Referendum NoTriv | Numero 30 - aprile 2016

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In questo numero: - IL QUORUM DELL’INFORMAZIONE Giulia Di Martino | Giovanni Modica Scala - REFERENDUM 17 APRILE: ISTRUZIONI PER L’USO Giulia Silvestri - ALLA RICERCA DEI QUESITI PERDUTI Ilaria Bianco - IL REGIME DELLE ROYALTIES Pietro Dommarco - UNA POSSIBILE SVOLTA PER IL MODELLO ENERGETICO ITALIANO Intervista a Nicola Armaroli a cura di Milena Rettondini - AMBIENTE E BIODIVERSITÀ: QUALI RISCHI CORRIAMO? Rossella Baldacconi - C’È CHI DICE NO. Intervista a Giannantonio Mingozzi a cura di Stefano Fornito - NOT IN MY BACKYARD. Voci dai territori Basilicata Pietro Dommarco Abruzzo Alessio di Florio Puglia Francesco Caroli Sicilia Olga Nassis - IO VOTO FUORI SEDE

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REFERENDUM 17 APRILE: ISTRUZIONI PER L’USO

ALLA RICERCA DEI QUESITI PERDUTI

IL REGIME DELLE ROYALTIES

AMBIENTE E BIODIVERSITÀ: QUALI RISCHI CORRIAMO?

NOT IN MY BACKYARD. Voci dai territori

IO VOTO FUORI SEDE

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Giulia Di Martino | Giovanni Modica ScalaIL QUORUM DELL’INFORMAZIONE

Giulia Silvestri

Ilaria Bianco

Pietro Dommarco

Rossella Baldacconi

Pietro DommarcoBasilicata

UNA POSSIBILE SVOLTA PER IL MODELLO ENERGETICO ITALIANOIntervista a Nicola Armaroli

15a cura di Milena Rettondini

C’È CHI DICE NO. Intervista a Giannantonio Mingozzi

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a cura di Stefano Fornito

Abruzzo Alessio di FlorioPuglia Francesco CaroliSicilia Olga Nassis

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Con l’eventuale vittoria del sì al referendum del 17 aprile, non si porrà immediatamente fine a qualsiasi tipo di trivellazione. È fondamentale partire da questa consapevolezza.La campagna condotta fino a questo momento è stata avvolta da un alone di confusione dif-

fusa, che ha visto il formarsi di due schieramenti categorici opposti, portavoci di due posizioni estremamente ridotte all’osso: trivelle sì, trivelle no. Complice sicuramente lo slogan che, in quanto tale, deve essere di impatto ed escludere tutto il resto al momento del primo approccio. Ben vengano gli slogan, e soprattutto ben venga che le persone parteggino e prendano una posizione, ma a patto che si superi la cortina superficiale delle parole di pancia e degli improvvisati pseudo-tecnicismi.Nonostante l’estrema complessità della materia, è assolutamente necessario stimolare l’attenzione della popolazione italiana su questo tema, se non altro per distoglierla dal gossip politico, dall’epo-cale scontro sulle unioni civili che tanto emoziona, per farla convergere invece su un argomento dal sapore vagamente noioso, altrimenti destinato a rimanere confinato nel dibattito di pochi ecologi-sti infervorati.Una certa resistenza ad abbordare l’argomento, da parte del cittadino medio, risede nella difficoltà di percepire i risvolti che una scelta legata all’ambiente e all’energia comporta: le connessioni fra il benessere socio-economico di un paese e un corretto e rispettoso approvvigionamento delle risorse ambientali non sono di immediata visibilità. E in Italia - si sa - ciò che non può attirare facilmente un giudizio di valore, e non crea fazioni e blocchi da stadio, non è degno di occupare lo spazio che merita nel dibattito civile.Ma davvero non merita il nostro interesse?Da dove viene l’energia che consumiamo? E poi, che tipo di energia? Elettricità? Prodotta come? Da combustibili fossili? Quanta importazione dall’estero? Quanta convenienza nel produrla a livello nazionale? Gli interrogativi si moltiplicano, e sono quasi tutti al di fuori dell’unico interrogativo sottoposto alla gente in questo referendum. E allora, che si fa? Si boicottano le urne, offesi da questa truffa colossale? Bisogna forse ripensare i termini di questa vittoria. Che finalmente le persone si informino, si pon-gano il sanissimo dubbio che forse le strategie di politica energetica non debbano essere accettate passivamente, ma essere messe invece in discussione da cittadini informati, che si esprimano su come utilizzare risorse che, in fondo, sono di tutti. Partendo da un approfondimento individuale scevro da qualsiasi sentimentalismo.Noi, nel nostro piccolo, proviamo a fornire con gli articoli che seguono una chiave di lettura che metta a fuoco i principali corollari dell’oggetto referendario. Con l’auspicio di risultare un attendi-bile ausilio informativo per chiunque voglia approfondire, senza nascondere la nostra incorruttibi-le natura partigiana. �

editoriale

di Giulia Di Martino e Giovanni Modica Scala

IL QUORUM DELL’INFORMAZIONEillustrazione tratta dalla campagna 17/04 - Vota SI

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di Giulia Silvestri

ISTRUZIONI PER L’USO

Referendum 17 Aprile

Il 17 aprile i cittadini italia-ni saranno chiamati a vota-re un referendum popolare

abrogativo in materia di trivel-lazioni.Di cosa stiamo parlando? Per spiegarsi meglio è bene partire dal quesito, così come sarà scritto il giorno in cui an-dremo a votare:«“Volete voi che sia abrogato l’art. 6 comma 17, terzo periodo

del decreto legislativo 3 apri-le n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015 n. 208 “Disposizioni per la formazio-ne del bilancio annuale e plu-riennale dello Stato (legge di stabilità 2016)” limitatamente alle seguenti parole: “per la du-rata di vita utile del giacimen-to, nel rispetto degli standard

di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?»Tradotto: Volete che sia abro-gata quella parte della norma che permette a quelle società oggi in possesso di permessi e concessioni per estrarre idro-carburi entro le dodici miglia marine, di sfruttare i giaci-menti fino al loro esaurimen-to, anziché fino alla scadenza dei permessi e delle concessio-

Per cosa andiamo a votare il 17 aprile? A cosa fa riferimento il quesito su cui i cittadini potranno esprimersi? E quali sarebbe-ro le implicazioni della vittoria del sì o del no? Una panorami-

ca generale, per fare ordine in una materia molto complessa.

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ni?Questo, per capirci, implica che:

- si parla di dodici miglia poi-ché è il limite massimo stabili-to per le acque territoriali;

- non sono ricomprese nella materia oggetto di referendum le concessioni e i permessi da concedere ex novo per la ricer-ca e l’estrazione di idrocarburi entro le dodici miglia poiché sono già vietate dal nuovo art. 6 comma 17 dlgs 152/2006;

- non sono vi ricomprese le concessioni e i permessi ri-guardanti la ricerca e l’estra-zione di idrocarburi oltre le do-dici miglia, che continueranno anche qualora il referendum porti una vittoria dei sì;

- sono ricomprese nella ma-teria oggetto di referendum le concessioni e i permessi ri-guardanti la ricerca e l’estra-zione di idrocarburi già in cor-so alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 128/2010 entro le dodici miglia per le quali la nuova legge di stabilità del 2016 ha previsto una sor-ta di proroga “per la durata di vita utile del giacimento”, una vita utile che può non coinci-dere con la durata residua del-la concessione o del permesso. Questo perché le concessio-

DIVIETO NUOVE CON-CESSIONI

Attualmente, la legge non con-sente che entro le 12 miglia marine siano rilasciate nuove concessioni, ma non impedi-sce, invece, che a partire dalle concessioni già rilasciate sia-no installate nuove piattafor-me e perforati nuovi pozzi. Tra i titoli abilitativi che oggi possono godere di una du-rata a tempo indeterminato ci sono infatti anche diversi permessi di ricerca, alcuni dei quali già in fase esplorativa e in attesa di trasformarsi in vere e proprie concessioni di coltivazione del giacimento. Un esempio concreto è dato dal caso di VegaB, la nuova piattaforma prevista nel ca-nale di Sicilia, nell’ambito di una concessione già esistente (dove già opera la piattaforma VegaA) e posta meno di 12 mi-glia da un’area protetta.

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di Ilaria Bianco

Lungo, articolato ed irto di ostacoli è stato il percorso che ci porta dritti al pros-

simo 17 aprile.Facciamo un salto indietro. Nel 2014, con il decreto “Sblocca Italia”, il premier Matteo Ren-zi rende “strategiche, urgenti ed indifferibili” tutte le attivi-tà di ricerca ed estrazione di idrocarburi ed opere connesse, accentrando il potere deciso-rio in capo allo Stato.È il settembre 2015 quando Pippo Civati promuove con il neonato partito “Possibile” otto referendum, due dei quali hanno a che fare con la ricerca e l’estrazione di idrocarburi li-quidi e gassosi in mare e sulla

ALLA RICERCA DEI QUESITI PERDUTI

Originariamente il referendum sulle trivelle doveva essere composto da 6 quesiti. Ben 5 di questi sono venuti meno, dopo che il governo ha approvato la legge di stabilità del 2016

intervenuta in materia. Un focus sul travagliato iter referendario.

ni durano al massimo cin-quant’anni (art 29 l. 613/1967 e art 9 l.9/1991). Per fare un esempio se queste concessioni sono state accordate negli anni ‘90, la società che ha ottenuto la concessione potrà estrarre fino al 2040, ma è possibile che il giacimento sia sfruttabile per un periodo di tempo più lungo. Le implicazioni di una vittoria del sì porterebbero alla gradua-le riduzione (fino alla totale estinzione) delle trivellazioni in mare entro le dodici miglia allo scadere naturale delle concessioni (realisticamente si parla di decadi), mentre le implicazioni di una vittoria del no oppure del non raggiun-gimento del quorum compor-terebbero lo sfruttamento del giacimento, da parte delle so-cietà che hanno le concessioni, per un periodo di tempo anche eventualmente superiore alla scadenza delle stesse. �

fonte: Internazionale

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terraferma (eliminazione del-le trivellazioni in mare e del loro carattere strategico). Ma il numero di firme necessario per la promozione di un refe-rendum abrogativo - l’art 75 della Cost. richiede la firma di 500000 elettori o di almeno 5 Consigli Regionali - non viene raggiunto. Accade allora che dieci consigli regionali (Basi-licata, Marche, Puglia, Sarde-gna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania, Molise ed Abruzzo, poi ritiratosi), per lanciare un chiaro segnale di opposizione all’accentramento decisorio del Governo, promuovono sei quesiti referendari.Tutto sembrava procedere nel-la direzione auspicata quando il Governo Renzi decide di in-tervenire sulla materia appor-tando una serie di modifiche

attraverso la Legge di stabilità 2016, assorbendo di fatto ben cinque dei sei quesiti proposti dai Consigli Regionali. Preso atto di queste novità, la Cassa-zione dichiara legittimo solo uno dei sei quesiti referendari antecedentemente proposti. Tre quesiti, relativi all’espro-prio delle aree di proprietà privata, alla strategicità e in-differibilità delle attività pe-trolifere e al conflitto Stato/Regioni vengono dichiarati su-perati poiché assorbiti in toto dalla Legge di stabilità. In que-sto senso i promotori del refe-rendum hanno già segnato un punto a loro favore.Due ulteriori quesiti subiscono

[...] per lanciare un chiaro segnale di op-

posizione all’accentra-mento decisorio del

Governo.

invece un iter differente: non vengono accolti dalla Cassa-zione. Si tratta di quelli relati-vi al titolo concessorio unico e alla definizione del piano delle aree. Il Parlamento, eliminan-done le relative norme, ha fatto cadere anche i quesiti referen-dari con un giochino parago-nabile a quello del domino. Sei regioni (Basilicata, Sar-degna, Veneto, Puglia, Cam-pania e Liguria) decidono di sollevare un conflitto di at-tribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale, proprio in rife-rimento all’attività di aggira-mento dell’oggetto dei quesiti da parte del Parlamento.

PIANO DELLE AREEIl decreto “Sblocca Italia”, all’art.38 co.1-bis, obbligava il Governo con il coinvolgi-mento delle Regioni a definire quali fossero le aree in cui av-viare progetti di trivellazione su terraferma, tenendo conto della specificità dei territori e delle aree a rischio sismico. Il quesito referendario sul Piano delle Aree mirava a rafforzare il ruolo delle Regioni, ad esten-dere la previsione del Piano anche al mare, entro ed oltre il limite delle 12 mi-glia, e a ribadire il concetto che in as-senza di Piano non può essere richiesto e rilasciato alcun titolo. “La Cassazione” - sostengono i NoTriv - “ha fatto decadere il quesito invece di sollevare una questione di costituzionalità e il Parlamento ha violato l’at-tribuzione che la Costituzione all’articolo 75 assegna al comi-tato promotore”. La modifica della legge di stabilità doveva essere conforme alla richie-

sta del referendum: l’obiettivo non è stato raggiunto e viene dunque richiesto il ripristino della norma dello Sblocca Ita-lia per poterne abrogare real-mente una parte.

TITOLO CONCESSORIO UNI-COIl secondo quesito oggetto di ricorso riguarda il “titolo con-cessorio unico” (art.38 co.5, d.Sblocca Italia), il quale pre-vedeva che alla società petro-lifera fosse concesso di fare ricerca ed estrazione con un’u-nica richiesta, per procedere più velocemente. Le vecchie concessioni sepa-ravano invece il permesso di ricerca dal permesso di estra-zione, che poteva avere una durata di trent’anni con pos-sibilità di proroga di altri ven-ti,  arrivando a cinquant’anni in totale. Il quesito referendario pro-mosso dalle Regioni chiedeva che venisse stabilita una du-rata limitata del titolo con-cessorio unico, fissandola a trent’anni al massimo e senza possibilità di proroghe.

La legge di stabilità ha modificato in tal senso la norma i n t e r v e -nendo sul limite tem-

porale del titolo concessorio unico (massimo 30 anni senza possibilità di proroghe) ma ha contemporaneamente reintro-dotto la vecchia forma di con-cessioni che prevede delle pro-roghe. Riassumendo, attualmen-te  una  società petrolifera può fare una scelta tra due possibi-lità: il titolo concessorio unico,

“La Cassazione ha fat-to decadere il quesito

invece di sollevare una questione di costitu-

zionalità”

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illustrazione di Guglielmo Manenti

che le concede trent’anni di tempo, o le vecchie concessio-ni che le concedono  –  con le proroghe – cinquant’anni. I promotori dei referendum hanno anche in questo caso sollevato un conflitto di at-tribuzione sostenendo che il governo ha eluso la questione per far tornare in vigore la vec-chia norma. Il conflitto consi-sterebbe nel fatto che spetta ai promotori sottoporre agli elettori la loro richiesta e non al parlamento modificarla in modo da aggirare il quesito stesso.

E qui arriviamo al 9 marzo scorso, data in cui la Corte Co-stituzionale, di fronte al ricor-so delle Regioni, si è trovata a

dover valutarne la legittimità. Passaggio meramente tecnico, preliminare alla più pernicio-sa decisione “nel merito” della questione: nel primo caso si parla di forma (da un punto di vista prettamente giurisdizio-nale), nel secondo, invece, di contenuto. Cosa sarebbe acca-duto se la Corte avesse accolto i conflitti? Si sarebbe dovuta

attendere un’altra udienza, certo; se poi il tutto fosse an-dato a vantaggio delle Regioni promotrici, i due quesiti sa-rebbero tornati ad essere am-missibili e, forse, accorpati col primo turno delle elezioni am-ministrative di giugno. Ma una pronuncia il 9 marzo vi è stata, inutile ricorrere a forme ipote-tiche ed astrazioni concettuali. Quello che doveva essere un mero passaggio tecnico-proce-durale ha avuto un esito nega-tivo. Molti si stanno ancora ar-

rovellando sul significato della pronuncia della Corte: “Non è stata espressa la volontà di sol-levare detti conflitti da almeno 5 dei Consigli Regionali che avevano richiesto referendum prima delle modifiche legisla-tive sopravvenute”. In pratica sembrerebbe un cavillo, poiché cinque dei sei delegati regio-nali promotori non avevano

alle spalle una nuova delibera-zione del Consiglio. Ergo, non risulterebbero legittimati a rappresentare la Regione. Secondo il costituzionalista Enzo di Salvatore, co-fonda-tore del Comitato Nazionale No Triv ed estensore dei que-siti referendari, “la decisione solleva perplessità. Come mai a gennaio la costituzione in giudizio del delegato abruzze-se effettuata a nome del Consi-glio regionale è stata ammessa senza che alle spalle vi fosse

una previa delibera? Se il referendum fosse stato promosso tramite la rac-colta delle 500.000 mila firme il Comitato pro-motore avrebbe potuto avanzare questi stessi ri-corsi senza una delibera firmata da mezzo milio-ne di persone. Perché se il percorso referendario è avviato dalle Regioni il Comitato necessita di un passaggio in più per agi-re in quella sede?”Nel frattempo Puglia e Veneto hanno deposita-to, due giorni dopo tale pronuncia, nuovi ricorsi.

La Corte Costituzionale, giudi-ce super partes, sembra avere qui giocato un brutto scherzo, di parte quasi. Politica nazio-nale, locale e movimenti in di-fesa dell’ambiente sempre più in contrasto. Stavolta tutto ciò sembra frutto anche di una de-cisione che sembrerebbe quasi preconfezionata e pretestuosa. �

CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE Si verifica allorché un organo appartenente ad uno dei tre poteri statali ricorre contro un altro lamentando l’invasione della propria sfera di competenza, delle proprie prerogative costituzionali. Può avvenire tra poteri dello Stato, o tra Stato e Regioni.

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IL REGIME DELLE ROYALTIESdi Pietro Dommarco*

In Italia, quello delle royal-ties – ovvero le aliquote di prodotto che le compagnie

petrolifere versano a Stato, Re-gioni e Comuni interessati da attività petrolifere – è un di-battito sempre aperto. C’è chi le equipara ad una tassazione stringente ed iniqua. Chi, in-vece, le considera una forma di compensazione per lo sfrut-tamento del territorio e per il disequilibrio causato all’am-biente. E di fatto lo sono. Le principali società che estrag-gono gas e greggio nel nostro Paese usano le royalties come pedina di scambio, legittimo, per arrivare ad un consenso autorizzativo. Al di là, o meno,

della bontà dei loro progetti. Per molte comunità e, soprat-tutto enti locali, rappresen-tano un vero e proprio ‘spec-chietto per le allodole’. Premesso questo, ogni valu-tazione sul regime nazionale delle royalties è un campo mi-nato. Ma partiamo da un as-sunto. L’ordinamento norma-tivo italiano trova fondamento nel Decreto legislativo n.625 del 25 novembre 1996, e in al-tre disposizioni aggiuntive introdotte nel 2009, nel 2012 e nel 2014. Le royalties variano, seppur di poco, se si estrae gas o greggio, in mare o in terra-ferma. Il loro valore è calcola-to sui prezzi medi del mercato

degli idrocarburi. Per il petrolio vengono consi-derate le quantità prodotte ed il prezzo del barile. Per il gas le quantità commercializzate. Le compagnie petrolifere ver-sano il 10% del valore di mer-cato per l’estrazione di greggio e gas in terraferma, il 10% per l’estrazione di gas a mare e il 7% per l’estrazione di greggio a mare. Le aliquote per la ter-raferma sono comprensive di un 3% destinato ad un fondo di coesione sociale, il vecchio bonus idrocarburi. Quelle per il mare, invece, comprendono un 3% per l’ambiente e la sicu-

I contributi, da parte delle società che estraggono idrocarburi in Italia, in cambio delle autorizzazio-ni statali. Piccole entrate fiscali a discapito delle economie locali e della salvaguardia del paesaggio.

*direttore del mensile Terre di Frontiera

foto di Michele Puccia

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rezza. L ’ a t t u a l e r ipart iz io-ne prevede che per le p r o d u z i o -ni di idro-carburi in terraferma il 55% vada alle Regio-ni, il 30% allo Stato e il 15% ai Co-muni, che pur essendo di fatto i più colpiti dall’im-patto ambientale incassano di meno. Per le estrazioni in mare la ripartizione prevede un 45% allo Stato e un 55% alle Regioni. Da quest’ultima ripartizione i Comuni restano fuori. Così come restano fuori dal versa-mento delle royalties molte so-cietà. Infatti, su 53 compagnie titolari di permessi di ricerca e concessioni di coltivazione, solo 8 pagano le aliquote di prodotto. Le restanti 45 non estraggono idrocarburi, oppu-re beneficiano del regime della franchigia. Un particolare van-taggio normativo che esenta dal pagamento di royalties sul-le prime 20 mila tonnellate di greggio estratto in terraferma, sulle prime 50 mila tonnellate di greggio estratto in mare, sui primi 25 milioni di metri cubi di gas estratto in terraferma e sui primi 80 milioni di metri cubi di gas estratto in mare. Per ogni concessione di col-tivazione il risparmio annuo stimato può variare dai 7 ai 20 milioni di euro, sottratti a quello Stato che, oggi, invece antepone l’aumento delle en-trate fiscali alla salvaguardia delle economie locali, del turi-smo e della valorizzazione pa-

esaggistica. Ma non finisce qui, perché le compagnie che estraggono gas - ad esempio - godono di un contributo da parte dello Stato come incentivo ad incremen-tare le riserve nazionali, che non servono alla nostra indipen-denza energe-

tica. L’incentivo ammonta ad un 40% prelevato dal 5% delle entrate incassate dallo Stato dal versamento delle royalties, come sancisce l’articolo 4 del Decreto legislativo n.164 del 23 maggio 2000. In poche parole le compagnie pagano le royal-ties allo Stato, che sul 5% del ricevuto gira un 40% alle so-

cietà impegnate nelle attività di prospezione, ricerca e col-tivazione di nuovi giacimenti (anche quelli marginali, che ottengono sgravi fiscali in sede di ammortamento dell’investi-mento iniziale, in misura tale da rendere economico l’inve-stimento stesso). Il valore relativamente bas-so delle royalties italiane - da considerarsi una tassazione speciale - spinge molte impre-se straniere, tante con capita-li sociali irrisori, ad investire in Italia piuttosto che altrove. Perché in Norvegia la tassazio-ne speciale sulle produzioni di idrocarburi raggiunge un mas-simo del 78%, in Russia l’80%, in Alaska il 60%, in Canada il 45%, negli Stati Uniti il 30%, in Australia il 40% sulle estra-zioni, in Danimarca fino a un massimo del 70%. Solo per ci-tarne alcuni. �

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di Milena Rettondini*

Una possibile svolta per il MODELLO ENERGETICO

ITALIANO

Nel nostro paese le fonti rinnovabili (idroelettrico, fotovoltai-co, eolico, geotermico, biomasse) coprono il 42% della domanda elettrica. Negli ultimi anni però una serie di provvedimenti le-gislativi ha creato crescenti complicazioni burocratiche al loro

sviluppo, ostacolando l’ulteriore espansione di queste fonti. Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del CNR di Bologna, è uno dei più forti sostenitori della transizione energetica alle rinno-vabili. Per questo motivo, abbiamo voluto capire con lui perché sia urgente spingere in una direzione diversa da quella dell’e-strazione di idrocarburi che, a conti fatti, sembra non portare i

vantaggi promessi.

Intervista a Nicola Armaroli

Prof. Armaroli, qual è il motivo principale per cui dovremmo votare Sì e quali sono i danni ambientali principali derivan-ti dalle attività di estrazione di idrocarburi?Innanzitutto bisogna fare chia-rezza sul quesito referendario, che riguarda solo le concessio-ni di estrazione entro le 12 mi-glia marine che inizieranno a scadere dal prossimo anno. Si tratta di installazioni che han-no prodotto l’anno scorso circa lo 0,8% del consumo nazionale di petrolio e il 2% di quello di gas. Quantità oggettivamente

poco rilevanti. Ma il voto ha un significato molto più ampio: dobbiamo votare sì per spin-gere il governo a intrapren-dere con decisione la strada della transizione energetica e cominciare a limitare in modo più convinto la nostra dipen-denza dai combustibili fossili. Abbiamo già fatto passi impor-tanti, specie nel settore elettri-co, che dobbiamo consolidare. Che tipo di atteggiamento sta tenendo il nostro governo ver-so quest’ultima problematica?Quello del nostro governo è un atteggiamento schizofrenico.

Da un lato sottoscrive accordi internazionali e si impegna a perseguire le politiche Euro-pee sulla transizione energeti-ca. Sul fronte interno è, però, fortemente influenzato dal-le lobby delle grandi aziende energetiche che decidono da sempre la strategia energetica del nostro paese. Questa sud-ditanza poteva avere delle ra-gioni nei primi del dopoguer-ra, quando c’era un Paese da ricostruire. Ma l’Italia di oggi è un Paese profondamente di-verso da quello degli anni 50-60.

* Associazione In medias res

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Cosa risponde a chi sostiene che continuare le estrazioni ci aiuti a perseguire l’indipen-denza energetica?Questa affermazione fa sor-ridere. I dati del Ministero dello Sviluppo Economico, quindi del Governo, parlano chiaro. Sommando risorse cer-te e risorse probabili, abbiamo nel sottosuolo italiano l’equi-valente di 23 mesi di consumo di gas e di 38 mesi di consumo di petrolio. I giacimenti italia-ni sono piccoli in quantità e sono anche, per quan-to riguarda il pe-trolio, di scarsa qualità. L’interes-se su queste re-sidue risorse da parte di aziende private sta nel fatto che in Italia si estraggo-no idrocarburi a prezzi strac-ciati. I canoni per i permessi e le concessioni sono irrisori, mentre le royalties sono prati-camente le più basse al mondo.Lo scorso anno, per esempio, l’Italia ha incassato dalle royal-ties 352 milioni di euro, di cui solo 55 sono andati allo Stato, mentre gran parte sono andati alle singole regioni (142 milio-

ni alla Basilicata). Il guadagno della collettività è irrisorio. L’Emilia Romagna, per esem-pio, ha ricavato dalle royalties 7 milioni di euro (su una me-dia di bilancio di 12 miliardi di euro). Briciole, rispetto ai dan-ni che subisce da questo tipo di attività. Inoltre, allargando lo sguardo a livello mondiale, va rilevato che il sistema dei combustibili fossili ha un co-sto enorme per la collettività: 5.300 miliardi di dollari l’an-

no di contri-buti diretti (es. esenzioni fiscali) e in-diretti (ester-nalità, danni sanitari), una cifra pari al

6,5 % del PIL mondiale, come ha stimato di recente il Fondo Monetario Internazionale.

Si è mai confrontato con Emi-lio Miceli, segretario dei chi-mici della CGIL, che definisce “errore fatale e strategico” fermare l’estrazione di idro-carburi nel nostro paese? In Italia vi sono circa 40 mila addetti nelle aziende di questo settore, ma la maggior parte

di essi lavora all’estero. Consi-derando che il referendum ri-guarda solo le estrazioni entro 12 miglia dalla costa, l’eventua-le effetto sull’occupazione in Italia sarebbe minimo. A que-sto proposito, le grandi orga-nizzazioni sindacali si sono ugualmente preoccupate per le decine di migliaia di posti di lavoro che sono andati persi in questi 3-4 anni per le politiche miopi e vessatorie che stanno tagliando le gambe all’ascesa delle rinnovabili? Purtroppo si tratta per lo più di aziende pic-cole e piccolissime che spesso non hanno voce. Se vogliamo creare nuovi posti di lavoro è necessario intraprendere una politica energetica nuova. Il numero di posti di lavoro che crea la filiera rinnovabile, che è il futuro, è almeno il doppio di quello dell’industria degli idrocarburi, che è il passato. La transizione energetica, por-terà inevitabilmente una gran-de ristrutturazione industria-le. Amo pensare che, oggi, un visionario come Enrico Mattei sarebbe il primo a trainare il paese verso le rinnovabili. E non da oggi.

C’è poi chi sostiene come Gianfranco Borghini, del co-mitato “Ottimisti e Raziona-li”, che continuare ad estrarre petrolio permetta di limitare l’inquinamento dei mari, per-ché in questo modo si limita il transito di petroliere…Invito chi si dichiara “razio-nale” a fare due conti: lo 0,8% citato sopra equivale al carico di tre petroliere di medie di-mensioni in un anno. Inoltre, l’ultimo grande incidente pe-trolifero (Golfo del Messico 2010) è avvenuto a una piatta-forma e non a una petroliera.

Abbiamo nel sotto-suolo l’equivalente di 23 mesi di consumo

di gas e di 38 mesi di consumo di petrolio

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A proposito di inquinamento, giova ricordare che le grandi multinazionali europee che vo-gliono trivellare i nostri mari vantando grandi performan-ce ambientali, non brillano su

questo aspetto nei paesi più poveri del mondo. Invito a leg-gere i reportage dal Delta del Niger.

Mentre il rapporto dei tecnici con le istituzioni…Questo è un problema molto italiano. I nostri politici non ascoltano mai chi tecnicamen-te conosce i problemi nella loro complessità. Il governo ascolta principalmente le lobby de-gli idrocarburi perché, dall’e-

poca di Enrico Mattei, vige il concetto che l’interesse della principale azienda energetica italiana coincide con quello dell’intera Italia. Però Mattei è morto 53 anni fa: quell’epoca

e quell’Italia appartengono ai libri di storia, oggi dobbiamo voltare pagina.Io faccio parte di quel piccolis-simo gruppo di scienziati che 10 anni fa si è battuto contro la follia di riempire l’Italia di centrali elettriche turbogas di grande potenza, sostenendo che era un affare per poche aziende, esattamente come oggi con le trivellazioni. Nes-suno ci ascoltò, ma oggi mol-te di queste centrali sono una

zavorra per il sistema elettrico italiano e devono essere di-smesse.Altra vicenda: 2011, referen-dum sul nucleare. Per fortuna in quel caso la saggezza degli elettori italiani ha prevalso. Oggi produciamo con il foto-voltaico la quota di elettrici-tà che era stata promessa nel 2025 con le fantomatiche cen-trali nucleari che non sareb-bero mai entrate in funzione, come sta avvenendo persino in Finlandia. Quando all’epoca dicevamo queste cose, gli stes-si che oggi si battono per non porre freni alle trivellazioni ci additavano come retrogradi.Ci abbiamo visto lungo due volte. Chissà, magari stavolta potrebbe valer la pena ascol-tarci.

Quindi che significato ha que-sto referendum? Il significato di questo referen-dum va al di là del suo quesi-to specifico, che riguarda una questione minimale. E’ sempre stato così, sin dal referendum sul nucleare del 1987. Questo referendum ha un importan-tissimo significato politico: gli italiani sono chiamati a dire se vogliono continuare una po-litica energetica basata sugli idrocarburi e legata al passato o se vogliono che l’Italia si in-cammini senza incertezze lun-go la strada della transizione energetica alle rinnovabili.Infine, certificato che queste sono le ultime risorse di pe-trolio e di gas che abbiamo in Italia, io mi pongo anche que-sta domanda: “Dove sta scrit-to che dobbiamo consumare tutto noi?” Perché non lasciare qualche risorsa del sottosuolo anche ai nostri figli. �

illustrazione di Andrea Giovagnoli

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di Rossella Baldacconi*

n.30 |APRILE 2016 15

Il 17 aprile si potrà lanciare un forte e chiaro messag-gio contro la politica ener-

getica italiana radicata ancora sullo sfruttamento sfrenato dei combustibili fossili che, ol-tre a produrre impatti gra-vissimi sull’ambiente e sulla salute,  contribuisce in modo rilevante al surriscaldamento globale e alle disastrose modi-ficazioni climatiche.Varie compagnie  petrolifere hanno richiesto il permesso di procedere alla prima e distrut-tiva  fase di prospezione me-diante air-gun per individua-re i giacimenti di idrocarburi nel  sottofondo marino a largo delle coste pugliesi, lucane e calabresi. Gli air-gun produ-

cono  esplosioni violentissime ripetute ogni 10 secondi, 24 ore su 24, per l’intera durata di una campagna di prospezio-ne che in genere si protrae per vari mesi e interessa aree ma-rine vaste  centinaia di chilo-metri quadrati. Queste esplo-sioni che raggiungono livelli sonori  impressionanti pari a 260 decibel (un rumore simile è difficile da immaginare, ed è migliaia di  volte superiore di quello prodotto dal motore di un jet), inducono danni gravis-simi ai mammiferi marini dan-neggiando spesso in modo ir-reversibile il loro delicatissimo apparato  uditivo necessario ad orientarsi sott’acqua.  Sen-za la possibilità di orientarsi

i cetacei, già rari e  a rischio estinzione in tutti i mari del pianeta, tendono a spiaggiarsi e a morire dopo una  terribile agonia. Anche le tartarughe marine e i pesci subiscono gra-vi danni dalle esplosioni  degli air-gun. Le larve dei pesci che si trovano nelle vicinanze degli air-gun non sopravvivono  alle esplosioni. Questa evidenza mostra quanto sia disastroso l’impatto delle ricerche  petro-lifere sugli stock ittici, anche quelli di interesse commercia-le che sostengono le attività di pesca locale.Dopo aver sondato i fondali marini, se dovessero esserci giacimenti petroliferi, si  pro-

Ambiente e biodiversità

Quali rischi corriamo?Fanghi di perforazione, aumento dell’attività sismica, blowout e fuoriuscita durante il trasporto, fase di pro-spezione con air-gun; l’impatto dell’attività di trivella-

zione ed estrazione su ecosistemi ed organismi.

*dott.ssa ricercatrice di Scienze Ambientali

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cederebbe alla perforazione dei pozzi e alla successiva costru-zione degli impianti estrattivi. La perforazione prevede l’uti-lizzo di fanghi di perforazio-ne, composti in genere da ben-tonite (un tipo di argilla) o da polimeri speciali la cui com-posizione è ignota perché pro-tetta da segreto industriale. Durante la prima fase di per-forazione (detta riserless) sia i  fanghi che i detriti non ven-gono recuperati. Migliaia di metri cubi di fanghi e detriti vengono  rilasciati nell’am-biente marino. Questa enorme mole di materiale induce la di-struzione della  comunità ma-rina presente sul fondo, oltre all’aumento significativo della torbidità e della concentrazio-ne di alcuni inquinanti perico-losi come i metalli pesanti (tra cui anche il  mercurio) che di-ventano biodisponibili e ven-gono bioaccumulati dagli ani-mali marini.Alla attività di trivellazione è legato anche l’aumento del ri-schio sismico. Evidenze scien-tifiche  hanno dimostrato la relazione esistente tra le trivel-lazioni e l’aumento dei sismi di magnitudo  medio-bassa. E questo è tanto più grave se si considerano le caratteristiche geologiche del Mar  Ionio che si trova sulla linea di contatto tra le due placche del Mediter-raneo, la placca  euroasiatica e quella africana. Inoltre, sul versante calabrese sono pre-senti numerose faglie  attive e un gigantesco corpo franoso che si estende per oltre 1000 km² davanti la costa di  Croto-ne.Anche durante il normale eser-cizio di estrazione di una piat-taforma petrolifera avvengo-no  continuamente fuoriuscite

di petrolio in mare, e vengono scaricate le acque di lavaggio e i rifiuti prodotti sull’impianto. Inoltre, per aumentare la pro-duttività della roccia serbatoio

si interviene spesso acidifican-dola e iniettando soluzioni aci-de ad alta pressione. A questo si aggiunge che le piattaforme petrolifere sono soggette a in-cidenti disastrosi che prendo-no il  nome di blowout e che consistono nella fuoriuscita incontrollata e prolungata di enormi  quantitativi di petro-

lio. L’incidente più grave che si sia mai registrato è stato quel-lo avvenuto nel 2010 nel Golfo

del Messico. Lo sversamento di petrolio dalla piattaforma della British  Petroleum (Deepwater Horizon) durò 106 giorni con-secutivi ed è stato quantificato

in oltre 1.000.000 di tonnellate distribuite su un’area marina di 8000 miglia quadrate (l’a-rea del Golfo di Taranto è pari a circa 4000 miglia quadrate!). Molteplici sono anche gli im-patti generati dal trasporto del petrolio in mare che avviene negli  oleodotti o con le petro-liere: dalla rottura di condotte

sottomarine agli incidenti ri-levanti a  carico di petroliere, dagli sversamenti accidentali

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durante le operazioni di cari-co/scarico ai terminali a quelli volontari durante le operazio-ni di lavaggio delle cisterne, quest’ultimi vietati  dalla Con-venzione Marpol 73/78 ma purtroppo ancora effettuati in modo illecito.Una volta in mare il petrolio

produce impatti gravissimi su ecosistemi e organismi. La  porzione più pesante ten-de a precipitare sul fondale marino ricoprendo vegetali e animali. Le specie più sensibili tendono a scomparire e gli ha-bitat più vulnerabili perdono le loro caratteristiche e risulta-

no impoveriti. La porzione del petrolio che raggiunge le aree costiere  mostra un differente comportamento in relazione al tipo di costa: sulle coste roccio-se il petrolio si solidifica e crea uno strato catramoso mentre su quelle sabbiose impregna il  sedimento sciolto. Per alcu-ni  ricercatori anche dopo 20 anni, gli ambienti invasi da una marea nera non tornano più ad essere come prima.Gli effetti a breve termine di una marea nera sugli ani-mali marini sono disastrosi. Il totale  ricoprimento fisico impedisce la respirazione, l’a-limentazione e la termorego-lazione. Ogni  animale, dagli invertebrati ai pesci, dai rettili ai mammiferi marini e agli uc-celli, muore in  breve tempo. Gli animali che sopravvivono tendono ad assorbire e accu-mulare gli idrocarburi nei loro tessuti e nei loro organi. Ciò induce effetti subletali che vanno dalle deformazioni  lar-vali alle disfunzioni a livello endocrino, dalla depressione del sistema immunitario all’in-sorgenza di tumori.Gli effetti negativi sulla salu-te riguardano anche gli esseri umani che si alimentano di animali  contaminati (mollu-schi, crostacei, echinodermi e pesci). Gli idrocarburi più pericolosi sono gli  IPA (Idro-carburi Policiclici Aromatici) che tendono ad accumularsi nei tessuti adiposi. Gli animali e gli uomini esposti a IPA pre-sentano una predisposizione all’insorgenza di forme tumo-rali. Questo quadro  avvilente dimostra come ogni attività antropica legata al petrolio ge-neri danni incalcolabili all’am-biente, agli animali e agli esse-ri umani. �

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C’è chi dice NOa cura di Stefano Fornito

Intervista a Giannantonio Mingozzi

Qual è la sua posizione rispetto al referendum del 17 Aprile?

Dal mio punto di vista le atti-vità estrattive, che a Ravenna e nell’Adriatico riguardano soprattutto il gas, devono es-sere mantenute e quindi noi ci impegneremo affinché al referendum non si raggiunga il quorum. A motivazione di difesa delle aziende - 50 nel settore del’ oil&gas che solo a Ravenna operano: queste non solo danno lavoro a circa sei-mila dipendenti, di cui un po’ di questi sono già in cassa in-tegrazione, ma coprono anche un fabbisogno energetico che per quanto possa essere limi-tato ci consente in ogni caso di avere una maggiore autonomia nel rifornimento delle nostre riserve. Le attività produttive che si impegnano nella ricer-ca nel nostro comparto a Ra-venna producono un fatturato di oltre 2 miliardi. Io difendo questo settore soprattutto per-ché quello che i promotori del referendum chiamano “perio-do di transizione verso fonti rinnovabili” sarà molto lungo e

in questo periodo è un errore chiudere l’attività di conces-sione. Per la verità non ver-rebbero chiuse ma se passasse questo referendum non ci sa-rebbero più imprese disponi-bili ad investire in concessioni che sarebbero a termine.Un sì al referendum a che ri-sultato porterebbe?Se si raggiungesse il quorum - e non c’è dubbio che se pas-sasse il quorum vincerebbe il sì - si rischia di rinunciare a in-vestimenti per la mancanza di nuove concessioni legate agli appalti di manutenzione, ser-vizi di rifornimento. Entro le 12 miglia ci sono 22 concessio-ni in essere di cui 15 scadono fra 2019 e 2027, 7 sono quelle più vicine a noi. Le piattafor-me sono 49 e questo comparto rischia ricadute drammatiche su posti di lavoro e ricerca. Non parliamo poi della Croa-zia, perché non è vero che in-tendono rinunciare all’emun-gimento dei gas, ma vogliono approfittare del fatto che l’Ita-lia prende tempo. Le gare che stanno preparando rischiano di sottrarre risorse energeti-

che che sono proprie di questo paese, non c’è nessun paese al mondo che rinuncia a utilizza-re fonti di approvvigionamen-to così importanti come le no-stre. I seimila dipendenti ai quali si riferisce non sono impiegati tutti nelle 49 piattaforme?No, perché l’attività dell’oil&-gas è anche quella di ma-nutentare gli impianti, di servire, nell’innovazione tec-nologica dell’attività di estra-zione del gas. Le stesse impre-se dell’oil&gas oggi finanziano la ricerca di fonti alternative e l’implementazione di queste fonti alternative con l’utilizzo dei gas che è oggi fondamen-tale, quindi verrebbe a formar-si un circolo negativo che alla fine darebbe come risultato interrompere gli investimenti, mettere in cassa integrazione se non licenziare nel breve pe-riodo almeno la metà di questi seimila addetti, ma soprattutto si vedrebbe mancare tutto quel sistema di concorrenza col mondo in cui le nostre impre-se rappresentano le tecnologie migliori sul fronte europeo. Il rischio è che uno dei comparti più innovativi delle nostre im-prese e della nostra tecnologia subisca una battuta d’arresto che sarebbe dura riprendere.I dati mostrano che le rinno-vabili creano più posti di la-voro a parità di investimenti e energia prodotta.Questo è un parere scientifi-co di alcuni docenti universi-tari che a mio parere lascia il tempo che trova. Le rinnova-bili sono tutti tentativi e tutte attività che non sono dietro l’angolo. Abbiamo ancora bi-sogno di gas per chissà quanti altri decenni e il fatto che do-vessimo ridurre la produzione

Il punto di vista del vicesindaco di Ravenna Giannantonio Mingozzi: “Non vado a vota-re, speriamo non si raggiunga il quorum”. Tra autosufficienza energetica, investimen-

ti, posti di lavoro e fonti rinnovabili.

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n.30 |APRILE 2016 19

vorrebbe dire che l’Adriatico rischierebbe di essere percorso da navi gasiere o petroliere che oggi non ci sono perché oggi fortunatamente un pochettino più di autosufficienza ce l’ab-biamo. Ce l’abbiamo grazie alla ridu-zione dei consumi sostituiti dall’energia prodotta dalle rinnovabiliMa no. Ma no. Il fatto che tu oggi estrai gas nell’Adriatico ti consente di avere una bilancia di fabbisogno energetico che è un 20-30 % del consumo ita-liano, comunque ti consente di non avere acquisti all’estero e quindi di non ricadere nel ri-catto che ti fanno i produttori di petrolio. Poi il discorso va fatto tenendo conto dei limiti di questo. Noi oggi non siamo in grado di essere autosuffi-cienti, quindi la ricerca di fon-ti alternative è giustificabilis-sima, ma non capisco perché un referendum debba correre il rischio di chiudere quello che fino ad oggi e anche per doma-

ni rappresenterà un ottimo alleato dal punto di vista delle nostre risorse.Però gli investimenti alle rin-novabili ultimamente sono stati frenati dalle pressioni delle lobby del fossile.Secondo me gli investimenti nelle rinnovabili hanno biso-

gno di essere sostenuti dagli stessi dell’oil&gas. C’è stato un convegno a Ravenna la setti-mana scorsa che ha dimostra-to come l’interesse di creare condizioni sempre più agevoli nelle rinnovabili sia proprio

delle imprese che oggi ope-rano nell’oil&-gas. Nessuno è contro le alternative e una maggiore p r o d u z i o n e di rinnova-bili. Sempli-cemente bi-sogna fare i conti con i

tempi. In tutto questo quello che proprio non ci sta è che un referendum sulle concessioni esistenti faccia sì che venga dato un giudizio ingiustifica-to su tutto il mondo dell’oil&-gas: non sono produttori che lucrano o petrolieri che hanno quello che vogliono, semplice-mente stanno alle leggi di un

paese che utilizza le proprie risorse. Il fabbisogno della no-stra economia può oggi basar-si sulle rinnovabili? La critica che viene fatta a Ravenna è che non si parla mai di rinnovabi-li, eccome se noi parliamo di rinnovabili, ma intanto dove li mettiamo 3000 lavoratori che rimangono a casa? Con la riconversione. Le rin-novabili occupano già più di 60 000 dipendenti in Italia.Mi permetto di dissentire di questi dati. Non è che noi oggi col sole e col vento siamo in grado di sostituire. Non sosti-tuiamo niente. Quindi sarebbe bene che avessimo un maggio-re equilibrio nel giudicare il ruolo che ha oggi l’estrazione di gas nell’Adriatico.Cosa farà il 17 aprile?Non andrò a votare, secondo me è uno strumento sbagliato, con un sì e con un no non puoi decidere della vita di 3000 mila dipendenti e di tutti quelli im-pegnati in questo settore, a Ra-venna in particolare. �

fonte: Ravennanews

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NOT IN MY

Voci dai territori

Abruzzo, Basilicata, Puglia e Sicilia: la situazione delle quattro re-gioni in vista del referendum. Lo sfruttamento dei territori, le pro-teste e le manifestazioni per la loro difesa da parte delle popolazio-ni locali; da catastrofi come quella causata dall’Ilva alle estrazioni dell’Eni in Val d’Agri, al contrasto contro gli accordi stretti dal go-

vernatore Crocetta: il racconto di una popolazione che reagisce.

foto di Pietro Dommarco

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n.30 |APRILE 2016 21

hanno chiuso (ovvero il 32% del totale). 26 mila, invece, gli et-tari di superficie in meno colti-vata che hanno lasciato spazio alle operazioni di raddoppio delle estrazioni petrolifere. Secondo l’Istat, le dinamiche demografiche nei Comuni in-teressati dall’indotto del pe-trolio sono state peggiori che nel resto della regione: un calo della popolazione del 6,5% con-tro il 3,4% dei restanti comuni lucani tracciano un quadro de-solante di un territorio in cui il 25% delle famiglie rasenta la povertà. Questo nonostante le royalties incassate da Regione e Comuni tra il 2001 e il 2012 siano state pari a circa un mi-liardo di euro, destinate però per spese correnti e “non per sviluppo e lavoro”, come cer-tificato dalla Corte dei Conti nell’aprile 2014. Royalties che continuano ad essere al centro della contrattazione tra Stato e Regione, trascurando quelli che potrebbero essere i costi ambientali e della salute. �

Basilicata

Il caso Basilicata - dove è presente il più grande gia-cimento di greggio in ter-

raferma d’Europa - non è pa-ragonabile a nessun altro caso di sfruttamento del territorio italiano. Per impatti ambien-tali e sociali. Una regione che copre quasi l’80% della produ-zione italiana e contribuisce all’8% del fabbisogno naziona-le di idrocarburi. Una quantità destinata al raddoppio - con autorizzazioni già incassate dalle compagnie petrolifere – quando entrerà a pieno regime la concessione di coltivazione “Gorgoglione” della Total, nella valle del Sauro. Attualmente, il picco produt-tivo è di 85 mila barili di greg-gio estratti al giorno nella sola concessione di coltivazione “Val d’Agri” dell’Eni, nell’omo-nima valle. 20 le concessioni di

coltivazione di idrocarburi fi-nora assegnati che “impegna-no” una superficie di 1993,99 chilometri quadrati, 18 le istanze di permesso di ricerca per una superficie complessiva pari a 3.856,63 chilometri qua-drati, che interesserebbero il territorio di 95 Comuni su 131. Un’occupazione territoriale che dal 1996 - anno dell’entra-ta in funzione del Centro olio di Viggiano – si è sviluppata di pari passo con la storia di pic-cole e diffuse economie locali, molte a conduzione familiare, come ad esempio l’agricoltu-ra e l’allevamento, che hanno ceduto il passo all’attività in-dustriale, spezzando quella di-stribuzione della ricchezza che ha rappresentato fino a 10 anni fa la vita per intere famiglie. Nell’ultimo decennio quasi 24 mila aziende agricole lucane

di Pietro Dommarco

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L’attuale mobilitazione abruzzese contro la “de-riva petrolifera” mosse i

primi passi nel 2007 contro il progetto di “Centro Oli” ad Or-tona. Alla mobilitazione si unì anche la prof.ssa Maria Rita D’Orsogna, di origine abruzze-se e docente universitaria a Los Angeles. Secondo uno studio del Mario Negri Sud il “Centro Oli” avrebbe portato “una ton-nellata e mezza di sostanze in-quinanti emesse ogni giorno, fra cui provati cancerogeni, che andrebbero a spargersi su un territorio dove vivono cir-ca centomila persone”. Oltre al “Centro Oli” si scoprirono altre centinaia di richieste di per-messo di estrazione a terra e in mare. Il 15 marzo 2008 miglia-ia di persone parteciparono ad un’immensa manifestazione a Pescara, nacque la Rete Emer-genzAmbienteAbruzzo. Il “Centro Oli” fino ad oggi è sta-to sventato, ma in questi anni è stato un rincorrere continuo, tra documenti tecnici, comu-nicati, manifestazioni (solo nel 2010 due altre grandissime manifestazioni portarono mi-gliaia di persone a Lanciano e San Vito Chietino) e iniziative di ogni genere. Uno dei pro-getti simbolo degli ultimi anni è stato Ombrina Mare 2 al largo delle coste abruzzesi, fermato una prima volta nel 2010 da un decreto del Ministro Prestigia-como dopo il disastro del gol-fo del Messico. Divieto abolito dal ministro Passera due anni

dopo, facendo ripartire l’iter dell’autorizzazione. Il WWF Abruzzo ha reso noto che “secondo le stime del-la stessa società proponente,

ogni giorno saranno immessi in atmosfera circa 200 tonnel-late di fumi da combustione dai motori, dal termodistrut-

tore e dalla torcia atmosferica; nei pochi mesi di perforazione e prove di produzione saranno

prodotti 14mila tonnellate di rifiuti tra fanghi perforanti ed altro”. A Pescara 40.000 perso-ne sono scese in piazza contro Ombrina il 13 aprile 2013, il 23 maggio 2015 a Lanciano alme-no 20.000 in più. Negli ulti-mi mesi del 2015 la battaglia sembrava però persa, fino alla notizia dell’emendamento alla Legge di stabilità che ritorna-va sul limite delle 12 miglia e ha fermato Ombrina. Il popolo

abruzzese ha vinto ma non ab-basserà la guardia, ben sapen-do che la vittoria andrà difesa e ampliata il più possibile. Già a partire dal referendum del 17 aprile e dall’impegno per il referendum a trivelle zero nell’ambito della campagna per i referendum sociali (tra cui Jobs Act e “Buona Scuola”), sui quali si raccoglieranno le firme quest’anno per andare al voto la primavera prossima. �

di Alessio Di Florio

Abruzzo

A Pescara 40.000 per-sone sono scese in

piazza contro Ombri-na Mare 2

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di Francesco Caroli

Tra i nove consigli regio-nali che hanno promos-so il referendum del 17

aprile troviamo la Puglia. Su di essa ricade il 71% delle richie-

ste di indagini geofisiche atte a trovare giacimenti petrolife-ri da sfruttare.Una situazione abbastanza tesa, l’ennesima, quella in cui si trova il tacco dello stivale, ormai avvezzo ai vari scandali ambientali e alle lotte portate avanti dalla politica, ma anche e soprattutto da svariati movi-menti e associazioni che com-battono da anni contro alcuni dei casi mediatici più impor-tanti degli ultimi tempi.

La situazione di perpetuo ri-catto ai danni della città di Taranto, ad esempio, con una popolazione divisa tra salute e lavoro. Sono 11.000 i morti dal 2007 ad oggi, e 12.000 le fami-glie mantenute dalla morente acciaieria Ilva, sulla quale pen-dono dieci decreti ad hoc che le permettono indisturbata di continuare a produrre e avve-lenare il territorio nonostante svariate sentenze e sequestri ordinati dal PM. Ma non solo l’Ilva, anche il recente caso della Xylella nel Salento, o del carbone di Brindisi. Adesso ci si aspetta una coalizione forte, che possa avviare un percorso ben strutturato che coinvolga tutti in maniera trasversale.In direzione 17 aprile sono già partite diverse iniziative e sono sorte le prime associazio-ni.

di Olga Nassis

Puglia

“Le trivelle devono es-sere autorizzate, fan-no parte del proto-

collo Eni firmato nel 2014 per salvare i posti di lavoro della raffineria (di Gela)”, dicono all’assessorato Ambiente della Regione siciliana.Il 6 novembre 2014 la Regio-ne aveva sottoscritto presso il MISE l’ennesimo protocollo d’intesa con le principali orga-

Sicilia

Città molto attiva è stata Bari, che ancor prima dell’indizio-ne del referendum si era già mobilitata attraverso i primi comitati No Triv, primo fra tutti NoTriv-Terra di Bari, ad informare e protestare soprat-tutto contro gli interessamenti di Shell e Petroceltic verso il territorio pugliese, quest’ulti-ma largamente interessata ad avviare ricerche in mare nella zona delle Isole Tremiti. Un in-teresse venuto a mancare verso febbraio e dovuto, a detta degli analisti e della società, ad un cambio di strategia del colosso petrolifero irlandese, in virtù del basso prezzo del petrolio in questo momento.Ma non solo Bari è protagoni-sta nel panorama dell’attivi-smo pugliese. Anche a Taranto infatti sono partite le prime iniziative: il 10 marzo si è svol-ta la prima assemblea opera-tiva del Coordinamento No Triv-Terra di Taranto nel corso della quale è stato fissato un calendario di eventi in tutta la provincia finalizzati ad infor-mare la cittadinanza. �

nizzazioni sindacali dei lavo-ratori, con l’Eni ecc. Si riapri-va cosi la corsa al petrolio nel sottosuolo siciliano: del tutto fuori tempo e in piena crisi del fossile. Il 4 giugno dello stesso anno il governatore Crocetta an-nuncia che la Regione firma il protocollo d’intesa con Asso-mineraria, EniMed Spa, Edi-son Idrocarburi e Irminio Srl

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che autorizza le perforazioni off shore e a terra per estrarre petrolio.

“Un investimento complessivo di due miliardi e quattrocen-to milioni di Euro in quattro anni, con ricadute occupazio-nali stimate attorno alle sette-mila unità”: si cerca di rende-re accettabile l’operazione, in tempi di vacche magre. I poli petrolchimici, alla fine degli anni ’50 erano nati con grandi promesse di lavoro: lo scambio territorio-lavoro era dichiarato in pubblico e si ba-sava sulla promessa della pie-na occupazione. Oggi sappia-mo che l’attivita estrattiva, per via dell’automazione, da noi in realtà ha portato pochissimo lavoro, mentre venivano stroz-zate attività tradizionali come la pesca. Il settore turistico, che provava faticosamente a decollare, non ha fatto una fine migliore.Adesso, altri venti chilometri di spiagge, tra le piu belle del Mediterraneo, verrebbero de-finitivamen-te devastate da piattafor-me che oc-cuperebbero al massimo qualche de-cina di lavo-ratori, e che d a r e b b e r o combustibile per non oltre sei mesi. E forse qualche spicciolo agli Enti ter-ritoriali, pochi perché la Sicilia

applica le aliquote di royalties piu basse d’Europa, lo stesso governo Crocetta nel giro di un anno le ha ulteriormente ha abbassate dal 20 al 13 per cen-to.C’è una risorsa di cui la Sici-lia è ricca, certamente, ed è la propaganda diffusa con tutti i mezzi dai media vicini al go-verno. Peccato che sia smenti-ta dai dati economici e sociali: la Sicilia ha un tasso di disoc-

cupazione analogo a quello at-tuale della Grecia.Crescono dunque i movimen-ti per la difesa del territorio. Alcuni hanno un carattere di massa come quello di Milazzo e della Valle del Mela contro l’inceneritore: il 13 marzo piu di tremila persone sono scese in piazza per chiedere – vici-

no a una delle maggiori raffi-nerie d’Europa - un nuovo mo-dello di svilup-po che rispetti la vocazione del territorio.Il movimento No Triv, nato per contrastare

gli accordi stretti da Crocetta con i petrolieri ha mosso i pri-mi passi mantenendosi su di

una dimensione teorica. Il pia-no simbolico e atopico riflette un’operazione che non ha an-cora un radicamento nel ter-ritorio; da un lato si scontano difficoltà in termini di mobili-tazione, dall’altro si parla con consapevolezza della società della fine del lavoro.Il movimento denuncia co-munque capillarmente la mistificazione in Sicilia che pretende ancora di legare lo

sviluppo all’attivita estrattiva.Inizialmente, il movimento si-ciliano contro le trivellazioni aveva i tratti di una lotta lega-ta ad una sensibilita ambien-talista post-materialista, nel silenzio colpevole dei media. Oggi - coi suoi comitati per il si’ al referendum - rappresen-ta la lotta per antonomasia di quest’epoca, raccoglie adesioni sui social, denuncia l’atto bru-tale della trivellazione come una devastazione non piu solo simbolica ma reale del nostro piu prezioso patrimonio: la terra, il mare.Il 17 aprile anche i siciliani po-tranno esprimersi con un SI contro le trivellazioni, e do-vranno superare un quorum. Ma noi sappiamo che questo è solo l’inizio. �

[...] da un lato si scon-tano difficoltà in ter-

mini di mobilitazione, dall’altro si parla con consapevolezza della società della fine del

lavoro.

Oggi sappiamo che l’attività estrattiva, per via dell’automa-

zione, da noi ha porta-to pochissimo lavoro.

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Ancora una volta sia-mo arrivati all’ap-puntamento elet-

torale senza che per gli elettori in mobilità ci sia una legge che ne garan-tisca il diritto di voto a meno di non dover mette-re mano al portafoglio con cospicui esborsi di denaro.Ma per il Referendum una possibilità di votare sen-za per forza dover tornare esiste, come abbiamo spie-gato in occasione dei Re-ferendum del 2011 quando votarono in questa manie-ra ben 80.000 persone.Quanto scritto allora vale anche in questa occasione.Per poter essere delega-

IO VOTO

FUORISEDEEsclusivamente per la consultazione referen-daria esiste la possibilità per una percentuale di fuori sede di poter vota-re in un seggio diverso da quello di pertinenza tramite un escamotage, ecco come.

L’art.19 della Legge 25 maggio 1970 n.352 pre-vede che alle operazioni

di voto e di scrutinio presso i seggi possano assistere ove lo richiedano, un rappresentan-te effettivo ed un rappresen-tante supplente di ognuno dei partiti o dei gruppi politici rappresentati in Parlamento, e dei promotori dei referen-dum.Alle designazioni dei rappre-sentanti provvede persona munita di mandato, autenti-cato da notaio, da parte del presidente o del segretario provinciale del partito o grup-po politico oppure da parte dei promotori del referendum.Le designazioni vanno pre-sentate al Comune il venerdì precedente l’inizio delle ope-razioni di voto, altrimenti è possibile presentare le desi-gnazioni direttamente ai pre-sidenti delle sezioni purché prima dell’inizio delle opera-zioni di votazione.Il rappresentante dei referen-dum presso i seggi ha diritto ad astenersi dal lavoro duran-te le giornate di voto, al ripo-so compensativo e sopratutto diritto al voto presso il seggio cui viene designato come rap-presentante del referendum.Tradotto in parole povere si-gnifica che coloro che si trova-no lontani dal proprio seggio

tratto da:http://www.iovotofuorisede.it/

h t t p s : / / d o c s . g o o g l e . c o m / f o r m s / d / 1 i b O K M Q 6 d c J 1 T _ h k I u S b T M c G -mF8E3h0t2WO3I9LumLnY/viewform

COLLETTIVO STUDENTI PER L’AMBIENTE

UDUhttps://docs.google.com/forms/d/1mERwM_x2D2x3ifkc-2GHyhId3PiEnkN093v35C4e5z7g/viewform?c=0&w=1

MODULI

di pertinenza possono farsi delegare come rappresentan-ti di lista e, recandosi alla co-stituzione del seggio sabato 11 giugno muniti della delega, del certificato elettorale e del-la carta d’identità, dichiarare al Presidente di voler esercita-re l’opportunità del diritto di

tratto da:http://iovotofuorisede.altervista.org/blo-g/?p=601

ti potete riempire uno di questi due moduli: riempi-tene soltanto uno per non essere delegati due volte e sottrarre posti ad altri.Uno è gestito dal Colletti-vo Studenti per l’ambiente e l’altro dall’UDU , in col-laborazione col Comitato nazionale NOTriv.Nonostante quanto scritto sui moduli, il modulo può essere riempito da ogni cittadino, non è necessa-rio essere studente ( riem-pite dove vi chiedono qua-le università frequentate con la qualifica lavoratore o altro).

voto nello stesso seggio.Non c’è nessun obbligo di re-stare per tutto il tempo delle votazioni ma si può votare ed andare via come un normale elettore!

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Chiunque voglia interagi-re con la nostra redazione, inviare materiale proprio o dare qualsiasi tipo di se-gnalazioni e reclami (anche in forma anonima), può uti-lizzare i contatti seguenti:

Campagna di crowfunding per la realizzazione del documentario

Per seguire tutti gli aggiornamenti del progetto:https://www.facebook.com/Italian-offshore-1615686405360780/?fref=ts

Crediti fotografici:- MIchele Puccia | p. 9- Pietro Dommarco | pp. 20-21

Illustrazioni:- Guglielmo Manenti | p. 8, 10-Andrea Giovagnoli | p.14

http://issuu.com/search?q=diecieventicinque

http://www.isiciliani.it/sosteniamo-i-siciliani-giovani

S O S T I E N I L ’ A S S O C I A Z I O N E :

Carlo Tamburelli

YOUTUBE

COPERTINA

SITO WEB

IMPAGINAZIONE

Flavio Romualdo Garofano

Giulia Di Martino

[email protected]

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TWITTER

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Italian offshore è la video inchiesta che metterà in

luce gli interessi nascosti e l’impatto sull’ambiente della

nuova corsa al petrolio nel Mediterraneo.

Marcello Brecciaroli - documentaristaManuele Bonaccorsi - giornalista

Salvatore Altiero - esperto di politiche ambientali

UN PROGETTO DI: