TamTamDemocratico n°13

94
NUMERO DICEMBRE 2012 13 Gli USA di Obama Secondo contributi di Mauro Calise • Bruno Cartosio • Alessandro Coppola • Paolo Corsini • Massimo De Giuseppe Massimo Faggioli • Massimo Livi Bacci • Silvana Mangione • Pietro Marcenaro • Ugo Papi Laura Pennacchi • Lapo Pistelli • Umberto Ranieri • Filippo Sensi • Federico Testa • Giorgio Tonini

description

Il numero 13 di TamTamDemocratico/Dicembre 2012

Transcript of TamTamDemocratico n°13

Page 1: TamTamDemocratico n°13

NUMERO DICEMBRE 201213

Gli USA di Obama Secondo

contributi di Mauro Calise • Bruno Cartosio • Alessandro Coppola • Paolo Corsini • Massimo De Giuseppe

Massimo Faggioli • Massimo Livi Bacci • Silvana Mangione • Pietro Marcenaro • Ugo Papi

Laura Pennacchi • Lapo Pistelli • Umberto Ranieri • Filippo Sensi • Federico Testa • Giorgio Tonini

Page 2: TamTamDemocratico n°13
Page 3: TamTamDemocratico n°13

3

Stefano Di TragliaDirettore responsabile

Franco MonacoDirettore editoriale

Alfredo D’AttorreCoordinatore del Comitato editoriale

Valentina SantarelliSegretaria di redazione

COMITATO EDITORIALE

Massimo AdinolfiMauro CerutiPaolo CorsiniStefano FassinaChiara GeloniClaudio GiuntaMiguel GotorRoberto GualtieriMarcella MarcelliEugenio MazzarellaAnna Maria ParenteFrancesco RussoWalter TocciGiorgio Tonini

SITO INTERNETwww.tamtamdemocratico.it

[email protected]

Tam Tam Democraticospazio di approfondimentodel Partito Democratico

Proprietario ed editore Partito DemocraticoSede Legale – Direzione e RedazioneVIa Sant’Andrea delle Fratte n. 16, 00187 RomaTel. 06/695321Direttore Responsabile Stefano Di TragliaRegistrazione Tribunale di Roma n.270del 20/09/2011I testi e i contenuti sono tutelati da una licenza CreativeCommons 2.5 CC BY-NC-ND 2.5 Attribuzione – Noncommerciale – Non opere derivate

COMUNICAZIONEprogetto grafico/sito internetdol – www.dol.it

6 Barack Hussein Obama,la biografia comeprogrammaPaolo Corsini

12 Esiste una dottrinaObama?Giorgio Tonini

17 Il ritorno dei partitiMauro Calise

24 Il team digitaledel PresidenteFilippo Sensi

29 Le minoranze e ildeclino dei waspMassimo Livi Bacci

32 Quando le minoranzefanno maggioranzaAlessandro Coppola

36 Industria dell'autoe classe operaiaBruno Cartosio

40 Le suore battono i vescoviMassimo Faggioli

44 Il voto degliitaloamericaniSilvana Mangioni

50 Economia e welfareper lo sviluppo umanoLaura Pennacchi

57 La rivoluzione energeticaFederico Testa

62 Diritti umani, democrazia,multilateralismoPietro Marcenaro

66 Il mandato domesticodella "potenzaindispensabile"Lapo Pistelli

71 Politica estera nel segnodella continuitàUmberto Ranieri

75 Gli Usa si volgono all'AsiaUgo Papi

80 Gli Usa e l'America latinaMassimo De Giuseppe

86 Obama, discorso perla rielezione

DOCUMENTO

SOMMARIO

FOCUS

LA VISIONE LE SFIDE DEL SECONDO MANDATO

LA VITTORIA

Page 4: TamTamDemocratico n°13
Page 5: TamTamDemocratico n°13

La visione

Page 6: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

6

‘avvento della politica biografica”: così, tempofa, nell’introduzione al suo Obama. La politicanell’era di Facebook (Venezia, Marsilio, 2008),Giuliano da Empoli si apprestava ad unadisamina del fenomeno costituito dall’allora

neo candidato alla Casa Bianca. L’ennesima conferma,seppure in forme nuove, del fatto che quanto èsignificativo e produce comunicazione nella vicenda degliuomini assume la forma di una storia, di un racconto.

Ed in effetti i diversi, successivi svolgimenti della vita diObama, il suo personale diremmo, preannunciano ecoincidono con il suo programma politico, col tentativo diridare forma, di plasmare la vita di una nazione. Alcontrario di quanto è avvenuto in Italia con SilvioBerlusconi nel quale si riproduce, pur con le modalitàproprie dell’era mediatica, una storia sostanzialmente giàscritta, vale a dire l’autobiografia del nostro Paese, con isuoi vizi di origine, le sue sedimentate storture, i suoiarchetipi apparentemente immodificabili.

In Obama, dunque, una storia ed insieme una profeziache si autoadempie. Come quella di Bob Kennedy che, conpreveggente lungimiranza, nel 1968 ebbe a teorizzare che“tra 40 anni sarà possibile per l’America eleggere unPresidente nero”. La riprova, insomma, di quell’astuziadella storia che talora dà compimento all’impossibile, che,al di là di interpretazioni eroistiche, accetta di vedercondizionati i propri sviluppi dalla presenza e dall’azionedi un singolo, comunque espressione di un movimentoprofondo, di cambiamenti tellurici, qual è, appunto,BARACK Hussein Obama.

Barack Hussein Obama,la biografia come programma

Paolo Corsini è deputato del Pd

L

Gli USA di Obama Secondo

Page 7: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

Del resto la stessa sua ascesa è stata accompagnata daun continuo racconto, da una narrazione diretta deipercorsi di vita affidata, in prima battuta, a I sogni di miopadre. Un racconto sulla razza e sull’eredità – un racconto, vasottolineato, non una elaborazione teorica o un manifestopolitico – e successivamente a L’audacia della speranza in cuila trattazione di temi cruciali e scottanti quali il futuro delwelfare, la questione mediorientale ed irachena, l’usopubblico della religione, i fondamenti costituzionali dellaconvivenza negli Stati Uniti d’America, il ruolodell’Occidente e dell’Europa, si intreccia ad aneddoti, alladivulgazione di episodi di vita, alla esposizione di indiziche diventano rappresentazione di una scena in cui ilpersonaggio Obama campeggia come al centro di unriflettore che lo illumina, rendendolo pienamente visibile,al di là di tutte le finzioni e dissimulazioni della politica. Ilracconto dunque che diviene politica, politica biografica.Obama nella sua persona – il suo bagaglio multietnico,l’impegno nel volontariato, la disposizione intellettuale aldialogo, la capacità di essere a proprio agio negli ambientipiù disparati, l’abilità nel valorizzare lo spirito bypartisan,l’ispirazione religiosa in un Paese in cui fondamentalismied orientamenti conservatori si moltiplicano lungo unprocesso di “settarizzazione” che ingloba nella sfera delsacro temi della vita civile – incarna il suo stessoprogramma, il sogno americano che in lui diventa realtà estoria, rappresentazione, tangibile traduzione di unmovimento autobiografico di massa reso possibile dallacomunicazione mediatizzata e dalla pratica internautica.

Chi è dunque, Obama, questo figlio di un esponentepolitico keniota e di un’antropologa del Kansas? Di qualeentroterra, di quale cultura, di quali storie è espressione senon di un’identità sempre più globalizzata ora che, daitempi lontani della Mayflower, i Wasp – gli White AngloSaxon Protestants – si sentono quasi minoranza nel loroPaese, se non di una mixité multiculturale e multietnicadalle radici pluricontinentali che modifica sino asconvolgerla progressivamente la composizionedemografica degli States? Ed ancora: Obama come uomodi un tempo in cui sempre più rilevante è il peso della blackculture nella sfera pubblica statunitense e sempre piùragguardevole il ruolo assunto dagli ispanos nel sistemadelle relazioni e della vita pubblica?

Obama è insieme tradizione e innovazione, ripresa di una

7

Obama campeggiacome al centro diun riflettore chelo illumina,rendendolopienamente visibile,al di là di tuttele finzioni edissimulazionidella politica.

Gli USA di Obama Secondo

Page 8: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

continuità e assunzione del moderno, sintesi del passato esperanza del nuovo, oltre la politica praticata e conosciutaall’interno dello stesso filone democratico, sino a BillClinton. Da un lato la reviviscenza del mito kennedyano della“nuova frontiera” all’origine stessa della storia americana, ilrecupero di quel fiume carsico di idealismo, diquell’immaginario collettivo che, sin dai padri pellegrini, simaterializza nell’idea della “città sulla collina” – la“missione” di questo Paese nel mondo, il perseguimento dirinnovate mete di civiltà e di progresso rese possibili daquella permanente innovazione che scaturisce dallademocrazia e dalla libertà – ; dall’altro l’ancoraggio alla“religione del libro”, a quel sentiment religioso che vede nellafede uno straordinario fattore di mobilitazione spirituale e ditrasformazione sociale, sottraendo ai repubblicani

8

Gli USA di Obama Secondo

Page 9: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

conservatori il vantaggio del cosiddetto God gap esforzandosi di colmare la lacerante frattura fra l’Americalaica e secolare e l’America religiosa e confessionale.

Alla sua prima elezione un outsider, rispetto ai solitiinsider della politica europea ed italiana , se si esclude,forse, il primo Sarkozy, che, oltre le novità costituite daglielementi autobiografici ( infanzia in Indonesia,adolescenza alle Hawaii, giovinezza in Kansas, università aNew York, volontariato nei ghetti di Chicago, unfratellastro in Cina ), affonda le ragioni del propriosuccesso nelle grandi trasformazioni di un Paese checonferma la propria identità, cambiando perennemente sestesso: la grande impresa fordista che cede il passo alla neweconomy, l’affermazione della technology information che sistruttura in sistema di produzione, la costituzione di unrinnovato associazionismo civico e l’esperienza delle “cittàcreative” di cui teorizza Richard Florida, là dove gruppisociali innovativi stanno sovvertendo le convenzioni, l’usodel tempo, i rapporti tra lavoro e divertimento, vita privatae professionale, ridisegnando il nostro futuro.

Ed ancora: l’esplosione delle community dei blogger e deivideogamer che utilizzano le risorse dei social networkuscendo da Internet per tornare al territorio, le mutazioni diuna politica emozionale che sa riscoprire passioni,motivare fiducia, promuovere gli interessi della middle class,rassicurare identità, rompere gli schemi ideologici in nomedi un riformismo pragmatico sì, ma non disancorato daprecisi riferimenti valoriali e principi ideali. E così pure ilricambio generazionale con la successione ai baby boomersda parte dei Millenial – i giovani del nuovo millennio –,l’inversione della tendenza alla depoliticizzazione, larivalutazione dell’intervento pubblico e la crisi delneoliberismo dei Chicago boys accompagnata alla recessioneeconomico-finanziaria e al rischio incombente di “un’etàdel disagio”.

Tutto questo, probabilmente spiega Obama. Ma perandare dove? Per restituire all’America quale prospettiva,dopo il fallimentare esperimento di George Bush? In untempo in cui, come scrive Fareed Zakaria, è in atto “ilterzo spostamento di potere nella storia moderna” dopo leprecedenti ere in cui l’Europa prima e gli Stati Uniti poihanno governato il pianeta, orientato stili e ritmi di vitainfluenzando usanze e culture. E come restituirecredibilità, simpatia, autorevolezza ad un Paese che uno

9

Tutto questo,probabilmente spiegaObama. Ma perandare dove? Perrestituireall’America qualeprospettiva, dopo ilfallimentareesperimento diGeorge Bush?

Gli USA di Obama Secondo

Page 10: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

studioso – Andrei S. Markovits, direttore del centro dipolitica comparata dell’Università del Michigan – definisce“la nazione più odiata”?

Quegli States nei confronti dei quali è andata crescendoin tutto il mondo, e particolarmente in Europa, un’ostilitàdiffusa a causa di politiche che hanno scatenato un’ondatadi insofferenza senza precedenti, da sentimento elitario adatteggiamento popolare di massa, soprattutto all’indomanidella “grande depressione” dovuta alla dèbâcle finanziaria.Le risposte non possono che essere provvisorie, anche setalune linee di tendenza sono emerse nel corso del primomandato di Obama con sufficiente chiarezza.

Anzitutto la conclusione, sul piano della politicainternazionale, dell’unilateralismo e la ripresa del dialogoin nome di un multipolarismo rinnovato. Come a dire unadichiarazione di dipendenza degli Stati Uniti d’Americadalla realtà e dal mondo: gli americani che tornano tra noi,che dismettono l’abito di chi crede di poter vivere sopratutti con il contributo di tutti. Una sfida esaltante lungo laquale liberarsi dalle vecchie logiche diplomatiche, crearealleanze inedite, definire una nuova guida globale epromuovere un rinnovato New Deal che dia impulso ad unademocrazia mondiale vitale e competitiva.

In effetti il futuro dipenderà sempre più dalla capacità diObama di restituire al suo Paese, in un mondo ormaipostamericano, le perdute potenzialità di attrazione, diripristinare quei meccanismi di integrazione che una politicapuramente muscolare ha finito con lo smarrire e dissolvere.

In particolare di fronte alla progressiva affermazionedell’”impero di Cindia” e al revanchismo autocratico diPutin il quale, dopo il crollo dell’Unione Sovietica,persegue l’obiettivo di restituire grandezza economico-militare alla Russia, di rivitalizzare il mito slavofilo di unanuova egemonia eurussa. “Empatia” la parola chiave, valea dire la disposizione a guardare la realtà “con gli occhi delnemico”, a prendere in considerazione tutte le prospettivepossibili, ad ancorare difesa della democrazia e suaaffermazione alle condizioni materiali di vita dei popoli innome di una realpolitik e di un approccio non ideologicoalle grandi questioni internazionali, con l’afflato ideale el’autorevolezza di un prestigio da riconquistare.

Così Obama il 29 agosto del 2008, a Denver: “Creerònuove alleanze per sconfiggere le minacce del XXI secolo:terrorismo e proliferazione del nucleare; povertà e

10

Gli USA di Obama Secondo

Page 11: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

genocidio; cambiamento climatico e malattie. Eripristinerò la nostra reputazione morale così chel’America sarà ancora l’ultima, migliore speranza per tutticoloro che sono chiamati alla causa della libertà”. Dunqueil primato della politica, il sostegno alle prospettive dination building più che non al potenziamento dell’offensivamilitare, la pratica di peacekeeping come strumento diregolazione dei conflitti interni nelle aree regionali , ilconfronto con l’Europa , in nome di un nuovooccidentalismo , se essa vorrà e saprà essere “grandepotenza” e non una semplice dépendance.

Infine: il riequilibrio dell’economia di un Paese che oggiè il massimo debitore mondiale, l’adozione dopo lareaganomics, di quell’”economia sociale di mercato” cuiObama assegna il compito di affrontare disuguaglianze direddito e disparità, quando – è il caso della sanità – nonaddirittura mancanza di servizi pubblici. Insomma la sfidadi un cambiamento epocale, per l’America e, con essa, perl’intera umanità del nuovo secolo.

11

Gli USA di Obama Secondo

Page 12: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

12

uattro anni fa, la parola d'ordine vincente diObama fu "Change", accompagnata dalloslogan "Yes, we can!" Cambiare è necessario ecambiare è possibile: se vogliamo, noi possiamocambiare. Quattro anni dopo, Obama ha

conquistato il secondo mandato presidenziale (e un postonella storia, non più "solo" come primo presidente nero)grazie a un'altra parola: "Forward", avanti! E a un altroslogan: "Four more years!", datemi, diamoci, altri quattroanni, il tempo necessario per provare a trasformare unepisodio di rottura, che ha corso il rischio di ridursiall'ennesimo sogno spezzato della storia americana, un po'Kennedy e molto Carter, in un vero ciclo riformista, menolontano dal modello Roosevelt.

Obama li ha ottenuti, dagli elettori americani, questi altriquattro anni. Per continuare a cambiare gli Stati Uniti e dareun volto nuovo alla globalizzazione. Ma perché cambiare,con quale intenzione, con quale progetto, con quale"dottrina"? Già: ma esiste, in effetti, una "dottrina Obama"?La risposta che azzardo in queste poche pagine è si, esisteuna dottrina Obama. Come una moneta, essa ha due facce:una, rivolta verso gli Stati Uniti, il loro sistema economico esociale e il loro sistema politico-istituzionale; l'altra, laseconda faccia, è invece rivolta verso il mondo, i suoiequilibri geopolitici, e i rapporti di forza che li sorreggono,vuoi nei settori, per dirla con Joseph Nye, di hard-power(militare ed economico), vuoi in quelli di soft-power (cultura,stili di vita, valori).

La dottrina Obama si è formata nel confronto critico, perun verso nei riguardi dell'ideologia neo-conservatrice, in

Esiste unadottrina Obama?Giorgio Tonini è senatore del Pd

Q

Gli USA di Obama Secondo

Page 13: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

particolare nella versione proposta, nel primo decennio delDuemila, da George W. Bush; e per altro verso, facendo iconti, in modo impietoso, con le debolezze del pensieroliberal, tanto radicale nella critica dell'avversario, quantoincapace di contendergli effettivamente la conquista delmainstream della società americana, condannandosi così aduna strutturale minorità.

La dottrina Obama è pertanto una specie evoluta,adattatasi con successo all'ambiente del nuovo secolo, del piùampio genere di pensiero, progressista e riformista, che vasotto il nome generico di "Terza Via": una corrente dipensiero politico, che ha conosciuto il suo massimosplendore a cavallo del passaggio di secolo, con Clinton eBlair, Schröder e Prodi, chiaramente collocata sul versante dicentrosinistra dello schieramento politico (dunque aliena daqualsiasi tentazione "terzaforzista" e limpidamentealternativa al pensiero neoconservatore e alle forze dicentrodestra), ma non per questo incapace di interrogarsi suilimiti nella capacità di comprensione, rappresentanza e indefinitiva governo delle società nuove, da parte deitradizionali paradigmi culturali e politici della sinistra, e sullanecessità di contaminarli con gli elementi di "verità interna"della proposta neo-conservatrice, per trarne una sintesinuova, convincente e vincente.

Ma se la dottrina Obama è riuscita ad affermarsi e aprevalere, nel 2008, è stato grazie al carattere epocale, dinetta cesura storico-politica, oltre che socio-economica, dellagrande crisi finanziaria e poi economica globale, esplosa nel2007. Proprio perché si è trattato, per usare parole diTommaso Padoa-Schioppa, di "una crisi di sistema e non nelsistema", è stato possibile vedere in essa l'esaurirsi dellalunga stagione di egemonia del pensiero neo-conservatore,fondato sulla convinzione che fosse la disuguaglianza sociale,insieme allo squilibrio macroeconomico globale, l'unico veromotore dello sviluppo. E l'emergere della necessità di unnuovo paradigma, che faccia dell’equilibrio internazionale edell’uguaglianza sociale, insieme alla sostenibilità ambientale,i nuovi motori dello sviluppo.

L'impresa è titanica, ha bisogno di molto tempo e digrandi risorse intellettuali, morali e politiche. Anche perché,per citare ancora Padoa-Schioppa, "non c'è politicaeconomica che possa evitare un rallentamento, per moltianni, della crescita dei paesi più ricchi". Robustezza dipensiero, innanzi tutto. È il pensiero "democratico", quello

13

Se la dottrinaObama è riuscita adaffermarsi e aprevalere, nel 2008,è stato grazie alcarattere epocale, dinetta cesura storico-politica, oltre chesocio-economica,della grande crisifinanziaria e poieconomica globale,esplosa nel 2007.

Gli USA di Obama Secondo

Page 14: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

che con Obama si sta oggi cimentando nell'impresa diridisegnare il volto della globalizzazione, per governarne larotta. Un pensiero antico, nelle sue radici. Ma anche un"pensiero nuovo", nel suo approccio alle sfide storiche delpresente: come fu nuovo il pensiero neo-conservatore dellaThatcher e di Reagan, che non si limitarono a riproporre ladestra del passato, ma cercarono di impadronirsi (e ciriuscirono alla grande) della frontiera strategicadell'innovazione e del cambiamento.

Allo stesso modo, il pensiero neo-democratico, "new-dem",nasce dalla consapevolezza, assai presente e viva nellariflessione di Obama, che dopo la crisi finanziaria e la granderecessione di questi anni, non si tratta di tornare all’erasocialdemocratica: quel mondo non tornerà più, perché èvenuto meno uno dei suoi presupposti fondamentali, ladimensione prevalentemente nazionale dei problemieconomici e sociali e delle politiche necessarie per affrontarli,e si è manifestato invece un mondo nuovo, globalizzato, nelsegno di una fortissima interdipendenza.

Obama deve indurre e accompagnare gli Stati Uniti a"declinare crescendo", per prendere a prestito un fortunatoossimoro di Bruno Manghi: declinare in termini relativi, dalrango di iperpotenza solitaria e imperiale (o meglio dallaillusione di possederlo) che ha caratterizzato la stagione diGeorge W. Bush, ma per crescere, fino ad esercitare il ruolodi "presidente democratico" di una comunità internazionaleche ha ancora e forse più che mai bisogno di un "egemoneresponsabile". E declinare da un modello di sviluppofondato sull'indebitamento, ormai insostenibile, in favore diuna crescita solida, basata sulla straordinaria capacità degliStati Uniti di inventare, innovare, creare non solo prodotti,ma idee, paesaggi umani, in definitiva mondi immaginari erealizzabili al tempo stesso: dal grattacielo, allo spazio, fino alcomputer e all'ipod.

Nei quattro anni del suo primo mandato, Obama ha postopremesse significative di questa ambiziosa impresa. Ma sulpiano internazionale, alla nuova dottrina, che di per sé hacambiato lo scenario (basti pensare alla primavera araba), nonhanno ancora corrisposto successi tangibili nella gestione delletante crisi regionali, a cominciare dalla questione israelo-palestinese. Su quello interno, il principale insuccesso di Obamaè stato il blocco del Congresso, figlio della deriva hyperpartisandella politica americana, e in particolare della egemonia delladestra religiosa e ideologica sul Partito repubblicano.

14

Gli USA di Obama Secondo

Ma sul pianointernazionale, alla

nuova dottrina, che diper sé ha cambiato lo

scenario (bastipensare alla

primavera araba),non hanno ancoracorrisposto successi

tangibili nella gestionedelle tante crisi

regionali.

Page 15: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

Su entrambi i fronti, Obama sa di non potersi aspettaremiracoli. Ma la sua autorevolezza esce indubbiamenterafforzata dalla conferma elettorale: un dato che potràrivelarsi prezioso ad esempio nella gestione dell'intricatodossier mediorientale, così come nel rapporto col Congresso.In particolare, la sconfitta per quanto onorevole di Romney,insieme alla vittoria dello spirito unitario e bipartisan diObama, potrebbe indurre ad una più matura riflessione nelPartito repubblicano, circa la sterilità politica e perfinoelettorale del radicalismo di destra, schiudendo la possibilitàdi una nuova stagione di cooperazione tra Casa Bianca eCampidoglio.

Per l'Europa, la rielezione di Obama presenta il vantaggiodi confermare un rapporto ormai rodato e nel complessopositivo. E non solo per la popolarità di Obama nel VecchioContinente: non è vero infatti che Obama si disinteressidell'Europa, anche se è indubbio che il Pacifico ha da tempoconquistato una posizione centrale nell'agenda della CasaBianca. Obama sa che solo insieme all'Europa potràaffrontare i due principali dossier che ingombrano il suotavolo nello studio ovale: la crisi economica e il rapporto colmondo arabo-islamico.

15

Gli USA di Obama Secondo

Page 16: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

La vittoria di Obama parla anche a noi, democraticiitaliani. Innanzi tutto perché mantiene vivo e anzi rilanciapoderosamente il pensiero democratico, quello che avevamovoluto porre alla base del partito nuovo, della casa comunedei riformisti italiani. Un pensiero che, proprio perché fadella democrazia, con la sua umanistica consapevolezza dellimite radicale della politica, il suo ideale regolativo, rifuggedall'ideologia e dallo spirito conservatore che essa porta consé (insieme e non casualmente con una buona dose dicinismo), in favore di un impasto originale di radicalità deivalori, dei principi, dei comportamenti, degli stili di vita, e dipragmatismo creativo e curioso, nella ricerca di soluzioniinnovative ai problemi collettivi.

Un pensiero che considera semplicemente insensata ladistinzione e ancor più la divisione del lavoro, tra sinistra ecentro, tra progressisti e moderati. Obama è irriducibile aduna sola di queste due dimensioni: come ogni vero riformistademocratico, egli è al tempo stesso un progressista, un uomodi sinistra, per i fini che persegue, a cominciare dallapromozione della pace tra i popoli e dell'uguaglianza socialee civile. Ed è un moderato, un centrista, per la capacità didialogo, lo spirito bipartisan, la disposizione alla gradualitànel cambiamento di cui pure avverte l'urgenza. Una "dottrinavivente", sulla quale riflettere.

16

Gli USA di Obama Secondo

Page 17: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

17

‘era una volta l'America. Un paese senzapartiti, che l'Europa guardava con un mix didisprezzo e altezzosa supponenza. Per unavolta, la profezia marx-engelsiana sembravaproprio avere fatto cilecca. Eravamo noi, il

vecchio continente, a mostrare il futuro agli USA. Noi laculla della democrazia e della partecipazione di massa. Etutto questo grazie ai partiti, l'invenzione europea attraversocui la lotta di classe era cresciuta in grande sfida politica. Ipartiti, nel bene e nel male, come artefici del cambiamento.Partiti rivoluzionari in Russia, partiti reazionari inGermania, e partiti socialdemocratici in quel laboratorioscandinavo che avrebbe fatto scuola e proseliti in tantedemocrazie del dopoguerra.

L'America, invece, prigioniera del suo presidenzialismoimpotente, un modello costituzionale antiquato sempresull'orlo di diventare preda di derive populiste e mediatiche.Prendete – fino a vent'anni fa – un qualunque manuale distoria dei partiti politici, qualunque testo – anche i piùblasonati – sulla loro organizzazione, e troverete questavulgata: da un lato l'Europa felix, la patria della democraziafondata e ancorata sui partiti; dall'altro lato, gli Stati Uniticon i loro partiti vetrina, buoni tutt'al più a tenere in vita unmeccanismo elettorale che serviva soltanto a eleggere unpresidente. Il risveglio da questa vulgata – quanto menoapprossimativa e, almeno per una metà, infondata – è statobrusco, anzi burrascoso. Su entrambe le spondedell'Atlantico. Al punto che, oggi, il quadro si è – quasi –capovolto. Siamo noi europei che cominciamo a invidiare ipartiti americani – oltre che ad imitarli a mani basse, come

Il ritornodei partitiMauro Calise insegna Scienza Politica all’Università Federico II di Napoli

C

Gli USA di Obama Secondo

Page 18: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

mostra l'adozione ed esplosione delle primarie.Non si è trattato, però, di una inversione di ruoli, quanto

piuttosto di un ritorno alle origini. Abbiamo scoperto conritardo quello che gli studiosi americani – e i pochi espertieuropei della materia – avevano sempre saputo. Che i partitiorganizzati erano nati nella prima metà dell'Ottocento, concinquant'anni di anticipo rispetto a quelli made in Europe,nella young republic o first new nation che aveva dato ilvoto a un elettorato di massa. E, che per tutto ildiciannovesimo secolo, avevano dominato da padroni lamacchina del governo federale.

Con scontri durissimi sul filo, a più riprese, della guerracivile. Che infine – come si sa – scoppiò, all'insegna di unaquestione che più hyperpartisan non si poteva. Questoanticipo americano aveva innanzitutto tracciato la viamaestra per la mobilitazione – e integrazione – di fasceamplissime di elettorato alle regole più elementari dellademocrazia contemporanea: partecipare alla vita politica,schierandosi da una parte, eleggendone i rappresentanti easpettandosi – dopo la vittoria – un qualche tipo diricompensa.

Spetterà ad Andrew Jackson, nel suo discorso alCongresso del 1829, inaugurare il sistema delle spoglieenunciando quella Doctrine of simplicity secondo cui, pergestire lo stato, non ci volevano i supertecnici, ma l'unicorequisito era di essere un affidabile uomo di partito. Un temache sarebbe echeggiato quasi un secolo dopo nel discorsosulla cuoca di Lenin, e che ritroviamo, dopo un altro secolo,nell'ideologia delle parlamentarie grilline… Insomma, unesordio americano che ha fatto molta strada!

Questo prologo – due secoli contano più di due decenni –per mettere in chiaro i due caratteri originari dell'anticipoamericano: scontro ideologico al calor bianco, portato avantiattraverso macchine – è proprio il caso da dire – da guerraelettorale, forgiate con lo scopo primario di ottenereconsensi a tappeto e ingenti risorse pubbliche.

Rispetto a questa primogenitura partitica, che attraversatutto l'Ottocento, il secolo breve fa segnare una inversione ditendenza. I partiti che avevano dominato da padroni la scenapolitica, cedono il passo ai presidenti. Che non saranno più –come scriveva Lord Bryce in The American Commonwealthsullo scorcio del diciannovesimo secolo – uomini senzaqualità, ma diventano leader monocratici con unaconcentrazione di poteri che, grazie alla rivoluzione

18

Gli USA di Obama Secondo

Il secolo breve fasegnare unainversione di

tendenza. I partitiche avevano dominato

da padroni la scenapolitica, cedono il

passo ai presidenti.Che non saranno più- come scriveva Lord

Bryce in TheAmerican

Commonwealth sulloscorcio del

diciannovesimo secolo- uomini senza

qualità.

Page 19: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

roosveltiana, ne farà il perno del sistema politico americano. E ci avviciniamo ad ampie – ancorché contrastatissime –

falcate ai presidenti contemporanei: i Personal Presidentsche, nel ritratto impietoso di Theodore Lowi, sono portati apersonalizzare la contesa elettorale, finendo con l'avvitarsi inuna spirale di promesse sempre più estese, e sempre menorealizzabili.

Nasce da questa iperpersonalizzazione, e dalla suainevitabile crisi, il ritorno dell'ideologia nei partiti, il declinodi quell'età del pragmatismo in cui sembrava cherepubblicani e democratici potessero facilmente,all'occorrenza, scambiarsi casacche e idee. Il presidente senzapartiti, o meglio con partiti troppo deboli per potergli fare dascudo nelle continue traversie di un mondo globalizzato equasi ingovernabile, aveva bisogno di trovare un nuovoancoraggio che non fosse solo la propria fragile persona.

E per questa riesumazione americana del «secondo corpodel re» – per adattare al nostro spartiacque la celebremetafora kantorowicziana – ha potuto far leva sugliingredienti che, due secoli fa, avevano lanciato i partiti alcentro della scena politica: le nuove spaccature ideologiche diun mondo contemporaneo attraversato da ineguaglianzesempre più profonde, e le vecchie, un po' arrugginitemacchine di combattimento. Che, grazie a copiosiinvestimenti di quattrini e tecnologia, sono state rimesse inpista, più agguerrite ed efficienti che mai.

Questa svolta americana hyperpartisan ha colto l'Europa –tanto per cambiare – di sorpresa. Da noi il quadro che, untempo, si sarebbe chiamato di classe era diventato sempre piùconfuso. Blair, che con l'appoggio delle Unions, puntavadecisamente al centro; gli operai italiani del triangolo industrialeche votavano per la Lega (e le massaie disoccupate chepreferivano Berlusconi); la Germania che si teneva a gallagrazie alla Grosse Koalition; per non parlare dell'Europadell'Est, che virava a destra a tutto gas. In questo panoramaormai indecifrabile di antiche corrispondenze tra fratturesociali e partitiche, l'America ripropone in modo netto edeclatante la contrapposizione tra ricchi e poveri, tra haves andhavenots.

Tra coloro costretti a fare affidamento – come nellasprezzante definizione di Romney – sulle risorse del welfarestatale, e coloro che hanno abbastanza soldi per fare da sé e perpretendere di pagare ancora di meno rispetto ad aliquote fiscaligià abbondantemente inferiori a quelle del resto d'Occidente.

19

Gli USA di Obama Secondo

Page 20: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

Questa America neo-classista dimentica il fair playbipartisan e diventa iperpartitica. Anzi, sono proprio i partitila fucina ideologica del nuovo scontro frontale. Laprimogenitura spetta ai neocons che hanno fatto di Bush unpresidente d'assalto, armato – oltre che di missili stellari – diun arsenale micidiale di propaganda amico-nemico. Con lageniale sostituzione del vecchio avversario comunista conl'inedito bersaglio terrorista. E l'arrivo del primo presidentenero ha rinfocolato la battaglia, sublimando l'odio razzialenella rivolta fiscale del tea-party.

Fino alla candidatura di Romney, un simbolo chesembrerebbe inventato se non fosse terribilmente vero ilsuo curriculum di – arricchitissimo – tagliatore di posti dilavoro. Per fronteggiare questa offensiva ideologica, idemocratici hanno riesumato il loro più prezioso – e alungo trascurato – retaggio di specialisti della machinepolitics. Non a caso viene da Chicago l'uomo che haconquistato, per due volte, una vittoria difficilissima.Certo, grazie al proprio carisma e ad una affilatissimaretorica. Ma soprattutto per aver reinventato una modernastruttura tritavoti, che ha saputo sapientemente mixare lapenetrazione – e il fundraising – via web con una reteterritoriale fittissima di volontari porta-a-porta.

La prossima sfida per Obama sarà di riuscire a dotareanche la macchina democratica di una corazza ideologicasalda e coesa con cui affrontare lo show-down che irepubblicani stanno portando avanti al Congresso. L'Obamalegacy si gioca qui. Nella capacità di dimostrare che, comenell'America che inventò i partiti, al vincitore appartengonole spoglie. Saldare presidente e partito in una strongdemocracy. Se ci riesce, diventerà anche per noi la nuovalezione americana.

20

Gli USA di Obama Secondo

Questa Americaneo-classista

dimentica il fair playbipartisan e diventa

iperpartitic.

Page 21: TamTamDemocratico n°13
Page 22: TamTamDemocratico n°13
Page 23: TamTamDemocratico n°13

La vittoria

Page 24: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

24

desso che la campagna elettorale è finita, eandata alla grande, con Barack Obama di nuovoalla Casa Bianca, il team digitale del Presidentetira il fiato. Qualcuno, certo, resterà o entrerànell’amministrazione, altri quattro anni, ma è

chiaro che gli smanettoni che, nella nuova vulgata, hannoconsegnato la vittoria al candidato democratico sul mercatoadesso valgono uno sproposito. Il gruppo che nella

Il team digitale del PresidenteFilippo Sensi è vicedirettore di Europa

A

Gli USA di Obama Secondo

Page 25: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

primavera del 2011 si riunì per la prima volta presso gli ufficidelle Sandbox Industries a Chicago, ingegneri,programmatori, start-upper, oggi, dopo il trionfo di Big Datache ha cambiato forse per sempre la politica americana, si staguardando in giro.

A convocarli e reclutarli nella campagna presidenziale fuMichael Slaby, un veterano del team Obama, “ChiefIntegration and Innovation Officer” nell’organigramma dellamacchina da guerra di One Prudential Plaza, il quartiergenerale democratico; il responsabile dell’area tecnologica diObama for America 2012.

Si è già scritto molto e si favoleggia della "caverna" in cuihanno lavorato i 40 ingegneri, guidati da Harper Reed, ilcarismatico CTO (chief technology officer) della campagna,anche lui ingaggiato da Slaby un anno e mezzo fa. Sappiamodel "data mining" (l'estrazione di informazioni sensibili dabanche dati e navigazione online tramite i cookies dei siti chesi visitano). Di Dashboard, la piattaforma digitale che haconsentito ai volontari di bussare a colpo sicuro alla portadegli elettori, sapendo e scremando tra chi era già statocontattato, chi votava per l'avversario, chi poteva esseresensibile alle parole d'ordine del Presidente. Di QuickDonate, lo strumento online per favorire le piccoledonazioni, superando le lungaggini della registrazione.

Quello che non sappiamo ancora non è se, ma comecambierà la scena tech a Chicago e negli Stati Uniti, allaluce di questa esperienza pionieristica. È la prima voltaforse che questo mondo, fatto di geek, hacker e tecnologisi cimenta in prima persona dentro una campagna, e quelladel Presidente in carica per di più, portandola al traguardo.“Alla fine, come al solito, è la scienza a vincere la partita”,scherza, ma non troppo, al telefono Reed. Ora, sullosfondo della conversazione senti rumori di casa, lafamiglia, la moglie Hiromi, ma per un anno e mezzoquesto ragazzo dagli occhiali spessi e la cresta rossa havissuto praticamente da sequestrato, assieme ai suoiingegneri, selezionati da lui per creare la spina dorsaledello sforzo digitale del candidato democratico.

Leggi Big Data e immagini, come ha scritto EthanRoeder (il responsabile dati della squadra, appunto) sul NewYork Times, un “computer blu gigante al 101esimo piano diun grattacielo, circondato da tubature gorgoglianti di unliquido luminoso, che sputa fuori il destino degli elettoriamericani”. E, invece, poi, una volta che la rigida segretezza

25

Quello che nonsappiamo ancoranon è se, ma comecambierà la scenatech a Chicago enegli Stati Uniti,alla luce di questaesperienzapionieristica.

Gli USA di Obama Secondo

Page 26: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

della campagna elettorale apre le paratie, trovi un gruppo diragazzoni che, forse, ha cambiato per sempre il modo con ilquale si vincono le elezioni.

Era proprio questo il mandato che Jim Messina, ilcampaign manager, aveva affidato a Slaby (entrambi, di recente,passati in Italia, dopo le fatiche elettorali): dal 2008, sotto ilprofilo strettamente tecnologico, è passata un’era geologica e,per riaggiudicarsi la Casa Bianca, in un clima politico moltosfavorevole all’incumbent (il Presidente uscente), c’è bisogno diiniettare “nuova linfa” e “nuove competenze” nella squadrademocratica.

Non è soltanto che quattro anni fa erano state le elezionidi Facebook e, nel frattempo, social network come Twittersono cresciuti in maniera esponenziale. L’esigenza era quellanon solo di sfruttare tecniche e professionalità cheprosperano nel privato, ma che non si erano ancora maiapplicate alla politica, ma anche di mettere a punto unmodello, un hardware per far girare al meglio l’integrazione trail piano digitale e il “field”, il lavoro sul territorio dei 700milavolontari; un esercito che, nel corso di questa tornataelettorale, ha contattato direttamente 125 milioni diamericani.

Parli con Slaby o con Reed, e capisci che il loro approccio“no-nonsense”, pragmatico e rivolto alla soluzione deiproblemi è stato determinante per costruire, implementare efar funzionare la macchina. “Certo, abbiamo avuto soldi etempo per prepararci”, ammette Michael, in una chiacchieraa Roma, una delle tappe del Grand Tour che ha fatto a iniziodicembre con la moglie, tra Milano, Napoli e Bologna. E siripropone, come ai tempi della War Room di Bill Clinton,correva l’anno 1992, quattro lustri fa, il tema dellariproducibilità dello schema vincente anche altrove.

Vista dalla parte del marketing politico, siamo alla vigiliadi una nuova, formidabile stagione di consulenti elettorali,pronti a vendere chiavi in mano i segreti del successo diObama? Inutile illudersi, è anche così, come è stato inpassato con assi come James Carville e Stan Greenberg.

Eppure, forse, questa volta c’è qualcosa di più e didiverso. Perché molti dei protagonisti della rivoluzionedigitale di OfA vengono, appunto, da altri mondi rispetto allapolitica: come Reed, che, tra le altre cose, si era inventato unaredditizia start-up per vendere magliette personalizzate incrowdsourcing. O come Scott VanDenPlas, anche luiall’incontro da Sandbox, promosso da Slaby, e Jason Kunesh,

26

Gli USA di Obama Secondo

Vista dalla parte delmarketing politico,

siamo alla vigilia diuna nuova,

formidabile stagionedi consulenti

elettorali, pronti avendere chiavi inmano i segreti del

successo di Obama?

Page 27: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

che nella campagna di Obama si occupavano dellainfrastruttura cloud su cui girava tutta la macchina checollegava i server con la loro enorme mole di dati aglismartphone dei volontari, a caccia di elettori.

Nell’epoca del fact-checking (il controllo fattuale delleaffermazioni dei candidati che affollano i talkshow televisivi)e dei sondaggi di Nate Silver, il genio del blog FiveThirtyEightche ha osato mettere in discussione gli ipse dixit sapienzialidei pollster, infilando il risultato finale al millimetro sullabase dei suoi algoritmi, si restringe lo spazio per il “gutfeeling”, il naso di chi la sa lunga, ma non sa produrre datievidenti e misurabili delle proprie sensazioni.

Insomma, meno guru e più informazioni, meno santoni epiù files, senza nulla togliere, per carità, alla visione di vecchievolpi come David Axelrod e David Plouffe, da sempre alfianco del Presidente. Che hanno avuto, tuttavia, lalungimiranza di capire che questa volta non sarebbe bastatala mobilitazione carismatica e spontanea del 2008, maoccorreva istituzionalizzare quel miracolo, ridurre lepercentuali di rischio, mettendosi al lavoro da subito su“Narwhal”, il nome in codice – “non significa niente”, cischerzano su ora Reed e Slaby – della densissima nuvola sucui ha viaggiato la campagna di Obama.

Prima di tutto, mettere insieme. Integrare, come si dice nelgergo degli smanettoni. E cosa? Le banche dati, tutte leinformazioni che giacevano separate, negli archivi del partitoo in quelli del sindacato, nelle associazioni. Tutto insieme,frullato con i dati che ognuno di noi cede ogni giorno abanche dati private, e con quelli che vengono dalla Rete, dalnostro utilizzo di Internet, grazie ai cookies che, con unsemplice nostro clic distratto, raccontano molto di chi siamo,di cosa preferiamo, cosa cerchiamo.

Un’enorme schedatura di massa? Il rischio c’è, inutilegirarci intorno, anche se Reed si accalora, quando si definisce“inquietante” questo risvolto di Big Data: “Avevamo unapolicy della privacy molto chiara per quanto riguarda iltrattamento dei dati, e poi non è che qualcosa diventainquietante se lo utilizza una campagna elettorale, e lo èmeno se lo fa Facebook”.

Questa enorme quantità di informazioni, elaborata emessa a frutto grazie a piattaforme disegnate per lacampagna, avvalendosi del contributo di società esternecome Blue State Digital, ad esempio (e qui si aprirebbe unaltro capitolo, quello della interazioni e dei possibili conflitti

27

Gli USA di Obama Secondo

Page 28: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

di interessi legati a questo tipo di collaborazione), è statamessa al servizio dei volontari, che sono stati il vero valoreaggiunto della campagna, convengono Slaby e Reed. “Miamamma faceva la volontaria per Obama, spiega Harper, nonvolevo sprecasse tempo. Il nostro contributo è stato soltantoquello di rendere più efficiente e più veloce il lavoro fatto datutta questa gente, tutto qui”.

È disarmante pensare che chissà qual è la pozionemiracolosa, quale misterioso laboratorio, e poi ritrovarsi difronte a tecnici che ti raccontano che hanno solo cercato difare il loro lavoro e stop. Un po’ ci giocano, è ovvio, difficiledavvero pensare a come possa essere replicabile un simileformat, senza i fondi e le tecnologie di cui ha potuto godere lacampagna del Presidente. Anche se loro, sia che rimanganonella amministrazione, sia che tornino sul mercato (che liaspetta a braccia spalancate), sono convinti che questainfrastruttura, questo know-how possa avere, eccome,applicazione, anche fuori dalla “caverna”. Ad esempio, nelsettore delle ONG e del non-profit, delle campagne mirate:“Resta sintonizzato”, risponde, sornione, Reed che a Chicagosta lavorando a un suo progetto, cui darà una mano ancheSlaby (e il fatto che Michael sia un buon amico di EricSchmidt di Google la dice lunga sulle probabilità di riuscitadella loro start-up).

Insomma, confessa, gli faccio io, pensando di darmi untono come di chi pretende di saperla lunga, “qual è stata lakiller app di questa campagna elettorale?”. Harper ci pensa suun secondo, poi mi spiazza: “Puoi avere tutte le applicazioniche vuoi, ma senza la gente, the people, valgono niente”.Gioco, partita, incontro per Reed.

28

Gli USA di Obama Secondo

Page 29: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

29

l 6 novembre scorso, Barack Obama è statorieletto Presidente degli Stati Uniti. Nel votopopolare, il perdente Mitt Romney ha raccoltoappena 3 milioni di consensi meno di Obama (il2,4% dei 123 milioni di voti), ma nella conta dei

voti…che “contano”, cioè quelli elettorali espressi daciascuno Stato, il distacco è stato amplissimo (332 perObama e 206 per Romney).

Il divario tra il voto popolare e quello elettorale è laconseguenza, come è noto, del sistema maggioritario, per ilquale chi ottiene più consensi ottiene tutti i voti elettoralidello stato (ogni stato ne ha un numero proporzionale allasua popolazione). Le campagne presidenziali si giocanosulla conquista delle simpatie degli elettori stato per stato equindi anche sulla conoscenza del loro profilodemografico, etnico e sociale.

Questo, negli Stati Uniti, muta con grande rapidità inragione della forte mobilità sociale e migratoria del paese.Più che la immigrazione dall’estero è la migrazione internache cambia la geografia del voto: New York e Florida, nel2008, avevano rispettivamente 31 e 27 voti elettorali, manel 2012 ne esprimono lo stesso numero, 29. Il Texas haguadagnato 4 voti, da 34 a 38, mentre l’Ohio ne ha perduti2, da 20 a 18.

Più in generale la geografia elettorale si è modificata afavore degli stati del sud e dell’ovest del Paese, a scapito diquelli del nord e dell’est. Ancora più incidenti sono imutamenti nella composizione etnica, demografica esociale, perché gli uomini differiscono fortemente dalledonne per quanto riguarda le intenzioni di voto, e i vecchidai giovani, i neri dai bianchi e i bianchi dagli ispanici.

Il colore della pelle, ed il background etnico1contanotre volte nella geografia politica. In primo luogo perché

Le minoranze eil declino dei wasp Massimo Livi Bacci è senatore del Pd

I

Gli USA di Obama Secondo

Page 30: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

l’espressione del voto varia fortemente (molto più alta tra ibianchi che tra i neri). In secondo luogo perché lanumerosità dei gruppi etnici cambia con un ritmo che èesplosivo tra gli ispanici e gli asiatici e assai moderato tra ibianchi. In terzo luogo perché, come adesso si vedrà, i varigruppi votano in modo assai divergente.

I mutamenti nella composizione etnica sono davverostraordinari2: nel 1950, i bianchi costituivano l’85% dellapopolazione, sono scesi al 63% nel 2011 e scenderanno al47% nel 2050, secondo le previsioni del Census Bureau.

La popolazione ispanica3 pesava appena per il 3% nel1950, contro il 17% nel 2011 e il 29% previsto nel 2050;molto dinamica anche la componente asiatica alla quale,alle tre date, viene assegnato un peso pari a 1; 5; e 9%. Piùstabile la componente nera che guadagna due punti tra il1950 (11%) e il 2050 (13%).

Ha fatto scalpore un comunicato recente del CensusBureau con l’annuncio che nel 2011, per la prima voltadall’indipendenza, i nati da genitori bianchi sono stati meno

del 50% del totale. Il gradienteetnico si combina con quellodelle età (più questa cresce,più è alta la proporzione deibianchi), influenzando il voto.

La più giovane età delleminoranze, la minoreincidenza della registrazionetra i votanti, e la più altaincidenza di ceti molto poveri,fa sì che la rappresentanza diquesti gruppi tra i votanti siaassai minore della loroincidenza sulla popolazione.Come si è detto, gli ispanici,che sono il 17% dell’interapopolazione, hanno costituitoappena il 10% dei votanti.

L’appartenenza etnica hainfluenzato profondamente ilvoto, come può desumersidalla Figura 1. La quasitotalità dei neri (93%) havotato per Obama, che haraccolto anche una robusta

30

Gli USA di Obama Secondo

Page 31: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

maggioranza di consensi tra gli asiatici (73%), tra gliispanici (71%) e tra le “altre” minoranze (indiani americaniin maggioranza).

Tra i bianchi, invece, una forte maggioranza ha votatoper Romney (59%). E’ interessante notare come lapolarizzazione del voto sia aumentata; nel 1976, il votoispanico fu assai meno diviso tra i due candidati, e Carterottenne il 57%; nel 2008 Obama ottenne il 67%, contro il71% nel 2012. Così è per il voto dei bianchi: a McCain,nel 2008, andò il 55% dei consensi, contro il 59% raccoltoda Romney quattro anni più tardi.

La demografia del voto ricalca le aspettative, maapprofondisce i divari tra gruppi significativi dellapopolazione rispetto alle consultazioni del passato. C’è ungradiente correlato all’età molto forte: Obama ha raccoltouna considerevole maggioranza tra i più giovani (60% deiconsensi tra i minori di 30 anni), che si attenua tra gliadulti di 30-45 anni (52%); Romney raccoglie lamaggioranza nelle classi di età successive.

Obama ha attratto il voto dei single (56% tra gli uominie 67% tra le donne) e delle donne di ogni stato civile(55%), nonché della stragrande maggioranza dellacomunità gay-lesbian; Romney ha prevalso tra gli uomini(52% del totale), e in particolare tra i coniugati (60%). Glianalisti hanno concluso che il sostegno femminile hapermesso ad Obama di decisivi per la sua vittoria.

Il grado di istruzione ha avuto scarsa rilevanza, mentreObama ha avuto una forte prevalenza tra coloro cheritenevano assai importante la politica sanitaria, e Romneytra i ceti preoccupati dal deficit e dall’instabilità finanziaria.

La campagna elettorale americana ha investitostraordinarie risorse nell’analisi minuta delle preferenze divoto secondo le caratteristiche reddituali, sociali, etniche,residenziali, demografiche degli elettori. Con il sostegno diuna grande ricchezza di dati, di software sofisticati, dimodelli di analisi statistica molto avanzati. Certo, come dettoall’inizio, gli Stati Uniti sono un paese assai più dinamico,mobile e cangiante di quanto non sia l’Italia. Inoltre le sceltesono assai meno complesse che non da noi perché nellamassima elezione (quella del Presidente) si sceglie (in pratica)tra due candidati. Ma c’è da scommettere che anche lapolitica italiana finirà con l’investire, in futuro, più in analisiche in comizi elettorali – sempre più costosi, sempre piùnumerosi… e sempre più vuoti.

31

Gli USA di Obama Secondo

La demografia delvoto ricalca leaspettative, maapprofondisce i divaritra gruppisignificativi dellapopolazione rispettoalle consultazioni delpassato.

Page 32: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

32

l voto del 7 novembre ha segnato in mododefinitivo l’avvento di quello che il demografoWilliam Frey ha definito il “new mainstream”dell’America del XXI secolo. Da anni si discutedell’imminente avvento di un’America majority-

minority: un paese in cui i bianchi diventeranno una grande einfluente minoranza, ma pur sempre una minoranza. Alcensimento del 2010 i bianchi erano ancora largamenteprevalenti, sebbene in calo, con il 64% della popolazione afronte della componente ispanica balzata al 16% e di quellaafro-americana sostanzialmente stabile attorno al 12%. Laprevisione è che dopo il 2050 i bianchi diventeranno unaminoranza e i latinos arriveranno a sfiorare il 30% del totaledella popolazione. La crisi ha in parte rallentato questodestino: la contrazione delle migrazioni internazionali e dellafertilità dei latinos – probabilmente legata alla loro particolarevulnerabilità all’impatto della grande recessione – ha ridottola velocità del cambiamento, senza tuttavia metterne indiscussione gli effetti futuri.

I democratici paiono essere a loro agio nel nuovoamerican mainstream. Fra i latinos e gli afro-americani che sisono recati al voto, rispettivamente più del 70 e del 90%hanno votato per il presidente. Viceversa Mitt Romney haottenuto il miglior risultato di un candidato repubblicanonell’elettorato bianco dal 1992, staccando Obama di quasiventi punti percentuali.

Se la transizione non ha effetti politici molto rilevanti inaree che sono già da annoverare fra i bastioni democratici, neha invece in quelle che erano considerate fino a tempi recentidi sicura egemonia repubblicana. È il caso soprattutto degli

Quando le minoranzefanno maggioranza

Alessandro Coppola è Assegnista di ricerca al Politecnico di Milano

I

Gli USA di Obama Secondo

Page 33: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

stati montani dell’Ovest, dove la forte crescita dellapopolazione degli ultimi decenni è stata in gran partedeterminata dagli imponenti flussi migratori ispanici. Obamaha conservato la maggioranza in Nevada, Colorado e NewMexico nonostante il calo nell’elettorato bianco e in virtùdella sua persistente presa su quello ispanico. Anche inFlorida si potrebbe legittimamente ipotizzare che sia stata lamaggiore incidenza dei latinos sul totale dell’elettorato effettivo– passati dal 14% al 17% – ad avere fatto la differenza. Quelloche è accaduto in queste elezioni in alcuni stati chiavepotrebbe ripetersi, in misura amplificata, anche negliappuntamenti elettorali del prossimo futuro. Occorre infatticonsiderare che con il passare del tempo la bilanciademografica si modificherà anche in stati – quali la Georgia,per esempio – che ora non sembrano alla portata deidemocratici ma che, realisticamente, lo saranno sempre di più.

Più complessivamente, è la strategia di reinsediamentosociale del partito seguita fino ad ora a uscire rafforzata dalvoto presidenziale. Fin dal 2008, il messaggio “populista” diObama ha trovato radicamento in una generalizzata ripresadelle campagne sindacali e del community organizing fra leminoranze, gli immigrati e i lavoratori dei settori più debolidel mercato del lavoro, registrata fin dalla metà degli anniNovanta. Al di là dei loro risultati effettivi, che in molti casisono stati importanti, queste campagne e le loroorganizzazioni di riferimento – alcuni sindacati, nuove reti diattivismo urbano definite think-and-do tanks e organizzazionicomunitarie più tradizionali – hanno indicato una strada e unmetodo che per molti versi hanno anticipato pratiche econtenuti delle campagne dell’era Obama.

Un voto di classe?Ma il voto del 7 novembre è stato anche un voto di classe.

Com’è evidente, negli Stati Uniti più che altrove, differenzadi classe e diversità etnica si trovano a coincidere in misuramolto ampia. Anche per questa ragione, e alla luce di quantodetto fin ora, il partito democratico pare ben lontano dallepreoccupazioni della sinistra europea sull’indebolirsi dellapropria presa sui “ceti popolari”. Con un margine di circa il30%, Obama ha infatti trionfato fra gli elettori cheguadagnano meno di 30.000 dollari, estendendo allo stessotempo il proprio vantaggio anche fra gli elettori con unreddito compreso fra i 30.000 e i 50.000 dollari. Già primadel voto si era registrato nell’insieme dell’elettorato unorientamento culturale più favorevole al messaggio

33

Gli USA di Obama Secondo

Negli Stati Uniti piùche altrove, differenzadi classe e diversitàetnica si trovano acoincidere in misuramolto ampia.

Page 34: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

“populista” di Obama rispetto al liberismo di Romney. Ilquadro lo conosciamo: gli anni 2000 sono stati un decennioperduto per la classe media, che non solo si è ristretta, dandoluogo a una maggiore polarizzazione della distribuzione dellaricchezza, ma ha anche assistito alla riduzione netta sia deipropri redditi sia dei propri patrimoni.

L’organizzazione del messaggio politico di Obama attornoalla lotta contro la diseuguaglianza sembra, da questo puntodi vista, aver pagato. Agli occhi di molti americani ladiseguaglianza non è parsa più il risultato trasparente dimeriti e responsabilità, ma piuttosto l’esito di un sistemasociale iniquo che va cambiato. In una ricerca pubblicata allavigilia del voto, su un campione di elettori adulti di classemedia, la maggioranza degli intervistati considerava laproposta di Obama quella più capace di migliorare lecondizioni di vita della middle-class. La ricerca sottolineavapoi l’evoluzione della concezione stessa di classe media, conil progressivo allontanamento dell’opinione corrente da unaconcezione proprietaria della middle-class.

Il crollo dell’economia immobiliare che ha determinatoun’importante flessione dei tassi di proprietà della casa,soprattutto fra latinos e afro-americani, ha portato con sé unamaggiore sfiducia nell’idea che sia la tanto decantatahomeownwership – e quindi la ricchezza finanziaria che essapuò generare (o simulare) – a poter garantire non solol’accesso ma anche la permanenza nella classe media. Nonstupisce quindi che siano stati proprio i gruppi demograficipiù colpiti dal rovinoso sgonfiarsi della bolla immobiliare apremiare Obama. Non solo per le politiche di sostegno aiproprietari in difficoltà portate avanti dalla suaamministrazione, ma anche per la maggiore consonanza dellasua concezione della middle class con le reali condizioni di vitadi molti elettori a reddito medio: una concezione fondata piùsul lavoro e meno sulla rendita finanziaria, e più apertaall’idea che l’intervento pubblico in campi quali la salute e laformazione possa sostenere la mobilità sociale e ilconsolidamento dei risultati acquisiti.

Guardando al futuro, quindi, i democratici hanno più diuna ragione per essere ottimisti. Obama vince incassandogran parte del voto di gruppi sotto-rappresentatinell’elettorato effettivo – i poveri e le minoranze, chepartecipano al voto in misura inferiore alla mediadell’elettorato – mentre Romney perde incassando gran partedel voto di gruppi sovra-rappresentati, i bianchi e i

34

Gli USA di Obama Secondo

In una ricercapubblicata alla vigilia

del voto, su uncampione di elettori

adulti di classemedia, la

maggioranza degliintervistati

considerava laproposta di Obamaquella più capace di

migliorare lecondizioni di vitadella middle-class.

Page 35: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

benestanti. Questo spiega l’impegno dei democratici nellamobilitazione di quello che vedono come un immensoelettorato potenziale che, nonostante i progressi, rimanecomunque in gran una sua parte significativa ancora esclusodalla competizione elettorale.

La scelta delle campagne democratiche di concentrarsisull’obiettivo di un allargamento mirato della plateadell’elettorato effettivo – da conseguire prima di tuttoattraverso l’aumento della partecipazione al voto di latinos eafro-americani – si rivelerà quindi fondamentale anche infuturo. A essersi imposto nelle fila del Partito democratico èil principio secondo il quale il successo delle forzeprogressiste sia sempre di più da ricercare nella capacità diorganizzare i disoganizzati e non solo in quella di attrarre econservare il consenso di chi già è incluso nelle forme dirappresentanza sociale e politica.

Guardando al voto del 7 novembre, il “populismo” diObama sembra avere messo radici piuttosto profonde. L’esitoelettorale pare essere l’aspetto più visibile di un lento maprogressivo riorientamento culturale del paese in cui leminoranze hanno giocato e giocheranno un ruolo daprotagonista. Nonostante la flessione del voto per Obamarispetto a quattro anni fa e il persistere della maggioranzarepubblicana alla Camera dei Rappresentanti, le due ipotesi della“maggioranza democratica emergente”, di cui si è parlato neglianni Novanta, e del realignment dell’elettorato americano suposizioni progressiste dopo un lungo trentennio conservatore,di cui si parla dal 2008, sembrano avere superato un nuovoimportante momento di verifica con la realtà del paese.

35

Gli USA di Obama Secondo

Page 36: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

36

uando la lunga crisi dell’industriaautomobilistica è arrivata al suo punto piùbasso, nella seconda metà del 2008, le cosiddette“città dell’auto” erano già da tempo in unapaurosa crisi sociale. Detroit e Flint nello stato

del Michigan, Toledo e Cleveland in Ohio, e un numero dialtre aree di antica industrializzazione variamente collegatecon quel settore industriale avevano subito perditedrammatiche di stabilimenti, posti di lavoro, popolazione. Inquegli stati e in alcuni dei confinanti, in particolare Illinois ePennsylvania la siderurgia e il vetro, la gomma e tutte leramificazioni dell’indotto di ciascun settore avevano in partepreceduto e in parte accompagnato il crollo dell’auto. Su queldisagio sociale puntava Mitt Romney per sconfiggere Obamalo scorso novembre.

Tra il 1970 e il 2008, General Motors, Ford e Chrysleravevano perso quasi metà del mercato interno a favore deiproduttori stranieri e avevano chiuso la maggior partedelle fabbriche nelle città che le avevano ospitate per tuttala loro storia. È facile intuire quanto possano esseresocialmente gravi il dimezzamento della popolazione diDetroit o la perdita di un quarto dei suoi residenti da partedella più piccola Toledo. Anche sul piano sindacale il crollodelle iscrizioni è stato drammatico. E non è necessariospiegare quanto grandi siano le implicazioni simboliche delfallimento di due delle “Tre Grandi” dell’industriaautomobilistica, dopo che il Novecento era stato negli StatiUniti il “secolo dell’auto”.

Mentre la Ford era rimasta a galla all’arrivo dellarecessione, il crollo delle vendite e i tanti errori di strategia

Industria dell'autoe classe operaia Bruno Cartosio insegna Storia dell'America del Nord all'Università di Bergamo

Q

Gli USA di Obama Secondo

Page 37: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

industriale avevano portato la General Motors e la Chryslersull’orlo della bancarotta. Fu allora che intervenne ilneopresidente Obama, istituendo una “Presidential TaskForce on the Auto Industry” a capo della quale venivanoposti il ministro del Tesoro, Timothy Geithner, e il direttoredel National Economic Council, Larry Summers. Avviata nelfebbraio 2009, subito dopo l’entrata di Obama alla CasaBianca, la commissione aveva il compito di salvare il settore.

Veniva riconosciuto il ruolo “strategico” dell’industriadell’auto, venivano “soppesati” i 400.000 posti di lavoroallora già perduti in rapporto a una probabile perdita diulteriori 3-4 milioni di posti in quelle regioni del Nordest giàdisastrate, e veniva infine riconosciuta l’enorme portatasimbolica che avrebbe avuto la fine di due delle Grandi. Allafine, GM e Chrysler vennero salvate, dopo aver depositato intribunale le istanze di fallimento, con decine di miliardi didollari del governo statunitense, del governo canadese e deifondi pensione sindacali (la cui contropartita è stata l’entratadella United Auto Workers nei consigli di amministrazione).Nel caso della Chrysler, parte della proprietà fu acquisitadalla Fiat, come è noto.

La decisione di “salvare l’auto” da parte di Obama fuadamantina. L’azione fu rapida. Una parte degli interventi fuaffidata alla “Recovery for auto communities and workers”,nell’intento di coinvolgere gli attori sociali, economici eistituzionali nelle operazioni di ripresa e riqualificazione dellecomunità più colpite dal disastro. Le ricadute politiche diun’iniziativa di tale ampiezza, osteggiata da molti – tra loro ilfuturo candidato repubblicano alla presidenza, Romney –furono immediatamente verificabili.

Nelle elezioni congressuali del 2010, le aree industriali delMichigan tradizionalmente legate all’auto (Detroit, Flint,Ann Arbor) e tutta la fascia settentrionale dello statodell’Ohio, che include le città e contee su cui era imperniatada sempre la storia industriale dello stato (Toledo, Cleveland,Akron, Youngstown e la Mahoning Valley, con le suepropaggini fino a Pittsburgh, in Pennsylvania) votarono per icandidati democratici. Lo stesso accadde nelle areeindustriali dell’Indiana (inclusa l’area siderurgica di Gary) edell’Illinois, mentre le restanti parti prevalentemente ruralidello stesso Illinois, dell’Indiana, del Michigan e dell’Ohiovotarono repubblicano.

Quei comportamenti elettorali si sono ripetuti nel 2012.Le aree che due anni prima avevano dato la preferenza ai

37

La decisione di“salvare l’auto” daparte di Obama fuadamantina.L’azione fu rapida.

Gli USA di Obama Secondo

Page 38: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

candidati democratici per la Camera dei rappresentantihanno rivotato allo stesso modo. Solo nel voto per l’elezionedel presidente si è data una variante: l’Indiana, che nel 2008aveva dato i suoi voti elettorali a Obama – interrompendouna tradizione locale di vittorie repubblicane nellepresidenziali – li ha ridati al candidato repubblicano nel 2012.Invece le prevedibili ripetizioni della vittoria del candidatodemocratico nel Michigan, nell’Illinois e nella Pennsylvanianon hanno fatto notizia, se non per il fatto che inquest’ultimo stato i repubblicani avevano tentato diestromettere dal voto alcune centinaia di migliaia dipotenziali elettori democratici (introducendo l’obbligo, poisospeso dal tribunale prima delle elezioni, di presentarsi aiseggi con un documento d’identità con foto, requisitoinusuale negli Stati Uniti).

Chi aveva dubbi sull’esito delle presidenziali nella rust beltdi quegli stati, la “cintura” delle fabbriche abbandonate allaruggine da deindustrializzazione, delocalizzazioni eridimensionamenti, temeva gli effetti delle diffuse perdite dilavoro e del persistere della depressione economica.

Era preoccupante anche una possibile reazione negativaalla mancata o ridotta crescita della popolazione dei singoli

38

Gli USA di Obama Secondo

Page 39: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

stati della regione (che si era tradotta in una perdita diRappresentanti alla Camera: Ohio -2; Illinois, Michigan ePennsylvania -1). D’altro canto, chi era certo dell’esito delvoto a favore del presidente sapeva di poter contaresull’importanza che il salvataggio dell’auto aveva avuto per lepopolazioni di quelle aree. I lavoratori maschi bianchi, che alivello nazionale hanno preferito Romney, lì hanno votatoper Obama. Inoltre, anche il consistente peso elettorale delleminoranze afroamericana e ispanica, quelle a lui più “fedeli”,portava a presagire un esito a lui favorevole.

Non c’è dubbio che il voto abbia ricompensato Obamaper la sua politica sociale. Sono state rivelatrici dell’elitarioe gretto filtro ideologico con cui lo sconfitto Romneyguarda alla realtà le sue parole di recriminazione sullasconfitta, attribuita ai “regali” grazie a cui Obama avrebbepoi ricevuto i voti di operai, studenti, donne e minoranze:come se le scelte a sostegno di lavoratori e ceti menoabbienti, per una maggiore giustizia sociale e a favore dellaparità tra i sessi non fossero altro che opportunistici do utdes, voto di scambio.

L’iniziativa di Obama e il suo successo, che ha riportato innero il settore dell’auto, sembra avere giocato a favore anchedel sindacato. Infatti nel 2010, per la prima volta dopo seianni, il numero degli iscritti alla United Auto Workers èaumentato di quasi 21.500 unità, +6 per cento rispettoall’anno precedente. L’incremento si è ripetuto, in misuraminore (+1,1 per cento), anche nel 2011. La tendenza èpositiva, anche se i dati complessivi stringono il cuore:rispetto al milione e mezzo di iscritti che la UAW aveva nel1979 e agli oltre 700.000 che aveva ancora nel 2001, gliaderenti alla fine del 2010 erano 376.612. Nel 2011 erano380.719. D’altronde, come sottolineava nel 2011 il Center forAutomotive Research, le Tre Grandi hanno ridotto del 63per cento la loro manodopera salariata negli ultimi dieci anni.

Ora, ultima la Chrysler, sono tornate tutte in attivo. E laloro ripresa riporterà lavoratori nelle fabbriche, portandoqualche nuova tessera al sindacato. Ma le grevi “concessioni”fatte alle aziende prima e durante la crisi, peseranno a lungo.E’ arduo immaginare che la UAW possa ritrovare la forza percontrattare nuove relazioni industriali e migliori condizionieconomiche. Solo il successo conseguito sul terreno politico,la rielezione di Obama, garantirà qualche ulterioreprotezione sociale: una piccola compensazione, rispetto allaforza perduta sul terreno sindacale.

39

Non c’è dubbio cheil voto abbiaricompensatoObama per la suapolitica sociale.

Gli USA di Obama Secondo

Page 40: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

40

e suore cattoliche hanno, nell’immaginariocollettivo in occidente, un ruolo che èsopravvissuto alla quasi scomparsa dell’abito dellereligiose: lo stereotipo (efficacissimo)dell’inflessibile suora dei “Blues Brothers” ha

trovato riscontro nella memoria di molti ex allievi di scuolecattoliche. Quella della suora, una delle icone più efficaci del“cattolicesimo sociale”, è tornata sulla scena politica pubblicain Italia nel febbraio 2011, quando la manifestazione in difesadella dignità delle donne portò al microfono suor EugeniaBonetti, nota a quanti sono impegnati nel recupero e nellasalvaguardia delle donne vittime delle nuove schiavitù legatealla prostituzione. Ma in Italia ancora non si è visto unoscontro tra suore e vescovi come quello che è in corso negliStati Uniti da qualche anno a questa parte.

Prima di finire nel mirino dei vescovi americani nel 2010, lesuore della LCWR (Leadership Conference of WomenReligious, che rappresenta circa l’80% delle 57.000 suoreamericane) erano state soggetto di due separate “inchieste” daparte del Vaticano. Le suore americane erano finite sottoosservazione già nel 2008-2011, con una visita apostolicainiziata dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata(in seguito ad una segnalazione ricevuta dall’ala piùconservatrice delle religiose americane, che non fanno partedella LCWR). Un documento vaticano dell’aprile 2012riguarda invece una “indagine dottrinale” da parte dellaCongregazione per la Dottrina della Fede (CDF) iniziataanch’essa nel 2008. L’indagine della CDF è durata tre anni, e irisultati del rapporto dottrinale erano stati presentati al papagià nel gennaio 2011: quindi è da quasi due anni che lereligiose americane sono nei dossier della CDF per un’azionedi “riforma della LCWR” a cui la Santa Sede intendeprocedere. I capi d’accusa sono la mancata adesione dellesuore della LCWR alle linee dottrinali ufficiali della chiesa in

Le suore battono i vescovi

Massimo Faggioli insegna Storia del cristianesimo all’Università di Minneapolis

L

Gli USA di Obama Secondo

Page 41: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

virtù di una “politica di dissenso collettivo” rispetto agliinsegnamenti del magistero della chiesa in particolare negliambiti della sessualità, dell’omosessualità e sul sacerdoziofemminile, e a causa della presenza nella cultura della LCWRdi temi tipici del “femminismo radicale”.

Da metà ottocento a metà novecento le suore cattolicheamericane hanno letteralmente costruito la chiesa americana,in una situazione che attribuiva loro ruoli di granderesponsabilità (gestione di una vastissima rete di scuole, asili,ospedali, missioni) ma formalmente sempre soggette al poteredel clero (maschile). La situazione cambia tra anni sessanta esettanta, per spinte provenienti solo in parte dal concilioVaticano II (1962-1965): la questione del ruolo della donnanella Chiesa nasce in buona parte nel post-Concilio e negli StatiUniti, con il dibattito degli anni settanta sull’ordinazione delledonne al sacerdozio e sull’intersecarsi dell’evoluzione delladonna nella società e nella chiesa, l’emergere della questione delgender e dell’identità sessuale, e in particolar modo l’esplosionedella questione politica dell’aborto dal 1973 in poi.

Su questo terreno si scontrano il Vaticano e quella partedella Chiesa americana che si richiama ad un’interpretazionedel Vaticano II socialmente “progressista” (più “leftist” che“liberal”): l’aria che tira in Vaticano dal 2005 in poi incoraggia ivescovi americani a prendere misure per rimettere ordine tra lesuore della LCWR. È dell’autunno 2011 lo scontro tra laconferenza episcopale USA e la docente di teologia diFordham University, suor Elizabeth Johnson (una delle vocimoderate tra le teologhe cattoliche americane) circa il suoultimo libro, Quest for the Living God (2007) per i contenuti dellibro: a parere dei vescovi della commissione dottrinale “illinguaggio del libro non esprime in modo adeguato la fededella chiesa”. Nel 2012 si è avuta notizia dell’indagine apertadai vescovi sull’organizzazione delle Girl Scouts (che inAmerica è separata dai Boy Scouts of America ed èpoliticamente molto più liberal e socialmente più impegnata)per i legami che le Girl Scouts hanno con organizzazioni chepromuovono la contraccezione e la salute sessuale delle donne,e del procedimento contro suor Farley (docente emerita a Yale)per il suo importante libro sulla sessualità umana Just Love: AFramework for Christian Sexual Ethics (2006).

Le indagini del Vaticano e dei vescovi americani legate aquestioni dottrinali si collegano alla particolare posizionericoperta dalle suore all’interno del panorama sociale epolitico americano, ed è qui che lo scontro sale al livello

41

Gli USA di Obama Secondo

Da metà ottocento ametà novecento lesuore cattolicheamericane hannoletteralmente costruitola chiesa americana,in una situazione cheattribuiva loro ruolidi granderesponsabilità.

Page 42: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

politico. Risale al 2010 l’inizio delle tensioni tra i vescoviamericani e le religiose circa la riforma sanitariadell’amministrazione Obama: le religiose (che gestiscono lagran parte della vasta rete di ospedali cattolici negli Usa)l’hanno appoggiata per il tentativo di estendere la coperturasanitaria a quasi tutti quelli attualmente senza accesso allecure mediche, mentre i vescovi hanno tentato di affossarlaperché non sufficientemente aggressiva nei confronti deldiritto all’aborto (sancito dalla Corte Suprema nel 1973) eperchè impone agli enti cattolici (ospedali, scuole) di offrirepolizze di assicurazione sanitaria che coprano le spese perpratiche mediche giudicate immorali dal magistero dellachiesa cattolica (specialmente aborto e contraccezione).

Non stupisce che nella campagna elettorale dellepresidenziali del 2012 la questione del ruolo della donna nellasocietà sia stata al centro del dibattito elettorale, e che lesuore abbiano portato nel dibattito la voce del cattolicesimodemocrat americano. Il Partito democratico si presenta semprepiù come paladino dei diritti delle donne tout court, secondoi parametri del femminismo classico novecentesco: accessoall’educazione, parità salariale e alle opportunità di lavoro, maanche diritto alla contraccezione e all’aborto. Dall’altro lato, ilPartito repubblicano sembra incarnare un modellofemminista “post-classico” o “post-liberal” (incarnato dallenuove icone del conservatorismo americano, Sarah Palin intesta) che intende ridare orgoglio ai ruoli tradizionali dimadre-moglie, e vede le conquiste delle donne in termini didiritti negli anni 1950-1970 come una reliquia del passato,che non ha veramente liberato le donne.

In questo contesto, le suore americane della LCWR, pursenza dare indicazioni di voto, nella campagna dellepresidenziali del 2012 hanno appoggiato senza esitazioni ilPartito democratico, denunciando nelle politiche socialiproposte dai Repubblicani il tentativo di eliminare quel cheresta in America dello “stato sociale”, specialmente per quantoriguarda le misure tese ad alleviare le condizioni di povertà incui vive un americano su sei. Il discorso di suor SimoneCampbell alla convention democratica e il tour delle “Nuns onthe Bus” in vari Stati degli USA hanno fatto parte di unacampagna elettorale in cui i valori della “dottrina sociale dellachiesa cattolica” hanno giocato un ruolo di rilievo nel dibattitopubblico, come mai prima nella storia americana.

Negli ultimi quarant’anni il sistema bipartitico americano ela posizione dei due partiti sull’aborto ha creato una chiesa

42

Le indagini delVaticano e dei

vescovi americanilegate a questioni

dottrinali sicollegano alla

particolare posizionericoperta dalle suore

all’interno delpanorama sociale epolitico americano

Gli USA di Obama Secondo

Page 43: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

pericolosamente vicina al bipartismo teologico e liturgico. Inun cattolicesimo che, anche in America, mostra tra i vescoviuna crescente nostalgia per una chiesa più istituzionale e piùgerarchica, le suore americane sono le testimonipersonalmente più credibili del tentativo dei cattolici americanidi legare la questione dell’aborto alla questione della giustiziasociale – cioè al tentativo di creare un sistema sociale (unsistema educativo, lavorativo, sanitario, penale) che veda laquestione della tutela della vita e dell’aborto come unaquestione non esclusivamente individuale, ma prima di tuttosociale. Dall’esito dello scontro tra vescovi e suore americaneverranno indicazioni per il futuro del cattolicesimo pubblicoben al di là dei confini degli Stati Uniti.

43

Gli USA di Obama Secondo

Page 44: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

44

li Stati Uniti hanno appena archiviato una dellecampagne più dure e combattute di sempre.Segnata da una reale incertezza dell’esito fino apochi giorni prima della consultazione, miliardidi dollari investiti e un pesante calo

percentuale della partecipazione al voto. Mai come questavolta, si sono contrapposte due visioni completamentediverse del futuro degli States, dei ‘doveri’ dello Stato e delgrado di tutela e protezione da riservare alla società civile.

Ma come hanno vissuto tutto questo le nostre comunitàall’estero? Dati precisi sulle scelte elettorali degli italo-americani non sono al momento disponibili e non èprevedibile che ci saranno nell’immediato futuro, perché èdifficile perfino stabilire il numero esatto dei nostri oriundi.Infatti, la definizione “di origine italiana” è scomparsa daiformulari degli ultimi due censimenti federali.

Chi lo desidera, può inserire l’indicazione della propriaascendenza nazionale sotto la voce “other”, “altri”, di “altrolignaggio”, o “alieni” dai principali filoni etnici e razziali,tradizionali ed emergenti, che compongono ormai lamaggioranza del popolo degli USA. Non a caso, pare ormaiineluttabile la scelta di aggiungere lo spagnolo come secondalingua nazionale e, forse in un futuro prossimo, il cinese.

Può essere utile aprire un breve excursus sulla presenza e leconcentrazioni dei nostri concittadini e oriundi negli StatiUniti. Le Little Italy, di cui ancora parlano alcuni giornalistiitaliani ostinandosi a riproporre obsolete immagini direpertorio, stanno progressivamente e sempre piùvelocemente scomparendo dalle grandi città americane. Leragioni sono molte e includono l’invecchiamento eassottigliamento dell’emigrazione dell’immediatodopoguerra, la moltiplicazione generazionale, il successo

Il voto degli italoamericaniSilvana Mangione è Vice Segretario Generale della Commissione Continentale per i Paesi Anglofoni ExtraEuropei

G

Gli USA di Obama Secondo

Page 45: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

professionale e imprenditoriale, il massiccio arrivo dicomponenti della nuova emigrazione e della mobilità, i qualiultimi si inseriscono molto presto nel mainstream americano,all’interno del quale diventano politicamente attivi.

Nella stessa New York, la Little Italy di Manhattan è oraabitata quasi esclusivamente dai cinesi della confinanteChinatown, le leggendarie Arthur Avenue del Bronx e 18thAvenue a Brooklyn sono punti d’arrivo dei gourmet in cerca dicibi genuini made in Italy e nel Queens le zone italiane sono datempo condivise con le comunità greche, polacche, russe e cosìvia. Con le dovute differenze, lo stesso si può dire quasiovunque nei grandi centri abitati. In controtendenza ci sonosoltanto alcuni paesi della Florida, dove si sono trasferiti moltipensionati provenienti da specifiche cittadine italiane. Ne citouna per tutte: Port St. Lucie è diventata ‘un’enclave’ di pugliesioriginari di Mola di Bari, che sono riusciti perfino ad eleggeresindaco una giovane compaesana.

Ai trasferimenti dal quartiere etnico della tradizione aduna zona residenziale, emblema del successo raggiunto,corrispondono spesso cambiamenti di rotta in materia divoto: dalle iniziali appartenenze solidamente democratichealla preferenza per la scelta del singolo candidato(indipendentemente dal partito), all’astensione nel caso incui non vi sia una motivazione più che concreta per recarsialle urne. Quella dell’astensionismo, d’altronde, sembraessere una piaga crescente nell’intero elettorato USA.Infatti, è stato poco più del 25% degli aventi diritto aconsacrare Obama ad un secondo mandato e questosebbene stavolta la scelta fosse tale da implicare un totalerovesciamento della politica interna ed estera del Paese.

Anche le istanze fatte proprie dagli italiani in USA sievolvono nel tempo quanto a caratteristiche, spessore eimportanza: si è passati da un’attenzione altissima per i temipiù propriamente sociali e del welfare alla mobilitazione perle battaglie per la difesa dell’ambiente, della sicurezza, dellaprivacy, dei diritti civili.

Da cent’anni a questa parte, dal famoso Sciopero delPane e delle Rose delle operaie e degli operai del tessile –immigrati da oltre trenta Paesi e con una massiccia presenzaitaliana – scoppiato nel 1912 a Lawrence in Massachusetts aguida degli italiani Arturo Giovannitti (molisano) e JosephEttor (campano), fino alla creazione dell’ILGWU deilavoratori dell’abbigliamento ad opera di Antonini, gliitaliani sono stati protagonisti dei movimenti sindacali più

45

Gli USA di Obama Secondo

Le istanze fatteproprie dagli italianiin USA si evolvononel tempo quantoa caratteristiche,spessore eimportanza:si è passati daun’attenzionealtissima per i temipiù propriamentesociali e del welfarealla mobilitazioneper le battaglie per ladifesa dell’ambiente,della sicurezza,della privacy, deidiritti civili.

Page 46: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

avanzati, dei primi passi del socialismo in USA, del sostegnosolido e costante al Partito democratico.

Malgrado ciò, sin da allora le nostre comunità non hannomai votato in modo compatto e riconoscibile e nemmeno innumero tale da riuscire ad eleggere nostri connazionali inpercentuali pari al peso della presenza italiana nella societàstatunitense. Dunque, dicevamo, anche fra gli italiani crescel’astensionismo secondo fasce di età, percorso educativo,percezione più o meno chiara dei benefici economici o ditutela della proprietà promessi dai diversi candidati.

C’è da aggiungere che negli USA per poter votare bisognaessersi registrati come elettori del Partito democratico,repubblicano oppure da indipendenti. Inoltre ogni Stato hauna sua diversa legge elettorale in materia di primarie, in basealla quale, ad esempio, agli indipendenti può esserericonosciuto o negato il diritto di esprimere la propriapreferenza. Possono prevedere modalità selettive moltoparticolari, assunte dai più svariati tipi di organismi.

È il caso dei “caucus” dell’Iowa, in cui elettori di diversaappartenenza si ritrovano in diversi giorni e luoghi, dibattonopregi e difetti dei concorrenti, poi riempiono le schede e chiprevale, anche per una sola preferenza, si porta a casa il100% dei voti. In altri Stati, al contrario, la legge fissa giorniprecisi per la consultazione, negli stessi luoghi e con le stesseapparecchiature dell’elezione generale.

Di solito gli italo-americani partecipano poco alle primarie.Per ovviare a questo fenomeno, dalla seconda metà degli anni’70 il sistema federativo dell’associazionismo di base ha lanciatogiornate di registrazione degli elettori, in particolare negli Stati avocazione democratica – come New York e New Jersey sullaCosta Est – con ottimi risultati, raccogliendo in questo modoanche i riferimenti di bacini di potenziali votanti.

E dunque, per tornare al quesito iniziale, come hannovotato gli italo-americani alle ultime presidenziali? Sulla basedei risultati di molte Contee a forte presenza italiana,dovremmo concludere che hanno votato in accordo con letendenze prevalse negli Stati di residenza, riconoscibili ancoraoggi dalle connotazioni cromatiche attribuite (arbitrariamente)dalle trasmissioni di analisi del voto della prima TV a colori: ilblu per i democratici, il rosso per i repubblicani.

Sappiamo anche che negli Stati in bilico, ad esempionell’Ohio, gli americani di origine italiana hanno votato perObama perché, nonostante la durissima opposizione e lepesanti accuse dei repubblicani, decise di intervenire con

46

Le nostre comunitànon hanno maivotato in modo

compatto ericonoscibile e

nemmeno in numerotale da riuscire ad

eleggere nostriconnazionali in

percentuali pari alpeso della presenza

italiana nella societàstatunitense.

Gli USA di Obama Secondo

Page 47: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

notevoli finanziamenti per salvare l’industria dell’automobilenel Michigan e, di conseguenza, l’indotto della lavorazionedella gomma in Ohio, che ha ora un livello di disoccupazionefisiologico, il più basso degli Stati Uniti.

Si ricorderà come, sulla scia di quella battaglia, “the GrandOld Party” riuscì a conquistare la maggioranza al Congressoe a ridurre la presenza dei democratici al Senato al di sottodel numero magico di 60 su 100, che consente di portare inaula senza paralizzanti “filibustering” i progetti di leggeproposti dalla Presidenza democratica e dal partito.

Le tendenze future sembrano indurci alla speranza,perché la nuova immigrazione italiana, in buona partealtamente scolarizzata, protetta da grandi sponsor e quindiben presto in grado di ottenere la cittadinanza americana,porta con sé l’abitudine e la spinta a un impegnovolontariato in politica e a dare nuova linfa ad un dibattitoallargato a tutte le generazioni. Forse la vittoria piena, nonpiù sul filo di lana, sarà possibile anche se queste nuoveforze riusciranno a rinverdire le antiche abitudini dimilitanza delle nostre comunità e a motivarle a esprimersi inmodo finalmente compatto e riconoscibile.

47

Gli USA di Obama Secondo

Page 48: TamTamDemocratico n°13
Page 49: TamTamDemocratico n°13

Le sfide del secondo mandato

Page 50: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

50

a straordinarietà della sua rielezione per ilmandato presidenziale 2013-2016 spingeràObama a rafforzare una strada che aveva giàintrapreso negli ultimi tempi: accentuarel’alternatività della visione e delle politiche

democratiche rispetto a quelle repubblicane. Il discrimine destra/sinistra sarà praticato più

intensamente e non solo perché l’elettorato americano ha giàprovveduto per proprio conto a polarizzarsi in modoaccentuato (anche in risposta alle parossistiche puntepolemiche raggiunte dai Tea Party repubblicani), con buonapace di tutti coloro che continuano a insistere – anche inItalia – che possibilità di governi adeguati si diano solo alcentro. Ma anche perché in gioco sono idealità e convinzioniprofonde: l’America “generosa”, “aperta”, “tollerante” che ènel cuore di Obama, rispetto all’America gretta, intollerante,chiusa evocata dai repubblicani.

Il confronto sul Fiscal Cliff (“baratro fiscale”, la serie ditagli automatici di spesa e di agevolazioni fiscali che entra invigore la mezzanotte del 31 dicembre in assenza di un pianoconcordato per ridurre il deficit e il debito pubblici) daràluogo inevitabilmente a compromessi, ma si tratterà dicompromessi che non possono scalfire l’immaginedemocratica dell’America – per esempio in ordine al maggiorcontributo che i benestanti debbono pagare per uscire dallacrisi –, in difesa della quale Obama sembra pronto a ricorrerea misure forti, come l’apposizione del veto presidenziale.

Infatti, l’attività governativa più generale sarà portataavanti dalla nuova amministrazione Obama con l’obiettivo diaffermare idealità, principi e politiche alternative, nella

Economia e welfareper lo sviluppo umano

Laura Pennacchi è economista

L

Gli USA di Obama Secondo

Page 51: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

consapevolezza che questo richiede una battaglia ancheculturale nella quale, del resto, i democratici americani sonoda tempo ingaggiati. Sono loro che, a proposito delnecessario maggior intervento pubblico, indicano la strongbattle fra Stato e mercato deflagrata con la crisi globalerispetto a cui bisogna pronunziarsi. E sono loro che, difronte al dramma della disoccupazione, denunziano la jobcatastrophe in atto a cui va posto rimedio urgentemente, anchein modo non convenzionale.

Questi orientamenti li vedremo all’opera soprattutto sulterreno del welfare state e delle politiche sociali, dovenaturalmente è chiamato ad esprimersi quel senso diresponsabilità collettiva racchiuso nella visione nobile cheObama ha dello Stato e delle istituzioni pubbliche, oppostaall’enfasi sullo starving the beast propria dei repubblicani, iquali puntano ad “affamare la bestia” governativa eistituzionale (sottraendogli risorse mediante la decurtazionedella pressione fiscale a vantaggio soprattutto dei ricchi)proprio perché non credono che vi sia un’interazione traresponsabilità collettiva e responsabilità individuale evogliono che ciascuno sia lasciato responsabile – e solo! – difronte alla vita e al mondo.

Obama tenterà di mettere in sicurezza la social securityamericana, chiudendo gli spazi per eventuali opting out dallaprevidenza pubblica verso le assicurazioni private (queglistessi spazi che, invece, il ministro Fornero ha aperto da noicon l’inserimento nella controversa riforma delle pensionidell’ancor più controversa misura di decontribuzione infavore della previdenza complementare).

Obama, infatti, non dimentica che allo scoppiare dellacrisi globale, nei primi mesi del 2009, egli fu costretto anazionalizzare la Chrysler e la General Motors non soloperché voleva mantenere negli USA una parte dell’industriadell’auto altrimenti destinata a una totale delocalizzazione,ma anche perché senza quel salvataggio i lavoratorisarebbero rimasti privi, oltre che del lavoro e del reddito,delle loro pensioni tradizionalmente gestite non dallaprevidenza pubblica ma dai Fondi aziendali, in quantoaffidare le prestazioni pensionistiche a forme privatisticheequivale ad affidarle ai mercati finanziari e quando questicrollano anche le pensioni si dileguano.

La priorità verrà data da Obama al consolidamento e alrafforzamento in senso universalistico della riforma dellasanità così duramente conquistata nel primo mandato. Con

51

Gli USA di Obama Secondo

Page 52: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

essa 70 milioni di cittadini – tra non assicurati esottoassicurati – si aspettano di venire inclusi nel sistemasanitario nazionale, una spesa che ha già raggiunto il 17%del PIL – la media europea è del 6-8% – sarà contenuta,saranno contrastati indicatori impressionanti per il paesepiù ricco ed evoluto del mondo, quali un tasso di mortalitàinfantile del 7 per mille, a fronte del 2-3 per mille europeo,o una speranza media di vita nettamente inferiore a quelladel vecchio continente.

Ma concentrando tutte le sue energie sul rilancio della“piena e buona occupazione” l’innovazione piùinteressante che Obama metterà in atto riguarderà, anchesotto il profilo delle politiche di welfare, la stessaconcezione della politica economica e il suo rapporto conle politiche sociali. Spinto dal rovesciamento di paradigmiimposto dalla crisi, Obama sta crescentemente delineandol’esigenza di un nuovo modello di sviluppo: quando iconsumi scendono ai livelli dei tempi di guerra e ladisoccupazione di lunga durata supera le soglie raggiuntedopo il primo shock petrolifero degli anni ’70, diventachiaro quanto la crisi globale – la cui durata è di per sé unindicatore di gravità – sia crisi strutturale di un interomodello economico-sociale che oggi deflagra, rendendoimprocrastinabile l’avvio di un nuovo modello di sviluppo.

Lo staff di Obama e i think tank democratici interpretanoil vecchio modello di sviluppo in quanto costruito su quattroprocessi: finanziarizzazione, commodification e consumismoindividualistico, primato delle esportazioni e della domandaestera, svalutazione del lavoro e diseguaglianze.Simmetricamente per costruire il nuovo modello di sviluppoi democratici sanno che bisogna affrontare quattro sfideimmani: 1) procedere a una salutare definanziarizzazione (ilche rende necessaria una radicale riforma della finanza), 2)dare più valore ai consumi collettivi (tra cui spiccano quelliconnessi al welfare state) rispetto ai consumi individuali, 3)sostenere maggiormente la domanda interna rispetto alladomanda estera ma intervenire anche dal lato dell’offerta, 4)creare lavoro e combattere le diseguaglianze.

Lungo questo percorso si acquisisce la consapevolezza cheil “mercantilismo” emblematicamente impersonato dallaGermania della Merkel, con cui non a caso Obama è inpolemica, non è modernità ma regressione all’Ottocento, aun’epoca in cui l’adozione generalizzata di strategiemercantilistiche (privilegianti in modo ossessivo le

52

Gli USA di Obama Secondo

Spinto dalrovesciamento di

paradigmi impostodalla crisi, Obamasta crescentemente

delineando l’esigenzadi un nuovo modello

di sviluppo.

Page 53: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

esportazioni) generò la spinta al colonialismo, le guerre, ladiffusione di pratiche commerciali scorrette, in ossequio alprincipio che l’obiettivo dei governi non fosse l’elevamentodel benessere e della qualità della vita dei cittadini, maincrementare le esportazioni per aumentare la potenzaeconomica dei paesi.

È stato, viceversa, proprio attraverso il travaglio della crisidegli anni ’30 che le culture riformiste maturarono – grazie aRoosvelt, Keynes e Beveridge, la socialdemocraziascandinava – un’idea alternativa. L’idea, cioè, che il fine dellacrescita economica dovesse essere non più la potenzaeconomica del Paese ma il benessere dei suoi cittadini e ilcompito della politica economica dovesse essere la pienautilizzazione delle sue risorse, prima di tutto il lavoro.Quest’idea si incarna oggi nel modello dello “sviluppoumano” di straordinaria modernità innovatività, a cui solo unbig push finalizzato alla creazione di lavoro e veicolato da unrinnovato motore pubblico può dare vita.

Tutto ciò spiega perché sia così insistito da parte diObama e dei democratici americani il richiamo al New Dealdi Roosevelt e ne svela anche il significato più profondo,attinente proprio agli alternativi obiettivi attribuitiall’economia e alla politica economica: dare la priorità nonalla potenza e alla forza ma al benessere dei cittadini e allaqualità delle loro vite. In questo quadro la politica economicadiventa tout court politica sociale e la politica sociale diventatout court politica economica. Il collante è la spintaall’attivazione di tutte le risorse inutilizzate: lavoro, capitale,infrastrutture, innovazione. Perché quando le parole chiavediventano “scuole”, “asili”, “ospedali”, “ricerca”, “territori”,“ponti”, “strade”, “ferrovie”, “reti” – le parole che usaObama – la differenza tra politiche economiche e politichesociali sfuma fino a scomparire.

Così è naturale che i democratici americani si ispirinoesplicitamente all’esperienza del New Deal e alla suacreatività istituzionale. Allora la maggior parte delle iniziativedi creazione di lavoro venne promossa dal governo federale,ma fu sponsorizzata dai governi locali e da agenzie federali eintrapresa anche da organizzazioni non governative. Iprogrammi vennero modellati sulla base delle esigenze dellecomunità: child care, health care, education, recreation, elder care,cultural enrichement, construction works, conservation measures,existing parks, new parks, public spaces. Una incredibile creativitàistituzionale diede vita a soggetti che realizzarono risultati

53

Gli USA di Obama Secondo

Page 54: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

straordinari: la Civil Works Administration (CWA,organizzata in CWA worker e CWA white collar), la USCoast and Geodetic Surwey, il National Park Service, laLibrary of Congress, il Public Works of Art Project (chediede lavoro a 3000 artisti disoccupati) e così via.

Del resto, Obama si è già ispirato alle grandi idealità delNew Deal e alla sua ingegnosità pratica e attuativa. Lamanovra di rilancio presentata al Congresso americano con ilbudget 2012-2013 – poi respinta dai repubblicani – rinviavaal 2017 il conseguimento di un rapporto defici/pil del 3%mantenendo per il 2012 un deficit al 5,5%, proponeva didotarsi di strumenti non convenzionali come una bancapubblica per le infrastrutture, destinava 350 miliardi di dollaria misure immediate per sostenere e creare occupazione e 476miliardi di dollari per strade, ferrovie, trasporti, imponeva untasso di crescita del 5% annuo alla spesa in Ricerca eSviluppo in campo non militare, incrementava del 19% laspesa per uno speciale progetto di sviluppo manifatturiero adalto contenuto tecnologico. Al tempo stesso la manovrademocratica aboliva i 1500 miliardi di dollari di sgravi fiscalidi George Bush, alzava l’aliquota per i capital gains,instaurava un’aliquota del 30% per i milionari (la famosa“regola Buffet”), eliminava le agevolazioni per l’industria

54

Gli USA di Obama Secondo

Page 55: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

petrolifera e per i profitti degli hedge funds e della società diprivate equity e così via.

Su questa strada prestigiosi think tank americani chiedonooggi ad Obama di andare avanti Un rapporto promosso daDemos, Economic Policy Institute, The CenturyFoundation, nel chiedere che l’intera politica federale siainvestment-oriented, si concentra sull’espansione della spesa perstrategic public investment e intitola un capitolo The virtues ofpublic investment. I campi di questo investimento pubblicosono attentamente selezionati e gerarchizzati: early childoodeducation, quality child care, infrastructure, public transit, broadbandconnectivity, research and development (specialmente in ricerca dibase). Back to Work. A Public Jobs Proposal for Economic Recovery,promosso da Demos, sostiene la necessità di adottare unastrategia che punti a creare lavoro per i disoccupatidirettamente e immediatamente in programmi di impiegopubblico che producano beni e servizi utili.

Dietro tutto ciò c’è la riscoperta e la rilettura innovativache i democratici americani stanno facendo di Keynes eSchumpeter. In effetti oggi si riproducono condizioniimpressionantemente analoghe a quelle studiate da Keynes:la distruzione di valore patrimoniale netto e l’illiquiditàferiscono tutti gli operatori, gli investimenti crollano e iprofitti flettono, la riduzione del reddito e la disoccupazionedi massa scaturiscono dalla trasmissione delle turbolenzefinanziarie all’economia reale e dalla deflazione da debito.

Per evitare che le forze destabilizzanti prendano ilsopravvento l’ipotesi keynesiana dell’intrinseca instabilità delcapitalismo prevede, anzichè solo nuove regolazioni eliberalizzazioni pur opportune, la necessità di uno stimolofiscale pubblico di grandi dimensioni, quell’intervento direttodello Stato che, preteso anche e soprattutto dai neoliberistiquando si tratta di salvare le banche e gli operatori finanziari,per altre finalità la destra europea vorrebbe far “arretrare”con tagli di spesa e privatizzazioni, ma che Obamaintensificherà, sia in campo produttivo sia in campo sociale.

Keynes, infatti, nelle condizioni odierne consiglierebbepiani di spesa pubblica diretta per il lavoro e per gliinvestimenti, finanziati in disavanzo con nuova moneta,distinguendo tra debito “buono” (quello, per l’appunto,per nuovi investimenti) e debito “cattivo” (quello perspesa pubblica corrente improduttiva) e tenendo congiuntiil lato della domanda e quello dell’offerta, tanto più in unafase di squilibri nelle capacità produttiva tra eccessi in

55

Gli USA di Obama Secondo

Dietro tutto ciò c’è lariscoperta e larilettura innovativache i democraticiamericani stannofacendo di Keynes eSchumpeter.

Page 56: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

alcuni settori e deficit in altri. Per Keynes solo un regime di pieno impiego dei fattori

della produzione giustifica il principio del pareggio dibilancio, che in ogni caso non può valere per gliinvestimenti pubblici, vero traino dello sviluppoeconomico in una fase in cui si tratta non solo di rilanciarela crescita ma di cambiarne la qualità e la natura. La“socializzazione degli investimenti”, destinata ariqualificare l’offerta e ad aumentarne la produttività, altempo stesso sostiene la domanda contenendo l’inflazionee riducendo nel tempo il rapporto debito/PIL.

La “socializzazione dell’occupazione” fa sì che l’operatorepubblico si doti di un “Piano del lavoro” per la miriade diobiettivi che attendono solo agenzie e strutture che se neprendano cura: tecnologie verdi, energia, infrastrutture,trasporti, salute, educazione, servizi sociali. Il punto è cheper trattare lo sconvolgimento epocale che la crisi globale staprovocando non bastano strategie difensive, occorre unarivoluzione culturale che faccia uscire dall’inerzia e dall’afasia,inducendo a riscoprire la discriminante destra/sinistra nellosviluppo dei “beni pubblici” e dei “beni comuni”: questa è,per l’appunto, la sfida ingaggiata da Obama.

56

Gli USA di Obama Secondo

Page 57: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

57

entre in Europa ed in Italia si discute distrategie energetiche basate su scenari diprogressivo incremento dei prezzi delpetrolio motivato da un più o menoimminente esaurimento delle riserve globali,

oggi il mondo si trova in una fase di straordinaria evoluzionedal punto di vista della disponibilità di risorse petrolifere.

La produzione di petrolio negli Stati Uniti sta esplodendo:si tratta di un fenomeno del tutto analogo a quello accadutoper il gas, connesso alla applicazione di nuove tecnologie difratturazione idraulica e di perforazione orizzontale checonsentono di estrarre idrocarburi da diverse tipologie diformazioni geologiche, costituite ad esempio da argilla,arenarie o rocce calcaree.

In sostanza è ora possibile sfruttare giacimenti che,sebbene conosciuti, non erano ritenuti commercialmente etecnicamente utilizzabili o ricercare giacimenti del tuttonuovi in aree prima giudicate inadatte. Un caso per tutti,quello di Bakken/Three falls, in Nord Dakota: da questogiacimento, che nel 2006 non produceva neanche un barile,si estraggono oggi circa 700mila barili/giorno di petrolio,ovvero una quantità di greggio (peraltro di buona qualità, abasso tenore di zolfo) sufficiente a soddisfare circa la metà ditutti i consumi dell’Italia e superiore a quella prodotta oggidal più grande campo del Kuwait.

Questo “nuovo” petrolio, al quale è stato attribuito ilnome di shale oil (che più propriamente è solo il petrolioderivante da formazioni argillose) per analogia con il settoredel gas, avrà innanzitutto un impatto sugli equilibri energeticied economici degli Stati Uniti.

La rivoluzioneenergeticaFederico Testa è deputato del Pd

M

Gli USA di Obama Secondo

Page 58: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

Il World Energy Outlook 2012 dell’AgenziaInternazionale dell’Energia, normalmente molto prudentenel giudicare le evoluzioni nel mondo dell’energia (ad es.ha dato pieno ruolo al fenomeno dello shale gas solo nel2010, sebbene esistessero già da alcuni anni chiareevidenze del suo potenziale) per la prima volta vede gliStati Uniti “proiettati a diventare il più grande produttoreglobale di petrolio prima del 2020”.

In realtà è assai probabile che questo traguardo vengaraggiunto già nei prossimi anni e di conseguenza leimportazioni di petrolio degli Stati Uniti, anche per effettodelle iniziative di efficienza energetica, si riducano a pochimilioni di barili/giorno.

Dal punto di vista economico, considerando che unmilione di barili/giorno di maggiore produzione di petroliovuol dire, ai prezzi attuali, oltre 30 miliardi di $ all’anno diminori importazioni e un impatto ben superiore sulla crescitadel GDP (in sostanza il Prodotto interno lordo), l’effetto

58

Gli USA di Obama Secondo

Page 59: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

complessivo dello shale oil, sommato a quello dello shalegas, sulla crescita degli Stati Uniti può facilmente arrivare asuperare il 2% all’anno.

Ma lo shale oil non sarà un fenomeno limitato agli StatiUniti; infatti, sia pure con uno sfasamento temporale più omeno rilevante, le nuove tecnologie avranno effetti sull’interaproduzione mondiale di petrolio.

Questa rivoluzione comporta quindi che, come per ilsettore del gas, il problema dell’equilibrio mondialedomanda-offerta si trasferisce dall’offerta alla domanda.

In altri termini se prima il problema era valutare sel’offerta sarebbe stata in grado di tenere il passo delladomanda, oggi il problema è se la domanda sarà sufficientead assorbire gli incrementi dell’offerta ovvero se saràsufficiente per sostenere i prezzi.

In realtà oggi sulla domanda di petrolio grava un’alea diincertezza dovuta non solo ai problemi della crescitaeconomica mondiale ma soprattutto alle incognite deglisviluppi tecnologici del trasporto elettrico.

Il citato World Energy Outlook 2012 dell’AIE ancorastima un incremento della domanda di petrolio di circa il14% al 2035 (circa 12 milioni di barili/giorno aggiuntivirispetto agli 87 del 2011) imputabile quasi interamente allosviluppo del trasporto nei Paesi in rapido sviluppo come laCina. Tuttavia l’eventuale disponibilità di nuove tecnologiedi accumulo elettrico che consentissero di aumentaresensibilmente le prestazioni delle batterie attualmentedisponibili potrebbero determinare un rapido cambiamentodi scenario.

Certamente, anche se la domanda di petrolio rispettasse leprevisioni di crescita, il fenomeno dello shale oil indurrà unforte impatto sulla politica e sull’economia mondiale.

Per quanto riguarda gli aspetti politici c’è da evidenziareche l’autonomia energetica degli Stati Uniti, che potrà senzaproblemi limitare i suoi acquisti di petrolio al continenteamericano (Canada, Messico, Brasile e eventualmenteVenezuela), determinerà un minore interesse verso il medioOriente, il Caspio e l’Africa. Questo non implica che lapolitica estera USA arrivi a trascurare i gravi problemi cheaffliggono queste aree del mondo, ma è evidente chel’interesse economico-energetico prevalente alla stabilità diqueste aree sarà soprattutto dell’Europa e dei Paesi asiatici.

Dal punto di vista economico occorre tener conto che loscenario che abbiamo davanti di relativa abbondanza degli

59

Anche se ladomanda di petroliorispettasse leprevisioni di crescita,il fenomeno delloshale oil indurrà unforte impatto sullapolitica esull’economiamondiale.

Gli USA di Obama Secondo

Page 60: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

idrocarburi comporta una tendenza alla convergenza deiprezzi verso un equilibrio sostenibile. Infatti oggi, in unasituazione di perdurante frammentazione dei mercati, i prezzidegli idrocarburi non sono in equilibrio da almeno tre puntidi vista: quello del rapporto tra i prezzi e i costi marginali,quello territoriale e infine dal punto di vista dellacorrelazione tra i prezzi del petrolio e del gas.

Dal punto di vista del rapporto tra i prezzi e i costimarginali oggi i prezzi del petrolio sono molto al di soprarispetto ai fondamentali di costo, mentre i prezzi del gassono al limite (e forse al di sotto) dei costi marginali negliStati uniti ma molto superiori nel resto del mondo.

Dal punto di vista territoriale attualmente negli Stati Unitiil petrolio (WTI) quota stabilmente a prezzi di oltre 20 $/binferiori rispetto all’Europa (Brent) e il gas quota a prezzi da3 a 4 volte inferiori a quelli europei e asiatici.

Dal punto di vista della correlazione petrolio/gas, negliStati Uniti il prezzo del gas (a parità di energia) è inferiore di4-5 volte a quello del petrolio, mentre in Europa il rapportopetrolio/gas oscilla intorno a 2.

Questo disequilibrio dei prezzi non è fondato sumotivazioni strutturali: gli attuali differenziali di prezzo traEuropa e Stati Uniti sono molto superiori ai costi ditrasporto (ad es. per il petrolio il costo del trasporto èintorno ai 3 $/b a fronte del differenziale di oltre 20 $/b);così come fabbricare carburanti da gas con le tecnologie giàdisponibili (GTL – Gas To Liquids) è estremamenteconveniente, almeno negli Stati Uniti, con un differenzialecosì ampio tra i prezzi del gas e del petrolio.

Quindi in un mercato concorrenziale questi differenziali nondovrebbero esistere se non nei limiti dei costi-opportunità dellealternative territoriali o tecnologiche disponibili.

In realtà oggi la segmentazione dei mercati mondiali èdovuta sia a normative nazionali (dagli Stati Uniti non èpossibile esportare idrocarburi senza particolariautorizzazioni) sia alle politiche infrastrutturali degli attori delmercato, ovvero le compagnie petrolifere e i paesi produttori:di fatto la segmentazione dei mercati è anche il risultato diuna “adeguata” carenza infrastrutturale che consente di far sìche i prezzi rispondano alle loro esigenze di breve, di medioe di lungo termine.

Tuttavia la maggiore disponibilità dell’offerta e la profondaevoluzione della geografia delle produzioni, non consentirannoa lungo di ostacolare una prospettiva di evoluzione

60

La maggioredisponibilità

dell’offerta e laprofonda evoluzionedella geografia delle

produzioni, nonconsentiranno a

lungo di ostacolareuna prospettiva di

evoluzioneconcorrenziale del

mercato.

Gli USA di Obama Secondo

Page 61: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

concorrenziale del mercato. Questo scenario vorrebbe direriequilibrio dei prezzi sui livelli della fonte più conveniente, equindi del metano, e maggiore accessibilità dei mercati piùcompetitivi, a cominciare da quelli del nord America.

Se questo scenario diventasse una prospettiva concreta, edesistono tutte le condizioni perché ciò accada, quale puòessere la strategia dell’Europa e dell’Italia?

È possibile continuare a sostenere le attuali politicheenergetiche europee di sostegno alle rinnovabili e alcontenimento dei gas serra in un contesto di prezzicedenti degli idrocarburi?

Se queste politiche rimarranno come oggi del tutto noncorrelate alle politiche industriali e fiscali, è evidente chel’Europa, stretta tra gli Stati Uniti, che avranno comunque unvantaggio in termini di prezzi energetici e l’Asia, che continueràa trarre convenienza dal massiccio utilizzo di carbone,continuerà a perdere competitività e ad essere oggetto diimportanti processi di delocalizzazione industriale.

Né la strategia europea può realisticamente contare su unaccordo globale sulle emissioni di gas climalteranti cheimponga anche ai suoi concorrenti industriali un maggiorutilizzo di fonti energetiche rinnovabili. L’esito negativo delleormai troppe Conferenze mondiali sul tema non dovrebbealimentare ulteriori infondate speranze.

L’unica strategia che potrebbe permettere all’Europa dicontemperare gli obiettivi ambientali con quello dimantenere una solida industria manifatturiera è quella diincorporare nei prezzi dell’energia e di tutti gli altri beni eservizi la maggiore qualità ambientale. Questa strategia èattuabile attraverso una nuova fiscalità ambientale basata suuna contabilità oggettiva delle emissioni associate allaproduzione di tutti i beni ed i servizi; una fiscalità che quindinon sia né discriminatoria né protezionista ma permettasemplicemente di distinguere tra i prodotti che hannoindotto maggior impatto sull’ambiente da quelli che invececonsentono di rispettarlo.

Se l’Europa porrà in atto questa strategia possiamosperare che gli effetti positivi per l’economia e per l’ambientesiano contagiosi, se non altro perché altri produttorimondiali cercheranno di essere competitivi sul mercatoeuropeo attraverso prodotti di più elevata qualità ambientale.Se al contrario l’Europa non assumerà su questo tema unaforte iniziativa, la politica energetica dovrà purtroppo sologovernare il declino della domanda interna.

61

Gli USA di Obama Secondo

Page 62: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

62

orse con l’annuncio del ritiro dall’Afghanistan ,nei prossimi due anni, delle truppe USA e Natosi potrà considerare definitivamente conclusaquella lunga e drammatica fase iniziata con gliattentati dell’11 settembre 2001. È stata una

fase nella quale, per citare Obama, “la paura ci ha portato adagire anche contro i nostri ideali”.

La fine di quella fase è stata sancita nei primi mesi del2011 dalle primavere arabe: l’incerto sbocco del duroscontro religioso, culturale e politico in atto in tutti queipaesi non può far dimenticare quei milioni di cittadini che,manifestando nelle strade senza bruciare una bandieraamericana o israeliana, hanno dato al mondo intero ilmessaggio di una nuova possibilità. Quei movimenti hannochiarito che la lotta per la democrazia non è la lotta tral’Occidente e l’Islam, ma un confronto che attraversa l’Islamcome d’altra parte, e in altri modi, attraversa l’Occidente.

Dopo le primavere arabe è realistico pensare chedemocrazia, stato di diritto, diritti umani possano camminaresulle gambe dei popoli e che ci siano le condizioni perchél’idea della loro esportazione con la forza possa essereaccantonata. Non dico che siamo lì: dico che ci si può battereper questo con una speranza di successo.

In realtà, per chi avesse voluto capire, già nelle strade diTeheran e delle altre città iraniane nel giugno del 2009 questodato era emerso in modo sufficientemente chiaro. Ma lalinea scelta dall’Occidente era stata un’altra, concentrareesclusivamente sulla questione nucleare il confronto con ilregime iraniano, nella totale incapacità di comprendere lecaratteristiche di quel movimento e quindi di sostenerlo nelleforme appropriate.

Il terreno scelto era invece stato quello sul quale era piùfacile per il regime recuperare consenso e forza. Le proteste

Diritti umani, democrazia,

multilateralismo

Pietro Marcenaro è senatore del Pd

F

Gli USA di Obama Secondo

Page 63: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

sacrosante contro alcune esecuzioni capitali nel carcere diEvin non riescono a nascondere l’isolamento nel quale si èscelto di lasciare i democratici iraniani e gli stessi leader cheavevano accettato di mettersi in gioco e di rischiare perconquistare una svolta democratica.

Lo sviluppo di questo confronto, che ha attraversatol’Islam sunnita come quello sciita, è stato fortementefavorito dal cambiamento avvenuto alla guidadell’amministrazione americana. Il messaggio contenuto neldiscorso del nuovo inizio, pronunciato da Barak Obamaall’Università Al Azhar al Cairo il 4 giugno 2009, è arrivatoin profondità nella società islamica ed è stato ascoltato dallemasse arabe e, nonostante successive contraddizioni edelusioni , continua a tenere aperto uno spazio di ascolto edi interlocuzione importante.

Nel momento in cui Obama sta periniziare il suo secondo mandato, è ancorauna volta sui rapporti con il mondo islamicoche la politica americana sarà in gran partemisurata.

Ed In particolare è nel Medio Oriente esulla riva sud del Mediterraneo che siconcentrano oggi i problemi principali daaffrontare. Le scelte che saranno compiutesulla Siria, sulla questione israelo-palestinese, sull’Iran e sugli sviluppi delleprimavere arabe segneranno in profondità lafutura evoluzione della situazione.

Tra questi diversi dossier esiste come ènoto una strettissima relazione, una vera epropria interdipendenza che si èulteriormente accentuata per il ruolo che inuovi partiti islamici hanno assunto in tutta laregione.

I recenti sviluppi della situazione a Gaza eil ruolo svolto dal presidente egiziano Morsinel mediare la cessazione delle ostilità traHamas e Israele sono un segno evidente dellanovità intervenuta.

Mai in passato era stato così forte ed erarisultato così chiaro il legame tra unaprospettiva di pace e di stabilizzazione inMedio Oriente e il progresso di un processodi democratizzazione.

63

In particolare è nelMedio Oriente esulla riva sud delMediterraneo che siconcentrano oggi iproblemi principalida affrontare.

Gli USA di Obama Secondo

Diritti umani, democrazia,

multilateralismo

Page 64: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

Tutti sanno che il raggiungimento di una maggiore unitàpalestinese che ricomponga almeno in parte la frattura traAbu Mazen e Hamas è una condizione necessaria per losviluppo del negoziato. Questa ricomposizione richiede uncambiamento in Hamas che i processi politici cheattraversano la regione possono favorire.

E l’affermazione di un Islam politico democratico inPalestina e nei diversi paesi della regione sarebbe unagaranzia più forte di qualsiasi muro per la sicurezza diIsraele. Al punto che forse converrebbe modificare la parolad’ordine “due popoli, due stati” in quella “due popoli, duestati democratici”.

Questa possibilità dipende anche dal ruolo che lacomunità internazionale, e l’Europa e gli Stati Uniti in primoluogo, sapranno giocare per offrire ai settori moderati edemocratici dell’Islam una sponda affidabile e per esercitaresu Israele una pressione politica che contribuisca a faremergere una interlocuzione positiva. Fino ad oggi questonon è avvenuto o è avvenuto in modo insufficiente.

L’altro grande tema sul quale la politica estera americanadurante il secondo mandato di Obama sarà chiamata allaprova è quella del multilateralismo. Qui la presidenza Obamaaveva fatto, all’indomani della vittoria elettorale, grandi esolenne promesse.

Pochi mesi dopo il discorso del Cairo, il 24 settembre2009, Obama aveva presieduto la riunione del Consiglio disicurezza delle Nazioni Unite che aveva adottatoall’unanimità la risoluzione su disarmo e non proliferazionenucleare: per quanto il messaggio simbolico fosse nettamenteprevalente sul contenuto concreto si era trattato pur sempredi un fatto politicamente rilevante.

E ancora, qualche mese dopo, il documento sulla NationalSecurity Strategy reso pubblico il 27 maggio 2010 a firmaBarack Obama conteneva una esplicita professione dimultilateralismo basato sul diritto internazionale, i dirittiumani, la democrazia e lo ‘stato di diritto’. Esso segnava unaradicale discontinuità rispetto all’approcciodell’unilateralismo e della guerra preventiva contenuto nelrapporto dell’Amministrazione Bush sulla National SecurityStrategy del 2002, aggiornato nel 2006.

In esso era scritto tra l’altro : “....in un mondo di sfidetransnazionali, gli Stati Uniti hanno bisogno di investire nelrafforzamento del sistema internazionale, lavorandoall’interno delle istituzioni e degli schemi internazionali per

64

L’altro grande temasul quale la politica

estera americanadurante il secondo

mandato di Obamasarà chiamata allaprova è quella delmultilateralismo.

Gli USA di Obama Secondo

Page 65: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

superare le loro imperfezioni e mobilitare la cooperazionetransnazionale. (…) Rafforzare la legittimazione e l’autoritàdel diritto internazionale e delle istituzioni, specialmentedelle Nazioni Unite, richiederà una continua lotta permigliorarne il funzionamento”.

Letti oggi quei discorsi, quelle dichiarazioni e quegli attipolitici istituzionali che avevano acceso tante speranze nelmondo sembrano caduti nel vuoto. Certo non si possonodare solo agli Stati Uniti le responsabilità se da allora quellaprospettiva è entrata in una crisi profonda e quelle promessenon sono state mantenute, ma su questo fronte la crisi è cosìseria che invece che a una nuova politica multipolare sembraa volte di assistere ad una caricatura del bipolarismo deltempo della guerra fredda.

L’Europa concorre a questa difficoltà: la sua sostanzialeassenza dalla scena internazionale priva il tavolomultilaterale di una gamba essenziale per il suo equilibrio. Latragica spirale nella quale è precipitata la crisi siriana – lospettacolo del veto di russi e cinesi al Consiglio di sicurezza,il fallimento delle missioni di Kofi Annan e di Brahimi,l’incapacità di fermare i massacri e di imporre un negoziato –è l’esempio più drammatico di questa crisi.

È da questa matassa apparentemente inestricabile chebisognerà ripartire.

65

Gli USA di Obama Secondo

Letti oggi queidiscorsi, quelledichiarazioni e quegliatti politiciistituzionali cheavevano acceso tantesperanze nel mondosembrano caduti nelvuoto.

Page 66: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

66

econdo una convenzione diffusa, il Presidenteamericano spende il suo primo mandato perassicurarsi la rielezione e solo nei quattro annisuccessivi si dedica a realizzare la propria agenda,con una preferenza per quei dossier internazionali

che gli possono garantire uno spazio nei libri di storia. Con tutte le semplificazioni del caso, c’è del vero in questa

affermazione, ma dato che viviamo tempi di straordinariocambiamento, anche questa regola è mutata nella storia deidue mandati di Barack Obama. A partire dal primo.

Complice la disastrosa eredità di George W. Bush – ilPresidente con il più basso tasso di gradimento domestico einternazionale degli ultimi sessanta anni – il giovane senatoreafro-americano dedicò, fin dalla campagna primaria per lascelta dello sfidante democratico, uno spazio importante aitemi esteri. Per un Paese che contava ogni giorno i propricaduti sul fronte iracheno e che aveva dimostratoun’arrogante impreparazione nel tentativo di riscrivere lamappa del grande Medioriente sotto le suggestioni neo-conservatrici, hope and change furono parole da declinareanche in una nuova visione del mondo e in una diversagestione dei rapporti con i Paesi alleati.

Da candidato prima, da Presidente poi, Barack Obama èstato la gioia di ogni internazionalista democratico. L’elencoè lungo e perciò ci limitiamo ai titoli: tour europeo condiscorsi evocativi di grande impatto a Berlino e a Londra, unnuovo impegno sulla non proliferazione nucleare e sullatutela dei diritti umani, l’offerta di un reset con Mosca e di unimpegno costruttivo con l’Iran, una diversa consapevolezzadei problemi del cambiamento climatico, l’apertura al mondo

Il mandato domestico della

"potenza indispensabile"

Lapo Pistelli è deputato del Pd

S

Gli USA di Obama Secondo

Page 67: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

islamico nel discorso del Cairo dopo un decennio dipregiudizi e paure.

Affiancato da uno straordinario Segretario di Stato comeHillary Clinton, il giovane Presidente è stato la primapersonalità del mondo politico a guadagnarsi un PremioNobel per la Pace “preventivo”, sulla sola base cioèdell’agenda presentata al mondo e dei primi passi compiutidopo l’elezione.

Come sappiamo oggi, tuttavia, quell’elenco di impegni eintenzioni, tutte giuste e condivisibili, era probabilmentetroppo ambizioso, e soprattutto – proprio grazie alla ineditaofferta di responsabilizzazione e coinvolgimento di alleati eavversari – dipendeva in misura equivalente dalla volontàamericana e dalla risposta altrui. Il caso russo e quelloiraniano testimoniano di una mano tesa cui si è risposto piùvolentieri con un pugno chiuso.

Il Presidente che ha combattuto per ottenere un secondomandato è stato sicuramente più cauto, si è limitato achiedere agli elettori di poter completare ciò che avevainiziato, non aggiungendo però nuovi fronti al suo impegno.

Poteva contare, in questo silenzioso “downgrading”, sultotale vuoto repubblicano. Ancora gravato dall’ipoteca diBush e semmai appesantito ulteriormente dalle bizzeisolazioniste del Tea-Party, Mitt Romney si è tenutoscrupolosamente alla larga dalle questioni internazionali.

Anche il dibattito televisivo tradizionalmente dedicatoall’America nel mondo fu privo di colpi di scena: lo sfidantesi limitava a invocare toni più assertivi e decisi verso gliavversari di sempre (Russia e Cina) ma senza una visionealternativa. Anzi, poche settimane prima, il tentativo dicapitalizzare elettoralmente i fatti di Bengasi e la mortedell’Ambasciatore Stevens era stato subito stigmatizzato datutti i media americani, che vi leggevano una rotturadell’unità nazionale in un momento di cordoglio collettivo.

Perché allora Barack Obama, così amato in tutto il mondoe così condiviso nelle proprie idee sull’agenda internazionale,dovrebbe concentrare maggiormente il suo secondomandato sulla politica interna?

Il Presidente ha rischiato di perdere la Casa Bianca per lamodesta performance dell’economia e per il pessimoandamento dell’occupazione. È stato il primo Presidenteuscente della storia a essere riconfermato con un tasso didisoccupazione vicino all’8%, in genere insopportabile perl’elettorato americano. Sicuramente lo sfidante non è mai

67

Il Presidente che hacombattuto perottenere un secondomandato è statosicuramente piùcauto, si è limitato achiedere agli elettoridi poter completareciò che avevainiziato, nonaggiungendo perònuovi fronti al suoimpegno.

Gli USA di Obama Secondo

Page 68: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

riuscito a vendere in quel campo un profilo credibile,alternativo all’immagine percepita del freddo speculatorefinanziario, insensibile alla parte povera della società,contribuente modesto con ingenti ricchezze all’estero, più asuo agio nel tagliare posti di lavoro con le ristrutturazioniindustriali gestite dalla sua Bain Capital.

Se però il Congresso non raggiungerà in poche settimaneun accordo sul bilancio, l’America cadrà nel cosiddetto“fiscal cliff ”, il baratro fiscale che produrrà tagli automatici aiservizi e alle spese della pubblica amministrazione, ungigantesco “taglio lineare” sostanziale, segno della difficoltàpolitica di prendere decisioni condivise. Comunque avvengail ridimensionamento del bilancio – per scelta o per “caduta”nel baratro – esso colpirà in modo rilevante la componentemilitare e la proiezione esterna del Paese, giudicata dalla granparte degli elettori come un pedaggio eccessivo al ruolo diguardiano globale, che gli altri attori internazionaliconferiscono volentieri a Washington, potendosi dedicarecosì maggiormente alla propria condizione domestica.

Ridotta in quantità, l’America nel mondo orienteràcomunque anche le proprie priorità in direzioni diverse.Innanzitutto proseguirà quella progressiva curvatura versol’Asia e il Pacifico – ciò che noi europei definiamo EstremoOriente col nostro modo di guardare al mondo, ma che pergli americani è ben più vicino e, oltretutto, si posiziona aOccidente della propria centralità. Dal discorso di Obama aCanberra, due anni fa, dove per la prima volta fu affermataesplicitamente la nuova priorità del Pacifico rispettoall’Atlantico, l’amministrazione ha rafforzato le relazioni convecchi e nuovi protagonisti (Giappone, India, Indonesia,Malesia e anche Birmania) costruendo una politica di softcontainment verso la Cina.

Nei confronti di Pechino, partner economico ecommerciale, banchiere e finanziatore ma anche probabilecompetitore di questo secolo, Washington dovrà modulare ipropri passi, cercando di scoprire le linee guida della nuovagenerazione di dirigenti eletti al XVIII Congresso del PCC.Se, infatti, è vero che il nuovo leader Xi Jinping era apparsoai più come un uomo aperto e consapevole degli squilibri delmodello economico e sociale cinese, come una personalitàinnovativa, l’elezione a sorpresa durante il Congresso dimolti dirigenti legati all’ala più conservatrice getta un’ombrasulla coerenza del ricambio, lungamente coltivato da HuJintao e Wen Jabao.

68

Gli USA di Obama Secondo

Page 69: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

L’amministrazione Obama proseguirà parimenti lastrategia di graduale ridimensionamento della propriapresenza in Medioriente. Se fino a ieri questa regione eraindispensabile per ragioni energetiche, oggi si pone lapossibilità di un alleggerimento, dato che in soli cinque annigli Stati Uniti hanno ridotto la propria dipendenza energeticadal 60 al 42%, sono divenuti esportatori di punta di prodottiraffinati e perseguono con decisione l’obiettivodell’autosufficienza contando sulle possibilità offerte dal gasdi roccia, più in generale dall’unconventional gas.

In un mondo che offre nuove possibilità in Asia, inAmerica Latina, nel bacino del Caspio, il Medioriente apparetroppo complicato da seguire e da puntellare politicamente eperciò molto costoso in termini di politiche e di risorse. Iprocessi della primavera araba hanno già impegnatoduramente l’amministrazione, lacerata in un faticosopercorso di contenimento delle incoerenze fra principi einteressi, fra la retorica politica sul valore della democrazia eil sostegno alle petro-monarchie sunnite del Golfo.

Ovviamente, un’agenda più concentrata a mettere ordinein casa, reindirizzata semmai verso il Pacifico e menoossessionata dal dover fare ovunque la differenza, potrebbeessere comunque richiamata dal disordine che regna in ognifase di transizione multipolare. Se, ad esempio, la Russiaproseguisse nella propria traiettoria involutiva, qualche altratransizione araba degenerasse in conflitto aperto, lo scontrofra Israele e Iran passasse dalle parole ai fatti, sarebbecomunque impossibile per Barack Obama girarsi dall’altraparte. A malincuore, la “potenza indispensabile” – secondola definizione di Madeleine Albright dovrebbe comunqueesercitare il proprio ruolo.

Se invece così non fosse (e in fondo è meglio per tutti),Barack Obama si concentrerà su un’agenda anti-recessiva,finalizzata a una nuova stagione di crescita economica per ilsuo Paese. È questa la prima richiesta che viene dalle grandiminoranze etniche che lo hanno sostenuto – i latinos, gliasiatici, i neri – un paesaggio sociale profondamente mutato,democratico e progressista, sensibile alle battaglie sui nuovidiritti civili, centrato sulla coesione sociale e sullo spirito dicomunità, ma meno sensibile di una volta ai grandi idealiwilsoniani sulla comunità internazionale.

Barack Obama proseguirà invece la propria battaglia sultema dei cambiamenti climatici globali: l’intreccio fraagenda energetica del Paese, possibilità di crescita di

69

In un mondoche offre nuovepossibilità in Asia,in America Latina,nel bacinodel Caspio, ilMedioriente apparetroppo complicatoda seguiree da puntellarepoliticamente.

Gli USA di Obama Secondo

Page 70: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

un’economia verde, ripetizione eccessiva di fenomenimetereologici eccezionali con danni spaventosi, rendonoquesto tema un incrocio interessante fra politica interna einternazionale e sollecitano le corde di una sensibilitàpopolare in forte aumento.

Meno America nel mondo (anche se gradualmente), menoAmerica nelle regioni a noi vicine comportaautomaticamente più spazio, più responsabilità, perfinoobbligata, per l’Europa. Quale sarà, dunque, l’agendadell’Europa, nel 2013 e all’indomani delle prossime elezionieuropee del 2014? Sarà all’altezza di un’inedita stagione dimultipolarismo? Questo è però un altro argomento. Edunque è meglio fermarsi qui.

70

Gli USA di Obama Secondo

Page 71: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

71

iversamente da quanto comunemente si crede,nel corso della campagna elettorale per lepresidenziali americane le questioni relative alruolo degli Usa nel mondo hanno avuto spazio.Sono emersi due differenti approcci ai problemi

più complessi e spinosi della situazione internazionale: dalrapporto con la Cina al Medio Oriente, dal nucleare iranianoalla eterna questione palestinese.

Nelle presidenziali di quattro anni or sono giocarono afavore di Obama non solo questioni economiche. Ebbe unpeso nella vittoria del candidato democratico anche il fattorepolitica estera. Gli Usa erano coinvolti con pesanticonseguenze in termini di vite umane in ben due conflitti. Lamaggioranza degli americani manifestò la sua contrarietàsoprattutto alla guerra in Iraq combattuta per motivisostanzialmente infondati e sollecitò una via d’uscita per ilconflitto in Afghanistan.

Ad Obama si chiedeva di riparare l’immagineinternazionale degli Usa pesantemente danneggiata durantegli anni di Bush. Con Obama si è avviato il ritiro delletruppe americane dai due teatri di guerra. Scelta inevitabilemalgrado la stabilizzazione per entrambe le situazioni sia dilà da venire. Obama ha portato avanti un indirizzo di politicaestera più cauto, collaborativo e multilaterale sostenuto dauna opinione pubblica prostrata dalle più lunghe guerre maicombattute dagli Stati Uniti e scettica rispetto agli effettivirisultati ottenuti o raggiungibili.

Nel complesso si è consolidata l’immagine di Obamacome leader pronto ad ascoltare la voce altrui e ad agire nelsolco di una radicata tradizione di liberalismo multilaterale,

La politica estera nelsegno della continuità

Umberto Ranieri è è Presidente delle Fondazione Mezzogiorno Europa

D

Gli USA di Obama Secondo

Page 72: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

rispettoso del diritto internazionale e dell’opinione pubblicamondiale. E’ riuscito a parlare, sostiene Mario Del Pero, unlinguaggio liberale, cosmopolita e inclusivo capace diaffascinare l’Europa che ha accolto con soddisfazione la suarielezione. In politica estera ha messo da parte gli approccinazionalisti e unilaterali che producevano rigetto e ostilità digran parte del mondo. Proseguirà su questa linea? Qualiprevisioni si possono formulare? Difficile immaginaremutamenti repentini.

La politica estera sarà probabilmente il campo in cui simanifesterà la maggiore continuità tra primo e secondomandato. Non è da escludere che il primo biennio del nuovomandato presidenziale vedrà uno sforzo teso ad affrontaredue questioni cruciali e intrecciate tra di loro: Israele e ilnucleare iraniano. Garantire la sicurezza di Israele spingendoil governo dello Stato ebraico a compiere passi decisi verso laripresa di un negoziato per riconoscere il diritto deipalestinesi al loro Stato, questo il difficile obiettivo.

Per quanto riguarda Teheran, l’idea di neutralizzaremilitarmente l’Iran sarà una delle questioni cruciali con cuidovrà misurarsi Obama nel suo secondo mandato. Il ricorsoalla forza non potrà essere escluso a priori ma è ovvio cheuna avventura bellica nel Golfo avrebbe conseguenzerovinose. Sono queste le sfide in Medio Oriente. Occorreràinoltre un ripensamento della politica americana verso ilmondo arabo investito da trasformazioni e cambiamentispesso drammatici.

Un mondo verso il quale fu Obama agli inizi del suoprimo mandato ad avviare una politica del dialogo. Oggi ilproblema è sotto gli occhi di tutti: scongiurare che aprevalere nel sommovimento nel mondo arabo siano forzeche si ispirano al fondamentalismo, aggressive versol’Occidente. Il punto drammatico è la Siria.

Per ragioni di budget e per l’affaticamento che vivono leforze armate statunitensi dopo un decennio di impegnimilitari in Iraq e in Afghanistan, Washington continuerà amanifestare una insofferenza verso interventi militariall’estero. Insofferenza emersa nella vicenda libica e evidentenella cautela con cui si ipotizza un intervento in Siria. Etuttavia non è da escludere, come prevede Gilles Kepel, che icolonnelli laici che hanno abbandonato Bashar al Assad eche reggono l’esercito libero siriano siano scavalcati daigruppi jihadisti i quali combattono questa guerra in modoconfessionale. Come impedire che ciò accada e allo stesso

72

Gli USA di Obama Secondo

Per ragioni di budgete per l’affaticamento

che vivono le forzearmate statunitensidopo un decennio diimpegni militari in

Iraq e inAfghanistan,Washingtoncontinuerà a

manifestare unainsofferenza versointerventi militari

all’estero.

Page 73: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

tempo sostenere la lotta contra il regime di Assad? Problemaspinosissimo.

L’altro dossier aperto e che occuperà gran partedell’attenzione della Casa Bianca e del Dipartimento di Statoè quello cinese. La Cina è già il primo interlocutore strategicodegli Usa. La rielezione di Obama ha coinciso con ladesignazione del nuovo leader cinese. Una leadership chedovrà fare i conti con sfide impegnative: sviluppo delmercato interno, riduzione delle enormi disuguaglianze chesi sono create, miglioramento delle condizioni di vita dellepopolazioni delle aree interne di uno sterminato paese.

Obiettivi da raggiungere a condizione che siano mantenutii livelli di crescita e che il paese continui ad attrarreinvestimenti esteri. Ce la farà il nuovo gruppo dirigentecinese a muovere in questa direzione? Sono problemienormi in un paese che dal punto di vista del sistema politicoappare ancora un enigma: a trent’anni dalla fine del maoismole condizioni di uno stato di diritto sono lungi dall’essere unarealtà. Cosa sarà la Cina popolare a medio termine per gliUsa? Un partner o un rivale?

Per affrontare problemi da cui dipende l’ordine dell’interosistema internazionale Obama appare consapevole dellanecessità di consolidare l’approccio multilaterale. Nemmenola straordinaria concentrazione di potenza dell’America èsufficiente da sola ad assicurare stabilità e sicurezza in unmondo globale attraversato da tensioni e rivalità. Per quantoconcerne la crisi economica e finanziaria, se è vero chesenza una ripresa degli Stati Uniti non sarà possibile alcunasoluzione duratura alla crisi, è allo stesso tempo vero cheuna soluzione non potrà che fondarsi su un assettoeconomico globale più equilibrato.

Nel contesto di un mondo multipolare le relazionitransatlantiche possono ritrovare il proprio originariocarattere strategico. Rafforzare le relazioni tra i due pilastridell’Occidente, Europa e Usa, in una fase in cui all’ordine delgiorno incalza la riscrittura delle regole di governo delsistema economico- finanziario globale, è di notevoleimportanza per entrambi .Si è parlato poco di Europa incampagna elettorale.

E tuttavia Obama è apparso, a partire dalla seconda metàdel suo primo mandato, consapevole della rilevanza crescentedi un euro in salute e di una Europa politicamente più unitaper garantire la stabilità del sistema internazionale. Sonolontani i tempi in cui gli americani temevano un euro forte.

73

L’altro dossieraperto e che occuperàgran partedell’attenzione dellaCasa Bianca e delDipartimento diStato è quello cinese.

Gli USA di Obama Secondo

Page 74: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

Oggi a far paura è un euro e una Europa deboli. Lacentralità del rapporto euroamericano impone tuttaviachiarezza sulle responsabilità e sugli interessi comuni. Chiedesoprattutto una Europa più unita e più forte. Sta agli europeiconvincere gli Usa che “la locomotiva europea si è rimessa inmovimento e che le prossime scadenze, rafforzamentopolitico dell’Unione attraverso l’unione bancaria, lagovernance comune dell’eurozona, consentiranno diprocedere verso una Unione politica autorevole eresponsabile”.

Una Unione in grado di assumersi responsabilità sullascena del mondo globale. Del resto la stagione multilateralepromossa da Obama potrà proseguire a condizione che ilpilastro europeo della alleanza euro atlantica si rafforzi,consolidi la propria unità. Una Europa che voglia muovere inquesta direzione dovrà giungere ad una maggiore coesione alproprio interno acquisire più nettamente i caratteri disoggetto politico unitario in grado di assumersiresponsabilità nel governo della sicurezza. È questa lacondizione per contare sulla scena internazionale e nelrapporto con gli Usa di Obama.

74

Gli USA di Obama Secondo

Page 75: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

75

essuno può più mettere in dubbio la crescenteimportanza e centralità dell’Asia e del Pacifico.Negli ultimi anni il baricentro dello sviluppoeconomico si è prepotentemente spostato adest. È in questa area del mondo che si giocherà

una partita decisiva sul piano geopolitico. L’attore principaledi questa rivoluzione che tenderà a cambiare radicalmente iparadigmi di riferimento della politica estera, diplomatica edeconomica del nostro pianeta è la Cina, con la suaprepotente ascesa come grande potenza. Ma non bisognadimenticare il peso dell’India, dell’insieme dell’area del sudest asiatico riunita nell’Asean, ne vanno messe da parteCorea e Giappone, sempre divise tra i tradizionali legami congli Usa e le nuove prospettive di integrazione economica conla Cina e il resto del continente. In questo contesto gli StatiUniti hanno già riorientato la loro politica estera e di difesa. Nel gennaio del 2012 il Dipartimento della Difesa haapprovato le nuove linee strategiche nel documento “Sustaining US Global Leadership: Priorities for 21st CenturyDefense”. Le nuove linee guida hanno ufficializzato quelloche il Presidente Obama aveva già dichiarato solennementedi fronte al Parlamento australiano alla fine del 2011, e cioèche l’area Asia-Pacifico è in testa alle priorità della sicurezzaUsa e il taglio delle spese della difesa non riguarderà laregione. Alla base della nuova strategia americana “Pivot toAsia” ci sono quattro motivi fondamentali : 1) La crescenteinfluenza economica e finanziaria dell’Asia. 2) La nuovaforza militare della Cina che in futuro potrebbe minacciarel’accesso degli Usa allo spazio aereo, navale e spaziale delPacifico che dopo la seconda guerra mondiale, era nelle

Gli Usa si volgono all'Asia

Ugo Papi è è Responsabile Asia e Pacifico PD

N

Gli USA di Obama Secondo

Page 76: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

disponibilità dell’America. 3) Le risorse che Washington vedeliberarsi dopo la fine della guerra in Iraq e l’avviatatransizione in Afghanistan. 4) Il diminuito peso dell’Europa,soprattutto sul piano geopolitico, che rende possibile lospostamento di forze Usa dal vecchio continente. Il nuovoapproccio Usa parte dalla convinzione che, con la fine dellaguerra fredda, l’Europa non è più minacciata e quindi nonrappresenta più una priorità in termini di sicurezza. Per questo il piano prevede il ritiro di due delle quattrobrigate dell’esercito dispiegate in Europa, lo smantellamentodi uno dei quartier generali, la disattivazione di due squadreaeree e la cancellazione di quattro basi tedesche. Gli obiettiviamericani sembrano gli stessi, ma a cambiare è la geografiadegli interessi Usa. Alla base della nuova attenzione versol’Asia, rimangono la stabilità, la libertà di navigazione, i libericommerci, la promozione della democrazia e dei dirittiumani. Obama non ha perso tempo e la nuova strategia già èevidente: prossimamente 2500 marines si sposteranno inAustralia, per rafforzare il legame con il tradizionale alleato.Da un anno, i soldati americani hanno cominciato a farerotazioni regolari presso una base militare a Darwin. Gli Stati Uniti stanno inoltre trattando con le Filippine perampliare la presenza delle proprie forze nella ex colonia,mentre intensificano le relazioni militari anche con ilVietnam e la Nuova Zelanda. E la base navale americana diGuam nell’Oceano Pacifico, tra le più grandi al mondo, verràampliata entro il 2014. Proprio l’Australia ha già mutatoradicalmente i suoi rapporti con la Cina a partire dagli anni90. Pechino è sempre alla ricerca di fonti diapprovvigionamento e il continente australe è ricchissimo dimaterie prime. Oggi il dragone cinese è il primo partner commerciale diCanberra e i legami commerciali sempre più stretti creanouna evidente difficoltà ai tradizionali alleati degli Stati Unitinell’area. È proprio la crescente importanza della Cina apreoccupare gli Usa. I paesi della regione trovano tuttibeneficio dai nuovi legami economici con Pechino, ma ciòpuò alla lunga spostarne molti verso l’area di influenzapolitica della Cina. Se questo è vero per tradizionali alleati diWashington, come l’Australia, il Giappone, la Corea del Sude le Filippine, appare ancora più evidente per paesi meno“allineati”, come alcune nazioni del sud est asiatico odell’Asia centrale. La politica estera e di difesa cinese è cambiata sensibilmente

76

Alla base dellanuova attenzione

verso l’Asia,rimangono la

stabilità, la libertàdi navigazione, i

liberi commerci, lapromozione dellademocrazia e dei

diritti umani.

Gli USA di Obama Secondo

Page 77: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

negli ultimi dieci anni, come messo bene in rilievo dal“Diciassettesimo rapporto sull’economia globale e l’Italia”curato da M. Deaglio. All’inizio del secolo i cinesi vedevanol’ordine internazionale come “ingiusto e irrazionale,bisognoso di cambiamenti radicali”, mentre ora è giudicatopiù equilibrato, caratterizzato da una sempre maggioreinterdipendenza economica globale e dall’affacciarsi di nuoviprotagonisti emergenti sulla scena internazionale. Sparite le tensioni della guerra fredda , la “fase unipolare”americana del decennio scorso e superati gli scogli deinegoziati per l’accesso cinese alle principali organizzazioniinternazionali come il WTO, la Cina si sente più sicura di sedi fronte ad un indebolito occidente. Nel Libro Bianco dellaDifesa Nazionale del 2011, Pechino ha abbandonatol’atteggiamento prudente e attendista dell’era Deng Xiaopinge si impegna in una politica proattiva e più assertivanell’arena internazionale, a partire dall’area asiatica e pacifica.Da qui i toni minacciosi di Pechino degli ultimi tempi sullasovranità delle isole contese con Giappone, Vietnam,Filippine e Taiwan. Nello stesso tempo il lancio della “coesistenza competitiva”tra Stati Uniti e Cina vede ora impegnata Pechino a romperequello che ancora è visto come un accerchiamentodell’”Impero di mezzo” da parte degli Usa. Da tempo icinesi hanno rafforzato la loro presenza economicanell’Afghanistan, presto libero dall’ipoteca americana, con lacostruzione di autostrade e l’acquisizione di diritti minerari.La stessa politica si dispiega nel Tajikistan con ilpotenziamento delle rete stradale per raggiungereUzbekistan e Kazakistan e a sud, attraverso il Kashmir conuna nuova rete autostradale per avere facile accesso al portopakistano di Gwadar nell’oceano indiano. Porti einfrastrutture viarie sono da tempo progetti avviati inBirmania, Sri Lanka, Bangladesh. Una “collana di perle” che proietta la Cina oltre il Pacifico,bypassando lo stretto di Malacca per il trasporto di materieprime, controllato dagli americani e dai suoi alleati. Appenarieletto, Obama si è affrettato a rafforzare la nuova politicaasiatica con un viaggio in Thailandia e, per la prima volta diun presidente Usa, in Birmania e Cambogia. In questamissione gli Usa hanno reso evidente il loro intendimentonello spostare risorse politiche, militari e economiche versol’estremo oriente. Per gli Usa è decisiva una nuova Trans-Pacific Partnership, come

77

Da tempo i cinesihanno rafforzato laloro presenzaeconomicanell’Afghanistan,presto liberodall’ipotecaamericana, con lacostruzione diautostrade el’acquisizione didiritti minerari.

Gli USA di Obama Secondo

Page 78: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

area di libero scambio tra le due sponde del Pacifico masenza la Cina, e la risoluzione pacifica delle disputeterritoriali nel Mar Cinese Meridionale, che Washingtonvorrebbe risolvere multilateralmente, mentre Pechinopreferisce un approccio bilaterale. Anche nella tappa birmanaè apparso evidente come gli Usa puntino a integrare il paesedelle pagode nella comunità internazionale dopo lasorprendente apertura democratica, sganciando Rangoondall’ingobrante dipendenza da Pechino, alla quale il Myanmarera costretto dalle sanzioni occidentali. Non va dimenticato che furono proprio gli Usa, preoccupatidel ruolo crescente della Cina, a cambiare improvvisamentepolitica nei confronti della Birmania già a metà del 2010, cioèben prima della svolta democratica del paese di Aung SanSuu Kyi. Fu Obama a stringere la mano del Primo MinistroTein Sein, allora generale della giunta militare e oggipresidente protagonista della svolta democratica, nella qualeil nuovo atteggiamento Usa ha sicuramente avuto il suo peso.Stesso discorso vale per la Cambogia, che pure restasaldamente alleata di Pechino ma alla quale Obama ha volutooffrire una prospettiva diversa. A rendere complessa la strategia fin qui descritta delle duegrandi potenze restano molte varianti di difficile soluzione.Intanto non può essere sottovalutato il peso di altriimportanti protagonisti, India e Russia in primis, che nonrinunciano a giocare un loro ruolo di potenze regionalipoco disposte a cadere sotto l’influenza di Washington oPechino. Ma ancora più complicata è la partita economicache vede Cina e Usa strettamente interdipendenti. Uninnalzamento della tensione sullo scacchiere asiatico epacifico, non potrebbe che nuocere ad entrambe e diriflesso al mondo intero. Ma per fortuna, questo aspetto non può che giocare inprospettiva alla risoluzione pacifica di contrasti e conflittifuturi. Per l’America rimangono decisive anche le vicendemedio orientali dalle quali Washington pur volendo, non puòdistogliere l’attenzione. Resta poi sullo sfondo il ruolo di unEuropa in fase introspettiva, ancora concentrata sui suoiproblemi economici e finanziari e assai lontana dal potersvolgere un ruolo politico di primo piano nell’area delmondo ormai più dinamica e importante.

78

Gli USA di Obama Secondo

Page 79: TamTamDemocratico n°13
Page 80: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

80

ento anni dopo la campagna elettorale checontrappose il democratico Woodrow Wilson alrepubblicano Teddy Roosevelt, Barack Obamaha sconfitto il suo rivale Mitt Romney,ottenendo il secondo mandato presidenziale. Il

richiamo non è aneddotico, perché in entrambe le campagne,quella del 1912 e quella del 2012, l’America latina è rimastaformalmente fuori dai dibattiti presidenziali, purrappresentando un convitato silenzioso. Nel 1912 le rapideevoluzioni della rivoluzione messicana ponevano la CasaBianca di fronte a nuove incognite, legate ai possibili effettidestabilizzanti della guerra e al futuro dei pozzi del Golfo,ambiti da altri attori storici (britannici) e potenziali (tedeschi).Nel 2012 Washington deve invece confrontarsi non solo conle acque, spesso burrascose, del Río Bravo, bensì con lepressioni di un subcontinente in rapido movimento, ricco dirisorse e contraddizioni ma sempre più direttamente eautonomamente inserito in un contesto globale diinterdipendenze accelerate.

Gli esperti si sono divisi sulle Western Hempisphere policiesdel primo mandato Obama. Secondo alcuni avrebbe prevalsoun generale disinteresse, tradotto in un disimpegno regionale;altri hanno rimarcato la distanza tra i proclami pre-elettorali ele scelte di realpolitik; c’è perfino chi ha intravisto proprio suquest’asse geopolitoco i segni di un declino di Washington edella sua leadership globale; chi infine ha ravvisato un’inerzia,manifestatasi nella continuità tra l’amministrazione Obama equella Bush jr (e tra questa e la Clinton). Secondo lo storicoGreg Grandin ciò sarebbe giustificato dalle esigenze disopravvivenza del neo-liberascambismo continentale che

Gli Usae l'America latina

Massimo De Giuseppe insegna Storia Contemporanea allo IULM di Milano

C

Gli USA di Obama Secondo

Page 81: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

avrebbe interrotto una tendenza alla discontinuità nellerelazioni interamericane (si pensi alla cesura Reagan-Carter otra aperture kennedyane e dottrina Kissinger). Fallito nel2004 il piano dell’amministrazione Bush di creare un’unicaarea di libero-scambio continentale (Alca), estensione idealedel Nafta (1994) e del Cafta (2003), la Casa bianca haripiegato sulla stipula di trattati bilaterali, come quello con laColombia (cui pure Obama si era opposto da senatore).

I sostenitori di questa tesi richiamano anche la mancatachiusura della base di Guantanamo, intesa come primopassaggio di un’ipotetica revisione delle relazioni con ilregime castrista. Paradossalmente la rigidità su Cuba haprodotto però un inedito isolamento continentale diWashington. Questo si è manifestato nella crisidell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) ed èculminato nel mancato invito di Usa e Canada nellaComunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños(Celac) sorta nel febbraio 2010. Eppure, il quadro è menostatico di quanto possa apparire a prima vista.

Emblematica risulta la sottostimata missionelatinoamericana di Obama della primavera 2011, nei giornidella crisi libica. Il viaggio era in tre tappe, ognuna a suo modosimbolica. La prima, in Brasile, per riprendere con DilmaRoussef il discorso avviato con Lula su scambi commerciali ecooperazione tecnica. La seconda, in Cile, dove Obama non siè limitato a sigillare l’Alleanza transpacifica con i paesi «amici»dell’area (Cile, Perù e Messico) ma ha lanciato un esplicitorichiamo all’Alleanza per il progresso. Infine, terza tappa, ilpiccolo El Salvador, dove si era consumata una delle tragediedella «nuova guerra fredda». Lì Obama ha legittimato untutt’altro che scontato riconoscimento alla decisionedell’Assemblea dell’Onu di fissare nel 24 marzo (giornodell’omicidio di mons. Romero) la giornata internazionale per ildiritto alla verità sulle violazioni di diritti umani.

Questi gesti sono stati derubricati a puri atti formali aduso dell’immaginario progressista, in compensazione deldanno arrecato dalla pubblicazione dei file latinoamericani diWikileaks, mentre gli aiuti calavano (del 9% nel preventivo2013) e la gestione diplomatica delle crisi di Honduras (2009)e Paraguay (2012) sollevava più di una perplessità. Eppurequesti piccoli segni hanno un valore, culturale, diplomatico epolitico. Al pari, l’aver abbassato i toni dello scontroideologico con Chávez e il blocco dell’Alleanza Bolivariana(Venezuela, Ecuador, Bolivia, Cuba, Nicaragua, ...) ha

81

Gli USA di Obama Secondo

Emblematica risultala sottostimatamissionelatinoamericana diObama dellaprimavera 2011, neigiorni della crisilibica. Il viaggio erain tre tappe, ognunaa suo modosimbolica.

Page 82: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

giovato a rasserenare il clima, a più livelli.Questo mutamento silenzioso potrebbe incidere sulla

cooperazione emisferica in termini più concreti dellamodesta agenda del vertice di Cartagena dello scorso aprile.Alcuni passaggi del summit dei G20 (di cui fan parte Brasile,Messico e Argentina), celebratosi in giugno a Los Cabos,sembrerebbero rivelatori in tal senso, così come le aperturedi Obama sulla concessione di un seggio al Brasile comemembro permanente del Consiglio di sicurezza. Il crescentepeso geopolitico e diplomatico di Brasilia, trainata dallaPetrobras e dai primi segni di riassestamento sociale interno,si sta manifestando anche oltre l’orizzonte dei Brics, in senoal Wto e nelle agenzie Onu. La prossima organizzazione dimondiali di calcio e Olimpiadi ne dovrebbe rimodellare(anche in senso regionale) il fragile apparato infrastrutturale.

Mentre l’Ue rischia di restare indietro nella partita degliinvestimenti in America latina, che vede viceversaprotagonisti Cina, Corea, Giappone, paesi del Golfo eRussia (più presente oggi che ai tempi della guerra fredda),Washington ne sta percependo i rischi. Pur senzarinunciare alle basi militari (perduta quella di Manta inEcuador si è affrettata a rafforzare quella di MariscalEstigarríbia in Paraguay), comincia infatti a guardare conocchi diversi i processi d’integrazione latinoamericani. Nelsecondo mandato Obama dovrà formulare una nuovapolitica, anche in termini di influenza sulle scelte degliorganismi di Bretton Woods (delicate dopo la crisi traArgentina e Fmi). Il quadro è mutato rispetto agli anni ’90,quando le maquiladoras, con basso costo del lavoro, e lamigra selvaggia erano la b-side della New Economy. La crisieconomica ha inciso nelle relazioni continentali ancheattraverso un’inversione dei trend migratori; dopoquarant’anni di crescita dei flussi verso nord, i migrantimessicani illegali negli Usa sono scesi dai 7 milioni del2010 ai 6 scarsi del 2012, producendo una stagnazionedelle rimesse contraria al trend globale (crescita nel 2012del 6,9%, per un ammontare di 534 miliardi di dollari).

C’è infatti anche un’altra dimensione del consolidamentodelle relazioni interamericane e la recente campagnaelettorale l’ha riportata chiaramente alla luce: il peso deilatinos negli Usa. Questi sono oggi circa 53 milioni, più del17% della popolazione totale (il 38,6% in New Mexico, il26% in Texas, il 25,6% in California). Il 71% dei latinos aiseggi, 12,5 milioni su 24 aventi diritto (5,4 sono invece i

82

Gli USA di Obama Secondo

Il crescente pesogeopolitico e

diplomatico diBrasilia, trainata

dalla Petrobras e daiprimi segni diriassestamento

sociale interno, si stamanifestando ancheoltre l’orizzonte dei

Brics

Page 83: TamTamDemocratico n°13

FOCUS

residenti senza diritto di voto, 7,1 i clandestini e 17,8 iminorenni) ha votato Obama. Eppure nelle sfide tv, questinon aveva mai citato l’America latina, mentre Romney avevaaccusato il rivale di «debolezza» di fronte alle presunteminacce di Chávez e Raúl Castro. Semmai sulla crisirepubblicana hanno pesato fattori inediti: l’invecchiamentodell’elettorato anticastrista cubano (concentrato in Florida) ela reazione popolare alla Ley Arizona del 2010 dellarepubblicana Jan Brewer. Inoltre conta il peso dei messicanitra i latinos (oltre 33 milioni, a fronte di una spiccataframmentazione delle altre comunità), nazionalisti percultura e ancora scottati dal muro erettodall’amministrazione Bush lungo la frontiera.

Infine c’è la grande partita della lotta al narcotraffico che hainsanguinato in particolare il corridoio centroamericano. Ilmodello del Plan Mérida per il contrasto al «narcoterrorismo»(costato al solo Messico 70.000 vittimenei sei anni di presidenza Calderón),basato sull’opzione militare, non harisolto il problema. La riapertura deldibattito sulla legalizzazione delledroghe come forma di contrasto allacriminalità organizzata (che ha coinvoltoperfino l’ex presidente messicano Fox eil colombiano Santos) è un altro segnaledel cambiamento in atto. Le recentiammissioni di Obama su un necessariocambio di strategia, dovrebbero porre lebasi per affrontare in termini nuovi eintegrati violenza e disuguaglianzesociali. Si tratta di una partita ampia cheva ben oltre l’attività di Dea e UsSouthern Command ma che investe anchele politiche valutarie (per la ricaduta suldebito estero dei paesi sudamericani),fiscali, il sostegno al Welfare e l’azionedegli organismi multilaterali. Un nuovoprocesso d’integrazione americanapotrebbe aprire spiragli interessanti intal senso, trasformando il regionalismoda un problema irrisolto inun’opportunità da governare e farmaturare in un’area del mondo ancoroggi profondamente pluriculturale.

83

Gli USA di Obama Secondo

Page 84: TamTamDemocratico n°13
Page 85: TamTamDemocratico n°13

Documenti

Page 86: TamTamDemocratico n°13

86

tanotte, a più di 200anni dopo che una excolonia si èconquistata il dirittodi determinare da

sola il suo destino, l'impegnonel perfezionamentodell'unione continua.Va avanti grazie a voi. Vaavanti perché aveteriaffermato lo spirito che hatrionfato sulla guerra e ladepressione, che hasollevato questo Paese dallaprofondità delladisperazione fino alle altevette della speranza, ilcredere che mentre ognunodi noi insegue il suo sognopersonale, facciamo peròparte di una famigliaamericana e insiemetrionferemo o cadremo

come una sola nazione e unsolo popolo.Questa notte, in questaelezione, voi, Americani, ciavete ricordato che anche sela nostra strada è stata dura,anche se il nostro viaggio èstato lungo, ci siamo fattiforza, abbiamo combattuto,e nei nostri cuori sappiamoche il meglio per gli StatiUniti d'America deveancora venire.Voglio ringraziare ogniamericano che hapartecipato a questaelezione, che abbia votatoper la prima volta o aspettatoin fila per molte ore. E questa è una cosa chedobbiamo sistemare. Cheabbia calpestato marciapiedio alzato una cornetta, tenuto

in mano un cartello perObama o per Romney, avetefatto sentire la vostra voce eavete fatto la differenza.Ho appena parlato con ilgovernatore Romney e misono congratulato con lui econ Paul Ryan per unacampagna che abbiamocombattuto duramente.Possiamo avere lottato conforza, ma soltanto perchéamiamo questo paeseprofondamente e teniamocon così tanta forza al suofuturo. Da George a Lenorefino al loro figlio, Mitt, lafamiglia Romney ha scelto didonare indietro all'Americamolto con il proprio servizioe questa è l'eredità cheonoriamo a cui plaudiamostanotte. Nelle settimane

Obama, diScOrSO

per la rieleziOne,chicagO 6 nOvembre 2012

DOCUMENTO Gli USA di Obama Secondo

S

Page 87: TamTamDemocratico n°13

Obama, diScOrSO

per la rieleziOne,chicagO 6 nOvembre 2012

87

scorse, ho anche pensato a unincontro con il governatoreRomney per parlare di comepossiamo lavorare insiemeper portare avanti questoPaese.Voglio ringraziare il mioamico e partner negli ultimiquattro anni, un feliceguerriero americano, ilmiglior vice presidente che sipossa desiderare, Joe Biden.E non sarei l'uomo che sonooggi senza la donna chevent'anni fa ha acconsentitoa sposarmi. Lasciatemelodire in pubblico: Michelle,non ti ho mai amata di più.Non sono mai stato piùfiero di guardare il restodell'America innamorarsi dite, come first lady di questanazione. Sasha e Malia,davanti ai nostri occhi statecrescendo e diventando duebellissime, forti e intelligentigiovani donne, propriocome vostra madere. Sonodavvero fiero di voi. Ma perora credo che un cane siapiù che sufficiente.Ai migliori volontari e almiglior staff di unacampagna nella storia dellapolitica. I migliori. I miglioridi sempre. Alcuni di voierano nuovi, altri mi sonostati accanto fin dall'inizio.Ma tutti voi siete membri diuna famiglia. Da dovunqueveniate e qualsiasi cosafacciate, ricorderete la storiache abbiamo scritto insieme eavrete a vita l'apprezzamento

di un presidente a voi grato.Grazie per avere creduto finoalla fine, attraverso ognicollina, ogni valle. Mi avetesollevato durante tutto ilpercorso e vi sarò per sempregrato per tutto quello cheavete fatto e per l'incredibilelavoro svolto.So che le campagne politichea volte sembrano piccole,persino stupide. E che aicinici danno molto spazio perdire che la politica non ènulla più che una gara tra egoo terra di interessi particolari.Ma se mai avrete la possibilitàdi parlare alla gente che èvenuta ai nostri rally e si èammassata in una lunga filanella palestra di una scuola, ovedrete persone lavorare finoa tardi in un ufficio dellacampagna in una piccolacontea lontana da casa,scoprirete che non è così.Sentirete la determinazionenella voce di un giovaneorganizzatore che si fa stradaverso il college e vuole cheogni bambino abbia la stessapossibilità. Sentiretel'orgoglio nella voce di unavolontaria che va di porta inporta perché suo fratello èfinalmente stato assuntoquando la fabbrica di auto haaggiunto un turno ulteriorealla produzione. Sentirete il profondopatriottismo nella voce dellamoglie di un militare che staal telefono fino a tarda notteper assicurarsi che nessuno

che combatte per questopaese debba combattere maiper un lavoro o un tettoquando torna a casaEcco perché lo facciamo.Ecco cosa può essere lapolitica. Ecco perché leelezioni contano. Non èpoco, è una cosa grande. Èimportante. La democrazia inuna nazione di 300 milioni dipersone può essere caotica ecomplicata e rumorosa.Abbiamo ognuno la propriaopinione. Ognuno ha cose incui crede. E quandoattraversiamo momentidifficili, quando prendiamograndi decisioni come paese,questo necessariamente mettein campo passioni econtroversie.Tutto questo non cambieràdopo stanotte, e non devefarlo. Tutto ciò è simbolodella nostra libertà. Nonpossiamo dimenticare che,mentre parliamo, persone innazioni lontane rischiano lapropria vita per la possibilitàdi discutere sulle cose checontano, di dare il loro voto,come noi abbiamo fatto oggi.Ma nonostante le nostredifferenza, molto di noicondividono certe speranzeper il futuro dell'America.Vogliamo che i nostri figlicrescano in un paese doveabbiano accesso alle miglioriscuole e all'insegnamentodei migliori docenti. Unpaese che porti avanti lapropria leadership nella

DOCUMENT0

Page 88: TamTamDemocratico n°13

88

tecnologia, enell'innovazione e nellescoperte, con tutto il lavoroe le possibilità di impiegoche ne conseguono.Vogliamo che i nostri figlivivano un America che nonè oberata dai debiti, che nonè indebolita dalledisuguaglianze, che non èminacciata dal poteredistruttivo del riscaldamentoglobale. Vogliamo cedere adaltri un paese sicuro erispettato e ammirato nelmondo, una nazione difesadall'esercito più forte dellaterra e dalle truppe miglioriche questo mondo abbiaconosciuto. Ma anche unpaese che si muova consicurezza oltre questi tempidi guerra, per arrivare a unapace costruita sullapromessa di libertà e dignitàper ogni uomo.

Crediamo in un'Americagenerosa, in un'America cheha compassione, inun'America tollerante, apertaai sogni della figlia di unimmigrato che studia nellenostre scuole e crede nellanostra bandiera. A un giovane delle zone piùpovere di Chicago che vede

una vita al di là dell'angolodella sua strada. Al figlio diun operaio del NordCarolina che vuole diventareun dottore o uno scienziato,un ingegnere o unimprenditore, undiplomatico o persino unpresidente. Questo è ilfuturo che vogliamo. Questala visione condivisa. Eccoverso cosa dobbiamo andare- avanti. Ecco cosadobbiamo fare.Ora, saremo in disaccordo,spesso duramente, su comearrivare a tanto. Come èstato per due secoli, ilprogresso inizierà. Non saràsempre una linea retta, néuna strada facile.Sapere che abbiamo speranzee sogni comuni nonmetteranno termine allediscordie né risolveranno dasole problemi o sostituiranno

il lavoro di costruireconsenso e arrivare al difficilecompromesso necessario perportare avanti questo paese.Ma il legame checondividiamo è il punto dacui iniziare.La nostra economia staguarendo. Una decade diguerra sta finendo. Una lunga

campagna si è appenaconclusa. E che io abbiameritato o meno il vostrovoto, vi ho ascoltato, hoimparato da voi, e mi avetereso un presidente migliore.E con le vostre storie e levostre fatiche, torno alla CasaBianca più determinato eispirato che mai, con inmente il lavoro che deveessere fatto e che il futuro èdi fronte a noi.Stanotte avete votato peragire, non per la politicacome è di solito. Ci aveteeletto per concentrarci sulvostro lavoro, non sul nostro.E nelle prossime settimane emesi, cercherò di lavorarecon i leader di entrambi ipartiti per rispondere allesfide che possiamo risolveresoltanto unite. Ridurre ildeficit. Riformare il sistemafiscale. Sistemare il nostro

sistema di immigrazione.Liberarci dal petroliostraniero. Abbiamo moltolavoro da fare.Ma questo non significa che ilvostro lavoro sia finito. Ilruolo dei cittadini nellanostra democrazia nonfinisce con il voto. Nonabbiamo mai pensato a cosa

DOCUMENTO Per il buon governo delle città

la demOcrazia in una naziOne di 300 miliOni di perSOne

puO’ò eSSere caOtica e cOmplicata e rumOrOSa.abbiamO OgnunO la prOpria OpiniOne

Page 89: TamTamDemocratico n°13

89

l'America possa fare per noi,ma a cosa possiamo fareinsieme, nel lavoro duro efrustrante, ma necessario,dell'auto-governo. Ecco sucosa siamo stati fondati.Questo paese ha piùricchezze degli altri, ma non èquesto a farci ricchi.Abbiamo l'esercito piùpotente della storia, ma non èquesto a farci forti. Le nostreuniversitò, la nostra culturasono l'invidia del mondo, manon è questo che fa

approdare il mondo allenostre coste.Quello che rende eccezionalel'America è il legame chetiene insieme le nazioni piùdiverse sulla faccia della terra.Il credere che il nostrodestino è condiviso. Chequesto paese funziona solo seaccettiamo di avere obbligoognuno nei confrontidell'altro e verso legenerazioni future. La libertàper cui così tanti americanihanno combattuto e sono

morti porta tanto dirittiquanto responsabilità. E tra idiritti ci sono amore, carità,doveri e patriottismo. Questofa l'America grande.Stanotte spero perché ho vistolo spirito dell'America inazione. L'ho visto neiproprietari di aziende aconduzione famigliare chepreferiscono tagliarsi lostipendo che lasciare a piedi ivicini, e nei lavoratori che sitagliano le ore di lavoropiuttosto che farlo perdere a

DOCUMENT0Per il buon governo delle città

Page 90: TamTamDemocratico n°13
Page 91: TamTamDemocratico n°13

un amico. L'ho visto neisoldati che si rimettono in listadopo avere perso un arto e neiSEAL che fanno il loro doverenel buio e nel pericolo perchésanno di avere un compagnoche gli guarda la schiena.L'ho visto nel New Jersey e aNew York, dove i leader deipartiti e gli uomini delgoverno hanno messo daparte le loro differenze peraiutare una comunità arimettersi in piedi dopo idanni causati da un terribileuragano. E l'ho visto l'altrogiorno a Mentor, in Ohio,dove un padre ha raccontatola storia della figlia di ottoanni, la cui lunga battagliacontro la leucemia non ècostata tutto alla famigliasolo per la riforma dellasanità, approvata pochi mesiprima che la compagniaassicurativa smettesse dipagare per la sua salute.Ho avuto l'opportunità di

parlare con il padre e diincontrare la sua incredibilefiglia. E quando ha parlatoalla folla, ogni genitore inquella stanza aveva lacrimeagli occhi, perché sapevamoche quella bambina potevaessere nostra figlia. E so che

ogni americano vuole unfuturo luminoso. Ecco comesiamo. Ecco il paese che sonofiero di guidare comepresidente.E stanotte, nonostante tuttoquello che abbiamo passato,nonostante le frustrazioni diWashington, non sono maistato più speranzosoriguardo al futuro. Riguardoall'Amertica. E vi chiedo disostenere questa speranza.Non sto parlando diottimismo cieco, di quellasperanza che ignoral'enormità delle sfide sulnostro percorso. Nédell'idealismo che permettedi sederci a lato e sottrarciad una sfida.Ho sempre creduto che lasperanza è così ostinatadentro di noi, nonostantetutto, che ci aspetta qualcosadi meglio, se abbiamo ilcoraggio di continuare atendere verso ciò, di

continuare a lavorare, dicontinuare a lottare.America, io credo chepossiamo costruire sulprogresso che abbiamoottenuto e continuare alottare per nuovi lavori enuove opportunità e nuove

certezze per la middle class.Credo che possiamomantenere le promesse deinostri fondatori, nell'idea chese si è disposti a lavoraresodo, non importa chi sei oda dove viene o che faccia haio chi ami. Non importa se seinero o bianco o ispanico oasiatico o indiano d'Americao giovane o vecchio o ricco opovero, abile, disabile, gay oetero. Se hai voglia di provarein America puoi farcela!Credo che possiamoafferrare il futuro insiemeperché non siamo divisicome suggerisce la nostrapoltica. Non siamo cinicicome credono i nostriesperti. Siamo più grandidella somma delle nostreambizioni individuali, erimaniamo più di unamanciata di stati blu e rossi.Siamo e saremo per sempregli Stati Uniti d'America.E con il vostro aiuto e la

grazia di Dio continueremo ilnostro percorso ericorderemo al mondo perchéviviamo nella nazione piùgrande del mondo.Grazie, America. Dio tibenedica. Dio benedicaquesti Stati Uniti.

hO Sempre credutO che la Speranza e’ cOSi’ì OStinata dentrO

di nOi, nOnOStante tuttO, che ci aSpetta qualcOSa di megliO,Se abbiamO il cOraggiO di cOntinuare a tendere verSO ciO’,di cOntinuare a lavOrare, di cOntinuare a lOttare

Page 92: TamTamDemocratico n°13
Page 93: TamTamDemocratico n°13

NUMERI PRECEDENTI

93

NUMERO 2

OTTOBRE 2011

NUMERO 5

GENNAIO 2012

NUMERO 1

AGOSTO/SETTEMBRE 2011

NUMERO 4

DICEMBRE 2011

NUMERO 7

MARZO 2012

NUMERO 8

APRILE 2012

NUMERO 9

MAGGIO/GIUGNO 2012

NUMERO 10

LUGLIO 2012

NUMERO 11

OTTOBRE 2012

NUMERO 12

NOVEMBRE 2012

NUMERO 0

LUGLIO 2011

NUMERO 3

NOVEMBRE 2011

NUMERO 6

FEBBRAIO 2012

Page 94: TamTamDemocratico n°13

www.tamtamdemocratico.it