Sismagazine ottobre 2015

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SISMAGAZINE ottobre 2015

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SISMAGAZINE

ottobre 2015

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L’IFMSA (International Federation of Medical students’ association) è la federazione nazionale delle associazioni di studenti di medicina a cui il SISM appartiene quale full member.A livello nazionale il SISM è composto da tre cariche elettive che per la sede locale corrispondono a:

INCARICATO LOCALEAMMININISTATORE LOCALE

SEGRETARIO LOCALE

Che regolano e promuovono le attività di 4 grandi aree tematiche

che sono date da:

SCOMECommissione stabile sulla pedagogia medica; corrisponde alla LOME locale

SCOPH Commissione stabile sulla salute pubblica; corrisponde alla LPO locale

SCORPCommissione stabile sui diritti umani e pace; corrisponde alla LORP locale

SCORA Commissione stabile su salute riproduttiva ed AIDS; corrisponde alla LORA locale

-clerkship italiane -ospedale dei pupazzi -clown therapy -corso prelievi -corso suture - famulus nursing

-giornate di sensibilizzazione e prevenzione -conferenze su temi inerenti donazione degli organi,midollo osseo

-Calcutta Village project -Wolisso project

-world AIDS day -giornata internazionale per la donna

A questi 4 comitati permanenti si affiancano i 2 comitati:

SCOPE Professional Exchange

Promuove l’internazionalità e la collaborazione tra studenti attraverso l’espletamento di un tirocinio che si inserisce in un sistema sanitario diverso da quello italiano. A livello locale i Professional Exchange sono gestiti dai LEO (Local Exchange Officer).

SCORE Research Exchange

Area che permette agli studenti di recarsi presso una Università straniera e frequentare un dipartimento che conduce un dato progetto di ricerca. A livello locale i Research Exchange sono gestiti dai LORE (Local Officer on Research Exchange).

COS'È IL SISM

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Lettera Della Redazione Mentre indosso l'armatura e le pesanti giunture di metallo gettano grani di dolore sulla mia pelle piagata, guardo fissamente la colonna di fumo che si alza dall'accampamento. Nelle danzanti particelle nere disperse dal vento rivedo i pezzi della nostra disgregata illusione.

Come abbiamo fatto a non accorgercene? Eppure le notizie dal fronte ci giungevano ogni giorno, allarmanti Cassandre di un futuro incombente. Noi eravamo troppo occupati a mantenere perfettamente lustrata la nostra immagine di Provincia ricca ed operosa, la perla del Regno ammirata da tutti! Nessuno, nemmeno i pessimisti di professione, avrebbe scommesso contro di noi. Eppure! Era proprio quella pioggia di adulazioni a tarparci le ali, nascondendo alle nostre orecchie i clangori delle forze nemiche che si ammassavano ai confini.

Le loro unità d'assalto penetravano le nostre linee periferiche come coltelli caldi nel burro. Non mi stupisco che l'avanzata sia stata così veloce, fulminea; il cuneo di invasori ha trovato di fronte a sé difese che avevano perso il nerbo necessario per resistere. Nelle sale delle grandi città continuavano i sollazzi.

Mentre tutt'attorno si insinuavano le crepe della disfatta, l'ingenuità ci abbandonava gradualmente lasciando il posto ad una realtà di cui rifiutavamo ogni consapevolezza. Potevamo forse chidere aiuto alle potenti forze imperiali, macchiando così la nostra immagine splendente e perfetta? No, mai. Turbinavamo piuttosto ancora più forte nei nostri balli mondani, la musica infuriava ancora di più sfiorando l'isteria; ci consumavamo nel piacere spogliandolo così da ogni sollievo, con il solo risultato di accumulare una stanchezza tale da non poter sorreggere i pensieri.

E arrivò il momento in cui l'Esercito del Procrastinamento arrivò a premere alle porte della capitale del Regno di Volontà.

Solo la distruzione del Tempio dell'Equilibrio ci risvegliò. La rovina di quell'edificio simbolico, ora bruciato fino alle fondamenta, fece dapprima impallidire il nostro incarnato di comunità. Poi lo fece tremare. Infine lo ravvivò. Riorganizzammo le nostre fila, ci armammo di mezzi e di coraggio e ricostituimmo la celebre Forza del nostro regno, da troppo tempo abbandonata ad eterne effimerità. La vicinanza del baratro ci diede slancio, come un ruggito ci riversammo sugli avversari e a costo di sanguinose perdite riuscimmo a disperderli. Un nostro manipolo catturò il loro comandante, tronfi e vittoriosi lo spogliammo dell'armatura: il suo corpo era fatto di specchi.

Il Tempio è ricostruito, meno alto ma più resistente di prima. E' tornato un ordine guardingo e ricoperto di cicatrici, che ancora saltuariamente subisce i fendenti di qualche gruppo ribelle isolato lanciato in battaglia nel tentativo di riaccendere il conflitto. Questi episodi si fanno più radi via via che i nuovi Editti riformativi entrano in vigore e cambiamo il nostro modo di vivere, ora che il nostro splendore è perduto. Il pericolo sembra percorrere ora una traiettoria che devia da noi, tuttavia...tuttavia, mentre il vento freddo spazza le ceneri sotto le quali si nasconde l'ultimo nucleo del fuoco, una fitta mi assale le viscere portando con sé la fatidica domanda: "Dove saremmo ora se invece di accontentarci di non perdere il conflitto ci fossimo spinti a vincere la Ragione ed il Progresso?"

Roberto Perissinotto

(Rubrica)-Articolo

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Quanto è appropriato il "decreto appropriatezza"?

diRoberto Perissinotto

Quante delle formule fisiche studiate ai tempi delle scuole superiori vi ricordate ancora oggi? Io pochine. Talvolta penso alla cesoia mnemonica che, lubrificata dall'inesercizio, ha escisso dal mio bagaglio culturale le Meccaniche e le Elettromagnetiche, senza rendere conto del non poco tempo speso a memorizzarle. Mi conforta però il fatto che alcune importanti leggi che governano il nostro mondo possano essere apprese senza troppa fatica semplicemente osservando i loro effetti. E' dall'esperienza quotidiana, infatti, che tutti noi abbiamo tratto la conoscenza di importanti formule, tra cui il Primo Principio della Telegiornalica. Per dovere di completezza, riporto la formula qua sotto:

Dove τ sta per la rilevanza di una notizia all'interno di un telegiornale, ρ indica l'importanza per l'opinione pubblica di quella determinata notizia e φ simboleggia la sua spendibilità mediatica. Applicando questa legge, tutti noi deduciamo che quando il Sistema Sanitario Nazionale si trova ad occupare i primi posti nei notiziari, i motivi possono principalmente tre: epidemie (alto valore di ρ), gravissimi casi di malasanità (alto valore di φ), tagli alla Sanità (valori alti per entrambe le variabili, ma dipendenti dal canale televisivodi riferimento). r

E’ proprio quest’ultima eventualità quella da tirare in ballo riguardo al polverone mediatico delle ultime settimane sul SSN: al centro di roventi polemiche è infatti finito il cosiddetto “Decreto Appropriatezza”, una misura che individua una serie di procedimenti diagnostici e ne limita la rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale. L’idea che è filtrata nell’opinione pubblica risulta essere più o meno questa:

Indovinate quale rappresentazione sbagliata

ha fatto il giro di tutti isocial network ? r

Esatto, proprio questa qua.

(Rubrica)-Articolo

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Dato che sulla base di questo concetto non aderente al vero si sono verificate imponenti levate di scudi da parte sia di medici che di pazienti, mi sembra utile fare un po' di ordine e chiarire i punti più importanti.

Da dove arriva questa norma di legge?

Il cosiddetto "decreto appropriatezza" costituisce l'articolo 9 quater della Legge 78 del 2015 sugli Enti Locali, che rientra nell'ottica della spending review: risparmiare denaro eliminando gli sprechi.C'è da dire che le critiche arrivano a giochi ormai fatti: il decreto è già stato convertito in legge durante la prima settimana di agosto, periodo in cui nell'opinione pubblica non si era certo sviluppato un grande dibattito a riguardo.

Cosa succede alle procedure mediche indicate nel decreto?

Il Ministero della Salute ha individuato, con il supporto di alcune commissioni scientifiche, 208 procedure diagnostiche e terapeutiche (l'elenco completo delle quali è facilmente reperibile su internet) giudicate non complianti nel rapporto costo/beneficio, ovvero casi in cui il costo non è giustificato da un beneficio sufficientemente evidente; tali procedure non sono state vietate nelle strutture pubbliche, bensì si è proceduto a eliminare la rimborsabilità delle stesse a carico del SSN o a limitarla ad alcune condizioni cliniche. A titolo di esempio valga il dosaggio ematico del colesterolo LDL: se risulta un valore normale e non sono presenti fattori di rischio, modifiche dello stile di vita o interventi terapeutici, l'esame potrà essere ripetuto a carico del SSN non prima di cinque anni. Ciò non vieta che il paziente possa sottoporsi all'analisi anche prima, ma in tal caso lo farà a proprie spese.Sgomberiamo quindi il campo dall'idea che la legge favorisca i centri privati, secondo la logica per cui il paziente sarà costretto a ricorrervi per ottenere servizi che nel compartimento pubblico gli sarebbero negati: come abbiamo visto, infatti, tali prestazioni potranno continuare ad essere erogate dalla struttura pubblica. Si avrà semplicemente che in un maggior numero di casi il paziente sarà chiamato ad un esborso economico (cosa che avverrebbe comunque nelle strutture private). Credo personalmente che la ragione per cui i pazienti si rivolgeranno ai centri privati continuerà ad essere quella che secondo le statistiche attuali li orienta maggiormente a tale scelta: i lunghi, spesso lunghissimi, tempi di attesa della Sanità pubblica (che secondo il Censis fanno desistere circa il 41% dei richiedenti).La mancanza di divieti squalifica anche un altro tormentone spesso ripreso dalla stampa generalista, ovvero quello secondo cui non si potranno più fare TAC e risonanze magnetiche: falso.

Oltre alle procedure clinico-diagnostiche, viene normata anche l'appropriatezza dei ricoveri: se un ricovero esula dall'indicazione di appropriatezza, allora il suo costo sarà rimborsato dal SSN solo per il 40%; se invece un ricovero appropriato viene prolungato oltre la soglia stabilita, il periodo "eccedente" sarà rimborsato dal SSN solo per il 50%.

Quali procedure sono coinvolte?

Delle 208 procedure finite sotto la lente del Ministero, 10 riguardano TAC e RM di arti e colonna vertebrale: la rimborsabilità continua ad essere garantita in caso di sospetto oncologico, in situazioni post-traumatiche acute o post-intervento. Nessuna limitazione di rimborsabilità viene invece posta nel caso di sospette lesioni craniche o endocraniche. Altre indicazioni mirano a stabilire le casistiche passibili di rimborso per la PET cerebrale, miocardica e globale. Gran parte del provvedimento riguarda le analisi di laboratorio, sia quelle dei fluidi corporei sia quelle genetiche (come le tipizzazioni, indagini costose ma certo non comuni e da eseguire una sola volta nella vita). Viene poi ridotta di molto la rimborsabilità delle indagini allergologiche, la cui efficacia già da anni

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viene messa in discussione da studi di Evidence Based Medicine. Le altre procedure riguardano poi le operazioni dentarie (comunque rimborsabili solo in pochi casi anche prima dell'approvazione della legge) e in parte anche la medicina riabilitativa.

Cosa cambia per il medico? Perché si parla di sanzioni?

Un buon numero di esami non potrà più essere prescritto dal medico di famiglia, bensì potrà essere eseguito solo su indicazione di uno specialista. Esempio principe: le indagini allergologiche. Questo è un punto decisivo per il paziente, perché al costo dell'eventuale esame non rimborsabile si aggiungerebbe quello del consulto specialistico.Tenendo conto di questo, è evidente però che in assenza di divieti non si riduce la gamma di esami tra cui scegliere per la prescrizione. Da ciò capite bene che si frantuma un altro falso messaggio passato dai media (e non solo):

NO.

E' importante che il medico prescrivente sia consapevole delle indicazioni di rimborsabilità e che prescriva a carico del SSN (con la ricetta rossa, per intenderci) solo nei casi previsti dalla norma; in tutti gli altri casi potrà comunque prescrivere ma dovrà premurarsi di avvisare il paziente che le spese saranno a suo carico. Nella legge si parla di sanzioni disciplinari solo nel caso in cui il medico prescriva a carico del SSN procedure che sono normate come non rimborsabili. In tal caso, dovrà giustificare la propria scelta di fronte ad un ente valutativo e solamente nel caso in cui riesca a difenderla gli verrà comminata una sanzione; in cosa consista è ancora questione controversa, ma secondo il disegno attuale mi par di capire che la somma verrebbe sottratta dallo stipendio.Quantomeno sgradevole lo scambio di staffilate a livello istituzionale sulla questione delle eventuali multe: il ministro Lorenzin ha detto di averle inserite solo perché le Regioni le avevano poste come condizione inderogabile, il governatore del Piemonte Chiamparino l'ha accusata di scorrettezza dicendo che sia regioni che Governo hanno pienamente condiviso il testo...

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Tiriamo le somme: com'è questa legge?

Finora mi sono limitato a fare considerazioni sul testo della legge che è stata approvata; nell'economia di una valutazione finale, però, difficilmente la mia scrittura può prescindere da considerazioni personali.

E' una legge fatta per risparmiare, questo è l'obiettivo dichiarato: secondo le stime ministeriali permetterebbe di racimolare 106 milioni di euro l'anno per la specialistica e 89 per la medicina riabilitativa. La versione ufficiale governativa è che questo denaro verrà poi reinvestito nuovamente per la Sanità in maniera produttiva. Su questo, ai posteri l'ardua sentenza.

Sulle limitazioni alla rimborsabilità, il fatto che non si cerchi di garantire a tutti i costi la prescrizione di tutti gli esami possibili ed immaginabili è a mio parere un aspetto positivo: un buon percorso diagnostico dovrebbe orientarsi alla selezione degli esami più adatti ed affidabili per il paziente in questione, non certo esitare in un'inondazione di prescrizioni. Da questo punto di vista, le indicazioni più ristrette per le procedure ritenute aventi rapporto costo/beneficio meno vantaggioso potrebbero permettere di orientare l'attività medica e i fondi disponibili sugli esami con una valutazione più favorevole. A tale proposito consiglio la lettura della lucidissima intervista rilasciata da Nino Cartabellotta (presidente della Fondazione GIMBE) a RaiNews. Cito direttamente da questa fonte: "...fare tutti gli esami a tutti i pazienti nella speranza di identificare tutte le malattie è una strategia perdente dal punto di vista clinico (lo stato di salute della popolazione peggiora), economico (si genera un immane spreco di risorse) e culturale (determina la progressiva medicalizzazione della società). Considerato che le evidenze scientifiche hanno dimostrato l’inefficacia dei check-up per ridurre malattie e mortalità, il medico che continua a praticare questa strategia diagnostica dimostra tutta la sua incapacità a prescrivere i test realmente appropriati in relazione a età, sesso e fattori di rischio, segni e sintomi. Altrimenti, che bisogno avremmo dei medici se per diagnosticare le malattie fosse sufficiente prescrivere “tutti gli esami” a “tutti i pazienti”?"

D'altro canto è palese che aumentare la fetta di pazienti che dovrà pagare di tasca propria questi esami significa mettere in difficoltà i malati più poveri: a questo si è cercato di rimediare prescrivendo alle Regioni di tenere in conto anche le fasce di reddito ISEE per gli esami più importanti, ma in generale si fa grande affidamento sulla perizia del medico affinché eviti che il paziente rinunci alle procedure mediche per via di prescrizioni superficiali di procedure non rimborsabili.Impossibile però non sottolineare la vaghezza e la confusione dal lato sanzionatorio. Oltre a non essere chiaro l'importo delle multe per prescrizioni inappropriate a carico del SSN, non è stabilito in alcun punto della legge quale ente avrà l'incarico di giudicare l'appropriatezza o meno delle prescrizioni fuori norma: la creazione di commissioni ad hoc potrebbe essere dispendiosa ed andare ad intaccare l'obiettivo primario di questa misura legislativa, ovvero la parsimonia.

E' chiaro che il medico degli anni a venire dovrà essere sempre più informato ed aggiornato, ma soprattutto in rapporto continuo con i propri pazienti per assumere decisioni il più possibile orientate. Per quanto riguarda il "decreto appropriatezza", insomma, nessuna rivoluzione copernicana; semmai una rappresentazione della direzione legislativa in tempi di ristrettezze economiche.

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diAle, in transito

STUDIAREE

BASTA

“Tu pensa a studiare e basta”, mi dicevano i miei genitori, quando ero al liceo.Beh, a dire il vero, non succedeva solo al liceo: diciamo che sono cresciuta con questo mantra.Questo e “Metti in ordine la tua camera!”, ma, insomma, concentriamoci sul primo.

“Tu pensa a studiare e basta”: breve, conciso, dritto al punto. Una frase che, nel mio caso, poteva essere soggetta a due diverse interpretazioni: la prima di tipo pratico, della serie “non perdere tempo”, probabilmente nata per distogliermi dalle fantasiose carriere lavorative che sognavo di fare quand'ero piccola (sono ancora convinta che sarei stata un'ottima ritrattista di cani e una soddisfatta spazzacamino), l'altra di tipo economico, avendo la fortuna di non essere mai stata costretta a cercarmi un lavoro per contribuire alle entrate famigliari, potevo avere il lusso di fare la studentessa a tempo pieno.

“Tu pensa a studiare e basta”: un invito, o meglio, un ordine che serviva a riportarmi alle mie responsabilità, alle aspettative dei miei genitori, a prospettive migliori per il futuro.Ma diciamolo: un po' limitante, un po' fine a se stesso, un po' noioso.

E infatti, ho sempre avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato in questo concetto di vita, ma non sono mai riuscita ad esprimerlo a parole. Almeno, non fino all'inizio del mese scorso.

È un mattino di settembre come tanti, per uno studente universitario: ti alzi dal tuo comodo letto, ti scoli un caffè, ti metti alla scrivania e fai una capatina su Facebook, prima di iniziare un altro giorno di studio, uguale a quelli precedenti, giorni volati via di cui ricorderai solo la fatica e l'ansia. Altro che carpe diem. Comunque, dicevo, sono lì che sbadiglio sonoramente mentre leggo gli stati di Gianni Morandi e cerco di ignorare gli aggiornamenti sulle favolose vacanze dei miei amici già laureati, quando ho un mezzo capogiro: mi trovo davanti la foto di un bambino, scattata in riva al mare.Lui è sdraiato sul bagnasciuga, la testolina verso le onde, i piedi verso la spiaggia.Porta una maglietta rossa e dei pantaloncini blu. Ha le braccia lungo i fianchi, a pancia in giù sulla sabbia.

Non voglio vederla, questa foto, non voglio.

Scorro immediatamente la pagina più giù.

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Mi fermo.Gli occhi sbarrati, mi si è mozzato il fiato: in parte per l'orrore di ciò che ho visto su quella spiaggia, in parte per la nausea di ciò che mi sono appena vista fare.

Io non mi voglio voltare dall'altra parte.

Mi costringo a tornare sulla foto, a fissarla intensamente per imprimere nella memoria ogni dettaglio, per cercare di razionalizzare le sensazioni che provo. La vista di quel corpicino, abbandonato sulla riva dalla marea, diventa sempre più insopportabile ogni minuto che passa: si sperimenta un nuovo tipo di freddo guardando l'immagine di un bambino morto così, a tre anni.Ha ancora le scarpette ai piedi: inizio ad immaginarlo mentre, seduto su una sedia, scalcia perché non vuole mettersele.E allora mi si spegne il cervello: dimentico chi sono, dove vivo, che giorno è.Solo una domanda rimane in mezzo a tutto quel nulla: perché?

Non perché quel bambino sia morto, la risposta è tanto ovvia quanto agghiacciante.Ma perché sto studiando? Prendo fiato.Sono una ragazza giovane, bianca, europea e vengo da una famiglia benestante: mio padre non guida una Porsche, è vero, ma non sarò mai costretta ad abbandonare la mia casa nella speranza di salvarmi la vita. Non dovrò mai attraversare il mare su un barcone, insieme ad altri disperati, tra urla e pianti, nel buio totale.Perché, quindi, sto investendo le mie energie e i miei anni migliori di ragazza giovane, bianca, europea, in una parola, di privilegiata, a studiare proprio Medicina?

“Tu pensa a studiare e basta”Non ci sto.Non credo che questo gioco faccia per me. Ho bisogno di altro: ho bisogno di sapere che servirà a qualcosa, che non sto qui a studiare e basta, qui nella mia isola felice, distante da tutto, con gli occhi chiusi e le orecchie tappate.

STUDIARENONBASTA

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diVincenzo Capriotti

V: "Spiega a chi non ne sa nulla di cosa si tratta “Le Parole Necessarie”."

S: Le Parole Necessarie è un progetto a cui abbiamo dato vita insieme al Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna per provare a dire quello che si fa fatica a dire, per provare a dare voce al vissuto che la malattia porta con sé, sia in chi si ammala che in chi sta a fianco di chi si ammala; che ci stia a fianco come medico, come familiare, come volontario, a prescindere. Questo tipo di approccio è simile, se vuoi, a quello della Medicina Narrativa, che riconosce un valore terapeutico nel dirsi, nel raccontare quello che si vive; questo aiuta ad avere relazioni più fluide con il medico che ti cura e ad essere più consapevole della tua situazione, mobilitando le energie della persona lungo il percorso assistenziale.Il nostro progetto è un po’ diverso, nell’intento: non si rivolge al paziente più che al medico più che al familiare più che al volontario, ma a tutte le persone che, a vario titolo, vengono in contatto con l’esperienza della malattia. Non è quindi tanto finalizzata ad agevolare la guarigione – a quello ci pensate voi medici – quanto ad aiutare le persone a vivere fino in fondo quell’esperienza che sta capitando loro. Quando arriva la malattia, pesante o meno pesante che sia, succede – pensando non tanto a me in quanto esperienza diretta quanto a persone a cui voglio bene, a cui mi è capitato di stare a fianco in momenti simili –, succede che saltano le sovrastrutture che hai costruito nella tua vita, le cose che ti davano sicurezza, che ti facevano star bene con te stesso e con gli altri: salta tutto quello che hai costruito, e rimane la vita, nuda, così com’è. Questo è un rischio di disperazione, ma anche la possibilità di re-inventarsi; cioè, è un momento di potenziale e grandissima creatività, paradossalmente, non solo un momento da superare.Parlando con Valerio Grutt (NdR: direttore del Centro di

Poesia Contemporanea) si diceva, mentre buttavamo giù il progetto, che l’ospedale è un posto che, se funziona, ti allunga la vita. Allora l’idea era che, visto che questo ospedale funziona, e che allunga la vita di tante persone, provasse anche ad allargarla, non solo ad allungarla; provasse cioè ad usare questa esperienza così particolare della malattia rendendola non soltanto un momento da superare ma un momento di maggior consapevolezza, di crescita propria, una finestra per instaurare con sé stessi e con gli altri, con la vita e col mondo, un rapporto anche diverso da quello di prima, possibilmente più profondo, vero, diretto. Questa è un po’ la filosofia e l’obiettivo intorno a cui è nato il progetto.

V: Spesso la malattia è vista come antitesi alla vita, non solo intesa come vita biologica ma anche in termini di vita quotidiana – il mondo che corre, lavora, e così la malattia ti impedisce di fare tutto ciò. Mi sembra, da quello che mi dici, che la malattia può essere vista come parte della vita, forse una parte importante; più che cercare l’alienazione dalla condizione di malato, mi pare che il progetto tenti di sfruttare questa condizione, prendendo quello che di buono ci può essere.

S: Sì, quello che di vero, soprattutto. Io credo che nessuno auguri una malattia né a sé stesso, né alle persone a cui vuole bene, ma lei arriva comunque, e quando arriva io credo che la cosa migliore sia provare insieme – perché questa è l’altra cosa, questa non è un’operazione che si fa da soli, è una cosa che si può fare insieme, con delle persone a fianco – a trasformarla in un momento in cui anche le relazioni delle persone, ad esempio, diventano più vere.L’idea del progetto mi è nata da chiacchierate fatte con gli psicologi del Sant’Orsola e dal racconto di alcuni rapporti con persone, di momenti drammatici, accorgendomi che alla fine c’era più vita dentro a quei momenti che nel resto

Nel mezzo di un torrido post-laurea agostano mi imbatto in un articolo condiviso su Facebook da qualche “collega”. L’articolo parla di poeti in corsia, al Sant’Orsola. La cosa mi solletica curiosità, cerco

informazioni sul progetto: scopro così “Le parole necessarie”, progetto nato in collaborazione tra il policlinico Sant’Orsola - Malpighi e il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna; progetto di cui “poeti in corsia” è solo la prima fase, seguita da laboratori di poesia aperti a tutti (pazienti, familiari,

personale sanitario, volontari, avventori casuali), due reading nell’atrio del padiglione 5 e l’evento conclusivo, il 24 Ottobre, con un’installazione sonora nei sotterranei dell’ospedale e reading delle poesie

prodotte nel corso di questi mesi.Ho voluto incontrare Stefano Vezzani, coordinatore della comunicazione del Policlinico Sant’Orsola -

Malpighi, per saperne di più.

Le Parole Necessarie

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della corsa che facciamo tutti i giorni. E non è tanto una questione secondo me di valori, “ho scoperto i valori veri della vita”; cioè, quello è importante, ma qui è questione di essere in contatto con la parte più profonda di sé. L’ansia di ottenere un successo, di raggiungere un traguardo – qualunque esso sia, un amore come i soldi – vede sempre questo modo di essere buttati in avanti, fuori; quello che fa la malattia è chiuderti il mondo. Il mondo come desiderio di appropriazione, di raggiungimento di traguardi sparisce, perché in quel momento ti ripieghi su di te, non hai più quella proiezione esterna.Non a caso uno dei luoghi in cui questa cosa è più pesante è in ematologia, perché quando una leucemia arriva addosso ad una persona che ha 20-30 anni, in un momento di massima esplosione esterna e proiezione sul futuro, improvvisamente quello verso cui ti stai proiettando sparisce, e devi fare conti pesantissimi perché ci rimani tu, e non qualcosa da conquistare. Il farli, questi conti, ti dà la possibilità dopo, quando tornerai a correre – si spera – di correre più pienamente, e di godere di più delle cose che conquisti, prendi, vinci, vivi.

V: Mentre parlavi mi è venuto in mente la frase di un filosofo e psicanalista sloveno, Slavoj Zizek: “Freedom hurts”, “la libertà fa male”. Se la malattia può essere una porta di uscita da schemi e sovrastrutture – cinematograficamente, un’uscita da Matrix –, la poesia può esserne la chiave (di lettura)?

S: Ti dico questo: io non sono, storicamente, un grande lettore di poesia, quindi questo progetto non è nato da una fissazione personale ma da un incontro, dall’aver incontrato queste persone ed essermi accorto che quel tipo di scrittura richiede un lavoro: un lavoro molto forte in chi la pratica, ma anche in chi la legge, e in chi la ascolta. L’idea della poesia mi è nata – io sono di Modena – da un incontro in cui padrone di casa era Luigi Villani, il più grande salumiere di Modena, uno con fabbriche di salumi. Lui nella vita ha fatto salami, quindi con la poesia non c’entra nulla. Raccontava che un suo amico, il Sindaco del paese, un poeta, gli ha regalato un libro di poesie, e non poteva non leggerlo perché che figura ci avrebbe fatto, quando gli avrebbe chiesto “ti è piaciuto?” Doveva leggerlo, ma che faceva una fatica enorme. Diceva: “Facevo fatica, e non l’ho mica letto tutto, solo un po’; ma quando lo leggevo mi accorgevo che parlava anche di me, diceva delle cose che mi riguardavano, e ho pensato che era da vigliacchi non leggerlo, perché quello che ti fa fare la poesia sarà anche una fatica, a volte, ma ti fa guardare allo specchio, ti fa guardare dentro.” Questo mi ha colpito: la poesia ha una funzione sulla vita come può averla la malattia, il dolore, nel senso che ti proietta dentro, e in più ti mette in contatto con gli altri.Ho letto alcune delle poesie che i poeti in corsia (soprattutto in geriatria e in neonatologia) hanno scritto in questi mesi, e a me alcune hanno veramente fatto incontrare delle persone, leggendole; io non so di chi stiano parlando, ma attraverso la loro poesia io le ho incontrate, le ho viste, le ho sentite. Ad esempio, io non ho mai avuto una sensibilità particolare per gli anziani, anzi più un’insofferenza che altro, ma la poesia mi ha ribaltato la testa, perché mi ha dato uno sguardo su

quelle persone, su quella condizione così tanto da dentro che, mentre da fuori li evitavo, me li ha buttati dentro. Quelle parole me li hanno fatti sentire dentro e hanno letteralmente allargato il mio sguardo. Credo che la poesia abbia questa capacità, quando è buona poesia, e quindi sia da questo punto di vista lo strumento ideale in una situazione come questa. È proprio scartavetrata, la poesia, è una roba scomoda anche, non come la malattia, e credo abbia questa capacità di raccontarla.

V: Come nasce la collaborazione con il Centro di Poesia Contemporanea? Ti è venuto in mente dal nulla o lo conoscevi già?

S: Abbiamo la fortuna di essere un policlinico universitario. Un giorno parlavo con un medico, direttore di una Unità Operativa, anche professore, e mi diceva della rabbia che lui provava per il fatto che non facciamo più cultura, mentre un policlinico universitario deve essere un luogo non solo di cura ma anche di cultura della cura, della relazione. Questa

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calati nel mondo ospedaliero, dall’altro “esperti” dell’ospedale sono stati invitati al confronto con (o tramite) il mezzo poetico; i reading li ho letti in chiave esemplificativa, e l’evento finale a sintesi di questo percorso.

S: Non è una domanda, hai già risposto. La questione è che è nato per caso, lavorando insieme: è venuta un’idea, ne è venuta un’altra, le idee non sono nate a tavolino – almeno per quel che mi riguarda; però la scansione che hai dato è quella in cui ci ritroviamo, è così.

V: Che risposta hai ricevuto, in termini concreti di interessamento e partecipazione?

S: Mi ha colpito moltissimo è il tipo di partecipazione, non tanto e non solo il volume. Sia pensando alle mail che arrivano, o all’infermiera che dopo il reading scorso mi ferma e mi fa: “Io lavoro qui da 25 anni, ma adesso vengo a lavorare e lo guardo in modo diverso, l’ospedale.” Bastava questo, questo è il motivo per cui l’abbiamo fatto, perché quella persona dicesse quella cosa. Non è stata solo lei, ma anche molte persone malate si sono buttate nella scrittura, e hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco: un conto è che uno scriva, un conto è che uno legga, davanti agli altri, in un contesto in cui viene espresso un giudizio su quel che scrivi, soprattutto quando quello che scrivi è così intimo perché riguarda un’esperienza dura che hai vissuto, e andarci attorno è molto complicato. Se uno è disposto a farlo è perché vi percepisce una potenzialità molto forte, che c’è un’utilità in questa cosa, altrimenti non si farebbe mica.

V: Quando ho saputo del progetto mi sono entusiasmato: io, come diversi miei colleghi, percepisco un forte dualismo tra l’approccio tecnico-scientifico medico e la sfera artistico-umanistica che (spero!) sia in tutti noi, più o meno coltivata. Questa dicotomia mi pare accentuata da una forte industrializzazione della professione medica, con orari più lunghi e ritmi più serrati. Dalla tua esperienza, lavorando in questo policlinico, hai riscontrato questi aspetti nella realtà ospedaliera (del Sant’Orsola, o altri che tu abbia frequentato)?

S: Poco tempo fa sentivo il Rettore che, partendo dal mondo greco, è arrivato ai giorni nostri per dire che quella del medico è sempre stata una professione che fondeva insieme l’aspetto umanistico e tecnico. Solo negli ultimi 150-200 anni c’è stato questo divorzio che, per fortuna, si sta andando a ricomporre, in modi vari ed eventuali: per dire, le medicine alternative reagiscono alla deriva tecnicista andando nella direzione opposta. Al di là di queste due estremizzazioni, credo si avverta la necessità di rimettere insieme le due parti. Questa esigenza la vedo in tanti professionisti che lavorano al Sant’Orsola, e nasce anche dall’incontro con loro la voglia di realizzare questo progetto, perché è una possibilità che ognuno ha, e in qualcuno diventa un modo di stare al mondo, di entrare qui dentro. Poi, per indole personale, non sopporto la lamentazione: è chiaro che far quadrare i conti e dover dare una grossa attenzione all’aspetto economico, quindi aziendale, rischia di rendere più sterile il lavoro; però dipende da noi, non c’è niente che viene da fuori che ti possa

cosa mi ha colpito molto, ed ha interagito con quanto mi raccontava un signore anziano, uno storico locale: parlandomi del Sant’Orsola, indicandomi il portico in via Albertoni, dove c’è il chiostro, diceva che gli ospedali sono sempre stati nella storia dei luoghi di bellezza, non solo dei luoghi di cura, e da secoli non lo sono più. Sono luoghi di tecnica, non di bellezza. Da qui l’idea di provare a portare qualcuno che fa cultura, come il Centro di Poesia Contemporanea dell’Università, dentro un luogo che è più di tecnica, oggi, e quindi di riportare un po’ di quello che fa compagnia all’uomo in un momento in cui di compagnia ha proprio bisogno. Scaraventa le persone in una grandissima solitudine, la malattia, proprio perché non c’è la capacità di dirsi, c’è un pudore sbagliato. rUna mia amica mi raccontava uno spettacolo che ha visto a teatro a Parma, la storia di un bimbo che sente dei dottori riferire ai genitori che a lui sarebbero rimaste due settimane di vita. I suoi genitori non glielo dicono, e lui non lo dice a loro, e queste due settimane passano senza che nessuno dica la verità all’altro. Io credo che questa dinamica, lì molto estrema, avvenga spessissimo nella malattia. C’è un modo di consolare che è rimuovere la paura che uno ha addosso, col risultato di farlo restare solo con la sua paura. L’ospedale allora può essere non solo un luogo di bellezza, ma anche un luogo di verità, in cui far venire fuori quello che c’è, trasformandolo in un terreno su cui incontrarsi piuttosto che un muro che separa. Dalla funzione che può avere la poesia, e dal fatto che sia un policlinico universitario che con l’università dovrebbe avere una relazione più forte per fare cultura, da lì nasce la collaborazione con il Centro di Poesia.

V: Il Centro di Poesia l’hai cercato, ti è subito venuto in mente oppure hai fatto una chiamata alle armi e ti hanno risposto loro?

S: No no, sapevo che esisteva per vie traverse, che non c’entravano col lavoro.

V: Cercavi poesia e sei andato a bussare.

S: Sì.

V: Come è stata la reazione?

S: Ci siamo visti, dopo 20 minuti che parlavamo aveva già preso forma quasi tutto. C’era una perfetta coincidenza di visione delle cose. Quando, per esempio, si è posto il problema di quei pazienti che volevano partecipare ai laboratori ma non potevano uscire dal reparto, la risposta di Valerio, il direttore del Centro, è stata: “Beh, non c’è problema: andiamo noi da lui.” Così è nata la fase “Poeti in corsia”. Lì è stato chiaro che c’era una consonanza di modi di sentire le cose.

V: Perché la divisione in 4 fasi (poeti in corsia, laboratorio di poesia, reading al padiglione 5, ed evento conclusivo)? Guardando come è stato sviluppato il progetto, mi è parso che si siano cercati s-punti di vista diversi per raccontare il mondo della malattia: da un lato esperti di poesia sono stati

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l’ingiustizia dei tempi, perché sono bui, e anche superficiali, ma è che chi intuisce che potrebbe essere diverso e vorrebbe fosse diverso spreca un sacco di tempo a lamentarsi dei tempi e non a cambiarli, e invece credo che ognuno di noi, nel suo piccolo, possa agire; credo che quell’infermiera che dice “vengo qui al Sant’Orsola e ci vengo in un modo diverso rispetto agli scorsi 25 anni”, nel suo lavoro, inizierà a provocare delle cose positive, degli incontri buoni. Credo che ognuno di noi sia chiamato e che anche un’esperienza come questa debba spingere in quella direzione.

V: Questo progetto avrà degli svolgimenti futuri? Invitaci all’evento finale del 24 Ottobre.

S: L’evento finale del 24 Ottobre è duplice. Sta prendendo forma dall’esperienza di questi laboratori e consta di due momenti: quello più artistico sarà fatto nei tunnel del Sant’Orsola, con delle installazioni sonore portiamo le voci dei poeti; ci sarà l’ascolto di quelli che sono stati i frutti di questo laboratorio sotto. L’idea ci è venuta di istinto, poi riflettendoci ci è parso bello che stia sotto l’ospedale, che sia sotterranea, ma che sia anche alle fondamenta, apparentemente nascosta ma centrale. Sarà un percorso che si potrà fare dalle 16 – ci sarà sul sito del Sant’Orsola spiegato come iscriversi, come partecipare, a gruppi ristretti durante il pomeriggio.Poi alle 18 ci sarà l’evento conclusivo, con tutti i poeti che hanno partecipato, sia ai laboratori che in corsia e un po’ di gente del policlinico.

V: Le poesie che sono state scritte e l’antologia (so che c’è un’antologia), dove le possiamo trovare?

S: Le potete trovare tutte sul sito www.leparolenecessarie.it, saranno pubblicate tutte lì. L’idea poi è quella di pubblicare 4 libretti, uno per ognuno dei 3 poeti che sono stati in corsia e uno con tutte le poesie del laboratorio, e farle girare molto dentro al Sant’Orsola, in modo che uno, anche per sbaglio, le trovi.

cambiare il modo di vivere la professione. I condizionamenti esterni sono una sfida che ti viene lanciata e se tu pensi che sia buono vivere in un certo modo dovrai capire come conciliarlo con la sfida che hai di fronte. Non c’è nessuno che decide per te. C’è una grossa attenzione all’aspetto aziendale, e per certi versi è anche giusto, non si possono sprecare soldi pubblici. Si rischiano le derive, ma dipende da noi: bisogna ritrovare il gusto di dire “si può fare, troviamo il modo di farlo!”

V: Una cosa sugli studenti: mi ha entusiasmato sapere di questo progetto non solo perché univa due parti che in me coesistono senza andare in conflitto, ma anche perché ho notato che mentre il medico, prima, era una persona di cultura, per una serie di ragioni (proveniva da una famiglia benestante, verosimilmente aveva fatto il liceo classico, aveva un certo tipo di formazione), mi sembra che oggi, per vari fattori (socioeconomici, tv, insomma i soliti noti), si sia affievolita la componente culturale; almeno, io lo vedo sia negli strutturati che mi è capitato di incontrare, sia nei miei colleghi. Una provocazione: un laboratorio di poesia come questo potrebbe essere proposto come corso elettivo per gli studenti?

S: Ah, magari. Mentre noi creavamo questo progetto, dentro l’università se ne ideava un altro, molto più accademico, ma che condivide alcune intuizioni di fondo: è stato presentato il 2 Ottobre il Centro Studi di Medicina Umanistica, fatto insieme da Medicina e Italianistica, dentro l’Università. Le due cose sono venute fuori casualmente quasi insieme. Io credo che il loro obiettivo guardi prettamente alla didattica e quindi ad inserire nel percorso di studi questo connubio. Questa è un’esperienza, e insieme ad essa nasce la voglia di studiarci, ragionarci su e di dare delle occasioni di approfondimento formativo, in questa direzione, dentro l’Università. Credo quindi che quello spazio lì ci sia; è importante secondo me non sprecare neanche un minuto a lamentarsi.A me quello che dispiace e colpisce di più non è tanto

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l'indagine, l'interesse, lo studio, la ricerca e il rinnovamento di quell'incontro amichevole. E lì subentrano i "cristiani" sopra ri-citati, con i quali prima o poi ci si deve fare i conti senza Linee Guida.

E allora per risalire alla fisiopatologia di un'amicizia devi conoscerne l'origine, l'evoluzione, lo stato clinico attuale. È fondamentale ai fini della prognosi. E così come per chi ha problemi urinari, il consiglio è quello di tenere un diario, come il DIARIO MINZIONALE, in cui appuntare caratteristiche qualitative e quantitative delle vostre incontinenze o fissare le ipotesi di iscuria paradossa che periodicamente si manifesta. In secundis identificare i momenti di contrasto più accesi, come nel caso della vescica col suo compagno detrusore nel CONFLITTO MINZIONALE che se non risolto e/o esplicitato il prima possibile può portare ad un'irreversibile alterazione della minzione. In quel caso si potrebbero indagare eventuali motivi culturali-geografici, vedi la NEFROPATIA BALCANICA, oppure individuare un'efficace strategia di RIABILITAZIONE ALLA MINZIONE scegliendo il background giusto: una gita a Montecatone o ancor meglio un Airbnb a Berlino!

Nella ricerca di quell'interpretazione fisiopatologica si verrà a delineare l'ipotesi ed è proprio "creando l'ipotesi, che si crea un'area di accettazione e di rifiuto" (cit.) con cui riscrivere le Linee Guida, vere.

t e r a p i a f r a t t a l edi

F.M.

Bentornati!

Sperando in una minima efficacia del ciclo estivo di Terapia Frattale è arrivato il momento di ricominciarla. Per raggiungere la dose di mantenimento partiamo con gradualità.

Quasi a rimarcare con banalità il procedimento per cui "[…] ricercare sempre un' interpretazione fisiopatologica dei quadri clinici" (Core curriculum – p.199) è il presupposto fondamentale per fare amicizia. Mi chiedo spesso quali siano i contenuti che riempiono le parole scambiate tra amici, quali i moventi per cui si decide di passare del tempo con qualcun altro invece che cedere alla libertà logistica del muoversi da soli. Tante domande e ancor più curiosità per capire se tutti quei saluti che ci si scambia, i "come stai?" che continuamente si sovrappongono tra un "bene" e l'altro e gli inviti che rimbalzano da un amico all'altro siano frutto di Linee guida generate da metanalisi che decennalmente si aggiornano sulle nuove tecniche di Richiesta d'amicizia o dipendano da una sincera spontaneità che a volte perdo tra i pensieri.Perché "[…]le linee guida, ricordatevi, come i santi, vanno calate sui cristiani[…]" (cit.).

Ecco, sono le Linee Guida che in un contesto così empirico e variabile come l'amicizia, non quella di Facebook, disorientano. Sono indubbiamente utili nel dare avvio al trattamento, identificando un punto di partenza ma poi vanno arricchite con

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CAFFè LETTERARIOdi

Giovanni Mastropasqua

“Quanto della mia vita è stato stracciato, lacerato e mortificato e asservito dalle camere ammobiliate d’America? Se tutte le ore che ho passato in camere ammobiliate potessero diventare dure come grani di rosario, esse formerebbero le note di un grido senza fine, che, forse raggiungerebbe le orecchie di Dio. Tutto ciò che mi è capitato accade in un’interminabile notte attraverso la quale io ressi la debole lampada che ora sta per estinguersi.”

Emanuel Carnevali – Il Primo Dio.

Nel marzo del 1914, a sedici anni, Carnevali lasciò Bologna, salpò da Genova e giunse a New York, la città più giovane del mondo, la più spietata con i miserabili. ‘Il primo Dio’ raccoglie l’autobiografia dei suoi romitaggi, le sue notti di disadattato con gli eccentrici del Dill Pickle Club, la tenue figura di Annie Gluck in una povertà straziante. L’autoritratto è angustiante. Le poesie raccolte, invece, scritte in inglese – la lingua del suo esilio -, hanno toni vividi e un sentimentalismo fra il sognante e l’avvilito. Versi liberi in una modulazione moderna.

“A proposito di omosessualità: se volete davvero ferire i vostri genitori e non avete il coraggio di essere gay, come minimo potete darvi all’arte. E fra pochi minuti vi terrò una lezione di scrittura creativa.”

Kurt Vonnegut – Quando siete felici, fateci caso.

Una raccolta di nove irriverenti commencement speeches tenuti da Vonnegut in varie università americane circa il passaggio della generazione A/X all’età adulta. Un piccolo opuscoletto ricco di humor, aforismi sull’irriflessivo viversi la felicità ottenuta ed un codice di Hammurabi ancora in vigore. Leggero e domenicale.

"Vonnegut non è un nome, è un buon augurio. Vonnegut a tutti! " Giordano Meacci

"Questa storia inizia con un sogno, e nemmeno un sogno poi tanto speciale. È solo una mano che batte ritmica, insistente, sul materasso nella vecchia cameretta di Lundagatan.Eppure è sufficiente a farla alzare dal letto all’alba. Dopodiché Lisbeth Salander si siede al computer e inizia la caccia."

Stieg Larsson/David Lagercrantz - Quello che non uccide.

L’affare Zalachenko, con tutti i risvolti stilistici propri di Larsson, si è concluso nella Millenium Trilogy; è importante comprenderlo prima di procedere nella lettura di questo quarto volume. Lo stesso universo emotivo dei protagonisti, Lisbeth e Mikael, è meno articolato rispetto ai precedenti capitoli, è più romanzesco. Meno caldo.Lagercrantz pone attenzione soprattutto alla trama – coinvolgente – ed ai particolari di un intricatissimo viluppo di spionaggio industriale. L’opera non sfigura affatto, il tentativo è arduo ed il risultato appetibile. Ma chi amava la vecchia Wasp…Ps: Lasciato un po’ decadere il personaggio di Erika, no?

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Resta innegabile che dal vivo sanno evocare atmosfere incredibilmente affascinanti.Rabbia, malinconia, tristezza racchiuse in un condensato di emozioni, che la band newyorkese riesce a esprimere perfettamente sul palco, pur restando praticamente immobile. Immancabili nella setlist alcuni pezzi storici da Turn on the bright litghts e da Antics. Con “Evil” è partito un coro pazzesco, tutto l’Home Festival cantava a squarcia gola.Chiusura spettacolare, infine, con "PDA" con un outro strumentale che ha lasciato tutti incantati.

Dopo l'abbandono del bassista Carlos Dengler nel 2010, eccoli impegnati nel tour del loro quinto album. El Pintor si conferma come un lavoro davvero valido, con singoli molto catchy come “All the rage back home”, “Everything is wrong” e “Slow hands”.Non si distacca particolarmente dai primi album, caratterizzati da sonorità new vawe e post punk, con chiare influenze dei Cure e dei Joy Division.

E’ un concerto per fan. Probabilmente se ci aveste portato un vostro amico che non li conosce, si sarebbe annoiato, accusandoli di essere monotoni e poco coinvolgenti.

Home Festival Treviso--- Day 1 - 03// / 09 / 2015

INTERPOL

diGiovanni Cappella

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Chi diamine sono gli Sparks? Si chiederanno i fans dei Franz Ferdinand. E chi diavolo sono i Franz Ferdinand? Si chiederanno i fans degli Sparks.Fin dai loro esordi nel 2004, i Franz Ferdinad si sono da sempre proclamati profondi ammiratori degli Sparks, un gruppo di outsiders che fin dagli anni ‘70 continua a far musica di qualità senza mai scadere nel banale.

Nasce finalmente nel 2015 il progetto FFS (Franz Ferdinand Sparks), o come loro preferiscono chiamarlo: For Fuck’s Sake.Dall’unione delle sonorità indie rock del quartetto scozzese e delle sonorità glam rock e synth pop dei due fratelli di Los Angeles, nasce qualcosa di incredibile.Decisamente sopra le righe, falsetti che ricordano i Queen, atmosfere come nei film di Tim Burton, dance, elettronica e indie rock tutto condensato in un unico album.

Il tutto non si riduce alla semplice somma delle parti, ma va ben oltre. Le voci di Alex Kapranos e Russel Mael creano un qualcosa di completamente nuovo.Un po' come nel paradosso del Gatto di Schrodinger, non si può saper se il gatto sia vivo o morto fin quando

non si apre la scatola, e quindi lo si descrive come se fosse contemporaneamente vivo e morto. Cosi quando si ascoltano i FFS non si può capire quale cosa sia stata effettivamente frutto degli Sparks o dei Franz Ferdinand.

Dal vivo entrambi i gruppi sono tecnicamente perfetti, con ottimi arrangiamenti ed estremante coinvolgenti. Sono animali da palcoscenico. Le performance sono sempre all'altezza delle aspettative.

Aprono e chiudono il live con due brani dal loro nuovo album “Johnny delusional” e “Collaborations don't work” Non sono mancati alcuni cavalli di battaglia del quartetto di Glasgow “Do you want to?”, “Walk away”, “Michael” e “Take me out”. Con quest'ultimo è davvero scattata l'ignoranza, non pensavo si potesse pogare a un concerto indie rock! In ogni caso, i FFS restano un qualcosa di assolutamente unico nell’ambito del panorama musicale e mi auguro con tutto il cuore che portino avanti questo progetto.

FFS

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OROSCOPOA ACQUARIO PESCI

J

G

D

E

I

Vuoi diventare medico, ma la tua dolce metà mangia una mela al giorno… fossi in te qualche domanda me la farei.

SAGITTARIO

CAPRICORNO

VERGINE

CANCRO

ARIETE

SCORPIONE

BILANCIA

GEMELLI

LEONE

TORO

Le lezioni sono appena iniziate, la sessione d’esami è ancora lontana. Stai lontano dallo stress, bevi Peroni e gioca a Pes.

Vuoi che tutte le ragazze ti chiedano di uscire? Chiudersi dentro al bagno delle donne potrebbe essere una buona idea.

L’ennesimo ex psicopatico ti ha spezzato il cuore? Fai un tirocinio a cardiochirurgia, e saprai dove mettere le mani.

Per fare felice la tua donna non deluderla mai, non farla piangere e soddisfa i suoi desideri. Poi comprati degli psicofarmaci.

Un amico ti ha consigliato uno spaghetti western, ma tu oramai sei un bolognese vero e preferisci un panino con la mortadella.

Hai un sacco di aspettative per questo nuovo anno! Ma se hai troppi sogni nei cassetti, l’unica soluzione è dare fuoco al comodino.

K

L

H

F

C

B

Vedi gente della tua età che si fidanza, fa il viaggio della vita o si laurea. E tu ancora non capisci perché ti si spaiano i calzini in lavatrice.

Finalmente hai capito di essere troppo dipendente da internet e smartphone: ora vivi come se ti finissero i giga domani.

Sicuramente anche tu vorresti tornare a vivere nel 42… avanti Cristo, per avere molte meno patologie impossibili da studiare.

Invece che il medico vorresti fare l’astronauta? Forse presto si scopriranno su Marte forme di vita interessate a fidanzarsi con te.

Per superare l'esame di Ematologia sii devoto a San Gennaro, protettore degli anticoagulanti. O diventa giapponese.

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GIOCHI

SUDOKU

copertina - Rick Almeidaoroscopo - Arianna Pesaresi giochi - Chiara Crescentini

impaginazione - Roberto Perissinottocaporedattore - Roberto Perissinotto

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PRESENTAZIONE

SISMTi interessa conoscere i progetti SISM di

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GIOVEDI' 29 OTTOBREAULA VIOLA (PAD.11)

ORE 18:00 - 20:00