[3]. Lo stesso decreto ministeriale 142/1998, attuativo dell’articolo 18 della ci-tata legge 196/1997, all’articolo 7 lettera b) parla di “lavoratori inoccupati o disoccupati ivi compresi quelli iscritti alle liste di mobilità” ma la legge di riferi-mento, cui ovviamente è subordi-nato il decreto ministeriale, non parla di “inoccupati o disoccu-pati”[4]. Non pare infine condivi-

sibile la tesi, contenuta nella circolare n. 4/2011 della Fonda-zione studi dei Consulenti del la-voro, secondo cui i tirocini di inserimento/reinserimento lavo-rativo si desumerebbero dall’arti-colo 2 lett. B) del d.lgs. 276/2003 (tale norma contiene delle semplici definizioni) [5].

Tanto premesso la circolare mini-steriale n. 24 del 12 settembre, invero intervenuta a tempo di re-cord rispetto ai tempi di conversione della legge, distingue nettamente i tirocini di “formazione e orientamento” dai tirocini di “reinserimento/inseri-mento”: ”Non rientrano invece nel campo di applicazione del de-

creto … i tirocini di cosiddetto reinserimento/inserimento al lavo-ro svolti principalmente a favore dei disoccupati, compresi i lavo-ratori in mobilità, e altre espe-rienze a favore degli inoccupati la cui regolamentazione rimane integralmente affidata alle Regio-ni fermo restando, per quanto attiene alla durata massima, il disposto di cui all'articolo 7, comma 1, lett. b), del D.M. 25 marzo 1998, n. 142.”. Escluso che la circolare n. 24 abbia volu-to rendere i tirocini di inseri-mento “una categoria autonoma anche sul piano giuridico”[6] atte-so che, come noto, la circolare

vincola solo l’amministrazione di appartenenza e non è idonea a incidere su una materia sulla quale persistono finanche fondati dubbi sulla competenza del legislatore ordinario, è opportuno rilevare che il “ge-nus” dei tirocini di “reinseri-mento/inserimento” lavorativo è di costruzione esclusivamente amministrativa o regolamentare (prescindendo, ovviamente, dalla legislazione regionale). Tracce se ne trovano nella nota del 2 aprile 2010, n. 7 (richia-mata espressamente dalla circo-lare 24) , concernente la possibilità di attivare percorsi di tirocinio "atipici", ai sensi dell'art 1322 c.c., in favore di categorie di persone a rischio di esclusione sociale ovvero pro-mossi da soggetti diversi da quelli tassativamente indicati dall'art. 18, L. n. 196/1997 e dalla relativa disciplina regiona-le. Ulteriore cenno lo si rinviene nella nota Minlav del 14 febbra-io 2007 - Prot. 13/SE-GR/0004746, con riferimento all’obbligo di comunicazione al centro per l’impiego: “Di converso, rientrano negli obbli-ghi di comunicazione i tirocini promossi dai centri per l'impie-go e da altri soggetti operanti nel campo delle politiche del la-voro a favore di soggetti inoccu-pati o disoccupati, nonché di soggetti svantaggiati o di disabi-li, con la finalità di favorirne l'inserimento lavorativo.”. Poi-ché nella legislazione ex articolo 11 in commento ed ex lege 196/1997 è assente la tipologia del tirocinio di inseri-mento/reinserimento lavorativo ( vedi sopra), il riferimento ope-rato dalla circolare 24 non può che attenere alle singole legisla-

La circolare Minlav 24/2011 ha escluso dalla applicabilità dell'articolo 11 i tirocini di inserimento e e reinserimento lavorativo

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zioni regionali. Ad esempio la “Carta dei tirocini e stage di quali-tà in regione Toscana[7]”, laddo-ve il tirocinio viene definito una misura di accompagnamento al la-voro finalizzata a creare un contatto diretto tra una persona in cerca di lavoro ed un’azienda allo scopo sia di permettere al ti-rocinante di acquisire un’espe-rienza per arricchire il proprio curriculum sia di favorire una possibile costituzione di un rapporto di lavoro con l’azienda ospitante. ” Si noti che la Carta include espressamente “i tirocini soggetti all’obbligo di comunica-zione obbligatoria ai Centri per l’impiego”, ossia i tirocini di inse-rimento/reinserimento lavorati-vo, nonché i “tirocini formativi e di orientamento” mentre esclude “gli stage/tirocini curriculari pro-mossi da università, istituzioni scolastiche, centri di formazione professionale e i periodi di prati-ca professionale” . Inci-dentalmente si osserva che si profilano già delle discrepanze tra la normativa regionale e quella statale: ad esempio nella ci-tata Carta si legge che “La du-rata del tirocinio deve essere diversificata a seconda delle mansioni svolte e del relativo pro-getto formativo e comunque non deve superare i sei mesi (non infe-riore ad un mese per i profili più elementari) fatto salvo un perio-do formativo fino a dodici mesi per i profili più elevati.”. L’ulti-mo periodo confligge manifesta-mente, nel caso trattasi di tirocinio formativo, con la chiara lettera dell’articolo 11 del decre-to legge.

Allo stesso modo non sembra condivisibile l’inciso, contenuto nella circolare 24, secondo cui “i

tirocini di cosiddetto reinseri-mento/inserimento al lavoro svolti principalmente a favore dei disoccupati, compresi i lavo-ratori in mobilità, e altre espe-rienze a favore degli inoccupati la cui regolamentazione rimane integralmente affidata alle Regio-ni” sono comunque assoggettati, per quanto attiene alla durata mas-sima, al disposto di cui all'artico-lo 7, comma 1, lett. b), del D.M. 25 marzo 1998, n. 142 (termine non superiore a sei mesi nel caso in cui i soggetti beneficiari sia-no lavoratori inoccupati o disoccupati ivi compresi quelli iscritti alle liste di mobilità). Il re-golamento ministeriale, come già rilevato, nel ricomprendere

gli inoccupati e i disoccupati tra i soggetti destinatari dei tirocini (di inserimento e reinserimento) opera chiaramente una indebita forzatura nei confronti della legge (alla quale è ovviamente subordinato), in una materia, pe-raltro, di cui si dubita la stessa competenza del legislatore stata-le.

Qualche osservazione

Intanto appare singolare che le “norme essenziali di tutela” in materia di tirocini di cui all’arti-colo 11 siano destinate esclusiva-

mente ai tirocini di formazione ed orientamento e non, come sa-rebbe stato possibile, anche ai ti-rocini di inserimento/reinserimento lavo-rativo (per i quali invece, come si dirà, poteva essere fatto molto di più). Come si ricorderà la Corte costi-tuzionale, con sentenza n. 50 del 2005, dichiarò la incostituziona-lità della disciplina contenuta nell’articolo 60 del D.Lgs. 276/2003 ( Tirocini estivi di orientamento), motivando in modo piuttosto stringato e apo-dittico: “Infatti, la disciplina dei tirocini estivi di orientamento, dettata senza alcun collega-mento con rapporti di lavoro, e non preordinata in via imme-diata ad eventuali assunzioni, attiene alla formazione professio-nale di competenza esclusiva delle Regioni.”. A noi sembra, dall’esame dello scrutinio condotto dalla Corte costituzio-nale nella citata sentenza, possa – a contrario – ipotizzarsi la competenza dello Stato nella re-golamentazione dei tirocini di inserimento/reinserimento (anche al di là dei meri livelli essenziali di tutela) purchè colle-gati (in via immediata o quanto-meno diretta) ad una eventuale assunzione e/o ingresso nel mondo del lavoro del tirocinante (in questo caso si potrebbe ipo-tizzare la sussistenza di relazioni giuridiche private riconducibili alla materia costituzionale “ordi-namento civile”, almeno nell’ambito di “concorrenza di competenze e non di compe-tenza ripartita o concorrente” ). Ci sembra però che l’esigenza di non incidere sui rapporti di tiro-cinio direttamente e immediata-mente collegati al mondo del

La Corte costituzionale si è già pronunciata sulla incompetenza statale a disciplinare i tirocini non collegati in alcun modo ad un rapporto di lavoro

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lavoro derivi da considerazioni strettamente politiche (in primis la necessità di non creare un “doppione” del rapporto di apprendistato). I livelli essenziali stabiliti dalla norma ( in sintesi: a) la durata massima (sei mesi); b) la circostanza che possono es-sere promossi unicamente a favo-re di neodiplomati o neo-laureati c) entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento del relativo ti-tolo di studio) si prestano a delle critiche. Ad esempio si è detto, relativamente al periodo di durata massima del tirocinio, che “E' nostra convinzione che sei mesi siano più che sufficienti per valutare un giovane tanto e vero che è questo il limite legale del patto di prova come previsto dal Codice Civile del lontano 1942.”[8]: ma in un tirocinio di “formazione e orientamento” la durata dello stesso non può esse-re assimilata ad un periodo di pro-va (il quale, oltre ad essere accidentale, assolve alla diversa funzione di consentire alle parti di pervenire ad una migliore valu-tazione riguardo alla conve-nienza reciproca di un eventuale rapporto di lavoro definitivo). Anzi si dovrebbe presumere che in un tirocinio formativo la du-rata sia in qualche modo modu-lata sulla natura e sul livello di competenze da trasferire al tiroci-nante (ed oggettivamente il limi-te massimo di sei mesi appare in taluni casi insufficiente). Vice-versa manca nella norma qualsia-si accenno all’obbligo di assicurazione antinfortunistica (certamente da considerare “li-vello essenziale” delle prestazio-ni con riferimento ai diritti sociali dei tirocinanti), se tale non vuol essere inteso il generi-co richiamo al regolamento mini-

steriale.

Considerazioni possono essere fatte anche sul merito della norma. Non si capisce ad esempio la limitazione operata ri-guardo ai soggetti destinatari (uni-camente neodiplomati e neolaureati), per di più entro e non oltre dodici mesi dal conse-guimento del titolo di studio. Se si comprende la esclusione dei disoccupati e degli inoccupati (nel primo caso il tirocinio avrebbe assunto i connotati del ti-rocinio di inserimento, nel se-condo del reinserimento), non si comprende la esclusione operata ai danni di altre categorie: ad

esempio coloro che hanno termi-nato un master universitario. La norma sembra privilegiare i gio-vani (con l’inserimento del termi-ne temporale dei dodici mesi dal conseguimento del titolo); già l'articolo 1 dell'articolo 18 della legge 196/1997, nel parlare di ti-rocini formativi e di orienta-mento, si riferiva esplicitamente a «momenti di alternanza tra stu-dio e lavoro» e di esperienze tese ad «agevolare le scelte professio-nali mediante la conoscenza di-retta del mondo del lavoro». Ma il mondo del lavoro non è sempre lo stesso, ovvero non esi-ste un solo settore lavorativo . Il

giovane che si affaccia nel mondo del lavoro nel settore, ad esempio, sanitario potrebbe tro-vare utile riaffacciarvisi decine di anni dopo in un settore affatto diverso, ad esempio informatico. Perché negargli in questo caso l’opportunità di un tirocinio formativo?

Appare sensata la tesi secondo cui, nell’impianto disegnato dall’intrecciarsi della norma le-gale con quella amministrativa, i tirocini formativi e di orienta-mento siano destinati ai giovani mentre quelli di inseri-mento/reinserimento lavorativo appaiono destinati ai meno gio-vani: questi ultimi “ rappresenta-no la ragionevole opportunità concessa a un lavoratore in mo-bilità o a un vero disoccupato, specie in aree svantaggiate, di reinserirsi nel mondo del lavoro con quello che c'è, per esempio un tirocinio promosso da un centro per l'impiego.” [9] Ma se tale esigenza era così sentita perché non regolamentarla, alme-no nei livelli essenziali (considerato che la Corte costitu-zionale, nella sentenza 50, ne aveva implicitamente ammesso – a contrario - la regolabilità con fonte statale a condizione che esistesse un collegamento imme-diato col mondo del lavoro) con una norma di legge? e quanto giusitificato appare il timore (di natura squisitamente politica) di fare del tirocinio di inseri-mento/reinserimento un “doppio-ne” dell’apprendistato se il primo pare destinato, quasi esclusivamente, ai meno giova-ni? Pare indubbio che persi-stendo la latitanza della legge (statale), sotto il profilo della garanzia dei livelli essenziali ma

Numerose le incongruità, di metodo e di merito, che si riscontrano nel testo dell'articolo 11

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anche sotto quello della regolamentazione vera e propria, l’unica fonte possibile del tiroci-nio di inserimento/reinserimento lavorativo potrà essere la fonte (legge) regionale che, come no-to, è piuttosto carente sul punto. Il risultato, paradossale, è che una norma (l’articolo 11) concepi-ta per eliminare gli abusi, con la successiva coda della circolare 24 fortemente critica verso il comportamento (omissivo) delle regioni, in realtà avvalora e ali-menta (non tanto per quello che dice, quanto per ciò che non di-ce) il persistere di un sistema dua-le nel nostro ordinamento lavoristico, a tutto svantaggio dei soggetti (già) svantaggiati (inoccupati e disoccupati).

Una questione aperta: la certifi-cabilità del tirocinio

Una interessante questione concerne il possibile assoggetta-mento del tirocinio alla procedu-ra di certificazione dei contratti di lavoro di cui agli artt. 75 e ss del D.Lgs. 276/2003. Recita l’arti-colo 75, nella attuale formulazio-ne:” 1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro, le parti possono ottenere la certifi-cazione dei contratti in cui sia de-dotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita nel presente ti-tolo”.

E’ noto che il tirocinio o stage non costituisce un rapporto di la-voro (conferma l’articolo 18 co.1 lett. D della legge 196/1997); anche la giurispru-denza è consolidata nel ritenere che “l'addestramento professiona-

le non rientra nell'ambito del la-voro subordinato, a differenza dell'apprendistato in quanto, pur essendo nell'uno come nell'altro presente una prestazione di attivi-tà fisica o intellettuale da parte dell'allievo o dell'apprendista, nel primo l'unico oggetto del contratto è l'insegnamento impartito (o fatto impartire) dall'imprenditore ai fini della formazione professionale dell'allievo e la prestazione di atti-vità da parte di quest'ultimo, in quanto richiesta solo perché lo

stesso acquisisca le nozioni prati-che necessarie alla suddetta formazione, è estranea al si-nallagma contrattuale e, perciò, non in rapporto di corrispettività con l'addestramento, né con l'eventuale indennità mensile o giornaliera”[10].

Pertanto l’unica possibilità di farlo rientrare nelle previsioni del citato articolo 75 si verifica nel caso in cui sia dedotta, all’interno dello stesso tirocinio, un indiretta prestazione di lavo-ro. Resta infatti esclusa dal rapporto di tirocinio la individua-zione di una prestazione diretta la-vorativa dal momento che l’attività del tirocinante svolta presso il soggetto ospitante non

si configura alla stregua di un ve-ro e proprio rapporto di lavoro (l’attività è svolta nell’interesse dello stesso tirocinante e non del soggetto ospitante, manca una vera e propria retribuzione ec.). La stessa equiparazione dei tiro-cinanti ai lavoratori quanto all’applicabilità della tutela pre-venzionistica in materia di igie-ne e sicurezza rileva “di fatto dalla relazione del tirocinante con l’ambiente di lavoro”[11] e dal punto di vista giuridico “rile-va sul piano pubblicistico nell’ambito di una disciplina che, non a caso, è presidiata da sanzioni penali e amministrati-ve”[12]

Tanto premesso pare di poter concludere sulla non certificabi-lità del “tirocinio formativo o di orientamento” (ex articolo 11 DL 183/2011), ossia , per usare le parole della Corte costituzio-nale, dei tirocini “ senza alcun collegamento con rapporti di la-voro, e non preordinati in via immediata ad eventuali assunzio-ni”, mancando qualsiasi riferi-mento, indiretto e indiretto, ad un rapporto di lavoro ( come ri-chiesto dall’articolo 75).

Viceversa potrebbe essere ammissibile ( ma non vi sono certezze sul punto) una certifica-zione dei tirocini di inserimento e reinserimento lavorativo, ossia di quei tirocini, di esclusiva competenza regionale stante l’attuale silenzio del legislatore statale, in qualche modo colle-gati o preordinati ad una eventuale e successiva assunzio-ne del tirocinante. In tal caso po-trebbe essere invocata la lettera della legge laddove richiede,

Il tirocinio di formazione e orientamento non è certificabile con la procedura ex art. 75 e ss d.lgs. 276/2003

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quale condizione per la certifica-bilità del contratto, una deduzio-ne (almeno) indiretta del rapporto di lavoro (qui si tratte-rebbe di una deduzione futura ed eventuale), avendo cura di verifi-care, sulla base della legislazio-ne regionale di competenza, i contenuti e la natura del tirocinio.

-----------------------[1] Circolare Minlav n,. 24 del 12 settembre 2011. Conf. Senato della Repubblica, Relazione all'art. 11, DDL 2887

[2] Circolare Minlav n,. 24 cit.

[3] Conferma M. Tiraboschi in http://www.repubblicadeglistagi-sti.it :” leggendo bene la legge 196/1997 e il decreto ministeria-le 142/1998, si vedrà che l’oggetto della legislazione previ-gente erano unicamente i tirocini con valenza formativa o di pri-mo contatto col mondo del lavo-ro.”

[4] “Il decreto ministeriale è subordinato alla legge, e la legge non parlava di disoccupati: ri-comprenderli è stata una chiara forzatura, facendolo si è aggiunta una categoria non contemplata dal campo di applica-zione della legge 196. I lavorato-ri in mobilità o che hanno perso il posto non necessitano certo di un primo contatto nel mondo del lavoro. Quindi, ribadisco, non hanno bisogno di tirocini di orientamento, bensì di tirocini di inserimento e reinserimento.” M.Tiraboschi, cit.

[5] Si legge nella circolare::” E’ possibile distinguere i tirocini: - finalizzati alla formazione e orientamento che si pone l’obietti-

vo di agevolare le scelte profes-sionali e la occupabilità dei giovani nella fase di transizione dalla scuola al lavoro mediante una formazione in ambiente pro-duttivo e una conoscenza diretta del mondo del lavoro (art. 18, legge 196/1997 e DM 142/1998); - per l’inseri-mento/reinserimento lavorativo (art. 2, lett. b) D.Lgs. 276/2003), svolti nei confronti di disoccu-pati, inoccupati o coloro che hanno perso momentaneamente il posto di lavoro; ….”

[6] G.Falasca, “Tirocini per i disoccupati con disciplina autono-ma”, Sole 24Ore 16 settembre 2011

[7] Delibera Giunta Regionale n. 339 del 09.05.2011

[8] M.Tiraboschi “Tirocini: il ma-chismo (e l'impotenza) delle Re-gioni, l'ipocrisia delle imprese” in www.adapt.it

[9] Conferma M.Tiraboschi, cit.

[10] Tra le tante Cass n. 630/1998, Cass., n. 5731/1990; Cass., S.U., n. 4814/1986

[11] M.Persiani “I nuovi contratti di lavoro”, 2010

[12] P.Pascucci “Stage e lavoro: la disciplina dei tirocini formati-vi e di orientamento”, 2008

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Di norma, nella cause per mobbing è la vittima delle vessa-zioni che si rivolge al giudice, al fi-ne di ottenere giustizia oltre al risarcimento del danno patito da parte dal datore di lavoro (e/o dal soggetto persecutore, il mobber, appunto). Soventemente, però, in un se-condo momento, è l'azienda a pro-muovere un’azione nei confronti del mobber, finalizzata all’accerta-mento della violazione di norme e, quindi, del risarcimento di quanto abbia eventualmente dovu-to corrispondere, a seguito di sentenza di condanna, alla vittima.Del resto, è oramai più che pacifi-co come, anche nel caso in cui l’attività di mobbing sia stata portata avanti da un soggetto inseri-

to nei ruoli aziendali, è l’azienda che, ex art. 2087 c.c., ha l’onere di provare di avere adottato tutte le misure necessarie a prevenire l'evento dannoso.Sul punto, interessante è il contenu-to della sentenza n. 12445 del 25 maggio 2006 della a Corte di Cas-sazione con la quale, in relazione ad una fattispecie nella quale il mobber era il presidente di un'asso-ciazione, è stato ritenuto che incombesse su quest’ultima, contrattualmente tenuta a tutelare il dipendente sulla scorta del conte-nuto dell'art. 2087 cod. civ., l'one-re di provare appunto avere adottato tutte le misure necessarie a prevenire l'evento dannoso.Tra l’altro, sempre secondo la Su-prema Corte (v. sentenza n. 18262 del 29 agosto 2007), è da ricono-scere la responsabilità per condotta mobbizzante del datore di lavoro, non solo quale soggetto agente direttamente, ma anche per non essersi lo stesso perso-nalmente attivato per far cessare i comportamenti scorretti dei di-pendenti.Nel caso in esame, ex adverso, l'as-sociazione si era limitata a sostene-re di avere deferito il presidente al collegio dei probiviri, attuando se-

condo i giudici di legittimità, un'iniziativa diretta alla repressio-ne e non alla prevenzione dei fatti mobbizzanti e, conseguente-mente, non idonea a costituire adempimento degli obblighi previ-sti dal richiamato art. 2087 cod. civ.

LA SENTENZA DELLA CORTE DEI CONTI - SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA

Ancorché abbia contenuti e rifles-si pubblicistici, appare sul punto interessante la sentenza n. 2028/2011 del 23 maggio 2011 con la quale la sezione giurisdizio-nale per la regione siciliana della Corte dei Conti ha fornito una interessante lettura sul diritto del datore di lavoro (pubblico) ad ottenere il risarcimento da parte di un proprio dirigente-mobber.La decisione in esame è stata emessa in un giudizio di responsa-bilità amministrativa patrimoniale promosso dalla procura regionale nei confronti del sindaco, del se-gretario comunale e del co-mandante della locale polizia municipale di un comune che era stato condannato in un giudizio

QUANDO L'AZIENDA E'

CONTRO IL MOBBERQualche volta è l'azienda ad essere contro il mobber, ossia colui che si è reso responsabile di azioni di mobbing

Luigi Pelliccia

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instaurato da un proprio di-pendente comunale, al fine di otte-nere il risarcimento dei danni causati dalla condotta riconosciuta come mobbizzante dal giudice del lavoro, che l’amministrazione co-munale avrebbe tenuto, quale datri-ce di lavoro.Dall’istruttoria che il PM contabi-le aveva posto alla base della richie-sta di condanna vi erano:- la mancata attribuzione delle funzioni indicate nella sentenza del giudice del lavoro a favore del lavoratore mobbizzato;- la collocazione di quest’ultimo in locali distaccati rispetto ai colle-ghi;- i diversi episodi di mortificazio-ne posti in essere dei confronti dello stesso, descritti nella sentenza di condanna per mobbing;- la mancata inclusione del lavo-ratore interessato nei turni e nello svolgimento di mansioni che assi-curino la percezione di diverse indennità.I fatti oggetto della fattispecie ri-salgono al 2000, quando il sindaco sollevava il lavoratore dal co-mando di un comparto della locale polizia municipale, trasferendolo ad altro incarico. L’interessato ri-correva allora al giudice del lavo-ro, denunciando di essere stato destituito dall’incarico di co-mandante reggente dei vigili urba-ni per essere destinato allo svolgimento di mansioni inferiori, chiedendo, pertanto, la reintegrazio-ne nelle mansioni per le quali era stato assunto.L’adito tribunale accoglieva il ri-corso, ordinando al comune di reintegrare il lavoratore nelle funzioni di vice comandante dei vi-gili urbani. A seguito di successi-ve vicende riferite al proprio

incarico, il lavoratore di che tratta-si ricorreva nuovamente al giudice del lavoro al fine di ottenere il rico-noscimento del diritto al risarci-mento dei danni per condotta, a suo dire mobbizzante, tenuta nei suoi confronti dall’amministrazio-ne comunale. Il ricorso (nel quale venivano descritti episodi di morti-ficazione, di emarginazione ed iso-lamento) veniva accolto e l’amministrazione comunale veni-va condannata al risarcimento dei danni.Nel successivo giudizio d’appello l’adita corte territoriale, in riforma della sentenza del giudice di prime cure, nel confermare l’impossibili-tà di rimuovere il vice co-mandante dei vigili urbani dalle sue funzioni, riconosceva come uni-co limite a tale divieto l’incompati-bilità ambientale, riteneva legittimo il trasferimento del lavo-ratore di che trattasi.Il Comune decise di non impugna-re la sentenza di condanna per mobbing, giungendo invece ad una transazione con il lavoratore, al mero fine di dilazionare il paga-mento. Ed è da detto pagamento che ha originato il danno indiretto contestato dalla procura regionale della Corte dei Conti, il cui giudi-zio ha quindi preso le mosse da una ipotesi di danno indiretto cau-sato ad un comune a seguito della condotta asseritamente mobbizzante tenuta nei confronti di un dipendente dello stesso, ri-sarcito per danno da mobbing innanzi al giudice ordinario. Il danno indiretto, nella fattispecie, originava pertanto dalla condanna subita dal comune in sede civile per avere l’amministrazione tenu-to nei confronti di un proprio di-pendente una condotta riconosciuta come mobbizzante

dal giudice del lavoro.La sentenza in esame rileva preli-minarmente che le conseguenze di una condotta negativa (recte, mobbizzante) non sono state, in Italia, positivizzate dal legislatore, ma la condotta diviene rilevante per l’ordinamento ove la stessa, anche sotto il profilo medico lega-le, assurga a condotta dannosa, e ciò sulla base dei principi generali di cui all’art. 2043 c.c. e di quelli più specifici di cui all’art. 2087 del codice civile secondo la quale "l’imprenditore è tenuto ad adotta-re nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolari-tà del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro".Nella specie, l’adito giudice del la-voro, anche con l’ausilio di competente consulenza tecnica, ha accertato che, nei confronti del lavoratore interessato l’ammini-strazione comunale aveva tenuto una condotta mobbizzante, tale da giustificare la condanna al risarci-mento danni nei confronti della vittima. Il giudice civile giunge a condannare l'amministrazione a ri-sarcire il privato qualora ravvisi l’elemento psicologico del dolo e della colpa ai sensi dell’articolo 2043 c.c.. Nell'azione susse-guente di rivalsa per danno indi-retto, invece, il giudice contabile, al fine di addivenire ad una sentenza di condanna nei confronti degli amministratori che hanno agito, è chiamato invece ad individuare la colpa grave dell'agente pubblico e, successiva-mente, al fine di assicurare una corretta quantificazione della condanna, dovrà valutare l’eventuale vantaggio comunque conseguito dall'amministrazione

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o dalla comunità di riferimento, con il comportamento, pur per altri versi dannoso, da lui tenuto, potendo, inoltre, ricorrere anche all'applicazione del potere ridutti-vo. Ad avviso dei giudici contabili si-ciliani, il danno da mobbing è il danno subito dal lavoratore per le continue manifestazioni di emarginazione ed isolamento po-sti in essere da parte di colleghi e/o superiori; ciò che caratte-rizza tale fattispecie di danno è il protrarsi nel tempo delle condotte lesive da parte degli au-tori, non potendo, infatti, il singo-lo episodio rilevare affinché possa parlarsi di mobbing, bensì il reiterarsi delle condotte discri-minatorie nel tempo.Così come a suo tempo chiarito dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 22858/2008), questa condotta lesiva, per essere rile-vante ai fini dell’accoglimento della domanda per il risarci-mento del danno, deve però pro-trarsi per un periodo di almeno sei mesi (secondo quelle che so-no le indicazioni fornite dalla giu-risprudenza più recente), anche in relazione alle indicazioni offerte dalla medicina legale.La giurisprudenza civile ricono-sce spesso, in capo al datore di la-voro, la responsabilità per condotta mobbizzante, non solo quale soggetto agente diretta-mente, ma anche per non essersi lo stesso personalmente attivato per far cessare i comportamenti scorretti dei dipendenti (Cass. sez lav. n. 18262/2007). Il trasfe-rimento de plano di detti principi in sede contabile non è però condivisibile, dovendo sempre il giudice contabile parametrare la condotta analizzata, quantomeno alla colpa grave. Orbene, tale

stato psicologico, come noto, sus-siste per “pacifico orientamento del giudice contabile (…) nei ca-si in cui il pubblico dipendente pone in essere una condotta che si discosta in maniera rilevante da quella che è lecito attendersi in relazione alle circostanze concrete ed alle specifiche dispo-sizioni che regolano la materia che viene di volta in volta all’attenzione” (Corte Conti Pu-glia n. 340/2009).Nel caso in esame, come ampia-mente descritto, la mancata asse-gnazione alle specifiche funzioni di vice comandante del lavorato-re di che trattasi era, di fatto, impossibile per la scomparsa della figura medesima dalla pianta organica comunale.A ben vedere, la stessa giurispru-denza civile (in materia di li-cenziamenti dovuti alla soppressione di un settore, di un comparto o di un posto Cass. 7 gennaio 2002, n.88, Cass. 1° febbraio 2003, n. 1527), insegna che la soppressione di posti di funzione o di settori dovuti a riorganizzazione degli uffici, non possono di per sè conside-rarsi scelte illegittime, a meno che non risulti palesemente prete-stuoso ed illogico il riassetto orga-nizzativo operato. In sede di valutazione di condotta mobbizzante tenuta dal datore di lavoro, anche sotto il profilo me-ramente omissivo, per non avere lo stesso impedito e fatto cessare gli atteggiamenti discriminatori posti in essere dai sottoposti nei confronti di un dipendente, occorre tenere conto di quanto affermato dalla stessa giurispru-denza civile (Cass. sez. III 8 settembre 1999 n. 9539) la quale esclude la responsabilità datore lavoro quando questi dimostri

che tra le mansioni dallo stesso assegnate al lavoratore e la condotta mobbizzante tenuta dai dipendenti non sussiste neppure un rapporto di mera occasionali-tà. Il datore di lavoro è quindi libe-rato qualora dimostri che abbia adottato tutte le soluzioni orga-nizzative più idonee per evitare il realizzarsi dell’evento danno-so. Come insegna la giurispru-denza civile (Cass. Sez. un. 4 maggio 2004, n. 8438; Cass. 29 dicembre 2005, n. 19053), però, al fine di valutare una condotta come mobbizzante, non deve guardarsi ai singoli atti posti in essere, che potrebbero rivelarsi anche intrinsecamente legittimi, ma allo specifico intento di chi li ha posti in essere ed alla sua protrazione nel tempo, che distingue detta condotta mobbizzante, anche da singoli atti illegittimi. “Per la natura (anche legittima) dei singoli episodi e per la pro-trazione del comportamento nel tempo nonché per l’unitarietà dell’intento lesivo, è necessario che da un canto si dia rilievo ad ogni singolo elemento in cui il comportamento si manifesta (assumendo rilievo anche la soggettiva angolazione del comportamento, come costruito e destinato ad essere percepito dal lavoratore.) D’altro canto è necessario che i singoli elementi siano poi oggetto di una valutazio-ne non limitata al piano atomistico, bensì elevata al fatto nella sua arti-colata complessità e nella sua strutturale unitarietà” (Cass. 22858/2008).Detti principi sono stati ritenuti uti-li ai fini della corretta valutazione dei fatti posti alla base della vi-cenda in esame.

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A ben vedere, infatti, se non può es-sere censurata la scelta dell’ammini-strazione di sopprimere, dalla pianta organica del comune, la spe-cifica figura del vice comandante, non può invece sfuggire ad un giudi-zio negativo il comportamento tenu-to dall’allora comandante della polizia municipale nei confronti del lavoratore di che trattasi, comporta-mento da considerarsi eziologia-mente collegato al danno da mobbing subito dal lavoratore mede-simo.L’isolamento in cui quest’ultimo è stato progressivamente costretto a svolgere la propria attività lavorati-va, lo svuotamento, di fatto, di tutte le mansioni allo stesso assegnate, le valutazioni sempre negative dei ri-sultati dell’attività lavorativa svolta, le ritorsioni manifestate anche nei confronti di coloro che si dimostravano solidali con la vitti-ma del mobbing, rivelano una condotta macroscopicamente lonta-na da quella utile per assicurare una sana gestione della cosa pubblica. Il complessivo comportamento tenu-to dall’allora comandante denota quindi una condotta non orientata ad assicurare una sana gestione della cosa pubblica, bensì di una condotta sprezzante dei più ele-mentari principi di correttezza e effi-cienza dell’azione amministrativa, palesemente finalisticamente orientata alla realizzazione di inte-ressi personali anziché all’attuazio-ne del pubblico interesse e, come tale, quindi, gravemente colposa.Da qui, pertanto, l’accoglimento della richiesta erariale formulata nei confronti del (solo) co-mandante, all’epoca dei fatti, della locale polizia municipale. Da qui, pertanto, la condanna di quest’ulti-mo al pagamento, a favore del co-mune di interessato, della somma

di 50.000 euro, oltre rivalutazione monetaria, da calcolarsi dalla data della transazione sino al deposito della presente sentenza; tra l’altro, da tale data, sino all’effettivo soddi-sfo, sulle somme così determinate, andranno calcolati gli interessi lega-li.

CONCLUSIONIDalla appena annotata sentenza della Corte dei Conti appare chiaro che nel caso in cui il mobbing culmi-ni in una dequalificazione lavorati-va prolungata, il datore di lavoro non viene coinvolto dalla responsa-bilità dei singoli persecutori sola-mente se dimostra che tra le mansioni assegnate alla vittima e la condotta persecutoria non sussiste un rapporto neanche di mera occa-sionalità. Sotto un altro profilo, invece, in se-de contabile, in materia la condotta datoriale rileva soltanto se integra un caso di colpa grave, in questa se-de sussistente solamente in pre-senza di un rilevante allontanamento dal comportamento esigibile, in considerazione delle circostanze del caso e delle specifi-che disposizioni sul tema. Di conseguenza, in caso di giudizio contabile, per essere esente da re-sponsabilità il datore di lavoro deve dimostrare di aver adottato tutte le soluzioni organizzative più idonee a evitare la realizzazione dell'evento dannoso. Nella fattispecie oggetto della deci-sione contabile in esame, il sindaco è stato assolto, non solamente perché la struttura organizzativa del comune è stata considerata appro-priata, ma anche perché le sue deci-sioni che avevano coinvolto il lavoratore mobbizzato non erano do-losamente preordinate a perse-guirlo e discriminarlo, e tantomeno

potevano considerarsi «macrosco-picamente lontane da una ordinaria condotta finalizzata alla sana ge-stione della cosa pubblica, al punto da incarnare una condotta grave-mente corposa idonea a giustificare l'accoglimento delle pretese di parte attrice».All’unico convenuto condannato, la Corte dei Conti ha imputato l'elu-sione dei provvedimenti dell'autori-tà giudiziaria favorevoli al mobbizzato, mediante reiterate condotte inequivocabilmente di-rette a emarginare il lavoratore me-desimo, isolandolo fisicamente dal resto dell'ufficio e svuotando le funzioni formalmente assegnategli. Nello specifico, se dei singoli epi-sodi persecutori l’allora co-mandante della locale polizia municipale aveva fornito una giu-stificazione, la sentenza mette in ri-salto che le componenti del mobbing non possono essere consi-derate singolarmente ma in consi-derazione della complessiva condotta intrapresa nei confronti della vittima. La stessa sentenza ha invece as-solto, oltre al sindaco, un’altra diri-gente che aveva intrattenuto per breve tempo un rapporto lavorativo con il perseguitato, per mancanza del requisito temporale necessario al perfezionamento del mobbing, ritenendo infatti che la condotta persecutoria per integrare il mobbing debba avere quantomeno durata semestrale, coerentemente con la sentenza della Corte di Cas-sazione n. 22858/2008.

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Si avvicina il momento in cui si porrà mano ad una riforma definiti-va del nostro Ente di previdenza e bene ha fatto il Presidente Vispa-relli, sia ad istituire una Commis-sione in rappresentanza dell’intero territorio nazionale, sia a convocare una prima riunione a carattere conoscitivo, con la pre-senza di un attuario. Sono anni che si discute sul siste-ma, a ripartizione o a capitalizza-zione, che è stato adottato nella costituzione della nostra Cassa e, come cercherò di evidenziare, non si tratta affatto di una discus-sione puramente accademica. Aleggiano poi oscuri presenti-menti circa l’eventualità che lo Stato, pur di racimolar quattrini, metta le mani sui patrimoni delle Casse previdenziali, oppure, co-me qualche Ministro favoleggia, si tenti un accorpamento degli Enti previdenziali dei professioni-sti. Da ultimo, e certamente più pe-ricoloso, il fantasma delle liberalizzazioni folli che provoche-rebbe un cataclisma con conse-guente danno incalcolabile alle casse dello Stato che dovrebbe accollarsi in poco tempo tutte le pensioni dei liberi professionisti.

Una nota storica: i “padri fondato-ri” della Categoria - gruppo di cui non ho fatto parte per motivi ana-grafici, ma che, iscritto nel 1967, ho conosciuto dal 1969 in poi, per una serie di strane circostanze - do-po aver ottenuto la legge 1081 del 1964, che istituiva l’albo dei consu-lenti del lavoro “autorizzati”, lavo-ravano alacremente per ottenere l’abilitazione, con esame di Stato, che ci avrebbe inserito sta-bilmente ed a tutto titolo fra le Categorie professionali. In questo accidentato percorso ritennero che, se la Categoria avesse anche avuto una previdenza propria, sa-rebbe stato più difficile annientarla e più probabile ottene-re l’obbiettivo principale. E’ evi-dente che in tale contesto l’importo della pensione passava in secondo piano e l’importante era pagare poco, anche in conside-razione che il costituendo Ente –come tutti gli altri a quell’epoca – sarebbe entrato a far parte del no-vero degli Enti Pubblici.Naturalmente i “padri fondatori”, si avvalsero anche allora della collaborazione di un attuario, di cui credo ricordare anche il nome, ma gli equilibri riguardavano lo

Stato, non noi. Ricordo nitida-mente il Collega, che all’epoca guidava il progetto, affermare che, se l’Ente fosse andato in ros-so, sarebbe toccato alla fiscalità pubblica ripianare il disavanzo.L’ENPACL vide la luce nel no-vembre 1971, anticipando di ben otto anni la legge istitutiva della professione, di cui – come si spe-rava - fu anche un’efficace piatta-forma di lancio.Pagare poco di contributi era stato certamente un obiettivo, ma nessuno, allora, aveva pensato di creare una previdenza con siste-ma a ripartizione: i “padri fondatori” avevano pensato ad una capitalizzazione individuale, sia pure povera, ma sorretta da un contributo fisso e da marche assi-curative (le famose Russo Spena, dal nome di un parlamentare che – credo – fosse firmatario della legge 1081). Cosa si intende per capitalizzazione individuale? Un sistema tecnico finanziario in base al quale l’ammontare accu-mulato sul conto individuale di ciascun iscritto costituisce la base per il pagamento della prestazio-ne pensionistica. La prestazione dipende infatti da quanto l'iscritto

PROVE DI ESPROPRIO

Riccardo Travers

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ha accumulato presso la forma pensionistica e dai rendimenti otte-nuti con la gestione finanziaria.Fino all’ultima guerra mondiale, quello a capitalizzazione era l’uni-co sistema su cui si basava la ge-stione degli enti previdenziali, INPS compreso. Volle il destino che, per effetto della smisurata sva-lutazione della lira, avvenuta pro-prio durante il conflitto, i fondi dell’Istituto, accumulati dagli assi-curati con la capitalizzazione, fos-sero ridotti a spazzatura. Ciò non di meno, per motivi sociali, biso-gnava pagare le pensioni agli aventi diritto e si decise così di corrisponderle con i contributi fre-schi, pagati dai lavoratori in esse-re al momento. Si diede a questa operazione dignità di sistema e lo si chiamò “ripartizione”. Sembrò anche una grande scoperta in quanto, in teoria, un ente previ-denziale poteva nascere da zero e pagare le pensioni senza nessun accumulo, quindi senza un soldo di patrimonio.Il nostro Ente (insisto: pubblico) non è affatto nato con questo siste-ma, se si considera che qualunque iscritto, prima di poter percepire la pensione, doveva aver pagato almeno 20 anni di contributi. Venne studiato un sistema di ri-scatto per i più anziani che, ogni anno ne pagavano quattro, per otte-nere la pensione dopo cinque anni e la legge lo confermò. Forse non era attuarialmente equilibrato, ma era comunque lo Stato che avrebbe pagato e, infine, cari gio-vani leoni, vogliamo riconoscere un minimo di gratitudine a chi, battendosi, giorno dopo giorno, a proprie spese ha costruito Albo, Previdenza, Abilitazione, Tariffa professionale?Nell’anno 1994 avvenne una

svolta epocale: con la legge 509, lo Stato, in un colpo solo, si liberò della nostra e di tutte le Casse pre-videnziali delle libere professioni. Non fu un provvedimento facoltati-vo, l’unica facoltà che venne concessa fu quella di scegliere fra la struttura ad Associazione e quella a Fondazione. Bel colpo, no?Di una cosa sola, lo Stato non po-té liberarsi, e fu dell’articolo 38 della Costituzione: per questo, pur privatizzando, mantenne dei Funzionari ministeriali nel compi-to di revisori dei conti ed ora vuol controllarci con la COVIP. Completata la nota storica, provia-mo ad effettuare alcune riflessioni sui temi in esame. Quando un Ente, costituito a capitalizzazione individuale, scopre che il patrimo-nio accumulato è attuarialmente insufficiente, ha due strade: la pri-ma è quella di cercare di ammortizzare, negli anni, il disa-vanzo attuariale accumulatosi (spe-rando che non sia troppo grande); la seconda è quella di cercare di re-cuperare l’equilibrio attuariale da una certa data in poi, lasciando che il disavanzo attuariale ri-manga congelato. La seconda so-luzione non è ancora un sistema a ripartizione, ma un ibrido fra i due sistemi, che lo Stato avalla in quanto non chiede affatto agli Enti di possedere sempre il patri-monio che sarebbe necessario per liquidare, a tempo debito, tutte le pensioni anche se non vi fossero più introiti contributivi.Già! Se non vi fossero più introiti contributivi. Il tragico è che que-sto non è affatto un mero caso di scuola, in quanto ciò potrebbe accadere se si realizzasse il pazze-sco provvedimento di liberalizza-zione.

Metti che non vi sia più l’Esame di Stato per i Dottori commerciali-sti, chi verrebbe ancora ad iscri-versi da noi, visto che può comunque svolgere la professio-ne? E allora, addio pensioni, se non ammortizzeremo il disavanzo attuariale accumulatosi. Resterà solo il già riportato articolo 38 della Costituzione, a cui appellarsi, e lo Stato (o meglio la fiscalità generale) dovrà metterci del suo. Ma se noi ammortizzia-mo il disavanzo e poi lo Stato fa-melico si riprende i nostri patrimoni oppure fonde le Casse, ripianando quelle in default con quelle più virtuose?Tutto può succedere, in questo mondo, ma qui bisognerebbe ri-cordare anche l’esistenza dell’arti-colo 42 della Costituzione: “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.La proprietà privata è riconosciu-ta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per moti-vi d'interesse generale.”Ci hanno privatizzati, quindi si tratterebbe di un esproprio e, per bacco, spero saremo tutti disposti ad una class action per ottenere il dovuto indennizzo.

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ROMA E LE CITTA'

DELLA CULTURA

Andrea Tommasini

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ROMA E LE CITTA'

DELLA CULTURA

Il 22 ed il 23 settembre ultimi scorsi si è svolto a Roma, presso l’Auditorium Parco della Musica, la VI Conferenza Nazionale degli Assessori alla Cultura ed al Turismo dal titolo “Le Città della Cultura”. Uno dei piu’ importanti avvenimenti dell’anno in materia di lavoro ed economia nella Cultura e nel Turismo, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, promossa da ANCI (Associazione Nazionale Co-muni Italiani, UPI (Unione Provincie d’Italia), Conferenza delle Regioni e delle Provincie Autonome, Legautonomie, Federculture e sostenuta da Roma Capitale, Provincia di Roma e Regione Lazio, con il contributo di Camera Commercio di Roma, JT International e Fondazione CAB.

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Un appuntamento di studio e ri-flessione sui dati dell’occupazio-ne e dell’economia nella Cultura e nel Turismo e relativi riflessi sull’economia naziona-le, con l’obiettivo importante di aiutare il nostro Paese a cresce-re nella consapevolezza, in parti-colar modo dei nostri Amministratori pubblici, di quanto siano importanti per lo sviluppo economico e del mercato del lavoro questi due te-mi. Di contro, di quanto siano inopportuni i continui attacchi e tagli a questi due settori, sia per i riflessi Nazionali, sia per quelli sulla nostra immagine e credibilità Internazionale.La crisi che il nostro Paese sta vivendo ha chiamato e conti-nua a chiamare tutti i protagoni-sti della vita politica, economica e sociale ad assume-re la responsabilità di scelte de-cisive per superare le difficoltà del presente e progettare le strategie di crescita.Ancora una volta si è ri-confermato che la cultura ed il turismo possono essere la chia-ve di volta nel processo di affermazione delle politiche eco-nomiche e sociali per lo svi-luppo del Paese, che facciano perno sulla promozione della cultura, sulla valorizzazione e sulla tutela del nostro patrimo-nio storico-artistico ed ambienta-le così come sancito già nelle previsioni dall’articolo 9 della nostra Costituzione.Le Città e i territori, infatti, de-vono ritornare ad essere labo-ratori di un nuovo Rinascimento, recuperando la storia e la vocazione del Paese. Per questo è indispensabile raccogliere ed indirizzarne

tutte le energie disponibili (Amministrazioni, Imprese, As-sociazionismo, Non-Profit) verso un modello di competitivi-tà territoriale che coniughi identità e innovazione.Su questi temi la Conferenza Nazionale degli Assessori alla Cultura e al Turismo è da anni un appuntamento-chiave nel di-battito sul presente e sul futuro delle politiche di incremento della nostra offerta culturale e turistica. Sono stati due giorni di confronto fra amministratori lo-cali, politici, operatori, mana-ger pubblici e privati, non solo per riaffermare il ruolo strategi-co della cultura e del turismo, ma soprattutto per condividere soluzioni e proposte non più rinviabili, alla luce di dati oggettivi relativi a: “Il welfare della cultura: inclusione socia-le, formazione lavoro”, “Il valo-re economico della cultura: come reinvestire l’indotto gene-rato dalla produzione cultura-le”, “La produzione artistica e la valorizzazione del patrimo-nio culturale per il rilancio dei territori. L’Arte contempora-nea, l’audiovisivo e i beni immateriali”, “Turismo di mas-sa e qualità dell'offerta. Quale sviluppo compatibile per le città e i territori” e “Partnership Pubblico/Privato: Non solo ri-sorse ma progetti comuni per l'offerta culturale e turistica”.Su questi cinque temi si sono svolte sessioni di lavoro paralle-le all’interno delle quali l’Uffi-cio Studi di Federculture ha provveduto a fornire dati relati-vi a: l'occupazione del settore, gli investimenti pubblici e pri-vati, andamenti dei consumi

nel settore, effetti del Federali-smo fiscale sulle competenze di Comuni Province e Regioni, Cultura come servizio pubblico e gli strumenti di gestione, creatività giovanile e inseri-mento nel mondo del lavoro nonché sulle esperienze positi-ve di gestione.Quello che è stato ri-confermato con forza è che l’Italia non può crescere se non affronta nodi cruciali qua-li il rapporto tra pubblico e pri-vato, tra sviluppo turistico e qualità dell’offerta. Un Paese che guarda in avanti deve esse-re in grado di valorizzare e pre-servare l’immenso patrimonio immateriale delle sue tradizio-ni, di reinvestire l’indotto gene-rato dalla produzione culturale e di dar voce alle nuove istanze che, recentemente e sempre più spesso, esigono nuovi modelli e regole nel campo dell’educazio-ne, della formazione e del lavo-ro.

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Andrea Tommasini

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BACI DELL'ULTIMA

FILA NER PIDOCCHIETTO

In un mo-mento in cui le polemiche fra l’industria del cinema e quella della fiction, conti-nuano a monta-re negli ambienti colti

di Roma e dell’Italia intera, il piacevole ri-cordo dei cosiddetti “cinema da una lira”, di-versamente noti a Roma come “i pidocchietti”, per rievocare la bellezza ro-mantica delle sale cinematografiche romane e dei baci “rubati” nelle ultime file.Bello guardare indietro e ricordare per tornare ad apprezzare quello che abbiamo e che sembra non bastare mai. Note lontane in un presente nel quale le sale ci-nematografiche si fanno concorrenza a colpi

di sofisticate tecnologie in grado di porre lo spettatore in una condizione di percezione di suoni e realtà filmografica sempre piu’ intensi.Poco più di mezzo secolo fa vi erano, nella sempre ricca offerta culturale romana, molte sale cinematografiche in grado di allietare le giornate di tante famiglie a basso reddito e di molti studenti squattrinati, i quali, con pochi soldi, riuscivano comunque a trascorrere quattro o cinque ore di intrattenimento, po-tendo assistere alla proiezione anche di due o più film. Spesso uno dei due lavori filmografi-ci che venivano proposti al pubblico dei pi-docchietti romani, era quella che i romani definivano “una serciata” (una pietra od un mattone), intendendo con questo un lavoro pesante e di difficile fruizione dove, co-munque, in compenso, venivano regalati al pubblico un Topolino a Colori od un Film Lu-ce.Le pellicole cinematografiche di una volta

Curiosità, cultura e tenerezza nei cinema "da una lira", meglio noti a Roma come "pidocchietti"

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Foto by Elibhet_ by Flickr

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avevano una durata nettamente inferiore a quelle odierne e duravano sul circuito cinematografico da uno a due anni e quando arrivavano a queste sa-le cinematografiche, le relative pellicole erano ormai rigate, impecettate e ricomposte dopo innu-merevoli rotture avvenute nelle precedenti proie-zioni ed erano pertanto ancora piu’ corti di come erano partiti. Troppo spesso mancavano battute e scene fondamentali alla comprensione del film e per effetto dei tagli e delle giunte, le scene si acca-vallavano, anche fuori sequenza. Sentendo dire “Conte-rò-ita”, per esempio, si poteva pensare che si stesse narrando di qualcuno che contava con le dita, quando in realtà la battuta originale era “Contessa, vi amerò tutta la vita”. Chi entrava in questi cinemetti, era consapevole di quello che riceveva e non esprimeva grande pre-tenziosità in tal senso. Si accedeva per passare qualche ora al caldo e per non pensare ai guai pro-pri, o semplicemente per trovare un luogo dove po-ter scambiare tenere effusioni.Normalmente agli studenti liceali dell’epoca basta-vano le cosiddette “due lire”: una per il cinema e l’altra per le sigarette (cinque “Macedonia” o quattro “Stelle”) e con l’ultima sigaretta si faceva la cosiddetta “passatella”, a volte anche soste-nendo il mozzicone con uno spillo od una forcina per capelli, affinchè, un tiro per tutti, nessuno po-tesse rimanere mai “olmo”.Si pensi che fra il 1930 ed il 1940 in Roma, su qua-rantesette sale cinematografiche che contava la Capitale, ben 19 offrivano la proiezione di due film al prezzo di “una lira”. Molte di queste sale cinematografiche romane so-no ormai chiuse. Tra i pidocchietti piu’ caratteristi-ci romani fa piacere ricordare “il Colonna” che era stato installato nella vecchia e gloriosa “Sala Giraud” di Via Poli.Nelle sale romane “da una lira” lunghi e dolcissi-mi i baci che scorrevano copiosi nelle ultime file ri-servate esclusivamente “al pomicio” degli innamorati. Le maschere, quando indicavano con le lampadine i posti dove potersi collocare, tanto e sacrale era il rispetto della candida intimità, che

evitavano di dirigere il fascio di luce sulle ultime file nel dirigere i clienti.Storpiare i nomi degli attori era un vezzo. Così Tyron Power diventava "Tiro in porta" Rita Hay-wort era "Rita rivortete".Al Trianon , l'enorme tetto, quando non pioveva, si apriva sul cielo durante l'intervallo.Dai racconti dell’epoca si legge che entrando in queste sale dalla frizzante e tersa aria dell’inverno, si sentiva come un “colpo allo sto-maco” poiché ci si andava ad immergere in una compatta coltre di caldo e fumo di sigarette popo-lari. Chi aveva conoscenza e padronanza della lette-ratura usava sfoderare i versi di Dante di quando Virgilio, giungendo alle porte del fetentissimo settimo cerchio diceva “Lo nostro scender convie-ne esser tardo, - si che s’ausì un poco in prima il senso – al triste fiato; e poi no il fia riguardo” che a detta di chi all’epoca ha vissuto tutto questo, sembravano scritti apposta per il pidocchietto del Colonna, per esempio.Testi ed immagini talvolta ricomposti con pezzi mancanti che regalavano emozioni e ristoro all’anima, mentre il corpo respirava caldo e fumo e riposava su sedili scricchiolanti di legno usu-rato. Vecchi ed assordanti altoparlanti che emana-vano un suono distorto ed incomprensibile. Lunghi baci scorrevano a fiumi nelle ultime file. Il "bruscolinaro" girava per la sala gridando: "bru-scolini, mostaccioli, caramelle..." Qualche buontempone lo chiamava e gli chiedeva: "C'hai le caramelle sciolte?" "Si" rispondeva, "Allora da-je 'na legata!!!!"Da i vecchi ricordi di quei luoghi così caratteristi-ci delle parrocchie o delle periferie, si ripensa con piacere agli angoli sgangherati nei quali c’era spa-zio per i nostri sogni.Soffermiamoci ad apprezzare cio’ che abbiamo e non avremo neanche un piccolo istante per la-mentarci di cio’ che ci manca.Nel Cinema come nella Vita.

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