SISMagazine - Aprile 2015

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SISMAGAZINE APRILE 2015

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SISMAGAZINEAPRILE 2015

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L’IFMSA (International Federation of Medical students’ association) è la federazione nazionale delle associazioni di studenti di medicina a cui il SISM appartiene quale full member.A livello nazionale il SISM è composto da tre cariche elettive che per la sede locale corrispondono a:

INCARICATO LOCALEAMMININISTATORE LOCALE

SEGRETARIO LOCALE

Che regolano e promuovono le attività di 4 grandi aree tematiche

che sono date da:

SCOMECommissione stabile sulla pedagogia medica; corrisponde alla LOME locale

SCOPH Commissione stabile sulla salute pubblica; corrisponde alla LPO locale

SCORPCommissione stabile sui diritti umani e pace; corrisponde alla LORP locale

SCORA Commissione stabile su salute riproduttiva ed AIDS; corrisponde alla LORA locale

-clerkship italiane -ospedale dei pupazzi -clown therapy -peer education

- famulus nursing

-giornate di sensibilizzazione e prevenzione -conferenze su temi inerenti donazione degli organi,midollo osseo

-Calcutta Village project -Wolisso project

-world AIDS day -giornata internazionale per la donna

A questi 4 comitati permanenti si affiancano i 2 comitati:

SCOPE Professional Exchange

Promuove l’internazionalità e la collaborazione tra studenti attraverso l’espletamento di un tirocinio che si inserisce in un sistema sanitario diverso da quello italiano. A livello locale i Professional Exchange sono gestiti dai LEO (Local Exchange Officer).

SCORE Research Exchange

Area che permette agli studenti di recarsi presso una Università straniera e frequentare un dipartimento che conduce un dato progetto di ricerca. A livello locale i Research Exchange sono gestiti dai LORE (Local Officer on Research Exchange).

COS'È IL SISM

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LETTERA DELLA REDAZIONE Una delle battute che trovo più finemente ed universalmente umoristiche e che non invecchia mai, strappandomi un sorriso ogni volta che viene detta/scritta (da Bill Hicks in giù) nella sue variazioni è: cosa dicono gli atei durante il sesso? "Oh, metodo scientifico, metodo scientifico!", "Mmmh, matematica, sì..."

Uno degli stereotipi che invece mi fanno venire una quantità di latte alle ginocchia tale che potrei spremerle come se fossero munifiche mammelle di mucca è quello secondo cui essere atei/agnostici avrebbe una seria controindicazione: non poter pregare alcuna divinità nelle situazioni di difficoltà. Tu vivi la tua vita umanista, ebbro di gioia ed esente da pellegrinaggi che non siano artistici, però poi TAC! Arriva l'imprevisto, il momento difficile che ti mette spalle al muro ed ecco che allora la mancanza di un'entità superiore a cui appellarsi ti cotringe a poter contare solo sulle tue misere forze umane, rendendo inevitabile il senso di disperazione titanica. Ebbene, penso che immaginarsi il laico medio come una zattera alla deriva tra i flutti della vita sia riduttivo tanto quanto figurarsi il religioso medio che consulta i testi sacri prima di prendere ogni decisione.

Anche perchè, dopo numerosi dialoghi sul tema, questo sono riuscito a ca(r)pire: anche i non-religiosi sperano in qualcosa (speranza s. f. - Sentimento di aspettazione fiduciosa nella realizzazione, presente o futura, di quanto si desidera). Taluni pregano, perfino. Ma a chi o cosa si rivolgono, chiederà qualcuno? Alle forze fisiche? Ai telomeri? Su questo ritorniamo dopo. Intanto, le speranze. Credo faccia parte della natura umana guardare al domani o al dopodomani con delle aspettative più o meno recondite nel nostro Io. Per molto tempo io stesso ho creduto di essere in grado di tuffarmi da un giorno all'altro vivendo semplicemente alla giornata, pronto ad accettare tutto quel che di bello o brutto mi sarebbe capitato senza attendermi nulla. Mentivo clamorosamente a me stesso. Infatti mi sono accorto che ci sono speranze che, consciamente o no, tengo davanti a me ogni singolo giorno come se fossero la carota più appetitosa per la laboriosa asina che è la mia vita; ne elenco alcune:

- Poter ripagare i miei genitori per tutto quello che hanno fatto per me quando saranno loro ad aver bisogno del mio aiuto ed essere capace di prenderli come modello quando e se mi troverò lanciato nell'iperspazio della condizione genitoriale;- Essere in grado di vivere seminando più crediti che debiti (soprattutto umani, oltre che economici) e far sì che la mia natura scordarella non si estremizzi al punto da farmi dimenticare di dimostrare affetto e gratitudine a chi li merita;- NON MORIRE NEL SONNO. Ok, ogni volta che nel post-funerale o in altra nicchia spaziotemporale si soppesa in gruppo come vorremmo che fosse il nostro estremo momento, l'affermazione che va per la maggiore è proprio quella di morire senza sentire nulla. Addormentarsi e non svegliarsi più. Per me spero davvero che l'organismo e le malattie che avrò mi consentiranno di morire potendo avvertire coscientemente la fine della mia esistenza. Capita una volta sola, ecco, e non vorrei proprio perdermela.

Ognuno ha le proprie, perle racchiuse nelle ostriche dei nostri codici di vita che sono sempre pronte a riflettere ed indirizzare il più piccolo spiraglio di luce perfino nei momenti più bui. Che la loro origine sia sacra o profana non inficia nemmeno un po' la loro lucentezza.

P.S. - Sì, ma alla fine, a chi sono rivolte le preghiere dei laici? La maggior parte di quelli a cui l'ho chiesto (incluso me stesso) mi ha risposto: "Alle persone". Sembra una scommessa persa in partenza, eh? Non è detto...

Roberto Perissinotto

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B a ch e c a

"A mente libera": due imperdibili appuntamenti per conoscere la salute mentale andando oltre i pregiudizi. Il 16 aprile alle 18,30 vi invitiamo in aula magna di pediatria per un incontro con figure d'eccellenza nella riabilitazione psichiatrica con metodi non

convenzionali e di valorizzazione delle risorse personali. Il percorso si concluderà con la replica del concerto "Psicantria-Psicopatologia cantata", il 21 aprile alle 21.00 al bar Wolf, con Gaspare Palmieri e Cesare Grassilli, cantautori e psicoterapeuta, l'uno, e psichiatra,

l'altro.

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S IS M i c a

DonarSI: conferenza sulla donazione di sangue, midollo osseo e organi. Un'occasione unica in cui ricevere informazioni dal personale medico specializzato di AVIS, ADMO, AIDO,

CRT (Centro Riferimento Trapianti Regione Emilia-Romagna), ascoltare le testimonianze di donatori e riceventi e trasformare la forza del dono in un atto pratico, iscrivendosi per

diventare donatore di sangue, midollo osseo e dichiarando la propria volontà di donare gli organi. Un evento di sensibilizzazione unico, aperto a tutti, un incontro con tante figure

impegnate nella causa della donazione, l'occasione da non farsi sfuggire per diventare importanti per qualcuno...Portate tutti i vostri amici!!!

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La nostra dieta è il frutto dell’evoluzione o della nostra cultura? A quale cibo siamo veramente adatti? La dieta vegetariana può essere una valida alternativa al “mangiare un po’

di tutto”? Quanto e come la dieta può influenzare la nostra salute? Con l’aiuto di vari esperti proveremo ad affrontare sotto differenti prospettive il tema dell’alimentazione: da come si nutrivano i nostri antenati fino a capire quanto la dieta

moderna sia adatta al nostro corpo e la nostra salute. Un particolare approfondimento sarà dedicato alla dieta vegetariana e vegana.

Auletta ginecologia, pad.4. Sabato 18 aprile ore 9-16. Costo 10 euro, pranzo vegano offerto! Ricordati di iscrivervi per partecipare! Non ci saranno verità assolute ma la curiosità di

mettere in discussione tutte le nostre certezze. Accorrette numerosi & stay curious!

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DONARSI: UNA SFIDA DA ACCETTARE

diS.G.

sostanzialmente due: quella di non essere adatta alla donazione e la mia naturale avversione per gli aghi e i prelievi venosi, non ancora vinta dallo studio di medicina e dalla frequentazione dell’ospedale. Soprattutto, avevo paura di sentirmi male durante o dopo la donazione, o perché temevo che il mio corpo potesse essere troppo debole per reagire al prelievo oppure perché qualche cosa nella procedura mi aveva impressionato. “Ma chi te l’ha fatto fare, allora?” sarebbe lecito domandare. È stata una profonda convinzione a darmi la forza di affrontare queste paure, sulle quali, poi, ho avuto modo di ricredermi nel profondo: la convinzione che donare il sangue, “donarsi”, sia qualcosa di troppo importante per chi soffre e ne ha bisogno per poterci tirare indietro, anche se l’ago ci fa paura. Come studentessa di medicina, ma anche come semplice membro della comunità umana, ho capito l’importanza di decidere finalmente di affrontare le mie stupide paure e compiere questo gesto semplicissimo, ma essenziale per chi lo riceve. A voi che leggete, voglio suggerire di non tirarvi indietro, di non avere paura o credere che

Sabato 7 febbraio ho donato il sangue per la prima volta, presso il centro trasfusionale dell’ospedale vicino al paese in cui abito. Vorrei raccontare la mia esperienza e le emozioni uniche che mi ha suscitato per invitarvi a compiere questo gesto semplice, ma molto importante per chi lo riceve.Per diventare donatori è sufficiente iscriversi ad un’associazione di volontari come AVIS o FIDAS-ADVS: l’associazione ha un ruolo di coordinazione e, dopo che vi sarete iscritti, vi indirizza alla visita dal medico di famiglia e al check-up composto solitamente da prelievo ematico ed ECG, che vi vengono fatti in ospedale.Se risultate idonei alla donazione, vi viene comunicata la data in cui dovete presentarvi al centro trasfusionale, a digiuno dalla sera precedente. Semplice. Bello, anche perché garantisce esami ematici e controlli annuali a costo zero e, non di minore importanza, la colazione gratuita dopo ogni donazione. Ma per molti, tra il dire e il fare…c’è di mezzo il mare. Un mare di preoccupazioni o timori, come quelli che avevo io prima di donare. Le mie paure erano

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non conti nulla. Il dono più grande sarete voi a riceverlo. Per me è stato la consapevolezza di aver fatto un gesto veramente gratuito, fatto senza egoismo, interesse o piacere personale. Inoltre, uscita da quella stanza, mi sono sentita forte, ho capito che sottovalutavo le mie forze, fisiche e psicologiche, e aver superato questa prova (che in realtà non è per nulla spaventosa come mi aspettavo!) me lo aveva dimostrato.Il “dono” è per definizione ciò che si dà altrui volontariamente, senza esigerne prezzo o ricompensa, o restituzione. In realtà, “donandosi” si riceve una ricompensa immensa, quella dell’emozione, della felicità, come quella che si può provare diventando donatori di sangue. Dunque, che aspettate?

DonarSI: il SISM impegnato per la donazione di sangue, tessuti e organi.

Da diversi anni ormai il SISM di Bologna è impegnato nella sensibilizzazione in tema di donazione. Ogni anno, nel periodo di aprile-maggio, viene proposto l’evento dal titolo “DonarSI”, in collaborazione con ADMO, AIDO e AVIS Emilia Romagna. Si tratta di una conferenza, aperta a tutti, che ha lo scopo di approfondire la tematica arricchendosi dell’esperienza e della conoscenza di specialisti del settore, delle testimonianze di chi ha effettuato o ricevuto una donazione che gli ha cambiato la vita e infine dell’opportunità di diventare, in quell’occasione, un donatore. I volontari del SISM, infatti, distribuiscono, in quella stessa serata, i moduli da compilare per aderire ad AIDO, dichiarando così la propria volontà di donare gli organi in caso di decesso, e raccolgono le liste degli intenzionati a donare il sangue presso l’associazione FIDAS-ADVS dell’ospedale S. Orsola di Bologna. Nella stessa sera, oppure in una delle successive si procede, infine, al colloquio con i medici di ADMO e alla raccolta dei campioni salivari per la tipizzazione HLA, passi necessari per diventare un potenziale donatore di midollo osseo. Nel 2014, grazie a questo evento, in una sola serata sono stati registrati 130 nuovi donatori di midollo osseo!Se sei interessato al progetto e/o ad aiutarci nell’organizzazione, scrivi a [email protected] e seguici nei gruppi facebook “SISM Bologna” e “SISM SCOPH Bologna”.

Hai domande sulla donazione di sangue? Puoi trovare risposta in numerosissimi siti dedicati a questo argomento. Tra questi: www.avis.it www.donatorisangue.org www.fidas-advs-bologna.org

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GLITCHcraftdi

Roberto Perissinotto

Svegliarvi di mattina con ferite sul corpo che la sera prima non c’erano. Fare amicizia con un simpatico anziano sul treno e leggere poi sul giornale che quell’uomo risulta scomparso da tre settimane. Trovare in terra un portafogli

smarrito e scoprire che dentro ci sono foto di voi da piccoli. Sono errori nella matrice, glitches in the matrix.Avete visto il film “Matrix” e pensato che anche noi potremmo essere nient’altro che ignari soggetti immersi in una realtà virtuale, i cui errori di sistema si traducono in discrasie apparentemente ingiustificabili o nei nostri dejà vu? Come se fossimo avatar di una partita a The Sims manovrata da chissà quale giocatore…e se veramente potessimo

rispondere con certezza a Marzullo che la vita è solo un sogno? Dice Battiato in “Beta”: “Dentro di me vivono la mia identica vita dei microrganismi che non sanno di appartenere al mio corpo…io a quale corpo appartengo?”.

Speculazioni affascinanti, ma astratte. Proviamo allora a ricondurre il ragionamento su un piano più vicino alla nostra vita, alla polverosa terra su cui camminiamo noi formichine antropomorfe.

Consideriamo l’insieme delle iconografie che ci vengono proposte dai media per tramite di musica, film, libri, moda. Quasi istintivamente ognuno di noi riconosce quali di quei modelli si avvicinano di più (o collimano di più) con il modo in cui concepisce se stesso come individuo o parte di un gruppo; li sceglie, vi si riconosce e non di rado

si plasma su di essi. Potrebbero allora quelle icone culturalmente riconosciute e filtrate essere le nostre matrici in senso tipografico, ovvero forme negative che vengono riempite dalle nostre paure, aspirazioni e credenze per poi

attribuire loro la propria forma? Io dico di sì.

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Ed è bello, al termine di questa pappina sovrastrutturale, sapere che anche in questo caso c’è chi si premura di inserire qualche glitch nella matrice. Sto parlando dei glitch artists.

La Glitch art, secondo Wikipedia, è (traduco alla buona) “l’esteticizzazione di errori analogici o digitali, come artefatti o altri “bug”, tramite la corruzione di codici/dati digitali o la manipolazione di dispositivi elettronici”.

L’errore casuale prodotto da un malfunzionamento viene in questo caso volutamente ricercato, ricreato ed elevato a strumento interpretativo di altri ambiti iconografici. Normalmente condannato come dispendiosa ed irritante deviazione dal “giusto”, l’errore riesce qui ad arricchire la normalità finanche a sopravanzarla e a poterne fare a

meno splendendo di luce propria.

E’ stato creato un gruppo su facebook chiamato “Glitch Artists Collective” che cerca di riunire tutti coloro che si dedicano a questa pratica, per condividere i frutti del proprio operato, scambiarsi opinioni ed influenzarsi ed implementare a vicenda le proprie tecniche. Il gruppo è ormai diventato una attivissima comunità con più di ventimila membri ed è al contempo una delle entrate più accessibili per i neofiti che volessero esplorare le ampissime possibilità di questo ambito espressivo. Ecco, io ero il neofita più neo- che si potesse immaginare

quando, su consiglio di Mauro -un amico sardo che tra l’altro mi ha anche fatto conoscere Munchkin (motivo per cui mi fido dei suoi consigli)- , sono entrato a mia volta nel gruppo per provare a scandagliarlo. Ad accogliermi è stata una profusione di opere dalle mille suggestioni, tra cui ho selezionato le immagini che trovate a corredo di

questo articolo (non ho scelto le più spettacolari, ma quelle che ci perdono meno nella compressione e nel viraggio al bianco&nero; per poterle apprezzare a pieno vi rimando agli originali nel succitato gruppo).

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Lì ho visto immagini famosissime (e quasi ingabbiate nella loro celebrità) essere trasportate in mondi espressivi del tutto nuovi grazie alla manipolazione dei pixel; foto insignificanti rese magnificenti; esperimenti visuali intriganti. Lì ho anche visto l’immagine che in questo numero trovate in copertina: è opera del messicano Victor Parra (parte

del gruppo di arti visuali Colectivo THC), a cui ho chiesto di poterla usare e a cui ho detto di esserne rimasto folgorato. E’ un glitch operato sul dipinto “Lezione di anatomia del dottor Willem van der Meer” del pittore del Secolo d’Oro Michiel van Mierevelt: la sapiente applicazione di un semplice effetto trasforma un momento di

trasmissione del sapere nella raffigurazione di una lobby di fantasmagorici blob umani che sembrano essere appena stati interrotti durante una macabra cerimonia.

Se insomma la cosa vi titilla, è consigliatissimo che voi ci diate un occhio. O anche un orecchio, visto che prima ancora che il glitch si imponesse come arte visuale era già stato ampiamente adottato dalla musica elettronica.

Ho già parlato in queste pagine del gruppo tedesco Oval, che macchiava di vernice ed incideva con lame i nastri su cui poi sarebbe stata registrata la musica per ottenere errori sonori da incorporare nell’opera finale. E’ solo un

possibile punto di inizio di tutta una corrente di manipolatori digitali folgorati dalla bellezza dello sbaglio, da non considerare più come un inciampo nell’esecuzione ma come il fondamento della stessa. E allora, se volete sentire

come suona un errore, recuperatevi il paradiso distorto di 94 Diskont degli Oval; Endless Summer di Fennesz, ovvero la dissonanza che diventa melodia; A Chance To Cut Is A Chance To Cure dei folli Matmos, realizzato

campionando rumori di interventi chirurgici ed utilizzandoli come basi ritmiche. Se poi tutto questo vi ha appassionato e volete approfondire anche le basi teoriche dell’ideologia glitch (il rumore di fondo come costante

dell'esistenza moderna, l’errore come occasione e altre belle cosette del genere) ci sono vari testi che possono soddisfare il vostro appetito; personalmente vi consiglio The Glitch Moment(um) di Rosa Menkman, perché è ben

scritto e perché lo potete leggere gratuitamente sul sito dell’Institute Of Network Cultures.Oppure, molto più semplicemente, fate qualcosa di folle che normalmente non fareste mai e create il più bel glitch

possibile nel panorama della vostra vita.

A pagina 9, un glitch ad opera di Disro DC.A pagina 10, una rielaborazione della celebre foto di Sharbat Gula ad opera di Anton.

Qui sopra, un glitch ad opera di Mauro Caldas partendo da una illustrazione di Igor Morski.

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UN (AS)SAGGIO DI FITOTERAPIA

“L’arte di guarire proviene dalla natura, non dal medico. Quindi, costui deve partire dalla natura, con la mente aperta. [Paracelso, 1493-1541]”

diArianna Pesaresi

Che cos’è la fitoterapia? Si tratta di una “cura con le piante” considerabile come base della tradizione erboristica e farmaceutica attuale. In anni recenti sta diventando uno dei trattamenti in crescita più rapida nel mondo occidentale, e da poco l’OMS ha stimato che almeno l'80% della popolazione mondiale trova nelle piante la principale, se non esclusiva, fonte terapeutica. Tuttavia è diffusa l'idea che in erboristeria si trovino solo cose naturali, che anche se non guariscono non fanno neppure male... ma quanto ci si può fidare di questa “medicina alternativa”?

Una terapia millenariaL’uso delle erbe e di estratti vegetali per curare e prevenire un’ampia gamma di malattie risale a tempi antichissimi. Tuttavia con l’avvento dei primi farmaci di sintesi la fitoterapia è stata accantonata; solo negli ultimi decenni è stata riscoperta, sia come medicina integrativa da affiancare a quella ufficiale, sia come rimedio più blando, nella prevenzione o nella cura delle lievi patologie. È infatti noto che le sostanze farmacologicamente attive di origine vegetale, una volta dimostratane l’efficacia, sono entrate a far parte dell’arsenale terapeutico. Un classico esempio è la scoperta della salicina, che trasformata in acido acetilsalicilico forma la comune aspirina - una preparazione che all’inizio aveva quasi del miracoloso, lodata anche da Kafka per lenire l’insopportabile dolore di esistere! Fu uno dei primi approcci dalla pianta alla pastiglia. Altri rimedi di origine naturale sono il chinino, antimalarico ottenuto dalla corteccia di cincona, o farmaci come la vincristina e la vinblastina, usati in chemioterapia e derivati da una specie di pervinca. Nonostante questi e altri numerosi esempi dimostrino come varie erbe siano state approvate da tempo nella medicina ufficiale, la fitoterapia di per sé viene ancora considerata non all’altezza di tale

definizione.

Cura bizzarra?La politica sanitaria del nostro paese affianca alla fitoterapia il termine di “medicina non convenzionale” - espressione che raggruppa una serie di terapie, anche molto diverse tra loro, non ancora inserite nel piano di studi e insegnamenti universitari. L'impiego terapeutico delle piante officinali però esiste, è comprovato e si distingue dall’approccio della medicina “classica” per l’utilizzo di estratti e prodotti derivati dalle piante medicinali, che contengono più principi attivi insieme. Spesso tuttavia la loro posologia non è precisabile, e ciò può dare luogo a fenomeni anche assai pericolosi di sovradosaggio e intossicazione; occorre quindi maneggiare i prodotti fitoterapici con molta cautela. Ma allora perché questi preparati sono prescritti dal medico fitoterapeuta come farmaci a tutti gli effetti? Sono stati condotti molti studi e trial clinici sulla fitoterapia, sia di efficacia che di sicurezza; attualmente secondo il Ministero della Salute “I medicinali fitoterapici sono tutti quei medicinali il cui principio attivo è una sostanza vegetale. Questi medicinali sono stati ufficialmente approvati dall’AIFA, che ne ha verificato la loro qualità, efficacia e sicurezza, e sono venduti esclusivamente nelle farmacie, alcuni dietro presentazione di ricetta medica ed altri come medicinali senza obbligo di prescrizione o medicinali da banco”. (www.sifit.org)

Tanti metodi, un po’ di confusioneNon è fitoterapia l’utilizzo a scopo terapeutico di prodotti destinati ad un utilizzo diverso come l’integrazione alimentare e come tali privi di standardizzazione del processo di produzione; non è fitoterapia il rimedio della nonna e l’andar per erbe per prepararsi le medicine in casa; non è fitoterapia

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andare in farmacia o in erboristeria pensando che “se è naturale non può far male”.Un errore molto comune è confondere la fitoterapia con l’omeopatia. Talvolta il confine può apparire labile ai meno informati, ma l'efficacia e il tipo di effetto sono ben diversi! La moderna fitoterapia si basa sul concetto dell'attività terapeutica globale della pianta o di “fitocomplesso”, cercando di preservare nel fitopreparato il delicato equilibrio interno alla pianta. Vengono utilizzate piante medicinali preparate mediante adeguate tecnologie estrattive, per arrivare a forme farmaceutiche purificate e standardizzate nei loro costituenti chimici. Secondo l’omeopatia invece “il simile cura il simile”: assumendo una sostanza che scatena un certo effetto è possibile combattere stati patologici analoghi. Per ridurre però gli effetti negativi dell’assunzione della sostanza occorre diluire il preparato - in tal modo si otterrebbe un potenziamento degli effetti terapeutici e una scomparsa di quelli nocivi.Appare evidente che le due pratiche hanno poco o nulla in comune. Se la fitoterapia si basa sul principio della concentrazione, l’omeopatia utilizza un sistema basato sulla diluizione. Inoltre la fitoterapia presenta una grande mole di letteratura scientifica in cui si sono analizzate le diverse sostanze presenti nelle piante, osservandone gli effetti in vitro e in vivo, mentre ad oggi l’omeopatia non ha ancora avuto una dimostrazione scientifica di veridicità.

Un approccio “olistico”A differenza dei singoli principi attivi chimici, usati per reprimere un sintomo, una pianta medicinale è adeguata ad affrontare un approccio terapeutico più sensibile, più globale: un approccio olistico. Lo studio della fitoterapia è quindi sistematico, ma anche strutturale, sintomatico e scientifico. Esistono in realtà alcune sottili differenze tra una fitoterapia puramente scientifica e una “alternativa”. La prima è figlia dell’approccio scientifico: richiede ed impone una verifica rigorosa delle conoscenze affidateci dalla tradizione, e vede la pianta come l’inizio dell’isolamento del componente essenziale, o per potenziarlo e modificarlo, o per creare un farmaco emisintetico. La fitoterapia alternativa invece attribuisce importanza all’uso della pianta intera, o di una parte di essa, perché secondo gli erboristi essa è un contenitore di sostanze chimiche che produce un effetto maggiore della somma delle sue parti. In breve, gli erboristi credono che Madre Natura ne sappia di più dei vari artifizi umani e che l’intera pianta fornisca la medicina ideale. Va tuttavia sottolineato che circa il 70% delle piante impiegate nella fitoterapia alternativa ha rivelato, quando studiate ricorrendo ai metodi di indagine moderni, il possesso di proprietà farmacologiche che

ne rendono l’impiego non improprio per determinate indicazioni terapeutiche.

Quale medico per quale medicina?Occorre ovviamente la presenza di una figura sanitaria adeguata per la manipolazione dei medicinali fitoterapici. Il fitoterapeuta deve possedere adeguate competenze nel campo della biologia, della chimica, della medicina e della farmacologia, oltre che un’approfondita conoscenza delle piante officinali, delle droghe vegetali e dei principi farmacologicamente attivi presenti in esse. Sarà quindi un laureato in Medicina, Farmacia, Scienze Biologiche o Chimica e Tecnologie Farmaceutiche a poter ricoprire questo ruolo, che abbia seguito un corso di specializzazione o un master di II livello in Fitoterapia al termine degli studi universitari.

E per quanto riguarda la prescrizione? Nel nostro paese per molti anni la maggior parte delle fitomedicine sono state prodotte e commercializzate sotto forma di integratori alimentari, e questo ha contribuito a creare molta confusione e a massimizzare i possibili rischi derivanti dall’uso improprio di esse. Solo nel 2009 si è arrivati a precisare la differenza tra integratori alimentari, prodotti destinati ad una alimentazione speciale e alimenti addizionati con vitamine e minerali. Sono state presentate in Parlamento diverse proposte per regolamentare la fitoterapia, ma ancora nessuna di esse è divenuta legge.

La situazione normativa riguardante la fitoterapia e le sue applicazioni quindi non è completa, in Italia come in altre nazioni. Punti di riferimento per il fitoterapeuta possono essere: l’ AIFF (Associazione Italiana Fitoterapia e Fitofarmacologia); la SIFIT (Società italiana di fitoterapia) o l’ANMFIT (Associazione nazionale medici fitoterapeuti).

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L'angolo del"J'accuse!"

nota del caporedattore:

In questa sezione raccogliamo questo mese due articoli di fustigazione dei costumi, uno in ambito medico-universitario, l'altro verso la società. Potreste trovarvi d'accordo oppure no (io stesso non condivido tutto ciò

che vi è scritto), in ogni caso gli spunti di riflessione non mancano. Perciò...buona lettura.

Medicina sì. Medicina no.di

Giovanni Cappella

Il problema della facoltà di medicina è l'alone di ammirazione che la circonda. Adesso più che mai dopo l'introduzione degli Hunger Games ... pardon del test di ammissione.Insomma è troppo sopravvaluta. No. Vi giuro non è falsa modestia questa.“Bravo! Auguri! Complimenti! Che Dio ti benedica! Che specialistica vuoi fare?" (che poi faglielo capire a zii e zie che si dice scuola di specializzazione). Tutte cose che, sul momento, non fanno altro che pompare qualsiasi ego. Poi se si è anche minimamente avidi di complimenti e bisognosi di approvazione altrui, apriti cielo!

Momenti di profondo disagio e imbarazzo ogni volta che si esprime qualche dubbio riguardo la scelta fatta con qualcuno “non del campo”. Dire di non sentirsi capiti sarebbe un eufemismo. L'approvazione quasi d'incanto scompare per lasciare il posto a sguardi allibiti e accusatori, come se mettere in dubbio la scelta di studiare medicina fosse assolutamente fuori questione e implichi automaticamente una sconfitta.

Perché, diciamocelo, quanti di noi si sono fatti influenzare, seppur inconsciamente, da Grey's Anatomy, da Doctor House o da Scrubs? Queste serie TV incriminate non fanno altro che creare false

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aspettative sulla vita in reparto, un po' come i film Disney creano false aspettative sull'amore e i porno sul sesso.Ci siamo mai veramente soffermati a riflettere sui

nostri sogni, o, in preda a quest'ebbrezza, ci siamo lasciati trasportare verso un futuro che magari non ci appartiene realmente? Citando il dottor Cox, unico e insuperabile maestro di cinismo: “Credo di essere diventato medico perché fin da piccolo volevo aiutare gli altri. Non racconto spesso questa storia, ma mi ricordo che, quando avevo sette anni, un giorno trovai un passerotto appena caduto dal suo nido; così lo raccolsi e lo portai a casa mia, gli feci una casetta con una scatola per scarpe e… ahahah (sospira) oh mio Dio! Sono diventato medico per le stesse quattro ragioni di tutti: donne, soldi, potere e donne”.

“Ma io ho scelto medicina perché il mio sogno è aiutare le persone” risponderanno molti benpensanti.

I meno ipocriti (perché tutti noi, in fondo, lo siamo) ammetteranno di trovarsi almeno in parte d'accordo con Perry Cox.Ma allora chi ha ragione?

Per venire fuori da questo annoso dualismo: dottore con la vocazione - dottore mangiasoldi (ovvero tra uno stupido ideale romantico e tra l'apogeo del cinismo) bisognerebbe vedere la figura del medico come un “mestiere” e non come una missione (torno a puntare il dito contro tutte le serie TV a sfondo medico). Inoltre, portando il medico dal livello mistico-religioso al livello professionale, si eviterebbe anche il burn out, rischio sempre dietro l’angolo in una professione del genere. In conclusione, degli studenti di medicina si potrebbe benissimo dire che non riescono a immaginarsi a fare nessun altra professione.

Sulla decadenza dei valori della civiltà occidentale(ovvero perchè essere invece di apparire)

diEl Francotirador

Questo articolo sarà cinico. Questo articolo sarà odiato. Questo articolo verrà strappato e bruciato nell’oblio della civiltà odierna, sempre se tale si può definirla. Questo articolo sarà volutamente critico e pungente, anche in maniera esagerata. Questo articolo parlerà di oggi, di ieri e di domani, di donne e uomini, ma anche di nulla, per chi non vuol sentire. In questo momento siamo spettatori di un cambiamento epocale, come coloro che per la prima volta lavorarono nelle fabbriche durante la rivoluzione industriale. Ebbene, noi viviamo un cambiamento di portata così grande e probabilmente i nostri pronipoti studieranno sui libri di scuola la rivoluzione informatica, insieme alle simpatiche avventure di Berlusconi, Renzi e Pikachu. Ma veniamo al dunque: cosa

contraddistingue il periodo che stiamo vivendo? Senza grossi sofismi, pippe mentali sulla nascita dell’uovo o della gallina o ardite speculazioni sociologiche, i nostri anni sono contraddistinti da un marcato individualismo, egocentrismo ed egoismo. L’ EGO, colonna dorsale della nostra singolarità, ha preso il sopravvento su tutto ciò che fino a poco tempo fa era considerato importante nella vita di ognuno di noi, impadronendosi di una miriade di valori che presumono la presenza di qualcun altro: lealtà, sincerità, generosità e chi più ne ha più ne metta. Nel nostro tempo tutto è volto all' autocompiacimento, ogni azione è diretta ad una forma di autocelebrazione che prescinde dal resto del mondo, finanche, nelle forme più estreme, alla messa in atto di una

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perversa commedia in cui l’IO è protagonista, personaggio secondario e comparsa. Insomma una tragedia, ma non di quelle greche. Siamo un grosso calderone fatto di gente competitiva all’ennesima potenza, la più fedele manifestazione del “mors tua, vita mea”, l’apoteosi dell’opera Pirandelliana. Siamo maschere, e qualcuno ne ha anche più di una, ma al contrario del passato siamo facilmente smascherabili. Einstein diceva: “Se vuoi comprendere una persona non ascoltare le sue parole, osserva il suo comportamento”. E i social network sono la chiave. Basta osservare con un occhio vigile il profilo di una persona per conoscerla, per interpretare quei goffi tentativi di rimanere fedele all’immagine che si è costruito e che nella maggior parte dei casi non è la controparte reale del proprio essere. Al giorno d’oggi la parola d’ordine è apparire, e non importa a che costo. Siamo una massa di bambini capricciosi che, per rimanere al centro dell’attenzione, mirano a farla ogni volta più grossa. Siamo arrivati a scattare delle foto in ogni momento della nostra giornata, foto in palestra, foto al mare, foto al nuovo paio di scarpe, foto di fronte allo specchio del bagno e perfino foto dei piatti che mangiamo. Si perde il senso della “foto ricordo” o della “foto artistica”, si perde il significato stesso della fotografia. La fotografia è un arte figurativa, la fotografia è l’unico modo di fermare lo spazio e il tempo in un immagine, di rendere immortale un momento. Chiedetevi se mettereste sul comodino una foto di un piatto di pasta, o la vostra foto con un bidet e un cesso, in alcuni casi anche due. Queste sono le meraviglie dell’ essere “Social”. Che poi, parlandoci chiaro, tutto questo è social? Le chat, i tweet, i gruppi di whatsapp, le pagine facebook? Tutto questo non è social. È uno sterile contatto elettronico, è un freddo flusso di informazioni che spesso rovina il senso della socialità. Una stretta di mano è social, un abbraccio, un sorriso, una birra e un bicchiere di vino in un chiassoso locale che odora di gente. Incontrarsi è social, parlare, discutere, litigare, tirarsi i piatti addosso e poi fare la pace. È social anche guardarsi negli occhi e stare in silenzio, è social una mappa sgualcita, una guida cartacea, è social chiedere informazioni e anche perdersi in posti sconosciuti. –Fra due_cento_cinquanta metri svoltare a destra- È social conoscersi, innamorarsi, baciarsi, dormire, svegliarsi e poi fare

l’amore, è social amarsi, odiarsi e perfino lasciarsi. -Sai cucciolotto, mamma e papà si sono conosciuti su un sito d’incontri- È social ubriacarsi insieme, cantare a squarciagola davanti ad un falò, mangiare senza avere un fondo alle cene fra amici. -#Cena da @Tizio #buonissimo #homangiatounsacco #midivertounmondo ma #iltempoperloscattoènecessario- È social una strombazzata di clacson, un urlo da scaricatore di porto per salutare qualcuno dall’altro lato della strada, una scampanellata al citofono e anche una lettera. No, per posta non arrivano solo le bollette o i volantini della Coop. –Din! Caio ti ha inviato un messaggio- Offrire un caffè è social, raccontare una storia, fare un regalo o anche cantare il sempreverde “Tanti auguri a te” irrimediabilmente stonato in ogni occasione. –Sempronio e altri 2457839 “amici” hanno scritto sul tuo diario per il tuo compleanno- Non voglio auspicare un ritorno al Medioevo, la tecnologia è qualcosa di stupefacente e necessario, rende più semplice la vita di ogni giorno, permette una più agevole comunicazione fra paesi ai capi opposti del mondo, il libero flusso della conoscenza, dell’arte, della scienza, ma sono convinto che prima, seppur più ignoranti, fossimo anche più aperti nei confronti dell’altro, che dentro di noi bruciasse alto il fuoco del calore umano. Sono convinto che la gente avesse meno il culto della propria persona e si sentisse parte di qualcosa di più grande, che avesse meno amici di Facebook e più amici reali. Sono convinto, e spero mi confutiate, che la gente fosse meno narcisista, che non seguisse la moda tanto da rivoluzionare il guardaroba ogni tre mesi, che si guardasse un po’ più dentro invece di disquisire sulla quantità di capi firmati che uno ha indosso. Ma la moda non sta solo nei capi di vestiario, sta anche nelle manifestazioni delle proprie idee. Un detto dice “tutti bravi col culo degli altri” (perdonate il francesismo). Non siamo morti perché qualche psicopatico ce l’aveva con noi per delle vignette contro la sua religione. La maggior parte di noi non sa neanche disegnare e credo che il 95% di noi non conoscesse neanche Charlie Hebdo prima del fattaccio di Parigi. Ma oggi fa figo appartenere alla massa, fa figo combattere per l’ideologia di turno, anche se contraria alla propria. Ci sono un sacco di NaziComuCattoModerati di destra e di sinistra, perché essere ambidestri fa curriculum. Ci sono lande desolate in cui i “Noi”

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abbandonati pascolano mangiando erba secca, ma la rigogliosa prateria dell’ “Io” cresce a vista d’occhio. Sai, “Io” ho fatto questo ieri, l’altra settimana “Io” sono andato a Quantosonofigolandia, ah, e poi “Io” faccio volontariato, “Io” sono una brava persona, “Io”, anche da ateo, dono il mio 8 per mille alla chiesa cattolica, e per par condicio il mio 5 per mille ad Emergency. “Io” lavoro tutto il giorno, “Io” ho un sacco di impegni, “Io” non ho neanche il tempo di respirare. Fermiamoci un attimo, rallentiamo, prendiamoci del tempo per noi stessi e del tempo per gli altri. Quando tirerete su gli occhi da questo articolo guardatevi intorno, scambiate una parola con il primo conoscente che trovate per strada, siate gentili con tutti, donate un

po’ di voi stessi ad un altro invece di perdere tempo a farvi delle foto e a metterle su internet. Esprimete sempre la vostra opinione, rimanete aperti ad altri modi di pensare, siate critici, non seguite il gregge. Fregatevene di ciò che appare, fregatevene della vostra immagine davanti agli occhi degli altri se non avete neanche il coraggio di guardarvi allo specchio. Siate sempre voi stessi, siate unici, irripetibili, e non abbiate una maschera per ogni situazione. Cercate di lasciare qualcosa di concreto a questo pianeta, perché, ad ora, la nostra eredità è una manciata di Byte che può sparire al primo blackout.

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t e r a p i a f r a t t a l e

Non solo studio meccanico.

Ora so perché non lascio mai a dispense e sbobine il mio studio, chapeau a tutti i “dispensatori” e sbobinatori ma la rivoluzionarietà di un libro, anche e direi soprattutto di medicina, sta proprio nella storia che accompagna ogni nozione e il carico di ipotesi che tra una maiuscola ed un punto pesa sulle spalle della proposizione. Oltre alla poesia (nel senso di ispirazione estetica) che un’affermazione scientifica può evocare, nella lettura dei libri di medicina spesso mi sono imbattuta in espedienti romantici che nella ricerca di una forma idonea alla descrizione del fenomeno si sono fatti tradire da una penna che, se anche non fosse libera ed arbitraria, non esulerebbe “dalla carne e dagli odori” di animo alquanto umano: “Tessuto mammario, areola e capezzolo si sviluppano da una gemma embrionaria che migra lungo la LINEA LATTEA la quale può essere tracciata circa dall’apice dell’ascella ai tubercoli pubici”. Questa descrizione è in grado di confondere il lettore se il brano che sta leggendo appartenga ad un manuale di medicina o ad un trattato di astronomia, causando molto spesso un’involontaria sostituzione di Linea Lattea con Via Lattea. Un sistema solare frattale che nello studio pre-esame permette di non alzare la testa dal libro tanto è rovesciato il cielo.

Non soffro di delirium tremens cosmico o di micro(astro)psia, ho la tendenza ricorrente di finalizzare ogni cosa e soprattutto interpretare in senso organicistico ogni fenomeno al fine di capire. Capire? “Per chi la osservi superficialmente la verità scientifica è immune da qualsiasi attacco del dubbio[…]” (La Scienza e l’ipotesi - Jules-Henri Poincaré). Sembrerebbe più un’affermazione relativista, che forse in medicina andrebbe mandata “al rogo” tanto è richiesta nell'ambito l’assoluta certezza. Ma non è questo che mi preme dire, vorrei piuttosto alleggerire con queste fantascientifiche osservazioni lo studio appesantito di manuali scomodi in corsia!

Un po’ nello stile dell’Oroscopo di Rob Brezsny mi piacerebbe ogni mese poter riportare alla vostra attenzione citazioni di libri di medicina che nella fretta di un tirocinio o nell’ansia di un esame potreste aver scordato di apprezzare! A questo punto non mi resta che augurarvi...buona colazione!

“L’immagazzinamento prolungato della bile aumenta la probabilità che si verifichi la nucleazione e ciò costituisce una buona ragione per non saltare la colazione e forse spiega perché la calcolosi colecistica sia relativamente frequente nell’uomo” (pag. 627 - Berne e Levy, 6 ed.)

diF.M.

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GIOCHI

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copertina - Victor Parragiochi - Chiara Crescentini

pagina a fumetti - Vincenzo Capriottiimpaginazione - Roberto Perissinottocaporedattore - Roberto Perissinotto

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Stampato con il contributo dell'Alma Mater Studiorum, Università di Bologna