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PUBBLICO IMPIEGO - DANNO DA MOBBING – RIGETTO
DEQUALIFICAZIONE PROFESSIONALE - DANNO BIOLOGICO –
CONFIGURABILITA’
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Napoli sezione lavoro riunita in Camera di Consiglio nelle
persone dei Sigg. Magistrati
dott. UGO VITIELLO Presidente
dott. FAUSTO CASTALDO Consigliere rel.
dott. UMBERTO BERRINO Consigliere
ha pronunciato in grado di appello in funzione di Giudice del Lavoro all'udienza del 11
Gennaio 2005 la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile iscritta al numero 426 dell'anno 2003 del Ruolo Lavoro
TRA
COMUNE DI SAN BARTOLOMEO IN GALDO in persona del Sindaco legale rapp.te
pro tempore rappresentato e difeso dall'avv. prof. Antonio Palma e dall'avv. Camillo
Cancellario presso il primo elett.te domiciliato in Napoli via Carlo Poerio 98
appellante appellato
E
FOLLO VERA rappresentata e difesa dagli avv.ti Donatella Parente ed Angelica
Parente con cui elett.te domicilia in Napoli presso l'avv. Alessandro De Angelis via
Luca Giordano 56
appellata appellante incidentale
1
SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
Con ricorso depositato in data 20 settembre 2000 Follo Vera esponeva:
– di essere dipendente dal maggio 1980 dell'Amministrazione Comunale di San
Bartolomeo in Galdo quale Istruttore Contabile C2 ex VI q.f. e di aver svolto
inizialmente le mansioni del livello di appartenenza quale impiegata di concetto presso
l'ufficio Anagrafe del Comune;
– di essere stata assegnata, dalla fine del 1981, all'Ufficio Ragioneria svolgendo con
professionalità le mansioni di elevata competenza che descriveva, collaborando con il
responsabile del servizio e sottoscrivendo anche gli ordinativi di pagamento ed i pareri
di regolarità contabile in sostituzione del responsabile del servizio.
Lamentava che dalla primavera del 1999 , in occasione della campagna elettorale nella
quale ella aveva sostenuto senza successo, con il proprio consorte, una coalizione
politica sconfitta alle elezioni , erano iniziati nei suoi confronti dei preoccupanti episodi
che avevano determinato un pregiudizio professionale e psicofisico per la ricorrente. In
particolare sottolineava che in data 21 maggio 1999 il sindaco p.t. aveva
inopinatamente sporto denunzia nei confronti della Follo per essersi la stessa
allontanata dal posto di lavoro senza giustificazioni. Aggiungeva che peraltro già nel
marzo del 1999 ella era stata accusata ingiustamente di comportamenti irrispettosi nei
confronti del Sindaco.
La ricorrente evidenziava che la strategia persecutoria , così iniziata, si era
ulteriormente manifestata con l'assegnazione della Follo all'Ufficio Anagrafe dove,
dall'agosto del 1999, la ricorrente aveva svolto mansioni fino a quel momento espletate
da un impiegato appartenente alla inferiore IV qualifica funzionale. Pur essendole stato
richiesto, a conferma della professionalità posseduta, di collaborare, nel settembre
dello stesso anno 1999, con l'Ufficio ragioneria per la compilazione dei modelli di
dichiarazione dei redditi, la ricorrente con successiva disposizione del 1 marzo 2000
era stata in modo vessatorio sottoposta al controllo della responsabile dell'ufficio
anagrafe, anche essa appartenente alla medesima sesta q.f., alla quale era stato
assegnato il compito di controllare la corrispondenza e l'assegnazione delle pratiche.
2
La ricorrente proseguiva elencando ulteriori episodi capaci di connotare il disegno
persecutorio messo a punto dall'Amministrazione comunale, quale quello concernente
la liquidazione a tutti gli altri dipendenti , tranne che alla Follo, delle ore di lavoro
straordinario ovvero l'altro relativo alla esclusione della medesima Follo da una
progressione economica , riconosciuta invece agli altri dipendenti, sul presupposto
della attribuzione alla ricorrente di un insufficiente punteggio di 67/70.
La Follo evidenziava ancora di essere stata ingiustamente indicata come responsabile
di disfunzioni verificatesi nel conto consuntivo 1998 e di essere stata oggetto di critiche
e censure anche in articoli giornalistici apparsi su quotidiani locali. La ricorrente
lamentava ancora ulteriori episodi, quali il diniego all'autorizzazione ad anticipare il
rientro pomeridiano per il giorno 6 marzo 2000, peraltro concessa a tutti i dipendenti
per il successivo giorno 7 marzo ovvero ancora il ritardato inserimento nello stato di
famiglia di due minori da lei adottati. Infine la Follo sottolineava che il giorno 6
settembre 2000 le era stato comunicata la revoca delle funzioni di ufficiale di anagrafe
e stato civile.
Alla stregua delle circostanze descritte, la Follo sosteneva dunque di essere stata
oggetto di una vera persecuzione culminata nella dequalificazione professionale che
aveva determinato gravi danni anche dal punto di vista medico, attestati da
certificazioni e relazioni rilasciate da specialisti in materia. La ricorrente chiedeva
pertanto che venisse dichiarata la illegittimità della dequalificazione professionale ,
ordinata la cessazione della medesima con condanna dell'Amministrazione comunale
al pagamento dela somma ritenuta equa per il risarcimento
1) del danno subito al bene della professionalità e per la perdita di chances;
2) del danno alla salute;
3) del danno morale cagionato dalle sofferenze fisiche e psichiche;
4) del danno biologico causato dalle rappresaglie subite, ivi compreso il danno alla
vita di relazione;
5) del danno esistenziale ed alla serenità personale anche in ambito familiare oltre
che lavorativo;
6) del danno all'immagine professionale ;
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7)dei danni patrimoniali subiti;
Il Comune nel costituirsi contestava la fondatezza delle prospettazioni svolte dalla
ricorrente , evidenziando che il contrasto trovava invece ragione nelle gravi
inadempienze di cui la Follo si era resa responsabile sia con comportamenti
irriguardosi nei confronti del Sindaco sia con la negligente esecuzione dei compiti
affidati. I ripetuti ritardi sommati dalla Follo e le sue assenze, riscontrate dai cartellini
orari, costituivano pertanto il vero antecedente logico rispetto all'episodio del 21 maggio
1999 determinato dall' ingiustificato allontanamento della dipendente dal luogo di
lavoro. La convenuta Amministrazione negava quindi che nella fattispecie fosse
configurabile un intento persecutorio essendo i vari episodi di pretesa discriminazione
descritti dalla ricorrente , spiegabili con la maggiore meritevolezza degli altri dipendenti
preferiti alla Follo. Quanto alla lamentata dequalificazione professionale, il Comune
eccepiva che le mansioni assegnate alla ricorrente nell'ambito dell' Ufficio Anagrafe
rientravano esattamente nella qualifica funzionale posseduta, senza che alcuna
variazione si fosse determinata nel livello retributivo raggiunto.
L'amministrazione quindi chiedeva il rigetto delle domande con vittoria delle spese.
All'esito della istruttoria testimoniale e disposta una Consulenza tecnica il Giudice del
lavoro del Tribunale di Benevento accoglieva parzialmente la domanda , con sentenza
in data 16 gennaio 2003 condannando il Comune al pagamento della somma
complessiva di euro 32.000,00 oltre interessi dalla domanda.
Spiegava appello il Comune con ricorso in data 27 febbraio 2003 nel quale, meglio
ricostruite le vicende e chiariti i singoli episodi in contestazione , negava che in danno
della ricorrente fosse stata posta in essere la condotta vessatoria sfociata nella
pretesa dequalificazione. L'appellante sottolineava l'equivalenza delle mansioni
assegnate alla ricorrente rispetto a quelle già svolte nell'ambito del profilo professionale
di appartenenza e sosteneva che nell'ambito del rapporto di pubblico impiego il
principio di equivalenza delle mansioni era disciplinato in modo peculiare rispetto a
quello vigente nell'ambito del rapporto privato.
L'appellante sottolineava in proprio favore i risvolti disciplinari determinati dai
comportamenti della Follo e negava che l'assegnazione della ricorrente all'Ufficio
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anagrafe avesse connotati punitivi o dequalificanti. L'appellante richiamava i profili e la
declaratoria contrattuale dell'area di appartenenza negando l'esistenza di una
dequalificazione professionale e sosteneva che la sentenza era stata influenzata
dall'erronea lettura delle risultanze testimoniali, peraltro falsate dall'interesse, anche
politico, degli inattendibili testi escussi.
L'appellante, con ulteriore motivo, evidenziava che le patologie lamentate dalla
dipendente erano collocabili in epoca ben remota rispetto agli episodi lamentati e che
pertanto la consulenza tecnica di ufficio, acriticamente recepita dal primo Giudice, non
aveva adeguatamente valutato l'anamnesi personale della Follo, quale risultante dalla
certificazione medica prodotta ratione temporis. Concludendo quindi anche per la
irragionevole quantificazione degli indimostrati danni liquidati dal primo Giudice,
l'appellante chiedeva la riforma della impugnata sentenza ed il rigetto delle avverse
domande.
Ricostituitosi il contraddittorio la appellata eccepiva la infondatezza delle avverse
censure e spiegava appello incidentale nei confronti della sentenza nella parte in cui
era stata ingiustamente ridotta la misura del risarcimento del danno psicofisico,
applicando una percentuale di riduzione del 37 per cento sull'inesatto presupposto
della temporaneità della invalidità contratta in conseguenza delle vessazioni poste in
essere dal Comune. L'appellata, nell'evidenziare la persistenza delle menomazioni e
dei danni e nel sottolineare che per i fatti oggetto della denunzia e del successivo
procedimento penale era stato disposto il pieno proscioglimento della Follo dalle
imputazioni ascritte, spiegava quindi appello incidentale anche per le ulteriori voci di
danno già oggetto delle prospettazioni di primo grado e non accolte dal primo Giudice.
La Follo concludeva quindi perchè il Comune di San Bartolomeo in Galdo venisse
condannato al pagamento della somma complessiva di euro 184.317,67 di cui
19.317,67 euro quale ulteriore differenza rispetto al danno psico fisico non riconosciuto
dal primo Giudice; euro 70 mila quale risarcimento del danno psicofisico e biologico
successivo al 7.5.2001, data in cui la Follo era stata reintegrata nel ruolo di appartenza;
euro 30 mila per danno patrimoniale e professionale ; euro 35.000,00 per danno
esistenziale, sociale, familiare, danno alla vita di relazione ed edonistico nonchè per la
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lesione della dignità dell'immagine professionale, della reputazione, dell'onore e del
decoro; euro 30 mila per il danno morale per i reati commessi oltre interessi e
rivalutazione monetaria.
All'odierna udienza la causa veniva discussa e decisa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La vicenda trae origine da un comportamento vessatorio, che sarebbe stato attuato
dalla Amministrazione Comunale di San Bartolomeo in Galdo nei confronti della
dipendente e posto in essere quale atteggiamento ritorsivo nei confronti della Follo
ritenuta colpevole di aver sostenuto, insieme al proprio consorte, attivamente ma senza
successo, una coalizione politica avversaria di quella risultata vittoriosa alle elezioni
della primavera del 1999. La cronologia degli eventi, quale descritta nel ricorso
introduttivo, collega a tali elezioni l'inizio degli episodi e dei primi problemi, peraltro
manifestatisi, anche ad opera di ignoti, già nel corso della campagna elettorale ( cfr.
ricorso introduttivo pagg. 4/6). Tali indicazioni temporali consentono di radicare la
giurisdizione innanzi al Giudice ordinario adito, in quanto i singoli atti di gestione del
rapporto, indipendentemente da una loro concreta correlazione con un disegno di
persecuzione reiterata, furono posti in essere tutti in epoca successiva al 30 giugno
1998. Nell'indicare nel senso esposto i criteri per accertare il riparto temporale fra
giurisdizione ordinaria ed amministrativa ( in relazione all'art 45 comma 17 dlgs 80/98
ed ora art. 69 settimo comma dlgs 165/2001 ) la Suprema Corte a sezioni unite ha
avuto altresì modo di sancire che il termine "mobbing" può essere generalmente
generalmente riferito ad "ogni ipotesi di pratiche vessatorie poste in essere da uno o
più soggetti diversi per danneggiare in modo sistematico un lavoratore nel suo
ambiente di lavoro" ( Cfr. Cass. Sezioni Unite 4 maggio 2004 n. 8438 in motivazione).
Nella formulazione attuale il termine mobbing ( ritenuto equivalente all'altro termine
"bullying") si riferisce a qualunque condotta impropria che si manifesti con
comportamenti, parole, gesti, scritti capaci di arrecare offesa alla personalità, alla
dignità o alla integrità fisica o psichica di una persona , di metterne in pericolo l'impiego
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o di degradare il clima lavorativo, mediante una pratica persistente di danni, offese,
umiliazioni, insulti, abusi di potere o ingiuste sanzioni disciplinari che induce in colui
contro il quale la prassi è indirizzata sentimenti di rabbia, umiliazione, vulnerabilità,
sfiducia. Il mobbing ricomprende dunque anche la pratica dei continui, umilianti e
ingiustificati spostamenti da un ufficio all'altro , le molestie sessuali, l'assegnazione di
compiti dequalificanti ovvero troppo difficili da espletare, il degrado dell'ambiente di
lavoro tale da umiliare il lavoratore, la privazione di benefici già in godimento, la forzata
inattività cui sia costretto il dipendente, l'affiancamento di soggetti al fine di controllare o
svilire l'attività della vittima ( cfr. nel panorama giurisprudenziale in materia Cass. 18
ottobre 1999 n. 11727; Cass. 18 aprile 1996 n. 3686; Cass. 9.1.1987 n. 67; Cass. 11.
gennaio 1995 n. 276; in particolare vedi Cass. 16.12.1992 n. 13299 per un caso di
dequalificazione professionale a seguito di lottizzazione politica).
Pare opportuno rilevare che il riferimento ad una pratica persecutoria continuata implica
che la condotta da mobbing sia qualificata proprio dalla continuazione e ripetizione
maliziosa dei comportamenti , non essendo sufficiente a tal fine che si verifichino
episodi isolati e non ricollegabili ad una strategia unitaria, potendo gli stessi ,
individualmente considerati, non assumere caratteri di univocità ( per una ipotesi di
atteggiamento persecutorio consistente nella ripetuta richiesta di visite di controllo
medico, ignorando i risultati degli accertamenti cfr. Cass. 19.1.1999 n. 475)
La casistica sui danni da demansionamento professionale, che può costituire uno dei
criteri guida per l'accertamento della sussistenza di episodi di mobbing, deve peraltro
essere esaminata, nella fattispecie sottoposta alla Corte, tenendo in debito conto che,
come sottolineato dal Comune appellante, la disciplina delle mansioni è peculiarmente
dettata nell'ambito del rapporto di pubblico impiego dall'art. 56 dlgs 29/93 sost. art. 25
dlgs 80/98 e modif. art. 15 dlgs 387/98 ed infine dall'art. 52 165/2001. Ne consegue che
devono applicarsi con prudenza gli orientamenti giuriprudenziali in tema di violazione
dell'art. 2103 c.c.
Deve , infine , considerarsi che solo dalla indagine complessiva sui comportamenti
sospetti, tenuto conto delle allegazioni svolte al riguardo dalla presunta vittima del
mobbing è possibile, tenendo conto dei rispettivi oneri probatori, pervenire
7
all'accertamento dell'esistenza del comportamento persecutorio, non potendosi
sostenere che ogni comportamento datoriale , anche se capace di denotare rigore sul
piano disciplinare, possa automaticamente assurgere a riprova del fumus
persecutionis. Non diversamente deve affermarsi che non ogni dequalificazione sul
piano professionale, anche se idonea a comportare danni di ordine non patrimoniale,
dimostri , sempre e comunque, l'esistenza di una strategia vessatoria. Su tali premesse
devono essere pertanto riesaminati i comportamenti lamentati dalla ricorrente ed
oggetto delle censure spiegate dal Comune appellante.
Giova precisare , preliminarmente, che il quadro istruttorio risulta completo in quanto i
testi escussi sono stati indicati sia dalla ricorrente che dal Comune ( che ha chiesto
prova contraria con i medesimi testi e sugli stessi capi articolati dalla Follo in primo
grado) e che la istruttoria testimoniale è stata chiusa su richiesta della Follo, senza che
il Comune provvedesse a citare ulteriori testi tra quelli indicati dalla ricorrente,
incorrendo quindi nella decadenza eccepita in questo grado dalla appellata.
Il primo e più significativo episodio lamentato dalla Follo è costituito dalla denunzia
presentata dal Sindaco in seguito alla quale la ricorrente fu sottoposta a procedimento
penale per essersi ingiustificatamente allontanata, in data 21 maggio 1999 , dal posto
di lavoro . La Follo al riguardo ha però fornito versioni abbastanza contraddittorie, che
non favoriscono certo la tesi di un comportamento persecutorio e vessatorio
dell'Amministrazione Comunale. Ancora nelle more del giudizio, la ricorrente
sosteneva che la denunzia sarebbe stata presentata dal Sindaco omettendo di
precisare che la Follo era stata comandata, pochi minuti prima, dallo stesso Sindaco di
recarsi presso la Banca popolare di Novara per la consegna di alcuni mandati di
pagamento . Il Sindaco avrebbe fatto poi "irruzione" accertando in tal modo un'assenza
assolutamente giustificata in quanto determinata dalla sua stessa disposizione
impartita alla Follo ( cfr. in tal senso le note della Follo 11 febbraio 2002 pag. 3). In
realtà la stessa ricorrente , ascoltata in data 21 luglio 1999 in sede di sommarie
informazioni dai CC della Compagnia di San Bartolomeo in Galdo , senza minimamente
accennare all' ordine che le sarebbe stato (maliziosamente) impartito dal Sindaco, si
limitò ad affermare di essersi dovuta assentare per ragioni di lavoro e di non aver
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informato nessuno della sua assenza in quanto vi era un accordo tacito per il quale ella
poteva recarsi in Tesoreria senza nessuna autorizzazione specifica. Dalle lettura degli
atti del fascicolo penale , prodotti dalla Follo, emerge altresì che il Sindaco
Marcasciano, pressato dalla esigenza di risolvere un problema d'ufficio, ebbe
effettivamente a domandare con insistenza notizie sulla assenza della Follo alla
dipendente De Sciscio, senza peraltro ricevere chiarimenti in proposito ( cfr. sommarie
informazioni rese da De Sciscio Anna in data 24 maggio 1999). Sussistevano dunque i
presupposti per considerare , almeno apparentemente, priva di giustificazione
l'assenza della dipendente, sicchè non può certo ritenersi malizioso o persecutorio il
comportamento del Sindaco, che , secondo le inverosimili tesi della ricorrente, avrebbe
addirittura determinato l'allontanamento della dipendente allo scopo poi di contestarlo
in sede disciplinare o penale. Si consideri che dalla lettura della relazione psichiatrica
del 23 maggio 2000 a firma del dr. Marasco si evince che , in sede anamnestica, la
stessa ricorrente ebbe a fornire una ulteriore e contrastante versione dell'episodio,
tanto che il sanitario ipotizzava che la denunzia penale " assume valenza strumentale
giacchè l'assenza dal lavoro era motivata dai permessi ottenuti per legge per
l'assistenza ai due bambini adottati" ( cfr. relazione Marasco pag. 2). Si noti ancora che
il funzionario della Banca Popolare sig. Palma Nazareno, che la Follo sosteneva di aver
incontrato per ragioni di lavoro nell'istituto di credito nella mattina del 21 maggio 1999,
interrogato a sua volta in sede di sommarie informazioni, non ebbe a confermare tale
circostanza, dichiarando di non ricordare di aver incontrato in Banca la Follo ( cfr.
verbale soomarie informazioni Palma Nazareno del 30 luglio 1999 dei C.C.). A
prescindere dal rilievo che le risultanze penali non giocano rilievo nel giudizio civile se
non a seguito di ulteriore delibazione in tale sede, deve notarsi ancora che
il proscioglimento della Follo in sede penale ( cfr. sentenza 3/4 -12/5/2003 Trib.
Benevento in atti Follo) risulta determinato dal fatto che, in sede dibattimentale venne
accertato che ella si allontanava per ragioni d'ufficio ma senza bisogno di particolari
permessi. Venne ritenuta rilevante altresì la ulteriore circostanza che, solo all'udienza
del 3 aprile 2003, era stata esibita una quietanza relativa ad una bolletta Enel del
Comune pagata proprio in data 21.5.1999 argomentando altresì sulla credibilità della
9
giustificazione , addotta dalla Follo per spiegare il protrarsi della propria assenza, di
una propria improvvisa esigenza di recarsi presso la sua abitazione per assumere un
farmaco ( Aulin). Non può pertanto apoditticamente sostenersi che il comportamento
datoriale, volto a denunziare l'assenza dal lavoro della Follo, sia stato
ingiustificatamente vessatorio ovvero che addirittura possano configurarsi gli estremi
della calunnia, in quanto le circostanze che caratterizzarono l'episodio in questione
portano ad escludere una tale ipotesi. La complessità delle indagini svolte e le iniziali
risultanze delle stesse, che determinarono il rinvio a giudizio della donna, dimostra che
non può discutersi di un comportamento palesemente vessatorio.
Nè può ritenersi che gli altri episodi di mobbing segnalati dalla ricorrente abbiano
trovato un univoco riscontro dalla istruttoria testimoniale svolta: non può in tal senso
utilizzarsi la deposizione del teste Ricciardi Giovanni nella parte in cui riferisce, con
valutazioni assolutamente personali e come tali non ammissibili, "che il Sindaco è
caratterialmente portato ad essere poco educato nei confronti di dipendenti e dei
cittadini" per giungere ad affermare che egli avrebbe "sostanzialmente vessato la
Follo". Nè può ritenersi che il preteso comportamento vessatorio avrebbe determinato
un "isolamento" della Follo solo perchè la stanza dell'impiegata non sarebbe più stata ,
all'improvviso, punto di ritrovo per il caffè mattutino (cfr. teste Ricciardi). La deposizione
resa dal teste Ricciardi, comunque, è da valutare con prudenza tenendo conto che lo
stesso , consigliere comunale di opposizione, ha addirittura retrodatato all'anno 1997 il
manifestarsi degli atteggiamenti "non ortodossi" del Sindaco nei confronti della Follo
laddove , come prima esposto, la stessa ricorrente ricollega alla primavera del 1999
l'inizio del deteriorarsi dei rapporti con il primo Cittadino.
Quanto all'episodio del 23.3.1999 nel corso del quale la Follo avrebbe tenuto un
comportamento non molto riguardoso nei confronti del Sindaco , alla presenza della
dipendente Catullo si deve rilevare, a prescindere dalle predette generiche valutazioni
dei testi sul carattere "scortese" del Sindaco, che il tenore delle giustificazioni rese dalla
Follo, con missiva in data 1.4.1999 sembra confermare l'esistenza di un atteggiamento
(se non irriguardoso) almeno molto "confidenziale" dovuto " ai buoni ed informali
rapporti intercorrenti con la persona del Sindaco" (così testualmente le controdeduzioni
10
rese dalla Follo in atti Comune n. 10). Il che consente di confermare che fino alla
primavera del 1999 la Follo nemmeno ipotizzasse o lamentasse di essere già oggetto
di precedenti atteggiamenti persecutori, tanto da ribadire i buoni rapporti con il primo
Cittadino. In tal senso risulta inattendibile quanto riferito al riguardo dal teste Ricciardi.
Non diversamente possono leggersi le ulteriori doglianze ed allegazioni svolte dalla
Follo: del tutto generico ed apodittico appare ad esempio sostenere che
l'Amministrazione Comunale si sarebbe resa maliziosamente responsabile del ritardo
(protrattosi fino agli inizi del 2000) con cui i due bambini adottati dalla ricorrente
sarebbero stati inseriti nel suo stato di famiglia. L'affermazione (che implica l'esistenza
di illecite disposizioni volte a ritardare la pratica) non solo non ha trovato concreto
riscontro sul piano della istruttoria ma anzi appare in qualche modo contraddetta dalla
circostanza che la stessa Follo , almeno dall'agosto 1999, fu addetta proprio all'Ufficio
Anagrafe, in un ambito dunque nel quale avrebbe ben potuto verificare , prevenire o
almeno dimostrare eventuali ostruzionismi alla sua pratica. Non è irrilevante allora che ,
almeno a livello anamnestico, nella citata relazione medica del dr Marasco si annota
che le inadempienze sarebbero state attribuite , dalla Follo, (non ai vertici comunali
ma ) alla impiegata comunale addetta all'Ufficio che solo nel febbraio 2000 avrebbe
provveduto all'aggiornamento dello stato di famiglia. Evidentemente la ricorrente si è
limitata ad ipotizzare risvolti vessatori in circostanze che sono attribuibili a circostanze
casuali e comunque non univoche.
L'osservazione, come le precedenti, permette occasionalmente di ridimensionare
anche la portata delle conclusioni rassegnate dai vari sanitari nelle relazioni esibite
dalla ricorrente la quale, evidentemente, con il suo racconto, ha indotto i vari specialisti
a considerare come incontestabili gli episodi raccontati a livello anamnestico, a
prescindere cioè dalla loro veridicità (si pensi , ad esempio, alla circostanza,
certamente non vera, che la assenza del 21 maggio 1999 sarebbe stata determinata
dalla fruizione di permessi ottenuti per i bambini adottati).
La Follo ha indicato altri episodi, a conferma dell'atteggiamento persecutorio assunto
nei suoi confronti dalla Amministrazione comunale, ma anche al riguardo le
affermazioni non trovano elementi di riscontro a livello istruttorio.
11
La circostanza che altri 21 dipendenti (ma non tutti i dipendenti comunali: cfr. pianta
organica del Comune sub 4 bis in atti Follo) abbiano percepito il compenso per lavoro
straordinario nella seduta del 2.12.1999 (avendo prestato servizio in varie specifiche
occasioni, ad esempio per le lampade votive al cimitero comunale, per la vigilanza
durante le ricorrenze dei Morti, per i rendiconti dei diritti di stato civile, per il taglio del
Bosco di Montauro, per la discarica comunale ecc.: cfr in tal senso il verbale in atti) non
implica anche che la delibera denoti una volontà punitiva nei confronti dei dipendenti
esclusi , tra i quali la Follo . Non diversamente deve ritenersi per la attribuzione di un
punteggio di 67/70 (insufficiente per la acquisizione della posizione economica
successiva a quella di primo inquadramento) che nel ricorso introduttivo ci si limita a
sostenere essere "ovviamente" insufficiente. Nella delibera del 19.11.1999 veniva
assegnata , in applicazione del contratto decentrato, la posizione economica superiore
a quella di primo inquadramento, ai dipendenti con un punteggio di almeno 70/100. In
tema di perdita di chances invero spettava alla ricorrente indicare l'esistenza di
punteggi obbligati ovvero di disposizioni contrattuali capaci di confortare la tesi di una
ingiustificata attribuzione del punteggio ovvero ancora, in caso di discrezionalità
tecnica nelle valutazioni, lamentare una disparità di trattamento nei confronti di altri
soggetti sottoposti alla medesima valutazione , senza limitarsi a sostenere
apoditticamente che le risposte ricevute erano "volutamente laconiche e chiaramente
predeterminate a ridicolizzarla e schernirla" (cfr. anche memoria di secondo grado pag.
10).
Come infatti ha ritenuto la Suprema Corte, << è ormai jus receptum che nel
compimento delle operazioni selettive il datore di lavoro deve attenersi alle regole
fondamentali della correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), che si traducono
in un obbligo di imparzialità della stima comparativa (cfr. tra le tante: Cass. 15 marzo
1996 n. 2167 cit.; Cass. 20 gennaio 1992 n. 650; Cass. 26 maggio 1989 n. 2526).
Orbene, pur non essendo consentito al giudice sostituirsi nell'attività valutativa
dell'imprenditore, specificamente nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali, perchè ciò
si tradurrebbe in una lesione della libertà di iniziativa economica garantita dall'art. 41
Cost., tuttavia l'intervento giudiziario può legittimamente spiegarsi allorquando
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l'esercizio del potere dell'imprenditore appaia affetto da manifesta inadeguatezza o
irragionevolezza (così: Cass. 15 marzo 1996 n. 2167 cit.), quando, cioè, il giudizio del
datore di lavoro più che discrezionale si manifesti come arbitrario come, ad esempio,
può accadere allorquando si evidenzi un palese salto logico tra il giudizio comparativo
e gli elementi che dovrebbero sorreggere detto giudizio >>. (Cass. 19.11.1997 n. 11522
in Giust. Civ. 1998 I 366). In tale occasione la Suprema Corte ha altresì precisato che:
<< In tema di controllo giurisdizionale sulle scelte compiute dal datore di lavoro ai fini
della promozione dei dipendenti secondo la disciplina contrattuale (o secondo quella
dettata da parte dello stesso imprenditore con atto di "autodelimitazione" dei propri
poteri), grava sul lavoratore che assuma la violazione delle relative norme
comportamentali l'onere di provare l'esistenza dell'obbligo che si lamenta inadempiuto,
mentre è il datore di lavoro onerato della dimostrazione della conformità delle
operazioni di scelta alle norme suddette nonchè al principio di correttezza (cfr. al
riguardo: Cass. 10 febbraio 1988 n. 1453; Cass. 27 maggio 1983 n. 3674; Cass. 27
maggio 1983 n. 3675). >> (ancora in motivazione Cass. 11522/97 cit.)
Nel caso di specie, nessun concreto elemento è stato fornito dalla lavoratrice quanto ai
criteri che il datore non avrebbe rispettato ovvero circa le disposizioni contrattuali o
normative disapplicate.
Nemmeno possono utilizzarsi a sostegno delle tesi della ricorrente circa l'esistenza di
un serie continuata di vessazioni, le dichiarazioni del Sindaco riportate in vari articoli
giornalistici comparsi in quotidiani locali . Non appare invero ravvisabile una volontà
diffamatoria nella parte dello scritto in cui, nel riconoscere l'esistenza di precedenti
gravi disservizi segnalati da un impiegato ( Spallone Maria) assegnata all' Ufficio
mandati e reversali e da un verbale sottoscritto anche dal rag. Pizzi e dal Collegio dei
revisori dei conti, si ipotizzano genericamente eventuali responsabilità disciplinari ( cfr
articolo del 31.12.1999 sub 29 atti Follo nonchè deliberazione 15.12.1999 n. 125). Non
è vero dunque che nel predetto articolo giornalistico la Follo sarebbe stata indicata
come "unica responsabile del dissesto dell'Ufficio Comunale". La indicazione invece del
nominativo della dipendente, nella relazione sindacale svolta nel corso della riunione
del Consiglio Comunale in data 15.12.1999 appare collegata alla segnalazione dello
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stato caotico del settore (con smarrimento di documenti che sarebbero stati consegnati,
a dire del funzionario della Banca sig. Palma , prima menzionato, direttamente alla
medesima Follo) e dunque l'eventuale necessità di procedimenti disciplinari nell'ipotesi
di colposità o dolosità del comportamento.
Gli altri due articoli giornalistici sub 30 e 31 ( atti Follo ) si limitano invece a dare notizia
della assoluzione della dipendente in sede penale senza riportare commenti
sfavorevoli.
Anche l'ennesimo episodio lamentato dalla ricorrente, che sostiene di essere stata
privata inopinatamente delle funzioni di ufficiale di anagrafe e di stato civile in data
28.8.2000 deve essere ridimensionato: le deleghe alle funzioni di ufficiale di anagrafe
risultano attribuite alla Follo in data 26.10.1999, quelle per il ricevimento delle
dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà e per le autenticazioni di firme e documenti
nonchè per la sottoscrizione di carte di identità e certificati demografici, "per il Sindaco"
in data 19.10.1999, quelle per le funzioni di ufficiale di stato civile in data 15 marzo
2000 a conferma del fatto che anche durante il periodo di assegnazione all' Ufficio
Anagrafe la ricorrente fu destinataria di rilevanti deleghe in materia, senza che
particolari discriminazioni siano ravvisabili in tali fatti.
Le successive revoche dalle funzioni di ufficiale di anagrafe e di stato civile risultano
disposte nel maggio 2000 ma , si noti, anche nei confronti di altra dipendente ( Pacifico
Rita) appartenente alla medesima sesta qualifica funzionale . Le nuove deleghe
risultano, infine, attribuite a fine anno 2000 non solo alla Follo ma anche a molti altri
dipendenti di pari, inferiore o superiore livello, a conferma della assoluta
inconfigurabilità delle vicenda come ennesimo episodio di una particolare attenzione
vessatoria ad personam.
La Follo ha anche sottolineato che le sarebbe stato inopinatamente negato un
permesso di anticipare al giorno sei il rientro pomeridiano del giorno 7 marzo 2000 ,
con una annotazione di pugno del Sindaco che dimostrerebbe la recisa
disapprovazione , anche a livello personale, per la richiesta avanzata ( "la richiesta è
continuativa e costituisce un vizio. No!").
Non sembra invero alla Corte che il diniego , ancorchè reciso ma legittimo, possa in
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qualche modo essere negativamente connotato dalla mera circostanza che il giorno
successivo il Sindaco , con una nota indirizzata a tutti i dipendenti, abbia autorizzato gli
stessi a non effettuare il rientro pomeridiano in occasione dell'ultimo giorno di
Carnevale.
Non appare nemmeno significativo che la ricorrente sia stata destinataria di una
missiva di solidarietà da una collega dal cui testo , peraltro, non emergono elementi utili
ai fini in esame (cfr. il testo della missiva riportato nel ricorso introduttivo pag. 14).
Ritiene conclusivamente il Collegio che dall'esame dei vari episodi richiamati dalla
ricorrente non possa evincersi un significativo comportamento persecutorio da parte
dell'amministrazione Comunale tale da qualificarsi come mobbing, essendo invece
emerso, come unico fatto rilevante, che, con l'assegnazione all'Ufficio anagrafe
dall'agosto 1999, la dipendente ebbe effettivamente ad essere dequalificata. Per
quanto esposto, peraltro, tale dequalificazione, non preceduta o accompagnata da altri
fatti significativi, non può ritenersi da sola capace di connotare la strategia persecutoria
lamentata dalla ricorrente.
I testi escussi, indicati dalla ricorrente ma anche dallo stesso Comune in sede di
riprova, hanno sostanzialmente confermato il capo tre di cui al ricorso introduttivo, che
cioè la Follo venne da tale epoca assegnata allo sportello dell'Ufficio anagrafe
espletando , dalle 8.00 alle 12.00, mansioni fino a quel momento svolte da dipendente
appartenente all' inferiore quarta qualifica funzionale (cfr. teste Ricciardi Giovanni). Se
è vero che l'accertamento della dequalificazione, nell'ambito del rapporto di pubblico
impiego, deve svolgersi tenendo conto delle peculiarità di tale disciplina (con
riferimento dunque alle mansioni di assunzione ovvero a quelle equivalenti nell'ambito
della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi ovvero a quelle
corrispondenti alla qualifica superiore acquisita per effetto dello sviluppo professionale
ovvero a seguito di procedure concorsuali e selettive) è anche vero che l'assegnazione
di mansioni proprie di una qualifica inferiore non può che essere connotata come
dequalificante e come tale idonea a determinare, quanto al danno biologico lamentato,
il ristoro per l'ingiusto demansionamento.
Con l'ulteriore precisazione che, in assenza di un quadro significativo di riferimento,
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non può farsi coincidere la dequalificazione con la lamentata attività persecutoria, per la
cui esistenza occorreva che la dequalificazione venisse preceduta od accompagnata
da rilevanti comportamenti vessatori.
La lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. deve però essere riguardata
tendenzialmente non già come occasione di incremento generalizzato delle poste di
danno (e mai con strumento di duplicazione del risarcimento degli stessi pregiudizi) ma
soprattutto come mezzo per colmare le lacune nella tutela risarcitoria della persona,
che va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non
patrimoniale, comprensivo quest'ultimo del cd. danno biologico in senso stretto
(configurabile solo quando vi sia una lesione della integrità psicofisica secondo i
canoni fissati dalla scienza medica), del danno morale soggettivo come
tradizionalmente inteso (il cui ambito resta esclusivamente quello proprio della mera
sofferenza psichica e del patema d'animo) nonchè dei pregiudizi, diversi ed ulteriori
purchè costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente
protetto (in tali termini Cass. 31.5.2003 n. 8827). Nella presente fattispecie dunque
possono identificarsi, tenendo conto delle censure svolte dall'appellante incidentale,
una serie di possibili profili risarcitori derivanti dalla accertata dequalificazione
professionale. Il primo, costituito dal danno biologico già esaminato dal primo Giudice
ma determinato non già dal cd. mobbing, di cui si è esclusa la sussistenza, bensì dalla
dequalificazione professionale, capace anche per le modalità intrinseche, di esporre il
soggetto ad una sofferenza psichica anche sotto il profilo della vita di relazione. Dalla
predetta dequalificazione potrebbe discendere, come sostenuto dall'appellante
incidentale, anche un ulteriore danno, derivante dal pregiudizio nella vita professionale
ed in particolare dalla perdita del patrimonio di conoscenze e di esperienza
negativamente attinto dalla dequalificazione. (cfr. Cass. 13 agosto 1991 n. 8835). Deve
però escludersi che ogni modificazione delle mansioni in senso riduttivo comporti una
automatica dequalificazione professionale , connotandosi quest'ultima , per sua natura,
per l'abbassamento del globale livello delle prestazioni del lavoratore, con una
sottoutilizzazione delle sue capacità, con perdita di chances e di ulteriori potenzialità.
Ne consegue che, laddove, come nel caso in esame, sia pacifico che venne conservato
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il livello retributivo e che il lavoratore abbia svolto mansioni nel medesimo ufficio
Anagrafe in cui già nel passato egli era stato soddisfacentemente utilizzato, occorreva
una prova convincente dell'esistenza di un ulteriore danno risarcibile (Cass. 8.11.2003
n. 16792; Cass. 4.6.2003 n. 8904;). Pur riconoscendo l'esistenza di un orientamento
giurisprudenziale più elastico che assegna particolare rilevanza in materia alla cd.
prova presuntiva, in mancanza di specifici elementi di prova (cfr. Cass. 12.11.2002 n.
15868; Cass. 6.11.2000 n. 14443) deve rilevarsi, in senso negativo per le tesi della
ricorrente, che ella ammette di aver ricevuto, durante il periodo di dequalificazione nel
settembre 1999, l' incarico di collaborare con l'Ufficio ragioneria per la compilazione dei
modelli relativi alla dichiarazione dei redditi 1998. Inoltre dalle stesse prospettazioni
della ricorrente emerge che l'assegnazione alle mansioni di sportello, presso l'Ufficio
Anagrafe erano limitate all'orario dalle 8.00 alle 12.00 e che nel corso del periodo in
esame le vennero attribuite diverse deleghe per la firma di certificazioni dell'anagrafe e
per l'autentica di documenti. Risulta infine che, dopo il periodo di assegnazione
all'Ufficio Anagrafe, la Follo sarebbe stata assegnata all'Ufficio Legale e Terremoti
(note 11.2.2002 pag. 11 nonchè anamnesi in CTU di primo grado) senza più svolgere
le mansioni precedentemente disimpegnate presso l'Ufficio Ragioneria. Come già
detto, trattasi di assegnazione ad Ufficio cui già nel passato la ricorrente era stata
addetta.
Ne consegue che nessun ulteriore danno è attribuibile, oltre quello biologico già
accertato dal primo CTU, in relazione alla perdita di professionalità derivante dal
demansionamento avvenuto tra l'agosto del 1999 ed il maggio 2001.
Non possono nemmeno essere liquidati i cd. danni morali per la inconfigurabilità nella
fattispecie, anche in via di mera ipotesi, di illeciti di carattere penale nel comportamento
dell'amministrazione Comunale, alla stregua di quanto prima esposto.
Non risultano danni di carattere patrimoniale tenuto conto della conservazione del
livello retributivo di appartenenza e valutata la inconfigurabilità di una perdita da
chances. Non sono state invece riproposte, in sede di appello incidentale, domande in
ordine al ristoro delle spese sostenute dalla Follo.
Quanto al danno esistenziale, di cui l'appellante incidentale lamenta la mancata
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valutazione, deve osservarsi che nel riconoscere la risarcibilità di tale danno si è
affermato che lo schema adottato per il cd. danno biologico (art. 2043 c.c. e art. 32
Cost) sia riferibile , per la latitudine dei suoi enunciati, ad ogni analoga lesione dei diritti
comunque fondamentali della persona, risolvendosi in un danno esistenziale ed alla
vita di relazione (Cass. 7.6.2000 n. 7713). Peraltro , nella liquidazione dei pregiudizi
ulteriori, il giudice, in relazione alla funzione unitaria del risarcimento del danno alla
persona, che, come già prima esposto, non può tradursi in una duplicazione o
incremento generalizzato delle poste di danno, deve tenere conto di quanto già
riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo o ad altro titolo ( Cfr. Cass. 31.5.2003
n.8827).
La appellante incidentale ripropone, per la connotazione del danno esistenziale
sofferto, sostanzialmente le stesse vicende ed argomentazioni già esaminate : la
condotta lesiva dell'Amministrazione viene ancora una volta giudicata dannosa in
quanto capace di concretare gli estremi della diffamazione, anche a mezzo stampa,
della calunnia con conseguente sottoposizione a giudizio penale e disciplinare,
minacce di licenziamento e quant'altro. Vengono ancora una volta riproposte le
questioni inerenti il vincolo familiare, che si assume vulnerato per il ritardato
inserimento dei due piccoli adottati nello stato di famiglia e si richiamano ,
genericamente, le ripercussioni nel piccolo centro abitato e sulle abitudini di vita
stravolte (cfr. appello incidentale pag. 37). In tale ottica non ritiene la Corte che
persistano ulteriori profili non indennizzati dalla integrale liquidazione del danno
biologico, di cui il pregiudizio alla vita di relazione costituisce un aspetto che deve
essere autonomamente valutato solo ove ritenuto nel caso concreto sussistente ( cfr.
Cass. 11.12.2002 n. 15809; Cass. 24.4.2001 n. 6023; Cass. 17.11.1999 n. 12740).
La quantificazione del danno biologico , affermata (riduttivamente) dal primo Giudice in
via equitativa deve essere rivisitata, tenendo conto delle censure svolte sia
dall'appellante principale che da quello incidentale.
La Follo ha invocato una determinazione in via equitativa delle varie specie di danno
lamentate nel ricorso introduttivo: è certamente ammissibile una valutazione equitativa
globale purchè nell'ambito della stessa voce; allorchè invece il danno debba essere
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analiticamente considerato nella varie voci richieste, una liquidazione globale , specie
se riduttiva, il Giudicante deve dare analiticamente conto delle ragioni della riduzione in
relazione alle singole voci di danno ( Cass. 2.10.1997 n. 9626). Ne consegue che una
volta applicato il criterio equitativo ed affermata , per tale via, la utilizzabilità delle cd.
tabelle di quantificazione del danno biologico, ben poteva il primo Giudice pervenire a
liquidare il danno medesimo nella misura di euro 51.317.67 . In verità nessuna delle
parti ha spiegato motivi di censura specifici in ordine alla misura massima risultante
dalla applicazione delle tabelle del Tribunale di Benevento, limitandosi l'appellante
incidentale a richiedere la differenza non attribuitale per l'applicazione di un criterio
riduttivo non condivisibile.
In proposito ritiene il Collegio che le censure della Follo siano fondate in quanto, una
volta commisurato il danno alla misura massima risultante dalle menzionate tabelle,
non appare corretto,in via equitativa, applicare un riduzione del 37 per cento sull'errato
presupposto della probabile cessazione dei disturbi con la interruzione dei
comportamenti vessatori e della dequalificazione.
Invero la cessazione della dequalificazione non ha implicato il ridursi ovvero il mancato
protrarsi del cd. danno biologico che anzi, tenendo conto degli ulteriori accertamenti
medici prodotti dalla Follo, risulta persistere anche nelle more del presente grado del
giudizio (cfr. relazione ASL Roma dip. medicina legale in data 17.4.2003 nonchè referto
ASL Benevento 1 del 29.9.2004).
Ne consegue che esclusa la operatività della decurtazione immotivatamente applicata,
sia pure in via equitativa, dal primo Giudice, il danno biologico può essere liquidato
nella misura massima risultante dalla applicazione delle medesime tabelle già utilizzate
dal primo Giudice, tenuto conto della età della ricorrente. Spettano pertanto alla Follo
complessivi euro 51.317,67 con gli interessi dalla domanda, come affermato in
sentenza con statuizione non oggetto, quanto al regime degli accessori, di specifica
censura in sede di appello incidentale.
Non appare invece condivisibile l'argomentazione svolta dal Comune in ordine alla
preesistenza di uno stato patologico che, almeno a livello di predisposizione avrebbe
agevolato l'insorgere della patologia oggetto dell'accertamento svolto dal CTU. Invero
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l'esistenza di infermità pregresse non esclude l'operatività del principio che tutela il
danneggiato per i danni che egli non avrebbe comunque sofferto senza
l'inadempimento o l'illecito. Una volta dunque accertata l'operatività del nesso causale
tra comportamento imputabile del danneggiante e pregiudizio arrecato rimane esclusa
ogni possibilità di graduare in termini percentuali con riferimento alla concausa naturale
la responsabilità dell'autore della condotta colposa, essendo quest'ultimo responsabile
per l'intero dei danni cagionati (cfr. Cass. 9.4. 2003 n. 5539). Nel caso in esame non
può escludersi , sulla base dei rilievi mossi dall'appellante principale, il nesso di
causalità, nei confronti della dequalificazione verificatasi dall'agosto del 1999, quanto
al disturbo ansioso depressivo con spunti di psicotizzazione di tipo paranoide
diagnosticato dal primo CTU. Invero le infermità, la cui preesistenza è sottolineata dal
Comune alla stregua della documentazione esibita ratione temporis dalla Follo per
giustificare precedenti assenze dal lavoro, confermano solo l'esistenza di una
predisposizione per la sindrome successivamente scatenata dalla ingiusta
dequalificazione subita dalla Follo , senza quindi incidere sulla esistenza del nesso
causale.
In tali termini, dunque, la sentenza impugnata deve essere parzialmente riformata
liquidando alla Follo la somma complessiva di euro 51.317,67 a titolo di danno
biologico per il demansionamento e rigettando le ulteriori domande spiegate.
Tenuto conto della complessità e relativa novità delle questioni oltre che della
reciproca soccombenza, le spese del doppio grado possono compensarsi per metà
liquidando il residuo per ciascun grado come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte così provvede:
in parziale accoglimento dell'appello principale e di quello incidentale, condanna il
Comune di S. Bartolomeo in Galdo al pagamento in favore di FOLLO VERA della
somma complessiva di euro 51.317,67 oltre interessi legali dalla domanda al saldo.
Compensa per metà le spese del doppio grado condannando il Comune al pagamento
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del residuo liquidato per ciascun grado in complessivi euro 1.500,00 di cui euro 600,00
per onorari oltre IVA e CPA con attribuzione ai procuratori anticipatari dell'appellata.
Conferma per il resto la sentenza.
Così deciso in Napoli Sezione Lavoro addì 11 Gennaio 2005
Il Consigliere Estensore Il Presidente
dott. FAUSTO CASTALDO dott. UGO VITIELLO
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